ALLE COSE PERDUTE, Piccoli poemi d'amore e libertà, 2013 - La Plume de Paris
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ALLE COSE PERDUTE
La Plume de Paris
ALLE COSE PERDUTE
Piccoli poemi d’amore e libertà
© La Plume de Paris, 2013
© 2013 La Plume de Paris
Web site: www.laplumedeparis.com
Copertina: Skander NOUIRA
Edizioni: FAVIA Editore - Bari
L'amore che poté morire
non era amore.
B. Auerbach, Auf der Höhe,1865
Alle cose perdute
e nostre vite sono fitte foreste, mio perduto
amico.
Sono criniere intricate di vecchi leoni che dormono,
dimentichi. E il vento che ne scioglie le trecce
sprigiona, talvolta, quel balsamo selvaggio che ci
ubriaca ancora.
Tra i miei capelli bruni come la terra, lunghi come
antiche cantilene, tra i fili miei, chissà se passerai
mai le dita dolci e stanche. Chissà se sentirai quanto
L
fremono i pensieri quando gli occhi si poggiano su
di te.
Amami, mio lontano amico, come se già mi amassi
da altre cento vite passate. Come se dell'anima mia
conoscessi ogni crimine, e non te ne curassi. Come
se i miei giorni malati, tu li avessi già trasformati
nelle rose e ginestre del tuo giardino.
Dalla coppa vuota dei miei ricordi bevi tutte le
verità che ci legano alla vita. E di questo dono
dovrò chiederti scusa, perché già so che ne soffrirai.
Tu che non sei verità.
Fammi quella promessa unica che solo la Morte é in
grado d’assicurare agli uomini. Che saprai dove
trovarmi, ovunque io mi nasconda in questo mondo,
tra le cose perdute. E che verrai a prendermi.
Abbiamo fatto fin troppi scarabocchi sui disegni
che ci ha lasciato il destino. Perché le tue sono mani
d’artigiano e sono fatte per costruire cose nuove.
Dove finisce il tuo tratto inizia il mio, che la vita
nostra non é altro che riprese ed interruzioni.
Offre in dono le cose perdute e racconta i sogni
autistici di Dio.
– BIGLIE PROUSTIANE –
Stanno rotolando
amore mio
queste stagioni,
come biglie indifferenti
dalla tasca
scucita
di tutti i miei ricordi.
Cos’é la vita,
se non quel rumore
sordo
della biglia che va
da un capo all’altro,
nel percorso concavo
scavato tra
erba e asfalto,
e che separa me
da te?
– TRA CINQUANT’ANNI –
Canterai tutta la notte
le vite nostre
e quell’altra ancora
che non vivemmo mai.
Saranno scalini
i giorni che verrano,
ti condurranno ben oltre
il mezzo del cammin
della tua vita.
Quando la via,
e per entrambi, sarà da un pezzo
già smarrita.
E sul pianerottolo poi
delle nostre cose
vissute forse,
sognate forse,
arriverà, ma solo alla fine,
il tempo di noi.
– SALMO –
Guardami gli occhi
e quanto piove.
Miserere mei,
che mi son perduto
nei tuoi.
Non é il mondo
grande abbastanza,
né gli oceani
abbastanza profondi
per trovare un posto
e più non sentire.
Tibi soli peccavi
et malum coram te feci.
Miserere mei,
che ti tengo dentro
e non ti lascio andare.
– SEMPRE –
Resteranno sempre
le voci di quelle sere,
tanto lo so
che non dimenticherai.
E forse non saranno
le mie braccia
a stringerti adesso
ma quelle d’una usurpatrice.
Tanto lo so
che in lei mi cercherai.
Resterà sempre una finestra
da cui sporgersi verso l'infinito,
e l'odore di te
con cui nascondersi
tra la lenzuola della notte.
Resterà sempre il mare
a ricordarti i miei occhi
e le piaghe della vita
a farti inciampare nel pensiero di me.
Resterà sempre un vento caldo
a scompigliarti i capelli
così simile alla nostra follia.
E tu crederai pure
di poter viverne senza;
tanto lo so
che non durerai
e sempre scaverai
lì dentro
quel posto che dice
di me.
– PARIGI STASERA –
Parigi stasera
mi ha fatto l’amore,
come un amante
segreto e disperato.
M’ha aspettato
e senza far rumore,
al mio passaggio
ogni rue ha deviato.
Poi d’improvviso,
sotto la pioggia strisciante,
m’ha condotta in un’improvvisata alcova,
m’ha preso il viso
e con fare disarmante
m’ha baciata cento volte e, forse, una nuova.
Così, su due tavoli
sgangherati
bagnati di quel piacer da bistrot,
ci siamo poi
così tanto amati
che dirvi di più, ahimè,
non potrò.
– LETTERA A G. –
Invasa
da un’immonda sensazione di
finito
di cose finite e risolte
che non sanno che farne
delle voglie mie
d'infinito.
E il cuore
ancora palpitante
e la gola
ancora fremente
che raschia,
come la strada nera
sotto la pioggia.
Mi chiede la chimera
quando?
Quando lo sentirai ancora?
L’infinito.
Anche il vuoto che tu lasci
é finito oramai,
risolto,
nell’avvenire
sepolto
tra le carte che firmai.
–FREDDO GITANO –
Questo cazzo di freddo gitano
che parte e ritorna,
che si piazza dove gli pare,
oggi s'annida un po' dentro, un po’ fuori
dalle mie ossa.
I gitani non conoscono confini.
Questo freddo del cazzo
non sa nemmeno in che giorno siamo.
Lui si mette proprio lì, senza riflettere,
prima sui peli, poi sui vetri sporchi degli
uffici
poi tra le maniche elettrizzate dei maglioni.
E non so per quale magia nera gitana
dalle cose, poi, il freddo passa
sotto il guscio dell'anima mia.
E da lì non si muove più.
Si deposita e rosica dentro
e mi mangia quel po’ di calore
che resta.
Sto cazzo di freddo gitano
che non si capisce dove sta di casa,
é cannibale di cose umane.
Di cose vaghe e calde,come ciò che di me
mi rimane
in fondo a una giornata come questa.
Tu che vuoi passare
e che non mi passerai mai,
come una febbre tu sei
che riempie gli occhi.
Oltre le cose non guardo e non esisto.
Perché la febbre mia si annida qui
e non oltre.
– MONOLOGO INTERIORE –
Le migliori cose, le migliori cose
io le ho fatte
quando nessuno stava a guardare.
A parte te, che mi spiavi
come sempre.
Contavi, col metronomo rotto,
quanti battiti mi separavano dal sogno.
Mi scrutavi senza occhi
Mi ascoltavi senza orecchie.
Eri ovunque
nella prossimità assente.
Scandivi il tempo
per non perderti niente.
– MERCATO DELLE PULCI –
L’assenza di te
era assenzio nei giovani anni
e in questi senili, oppressi dai malanni,
é come un chiodo arrugginito
piantato nel luogo proibito
che é l’anima carnosa e
bianca ; e il respiro quasi mi manca
e mi più dimeno e più la piaga
si dilata.
Ossida ogni fibra la ruggine
e tutto indurisce e pietrifica dentro.
Il chiodo infetto che tu sei
fa di me
l’oggetto polveroso
sugli scaffali decadenti
dei rigattieri pulciosi e dementi
che vendono al mondo
ombre e sogni,
sogni e ombre ;
in quei vecchi mercati
dalle cose antiche,
le cose che ormai
gettiamo alle ortiche.
– AMARO E ROSSO –
Viviamo
sempre distillando
i nostri sogni.
Siamo io e te
amari e rossi
come acini d’uva acerba.
Amari e rossi
come i tramonti
che ci scendono dentro.
Amari e rossi
come patti di sangue
stretti con la verità.
Amaro e rosso
é il distillato di vita
ma senza sogni
é come vino che si fa aceto
e che io adesso bevo
nella coppa offerta
amara e rossa
amara e rossa
come la piaga aperta
che tu sei.
E così vivo
sempre distillando
i miei sogni,
che sono ormai al palato
familiari e necessari
come un liquore pregiato
amaro e rosso
amaro e rosso
cui non so rinunciare
e non posso.
– MEZZA DI NOTTE –
E nella notte,
e nella notte io cammino dentro le cose.
Sono cose nuove e vecchie
sono cose in fondo al pozzo,
leggere come monetine
e pesanti come desideri.
– AD APRILE –
E se tu poi non fossi di questo mondo
se non fossi mai nato ad aprile
come tutte le cose buone
che vengono a primavera,
io allora avrei passato la vita a cercarti
tra i sussurri delle foglie
tra i lamenti ondeggianti dei laghi
nei misteri dischiusi dalle coppe dei fiori.
E se tu, poi, non esistessi nemmeno tra
queste cose
allora chiuderei gli occhi e lì ti troverei,
con le mani che tendono verso me
e i sorrisi felici
e le promesse impregnate di vita,
che, come la primavera con la terra,
tu porti in me e custodisci.
–TOCCA IL FUSO –
Arriva il giorno che tu
Se é vero che la mia parola é profetica,
se é vero che ora dice, ora tace,
ora squarcia la tela dell'avvenire,
se questa parola mia dice il vero
allora noi ci ritroveremo.
Ricordi? Siamo il discorso infinito
e mai cominciato.
Ricordi? Hai già letto le pagine
che dicevano di noi.
La parole cadevano sui fogli bianchi
come gocce di profezia.
Pungevano la carta,
come la pioggia pungeva quel giorno la
nostra pelle.
Quel giorno... Ricordi?
Il discorso infinito e mai cominciato
che noi siamo
ha la stessa consistenza liquida del sogno.
Attraversa le cose,
in un tempo che passa
senza passare mai e, al risveglio,
le lascia bagnate di fresche verità.
Tu sei qui e ora. Sei un'isola.
Io sono altrove e non sono mai.
Sono il mare del possibile
che e mi stringo attorno a te.
E la parola mia dice il vero,
come ogni menzogna ben costruita.
Ho interrotto il viaggio, ma tu lo
continuerai.
Verrai. Da me.
Allora ci ritroveremo ancora, come é stato
scritto
e scrivo adesso.
Su queste pagine punte dalle mie parole
come dal fuso incantato delle fiabe,
che tutto sospende e addormenta.
– RITORNI –
Torna da me
in una domenica pomeriggio,
quando le piastrelle della cucina sono pulite
e i panni dormono e s'asciugano al vento.
Torna da me
quando non serve a niente,
quando non ti aspetto,
quando i forni cuociono il pane
e le rondini,
forse le rondini,
fanno nel cielo disegni neri.
Torna vicino a me
quando non porto i vestiti d'inverno,
quando a piedi nudi
trattengo i passi nelle tue stanze
e la sera piccola piccola
arriva a benedirci,
come una carezza.
– CON-CAVITA’ –
Così talmente sono a caccia
di te e delle tue cose.
Come un giorno caldo
dopo eterni giorni d’inverno,
esci dall’aria intatta.
Il profumo di te
che sei e non esisti
sta con me,
sta dentro i calici dei fiori notturni
sta dentro le arcate delle cattedrali.
Concavo tu sei
come l’abbraccio che c’é e non esiste.
E’ il tempo di marzo che torna
e raccoglie,
che fa belle le sere
le mani mie
le stelle sulle nostre teste piene.
Dai balconi di questo palazzo,
apro e chiudo al mondo
tutti i nostri sogni,
e proprio da qui
tu te ne vai
per quel viaggio impossibile
che c’é e non esiste.
– (S)COPERTE –
Gli occhi tuoi, poi, sono di passaggio,
non so mai se arrivano o partono.
Su di me, gli occhi tuoi pero’ restano
conoscono i luoghi e i tempi che tornano.
Velami gli occhi e scoprimi il cuore.
Coprimi i ginocchi e svelami l’amore.
– LA VERITA’ –
Quando poi cammineremo per strada
con gli sguardi pieni e persi
tenendo la mano ad altri,
ad altri diversi da noi;
quando poi supplicheremo la notte
di non scivolar via così presto
perché di giorno spazio non c’é,
non c’é un tempo per noi;
quando poi scopriremo la verità
così dura da spaccarci in due,
i nostri cocci si perderanno altrove,
li’ dove non ci troveremo più.
Quando poi, soli, ci sveglieremo
tutto ciò ci parrà così strano,
che, a dire il vero, l’un per l’altro
non siamo stati niente,
niente, sì, che importi davvero.
– LA TAVOLA OVALE –
L'odore di te s'incrosta
nelle cavità di quest'anima mia.
Come un profumo di legno
antico e mortale,
vieni fuori dai cassetti
dove abbiamo chiuso
tutti quei sogni.
Un odore di muschio vivente
tu porti e mi confonde.
Sei una tavola ovale
rossa ciliegio
imbandita coi resti
delle pietanze del tempo.
Curva come le mani
che prendono per mano,
lucida come il marmo
che fa da tomba
a tutte le nostre cose.
– TRA LE TENDE AZZURRE –
Cosa manca a queste stanze
se non il rumore dei passi
che non abbiam fatto?
Cosa resta tra le pieghe delle tende azzurre
se non la polvere di quei baci,
sollevati e persi?
Siamo dentro una sera
che s'imbrunisce ancora.
– LA LUPA –
Sono la figlia di una lupa ingorda ed
assassina
che ha divorato tutto,
anche la sua stessa luna.
Tra gli artigli, la lupa porta ancora i
brandelli della mia pelle,
e alla luna perduta ulula
senza fine.
In questa notte
senza fine.
Dove cielo non si vede.
Je suis la fille d’une louve meurtrière
qui a tout dévoré autour d’elle,
même sa propre lune.
Dans ses griffes, la louve porte
les lambeaux de ma peau.
A la lune perdue, elle hurle sans fin.
Elle hurle au coeur de la nuit,
qui est elle aussi,
sans fin.
– BORDELINE –
Se tanto mi dà tanto,
allora é vero
che non mi passerai mai.
Borderline,
dicono.
Borderline.
Con i suoi sforzi disperati
per non cadere,
con le sue idealizzazioni
e svalutazioni,
con i suoi sentimenti cronici,
intensi di vuoto,
e la rabbia ricorrente
come un maelström denso e promiscuo
che tutto inghiotte.
Borderline,
dicono.
Borderline.
E non sanno che
se funziono al limite
é perché é lì
che tu esisti.
Quest'amore
che ho di te
é una mania che disturba
che non fa dormire le notti
che non separa più reale e immaginario.
Borderline,
dicono.
Borderline.
E' dunque malattia
ciò che mi fa oscillare il cuore?
Che scuote diabolicamente la polvere
dai miei giorni, già vecchi?
Che mi mangia l'anima, dal di dentro,
senza più restituirla?
Bordeline,
dicono.
Bordeline.
E un tempo si diceva Mal d'amore.
– VERSO LA FINE –
Sta finendo il mio letargo
portandosi dietro questo lungo inverno.
Come l'ultimo ciocco sta finendo.
Legna non serve senza stanze da riscaldare.
Nei piccoli incendi dei miei giorni
ho bruciato l'inutile e l'importantissimo.
Che ciò che solo conta agli occhi
é vedere quant'è alta la fiamma.
Di tutto quel fumo respirato
del mio corpo sopito e congelato,
del torpore dei miei sogni
dell'urgenza di nuovi bisogni,
adesso resta solo la cenere.
La spargerò sulla soglia dei miei prossimi
passi
a benedirne la fortuna e il lieto risveglio.
La fiamma che brucia la porterò dentro.
Se la proteggo non si estinguerà mai.
– L’ULTIMO REGALO –
Di questi giorni perduti,
di questi passi che abbiam fatto,
di tutti questi volti che abbiam visto
prima di arrivare fino a noi,
non ci resta che la Meraviglia.
Meravigliosi sono i luoghi
dove tu mi porti
dove noi siamo e dimentichiamo
i nostri nomi.
Legami, legami sempre più forte.
Fino a quando farà male.
Fino a quando avremo ancora fiato e cuore.
E sarà per me l'ultimo regalo.
– PER ORE E ORE –
Il pensiero di me
dissolvilo nelle ore più dure.
Scioglilo nei minuti infami
e nei secondi senza tregua.
Nell'apnea dei tuoi battiti
frantumalo come pane raffermo.
Ascolta la compattezza del tempo.
E sarà come se potessi fermarlo.
E sarà come se io fossi ancora lì. Con te.
Ma nelle ore più dure.
– LES BOTTES DU NON-LIEU –
Ce soir, je vais porter tes bottes.
Pas pour faire les sept lieues, non.
J'ai juste envie de rester sur tes pas. Et de là,
me voir peut-être arriver.
Qui sait d'où.
Qui sait d'où.
Metterò questa sera i tuoi stivali.
Non per fare le sette leghe, no.
Voglio solo star ferma sui tuoi passi. E da lì,
forse, vedermi arrivare.
Chissà da dove.
Chissà da dove.
– QUARTO DI LUNA –
Mai smetterei di guardarti, mai.
E di affondare gli occhi su di te,
quasi a volerti proteggere da non so cosa,
con la mia piccola gabbia di sguardi e
sottintesi.
Ma non sono gli occhi a guardarti,
cosa bella e crudele,
é l'anima.
Come un quarto di luna antica,
termini il tuo viaggio su di me
e mi lasci un sorriso decrescente.
Nella notte scura.
Oscura la vita, oscura.
Come la nostra licantropica nostalgia.
Che se solo potessimo azzannarci
di mille morsi ardenti,
lo faremmo ancora
e senza saziarci mai.
– LA PIAZZA DEL CAMPANILE –
Come laghi profondi
i sorrisi tuoi bevono me
e la sera,
mentre da lontano
il vecchio mare già incatena
i nostri passi e i pensieri
si fanno pallidi e liquidi,
sbiadiscono la luna
nascosta dai cipressi.
Sentieri d’edera e pietra
ci conducono nella piazza notturna,
dove i quadranti del Gran Campanile
scrutano i passanti
con le loro quattro facce
puntate sulle anime nostre,
come punti cardinali.
E c'è un silenzio
dolce e pieno
che mi par musica.
E c'è una pace
che non so più
se e' verità
o sogno mio.
– SALPIAMO –
Di moti duri e infiniti
avanza la barca delle speranze mie
verso la vita.
Non c’é porto
dove passare la notte
non c’é marinaio
che ascolti con me le sirene.
Galleggia sola
la barca delle speranze mie
e resiste
e risponde senza cura
agli abissi che s’aprono
e che sotto di sé
inghiottono ingordi
le cose e il tempo delle cose.
– GRANDE E PICCOLO –
Se quello che siamo ed eravamo
si fosse davvero spezzato a metà,
come sembra,
a te sarebbe comunque toccata la metà più
grande,
che é di per sé un controsenso e un
paradosso.
Come un controsenso e un paradosso
é quello che siamo e che eravamo.
Le nostre non sono due metà uguali,
ma restano due metà.
L’una ha fame dell’altra. Sempre.
E delle due, a te lascio quella più grande
perché, da che esisti, hai tenuto per te le
cose più grandi.
I miei occhi,
i sogni del mondo
I miei occhi ingranditi dai sogni del mondo.
La metà più piccola la tengo per me.
Da sempre vengono a me le piccole cose.
I granelli di sabbia,
le foto sbiadite,
I tappi di bottiglie stappate
nei giorni felici.
E di quelli infelici conservo poi
i sospiri
i gesti dispersi
le promesse ridotte
in più piccoli frantumi.
– LA PROMESSA DI CIELO –
Sono nata
sono chiusa, rinchiusa
sono uscita
senza trovarti.
Sono persa,
sono data, rubata
sono in viaggio
senza aspettarti.
E tu dentro la scatola
ancora non sai
ancora non sai
quanto é piccola e quanto scivola
la promessa di cielo
che é sopra di noi.
– ENIVRONS-NOUS –
Vieni con me.
Entriamo nella folla che grida e che suda,
beviamola insieme.
Ascoltiamo tutti i suoi battiti, più ci
sembreranno lontani e più allungheranno il
nostro viaggio.
Con gli occhi famelici azzanniamo tutto
attorno a noi.
E il mondo avrà un gusto migliore,
se farai come me e non penserai al futuro.
Apriamo la gola ed inghiottiamo questo
freddo. Ti porterò con me
laddove il nero non fa paura.
Ubriachiamoci insieme di vita,
carichiamocela dentro fino all'ultima goccia.
Come linfa agrodolce pulserà in noi.
E il mondo avrà un senso migliore,
se farai come me e non penserai al passato.
– ENTRO NELL’ALTRO –
Sono qui,oggi, eppure sono altrove.
Davanti a me c'é la stessa porta di sempre,
é aperta.
Chiede solo una sola cosa, che io
l'attraversi. Senza voltarmi a guardare cosa
mi lascio dietro.
Ogni giorno quella porta mi tenta.
E' la peggiore delle tentazioni.
Sembra aprirmi le sue ante, come per
prendermi in un abbraccio.
Mi chiama ad un prossimo viaggio.
E niente mi lega, e niente mi trattiene.
Eppure ancora non l'attraverso?
Se potessi vivrei sempre
sulla soglia delle cose.
Mai proprio dentro, mai davvero fuori.
Dans un "entre" qui se fait "antre"...
– CONFESSIONE –
Io sono le mie parole.
Ed altro non so essere che questo.
Un insieme di linee
cui chiedo d'essere belle. Spezzate. Eterne.
Non aspettarti che ti svelino ogni mistero,
la parola mia non conosce verità.
Solo segreti.
Non sottovalutarla, se t’accarezza
é forse per stordirti,
come il più delizioso dei veleni.
Non chiederle d'essere precisa, o fredda
come la logica.
Essa dovrà portare dentro tutta malinconia
della luna.
Io sono le mie parole.
Ed altro non so essere che questo.
Un insieme di linee che trovano senso
se vengono trasmesse.
A chi sa ascoltare. A chi sa farsi catturare.
E niente mi interessa di più
che farti mio prigioniero.
Ti prometto di non cambiare mai
e di essere sempre diversa.
E se dico, sono.
E se sono, dico.
E tu che ora leggi, non lo sai, ma stai
guardando la mia stessa luna.
© La Plume de Paris, 2013
www.laplumedeparis.com