ALLE COSE PERDUTE, Piccoli poemi d'amore e libertà, 2013 - La Plume de Paris

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ALLE COSE PERDUTE é il risultato di una terapia. Vivere tra due culture, due lingue, due visioni del mondo, si sa, produce sempre qualche effetto collaterale, specie poi se ci si mette di mezzo l'amore... La Plume de Paris é lo pseudonimo di Elisabetta Giuliani. Nata a Bari nel gennaio del 1984, Elisabetta si forma con strumenti d’altri tempi : il latino, le lingue romanze, la danza e la musica classica, la filosofia e gli studi al conservatorio. L’inevitabile "update" inizia quando arriva a Parigi e s’inserisce per caso nel mondo del marketing pubblicitario: diventa una storyteller. Scrive per lavoro e tanto per passione, adottando lo pseudonimo misterioso de "La Plume de Paris". Una piuma romantica, la sua, che strizzando l’occhio a Baudelaire prende ora la forma della poesia, ora della prosa.

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ALLE COSE PERDUTE

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La Plume de Paris

ALLE COSE PERDUTE

Piccoli poemi d’amore e libertà

© La Plume de Paris, 2013

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© 2013 La Plume de Paris

Web site: www.laplumedeparis.com

Copertina: Skander NOUIRA

Edizioni: FAVIA Editore - Bari

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L'amore che poté morire

non era amore.

B. Auerbach, Auf der Höhe,1865

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Alle cose perdute

e nostre vite sono fitte foreste, mio perduto

amico.

Sono criniere intricate di vecchi leoni che dormono,

dimentichi. E il vento che ne scioglie le trecce

sprigiona, talvolta, quel balsamo selvaggio che ci

ubriaca ancora.

Tra i miei capelli bruni come la terra, lunghi come

antiche cantilene, tra i fili miei, chissà se passerai

mai le dita dolci e stanche. Chissà se sentirai quanto

L

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fremono i pensieri quando gli occhi si poggiano su

di te.

Amami, mio lontano amico, come se già mi amassi

da altre cento vite passate. Come se dell'anima mia

conoscessi ogni crimine, e non te ne curassi. Come

se i miei giorni malati, tu li avessi già trasformati

nelle rose e ginestre del tuo giardino.

Dalla coppa vuota dei miei ricordi bevi tutte le

verità che ci legano alla vita. E di questo dono

dovrò chiederti scusa, perché già so che ne soffrirai.

Tu che non sei verità.

Fammi quella promessa unica che solo la Morte é in

grado d’assicurare agli uomini. Che saprai dove

trovarmi, ovunque io mi nasconda in questo mondo,

tra le cose perdute. E che verrai a prendermi.

Abbiamo fatto fin troppi scarabocchi sui disegni

che ci ha lasciato il destino. Perché le tue sono mani

d’artigiano e sono fatte per costruire cose nuove.

Dove finisce il tuo tratto inizia il mio, che la vita

nostra non é altro che riprese ed interruzioni.

Offre in dono le cose perdute e racconta i sogni

autistici di Dio.

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– BIGLIE PROUSTIANE –

Stanno rotolando

amore mio

queste stagioni,

come biglie indifferenti

dalla tasca

scucita

di tutti i miei ricordi.

Cos’é la vita,

se non quel rumore

sordo

della biglia che va

da un capo all’altro,

nel percorso concavo

scavato tra

erba e asfalto,

e che separa me

da te?

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– TRA CINQUANT’ANNI –

Canterai tutta la notte

le vite nostre

e quell’altra ancora

che non vivemmo mai.

Saranno scalini

i giorni che verrano,

ti condurranno ben oltre

il mezzo del cammin

della tua vita.

Quando la via,

e per entrambi, sarà da un pezzo

già smarrita.

E sul pianerottolo poi

delle nostre cose

vissute forse,

sognate forse,

arriverà, ma solo alla fine,

il tempo di noi.

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– SALMO –

Guardami gli occhi

e quanto piove.

Miserere mei,

che mi son perduto

nei tuoi.

Non é il mondo

grande abbastanza,

né gli oceani

abbastanza profondi

per trovare un posto

e più non sentire.

Tibi soli peccavi

et malum coram te feci.

Miserere mei,

che ti tengo dentro

e non ti lascio andare.

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– SEMPRE –

Resteranno sempre

le voci di quelle sere,

tanto lo so

che non dimenticherai.

E forse non saranno

le mie braccia

a stringerti adesso

ma quelle d’una usurpatrice.

Tanto lo so

che in lei mi cercherai.

Resterà sempre una finestra

da cui sporgersi verso l'infinito,

e l'odore di te

con cui nascondersi

tra la lenzuola della notte.

Resterà sempre il mare

a ricordarti i miei occhi

e le piaghe della vita

a farti inciampare nel pensiero di me.

Resterà sempre un vento caldo

a scompigliarti i capelli

così simile alla nostra follia.

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E tu crederai pure

di poter viverne senza;

tanto lo so

che non durerai

e sempre scaverai

lì dentro

quel posto che dice

di me.

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– PARIGI STASERA –

Parigi stasera

mi ha fatto l’amore,

come un amante

segreto e disperato.

M’ha aspettato

e senza far rumore,

al mio passaggio

ogni rue ha deviato.

Poi d’improvviso,

sotto la pioggia strisciante,

m’ha condotta in un’improvvisata alcova,

m’ha preso il viso

e con fare disarmante

m’ha baciata cento volte e, forse, una nuova.

Così, su due tavoli

sgangherati

bagnati di quel piacer da bistrot,

ci siamo poi

così tanto amati

che dirvi di più, ahimè,

non potrò.

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– LETTERA A G. –

Invasa

da un’immonda sensazione di

finito

di cose finite e risolte

che non sanno che farne

delle voglie mie

d'infinito.

E il cuore

ancora palpitante

e la gola

ancora fremente

che raschia,

come la strada nera

sotto la pioggia.

Mi chiede la chimera

quando?

Quando lo sentirai ancora?

L’infinito.

Anche il vuoto che tu lasci

é finito oramai,

risolto,

nell’avvenire

sepolto

tra le carte che firmai.

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–FREDDO GITANO –

Questo cazzo di freddo gitano

che parte e ritorna,

che si piazza dove gli pare,

oggi s'annida un po' dentro, un po’ fuori

dalle mie ossa.

I gitani non conoscono confini.

Questo freddo del cazzo

non sa nemmeno in che giorno siamo.

Lui si mette proprio lì, senza riflettere,

prima sui peli, poi sui vetri sporchi degli

uffici

poi tra le maniche elettrizzate dei maglioni.

E non so per quale magia nera gitana

dalle cose, poi, il freddo passa

sotto il guscio dell'anima mia.

E da lì non si muove più.

Si deposita e rosica dentro

e mi mangia quel po’ di calore

che resta.

Sto cazzo di freddo gitano

che non si capisce dove sta di casa,

é cannibale di cose umane.

Di cose vaghe e calde,come ciò che di me

mi rimane

in fondo a una giornata come questa.

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Tu che vuoi passare

e che non mi passerai mai,

come una febbre tu sei

che riempie gli occhi.

Oltre le cose non guardo e non esisto.

Perché la febbre mia si annida qui

e non oltre.

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– MONOLOGO INTERIORE –

Le migliori cose, le migliori cose

io le ho fatte

quando nessuno stava a guardare.

A parte te, che mi spiavi

come sempre.

Contavi, col metronomo rotto,

quanti battiti mi separavano dal sogno.

Mi scrutavi senza occhi

Mi ascoltavi senza orecchie.

Eri ovunque

nella prossimità assente.

Scandivi il tempo

per non perderti niente.

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– MERCATO DELLE PULCI –

L’assenza di te

era assenzio nei giovani anni

e in questi senili, oppressi dai malanni,

é come un chiodo arrugginito

piantato nel luogo proibito

che é l’anima carnosa e

bianca ; e il respiro quasi mi manca

e mi più dimeno e più la piaga

si dilata.

Ossida ogni fibra la ruggine

e tutto indurisce e pietrifica dentro.

Il chiodo infetto che tu sei

fa di me

l’oggetto polveroso

sugli scaffali decadenti

dei rigattieri pulciosi e dementi

che vendono al mondo

ombre e sogni,

sogni e ombre ;

in quei vecchi mercati

dalle cose antiche,

le cose che ormai

gettiamo alle ortiche.

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– AMARO E ROSSO –

Viviamo

sempre distillando

i nostri sogni.

Siamo io e te

amari e rossi

come acini d’uva acerba.

Amari e rossi

come i tramonti

che ci scendono dentro.

Amari e rossi

come patti di sangue

stretti con la verità.

Amaro e rosso

é il distillato di vita

ma senza sogni

é come vino che si fa aceto

e che io adesso bevo

nella coppa offerta

amara e rossa

amara e rossa

come la piaga aperta

che tu sei.

E così vivo

sempre distillando

i miei sogni,

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che sono ormai al palato

familiari e necessari

come un liquore pregiato

amaro e rosso

amaro e rosso

cui non so rinunciare

e non posso.

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– MEZZA DI NOTTE –

E nella notte,

e nella notte io cammino dentro le cose.

Sono cose nuove e vecchie

sono cose in fondo al pozzo,

leggere come monetine

e pesanti come desideri.

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– AD APRILE –

E se tu poi non fossi di questo mondo

se non fossi mai nato ad aprile

come tutte le cose buone

che vengono a primavera,

io allora avrei passato la vita a cercarti

tra i sussurri delle foglie

tra i lamenti ondeggianti dei laghi

nei misteri dischiusi dalle coppe dei fiori.

E se tu, poi, non esistessi nemmeno tra

queste cose

allora chiuderei gli occhi e lì ti troverei,

con le mani che tendono verso me

e i sorrisi felici

e le promesse impregnate di vita,

che, come la primavera con la terra,

tu porti in me e custodisci.

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–TOCCA IL FUSO –

Arriva il giorno che tu

Se é vero che la mia parola é profetica,

se é vero che ora dice, ora tace,

ora squarcia la tela dell'avvenire,

se questa parola mia dice il vero

allora noi ci ritroveremo.

Ricordi? Siamo il discorso infinito

e mai cominciato.

Ricordi? Hai già letto le pagine

che dicevano di noi.

La parole cadevano sui fogli bianchi

come gocce di profezia.

Pungevano la carta,

come la pioggia pungeva quel giorno la

nostra pelle.

Quel giorno... Ricordi?

Il discorso infinito e mai cominciato

che noi siamo

ha la stessa consistenza liquida del sogno.

Attraversa le cose,

in un tempo che passa

senza passare mai e, al risveglio,

le lascia bagnate di fresche verità.

Tu sei qui e ora. Sei un'isola.

Io sono altrove e non sono mai.

Sono il mare del possibile

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che e mi stringo attorno a te.

E la parola mia dice il vero,

come ogni menzogna ben costruita.

Ho interrotto il viaggio, ma tu lo

continuerai.

Verrai. Da me.

Allora ci ritroveremo ancora, come é stato

scritto

e scrivo adesso.

Su queste pagine punte dalle mie parole

come dal fuso incantato delle fiabe,

che tutto sospende e addormenta.

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– RITORNI –

Torna da me

in una domenica pomeriggio,

quando le piastrelle della cucina sono pulite

e i panni dormono e s'asciugano al vento.

Torna da me

quando non serve a niente,

quando non ti aspetto,

quando i forni cuociono il pane

e le rondini,

forse le rondini,

fanno nel cielo disegni neri.

Torna vicino a me

quando non porto i vestiti d'inverno,

quando a piedi nudi

trattengo i passi nelle tue stanze

e la sera piccola piccola

arriva a benedirci,

come una carezza.

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– CON-CAVITA’ –

Così talmente sono a caccia

di te e delle tue cose.

Come un giorno caldo

dopo eterni giorni d’inverno,

esci dall’aria intatta.

Il profumo di te

che sei e non esisti

sta con me,

sta dentro i calici dei fiori notturni

sta dentro le arcate delle cattedrali.

Concavo tu sei

come l’abbraccio che c’é e non esiste.

E’ il tempo di marzo che torna

e raccoglie,

che fa belle le sere

le mani mie

le stelle sulle nostre teste piene.

Dai balconi di questo palazzo,

apro e chiudo al mondo

tutti i nostri sogni,

e proprio da qui

tu te ne vai

per quel viaggio impossibile

che c’é e non esiste.

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– (S)COPERTE –

Gli occhi tuoi, poi, sono di passaggio,

non so mai se arrivano o partono.

Su di me, gli occhi tuoi pero’ restano

conoscono i luoghi e i tempi che tornano.

Velami gli occhi e scoprimi il cuore.

Coprimi i ginocchi e svelami l’amore.

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– LA VERITA’ –

Quando poi cammineremo per strada

con gli sguardi pieni e persi

tenendo la mano ad altri,

ad altri diversi da noi;

quando poi supplicheremo la notte

di non scivolar via così presto

perché di giorno spazio non c’é,

non c’é un tempo per noi;

quando poi scopriremo la verità

così dura da spaccarci in due,

i nostri cocci si perderanno altrove,

li’ dove non ci troveremo più.

Quando poi, soli, ci sveglieremo

tutto ciò ci parrà così strano,

che, a dire il vero, l’un per l’altro

non siamo stati niente,

niente, sì, che importi davvero.

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– LA TAVOLA OVALE –

L'odore di te s'incrosta

nelle cavità di quest'anima mia.

Come un profumo di legno

antico e mortale,

vieni fuori dai cassetti

dove abbiamo chiuso

tutti quei sogni.

Un odore di muschio vivente

tu porti e mi confonde.

Sei una tavola ovale

rossa ciliegio

imbandita coi resti

delle pietanze del tempo.

Curva come le mani

che prendono per mano,

lucida come il marmo

che fa da tomba

a tutte le nostre cose.

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– TRA LE TENDE AZZURRE –

Cosa manca a queste stanze

se non il rumore dei passi

che non abbiam fatto?

Cosa resta tra le pieghe delle tende azzurre

se non la polvere di quei baci,

sollevati e persi?

Siamo dentro una sera

che s'imbrunisce ancora.

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– LA LUPA –

Sono la figlia di una lupa ingorda ed

assassina

che ha divorato tutto,

anche la sua stessa luna.

Tra gli artigli, la lupa porta ancora i

brandelli della mia pelle,

e alla luna perduta ulula

senza fine.

In questa notte

senza fine.

Dove cielo non si vede.

Je suis la fille d’une louve meurtrière

qui a tout dévoré autour d’elle,

même sa propre lune.

Dans ses griffes, la louve porte

les lambeaux de ma peau.

A la lune perdue, elle hurle sans fin.

Elle hurle au coeur de la nuit,

qui est elle aussi,

sans fin.

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– BORDELINE –

Se tanto mi dà tanto,

allora é vero

che non mi passerai mai.

Borderline,

dicono.

Borderline.

Con i suoi sforzi disperati

per non cadere,

con le sue idealizzazioni

e svalutazioni,

con i suoi sentimenti cronici,

intensi di vuoto,

e la rabbia ricorrente

come un maelström denso e promiscuo

che tutto inghiotte.

Borderline,

dicono.

Borderline.

E non sanno che

se funziono al limite

é perché é lì

che tu esisti.

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Quest'amore

che ho di te

é una mania che disturba

che non fa dormire le notti

che non separa più reale e immaginario.

Borderline,

dicono.

Borderline.

E' dunque malattia

ciò che mi fa oscillare il cuore?

Che scuote diabolicamente la polvere

dai miei giorni, già vecchi?

Che mi mangia l'anima, dal di dentro,

senza più restituirla?

Bordeline,

dicono.

Bordeline.

E un tempo si diceva Mal d'amore.

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– VERSO LA FINE –

Sta finendo il mio letargo

portandosi dietro questo lungo inverno.

Come l'ultimo ciocco sta finendo.

Legna non serve senza stanze da riscaldare.

Nei piccoli incendi dei miei giorni

ho bruciato l'inutile e l'importantissimo.

Che ciò che solo conta agli occhi

é vedere quant'è alta la fiamma.

Di tutto quel fumo respirato

del mio corpo sopito e congelato,

del torpore dei miei sogni

dell'urgenza di nuovi bisogni,

adesso resta solo la cenere.

La spargerò sulla soglia dei miei prossimi

passi

a benedirne la fortuna e il lieto risveglio.

La fiamma che brucia la porterò dentro.

Se la proteggo non si estinguerà mai.

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– L’ULTIMO REGALO –

Di questi giorni perduti,

di questi passi che abbiam fatto,

di tutti questi volti che abbiam visto

prima di arrivare fino a noi,

non ci resta che la Meraviglia.

Meravigliosi sono i luoghi

dove tu mi porti

dove noi siamo e dimentichiamo

i nostri nomi.

Legami, legami sempre più forte.

Fino a quando farà male.

Fino a quando avremo ancora fiato e cuore.

E sarà per me l'ultimo regalo.

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– PER ORE E ORE –

Il pensiero di me

dissolvilo nelle ore più dure.

Scioglilo nei minuti infami

e nei secondi senza tregua.

Nell'apnea dei tuoi battiti

frantumalo come pane raffermo.

Ascolta la compattezza del tempo.

E sarà come se potessi fermarlo.

E sarà come se io fossi ancora lì. Con te.

Ma nelle ore più dure.

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– LES BOTTES DU NON-LIEU –

Ce soir, je vais porter tes bottes.

Pas pour faire les sept lieues, non.

J'ai juste envie de rester sur tes pas. Et de là,

me voir peut-être arriver.

Qui sait d'où.

Qui sait d'où.

Metterò questa sera i tuoi stivali.

Non per fare le sette leghe, no.

Voglio solo star ferma sui tuoi passi. E da lì,

forse, vedermi arrivare.

Chissà da dove.

Chissà da dove.

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– QUARTO DI LUNA –

Mai smetterei di guardarti, mai.

E di affondare gli occhi su di te,

quasi a volerti proteggere da non so cosa,

con la mia piccola gabbia di sguardi e

sottintesi.

Ma non sono gli occhi a guardarti,

cosa bella e crudele,

é l'anima.

Come un quarto di luna antica,

termini il tuo viaggio su di me

e mi lasci un sorriso decrescente.

Nella notte scura.

Oscura la vita, oscura.

Come la nostra licantropica nostalgia.

Che se solo potessimo azzannarci

di mille morsi ardenti,

lo faremmo ancora

e senza saziarci mai.

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– LA PIAZZA DEL CAMPANILE –

Come laghi profondi

i sorrisi tuoi bevono me

e la sera,

mentre da lontano

il vecchio mare già incatena

i nostri passi e i pensieri

si fanno pallidi e liquidi,

sbiadiscono la luna

nascosta dai cipressi.

Sentieri d’edera e pietra

ci conducono nella piazza notturna,

dove i quadranti del Gran Campanile

scrutano i passanti

con le loro quattro facce

puntate sulle anime nostre,

come punti cardinali.

E c'è un silenzio

dolce e pieno

che mi par musica.

E c'è una pace

che non so più

se e' verità

o sogno mio.

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– SALPIAMO –

Di moti duri e infiniti

avanza la barca delle speranze mie

verso la vita.

Non c’é porto

dove passare la notte

non c’é marinaio

che ascolti con me le sirene.

Galleggia sola

la barca delle speranze mie

e resiste

e risponde senza cura

agli abissi che s’aprono

e che sotto di sé

inghiottono ingordi

le cose e il tempo delle cose.

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– GRANDE E PICCOLO –

Se quello che siamo ed eravamo

si fosse davvero spezzato a metà,

come sembra,

a te sarebbe comunque toccata la metà più

grande,

che é di per sé un controsenso e un

paradosso.

Come un controsenso e un paradosso

é quello che siamo e che eravamo.

Le nostre non sono due metà uguali,

ma restano due metà.

L’una ha fame dell’altra. Sempre.

E delle due, a te lascio quella più grande

perché, da che esisti, hai tenuto per te le

cose più grandi.

I miei occhi,

i sogni del mondo

I miei occhi ingranditi dai sogni del mondo.

La metà più piccola la tengo per me.

Da sempre vengono a me le piccole cose.

I granelli di sabbia,

le foto sbiadite,

I tappi di bottiglie stappate

nei giorni felici.

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E di quelli infelici conservo poi

i sospiri

i gesti dispersi

le promesse ridotte

in più piccoli frantumi.

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– LA PROMESSA DI CIELO –

Sono nata

sono chiusa, rinchiusa

sono uscita

senza trovarti.

Sono persa,

sono data, rubata

sono in viaggio

senza aspettarti.

E tu dentro la scatola

ancora non sai

ancora non sai

quanto é piccola e quanto scivola

la promessa di cielo

che é sopra di noi.

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– ENIVRONS-NOUS –

Vieni con me.

Entriamo nella folla che grida e che suda,

beviamola insieme.

Ascoltiamo tutti i suoi battiti, più ci

sembreranno lontani e più allungheranno il

nostro viaggio.

Con gli occhi famelici azzanniamo tutto

attorno a noi.

E il mondo avrà un gusto migliore,

se farai come me e non penserai al futuro.

Apriamo la gola ed inghiottiamo questo

freddo. Ti porterò con me

laddove il nero non fa paura.

Ubriachiamoci insieme di vita,

carichiamocela dentro fino all'ultima goccia.

Come linfa agrodolce pulserà in noi.

E il mondo avrà un senso migliore,

se farai come me e non penserai al passato.

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– ENTRO NELL’ALTRO –

Sono qui,oggi, eppure sono altrove.

Davanti a me c'é la stessa porta di sempre,

é aperta.

Chiede solo una sola cosa, che io

l'attraversi. Senza voltarmi a guardare cosa

mi lascio dietro.

Ogni giorno quella porta mi tenta.

E' la peggiore delle tentazioni.

Sembra aprirmi le sue ante, come per

prendermi in un abbraccio.

Mi chiama ad un prossimo viaggio.

E niente mi lega, e niente mi trattiene.

Eppure ancora non l'attraverso?

Se potessi vivrei sempre

sulla soglia delle cose.

Mai proprio dentro, mai davvero fuori.

Dans un "entre" qui se fait "antre"...

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– CONFESSIONE –

Io sono le mie parole.

Ed altro non so essere che questo.

Un insieme di linee

cui chiedo d'essere belle. Spezzate. Eterne.

Non aspettarti che ti svelino ogni mistero,

la parola mia non conosce verità.

Solo segreti.

Non sottovalutarla, se t’accarezza

é forse per stordirti,

come il più delizioso dei veleni.

Non chiederle d'essere precisa, o fredda

come la logica.

Essa dovrà portare dentro tutta malinconia

della luna.

Io sono le mie parole.

Ed altro non so essere che questo.

Un insieme di linee che trovano senso

se vengono trasmesse.

A chi sa ascoltare. A chi sa farsi catturare.

E niente mi interessa di più

che farti mio prigioniero.

Ti prometto di non cambiare mai

e di essere sempre diversa.

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E se dico, sono.

E se sono, dico.

E tu che ora leggi, non lo sai, ma stai

guardando la mia stessa luna.

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