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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 28 LUGLIO 2012 ANNO 15 N. 30 IL FUTU R O È DONNA SO R P R ESA , GIACINTO FACCHETTI TEOFILO STEVENSON GLI ANTENATI DEI «GUITAR HEROES» MALCOLM X FESTIVAL DI LOCARNO MARIO SCHIFANO ANTONIONI STREAMAGAZINE DAESOO KIM UNO SGUARDO AL PASSATO SULLE ONDE SELVAGGE DEL NUOVO MONDO E IL PRIMO IMPATTO È IMPREVEDIBILE

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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 28 LUGLIO 2012 ANNO 15 N. 30

IL FUTUROÈ DONNA

SORPRESA,

GIACINTO FACCHETTI TEOFILO STEVENSON

GLI ANTENATI DEI «GUITAR HEROES» MALCOLM X

FESTIVAL DI LOCARNO MARIO SCHIFANOANTONIONI STREAMAGAZINE DAESOO KIM

UNO SGUARDOAL PASSATO SULLEONDE SELVAGGEDEL NUOVO MONDOE IL PRIMO IMPATTOÈ IMPREVEDIBILE

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(2) ALIAS28 LUGLIO 2012

Anniversariodella rivoltadi Parma

AFORISMIPOLITICI

BARRICATE

STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO

La lotta antifascista di Parma dell’agosto del ’22 raccontatadal militante per «lo Stato operaio» rivista del Partito comunistad’Italia fondato da Togliatti, pubblicato integralmente solo nel ’34,in attesa dell’evoluzione politica nella direzione dei «Fronti popolari»

di GUIDO PICELLI*

●●●(...) Parma fa circa settantamilaabitanti ed è attraversata dal torrenteomonimo che divide la città in dueparti: l'una di maggiore estensionedetta «Parma nuova», ed abitataparticolarmente dalla borghesia; l'altra«Parma vecchia», o anche«Oltretorrente» con maggioranzaoperaia.

Il proletariato parmense ha unatradizione di lotte barricadiere cherisale alla rivolta del 1898 e primaancora. Lo sciopero agricolo del 1908,durato per dei mesi in tutta laprovincia, fu una delle agitazioni piùimportanti dei contadini in Italia.(...)

Il fascismo locale non è mairiuscito, né con la propaganda né conl'azione a svilupparsi e a dominarecome nelle altre province. Gli «Arditidel Popolo», sorti anche a Parma sindal 1921 per iniziativa di un gruppo dioperai di tendenze diverse, contro lavolontà dei capi degli organismipolitici e sindacali, tennero testa perpiù di un anno, in città e nellacampagna, alle camicie nere con unacontinua ed incessante attivitàdifensiva ed offensiva. Qui ilmovimento si differenziò un poco daquello delle altre province per la suamaggiore disciplina e perl'applicazione tecnica nella tatticadelle operazioni armate di strada.(...)

L'Alleanza del Lavoro, costituitasisotto la pressione delle masse, aveva il31 luglio (1922 n.d.r.) proclamato losciopero generale nazionale; ma ilComitato centrale dell'Alleanza stessa,influenzato dai capi socialdemocratici,che vi rappresentavano i massimiorganismi, all'intimazione diMussolini e alle minacce dirappresaglie, lo fecero subito cessare,ordinando la ripresa del lavoro.

La situazione precipitava. Gli «Arditidel Popolo», senza il partito cheindicasse la linea politica e gliobbiettivi rivoluzionari daraggiungere, avevano esaurito loslancio offensivo nella pura e semplicecontro azione squadrista. Nell'Emilia,nel Veneto, nella Liguria, nellaToscana, ove maggiore fu la resistenzadel proletariato, nelle file operaie sierano prodotti dei vuoti per lenumerose perdite subite, rotti i legamifra le azioni difensive, località battuteripetutamente dalle bande armatenemiche; le masse, nuovamentecostrette alla ritirata. La vittoria delfascismo, non era però ancoracompleta. C'era ancora una posizionenell'Emilia che resiste: Parma.

Nella notte dall'uno al due agosto,giunsero i primi reparti di camicienere con autocarri provenienti dalleprovince emiliane, dal Veneto, dallaToscana e dalle Marche, equipaggiatied armati di moschetti nuovissimi,rivoltelle, bombe e pugnali, e provvistidi una gran quantità di munizioni;squadristi scelti, provati ed espertinella tattica della spedizionepunitiva.(...)

Alla testa delle colonne erano iconsoli: Moschini, Farinacci, Raineri,Arrivabene, Barbiellini, Ponzi ed altriminori. Comandante in capo dellaspedizione, che in breve raggiunse lacifra di ventimila uomini, Italo Balbo.II questore di Parma, commendatorSignorile, dopo aver dichiarato aimembri del Comitato localedell'Alleanza del Lavoro, che nullaavrebbe potuto fare per impedire ilconcentramento, fece ritirare dalledue caserme situate nell'Oltretorrentei carabinieri e le guardie regie perlasciare alle camicie nere maggiorelibertà d'azione.

Il Comando degli «Arditi delPopolo» appena ebbe notizia

dell'arrivo del fascisti, convocòd'urgenza capi squadra e capi gruppoe dette loro disposizioni per lacostruzione immediata disbarramenti, trincee, reticolati, conl'impiego di tutto il materialedisponibile. All'alba, all'ordine diprendere le armi e di insorgere, lapopolazione operaia scese per lestrade, impetuosa come le acque di unfiume che straripi, con picconi, badili,spranghe ed ogni sorta di arnesi, perdar mano agli «Arditi del Popolo» adivellere pietre, selciato, rotaie deltramway, scavare fossati, erigerebarricate con carri, banchi, travi, lastredi ferro e tutto quanto era a portata dimano. Uomini, donne, vecchi, giovanidi tutti i partiti e senza partito furonolà, compatti, fusi in una sola volontà diferro: resistere e combattere.

In poche ore, i rioni popolari della

città presentarono l'aspetto di uncampo trincerato. La zona occupatadagli insorti fu divisa in quattro settori:Nino Bixio e Massimo D'Azeglionell'Oltretorrente; Naviglio e AurelioSaffi in Parma Nuova. Ad ogni settorecorrispose un numero di squadre inproporzione alla sua estensione:ventidue nei settori dell'Oltretorrente,sei nel rione Naviglio, quattro nelrione Aurelio Saffi. Ogni squadra eracomposta di otto-dieci uomini, el'armamento costituito da fucilimodello 1891, moschetti, pistoled'ordinanza, rivoltelle automatiche,bombe S.I.P.E. Soltanto una metàdegli uomini poterono essere armatidi fucile o di moschetto. Tutte leimboccature delle piazze, delle strade,dei vicoli, vennero sbarrate dacostruzioni difensive. Nei puntiritenuti tatticamente più importanti itrinceramenti furono rafforzati da variordini di reticolato e il sottosuolovenne minato. I campanili, trasformatiin osservatori numerati.(...) Verso lenove i fascisti aprirono il fuoco. Perl'intera giornata si susseguironoattacchi e contrattacchi lungo la lineadi resistenza ma che non produsseronotevoli modificazioni alla situazione.Nella notte qualche fucilata e piccoleazioni da parte di pattuglie nemiche,segnalate dal settore Naviglio con razziluminosi.

Foto grande: barricate di Parma 1922, difesa di unodei borghi di OltretorrenteFoto a destra: via Bixioin alto una foto di Guido Picelli negli anni ’30

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GERENZA

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Ana Cristina de Oliveirain Odete (Two Drifters),2005 di João PedroRodrigues

MOVIMENTO ■ UN EPISODIO CHE ANTICIPA LA RESISTENZA

Guido Picellil’antifascistache fece tremareMussolinidi GIANCARLO BOCCHI

●●●Il 1922 è l’anno della guerra civile strisciante, di unacatena quotidiana, ininterrotta, di scontri, violenze, morti.E’ un anno chiave per la storia d’Italia. I fascisti ormaidilagavano «alla velocità di una epidemia» e Mussoliniteorizzava che «la forza e la violenza sono profondamentemorali». Il partito socialista, che aveva annunciato «larivoluzione imminente» al popolo stanco e impoveritodalla guerra, aveva perso il suo impeto, la sua forza inizialeera svanita a causa delle spaccature interne, delle divisioniin gruppi e sottogruppi. Mussolini proclamava il suoattacco finale alla conquista del potere: «il fascismo è natodalla guerra e deve finire con la guerra». Nello stessomomento il neonato Partito comunista di Amedeo Bordigateorizzava «il valore dell’isolamento» dalle altre forzeantifasciste e i socialisti discutevano all’infinito «sull’usodella forza» per opporsi alla «minoranza» fascista.

È in questo contesto che ai primi d’agosto del 1922, alculmine della loro marcia verso il potere, i fascisti subironouna grande sconfitta. Una debacle che, se fosse stata presaad esempio dai partiti antifascisti, poteva toglierli dimezzo, farli sparire per sempre. Durante i 5 giorni dellaBattaglia di Parma (1-6 agosto) le forze antifasciste,coalizzate per la prima volta in un «fronte unico», guidatedagli Arditi del popolo di Picelli, impartirono ai fascisti unapesante lezione. La cronaca di quei giorni memorabili, chefurono il più importante episodio dell’opposizione armataal fascismo prima della Resistenza, Picelli la scrisse neglianni ’30. («La rivolta di Parma», pubblicato qui a fianco). Inquell’occasione elencò solo brevemente i successivitentativi messi in opera per fermare il fascismo e farinsorgere le forze della sinistra. Picelli si era formato neiborghi dell'Oltretorrente, abitati da un popolo generoso,cospiratore, sempre pronto a ribellarsi, a insorgere contro itiranni, le prepotenze e le ingiustizie. Subito dopo laGrande Guerra riuscì ad ottenere un grande seguitopopolare. Per un periodo lottò per l’unità del movimentosindacale e contemporaneamente fondò, nel 1920, le«Guardie rosse». Nel 1921 fu eletto al Parlamento nelle filadel Partito socialista, l’elezione, un vero e proprioplebiscito, gli permise di uscire di galera. Costituì gli Arditidel popolo, anche se non amò mai l'iconografiadell'arditismo nazionale: teschi, ossa incrociate e nastrinial valore. I suoi Arditi dovevano soltanto giurare che sisarebbero battuti «contro la violenza dell'attuale società

basata sui principi della più umilianteschiavitù». Abilissimo neicamuffamenti, conoscitore di tutte levie segrete della sua città, alcune cheutilizzavano la rete sotterranea, altreaeree, di tetto in tetto, Picelli durantela Battaglia di Parma, sfidò i fascistiattraversando tutta la città, portandoordini e infondendo coraggio aipopolani che difendevano i varisettori. Il suo piano di difesa fu uncapolavoro di «guerriglia urbana», di«guerra di strada», come la chiamavalui. Aveva studiato e messo in operauna «trappola mortale» per ilfascismo. Italo Balbo, preoccupato«per una strage sicura» dei suoi

uomini, capì di essere vicino alla «caporetto» delmovimento. Scrisse nel suo diario: «Se Picelli dovessevincere, il suo esempio potrebbe essere ripetuto in moltecittà italiane». Al quinto giorno di assedio, mentre lecolonne fasciste abbandonavano demoralizzate e sconfitteParma, portandosi via decine di morti e di feriti, Picellipensò di approfittare della vittoria per dare un colpodefinitivo al nemico. Inviò porta-ordini in varie città delNord per comunicare la vittoria di Parma ai nucleiantifascisti. Il governo centrale, preoccupato per lapossibilità concreta di un’insurrezione generale, ordinò lostato di assedio in molte località italiane. Nelle settimanesuccessive, Picelli proseguì nella sua azione, per fermarel’ormai imminente colpo di stato fascista. Lanciò pressantiappelli all’insurrezione, incontrò segretamente gliesponenti antifascisti di varie città per organizzare«L’esercito rosso».

L’anno prima Lenin aveva pesantemente criticato laposizione politica di Bordiga, che chiudeva la porta infaccia al movimento degli Arditi del popolo. Anche dopo lavittoria di Parma, malgrado le pressioni di Bucharin,favorevole all’azione degli Arditi, il segretario del PCd’Irimase fermo nella sua posizione «isolazionista» e diopposizione al «Fronte Unico». Anche i socialistiignorarono gli appelli di Picelli, continuando a farsi a pezzinelle faide interne e proseguendo nella sterile e ciecastrategia che cercava una pace impossibile con Mussolini.L’azione degli Arditi del Popolo, limitata o osteggiata daipartiti della sinistra, fu quella che Paolo Spriano definì: «Lagrande occasione mancata dall'antifascismo militante,prima della marcia su Roma». Per sminuire la vittoria diPicelli a Parma, gli apparati dello Stato e i fascisti fecerocircolare la voce che la città non era stata «messa a ferro efuoco», come avrebbe voluto Mussolini, perché «protetta»da Gabriele D'Annunzio e dalla massoneria, in virtù deivincoli «fiumani» che legavano il poeta al sindacalistarivoluzionario Alceste de Ambris o addirittura perl'acquiescenza delle locali forze di governo verso gli Arditi.In realtà i 39 morti e i 150 feriti tra i fascisti ed i 10 milacolpi sparati in 5 giorni (secondo i calcoli della localeScuola militare d'applicazione) stavano a dimostrare ilcontrario. Poco prima della marcia su Roma, Picelli tentòripetutamente di ripetere sul piano nazionale l’esperienzadi Parma. Non si arrese neppure quando sfumò

Al mattino seguente, Balbo, allatesta di un reparto di camicie nere,venendo dal piazzale della Pilotta,attraversò il ponte Giuseppe Verdi pertentare un'irruzione nelle linee degli«Arditi del Popolo»; ma appena giunsein vista dei primi sbarramenti, resosiconto della serietà del pericolo cuisarebbe andato incontro se avesseancora avanzato di un passo, rinunciòall'impresa e si ritirò.(...)

Contemporaneamente in ParmaNuova, vennero danneggiati studi eduffici di professionisti, noti comesocialisti, da parte di gruppi di camicienere. Ma gli attacchi più accaniti sisvolsero attorno al Naviglio, che per lasue particolare posizione topografica,presentava maggiori difficoltà diresistenza. Dopo parecchie ore dicombattimento, il settore fu quasiaccerchiato. Da via Venti Settembre lecamicie nere avanzarono in colonnaserrata, risolute al definitivo assalto. Inquel momento decisivo non rimaseche un solo ed unico mezzo: uscire econtrattaccare. Infatti gli «Arditi delPopolo» , balzarono dagliappostamenti e al canto di Bandierarossa si lanciarono a gran corsa controil nemico. Furono pochi contro molti;uno di essi, l'operaio MussiniGiuseppe, cadde colpito mortalmente.Ma gli «Arditi del Popolo», non siarrestarono. Più alto si levò il loro

canto e più rapido si fece il tiro deifucili che già bruciavano nelle loromani. Di fronte a quel pugno di eroi ifascisti presi da sgomento, edimmaginando che dietro le barricate,nelle trincee e nelle case, sinascondessero chissà quante forze equali armi, indietreggiarono da tutti ipunti fino oltre Barriera Garibaldi.

Al terzo giorno, la situazione delNaviglio si aggravò nuovamente. Ifascisti bloccarono i passaggiobbligatori che conducevanoall'Oltretorrente. Il collegamentovenne perduto. I colombi viaggiatoriimpiegati anch'essi come mezzo dicomunicazione, furono lanciati tutti.Finalmente, una donna, un'operaia,con molte difficoltà riuscì a portarsinella sede del Comando degli «Arditidel Popolo», in Parma Vecchia econsegnare un biglietto che tenevanascosto fra i capelli, così concepito:

«Altri due morti: Nino Gazzola eAvanzini Ugo. Il portaordini ferito.Munizioni quasi esaurite; mancano iviveri. Si chiede l'invio immediato dipallottole da fucile e da rivoltella,diversamente saremo costretti diripiegare, nella notte,sull'Oltretorrente. Si attendonodisposizioni. - Il comandante delsettore».

La donna ritornò con quanticaricatori poté portare celati nellevesti e recò la risposta seguente:

«L'ordine è resistere e morire sulposto. Voi ne siete capaci. Troveremoil modo di farvi pervenire munizionie viveri al più presto possibile. - IlComando della difesa operaia».

Nel frattempo l'autorità militare, acui il Prefetto cedette i poteri, si misein comunicazione coi membri delComitato locale dell'Alleanza delLavoro, capi socialisti, sindacalistiinterventisti e confederali, i quali nonavendo potuto impedireapertamente alle masse di insorgere,per tema di essere smascherati,vedendosi, in quei giorni, esautoratie messi in disparte, accettarono ditrattare il compromessoimpegnandosi di far opera dipersuasione fra gli operai per indurli acessare la resistenza. (...)

Il giorno cinque, a conclusione ditutta questa manovra, l'autoritàmilitare, credendo che anche in quelmomento i capi socialisti e confederalirappresentassero la volontà dellemasse o comunque potessero influiresu di loro, inviò un battaglione disoldati nell'Oltretorrente per disfare letrincee e le barricate e facendo sapereche i fascisti si sarebbero allontanatidalla città, a patto che la popolazionedeponesse le armi. (...)

«Le trincee non si toccano, essecostituiscono la legittima difesa dellavita degli operai e dei loro quartieri,contro ventimila camicie nere armate,venute da tutte le parti». Questa fu larisposta.(...)

Nelle prime ore del giorno sei,notizie certe informarono che lo statomaggiore fascista aveva deciso disferrare un'offensiva in forze control'Oltretorrente per le ore trepomeridiane. (...)Dopo aver riuniti i capi squadra perdar loro gli ordini necessari, ilComando degli «Arditi del Popolo»fece una rapida ispezione per tutto ilsettore. Il morale della massa sidimostrò elevatissimo (...) Unelemento molto importante delsuccesso, nella lotta armata è lacertezza di vincere. È interessanteosservare come questa certezza fossein ognuno assoluta; nessuno ebbe ilpiù piccolo dubbio. Nelle case siattese alla fabbricazione di ordigni«esplodenti», di pugnali fatti conlime, pezzi di ferro, coltelli, e allapreparazione di acidi. Dalle finestredi una delle casupole di BorgoMinelli, una ragazza di diciassetteanni, tenendo levata in alto unascure ed agitandola, gridò aicompagni sulla via: «Se vengono, iosono pronta!» Alle donne vennerodistribuiti recipienti pieni di petrolioe di benzina, poiché in base al pianodifensivo, nel caso in cui i fascistifossero riusciti ad entrare inOltretorrente, il combattimento sisarebbe svolto strada per strada,vicolo per vicolo, casa per casa, senzarisparmio di sangue, con lancio diliquidi infiammabili, contro lecamicie nere e sino alla distruzionecompleta delle posizioni. (...)

Alle due circa, dalla destra deltorrente, furono sparati i primi colpicontro il settore Nino Bixio e presid'infilata Borgo delle Carra e BorgoSalici. Ulisse Corazza, artigiano,consigliere comunale del Partitopopolare (il Partito dei cattolici) chequalche ora prima si era presentato

col proprio moschetto a uncaposquadra, per chiedere dipartecipare al combattimento afianco degli Arditi del Popolo, fu feritogravemente alla testa da pallottola difucile e morì pochi minuti dopo. Sitrattò di un'azione dimostrativatendente a trarre in inganno idifensori sugli obbiettivi reali delpiano d'attacco, mentre alla sinistradell'Oltretorrente reparti di camicienere, penetrati nei giardini pubblici,avanzarono in direzione del muro dicinta. Non fu una sorpresa; prevista lamanovra, gli «Arditi del Popolo», daiposti di guardia, iniziaronoimmediatamente il fuoco di fucileriacon tiro regolato, in base agli ordiniimpartiti, in modo da causareall'avversario le maggiori perditepossibili con il minor consumo dimunizioni. (...)

A nulla valsero gli incitamenti deicomandanti. Di fronte allaprecisione dei fucilieri proletari, non

fu più possibile avanzare.Lentamente, al riparo delle piante, lecamicie nere ripiegarono sulleposizioni di prima. (...)

Alla mattina del sette, dagliosservatori si notarono movimenticonfusi e disordinati di colonnespostantesi da un punto all'altrodella periferia della città. (...)

I fascisti non più inquadrati e allarinfusa, si riversarono in tutte ledirezioni; coi treni in partenza, conautocarri, biciclette, a piedi,frettolosamente, senza comando.Non fu una ritirata, ma addiritturalo sbandamento di una massa diuomini che prese d'assalto tutti imezzi di trasporto che incontrò, chesi gettò per le strade e fuori dellestrade, per la campagna, come setemesse di essere inseguita.

Al di qua e al di là del torrente,tutta la popolazione operaiaall'annuncio della partenza deifascisti, si gettò per le vie della città

con armi e senza armi, inun'indescrivibile esplosione dientusiasmo, e improvvisandoimponenti cortei; mentre dallefinestre delle case di Parma Vecchia,vennero esposti drappi rossi. Lanotizia della vittoria operaia sidiffuse rapidamente anche inprovincia. Molti proprietari di terre,presi da spavento perchè sentironodire che sarebbero arrivati gli «Arditidel Popolo», abbandonarono leabitazioni, fuggendo verso ilCremonese. (...)

Le schiere di Balbo, ormai dispersevennero perdute di vista. Laspedizione punitiva in grande stilecontro il proletariato parmense sitrasformò in un disastro. Le camicienere ebbero trentanove morti ecentocinquanta feriti. Dalla parte deidifensori vi furono cinque morti equalche ferito. (...)

* Da Lo Stato Operaio, anno VIII,n. 10, ottobre 1934, Parigi.

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FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO

IL CARTELLONE

«A Ultima Vez Que Vi Macau»di João Pedro Rodrigues (nella foto sotto)

e João Rui Guerra da Mata. In alto da«Winter go away» Pagina accanto: Harry

Belafonte con Marlon Brando

●●●Il Festival del Film di Locarno65a edizione si tiene dal 1 all’11agosto con la direzione artistica diOlivier Pière. Il programma chespazia dai classici alle nuovetendenze suddiviso in una dozzina disezioni, dai film previsti per laPiazza Grande, ai concorsiinternazionali, i premi ai maestri delcinema, gli omaggi e le copierestaurate della prestigiosa sezione«Histoire(s) du cinéma», laretrospettiva Otto Preminger, lasezione «Open Doors» dedicataall’Africa francofona subsaharianacon la presenza annunciata delmaestro Souleyman Cissé, l’autoredi Baara (’78) e Yeelen (’87),presidente dei registi e deiproduttori dell’Africa occidentale,Idrissa Ouédraogo, Gaston Kaboré,Cheick Oumar Sissoko eAbderramane Sissako autore diBamako. Nel programma si potrannovedere film dal Senegal, dal BurkinaFaso, Madagascar, Camerun (diJean-Pierre Bekolo e Jean-MarieTeno). la «Carte blanche» èdedicata all’emergentecinematografia messicana. Unasezione indipendente è infinededicata alla produzione svizzera. Ilprefestival, il 31 luglio, ha inprogramma Rear Window (’54) diAlfred Hitchcock, 1848 di Dino Risi(’48) e La Risaia di RaffaelloMatarazzo (’56). Leos Caraxriceverà il Pardo d’onore Swisscom,il Pardo alla carriera saràconsegnato a Johnnie To conl’anteprima di Motorway (Che sau)

L’Oriente tranoir e ricordid’infanzia

«La fascinazioneper l’esotismoattraversa tuttala nostra cultura.Volevamo uniredue diverseesperienze di unluogo, entramberomanzesche»

João Pedro Rodrigues racconta «A Ultima VezQue Vi Macau» realizzato insieme a João RuiGuerra da Mata, che sarà nel concorso locarneseUn viaggio nell’immaginario e nel cinema

di CRISTINA PICCINO

●●●Un’amica lontana, un viaggiosulle tracce dei ricordi d’infanzia.Macao, l’ultima colonia portoghese inOriente, sinonimo di un «esotismo»romantico e pericoloso, popolato difemmes fatales, criminali, e misteri. AUltima Vez Que Vi Macau, è il nuovofilm di Joao Pedro Rodrigues, cineastaportoghese, tra i nomi di riferimentodel cinema contemporaneo. Il suoprimo lungometraggio, O Fantasma,ha lasciato un segno indelebile negliimmaginari, sconvolgendoradicalmente l’iconografia del generee dell’erotismo. Odete (2005),continua il viaggio nei territoriineffabili e sfuggenti dell’amore, a cuiogni chiusura di «genere»(cinematografico) è inadeguata perrenderne la potenza. Come inveceaccade nei film di Joao Pedro,meraviglioso incontro dimelodramma, feuilletton, mistery,ghost story ... A Ultima Vez Que ViMacau, che sarà in concorso alprossimo festival di Locarno (1-11agosto), è firmato da Joao Pedroinsieme al suo compagno, Joao RuiGuerra de Mata, è il loro primo filminsieme. Ne parliamo con Joao PedroRodrigues, al telefono a Lisbona.

●Perché Macao? Come ci sietearrivati?Joao Rui Guerra abitava lì dabambino, aveva voglia di tornare inun luogo che ormai apparteneva allememorie di infanzia. Io non ci eromai stato, conoscevo Macaoattraverso il cinema hollywoodiano odell’estremo oriente. In qualchemodo la percezione di entrambi eraromanzesca. All’inizio avevamopensato di girare un documentario,avevamo un piccolo budget, poiabbiamo trovato una coproduzionecon Epicentre Films, la società chedistribuisce i miei film in Francia, eche ora ha iniziato a produrre, e haaffiancato Black Maria, la casa diproduzione con cui lavoro adesso. Ilset è rimasto comunque moltoridotto, eravamo quasi sempre inquattro, io, João Rui Guerra, il fonico

(Nuno Carvalho, ndr), l’assistente allaregia, e talvolta un interprete dalcinese. Siamo stati a Macao sei mesi,ma non di seguito, a tre riprese, eman mano che andavamo avantil’elemento narrativo ha prevalso suldocumentario.

●In che senso?Il riferimento di partenza è statoMacao (1952), il film di Josef vonSterneberg con Robert Mitchum eJane Russell, che è girato interamentenegli studios della Rko, a Hollywood.Tranne qualche immagine, ripresarealmente a Macao, per dare unmaggiore effetto di «verità». In AUltima Vez Que Vi Macao nelle primeimmagini vediamo subito la casadove viveva da ragazzino João Rui

Guerra, che è anche un modo perdichiarare il legame fra il nostro film equello di von Sternberg.

●Il film racconta una ricerca ...L’intreccio è abbastanza complicato,ci siamo ispirati al noir e alfilm-mémoire, lo spunto della mail diuna persona che Rui non vedeva damolto tempo, si unisce al ricordointimo di quel mondo lasciato anniprima ... Ci sono molte voci nel film,la mia, quella di Rui Guerra, quelledelle persone che compaiono di voltain volta. Abbiamo lavorato sunun’idea del suono che non semprecorrisponde all’immagine, e che inquesto scarto diviene un elementonarrativo. Molto di quanto accade nelfilm è fuori dallo schermo. La

fascinazione per l’Oriente attraversatutto il cinema occidentale, dai tempidel muto, e si accompagna a unimmaginario più o meno esotico. Maquale è lo spazio della realtà ? Suquesto confine abbiamo tracciato ilmovimento del nostro film.

●Il vostro sguardo è cambiato neimesi?Ogni volta era come riscoprire dellecose che non si erano notate prima.Guardavo le immagini girate nelviaggio precedente e mi sembravanodiverse, anche perché erano piùsceneggiate rispetto alle prime,seguivano la storia che stavaprendendo forma. Abbiamo lavoratomolto al montaggio, avevamo circacentocinquanta ore di materiale, e io

non volevo fare un film lungo, avevoin mente piuttosto i vecchi B-movie,che come il nostro film si facevanocon pochi mezzi. Il montaggio per AUltima Vez Que Vi Macao è statofondamentale, il film si può dire chesia stato costruito quasi interamentelì. Per me è la prima volta chesuccede, tutti i miei film infatti, sonosempre molto scritti prima.

●Come hai lavorato con gli attori?Quale è il loro intervento?Ci sono frammenti di attori, lo so chepuò sembrare strano ma è così. Avolte non li vediamo, altre vediamodei particolari della loro figura, piedi,mani, un dettaglio del corpo...

●Cosa cambia lavorare in coppia?Questo film è nato in coppia, e primadel cortometraggio che abbiamopresentato lo scorso anno a Locarno,Alvorada Vermelha, che deriva daquesto progetto. Voglio continuare afare film da solo come ho semprefatto, ma appunto A Ultima Vez QueVi Macao è un progetto a due, parla

della nostra relazione e del rapportoche abbiamo con il luogo cheracconta. Rui viveva a Macao neglianni 60-70, suo padre che era unmilitare, dirigeva le officine navaliportoghesi. Quando in Portogallo c’èstata la Rivoluzione del 25 aprilecontro il regime di Salazar, il padre diRui, insieme a altri, ha cercato di fararrivare il 25 aprile anche a Macao.Ma erano lontani, e tutto accadevapiù lentamente, così lo hannocacciato e sono tornati in Portogallo.Macao è stata l’ultima colonia adichiarare l’indipendenza dalPortogallo, nel 1999, anche se èsempre stata controllata dai cinesi.Oggi è una regione amministrativa astatuto speciale, in cui il portoghese èancora una lingua ufficiale. Macaorappresenta anche la prima impresaoccidentale in estremo oriente.

●Tutto questo c’è nel film?Un po’ anche se il nostro non è unfilm storico, ma si avverte comunquequesta presenza portoghese, e unavisione critica su ciò che ha lasciato.

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OTTO PREMINGER●●●In collaborazione con la cineteca svizzera e la cineteca francese, la personale diquest’anno a Locarno è dedicata a Otto Preminger, a cura di Carlo Chatrian checondurrà la tavola rotonda con i critici il 9 agosto ed ha curato anche il volume di saggidedicato al regista edito da Capricci. Ad arricchire la visione dei 36 film in programma cisarà la presenza di Harry Belafonte (a cui è dedicato anche il documentario di cuiparliamo in pagina) interprete di Carmen Jones che apre la retrospettiva. Il regista viennesefiglio del procuratore generale dell’impero austro ungarico si fece valere a Hollywood trafilm di grande successo (come Laura del ’44) e film di impegno sociale e di denuncia chesfidavano apertamente razzismo e codice Hays (come Carmen Jones e Porgy and Bess)

ILUMINACJA●●●Un film di Krzysztof Zanussi da riscoprire nella sezione Histoire(s) du cinéma) cheottenne il Pardio d’oro e mette nella giusta prospettiva un regista solo in Italia accostatosemplicisticamente al cattolicesimo. Regista dell’inquietudine morale, problematico, ognisuo film è sorprendente per l’abilità di messa in scena del non visibile. Iluminacja (’72)costituisce il bilancio della prima parte della sua produzione che fu notata e raccolsepremi all’est e all’ovest. Vi sono precisi riferimenti, connessioni tra biografia e mestieredi regista, appassionata ricerca della problematica scientifica e morale, saggio definitivodi cinema tra documentario scientifico, satira politica, film sentimentale con lostupefacente intreccio costituito dalla vita di qualunque essere umano (s.s.)

RICERCHE

Analisisulla ricadutaeconomicadel festivaldi Locarno.E oltre

DOCUMENTARIO

In attesadella finedell’invernorusso,«Wintergo away»

DOCUMENTARIO ■ SING YOUR SONG

Il militanteHarry Belafonte,altro cheBanana Boat

Che con la culturanon si mangi èstato ampiamentesmentito da unaserie di ricerche.Anche in Italia si èdimostrato che perogni euro investito,ne ritornano tre

di A.C.

●●●«Come, mister tallyman, tallyme banana./ Daylight come and wewanna go home». Era il 1957quando una canzoncinatradizionale giamaicana si trasformòin fenomeno planetario e HarryBelafonte divenne il re del calypso.Primo a vendere più di un milionedi copie. E per molti Belafonte èrimaste quello di Banana Boat. Per idistratti a Locarno arriva Sing YourSong, documentario di SusanneRostock interamente dedicato aHarry, ottantacinquennecombattivo ora come allora. Giàperché il tratto dominante diBelafonte non è stata la canzone, ilcinema, o l’innegabile fascinoesercitato, soprattutto sulle donne,bensì l’incazzatura. Il ragazzottonato a Harlem, ma di originegiamaicana (infatti trascorrequalche anno da bambino sull’isolacaraibica con la madre), non ha mai

potuto digerire le ingiustizie. E levede, da subito. La guerra è appenafinita e gli afroamericani, ottimi percombattere e morire, quandorientrano tornano a essere cittadinidi seconda classe. Ladiscriminazione razziale èprepotente. Harry studiarecitazione, canta e balla da dio emastica amaro. Che lo voglia o no sitrova sempre al centro dicontroversie a sfondo razzista. OttoPreminger (cui Locarno dedica laretrospettiva) lo vuole in CarmenJones rilettura contemporaneadell’opera di Bizet (curioso cheHarry fosse doppiato nel canto).Qualche tempo dopo Robert Rossenlo vuole nell’Isola nel sole accanto aJoan Fontaine e sono guai perchél’attrice è bianca. Non che succedaqualcosa tra loro sullo schermo, ma,secondo gli indomiti uomini del Suddegli Stati Uniti «dio vuole lasegregazione». Il paradosso poi ècon gli spettacoli teatrali. Belafonte,che è una delle star, non puòviaggiare con gli altri artisti bianchi,non può stare nello stesso albergo.A Las Vegas dove il suo nomecampeggia da dominatore incartellone non lo fanno entrare dallaporta principale dell’albergo dove siesibisce. E deve alloggiare discosto.Figurarsi usare la piscina. Questaera l’America anni ’50. Harryschiuma rabbia. Approfitta della suafama per creare scompiglio. Siesibisce in teatri del Sud ballandocon una donna bianca, si mette inposa accanto alla piscina per foto eautografi. E passa all’azione.Sostiene attivamente l’elezione di

di ANTONELLO CATACCHIO

●●●Il direttore artistico Olivier Pèreviene dalla Francia, chissà se nelfrattempo non abbia cominciato aspostare la composizione delpubblico di Locarno. Questo perchéqualche anno fa, prima che luioccupasse quel ruolo, ilDipartimento della Cultura e delloSport (Decs), aveva assegnato unmandato all’Università della Svizzeraitaliana con l’intento di individuaregli impatti economici e culturali delFestival di Locarno. In particolare,l’istituto Ire (Istituto di RicercheEconomiche), ha svolto un’indaginevolta ad investigare sugli impattieconomici e i potenziali strategicidel Festival. Si trattava di capirecome i finanziamenti pubblici (chesi aggiungono ai privati) si sarebberoriversati sull’economia locarnese.L’analisi investe due categorie diquattrini: il budget del festival e laspesa del pubblico (con esclusionedi tessere e biglietti perché questo ègià contemplato dal budgetgenerale). In soldoni ai 10 milioni dibudget festivaliero si aggiungonoaltri 13 milioni e passa di franchilasciati dai festivalieri. E già nonsarebbe male. Ma non solo, laricerca ha investito anche altriaspetti. Per esempio sulla

provenienza dei festivalieri e sulladurata della loro permanenza. Eccoallora che si delineano diversecategorie: i turisti, svizzeri einternazionali (quelli chepernottano), gli escursionisti sempredivisi tra elvetici e stranieri (quelliche frequentano ma non si fermanoa dormire) e i ticinesi. Alla fine siscopre che gli svizzeri, ovviamente,sono in larghissima maggioranzacon l’81%, mentre Germania e Italiasono rappresentate ognuna con un7% e qui invece stupisce che ifrancesi si limitino al 2%, ma sidiceva ancora non c’era Père cheinevitabilmente ha spostato l’asseculturale verso la Francia.Interessante anche notare come ilpubblico di Locarno sia un pubblicocolto, oltre la metà ha unaformazione universitaria e anchebenestante, la Svizzera, si sa,economicamente non è messaproprio male, buoni frequentatori dimostre, teatri, concerti e discretilettori con una media di almeno unlibro letto al mese.

Un dato che incuriosisce è quellodella ristorazione. L’estate è unperiodo normalmente ricco per iristoratori locarnesi, che già primadel festival fanno registrare unaumento di incassi intorno al 40%. Illago, le vacanze, il turismo. Poi arrivail festival e qui l’incremento superaabbondantemente l’80% perrientrare nella media annuale amanifestazione conclusa. Non solo, ilocali che più si avvantaggiano sononaturalmente quelli più vicini allapiazza Grande e al cuore del festivale soprattutto quelli considerati piùeconomici (si fa per dire perché ainostri occhi qui è tutto carissimo)che arrivano quasi a raddoppiare illoro abituale volume d’affari.

Anche in Italia recentemente Iulm(Libera Università di Lingue eComunicazione) di Milano inaccordo con l’Afic (Federazione deifestival italiani di cinema) e conl’apporto dell’istituto di ricerca dimercato Makno ha realizzato unaricerca «I festival del cinema comevalore economico e culturale». Si

trattava di capire quale fossel’impatto economico che alcunifestival del cinema hanno sulterritorio. E il risultato è ancora piùlusinghiero di quello svizzero perchéper ogni euro investito qui nericascano circa tre. Insommal’investimento culturale non è, comequalcuno vuole fare credere, unaelargizione fatta ai soliti fancazzistiche anziché lavorare succhianodenaro alle istituzioni (o aglisponsor). La cultura genera valorinon solo in sé, ma ne crea di nuovi,anche economici, genera lavoro, èvolano per le economie locali. Bastivedere come hanno funzionato eagito alcune film commission chehanno saputo operare al meglio,addirittura anche intervenendo nelleproduzioni, ma ottenendo incambio straordinari ricaschi,soprattutto per i giovani.

Certo, forse esistono troppifestival inutili, troppe iniziative chenon hanno molti valori da offrire maa maggior ragione in periodi di crisieconomica, e quella che stiamovivendo è devastante, tagliare sugliinvestimenti culturali somiglia moltoal gesto dell’indimenticato Tafazzi.Pestarsi violentemente sulle palleforse non fa aumentare il debito. Manon è detto che poi siano ancora ingrado di svolgere le loro funzioni.

di A.C.

●●●Il quattro marzo scorso in Russiasi sono svolte le elezioni presidenziali.Putin ha ottenuto il 63%, diconseguenza è stato eletto. Tutto benequindi? Un accidente. A mostrare ilvolto di un paese che ancora non haimboccato la strada della democraziaci hanno pensato una decina di registi,diplomati alla Scuola di cinema eteatro documentario di MarinaRazbezhkina a Mosca. Con Winter goaway hanno filmato tutto quello che èsuccesso nell’arco di alcuni mesi perdocumentare l’ultimo «inverno russo»e le proteste popolari contro larielezione di Vladimir Putin e la suacricca di «ladri e imbroglioni». E sicomincia con due lavoratori chearrivano a rimpiangere il passato traun bicchiere di vodka e unarievocazione. C’è modo poi di citareper esteso Per l’alto valore dei secoli avenire, la poesia di Mandelstam in cuiafferma «nelle mie vene non c’èsangue di lupo e soltanto un mio paripotrà uccidermi». Eccola Mosca,d’inverno, con i suoi abitanti e le suecontraddizioni. E così conosciamoMatvey Krylov, al secolo DmitryPutenikhin, artista e attivistadell’opposizione giunto agli onori dellacronaca (e della galera) per averegettato dell’acqua in faccia a unrappresentante del potere. Luiracconta la sua vicenda a un passante,questi rimane perplesso e incredulo.Eppure è vero. Ecco poi OlgaRomanova, giornalista, fondatricedell’associazione Russia dietro lesbarre, suo marito Aleksej Kozlov,imprenditore di 38 anni, è statocondannato sulla base di imputazionitarocche costruite appositamenteperché non ha voluto dissociarsi dalleaccuse che lei aveva fatto a esponenticorrotti del regime. Sono moltissimi glioppositori che riempiono le immaginidel documentario. Nessuno però falunghi discorsi, sono tutti catturatimentre fanno qualcosa di concreto percontrastare Putin e cercare di dare ilpotere «a milioni (di persone) e non aimilionari». E uno dei momentidivenuto di attualità è la contestazioneneopunk delle Pussy Riot nellacattedrale di Cristo Salvatore. Munitedi passamontagna, feroci e buffe, quasianacronistiche nella loro ingenuaprovocazione. Ma il regime non lapensa così. Sono in galera da mesi perquesta performance «blasfema» e cirimarranno sino a dicembre quandoinizierà il processo. E quella dellapresenza poliziesca è una costante,odiosa, invadente, sprezzante,arrogante, uno stato di polizia chetollera qualsiasi provocazioneparafascista e stronca brutalmenteogni cenno di opposizione. Il bloccoreazionario che sostiene Putin èprepotente e per quanto inadeguatasuona divertente la protesta che recitasul reggae «no Putin non cry».Purtroppo si piange invece. Per lebotte. Per gli arresti. Per la galera. Per isoprusi. Per Putin. In particolare per ibrogli elettorali. Il documentario infattisi conclude proprio su questimostrando situazioni paradossali daregime sudamericano d’altri tempi.Invece siamo in Russia. Oggi. Oltreventi anni dopo il crollo della dittaturacomunista. Eppure il paese non haancora trovato la strada dellademocrazia. SEGUE A PAG 6

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di GIULIA SIMI

●●●Dopo l’ultima riga di MarioSchifano. Una biografia (Johan &Levi, pp. 415, •29.00) quello che restaè un senso di vertigine: effluvi divernici al nitro, flussi ininterrotti diimmagini televisive, scatti fotografici,dripping, droghe, musica, auto, corseciclistiche, apparizioni di artisti,galleristi, letterati, musicisti, registi,ma anche baronesse, attrici, modelle,arbitri di calcio, falsari e personaggidella malavita, in un ritmo incalzantee concitato «fino all’ultimo respiro».

Luca Ronchi, assistente di Schifanonegli anni settanta, regista, già autoredel documentario Mario SchifanoTutto (2001), cuce sapientemente unmontaggio serrato di testimonianzeda lui stesso raccolte e spesso ineditein cui si alternano decine di voci:Fabio Mauri, Achille Bonito Oliva,Plinio de Martiis, Franco Brocani,Furio Colombo, Anita Pallenberg,Marianne Faithfull, solo pernominarne alcune. Aneddoti privati ericordi appassionati, sovrapposti espesso dissonanti, di chi ha condivisotratti di vita con un artista troppospesso schiacciato sull’etichettadell’Andy Warhol italiano. E sequesto ritratto a più voci, una dellebiografie possibili, non basterà certoa restituirci tutta la complessità di chiha abitato tempi e media diversi, inuna produzione vorace che dalla finedegli anni cinquanta arrivaininterrottamente agli ultimi anni del‘900, avrà comunque il merito diilluminarci, con l’intermittenza diuna lampada stroboscopica, gliaspetti enigmatici, spigolosi, persinoindigeribili di un uomo che haincarnato in modo ipertrofico pieghee contraddizioni di mezzo secoloitaliano.

Dopo la prefazione di AchilleBonito Oliva, il testo avanza in ordinecronologico, intervallato da breviintroduzioni storiche e corredato daun ricco apparato iconograficoproveniente dall’archivio privatodell’artista.

Nato nel 1934 a Homs, in Libia,dove il padre dirigeva uno scavoarcheologico, Mario Schifano è unostudente distratto e svogliato che nonarriva alla terza media. La guerra loporta a Roma in modo rocambolescoe dopo un periodo di lavorettisaltuari approda, grazie al padre, almuseo etrusco di Valle Giulia. Ameno di dieci anni di distanza, nel1961, potrà acquistare e sfasciare lasua prima Mg bianca con i soldiguadagnati dalla vendita di tutti i suoimonocromi in una storica personalealla Tartaruga di Plinio de Martiis.

Inizia così, a tutta velocità, ildecennio incantato degli annisessanta. In pochi anni accade di

tutto: nel ’62 lascia il museo etrusco esi dedica completamente alla pittura.Espone a New York nella celebremostra «The New Realists» da SidneyJanis, firma e poi straccia uncontratto di esclusiva con la galleristaIleana Sonnabend, già allora assiemea Leo Castelli tra le regine delmercato dell’arte, raggiunge NewYork in transatlantico e lì soggiornacon il primo amore, la modella e poiattrice Anita Pallenberg. Rientra aRoma nell’estate del ’64 e da lì non sene andrà più. Un legame a filodoppio con una città attraversata inquegli anni da un’effervescenzaintellettuale che Schifano vive inmodo eccentrico. Agli amici ecompagni più intimi, tra cui AlbertoMoravia, Franco Angeli, Tano Festa,Alighiero Boetti, Marco Ferreri,Franco Brocani, si affiancanoinnumerevoli corpi femminili comequelli di Afdera Franchetti, AnnaCarini, Marianne Faithfull.

Perennemente indebitato e acaccia di soldi, Schifano èincontenibile: nel 1967 mette inscena al Piper Grande Angolo, Sogni,Stelle, un live media, diremmo oggi,che unisce musica dal vivo,performance, multiproiezionifilmiche e fotografiche. L’anno dopo,ed è un non trascurabile 1968,realizza Festa Cinese, una tela dibandiere rosse realizzata per laresidenza romana degli Agnelli -«un’enorme marchetta per grandicapitalisti», come la definisce FrancoBrocani - che finì poi in regalo aPotere Operaio.

Siamo intanto nella stagione del

cinema underground, che Schifanoattraversa alla sua maniera, senzamai unirsi, per esempio,all’esperienza della CooperativaCinema Indipendente e tentandoinvece di approdare, inutilmente, allegrandi produzioni. Nel 1970 inizia alavorare a un film prodotto da CarloPonti e sceneggiato da ToninoGuerra, Human Lab, ma la creativitàstrutturata del «cinema tradizionale»non gli si addice e il tentativonaufraga in poco tempo.

Arrivano così gli anni difficili.Schifano è immerso in un ménagefatto di tele emulsionate, droghe,donne e un’inarrestabile dissipazionedel denaro che non ha mai saputo,né voluto, trattenere. Chiuso nei millemetri quadri affittati sopra il MuseoNapoleonico, lui che amava Godard edetestava Totò, allestisce una salacinematografica con tanto di platea,proiezionista e programma di sala.L’amico Roberto Ortensi lo ricordacosì: «In confronto a Schifano gliStones, Mick Jagger, Keith Richards,tutte le rockstar americanediventavano dei piccolo-borghesi...Probabilmente è l’artista del suotempo che ha guadagnato di più, mache è stato anche capace didilapidare tutto».

Negli anni Ottanta il matrimoniocon Monica De Bei e la nascita delfiglio Marco sembrano indirizzargli lavita e la produzione artistica su binarimeno vertiginosi, ma è unassestamento solo temporaneo.

Il periodo finale è quellodell’iperproduzione seriale,culminata con la controversa

esclusiva a Telemarket, ultimoomaggio alla sua Musa Ausiliaria egrande beffa al sistema dell’arte. Ilsuo «talento picassiano», di cuiparlava Fabio Mauri, si scioglie neipixel del più bieco trash televisivo:«questo non è un momento diintuizioni per l’arte, adesso la pitturaè solo consumo, non cultura»,

commentava con la sua tipicaaderenza al presente. Sono passatipiù di trent’anni, gli anni sessantauna memoria sbiadita. In lui, comericorda Fulvio Abbate, non unatraccia di nostalgia. In noi, forse, lanausea dell’assenza: quella di unpaese, di una città, di un’umanitàimpossibili da dimenticare.

Mario Schifanoa più voci.Una biografia

LETTURE

INTERFERENZEJohn Kennedy, poi incalza il fratelloRobert, ministro della giustizia chesembra non capire la condizione degliafroamericani (e gli fa cambiareapproccio), e conosce anche MartinLuther King. Ne diventa sostenitore eamico, quando King cerca rifugio lotrova nella casa di Belafonte, lì puòleggere, studiare e ragionare senzaessere assillato. Appena può mobilitai suoi amici di fronte all’arroganzabianca che non si vuole arrendere alcambiamento. E porta con sé inmanifestazioni, anche pericolose,Marlon Brando, Sidney Poitier, TonyCurtis, Paul Newman, AnthonyPerkins, Tony Bennett, ShelleyWinters, Bob Dylan, Mahalia Jacksonaddirittura Charlton Heston (era là davenire il suo impegno conl’associazione dei fabbricanti di armi),tutti impegnati in spettacoli e marcenel Sud razzista. Nel 1963 c’è lamarcia su Washington, con ilreverendo King che pronuncia ilfamoso discorso «I have a Dream».Nel frattempo ha cominciato anche aviaggiare attraverso i paesi africani inpieno fermento e in lotta perl’indipendenza. Conosce molti leaderneri e involontariamente inciderà suun futuro leader nero, attraverso unborsa di studio fa arrivare negli Usa ilpadre di Barack Obama. Ma in Africac’è anche quell’odiosa macchiadovuta all’apartheid sudafricana.Belafonte combatte come può, duettae supporta Miriam Makeba negli Usa,il loro disco è bandito laggiù, ma lagente lo ascolta di nascosto.Naturalmente si fa anche una serie dinemici, dal senatore MacCarthy,alcolista cacciatore di streghe in odoredi comunismo, al più subdolo J. EdgarHoover, capo dell’Fbi mentre la Cia loscheda come persona controllata daPechino, anche grazie a un managergrottesco che Harry ha assuntomaldestramente ma che in realtà è unagente Cia sotto copertura che nondisdegna di creare dossier tarocchi.Nel 1968, nel volgere di pochi mesitutto prende una piega terribile. AMemphis viene ammazzato King epoco dopo altra botta tremenda vieneassassinato Robert Kennedy. Harrypiange, ma naturalmente non siarrende. Nel frattempo in tv PetulaClark duetta con lui, scandalosamenteaggrappata al suo braccio, scatenandoun putiferio (la Chrysler, sponsor,vorrebbe che la Nbc non mandasse inonda quella canzone, per fortuna laClark, anche produttrice, manda tuttia farsi fottere). L’Africa e le sueemergenze lo vedono sempre inprima fila, è lui a dare il viaall’iniziativa We are the World perraccogliere fondi destinati acombattere la carestia in Etiopia. Perarrivare sino ai tempi più recenti conl’uragano Kathryna a New Orleans,con il terremoto di Haiti e con labattaglia intrapresa per contrastare ilfatto che «il carcere è il nuovoschiavismo». Perché lì finiscono inlarghissima maggioranza i giovanineri. Una sorta di criminalizzazionedella povertà. Ma non è solo quello ilmeccanismo della giustizia negli Usaha dei risvolti odiosi. No, Belafontenon ci sta, continua a chiedersi cosasi possa fare adesso. E si dà dellerisposte, non banali. Infatti se lo sonoritrovato accanto gli indignatimanifestanti di Zuccotti Park. Messacosì la biografia di Belafonte sembraquasi non avere a che fare con ilmondo dello spettacolo, ma nonbisogna lasciarsi trarre in inganno,Harry ha continuato e non solo persé, è stato tra i primi a intuire esostenere l’hip hop (ha prodotto BeatStreet, primo film su quel fenomeno).Ecco, volendo trovare dei difetti sipotrebbe dire che forse ha un po’trascurato i figli (anche con le mogliha fatto scandalo, sposando unadonna bianca nel ’57), ma su questo èstato perdonato proprio da David,uno dei suoi figli, mentre un’altra,Gina, ha prodotto il documentario.Questo perché non si poteva essereun padre sempre presente quando siera impegnati a combattere leingiustizie. Altro che Banana Boat.

Una vita vissuta fino all’ultimo respiro,raccontata da Luca Ronchi, produttore e regista,assistente dell’artista negli anni ’70,con racconti inediti e i ricordi di piazza del Popolo

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Lontano da Coutard. Camera aspalla a catturare la perfezionedell’immagine nella sua luce naturale,Raoul Coutard diventa l’opérateurmaggiormente rappresentativo dellaNouvelle Vague (molto Godard, apartire da À bout de souffle, Truffaut,Demy, Kast…). Nato a Parigi nel1924, come reporter in Indocinaincontra Pierre Schoendoerffer, colquale collaborerà per i suoi film (317battaglione d’assalto, L’uomo del fiume),oltre a illuminare durante la suacarriera artistica le opere diCosta-Gavras, Edouard Molinaro,Nagisa Oshima, Philippe Garrel…Pochi oggi ricordano il film collettivoLontano dal Vietnam (1967), ma ancormeno il suo remoto esordio registico,Hoa-Binh (1970), che in qualche modogli si collega ma che assorbì assaimeno favore critico (sintomatico iltitolo italiano, Sciuscià nelVietnam…), necessitando oggi di unqualsiasi recupero, almenofestivaliero. Nel 2007 esce in patriail suo volume L’Impériale de Van Su,rivelatore nel sottotitolo del suorapporto d’amore con l’Oriente:

Comment je suis entré dans le cinémaen dégustant une soupe chinoise.

I beati anni della detenzione.«Tutto quel che ci sta capitandosembra uscito dritto da un fottutofilm dell’orrore!». Benvenuti nell’areaesplorativa e dall’instabile perimetrodi Detention, semi-indipendenteseconda prova nel lungometraggio(dopo il becero Torque) del talentuosovideoclipparo Joseph Kahn. La giovanegenerazione post-tutto (slasher,Scream, Araki, Scott Pilgrim…) puòorgogliosamente identificarsi inquesto manifesto ultimo, impossibileda ridurre in qualsivoglia traccia diplot, un’esperienza liceale ipercineticaaperta a ogni variazione paradossaledell’anti-logica comportamentale teen,nei risultati molto più avanzata delleossessioni scopiche ripetute a vuotoad esempio di un Gaspar Noé. ConJosh Hutcherson, l’interessantissimoPeeta di Hunger Games: per ora, solopremière in blu-ray e dvd il prossimomese (ma in Francia, mica qui…).

Lo Squalo 5 – IngmarBergman. «Tra i registicontemporanei ammiro ovviamenteSteven Spielberg e Scorsese, eCoppola, anche se sembra averesmesso di fare film, e StevenSoderbergh – hanno tutti qualcosa dadire, con passione, hanno unapproccio idealistico al processofilmico» (Ingmar Bergman, 2002).Collegarsi a Pushed and Filed(www.pushedandfiled.tumblr.com) perammirare una sublime fotografia(realizzata da John Bryson: «to IngmarBergman from his admirer JohnBryson») nella quale il Maestrosvedese scomparso nel 2007 sostasorridente davanti a uno degliesemplari meccanici (i celebri tre«Bruce») utilizzati per Lo squalo diSpielberg, in visita agli studi Universal.Imperdibile.

STREAMAGAZINE

La rivistacatalogo,un progettoitalianonel mondodigitale

di GIANLUCA PULSONI

●●●Il concetto di catalogo èqualcosa che ha sempre avuto ache fare con la storia dell’uomo,tanto con funzioni descrittivequanto normative, con variazioni disignificato che continuano tutt’oggie che mostrano, nei casi più felici,al di là delle più ovvie constatazionio contestazioni sulla«computerizzazione» della vitaattuale, come le dinamiche delladigitalizzazione del mondo siradichino su forme elementari estrutture primarie, spessotrasversali e ricorrenti, e comequindi l’atto del catalogare sembri

proprio uno di questi secolarileitmotives, specie nell’ambitodell’agognato web 3.0, in cui ritornacentrale la gestione e distribuzionedei saperi.

Un esempio di come la praticadel fare catalogo, nell’«epoca dellariproducibilità digitale», provengada una determinata tradizione, celo offre un bel progetto italiano inrete, Streamagazine(www.thestreamagazine.com), natonel dicembre 2011, dall’iniziativa didue giovani intraprendenti, ElisaCecilli, ricercatrice nell’ambitodell’economia e dell’innovazionedigitale in campi prima accademici,poi privati, (Montreal, Londra) eFrancesca Masoero, consulente estoryteller per aziende, marchi edagenzie tra Italia e Usa. Di cosa sioccupa Stream? All’incontro deiDigital Makers avvenuto il 27 Aprilescorso a Firenze, alla Fortezza da

Basso, nell’ambito della mostrainternazionale dell’artigianato(http://www.cnanext.it/1218-2/),Francesca Masoero ha così definitoil progetto: «Stream è un magazine,ma in realtà è qualcosa di più, èuna sorta di raccolta e di catalogodi tutto quello che, lavorando comericercatrici, troviamo sul web, ciappassiona, ci piace e decidiamo diparlarne».

Studiando l’organizzazione delsito, oltre l’apparente patina chepotrebbe offrire – l’impressione dirivista high tech come se ne vedonospesso in giro – questo progettosembra presentarsi nel solco diquella linea storica che vedeappunto la forma-catalogo comeintersezione tra mondi diversi, artee commercio, seguendo un po’ lalezione, a partire dal design, cheaveva inaugurato il Futurismo conDepero (tanto che nella grafica, sipercepisce qua e là l’esplicitorichiamo-omaggio). C’è però di più,perché l’uso di tale forma in questocaso si presenta aggiornato, aperto,aderente al contemporaneo, inquanto proprio in relazione almodus operandi di internet. DiceElisa Cecilli, in una recenteintervista a Il Denaro (nellaversione cartacea, in retewww.denaro.it): «tutto ciò checattura il nostro interesse vienefiltrato poi attraverso cinque lenti.Le nostre «Tabs»: storm, per le ideerivoluzionarie che plasmano il

futuro; ocean per ciò che muove edinfluenza le masse in modo nonconvenzionale; river per raccontarele piccole innovazioni cheaccadono lontano dai riflettori;drop per segnalazioni da fruire onthe go; ed infine bottle per personeche contengono in sé la potenzafluida dell’acqua». Si tratta dunquedi una idea di catalogo che nonrappresenta né anticipa ai proprilettori uno specifico «mondochiuso», fatto di figure e oggetti, mache prova invece a fungere daosservatorio, costante, cangiante, diquesto, «aperto»: un osservatorio,allestito con un bel gustofemminile, in cui la somma dellesegnalazioni innesca una sorta diimplicita, potenziale narrazione,dove la trama generale hal’ambizione di prendere la vita diuna joyciana stream ofconsciousness.

Con questo possibile punto divista, Stream si costruisceprogressivamente come un catalogoche soggettivizza invenzioni,innovazioni, situazioni, esperienzecontemporanee del mondo digitale,con l’obiettivo – a lungo termine –di farsi risorsa e strumento: risorsaal servizio di imprese, attraverso lamessa a disposizione dei know-howsegnalati e analizzati; strumento,invece, di democratizzazione dicontenuti ad alto tasso di tecnologiaed innovazione. Lavori, in Italia,dove ancora c’è molto da fare.

Foto pag 6: Mario Schifano; foto a pag. 7: scena da «Zabrinskie Point» di Antonioni; a destra: Ingmar Bergman e lo Squalo

L’OCCHIO DELLANOUVELLE VAGUE

di MICHELE FUMAGALLO

●●●«Sono sempre stato contrarioal commento musicaleconvenzionale, alla funzionesoporifera che solitamente gli siassegna. È l'idea di musicare delleimmagini che non mi piace, comese si trattasse di un libretto d'opera.È un bisogno che respingo, questodi non lasciare spazio al silenzio, diriempire dei vuoti supposti tali. Èuna necessità nata con il cinemamuto quando il pianoforte serviva acoprire il rumore del proiettore, acreare un'atmosfera. Tuttosommato da allora abbiamoprogredito ben poco». Così diceva

Michelangelo Antonioni a propositodella musica nei film, e proseguiva:«Credo che i pochi esempi illustri diaderenza quasi perfetta tra musica eimmagine - Aleksandr Nevskij (1938)per esempio - non bastino acontraddire questa miaaffermazione. L'unico modo perchéla musica diventi accettabile in unfilm è che scompaia comeespressione autonoma per diventareelemento di un'unica impressionesensoria». Duro, non c'è alcundubbio. E coerente, però. Perché ilregista di Zabriskie point, in tutta lasua carriera non ha fatto altro cherimanere fedele a questa visione. Inqualche modo la musica cheaccompagna i suoi film procede inparallelo (per quel che puòsignificare il parallelismo in unrapporto tra immagini e suoni), adifferenza, ad esempio, dei film diPier Paolo Pasolini dove invece lamusica è non solo centrale maaddirittura sceneggiatura e spinadorsale dei film stessi. È uscito, perle Edizioni Marsilio, il libro diRoberto Calabretto Antonioni e lamusica (pagine 208, euro 20) e vasubito detto che è un saggioesaustivo sull'autore de Professionereporter da parte di uno studioso dimusiche da film che ha affrontatogià in altri libri lo stesso Antonioni, epoi Resnais, Pasolini, Bresson,Visconti, Tarkovskij. Naturalmente imeriti di Antonioni nell'uso dellamusica sono ben più interessanti di

quanto il regista voglia farci credere,e basterebbe ricordare per questo irapporti di collaborazione con ilmusicista Giovanni Fusco in filmessenziali come Cronaca di unamore, L'avventura, L'eclisse. Manon solo: tutta l'opera diMichelangelo Antonioni tende adun uso originale (e moderno) dellamusica, ben lontano non solo daquello degli anni 50 in cui la musicatende a uniformarsi a canoni disemplice accompagnamento delleimmagini, ma immette nei suoi filmpartiture e musiche che fannosempre discutere. E colpisce la suacapacità di rinnovamento cheintreccia, dopo L'avventura,elementi di amalgama tra musica erumore così spiazzanti da destareancora oggi stupore.

E le discussioni e le polemiche,dopo Deserto rosso, sull'uso dellamusica elettronica, checontinueranno con le nuovericerche da Blow up fino ai suoiultimi film, con i giochi sullemusiche di Herbie Hancock, i PinkFloyd (incontrati in un localeunderground di Londra), John Foxx,Lucio Dalla, e altri. Forse Antonioniresta a tutt'oggi il regista che è statocapace di trasformare la musica neisuoi film estrapolandola del tuttodal suo ruolo di ancella delleimmagini per liquefarladirettamente in una sonorità diffusanella storia. Geniale, non c'è chedire, anche da questo punto di vista.

moderati arabi < 186 187 188 >

Trecento bambini sahrawi sono ospiti in Italia nei mesi di luglio ed ago-sto, grazie alla solidarietà di oltre 50 comuni e dell’ANSPS. I giovanissimiambasciatori di pace «sono testimoni dell’esilio del loro popolo e portanouna richiesta: che si realizzi presto il referendum di autodeterminazione».

LIBRI

RobertoCalabretto,il conflittocon la musicanei filmdi Antonioni

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COREA DEL SUD

DaeSoo Kim,voce del bambù

In alto una foto dell’artista, in bassoDaeSoo Kim intervistato via Skype

definitivamente l’ipotesi di unamanifestazione unitaria e risolutiva alivello nazionale. Infatti, dopo lamarcia su Roma, fine di ottobre del1922, sciolse gli Arditi del popolo perfondare «I soldati del popolo», unanuova organizzazione insurrezionalesegreta. «Picelli prepara la riscossa deisovversivi contro l'attuale governofascista (...) Ventilato in segreteriunioni il progetto di una simultaneaazione violenta contro i capi delFascismo» scrissero preoccupati iPrefetti, e i Carabinieri nei lororapporti. L’anno dopo i fascisti, doponumerose aggressioni, gli tesero aParma un agguato mortale. Colpito distriscio alla tempia da una pallottolasi salvò per miracolo. Subito doposfuggì a un complotto perassassinarlo, ordito da alti gerarchi,fra i quali c’era Balbo. Non riuscirononé a intimorirlo né a fermarlo.Beffando Mussolini e i deputatifascisti, per protestare contro lasoppressione della Festa deilavoratori, il 1 maggio 1924 sfidò ilregime fascista innalzando sulpennone del Parlamento una grandebandiera rossa ornata di falce emartello. Rieletto nel 1924 comeindipendente nelle liste del Pcd’I,Picelli instaurò un forte rapporto dicollaborazione con Gramsci. Nellacorrispondenza segreta del Partito,appare più volte il progetto di unmisterioso libro «sulla guerra civile inItalia», una tesi da scrivere o un pianod’azione da mettere in pratica? Inquei giorni viaggiò molto per l’Italia,ufficialmente, in veste di deputato,per visitare le carceri, in realtà,seminando poliziotti e sfuggendo alleimboscate fasciste, per incontraresegretamente in ogni città icompagni, con lo scopo diorganizzare la struttura insurrezionaleclandestina del partito. Il suo progettosfumò l'8 novembre del 1926, quandovenne arrestato insieme a tutti imaggiori leader antifascisti. Nel 1932,dopo 5 anni di confino e di galera,fuggì in Francia dove proseguì la suaattività di rivoluzionario e agitatorepolitico. Espulso prima dalla Francia epoi dal Belgio, il leggendariocomandante di Parma, il grandeteorico della «guerra di strada», giunsea Mosca dove, invece di riceverel’incarico militare che gli avevanopromesso e che si era ampiamentemeritato sul campo, fu messo daparte. Si ritrovò a fare l’operaio nellafabbrica Kaganovic. In quei lunghianni passati nell’Unione sovieticastalinista subì ingiustizie epersecuzioni, contro di lui fuintentato anche un processo difabbrica, anticamera del Gulag.Picelli, con l’abituale coraggio, riuscì asalvarsi senza rinnegare le sue idee eda lasciare l’Unione Sovietica alla voltadella Spagna in fiamme. Dopo averabbandonato i comunisti italiani edaver avuto contatti con Andreu Nindel Poum, il partito comunistaspagnolo antistalinista, accettò dicomandare una unità italiana deiVolontari internazionali, espressionedi quel «fronte unico» antifascista nelquale aveva sempre creduto. Alcomando del Battaglione Garibaldi, il1 gennaio 1937, ottenne a Mirabuenola prima vittoria dei repubblicani sulFronte di Madrid. I suoi uomini loricorderanno in battaglia sempre inpiedi, dritto, incurante delle fucilate edelle bombe. A chi gli chiedeva diabbassarsi rispondeva: «Non mipiegherò mai davanti ai fascisti!». Il 5gennaio 1937, dopo aver conquistatol'altura del Matoral, mentre siapprestava ad attaccare le posizionifortificate del San Cristobal, caddecolpito non al petto, ma alle spalle,all'altezza del cuore. Lasciò scritto:«Solo con l’unità avremo ilsopravvento, poiché è indiscutibileche noi siamo una forza che nons’impone oggi, solo perché divisa intanti piccoli raggruppamenti indisaccordo fra di loro». I suoi appelliall'unità e all’azione, che rimaseroinascoltati, appaiono ancora oggi, adistanza di quasi novant'anni, digrandissima attualità.

di MANUELA DE LEONARDIS

●●●Roma-Parigi, 5 giugno 2012. Sullepareti bianche dello studio parigino siintravedono, attraverso lo schermo delcomputer, foto in grande formato dipaesaggi naturalistici. DaeSoo Kim(Seoul 1955, vive a Seoul) è quasi altermine del suo anno sabbatico, inestate tornerà in Corea del Sud doveriprenderà l’insegnamento alla HongikUniversity di Seoul (è docente dicomunicazione visiva dal 1993) e,parallelamente, l’attività di fotografo.Conosciuto soprattutto in Corea, illavoro di Kim è stato esposto anche alSanta Barbara Museum of Art e alMuseum of Fine Arts di Houston nel2009/2010, in occasione della collettivaChaotic Harmony: ContemporaryKorean Photography. I prossimiappuntamenti sono in Germania perMonochrom in Korea alla GalerieDorothea van der Koelen di Mainz (18giugno-20 luglio 2012) e alla GalerieEulenspiegel GmbH di Basilea, dove inautunno è in programma la personaleche riunisce gli scatti pubblicati neivolumi Colors of the Bamboo 1998-2008e Voice of the Bamboo 1998-2010. Dal1998 la ricerca metodica - quasiossessiva - del fotografo ruota intornoad uno dei simboli coreani pereccellenza: il bambù. Ci sono quattropiante, chiamate «quattrogentiluomini» – il fiore di prugno(maehwa), l’orchidea (nanch'o), ilcrisantemo (kukhwa) e il bambù(taenamu), in sintonia con l’alternarsidelle stagioni – che hanno unsignificato profondo nella culturacoreana. Esprimono, in particolare, levirtù a cui deve ambire l’uomo colto, ilvero gentiluomo: la forza, la resistenza,l’integrità, la dignità, la fierezza, maanche l’eleganza. Mete di un percorsointeriore in un mondo di apparenza.Memore dell’antica tradizionepittorico-calligrafica del suo paese, incui i dipinti calligrafici hanno comesoggetto privilegiato proprio «i quattrogentiluomini» - accompagnati da unacalligrafia, arte fondamentalmenteintrospettiva, connotata dal trattosemplice e da un ritmo di continuità –DaeSoo Kim è partito propriodall’esplorazione di ognuno di questielementi della natura, ma è sul bambùche ha deciso di focalizzarel’attenzione. Anche l’uso del bianco enero rientra in una scelta consapevoledel linguaggio stesso, libero il piùpossibile dalle zavorre dell’oggettività eaperto, quindi, alle infinite variantiinterpretative. Il nero delle fotografiealla gelatina ai sali d’argento - chel’autore stampa da sé - appare come unpigmento denso, con una consistenzamaterica che ricorda il velluto, al paridell’inchiostro - implicitamente emetaforicamente - evocato nelracconto fotografico di Kim dalrichiamo alla struttura/segnodell’ideogramma. La pratica stessadell’atto fotografico - ripetuto neltempo e realizzato con l’uso deltreppiedi – diventa quasi una forma dimeditazione. Il senso del tempo - infatti- è catturato all’interno dellatrama/ordito della fotografia stessa. Ilritmo della velocità dell’istante siprolunga in un frammento di eternitàlatente. Di fronte all’incertezza di unpresente caotico e sfuggente, la naturaoffre una certezza. Una forma di riparo,un abbraccio consolatorio dellosguardo. Nelle immagini del fotografo

coreano si ha la percezione di sentire ilprofumo della primavera, come ilsussurro del vento, la carezza dei raggidel sole tra gli alti fusti, il silenzio dellaneve. Poco importa che siano passifelpati sulle foglie cadute, oppurecinguettii lontani, sono comunqueelementi di raccordo tra una visioneche, pur essendo reale, diventaprevalentemente emozionale. Unpresente diluito in una strofa di poesia.

●Nella serie «Bamboo» lo sguardodi un occidentale coglie una sorta diumanizzazione della natura: lametafora dell’uomo e del suohabitat. Soprattutto quando lavisione è più di ampio respiro el’insieme di alberi dalle foltecapigliature è inquadrato dall’alto ofrontalmente, sembra di scorgere lamassa umana. Gente che cammina,si muove, parla…Sono completamente d’accordo. InCorea, Cina e Giappone ci sonoalcune piante che simbolizzano levirtù dell’uomo. Il bambù è usatocome metafora per indicare lagiustizia e, soprattutto in Corea,indica onestà ed è un modello perl’essere umano. Attraverso questapianta la mia idea è di parlare dellagente. Sono particolarmente colpitodal fatto che, anche in occidente, siriesca a cogliere quello che voglioesprimere. Qui l’idea tradizionaledella macchina fotografica 35mm èassociata al «momento decisivo» di

Cartier-Bresson che ha bisogno di unacerta composizione in cui tutto è alproprio posto. Per me tutti glielementi devono essere uguali, nonc’è gerarchia. Quello che provo acatturare è il nulla. A prima vistasembra che non ci sia nulla diparticolare da vedere, ma piano pianoescono fuori tutti i particolari.

●Quali sono i riferimenti culturalinel tuo approccio al tema delbambù?La prima serie è iniziata più o menonel 1998. Prima ero curioso verso tuttigli aspetti della vita. Dipingevo ad olioe cercavo di capire che direzioneprendere. Fotografavo già, sempre inbianco e nero, la mia prima serie erastata un lavoro sulle fabbriche dicemento in Corea, sullo stile deiBecker. Però a quarant’anni ho decisodi dedicarmi a qualcosa che fosse piùvicino alla mia identità di coreano.Come dicevo, in Corea, ci sonoquattro piante dette «i quattrogentiluomini» che simboleggianoalcune virtù dell’essere umano. Hodeciso di usarle come soggetto dellemie foto. Anche se le ho fotografatetutte e quattro, ho scelto come unicosoggetto il bambù.

●Perché il bianco e nero per darvoce ai «colori» del bambù?Perché trovo che il bianco e nero siamolto più astratto del colore, che èanche un modo più diretto per

rappresentare il soggetto.

●Ha anche un aspetto emotivo, perte, la stampa alla gelatina ai salid’argento che usi per le tueimmagini?Ho la mia camera oscura e stampo dame. Sono cresciuto con la gelatina aisali d’argento, il digitale è arrivatodopo. All’epoca non era una tecnicapermanente, mentre l’altra aveva giàdato prova di esserlo. Ad ogni modoallora non credevo nel digitale econtinuo a non crederci. Sicuramente,poi, c’è un aspetto emotivo legato alprocedimento. In camera oscura,quando l’immagine si sviluppa, si puòvedere la sua luce. Anche sottol’ingranditore si può bloccare oprolungare l’esposizione,controllando il risultato. Invece, con ildigitale l’immagine si può vedere solosullo schermo e quando si stampa ilrisultato è molto diverso.

●Anche tuo padre, Han Young Kim,è stato un noto fotografo. Quale è ilsuo insegnamento?Mio padre ha iniziato comefotoreporter durante la guerra diCorea. Era corrispondente per unarivista, ma dopo la guerra è diventatoun fotografo commerciale. È stato unodei più noti, in Corea, negli anniSessanta e Settanta. È ancora vivo, inbuona salute e spesso viene invitato apartecipare, nel mio paese, aimportanti mostre di fotografia. Il suoinsegnamento? Mah… è stato untipico padre coreano che non parla,ma lavora. Quando ero molto giovanesono stato suo assistente. A sedicianni portavo tutta la sua attrezzatura:lui non mi ha insegnato nulla, ma allostesso tempo mi ha insegnato tutto. Èsempre stato un gran lavoratore, unostacanovista. Non ha mai pensato allafamiglia, nè alla moglie, nè ai figli, soloal lavoro, lavoro, lavoro.

●A New York ti sei laureato infotografia alla Parsons School ofDesign e hai conseguito il master alPratt Institute. Perché la scelta della«grande mela»?All’epoca, parliamo degli anni ’80, ilriferimento internazionale per lafotografia, in Corea, era New York. Perquesto ho deciso di andare lì. Le due

scuole che ho frequentato eranomolto diverse. Alla Parsonfrequentando il dipartimento didesign ero molto orientato versoquesta materia. Il Pratt, invece, avevaun approccio molto più diretto allafotografia come arte. Volevoconoscere nuovi orizzonti dellafotografia, ecco perché ho scelto difrequentare questa scuola. Al PrattInstitute il mio insegnante – ArthurFreed - mi diceva che il mio lavoro eratroppo pulito, perfetto. Mi chiedevachi fossi e dove volessi arrivare. Maall’epoca non capivo, esattamente,cosa intendesse.

●Quali erano gli autori piùsignificativi per te?Guardavo il lavoro di Ansel Adams,del Group f/64, ma soprattutto diMinor White, di cui il mio insegnanteera stato allievo. Una delle lezioniprincipali di White era quella delladinamica all’interno di oggetto esoggetto e che il fotografo devefotografare il soggetto e non l’oggetto.

●Quale è stato l’aspetto piùaffascinante dell’esperienzanewyorkese?Negli anni Ottanta la Corea erachiusa, la gente non poteva uscire eandare all’estero. Era prima delleolimpiadi e c’era la dittatura. NewYork, per me, ha rappresentato lalibertà. Avevo 27 anni, lì potevo faretutto. In particolare ho viaggiatotanto, dall’Alaska alla Florida e sonostato anche in Sudamerica.

●Quindi il viaggio è stato unacomponente importante nella tuaformazione culturale?Sì. Viaggiavo da solo. Ricordo in Texasil paesaggio piatto con le strade senzafine, i cieli immensi e uno spaziocompletamente aperto. Mi sentivofuori dal mondo. È stato lì che hocominciato a chiedermi chi ero. Lastessa domanda che mi aveva fatto ilprofessore della Pratt. Come artista michiedo ancora se abbia trovatorisposte a quelle domande, ma non loso. Però tutto è cominciato là.

Intervistaal fotografoche in autunnoavrà a Basileala sua personalecon gli scattidedicati a unodei simboli coreaniper eccellenza

«In Corea, Cina,Giappone ci sonoalcune pianteche simbolizzanole virtù dell’uomo.Il bambù metaforadi giustizia,in Corea indical’onestà»

SEGUE DA PAGINA 3

FOTOGRAFIA

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(9)ALIAS28 LUGLIO 2012

IL TEATRO

LA RIVISTA

IL LIBRO

CONTRABANDDI BALTASAR KORMÁKUR, CON KATEBECKINSALE, MARK WAHLBERG. USA UK 2012

0Remake del film del 2008Reykjavík-Rotterdam, diretto daÓskar Jónasson. Chris Farraday

è un ex marinaio che è stato licenziatoper contrabbando. Nonostante neglianni sia riuscito a costruirsi una vitaonesta è costretto a tornare nelmondo della criminalità per proteggerela moglie, la figlia e il cognato dopo chequest'ultimo per evitare di esserearrestato ha buttato in mare preziosamerce illegale.

LOCKOUTDI JAMES MATHER, STEPHEN ST. LEGER, CONGUY PEARCE, MAGGIE GRACE. FRANCIA 2012

0Snow è in carcereingiustamente accusato dispionaggio contro gli Usa. Sarà

libero se riuscirà a salvare la figlia delPresidente da una prigione spaziale, inmano a violenti rivoltosi. Scritto daMather, Leger e Luc Besson, girato aBelgrado in inglese.

LA MEMORIA DEL CUOREDI MICHAEL SUCSY, CON RACHEL MCADAMS,CHANNING TATUM

0Sposi novelli, Paige e Leo sonofermi in macchina e subiscono iltamponamento di un camion.

Mentre il marito non subisce nessunincidente, Paige entra in coma e al suorisveglio riconosce i familiari ma non ilmarito che dovrà riconquistarla. Nelcast anche Sam Neil.

BED TIMEDI JAUME BALAGUERÒ, CON LUIS TOSAR,MARTA ETURA. SPAGNA 2012

0Cesar (interpretato dal grandeattore del nuovo cinemaspagnolo Luis Tosar) è

portinaio in un condominio. Il suoobiettivo è rendere infelici come sisente lui stesso i suoi condomini e inparticolare far sparire definitivamentedal volto il sorriso di una ragazza,Clara.

TRAVOLTI DALLA CICOGNADI RÉMI BEZANÇON, CON LOUISE BOURGOIN,PIO MARMAÏ. FRANCIA 2012

0Tratto dal romanzo Lieto Eventodi Eliette Abécassis. Trent’anni,innamorati, Barbara e Nicolas

sono una coppia bella, libera e felice.Ma Barbara resta incinta e di colpotutto cambia: è difficile ritrovarsi in tre.Nel cast Josiane Balasko, Thierry Frémont.

UN ANNO DA LEONIDI DAVID FRANKEL, CON JACK BLACK, OWENWILSON, STEVE MARTIN. USA 2011

0Tre uomini sono impegnatiinuna competizione dibird-watching la «North

American Big Year», nella qualedevono avvistare uno dei volatili piùrari del nord America. Durantequell’anno la loro vita cambierà.

UN AMORE DI GIOVENTÙDI MIA HANSEN-LØVE, CON LOLA CRÉTON,SEBASTIAN URZENDOWSKY. FRANCIA 2011

7Struttura al tempo stessoclassica e innovativa, tra decisaoriginalità di stile e letteratura

(e pittura) di fine ottocento: laquindicenne Camille pensa di morire didolore quando Sullican parte per ilSudamerica a fare le sue esperienze.Anche per lei è tempo di crescere.Terzo film di una trilogia dedicataall’adolescenza. (s.s.)

BIANCANEVE E ILCACCIATOREDI RUPERT SANDERS, CON KRISTEN STEWART,CHARLIZE THERON. USA 2012

7LAl contrario del Mirror Mirrordi Tarsen Singh commedia artyburlesque con Julia Roberts,

prende sul serio l’inarrivabile cartoondisneyano e lo scardina dal testo

roiginale in un lungo percorso dievocazioni cinematografiche passandodi genere in genere nel tentativo dimutare la principessa della leggenda inuna creatura dotata di un sé. «EssereBiancaneve» significa combatterecontro il regno dittatoriale erepressivo. Dotata di una spada KristenStewart, la ragazza della porta accantodi Twilight interpreta magistralmente,mentre Charlize Theron, la matrigna,resta prigioniera di una performancescolastica. (m.c.)

C'ERA UNA VOLTA INANATOLIADI NURI BILGE CEYLAN, CON YILMAZ ERDOGAN,TANER BIRSEL. TURCHIA 2011

7Grand Premio Speciale dellagiuria di Cannes, lungo affrescodark e color fango su una

indagine poliziesca piuttosto complicatae abbastanza appassionante. Un giudice,un commissario di polizia e il dottorCemal, diventando sempre piùcomplici, compiono sopralluoghi,interrogatori, indagini d'ogni tipo perritrovare il corpo di un delittoconfessato da un sospetto e da suofratello, mentalmente malato. Tramomenti angoscianti e umorismoinsospettabile. si affrontano uno a uno igrandi problemi della Turchia di oggiche sta scegliendo, il cosiddetto, infido«islamismo di velluto». (r.s.)

CHERNOBYL DIARIES - LAMUTAZIONEDI BRADLEY PARKER, CON DEVIN KELLEY,JONATHAN SADOWSKI. USA 2012

5Adolescenti americani a Kievvanno a trovare il fratello diuno di loro che si è trasferito lì

e che già per questa scelta di vita èconnotato come uno di cui non ci sipuò fidare. Infatti organizza per tuttiuna gita estrema a Chernobyl, zonaproibita e sarà all’origine di tutti i guai.Nella sosta a Prypiat, dove i casermoniabitati dagli operai della centrale sonostati abbandonati, iniziano a succederestrane cose. Come succede semprenell’horror si dividono e ha inizio lacarneficina. Sintesi di documentario ehorror, il luogo ha prodotto nel cinemae nella letteratura russa opere digrandissimo livello, che non possonoessere paragonate con l’esiguità diquesto intreccio. (s.s.)

LA COSAMATTHIS VAN HEIJNINGEN JR, CON MARYELIZABETH WINSTEAD, JOEL EDGERTON, USACANADA 2011

6Matthis van Heijningen Jr. firmaun prequel de La Cosa diCarpenterrispettando le

proporzioni. Sa di essere alla sua operaprima e, certo, non potrà pretenderedalla Universal le nuvole col blu deilapislazzuli. È conscio della grandezzadel predecessore. Tra qualche scaglia dirimpianto e amarezza, il prequeldiretto da Matthis van Heijningen Jr.fugge via nel ghiaccio dell'Antartide conalmeno un paio di sequenze shock.Questa volta sono gli effetti digitali adandare appresso alla paura, c'è tuttal'animatronic e la robotica del caso permettere al mondo qualcosa diold-fashioned. Ma il vecchio artigianatopensato dentro la botola era un'altrafaccenda e ci manca molto. (fi.bru.)

DETACHMENT- IL DISTACCODI TONY KAYE, CON ADRIEN BRODY, MARCIAGAY HARDEN. USA 2011

7Henry Barthes (Adrien Brody)è supplente di letteratura e findal suo primo giorno di scuola

si dimostrerà capace di affrontare lasituazione di violenza e smarrimentodegli adolescenti e frustrazione tra idocenti. In un universo descritto comeimmerso in un dolore da cui non sisfugge, dal passato che torna adossessionare costantemente, ilprotagonista mostra nel suo distacco

scelto come costume di vita, uno stileche fa breccia anche nella mente degliallievi più primitivi. Tony Kaye, inglese,classe ’52, di famiglia ebrea ortodossa èstato autore di spot pubblicitari e clipmusicali per i quali ha vinto un premioGrammy, esordio alla regia AmericanHistory X (’98). (s.s.)

PAURA (3D)DEI MANETTI BROS, CON PEPPE SERVILLO,LORENZO PEDROTTI. ITALIA 2012

1Non è solo il miglior film deiManetti bros, ma anche ilmiglior horror italiano di questi

ultimi anni, li riporta alle loro originirappettare e videoclippare e al piccolohorror rinchiuso in una casa. Unmaniaco, una ragazza indifesa, trecoattelli romani un po’ strafatti. E lacasa del barone dove i tre hannodeciso sciaguratamente di trascorrereun week end da sballo. La vera pauratrionfa nell’uso dello schermo nero in3D con pochi elementi a vista.Divertente nella prima parte e davveropauroso nella seconda. (m.g.)

ROCK OF AGESDI ADAM SHANKMAN, CON TOM CRUISE,JULIANNE HOUGH. USA 2012

1Dal greve e scassato musical diBroadway di Chris D'Arienzo,la regia del ballerino coreografo

Adam Shankman che ha già portatomalamente sullo schermo la versioneteatrale del capolavoro di JohnWatters Hairspray. Sherrie (JulianneHough) sbarca dalla provincia nellagrande città, Los Angeles, tra ifatiscenti locali notturni del SunsetBoulevard. Siamo nel 1987, datadell’uscita del primo disco dei GunsN’Roses ed è ad Axel Rose a cui siispira Tom Cruise, star del rockmetallaro, sessista, ubriacone espompato. Quella che dovrebbe essereuna caricatura diventaun’interpretazione convinta, tantocamp da rendere in film imperdibile.Sprecati invece Catherine Zeta-Jones,Alec Baldwyn e Russell Brand. (g.d.v.)

TAKE SHELTERDI JEFF NICHOLS, CON MICHAEL SHANNON,JESSICA CHASTAIN. USA 2011

7Un film che flirta tra ilcatastrofico, il primo Malick eun diario «on the road». Viene

dal concorso del Sundance e dallaSemaine de la critique a Cannes doveha vinto il Gran Premio della giuria e ilpremio Fipresci. Ambientato nellesterminate pianure dell'Ohio è unostrano squarcio di America rurale conapocalisse imminente. Curtis guardacon preoccupazione le grosse nuvolescure che si addensano nel cielointorno alla sua casa. Anche le sue nottisono popolate da incubi. Ossessionatodalla necessità di proteggere la propriafamiglia Curtis inizia a costruire unenorme rifugio anti tornado. Pianidistesi, ma claustrofobici allo stessotempo, tensione tra il cinema indie el'ambizione del cinema classico. (g.d.v.)

LA VITA NEGLI OCEANIdi JACQUES CLUZAUD - JACQUES PERRIN.DOCUMENTARIO. FRANCIA 2011

8È riproposto solo dal 13 al 20luglio nelle sale del circuito TheSpace questo magnifico film,

non un semplice documentario, ma unviaggio in una dimensione sottoposta aregole diverse e sconosciute, popolatoda esseri che contengono in sé lamemoria dei secoli passati, glossariovivente per il poco che ne conosciamo,di una storia sommersa. Le meravigliedegli oceani, senza il facile richiamodell’antropomorfismo, non fosse per imammiferi che danzano con i piccoli. Ilresto sono luci, colori guizzanti,bocche e ventri, spilli e rocce,geometrie, con una musica simile alcanto delle sirene, al rombo delleprofondità. Un film incantato. (s.s.)

A CURA DISILVANA SILVESTRICRISTINA PICCINO, MARCO GIUSTI,ROBERTO SILVESTRI,GIULIA D’AGNOLO VALLAN,ARIANNA DI GENOVA,MARIUCCIA CIOTTA

FRIGIDAIRE E IL NUOVO MALENUMERI DI LUGLIO AGOSTOSono in edicola i numeri estivi dei duemensili diretti da Vincenzo Sparagna:Frigidaire n. 243 e Il nuovo Male n.9.Frigidaire n. 243 (tabloid a colori invendita a 3 euro, copertina di DavideRaimondi) si apre con una riflessione deldirettore su «Il nuovo undergroundnell'epoca della globalizzazione e delweb». Nell’interno da segnalare: ilreportage America spiona di PaoloPontoniere sull’abnorme sviluppo delleorganizzazioni private impegnate nellospionaggio interno; dalla Turchia FilippoCicciù sulla battaglia civile per difendere l’aborto legale dalle spinte integralisteislamiche; un viaggio in Val di Susa di Sacha Biazzo e Simone Chierchini tra chi sioppone al Tav. Oltre ai racconti, recensioni, fumetti. Ne Il Nuovo Male n.9 (2 euro emezzo), copertina di Giuseppe Del Buono, editoriale di Tersite, storicoprotagonista de Il Male dal ’78, sulle «resurrezioni in vita» con grande vignetta diGiuliano, una raffica di fumetti, vignette, invenzioni e scritture paradossali. Dasegnalare Grigliata sociale, parodia politica su Monti e la Fornero, di Marco Pinna eCarlo Gubitosa, Accionavich, di Joe Trozky e Stickyboy, fino a Oscar Sacchi, chedisegna dalla sua tenda di terremotato in Emilia. e il falso/vero Libero.

TURN UP THE RADIOUsa, 2012, 5’13”, musica: Madonna, regia:Tom Munro, fonte: Repubblica.it

4Non c’è un’idea dietro senon quella di Madonna chese ne va in giro su una

decappottabile con conducente perle strade di Firenze, nel Mugello enei dintorni di Galliano, contornatada fans e da una corte di performer(perlopiù afroamericani) in abitibizzarri. Un’aria vintage, fotografiadecolorata, immagini «rubate» colpubblico vero per rendere il tuttopiù autentico, ma una messa in scenae un montaggio decisamente banali,come quando non si ha nulla dipreciso da dire. Il tocco ironico edemitizzante del finale non migliorale cose, con la frase finale detta invoice over dall’autista: «La festa èfinita adesso allacciati la cintura,stronzetta».

LEMONADERomania, 2012, 3’30”, musica: Alexandra Stan,regia: Iulian Moga, fonte: Mtv Dance

6Nella sua cucina dall’arredovagamente pop, Alexandraprepara una fresca limonata al

ralenti, mentre per strada c’è aria difesta con ragazzi e ragazze cheballano, come fossero usciti da unmusical anni ’60. Il colore lascia poi ilposto gradualmente al bianco e nero.Lemonade promette all’inizio unospunto narrativo poi disatteso (lapresenza di due tizi che sembranopoliziotti) e tutto si riduce ad ungradevole gioco di scenografia efotografia (buoni i tagli di luce nelfinale). Molto belli anche i titoli ditesta. Il singolo è la hit per l’estate2012 della popstar rumena.

PROTECTIONUk, 1995, 6’30”, musica: Massive Attack, regia:Michel Gondry, fonte: Youtube

8È sera, la macchina da presaaccompagna su unmontacarichi Daddy G.

Marshall e sua figlia, per poi lasciarlie vagare per i vari appartamenti diun bizzarro condominio, dovetroviamo anche la vocalist TraceyThorn e Robert Del Naja, l’altrocomponente dei Massive Attack.Gondry lascia che lo sguardo siperda in spazi dalle prospettivefalsate abbracciando, in un unicopiano-sequenza, tutta l’umanità,«protetta» dal calore delle muradomestiche, concludendocircolarmente questo piccolocapolavoro. L’effetto un po’ irrealedei gesti compiuti dai personaggi èdato dal fatto che alcune stanze delpalazzo (ricostruito totalmente instudio) sono disposte in orizzontale,quindi le pareti sono il pavimento eviceversa. Anche in era digitale unpoeta della visione come Gondrycontinua ad usare trucchi artigianaliche risalgono al cinema muto, conrisultati eccelsi.

GONDRYPOETA DIGITALE

MAGICO

I FILM IL FILML’ESTATE DI GIACOMODI ALESSANDRO COMODIN, CON GIACOMO ZULIAN, STEFANIA COMODIN. ITALIA BELGIO FRANCIA2011Estate sul Tagliamento, campagna, boschi, bagni nel fiume, spazio ritagliato su due solipersonaggi, un ragazzo e una ragazza, compagni di giochi da inventare. E intornoanche il silenzio: i fruscii delle foglie, le parole, le cicale Giacomo non li sente, haproblemi di udito, vediamo il suo apparecchio acustico mentre suona la batteria aperdifiato nella prima scena, ripreso di spalle alla maniera dei Dardenne. La camera losegue anche en plein air con l’amica Stefi mentre percorrono viottoli alla ricerca delfiume, lungo prologo che ci fa scoprire i diversi caratteri, lui dall’accento incerto trafrancese, friulano e quel poco di incertezza data dalla difficoltà di sentire. Impavida lei,padrona della natura. Una pastorella e un fauno, una rilettura dell’arcadia in chiavecontemporanea con quel tanto di turpiloquio con cadenza friulana a dare gusto eintimità ai dialoghi. Anche le punture delle ortiche risulteranno dolci ricordi, come ipomeriggi ad ascoltare i Chemical Brothers, la serata alle giostre. E anche seGiacomo non sa essere felice, se il suo corpo salta, gioca, inventa, imparerà aimmergersi nella sua estate dei diciassette anni fino a provare la felicità assolutacatturata in un ritorno a casa in bici, al tramonto. Ci saranno poi altre avventure finoal salto che chiuderà per sempre le porte del paradiso perduto. Bellissimo filmd’esordio ritmato come un pezzo musicale dove melodia e brividi hanno lo stessovalore, e i secondi erano il vero tesoro di quelle estati. (s.s.)

ANTONIO REZZAFLAVIA MASTRELLACALENDARIO ESTIVO«Assistere ai vostri spettacoli è comeportare il cervello all’autolavaggio»,scrive un fan sul sito dei creatoriperformer cineasti poeti artisti ora intournée estiva. Una data da ricordareper quelli che sono in vacanza in Pugliaè l’appuntamento a Bisceglie lunedì 13e mercoledì 15 agosto alla Chiesa di S.Margherita (ore 19 interno dellachiesa, ore 21 sagrato) con laretrospettiva dedicata al cinema(ingresso libero) e anche con il teatro,il 14: Doppia identità elevata al superficiale (nella foto) all’anfiteatro Mediterraneo,«viaggio a ritroso nei temi trattati nel tempo che hanno avuto l’omosessualità alcentro dei pensieri». Gli spettacoli teatrali: Io a Pescara, il 30 luglio alteatro-monumento Gabriele D’Annunzio, Pitecus a Paliano (Frosinone) 3 agosto,il mondo dai tanti personaggi tra cui spicca Gidio nel fulgore scenografico di artepovera, il frullatore di 7 14 21 28 a Nettuno (Roma) il 12 agosto, Pitecus a Collidel Tronto (Ascoli Piceno) il 24 agosto, in occasione di «In visibile festival divideo arte, Pitecus a Pescasseroli (17) piazza Duca degli Abruzzi con ingressogratuito. (s.s.)

SONO TUTTO CIÒ CHE VEDIATTRAVERSO I TUOI OCCHI(AA. VV., ARPANET ED., PP. 96, euro 9,00)Più che un libro è una piccola,avvincente cavalcata di racconti. Unacavalcata silenziosa in un mondo tantointangibile, quanto variopinto: quellodei social network. Storie vere,eppure in un certo senso maiaccadute, per un viaggio in cui realtà efantasia si intreccianospericolatamente tra le iperfetazionidel proprio Io e le sue improvvise, avolte rocambolesche, contrazioni.Incontri in chat, suggestioni,ossessioni, verità e menzogne, scorrono nelle trame di questi dodici breviracconti, come un fiume invisibile che racconta la vita quotidiana, senza mairinunciare alla ricerca dell’iperbole fatale, di certi attimi magici. Dodici storie,scritte da altrettanti autori, che avvengono dunque tutte alle frontiere fra ilmondo reale. Un terreno fertile, ma al tempo stesso insidioso. Fra gli altri,essenziale e folgorante, spicca quello di Sabato Cuomo (scrittore e attore, fral’altro protagonista l’anno scorso del fortunato Ageroland, pluripremiata operacinematografica di Camilla Cerquetti): un piccolo capolavoro il suo – che dà iltitolo all’intero libro – capace di riconciliarci con un genere sempre più delicatoda affrontare, quale è appunto quello del racconto breve. (Flavio Pagano)

SINTONIE

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di ROBERTO PECIOLA

Abbiamo spesso parlato, su questepagine, di alcuni «guitar heroes», daJimi Hendrix a Eric Clapton, da TonyIommi a Jimmy Page e via dicendo.Tutta gente che ha lasciato segniindelebili e che ha ispiratogenerazioni di chitarristi futuri.Quello che però non tutti sanno è chea loro volta essi stessi si sono rifatti ehanno seguito le orme di musicisti icui nomi, a parte qualche eccezione,alle nostre orecchie dicono poco oniente, che però ritroviamo dietro adalcuni brani che hanno fatto la storiadel rock, del soul, del blues e del popcome li conosciamo oggi. In questerighe vogliamo riportare alla memoriaalcuni di questi «grandi» del passato,dieci personaggi di cui raccontaregesta, canzoni, tecniche e soprattuttomotivi di ispirazione.

Partiamo con un nome che non hacerto bisogno di presentazioni. Lui èstato «il» rock’n’roll. Scrivendocanzoni memorabili e immortali

come Roll Over Beethoven, Johnny B.Goode e Maybellene, e con il suo stileinnovativo, che includeva anchel’utilizzo di frasi solistiche, hacelebrato il definitivo passaggio dalrhythm’n’blues al r’n’r. Formatositecnicamente con il blues - il suomodello era il noto bluesman T-BoneWalker- Chuck Berry ha vistoincrociare i suoi destini anche, daafroamericano, con il country, ilgenere più in voga negli anniCinquanta tra i bianchi della sua cittànatale, St. Louis. Si contano decine edecine di chitarristi che riconosconoin Berry uno dei loro più grandiispiratori e tra questi spiccano KeithRichards dei Rolling Stones che haamato a tal punto lo stile tanto dapresentarsi spesso sul palco con unaGibson Es-335, lo strumento principeutilizzato a suo tempo prorio dal redel rock’n’roll, e Eric Clapton, che piùvolte ebbe a dire che chiunque vogliacimentarsi con il r’n’r alla fine dovràvedersela con il modo di suonare diChuck Berry...

Tra i grandi ispiratori di Richardsspicca un altro nome, quello di ScottyMoore. Non meno importante einfluente, ma certamente oscuratodalla ingombrante presenza di Presleye dal suo carattere introverso, Mooreè l’eccezionale chitarrista che si celadietro ai successi di canzoni qualiHound Dog, Heartbreak Hotel e moltealtre hit che accompagnarono Elvisall’inizio della carriera. Considerato ilprecursore dei chitarristi solisti(Presley, al contrario di Chuck Berry,non era un «lead» ma usava la suachitarra solo come ritmica, lasciandoa Moore l’incombenza dei soli, alcunidei quali hanno fatto leggenda), ilmusicista del Tennessee utilizzò esviluppò una tecnica fingerpicking(tra il pizzicato e l’arpeggio)assolutamente nuova per quei tempi,e tra i suoi «allievi» troviamo comeJimmy Page, Bruce Springsteen, JeffBeck, Brian Setzer degli Stray Cats,Mark Knopfler, Clapton e, appunto,Keith Richards, una cui frase inmerito è esplicativa: «Tutti volevano

essere Elvis, io volevo essere Scotty!».Nel 1958 sulle onde radio

americane veniva trasmesso per laprima volta il suono di una chitarra«distorta» e l’utilizzo dei cosiddetti«power chord», in italianotecnicamente bicordi. Il brano inquestione, che è anche una delleprimissime hit strumentali dellastoria, si intitolava Rumble ed erastato scritto dal chitarrista e autore, diorigini nativo-americane, Link Wray.Wray, morto nel 2005, può esserequindi a ragion veduta consideratoun precursore dell’hard rock, infatti fuproprio a quel sound così potente einusuale che Dave Davies dei Kinks siorientò per trovare poi quello chesarebbe stato a tutti gli effetti il primovero brano di rock «duro», You ReallyGot Me. A Link Wray devono moltoanche altri grandi della musicamoderna, oltre ad alcuni dei solitinoti si possono citare anche NeilYoung, Marc Bolan dei T-Rex e MarcoPirroni, chitarrista di Adam and TheAnts. Una piccola curiosità che

Dalla tecnica «hybrid picking»di James Burton alle incredibilicorde del «re del surf» Dick Dale.Ecco i musicisti che con il lorostile e le loro canzoni hannoispirato i grandi «guitar heroes»

Gli antenatidi Jimi & sociIn questa pagina, nell’immaginegrande Chuck Berry, qui sottoJimmy Nolen. In basso a sinistraHank Marvin, a destra Dick Dale.

MITI ■ VITA E MIRACOLI DI UNA GENERAZIONE DI FENOMENI

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sembra solo sfiorare la questioneartistica ma in realtà fu forse unadelle cause del suo successo. Wrayebbe modo di «servire» la patriadurante la guerra di Corea, e in quellacircostanza contrasse la tubercolosi.La malattia gli costò un polmone el’impossibilità di proseguire lacarriera come cantante, e lo«convinse» a infondere le energiesullo strumento a sei corde... sceltaazzeccata visto che questo gli hagarantito un posto nella RockabillyHall of Fame e tra i primi centochitarristi della storia secondo larivista Rolling Stone.

Altro membro della Rockabilly Hallof Fame (ma, al contrario di LinkWray, anche della ancor più«importante» Rock and Roll Hall ofFame) è James Burton. Per lui bastanoi nomi degli artisti con cui hacollaborato durante gli anni della sualunga carriera, da Presley a RickyNelson, da John Denver a JohnnyCash, da Elvis Costello a EmmylouHarris, da Joni Mitchell a Jerry LeeLewis e tantissimi altri. Insomma unvero gigante, e un «maestro» per imolti discepoli della FenderTelecaster. Tra le caratteristiche chene hanno fatto una icona dellostrumento Burton è ricordato peresser stato il primo chitarrista autilizzare corde da banjo - dallospessore più piccolo rispetto a quelle

fino ad allora normalmente in uso -per incrementare la velocità, e per latecnica cosiddetta «hybrid picking»,che prevede l’uso del plettro e di unao più dita. contemporaneamente o inmaniera alternata. Tra i generimusicali che più fanno propria questaparticolare tecnica ci sono il countrye... il death metal; mentre tra gliinterpreti più noti si ricordano SteveHowe, Tommy Emmanuel, JormaKaukonen e Steve Morse. Chiudiamoil discorso Burton ricordando il branoche più gli ha dato lustro, laceleberrima Suzie Q di Dale Hawkins.

Se James Burton per il suo suonoaveva scelto corde molto «esili», DickDale, conosciuto come «The King ofthe Surf Guitar», al contrario sviluppòla sua tecnica chitarristica con cordemolto più «pesanti» del normale,arrivando a utilizzare un range dispessore che andava dalle .016 per icantini alle .058 per i bassi.Ironicamente a inventare il genere«californiano» per antonomasia fu unartista nato sulla costa orientale, aSouth Boston. Trasferitosi con lafamiglia ancora adolescente nellacontea di Orange, in California, Daleebbe subito modo di cimentarsi convari strumenti - dalla batteria allatromba e all’ukulele - e con lo sportestivo praticato sulle spiagge bagnatedall’oceano Pacifico. Fu questobinomio tra musica e surf che lo

spinse a ricercare qualcosa chepotesse ricordare il suono delle onde,del mare. Una ricerca che lo portò aintrodurre un uso preponderante delriverbero sul suo amplificatore(esclusivamente Fender) alzato almassimo del volume (altrainnovazione per i tempi), un suonoper il quale ancora oggi Dale èuniversalmente noto. Mancino comeHendrix, Dick Dale scrisse e registrò,nel 1961 con il suo gruppo TheDel-Tones, quella che vieneconsiderata la prima canzone «surf»della storia, Let’s Go Trippin’, ma lanotorietà internazionale e il successovero e proprio arriverà l’anno dopocon Misirlou (ripresa poi nel film diQuentin Tarantino, Pulp Fiction), inrealtà un brano greco, classico dellostile rebetiko, portato alla luce per laprima volta nel 1927 da MichalisPatrinos... Tra i seguaci del Dale-style,oltre ai Beach Boys, troviamo anchebluesman del calibro di Freddie King,Stevie Ray Vaughan e Billy Gibbons.Dale, all’età di 75 anni, continua a

girare gli States in lungo e largo con lasua fedele Stratocaster e continua adalzare al massimo il volume del suoamplificatore.

Chi ama il rhythm’n’blues e il soulcerto conoscerà uno dei gruppifondamentali della musicaafroamericana, The 5 Royales, ma permolti questo nome potrebbe direpoco, così come pochi sussulterannoal nome di quello che era il leaderdella formazione della NorthCarolina, Lowman Pauling. Ma se ilsoul ha raggiunto la fama che ancoraoggi lo fa essere uno dei generimusicali più amati e ascoltati, lo sideve anche alle doti di compositore edi musicista di Pauling, che hainventato letteralmente un nuovomodo di suonare risultando un vero eproprio faro per i grandi interpretiche rimodellarono «la musicadell’anima» negli anni Sessanta. Oltread aver scritto di suo pugno alcunegrandi hit quali Dedicated to the One ILove e Think (meglio nota nellaversione di James Brown e da nonconfondersi con il brano portato alsuccesso da Aretha Franklyn), Paulingè stato un grande chitarrista,riconosciuto come tale da molti artisticontemporanei, come Eric Clapton e,in particolare, Steve Cropper,membro della formazione di casaStax (l’etichetta per eccellenza delcosiddetto Memphis Soul), Booker T.& The M.G., nonché collaboratore diOtis Redding, Jeff Beck, John Lennon- tra i tanti - e votato tra i primi 40specialisti dello strumento sempre daRolling Stone e addirittura il secondodi tutti i tempi da Mojo. Il suo albumdel 2011, Dedicated, è proprio unomaggio a Pauling e ai suoi 5 Royales.Dal soul al funk, e dalla fine degli anniCinquanta alla metà dei Sessanta. Inquegli anni a far ballare i ragazzi di

tutto il mondo ci pensava inparticolare - ma non era certo il solo -un personaggio folle quanto genialeche rispondeva al nome di JamesBrown. Alcune sue canzoni restanoancora nella leggenda e le sueperformance dal vivo hanno fattoepoca. Ma a dare corpo e anima aquei brani, oltre a una formidabilebase ritmica e a una sezione fiatimemorabile, c’era anche unparticolarissimo suono, chiamato«chicken scratch» (il graffio dellagallina), opera del chitarrista dellaband che accompagnava Brown inquegli anni, Jimmy Nolen. Nolen, checome idoli aveva mostri sacri delblues come T-Bone Walker, LowellFulson e B.B. King, aveva iniziato lasua carriera al fianco del pioniere delrhythm’n’blues Johnny Otis, per poimettere le sue qualità a disposizionedi James Brown, per il quale ideò unanuova forma ritmica che consisteva inun rapido movimento dall’alto inbasso, e viceversa, su accordi di 7a e9a aumentata o addirittura 16a, comead esempio in Papa’s Got a BrandNew Bag, o nella celeberrima I GotYou (I Feel Good), e che comerisultato finale dava un sound chesembrava fluttuare a metà tra le notegrevi di un basso elettrico e le alte diun rullante e del charleston.Generazioni di chitarristi funk hannoattinto dalla sua lezione - SheldonReynolds degli Earth, Wind & Fire,Nile Rodgers degli Chic, Eddie Hazeldei P-Funk -, ma anche il mondodell’hip hop ha tratto spunto dalla«gallina dal graffio d’oro».

Come abbiamo visto in precedenzacon James Burton e Link Wray, ilrockabilly ha regalato alle scenemusicisti tecnicamente superbi, diimmenso talento e capaci diinventare nuovi approcci allostrumento e sonorità inesplorate. Trai grandissimi di tutti i tempi vaaggiunto e annoverato anche il nomedi Cliff Gallup, leggendario chitarristadei Blue Caps, il gruppo che haaccompagnato per anni GeneVincent. Nonostante la sua carrieraartistica con la band sia durata ilbreve volgere di un paio di anni tra il1955 e il 1956 - alle lunghe tournée eal successo Gallup preferì la tranquillavita matrimoniale e un lavoro per ilsistema scolastico di Chesapeake, unacittadina della Virginia, anche se ditanto in tanto non disdegnò qualcheapparizione sul palco e qualchesessione in studio con Vincent ecome solista - Gallup è entrato didiritto nella Hall of Fame tanto delRockabilly quanto del Rock and Roll,grazie ad alcune memorabiliperformance - in tutto con Vincentregistrò 35 canzoni -, su tutteovviamente quella per Be-Bop-A-Lula.Uno dei marchi di fabbrica del suonodi Gallup è stato un particolareriverbero che egli stesso creòutilizzando delle unità eco assemblatecon parti di vecchi registratori e l’usodella leva del vibrato, leva mossa dal

dito mignolo mentre medio e anulareerano utilizzate a mo’ difingerpicking, contestualmente alplettro, insomma una sorta di «hybridpicking» già menzionato per Burton.A dispetto della sua scarsapropensione alla fama, Gallup haperò rappresentato una icona peralmeno tre dei più grandi chitarristirock di sempre: Eric Clapton, MarkKnopfler e, soprattutto, Jeff Beck, chenel disco del 1993, Crazy Legs (unalbum di cover dei brani più noti diGene Vincent, considerato però dallacritica più un tributo allo stile di CliffGallup che allo stesso Vincent), hatentato, riuscendoci alla perfezione,di riprodurne il suono.

È impossibile però parlare dirockabilly senza citare quello che fusoprannominato proprio «The King ofRockabilly», Carl Perkins. Al musicistanato e cresciuto nel sud degli StatiUniti, nel Tennesse, va ascritta lapaternità di uno dei brani di maggiorsuccesso di tutti i tempi, quel BlueSuede Shoes che molti oggi ricordanonella versione di Elvis Presley ma cheai tempi sconvolse le classificheamericane proprio nella versioneoriginale di Perkins. Il suo modo disuonare univa lo stile country diMaybelle Carter e Chet Atkins con lapassione e le melodie blues e lavelocità del neonato rock’n’roll.Probabilmente la storia del r’n’rsarebbe cambiata se al momento delsuo massimo successo Perkins nonfosse incappato in un grave incidenteautomobilistico sulla strada che loavrebbe portato a esibirsi, un paio digiorni dopo, per lo show televisivo diPerry Como. Quell’incidente bloccòsul nascere la stella di Perkins espianò invece la strada a Elvis che,mentre con la sua Heartbreak Hotelgià lottava per il primato nelle chart,non esitò a «far sua» la stessa BlueSuede Shoes, che divenne così la suaterza hit da Top 40. Da allora in poiCarl Perkins, pur continuando ascrivere e incidere canzoni, non è maipiù riuscito a entrare nelle grazie delsempre crescente pubblicoappassionato di r’n’r, ma quel miticobrano è bastato a garantirgli un postod’onore nella storia della musicacontemporanea. Tra i gruppi e gliartisti che hanno citato Perkins tra iloro ispiratori e che ne hannosuonato i brani, troviamo i Beatles(Paul McCartney è l’attualeamministratore dei diritti delle suecanzoni, detenuti comunque ancoradai suoi familiari), Jimi Hendrix,Johnny Cash e George Thorogood.

A chiudere la lista, dopo una sfilzadi musicisti d’oltreoceano, unchitarrista inglese doc: Hank Marvin.Per comprendere chi sia basterebbecitare il titolo di una canzone, Apache.Marvin è stato infatti il solista degliShadows, la band che haaccompagnato per anni il rockerbritannico Cliff Richard, ma che haavuto un buon momento di gloriacome gruppo strumentale grazieappunto a canzoni come Apache.Imbracciando una FenderStratocaster Marvin, vero nome BrianRobson Rankin, riuscì a creare unsound molto «sognante», grazie a unamiscela ben assortita tra un suonoparticolarmente pulito e un bendelineato effetto eco, aiutato da uncalibrato ma costante utilizzo dellaleva del vibrato, insomma unqualcosa di molto - come si direbbeoggi - \«catchy», che però non gli haimpedito di essere un punto diriferimento per alcuni dei chitarristipiù «duri» in circolazione negli anniSettanta, come Tony Iommi o RitchieBlackmore. Tra i suoi «allievi» siricorda anche gente del livello di PeteTownshend, Santana e M. Knopfler.

PICCOLI AMPLI CRESCONOdi R. PE.Quando si tratta di live act siamo abituati a vedere, da sempre, muri di amplificatorialle spalle dei vari chitarristi. Enormi macchine del suono che spandono nell’ariacircostante centinaia e centinaia di watt, e siamo portati a pensare che quegli stessiampli siano utilizzati anche durante le session di registrazione, ma in realtà nonsempre è così, anzi. Più spesso di quanto si pensi a questi «giganti» vengono preferitipiccoli amplificatori, magari a valvole, che con l’aiuto di un buon microfonoposizionato davanti al cono rilasciano un sound incredibilmente potente. Nella storiadel rock si contano molti esempi «nascosti», si va da Eric Clapton che per registrare

un classico del suo repertorio come Layla, nel 1970, fece uso di un Fender Champdegli anni ’50 dalla potenza di appena 3 watt, a Dave Davies, il quale «ferì» unpiccolo ampli tubolare Elpico, acquistato al negozio sotto lo studio di registrazione,per catturare il mitico suono di You Really Got Me. Un Fender Champ fu utilizzatoanche da Jeff Beck per Cause We Ended as Lovers del 1975, mentre Neil Young è unfedele sostenitore di un Fender Deluxe. Se Steve Cropper deve il suo sound a unFender Harvard, appena più grande del Champ, ma pur sempre un 10 watt con uncono da 10 pollici, Jimmy Page (nella foto) ha invece registrato la maggior parte deiprimi due album dei Led Zeppelin passando attraverso un 12 watt della Valco. Ma aquesta breve lista se ne possono aggiungere ancora molti, da Ted Nugent a JoePerry, da Joe Walsh a Billy Gibbons...

In alto a sinistra Link Wray, sopra CliffGallup con il suo gruppo Blue Caps,Carl Perkins, e a sinistra Lowman Pauling

Qui accanto James Burton,a destra Scotty Moorecon Elvis Presley

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STORIE ■ L’INFLUENZA DEL LEADER AFROAMERICANO SUL RAP ANNI ’80

La seconda vitadi Malcolm X.Rinascita in rima

Other LivesSono in cinque ma sembranoun'orchestra. Tra folk, psichedelia epop.Sesto al Reghena (Pn) DOMENICA29 LUGLIO (PIAZZA CASTELLO-SEXTO'NPLUGGED)Marina di Ravenna (Ra) LUNEDI'30 LUGLIO (HANA-BI)

PlaceboIl rock potente e melodico del trioinglese.Roma GIOVEDI' 2 AGOSTO (IPPODROMODELLE CAPANNELLE-ROCK IN ROMA)Villafranca (Vr) VENERDI' 3AGOSTO(CASTELLO SCALIGERO)

Blonde RedheadIl trio composto dai fratelli Amedeo eSimone Pace e la giapponese KazuMakino.Sestri Levante (Ge) GIOVEDI'2 AGOSTO (TEATRO ARENA CONCHIGLIA)

DestroyerDi nuovo in Italia la indie pop bandcanadese che fa capo a Dan Bejar deiNew Pornographers.Padova SABATO 28 LUGLIO (RADARFESTIVAL)

John FoxxMolti lo ricorderanno come il vocalistdegli Ultravox prima dell’avvento diMidge Ure, torna in Italia con la suanuova band, The Maths. Unica data.

Ancona SABATO 28 LUGLIO (ACUSMATIQFESTIVAL)

Damien RiceIl cantautore irlandese molto deve aLeonard Cohen e Nina Simone.Firenze SABATO 28 LUGLIO (CAVEA NUOVOTEATRO DELL'OPERA)Roma LUNEDI' 30 LUGLIO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE)

Nite JewelAl secolo Ramona Gonzalez, la giovaneartista californiana sulla scia di Lykke Li.Marina di Ravenna (Ra) GIOVEDI'2 AGOSTO (HANA-BI)

Simple MindsLa band scozzese in un concertodedicato ai primi cinque album dellaloro carriera.Grado (Go) SABATO 28 LUGLIO (DIGANAZARIO SAURO)Catania MARTEDI' 31 LUGLIO (VILLABELLINI)

Civil CivicIl garage, e non solo, del duoaustraliano.Lavagna (Ge) SABATO 28 LUGLIO (ZEROFESTIVAL)

TotoIl supergruppo nato alla fine degli anniSettanta, capitanato da Steve Lukather.Lucca DOMENICA 29 LUGLIO (PIAZZANAPOLEONE-SUMMER FESTIVAL)

Majano (Ud) MARTEDI' 31 LUGLIO (AREACONCERTI)

Mulatu AstatkeIl re dell'ethio-jazz torna in Italia.Locorotondo (Ba) SABATO28 LUGLIO (LARGO MITRANO)

AfterhoursTorna dal vivo con i brani del nuovolavoro, Padania, la rock band milanese.Apani (Br) SABATO 28 LUGLIO (TORREREGINA GIOVANNA)

CaparezzaIl nuovo tour del rapper di Molfetta.Senigallia (An) SABATO 28 LUGLIO(MAMAMIA)Giovinazzo (Ba) LUNEDI' 30 LUGLIO(ROCK FESTIVAL)Teramo MERCOLEDI' 1 AGOSTO (PIAZZALENUOVO STADIO COMUNALE)Agrigento SABATO 4 AGOSTO (TEATROVALLE DEI TEMPLI)

Il Teatro degli OrroriIl tour di presentazione dell'ultimolavoro della band veneta, Il mondo nuovo.Tortora (Cs) SABATO 28 LUGLIO(L'URLO DEGLI ENOTRI)Castelfranco Emilia (Mo)GIOVEDI' 2 AGOSTO (FESTA PD)

SubsonicaLa band torinese impegnata nel tourestivo.Sogliano al Rubicone (Fc)

SABATO 4 AGOSTO (PIAZZA MATTEOTTI)

Paolo BenvegnùIl cantautore, ex Scisma e leader dellaband che prende il suo nome.San Sepolcro (Ar) DOMENICA29 LUGLIO (KILOWATT FESTIVAL)

Marlene KuntzDal vivo la rock band piemontese.Cremona MARTEDI' 31 LUGLIO (ARENAGIARDINO)

Offlaga Disco PaxIl trio reggiano in un Gioco di società.Sesto San Giovanni (Mi) SABATO28 LUGLIO (CARROPONTE)

EmiliaRomagnaFestivalLa manifestazione propone Nocheflamenca (domani, Arena delle Balle diPaglia, Cotignola, Ra); Le corde dellamusica (il 2 agosto, Abbazia di Pomposa,Codigoro, Fe); Sonic.Art (il 4, Chiesasan Lorenzo, Varignana-Castel SanPietro Terme, Bo).Comuni dell'Emilia RomagnaDOMENICA 29 LUGLIO, GIOVEDI' 2 E SABATO4 AGOSTO (VARIE SEDI)

MonfortinjazzNon solo jazz per la rassegna. Incartellone il live di Stefano Bollani &Hamilton de Hollanda e a chiudere Elioe Le Storie Tese.Monforte d'Alba (Cn) SABATO

28 LUGLIO E GIOVEDI' 2 AGOSTO (AUDITORIUMHORSZOWSKI)

Supersanto'sFestival indie a San Lorenzo. Incartellone: Il Triangolo + L'Officina dellaCamomilla + Jonny Blitz, Lewis FloydHenry + Big + Mountain County,Wogiagia, Ilenia Bianchi + Cigno +Helena , Roma Termini Orchestra,Monokings, I Mitomani Beat.Roma DA SABATO 28 LUGLIO A VENERDI'3 AGOSTO (PIAZZALE DEL VERANO)

Venice SherwoodFestivalUltime serate con Busy Signal & HiVoltage Band, Sud Sound System +Morgan Heritage, Beres Hammond +Tarrus Riley & Dean Fraser.Mestre (Ve) DA GIOVEDI' 2 A SABATO4 AGOSTO (PARCO SAN GIULIANO)

Rock in RomaIl festival capitolino nell'ultima settimanadi programmazione ha in cartellone ilive di Litfiba, Sonata Arctica e, achiudere, Placebo.Roma SABATO 28, LUNEDI' 30 LUGLIOE GIOVEDI' 2 AGOSTO (IPPODROMO DELLECAPANNELLE)

Indie Summer PartyUltimo appuntamento con Gretels,Cane! e The Taxis.Segrate (Mi) MARTEDI' 31 LUGLIO(MAGNOLIA)

di u.net

«Quando ho iniziato a fare rap io,alla fine degli anni Ottanta, MalcolmX andava alla grande. Tutta la scenahip hop afroamericana era sotto lasua influenza. Andava il suopensiero, la sua voce e il suo stessoportamento estetico (...) Malcolm X,artista della parola, figlio di unpredicatore, rivoluzionario anchenell’uso del linguaggio, offrivaimmagini perfette per l’identitàdella comunità afroamericana». Edè proprio come afferma Militant A,dopo un periodo di declino durantegli anni Settanta, infatti, la figura diMalcolm X visse una sorta dirinascimento culturale con lagenerazione dell’hip hop. Leregistrazioni dei suoi discorsi, iposter, i libri a lui dedicati e, inparticolar modo, il successodell’autobiografia scritta da AlexHaley, esercitarono un’influenzaprofonda sulle idee politiche deigiovani di colore degli anni Ottantadel Novecento.

Paradise Gray, membro fondatoredegli X Clan, riflettendo sulsignificato dell’esperienza diMalcolm per la sua generazioneafferma: «Le condizioni di vita per ineri erano mutate, l’hip hop iniziavaa esser influenzato dalle idee delBlack Power Movement, per viadell’attività nelle strade della Nationof Islam di Farrakhan, dei 5%, dellaZulu Nation con il suo orgoglio neroe, successivamente, del Black WatchMovement. Public Enemy, Paris, XClan, Krs-One, Lakim Shabazz emolti altri gruppi diffondevanoconoscenza e orgoglio attraverso leliriche. E le ingiustizie del sistemacriminale e la brutalità poliziescaerano all’ordine del giorno.L’insieme di quegli elementi creò lecondizioni affinché i discorsi e leidee di Malcolm X trovasseronuovamente terreno fertile epopolarità. Molti artisti iniziarono asostenere apertamente la NoI: unesempio su tutti, Chuck D che inBring the Noise rappa “Farrakhan èun profeta e penso che voi tuttidovreste ascoltarlo”. All’epocaqueste canzoni erano trasmesse siasulle radio commerciali quali KissFm e Wbls, sia su quelleuniversitarie; oltre a ciò i videoerano nella programmazione diVideo Music Box e Yo Mtv Raps,entrando nelle classifiche,vendendo milioni di copie efavorendo ulteriormente ildiffondersi del nome e delle idee diMalcolm X».

È possibile affermare che l'hiphop della Golden Age rappresentavala totalità dell'esperienzaafroamericana nella societàstatunitense, così come la figura e labiografia di Malcolm racchiudeva ilsenso dell'esperienzaafroamericana. Proprio comesostiene Wu Ming 5 nell’articolo«Da Malcolm all’hip hop passandoper Ghost Dog», pubblicato suLiberazione del 27 febbraio 2005, inoccasione dei quarant’anni dallascomparsa del leader nero: «Piccolodelinquente “stilistico” che vive jazz,ballo e sesso come terrenopreparatorio di un'esperienzaspirituale decisiva, zoot suiterpartecipe non così inconsapevole diuna temperie culturale la cui ondalunga condurrà ai movimenti diliberazione dei decenni successivi,convitto che assume la religione insenso identitario e politico, leaderinfluente, oratore efficace, minacciapubblica. Nella biografia di Malcolmc'è tutto. Malcolm ha portato allaluce e reso manifesto un destinoalternativo rispetto a quellodell'America bianca. La sua lezioneè stata declinata nel senso dellasopravvivenza individuale ecomunitaria (...) L'eco delle sueparole è ovunque».

L’icona e l’eco delle parole diMalcolm erano davvero ovunque e ilrap fu certamente tra i massimiartefici del miracoloso politicizzarsidei ghetti neri. Grazie alcampionamento di discorsi di figure

storiche di leader neri, conparticolare riferimento a Malcolm X,molti giovani sentirono quei nomi equelle filosofie per la prima volta.Uno dei primi pezzi musicali acampionare Malcolm X fu No SellOut di Keith La Blanc, pubblicatonel 1983 dalla Tommy Boy, nelquale estratti dei suoi discorsi sialternano su un beat hip hop. Nel1986 Afrika Bambaataa e i SoulSonic Force in Renegades of Funkinneggiano a Malcolm e ad altrileader neri come a dei duri capaci didenunciare le condizioni dei neri inmaniera esplicita, dei veri«renegades of the atomic age».Sempre nello stesso anno i RunDmc ribadiscono il concetto inProud to Be Black: «Like Malcolm Xsaid, I won't turn a right cheek(come ha detto Malcolm X, nonporgerò l’altra guancia)».

Un ulteriore contributo allarinascita del messaggio di MalcolmX fu la trasmissione deldocumentario della Pbs Eyes on thePrize (1987), un’analisi dettagliatasul Movimento per i diritti civili.Eyes celebra gli eroi e condanna itraditori della lotta nera in America:per molti giovani della generazionedell’hip hop la visione di quelleimmagini rappresentò un momentostorico di evoluzione della coscienzapolitico sociale; la retorica e isimboli del Black LiberationMovement degli anni Sessantaebbero una profonda influenzaproprio sugli artisti più «conscious»dell’epoca - Public Enemy, Krs-One,Queen Latifah, X Clan, BrandNubian e Poor Righteous Teacher.

Proprio il secondo storico albumdei Public Enemy, It Takes a Nationof Millions to Hold Us Back,

contiene un’abbondanza di estrattidai discorsi di leader neri, conparticolare attenzione per Malcolm.In Bring the Noise, pezzo inclusonella colonna sonoradell’adattamento cinematograficodel romanzo di Bret Easton Ellis,Less than Zero, i Public Enemycampionarono il discorso Messageto the Grassroot, inserendo ad artenell’intro l’intimazione, «Too black,too strong». E in Party for YourRight to Fight Chuck D denuncia leoperazioni clandestine ad opera diFbi, Cia, esercito e polizia locale perdistruggere le forze di opposizionesociale, con un accanimentoparticolare nei confronti delleorganizzazioni nere, rappando su J.Edgar Hoover che... «had King and

X set up».Lo stesso anno, l’88, l'anno d’oro

dell’hip hop, uscì il disco-manifestoBy All Means Necessary, conKrs-One che in copertina riprendela famosa foto di Malcolm X, ma laattualizza, facendogli indossare unatuta da ginnastica al posto di giaccae cravatta e una mitraglietta uziinvece del fucile automatico. Ilmessaggio sembrava cruento perattirare i più estremi ma all’internole parole dicevano: «Bisognafermare la violenza tra di noi conogni mezzo necessario». L’enormepopolarità dei Public Enemy e diKrs-One, nonché la loro forteidentificazione con l’immagine e ilmessaggio di Malcolm X, fecero sìche molti altri artisti includessero illeader nero nella propria musica.

Tra i numerosi esempi di utilizzodei campioni di discorsi di MalcolmX troviamo Lakim Shabbaz checampionò sample da The BlackRevolution nel pezzo Black Is Back(1989) o Self Destruction (1989)dello Stop the Violence Movement,che conteneva estratti di unalecture di Malcolm, e il cui videomusicale dava ampio risalto adalcuni murali raffiguranti Malcolmche facevano da background allaperformance degli artisti. Paris, inBreak the Grip of Shame del 1990,inserì una delle minacce più noterivolta alle strutture del potere:«Affermiamo il nostro diritto diuomini su questa terra, di essereumani, a esser rispettati come esseriumani, ad avere i diritti di qualsiasiessere vivente su questo pianetaoggi, cose che intendiamo realizzarecon ogni mezzo necessario». E l’hiphop in quei giorni interpretava alivello culturale proprioquell’aggressione che Malcolmaveva intimato.

Alla fine degli anni OttantaMalcolm X dominava l’ispirazionedelle liriche hip hop così come lamusica di James Brown alimentavai sample dei campionatori. Ilsuccesso commerciale del film X diSpike Lee del 1992, associato allacelebrazione di Malcolm comehomeboy, crearono il contesto perquel fenomeno che lo storicoRussell Rickford ha definitioMalcolmology. Malcolm eradiventato un’iconadell’immaginario popolare e unadelle poche figure a emergere dallatradizione nazionalista/separatistanera per esser accettato nelpantheon delle leggende delmovimento per i diritti civili.

RITMI

ON THE ROAD

Public Enemy,Krs-One e X Clansono tra gli artistiche hanno attintomaggiormenteal messaggiodel portavocedella Nationof Islam

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I Suoni delle DolomitiIl festival trentino ha in cartelloneQuartetto di Cremona (oggi, BaitaPremessaria, Paneveggio, Val di Fiemme,ore 11 e ore 15; domani Carigole,Paneveggio, Monzoni-Bocche, Val diFiemme, ore 14)); Paolo Fresu e DanieleDi Bonaventura (il 30, Malga Spora,Altopiano della Paganella, Dolomiti diBrenta); California Guitar Trio (il 31,Tremalzo, Passo Dil-La Viola, Valle diLedro); Dobet Gnahoré (il 2 agosto,Forte Corno, Adamello, Valle delleChiese), Mario Brunello (il 3 e il 4, BaitaPremessaria, ore 11 e ore 15).DOLOMITI DA SABATO 28 LUGLIOA SABATO 4 AGOSTO (VARIE SEDI)

Luglio suona beneUltima parte del festival con: Pink Martini,Keith Jarrett/Gary Peacok/JackDeJohnette (in Sala Santa Cecilia), DamienRice, Buena Vista Social Club, Noemi echiusura con Alex Britti e Stefano DiBattista Sextet.Roma SABATO 28 LUGLIO A GIOVEDI' 2AGOSTO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)

Lucca Summer FestivalLa rassegna chiude la programmazionecon Giorgia + Tony Bennett e i Toto.Lucca SABATO 28 E DOMENICA 29 LUGLIO(PIAZZA NAPOLEONE)

Vox MundiAncora due appuntamenti per la rassegnadi «Musiche dei popoli della terra», il

primo vede la presenza della vocalistbrasiliana Rosalia De Souza, ilsecondopropone il gospel di CharlieCannon con special guest il Sisters andBrothers Gospel Choir Ensemble.Magliano in Toscana (Gr) SABATO28 LUGLIO E VENERDI' 3 AGOSTO

City SoundIl programma del festival milanese sichiude con il concerto di Alice Cooper.Milano LUNEDI' 30 LUGLIO (IPPODROMO DELGALOPPO)

Remember Woodstock1969Secondo festival della musica d'autoreitaliana, musica non stop anni '60/'70. Inprogramma in serata Le Orme e Bancodel Mutuo Soccorso (stasera), Equipe 84e Il Mito New Trolls (domani).San Giovanni in Marignano (Rn)SABATO 28 E DOMENICA 29 LUGLIO (PARCO ISOLADI BRESCIA)

ChamoisicGiornate di musica contemporanea edeclettica nella valle del Cervino. Il festivalapre alle 17 con MassimoGiovara-Giorgio Li Calzi, a seguire BandaOsiris in Fuori tempo.Chamois (Ao) SABATO 4 AGOSTO (PIAZZA)

Sexto 'npluggedIl festival chiude con Olafur Arnalds + MyBrightest Diamond with Acousticensemble e Other Lives + Fanfarlo.

Sesto al Reghena (Pn) SABATO 28E DOMENICA 29 LUGLIO (PIAZZA CASTELLO)

ArenasonicaDodicesima edizione della rassegna. Inprogramma: Ettore Giuradei (stasera),tributo ai Rolling Stones (domani), JimJones Revue (unica data, il 3 agosto) eMovie Star Junkies + The R's (il 4).Brescia SABATO 28, DOMENICA 29 LUGLIO,VENERDI' 3 E SABATO 4 AGOSTO (ARENA PARCOCASTELLI)

Summer JamboreeRiapre il consolidato festival marchigianodedicato al rock'n'roll e alla culturadell'America anni Quaranta e Cinquanta. Ilprimo appuntamento è con Narvel Felts.Senigallia (An) SABATO 4 AGOSTO (FOROANNONARIO)

Strade BluIl festival ha in cartellone Sacri Cuori +Woody Jackson e Damien Jurado.Codignola (Ra) SABATO 28 LUGLIO(ARENA DELLE BALLE DI PAGLIA)Marina di Ravenna (Ra) VENERDI' 3AGOSTO (HANA-BI)

Dromos FestivalPrime giornate del festival. Si parte oggicon Omar Sosa e si prosegue il 31 conConcha Bulka, il 2 agosto con HughMasekela, il 3 con Frente Cumbiero +Quantic e il 4 con Vincente Amigo.Oristano e provincia DA SABATO28 LUGLIO A SABATO 4 AGOSTO (VARIE SEDI)

Roma incontrail mondoLa stagione musicale al laghetto di VillaAda arriva alla fine con la ormai classicafesta di chiusura affidata a Daniele Sepe.Roma SABATO 28 LUGLIO (LAGHETTODI VILLA ADA)

Orsara Musica JazzFestivalPer la XXIII edizione quattro giorni diconcerti, apertura con l’Orsara JazzStudent Performance, seguita dallospettacolo Io, Mina e le altre con NickyNicolai e Stefano Di Battista Quartet cuisi aggiunge come ospite Jerry Bergonzi,che sarà protagonista della secondagiornata con Lucio Ferrara, AntonioCiacca, Steve Kirby e Greg Hutchinson(omaggio a Monk). Penultimoappuntamento con Italian Surf Academy el’ensemble guidato da Rino Zurzolo.Finale con il concerto degli allievi deiworkshop, l’assegnazione dei «LuckyAward» e l’esibizione del quartetto diJonathan Kreisberg.Orsara di Puglia (Fg) DA MERCOLEDI'1 A SABATO 4 AGOSTO (LARGO S. MICHELE)

Festival Jazzdi ValmontoneDiretta da Riccardo Fassi, la rassegna ègiunta alla sua IV edizione. Nel cartelloneil sassofonista afroamericano GaryThomas, in quartetto, il trombonista MarkNightingale con il Max Bone VibesQuartet, l’@larm Quartet della cantante

Michela Lombardi, l’Organ Quartet diFabio Morgera ospite Francesco Bearzatti.Valmontone (Rm) SABATO 28 LUGLIO,VENERDI' 3 E SABATO 4 AGOSTO (PALAZZO DORIAPAMPHILJ)

Fano Jazz by the SeaL’ultimo appuntamento della rassegnavede il gruppo V-Funk del bassista VictorBailey in una suggestiva località.Acqualagna (Pu) DOMENICA 29 LUGLIO(GOLENA DEL FURLO)

Atina JazzAppuntamenti finali per la rassegna con ilconcerto-evento Jam ObSession che vedeLuca Aquino, Claudio Coccoluto e EnzoPietropaoli, chiusura affidata al vocalesedei Manhattan Transfer.Atina (Fr) SABATO 28 E DOMENICA29 LUGLIO (PIAZZA MARCONI)

Peperoncino JazzLa rassegna - diffusa in un ampio territorio- propone Tore Bruborg e Mari Kvien insolo, Dag Arnesen Trio, Kenny WernerTrio e Francesco Bearzatti.Province di Cosenza e CrotoneDA SABATO 28 LUGLIO A GIOVEDI' 2 AGOSTO(VARIE SEDI)

Jazz FestivalUltimi appuntamenti con la rassegna. Incartellone il gruppo di Enzo Pietropaoli eil New York Quartet di Roberto Gatto.Roma LUNEDI' 30 E MARTEDI' 31 LUGLIO(CASA DEL JAZZ)

IL SOULSPUNTA A NORD

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPAGIANLUCA DIANAMARIO GAMBAGUIDO MICHELONEROBERTO PECIOLAMARCO RANALDI

Avviso ai patiti di soul e soprattuttonorthern soul, quello stile uptempo,ritmicamente incalzante, colmo di fiati cosìdenominato in riferimento ai locali delnord della Gran Bretagna che da fineSessanta si erano invaghiti del genere. Ilsito http://www.soulsides.co.uk/ consentedi fare un po' di ordine nella ridda diristampe che da anni affollano il mercato:dal r&b delle origini al northern esouthern soul, dallo sweet soul al funk edeep soul. Una sinfonia di dati, etichette enumeri di catalogo che riempie il cuore. Ilsito offre, ad esempio informazioniaccurate sui ricercatissimi TheValentines che nel '70 pubblicaronoBreakaway, singolo ultraritmato (l'originalevale quasi 150 sterline) con un grandevalore aggiunto: il verso «mantieni la fede»(just keep the faith). E di seguito: «perchédovremmo aspettare, c'è un posto per mee per te, supereremo la prova, farò delmio meglio». A metà tra inno alla famigliae spirito religioso, in realtà il testo valesolo per quel «keep the faith», da sempreslogan dei party northern soul, abbinato disolito a un pugno chiuso e spiattellato suuna teoria di t-shirt, poster, volantini,etichette, eventi in tema. L'etichetta che lodiede alle stampa si chiamava Sound Stage7; si trovava a Hendersonville, Tennesseee fu attiva fino al 1975. Già da dieci anniera dedita a un soul effervescente che neltempo continua a riaffiorare in una sfilza diristampe. Tra i club che popolarizzarono ilconcetto di northern soul, il WiganCasino di Wigan (Manchester), apertodal 1973 al 1981, immortalato neldocumentario This England e celebrato dauna commedia teatrale, Once upon a Timein Wigan, ancora oggi in scenaregolarmente. La storia del Wigan ècolma di artisti che vi si esibirono (daJackie Wilson a Edwin Starr), di serateincalzanti fino alle 6 di mattina, di pezziprediletti (da quello dei Valentines alpacato Time Will Pass You By di TobiLegend), di file interminabile fuoridall'ingresso. Tra le canzoni più ballate nelclub Don’t Take It Out on the World (OuttaSight OSV 060; 2012) degli Adam’sApples, appena ristampato. Uscì nel 1967su Brunswick, storica etichetta di Chicago.La stessa label ripubblica I Get the SweetestThing/I'm the One to Do It (Outta SightOSV 061); il primo pezzo - una cover delbrano di Jackie Wilson - è eseguito daErma Franklin, sorella maggiore diAretha; il secondo è cantato da LaverneBaker. Strappalacrime. Tra i produttori/remixer nostrani più attenti a riletturesoul e funk c'è sicuramente Suonho(Tommaso Berardocco) tornato da pococon Soul, avvincente rework di A Little Bitof Soul di Aretha Franklin, realizzato incoppia con Smov. Altro titolo appenaimmesso sul mercato è Suonho in Brasil Vol1 (SIB 001) in cui rilegge pezzi di MiltonBanana Trio, Elsa Soares, Oscar Brown Jr.e João Donato. Su tutto Barra limpa,omaggio a Oscar Brown Jr. Quattrococktail latin & bossa, lievi, freschi, evoluti.

Dove va il jazz, oggi? Domanda che,probabilmente, gli appassionati si fanno daun'ottantina d'anni. Però, in questo difficileaffaccio sul terzo millennio, non èquestione peregrina. Intanto, si possonofare begli ascolti dalle etichetteindipendenti, le più attente al nuovo checerca una via. Come la statunitenseCuneiform, che agisce sia in campo jazz,sia in zone ascrivibili all'art rock. Incatalogo ha ad esempio il grandeWadada Leo Smith: che con TenFreedom Summers pubblica la sua operapiù ambiziosa e svettante, quattro cd cheraccontano ancora una volta (conquartetto jazz e ottetto «classico») la lottaper l'emancipazione degli afroamericani.La bassista e vocalist norvegese leader deiPixel Ellen Andrea Wang proponeinvece in Reminder un ruggente quartettosenza piano, con la levigatezza dei gruppidi Mulligan e il piglio acido dell'indie rock.Un'intensità che si ritrova anche nelgruppo Positive Catastrophe, «tentet»che riunisce molti dei musicisti piùavventurosi del jazz di New York (anche«salseros»): per un jazz «post-mingusiano» in Dibrujo, Dibrujo, Dibrujo,davvero palpitante. (Guido Festinese)

Ciò che accomuna tre dischi tra lorodiversi nei contenuti e nei risultati, è ilforte desiderio di alcuni musicisti europei,vicini al free, di omaggiare spiccatepersonalità del secondo Novecento. Gliomaggiati John Cage (1912-1992),Karlheinz Stockhausen (1928-2007) eJohn Coltrane (1926-1967) a loro voltaaccostabili per la ricerca a oltranza, con unfurente antiaccademismo che li spingeva aconfrontarsi con alea, teatralità,improvvisazione. Compositori i primi due,jazzman il terzo, nei cd One. John CagePiano Music (Silta Records) di GianniLenoci, Music fur Kommende Zeiten ByKarlheinz Stockhausen (Silta) dell’IntuitiveMusic Quartet, Thank You John Coltrane(Slam) di Paul Dunmall e TonyBianco, si va verso un approcciojazzistico con performance oltranziste chein One si attengono scrupolosamente allepur libere partiture, mentre in FurKommende Zeiten si può parlare di vera eproprio riscrittura performativa perorganico ridotto rispetto all’originale;infine il repertorio del grande tenorista èriletto come un tributo alle esperienze induo con Rashied Alì mediante un dialogoserratissimo. (Guido Michelone)

JAZZ

Le ambizionidella «catastrofe»

SPERIMENTAZIONE

Disinvolteincompatibilità

TRIBUTI

Novecentoin libertà

BLUES

Dirty Dozen,marcia trionfale

2:542:54 (Fiction/Coop Music)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L’ep che anticipava l’album didebutto, appena qualche mese fa, non ciaveva convinto, e abbiamo approcciatoquesto omonimo disco delle sorelleThurlow, irlandesi di nascita ma di stanzatra Bristol e Londra, con poche speranze.Previsione errata, e ne siamo felici, perché2:54 è un gran bel lavoro, intenso, cupo, atratti graffiante, altre estremamente dolce,grazie alla voce e alla sensualità di Colette,ma anche alle chitarre dark wave diHannah, coadiuvate da una base ritmica almaschile. E come garanzia Rob Ellis allaproduzione e Alan Moulder al mix, vibasta? (r.pe.)

BRIAN BYRNEALBERT NOBBS (Varese Sarabande)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Byrne ricalca con clangore eleggera dolcezza di sofferenza la storiaumana, infinitamente definitiva di unadonna con la prerogativa maschile.Ricalca, segna, affonda, risolve l’angoscia dichi non esiste. Non c’è musica che possanarrare il dolore della perdita dellapropria identità riflessa. Saudade. (m.ra.)

CLAUDIO COJANIZTHE HEART OF THE UNIVERSE (Caligola/Ird)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Registrato in trio (l’A.P. Trio) conil contrabbassista Alessandro Turchet e ilbatterista Luca Colussi, il nuovo lavorodel pianista, compositore e band-leaderfriulano (a Udine per Udin&Jazz l’esordio,il 26 giugno, dell’orchestra Red Devils) sipresenta come un concept album di tonocosmico ma è in realtà un appassionatoomaggio a «madre Africa». Un Cojanizmai come in questa occasione vicino,mettiamo, a un Abdullah Ibrahim.Procedimenti privilegiati per accordimassicci e sensuali, un fraseggiaresecondo l’idea dell’improvvisazionetematica. Solo in Willy/Webern si sfoggiauno spregiudicato approccio ai saporiavant-garde e all’atonalismo. (m.ga.)

DDG PROJECTCHAOS (Aliante)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Chaos è il primo album del DdgProject, nato tutto intorno alla figura diDdg, polistrumentista, cantantepercusionista, che ha costruito intorno asé un gruppo formato da musicisti comeCora Coleman e Josh Dunham (sezioneritmica di Prince e Beyoncé), ilpercussionista Giovanni Hidalgo, iproducer Dave Pemberton, SimonGogerly, Jerry Boys e John Keane. Moltoradiofonico - nel senso buono del termine- in un'epoca in cui in radio passano i solitiraccomandati. Scelta difficile ma le canzonici sono e prendono sin dal primo ascoltograzie a un mix spesso irresistibile disuoni molto anni Ottanta (i Dire Straitssono dietro l'angolo...) e pop funk. (s.cr.)

ABBEY LINCOLNSTRAIGHT AHEAD (American Jazz Classics/Egea)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Sembra quasi la rispostaparallela al We Insist! Freedom NowSuite (1960) del marito Max Roach,qui presente, un anno dopo, assieme aimmensi solisti come Eric Dolphy,Coleman Hawkins, Mal Waldron,Booker Little. Il batterista approccia iljazz con la veemenza etno-politica,mentre la vocalist ne rilegge la storiainsistendo parimenti sulla profondanegritudine, aggiungendo parole alle

musiche di Thelonius (Blue Monk), diWaldron (la title track) o cantandoRandy Weston su testi del poetaLangston Hughes. Stile asciutto,rigoroso, a tratti melanconico: ancoroggi in assoluto il miglior album dellacantante scomparsa ottantene nel2010. (g.mic.)

ESMERALDA SCIASCIARIDERE (Fmr/Cni)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ La musica di EsmeraldaSciascia è uno dei segreti megliocustoditi dell'eccellenza autorale

italiana: pur avendo calcato centinaiadi palchi, il suo nome meriterebbeesposizione totale. È forse la migliorevocalist italiana che sappia affrontare irepertori della Santeria cubana eun'ottima percussionista, ma quandoriunisce attorno a sé amici jazzisti (adesempio Claudio Lugo e AndreaLanza) tira fuori una incredibile«canzone d'autore» in cui schegge diitaliano incontrano le lingue africane,lo spagnolo dialoga col francese. Nonassomiglia a nessuna: mettetevi inascolto. (g.fe.)

South Memphis String Band eranoJimbo Mathus, Luther Dickinson e AlvinY. Hart. Ora si è aggiunto anche JustinShowah, bassista e già patron dellaHillCountry Records. E il loro secondodisco Old Times Here..., pubblicato dallaMemphis Int'l, è nel solco tracciato dalfulminante esordio. String band di untempo quindi: non aggiungono nulla diche ma suonano benissimo, come inJimbo Jambo Land e Just Like a Monkey.Eric Lindell, chitarrista californiano dallacorposa discografia nonostante sia soloclasse 1969, pubblica per la Alligator ilnuovo I Still Love You. Una mezzadelusione: suoni troppo edulcorati efrancamente già sentiti, molli, privi diverve e di appeal. A salvarsi è il solo jumpblues di Loves Gonna Live Here. DirtyDozen Brass Band di nuovo sugliscudi. Con il loro Twenty Dozen (SavoyJazz) la marching band forse più nota diNew Orleans, prosegue instancabile lasua «marcia», appunto. Bravi come alsolito, ma dal vivo sono decisamenteun'altra cosa. Apici del disco le incisioniJook e Dirty Old Man, sicuramente ibrani più intensi e meglio riusciti dellotto. (Gianluca Diana)

Suggestioni di varo tipo nel primo disco chevede insieme i portoghesi Gala Drop e ilchitarrista statunitense Ben Chasny (SixOrgans of Admittance). Registrato nel corsodi una settimana, nelle tre lunghe sessionche compongono Broda (Gala DropsRecords) si passa con disinvoltura dal postrock al noise, dalla ambient elettronica allasalsa, sperimentando mondi sonori a volte,apparentemente, incompatibili tra loro. Lasperimentazione è il mondo cui appartieneRobert Fripp. Con la sua chitarra e le suemille invenzioni sonore ci ha regalatomomenti di pura poesia, duettando conmusicisti di varia estrazione. Non faeccezione The Wine of Silence (Panygiric),raccolta di suoi brani «Soundscapes»riadattati per orchestra (la Metropol Orkestdiretta da Jan Stulen) da Andrew Keelinge messi insieme da David Singleton. Chilo ama lo segua, la via del Re Cremisi èsempre maestra. Avanguardia e elettronicasono da sempre il pane quotidiano di duemusicisti tedeschi, Dieter Moebius eAsmus Tietchens, ma non avevano maicollaborato. Lo fanno oggi con l’omonimoalbum, tredici brani di musica astratta ecoinvolgente, se siete disposti a entrare nelloro inquietante mondo... (Roberto Peciola)

DI EDO IRMIN

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I FUORICLASSE

di LUIGI CAVALLARO

●●●Fresco di vittoria del BancarellaSport 2012, è davvero un bel libroquello che Gianfelice Facchetti hascritto per ricordare suo padreGiacinto, che il 18 luglio scorsoavrebbe compiuto 70 anni (Se no chegente saremmo. Giocare, resistere ealtre cose imparate da mio padreGiacinto, Longanesi, pp. 182, 14 euro).È un libro gentile, delicato, in cui leemozioni e i sentimenti, per quantointensi, non sono mai gridati, ma solodolcemente raccontati, non di radoricorrendo alla grammatica dellasimilitudine, della metafora: perché,anche se è vero che le parole nonpossono mutare la natura delle cose,non è meno vero che possonoaddolcirla. Se ne dovette accorgereanche il nonno di Gianfelice, FeliceFacchetti, classe 1900, terzino sinistroribattezzato «ammazzacristiani» per ilsuo modo di marcare, quandorimproverava il figlio agli esordiperché non era altrettanto deciso congli avversari: «Entra più duro,Giacinto!», gli gridava, dimenticandoche se uno chiama un figlio col nomedi un fiore non può poi chiedergli dirompere le caviglie all’avversario. Èun libro difficile da scrivere, perchéracconta del passaggio di consegneinsito nel rapporto tra un figlio e unpadre. Ma è un libro che serve (etanto anche) per ricostruire lastraordinaria rivoluzione compiutadal calciatore Facchetti. Perché pertutti noi appassionati di calcio fuquesto, Giacinto Facchetti, primad’ogni altra cosa: un calciatorerivoluzionario. Proviamo a spiegarci.Quando arriva a Milano, nel 1960,sulla panchina nerazzurra siede giàHelenio Herrera e la sua Inter, chenon ha ancora vinto nulla, giocacome molte squadre italiane con ilclassico WM: 3 difensori marcano auomo, 4 centrocampisti costruisconola manovra, 3 attaccanti lafinalizzano. Nonostante ne sbaglisistematicamente il cognome (lochiama «Cipelletti»), il Mago intuiscesubito le qualità del giovane terzino edecide di farlo esordire neancheventenne contro la Roma, sul finiredella stagione 1960-61. Unaprestazione maiuscola control’uruguaiano Ghiggia e un gol colNapoli in casa la domenica successivasembrano dargli ragione, ma in realtàil giovane gigante di Treviglio non siinserisce appieno nel disegno tatticodell’Inter e viene ripetutamentefischiato nella stagione successiva,mentre i nerazzurri concludono ilcampionato al 2˚ posto. Rispetto al 3˚posto dell’anno prima è un progresso,ma Herrera capisce che non puòbastare e decide di cambiare modulo,passando dal WM al catenaccio.L’operazione non è semplice. Il WM èorganizzato intorno al quadrilatero dicentrocampo, dove giocano unmediano incontrista, un mediano diraccordo, una mezzala e un regista; ilcatenaccio, invece, prevede 4difensori, 3 centrocampisti e 3attaccanti. Non si tratta, beninteso, diun 4-3-3 ante litteram: non soloperché i difensori marcano a uomo (il2 sull’11, il 5 sul 9, il 3 sul 7), masoprattutto perché non tutti sonodisposti in linea. In linea giocano ilterzino destro, lo stopper e il terzinosinistro, mentre alle loro spalle operail libero, con il compito di recuperaree spazzar via tutti i palloni filtrati allespalle dei difensori e/o all’occorrenzadi raddoppiare la marcatura sugliattaccanti avversari. Ora, se ai 3difensori del WM si vuoleaggiungerne un quarto con funzionidi libero, bisogna stabilire a qualereparto sottrarlo e ridislocareconseguentemente l’intera squadra.

Ed è qui che entra in gioco la«variabile Facchetti». Dotato di unaprogressione formidabile (il suoprimato personale sugli 80 metri è di8”9, un decimo di secondo in meno diquello che allora è il record italiano) edi un tiro preciso e potente, Facchettiè capace all’occorrenza di proporsicome vero e proprio attaccanteaggiunto. Di conseguenza, Herrera sitrova nella condizione di poterrinunciare a un centrocampista(Picchi) per metterlo alle spalle deidifensori, e perfino di arretrareSuarez, perché grazie alle discese diFacchetti l’inferiorità numerica acentrocampo durante le ripartenzepuò essere facilmente recuperata conla scalata di un attaccante (si tratteràper lo più di Jair, ma talvolta anche diMazzola), senza per ciò sottrarreefficacia al contropiede. Si spiega cosìquello che diventerà il peculiaremovimento del terzino nerazzurro in

fase offensiva. Non si tratta di unasovrapposizione sulla fascia, ma diun’incursione per vie centrali, talvoltaconvergendo dalla linea laterale mapiù spesso partendo già dacentrocampista interno. È unmovimento che esalta il calcioverticale predicato da Herrera, chevuole al massimo 3 passaggi dallapropria area di rigore alla portaavversaria, e che consente di risolvereil busillis creato dalla rinuncia alquarto centrocampista: in fase di nonpossesso, l’Inter arretra in profondità,scontando l’inferiorità numerica acentrocampo, ma grazie alle

strettissime marcature a uomo frustrasistematicamente il possessoavversario, costringendolo per lo piùper vie orizzontali; recuperata palla, lasquadra si distende immediatamentein avanti e, grazie all’incursioneoffensiva di Facchetti, si trovaaddirittura in superiorità numericanelle corsie centrali, perché iltornante avversario dovrà pur semprecontrollare Corso e la rigidità con cuivengono allora concepite lemarcature rende improbabile chequalcun altro dei difensori avversaripossa staccarsi dall’attaccante diriferimento per prendere in consegnail terzino nerazzurro. Che non a casospesso segnerà dopo essersi ritrovatosolo davanti al portiere. RicordaGianfelice che già nel 1963, inun’intervista concessa ad AntonioGhirelli (siamo nella stagione dellaconsacrazione ufficiale, checulminerà con lo scudetto), l’allora21enne Facchetti si mostra affattoconsapevole del suo ruolo diattaccante aggiunto e alla precisadomanda dell’intervistatore, che glichiede se preferisca segnare oimpedire agli avversari di far gol,risponde sorridendo e senzaesitazione: «Segnare!». Quell’anno igol saranno 4, come l’anno dopo;nella stagione 1965-66 sarannoaddirittura 10, e a fine carriera

Giacinto Facchetti in una partita contro ilBrescia negli anni ’60, sotto con HelenioHerrera e mentre, capitano della nazionale,solleva la coppa di campioni d’Europa nel’68. Pagina accanto: Teofilo Stevenson

«Se no che gente saremmo. Giocare, resisteree altre cose imparate da mio padre Giacinto»,la storia del grande terzino dell’Inter raccontatada suo figlio Gianfelice Facchetti

Facchetti, il terzinocon le ali ai piedi

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STORIE A CINQUE CERCHI

ZDENEK ZEMAN●●●«Inkino al boemo»: domenica 29 agosto (dalle ore 21, ingresso 5 euro) all’arena Kino Village,Roma Vintage Parco San Sebastiano (piazzale Numa Pompilio) serata dedicata al mister cheinfiammerà il campionato, Zeman, con la proiezione dei due documentari di Giuseppe Sansonna (saràpresente alla proiezione) Zemanlandia e Due o tre cose che so di lui (con il titolo Il ritorno di Zeman piùun libretto fanno parte del cofanetto edito da Minimum fax). Nel primo si racconta il Foggia deimiracoli con «l’intervista più lunga mai rilasciata dall’allenatore» e testimonianze di Beppe Signori, GigiDi Biagio, il presidente Casillo, Roberto Rambaudi, Maurizio Codispoti e i tifosi. Sansonna ognidomenica che si giocava a Foggia, partiva dalla sua città (Bari) per raggiungere quella che era diventata

la squadra del cuore per molti. Ha cominciato a seguire il mister fino dal 1980. Ritroveremo Casillo eZeman a confronto nell’ampio divano di un salotto pariolino anche in Due o tre cose che so di lui(titolo per niente casuale) quando Zeman fu richiamato al Foggia nella stagione 2010-2011 primadell’ingaggio al Pescara. Giuseppe Sansonna appassionato di cinema oltre che di calcio zemaniano, loha eletto come personaggio misterioso, come un detective nei suoi impermeabili e sigarette,fulminante nelle battute, caustico come un newyorkese (ma lo spirito praghese è molto più surreale),onesto e sprezzante del pericolo (lo si è visto ampiamente in questi anni). Oggi le radio romanistescoppiano di orgoglio, ripetono i suoi aforismi (l’ultimo è «sette difensori per me sono più chesufficienti») ma al loro spirito concreto, forse sfugge il sottotesto. Abbiamo consigliato Sansonna dicontinuare a seguire il mister. Sarebbe mobbing, ci ha risposto in puro stile zemaniano. (s.s.)

Scritto da Gino Cervi (euro 13,60,Ed.It) «Storie a cinque cerchi»racconta storie esemplariavvenute durante i Giochi olimpicidell’era moderna, e che hannocome protagonisti, oltre cheTeofilo Stevenson, campioni comeJesse Owens, Annibale Frossi,Tommie Smith e il suo pugnochiuso a Città del Messico ’68,l’«uomo molla» Ray Ewry... «sfidee amicizie, sogni e passioni diuomini e donne che alle Olimpiadivinsero la medaglia della vita»

PUGILATO ■ TEOFILO STEVENSON

Mohammed AliDon Kinge l’isola del tesoro

di GINO CERVI*

●●●«Che cosa vuoi che me ne facciadi 5 milioni di dollari? Per essere felicemi bastano 8 milioni di cubani chefanno il tifo per me!» Don Kingstrabuzzò gli occhi. No, non ci potevacredere. Nel suo mondo, il mondoricco della boxe professionistica, tuttogirava intorno al denaro. A lui, a DonKing, il più potente manager delcircuito mondiale di boxe, nessunomai prima aveva risposto di no difronte a una proposta milionaria, unadi quelle occasioni che ti cambiano lavita. Invece adesso, se aveva capitobene, quella montagna scura etranquilla che gli stava davanti, loaveva fatto. «No, non mi interessa.Preferisco restare a Cuba». Don Kinggli ripetè ancora una volta la cifra.Cinque milioni di dollari. Era la borsamessa in palio perché TeofiloStevenson, il più grande boxeur dellastoria delle Olimpiadi, si battesse

contro Muhammad Alì, «Il piùgrande», allora campione del mondodei pesi massimi. Se possibile ancorapiù tranquillo di prima, Teofilo ripetéla sua risposta. Era no.Semplicemente no. Rifiutava untesoro. Un’isola, e i suoi 8 milioni diabitanti, contro un tesoro. Perché perTeofilo Stevenson, Cuba, la sua isola,era il suo tesoro. Era l’autunno del1978, e a dire il vero già più di unavolta avevano tentato di convincereTeofilo Stevenson, pugile cubano,peso massimo, a fare della suatemibile potenza e del suostraordinario talento sul ring unlavoro, e non soltanto uno sport.Passare professionista significavacombattere per denaro, e non piùsolo ai Mondiali e alle Olimpiadi, perla bandiera del suo paese. MaStevenson «preferiva di no». Laleggenda di Teofilo l’imbattibile eracominciata alle Olimpiadi di Monaco,nel 1972. Torneo della categoria deipesi massimi. Toccò dapprima alpolacco Ludwik Denderys, che duròsoltanto poche decine di secondi.Tempo di fulminarlo con lo sguardo,prima ancora che con i pugni. Ko allaprima ripresa. Quindi si fece sottoDuane Bobick, pugile statunitense ebianco. Già allora una rarità! MaBobick non era uno qualunque.Arrivava a quel match dopo 62 vittoriedi fila; l’anno prima aveva battutoStevenson nella semifinale dei GiochiPanamericani e conquistato il titolo.Quel quarto di finale a Monaco fudurissimo. Il primo round finì inparità; nel secondo Bobick sembròprendere il sopravvento. Ma eraun’impressione: Stevenson scatenò lasua furia nel terzo round. Bobickandò al tappeto una, due, tre volte...

fino a quando l’arbitro sospesel’incontro per ko tecnico. Insemifinale toccò al tedesco PeterHussing, che con terrore si ricorderàsempre di quel ko; gli capitava annidopo di ripetere che «il destro diStevenson non si vede: lo si sente soloquando arriva in faccia». In finale, ilrumeno Ion Alexe la scampò. Nocontest. Si era infatti rotto un braccionel corso della semifinale, e lamedaglia d’oro, la prima della suafenomenale carriera, venne messa alcollo di Teofilo senza combattimento.Tutti sapevano ormai che il cubanosarebbe stato già pronto percombattere contro i più fortiprofessionisti statunitensi delmomento: Muhammad Alì, JoeFrazier, Ken Norton... Non si sa seStevenson avrebbe vinto:probabilmente combattuto alla pari,di certo avrebbe guadagnato un saccodi dollari anche perdendo. MaTeofilo, fin da allora, preferì dire dino. Alle Olimpiadi di Montreal, arrivò

in finale in soli 7 minuti e 22 secondi.Questo il tempo complessivo deimatch in cui si liberò, prima dellimite, dei tre sfidanti: un senegalese,Michael Dramé; un finlandese, PekaRoukola; e uno statunitense, JohnTate. C’era sempre più gusto per ilcubano suonarle a un pugile astelle-e-strisce. In finale per il rumenoMircea Simon – al contrario del suoconnazionale di 4 anni prima – non cifu alcuna scusa per evitare diincontrare Stevenson. Allora pensòbene di cercare di stargli alla larga perdue interi round. Stevenson lorincorse per tutti gli angoli del ring,dapprima quasi divertito da quelbuffo inseguimento, poi sempre piùirritato. Finalmente, nella terzaripresa, riuscì a raggiungerlo con undestro dirompente. Bastò quello solo.Simon finì al tappeto e ci rimase, eTeofilo vinse la sua seconda medagliad’oro olimpica. Nel 1980, alleOlimpiadi di Mosca, a causa delboicottaggio di gran parte dei paesioccidentali, Stevenson ebbe ancor dipiù vita facile: mise al tappeto ilnigeriano Solomon Ataga e il polaccoGrzegorz Skrecz, di cui in verità fu piùdifficile pronunciare il nome chemetterlo ko; quindi batté nettamenteai punti l’ungherese István Lévai. Infinale ebbe la meglio sul sovietico PëtrZaev. Nel momento dellaproclamazione del verdetto dellagiuria, il volto di Teofilo era comesempre impenetrabile. Zaev, invece,felice per avere terminato in piedil’incontro contro ogni previsione, eraraggiante come se avesse vinto lui. Laleggenda di Teofilo Stevenson e dellasua impagabile isola del tesoro è tantopiù affascinante perché non è fattasolo di vittorie. Il gigante cubanoaveva un punto debole. Anzi unabestia nera. Una bestia nera con unnome e un cognome: Igor Vysotskij.Stevenson incontrò una prima volta ilpugile sovietico nel 1973, alprestigioso meeting internazionale«Giraldo Cordova Cardin» di Santiagodi Cuba. E perse ai punti, 2 contro 3.Tre anni dopo, nell’aprile del 1976, aMinsk, nel corso di una tournéeeuropea di preparazione alleOlimpiadi di Montreal, Stevensonvenne addirittura messo ko dalsovietico. Vysotskij infatti era l’unico ametterlo in soggezione e in difficoltàcon la sua velocità e con quellosfrontato coraggio che lo spingeva acombattere a viso aperto, senza alcuntimore. Ma Vysostkij, a sua volta,aveva un tallone d’achille: le suearcate sopraciliari erano fragili e sispaccavano in profondi tagli, chespesso lo costrinsero al ritiro primadel limite, per ferita. Questo handicape la sorte fecero sì che i due campioninon si incontrassero mai nel corso diun’Olimpiade: non avvenne aMontreal, qualche mese dopo il ko diMinsk, e neppure a Mosca, nel 1980.Teofilo potè così coltivare la sualeggenda di imbattibile alle Olimpiadie, a Cuba, di eroe popolare. L’ultimoincontro di Teofilo Stevensonavvenne nel 1999, anche se eranotredici anni che aveva appeso iguantoni al chiodo. All’aeroportostatunitense di Miami, al seguito dellanazionale di boxe cubana di ritornoall’Avana dopo una tournéeinternazionale, ai banchi del check-in,Teofilo prese a pugni un impiegatodella United Airlines, che ci rimise unpaio di denti. Stevenson vennearrestato dalla polizia e rilasciatoalcuni giorni dopo. Non si seppe maicon certezza cosa fosse successo. Laversione ufficiale del governo cubanofu che l’impiegato della compagniaaerea fosse in realtà un provocatorepolitico, e avesse iniziato a insultarepesantemente Cuba e i cubani; quelladella polizia Usa che l’ex campionefosse ubriaco. Nessuno prese inconsiderazione una terza ipotesi. Che,per uno strano gioco della memoria,davanti a Teofilo, al posto del voltodell’impiegato della United Airlines, sifosse materializzata la faccia di DonKing coi suoi cinque milioni di dollari.Stanco di rispondere «Preferirei dino», Teofilo pensò all’isola, al suotesoro, e fece partire il destro.

* dal libro «Storie a cinque cerchi»

ammonteranno a 59 in 476 gare dicampionato (e a 79 nelle 728 garedisputate tra campionato, coppe eNazionale). Numeri straordinari, seappena si pensa che un esternodifensivo moderno come PaoloMaldini ne ha segnati appena 33 in902 gare ufficiali. Helenio Herrera si èvantato spesso di aver inventato lui ilcatenaccio, prima ancora di KarlRappan e Gipo Viani. Probabilmenteesagerava, ma su un punto bisognadargli ragione: nessuna delle squadreche adottò quel modulo riuscì mai ariproporre le dinamiche offensivedella Grande Inter. «Ho messo Picchia fare il libero, questo è vero», disseuna volta il Mago, «ma non vadimenticato che avevo ancheFacchetti, il primo terzino capace disegnare tanti gol quanti unattaccante». È perfino possibile cheabbia ragione Andy Roxburgh (oradirettore della Football DevelopmentCommission dell’Uefa) a suggerireche, in realtà, «nessuno comeFacchetti ha distrutto il catenaccioitaliano»; è certo comunque che – perdirla ancora con Roxburgh – citroviamo di fronte ad «uno di queirari giocatori il cui talento e istintohanno incoraggiato lo sviluppo di unnuovo tipo di gioco». Non c’è dastupirsi se un sondaggio condotto loscorso anno fra oltre 400.000collezionisti delle figurine Paninil’abbia individuato come il terzinosinistro della squadra di calcio idealedegli ultimi 50 anni, insieme acampioni assai più vicini alla nostracontemporaneità come Baggio,Zidane o Del Piero: se la modernitànel calcio è la capacità di interpretareuna pluralità di ruoli (di «fare le duefasi», come usa dire adesso: quelladifensiva e quella offensiva), davveroFacchetti è stato il primo difensoremoderno della storia del calcioitaliano. C’è un gol, fra tutti quellidella sua quasi ventennale carriera,che racconta al meglio lastraordinaria qualità dei suoiinserimenti: è il terzo gol che l’Intersegna al Liverpool, il 12 maggio 1965,nella semifinale di ritorno a San Siroche fa da prologo alla vittoria dellaseconda Coppa dei Campioni.L’azione si sviluppa in 4 tocchi, daPicchi a Mazzola e quindi a Corso,che serve al limite dell’area ingleseper l’accorrente Facchetti: gran destroe gol. Salvo che Picchi è sulla suatrequarti e Facchetti è poco più avantia lui quando parte il primo passaggioper Mazzola, e da quel momento altiro esploso dal terzino nerazzurrotrascorrono appena 9 secondi,durante i quali egli percorre circa 70metri di campo. Una progressioneimpressionante, specie considerandoche arriva al 62’, dopo oltre un’ora distrenua battaglia con i Reds, decisilogicamente a difendere finoall’ultimo il doppio vantaggiodell’andata. E che spinge il Times, ilgiorno dopo, a scriverne come di ungol «meritevole di vincere qualsiasipartita del mondo». Facchetti stessolo ricorderà come il più bel gol dellasua carriera, che chiuderà nel 1978,rinunciando alla convocazione inNazionale per il Mondiale inArgentina. Giovanni Arpino, che neaveva fatto il protagonista del suoromanzo Azzurro tenebra, scriverà inquel frangente di un gesto inusualeper «un popolo di disaffezionati, direnitenti, di protestatari, di gente chenon si dimette mai, neppure quandosta per essere trascinata in tribunale».È stato solo l’ultimo degliinsegnamenti del calciatore Facchetti,la cui vicenda pubblica si concluderàdi fatto il 12 maggio di 41 anni dopo,quando Gianfelice lo sentirà altelefono dall’ospedale di Treviglio «unpo’ sorpreso e spaventato, come chi atutto pensa tranne che a qualcosa diestraneo nel proprio sangue». Di lì inpoi, sino al 4 settembre dello stessoanno, saranno solo le «piccoleimmense cose» che possono accaderein una famiglia che assiste incredulaal precipitare di una malattia rapidaquanto era stato Giacinto sul campodi gioco. Restano giustamentenascoste dietro il nero su cui scorronoi titoli di coda.

L’ultimo incontrodi Stevensonavvenne nel 1999,al check-indell’ aeroportodi Miami mise koun impiegato dellaUnited Airlines

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