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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 3 MARZO 2012 ANNO 15 N. 9 GLI ARCHIVI DEL FOLK SPONSORIZZAZIONI ROCK di ABBAS KIAROSTAMI ●●●Il mio amico è una persona che se ne intende in tutti i campi; la sua specializzazione è l'architettura, però non lavora nel campo architettonico; legge e scrive spesso, ma ancora nessuno ha visto i suoi scritti; dice di scrivere per sé, guadagna da vivere disegnando, saltuariamente tira righe negli studi di architettura, ma soltanto per soddisfare i bisogni primari. Ho detto che se ne intende in tutti i campi. Gli eventi del mondo per lui si dividono in due categorie, quelli che ama e quelli che non ama. Il cinema è uno degli argomenti che ama pazzamente, e per quanto riguarda il cinema americano ... è incondizionatamente appassionato del cinema americano. Per lui i film non americani non hanno identità, va sempre a vedere i film americani e incoraggia anche me a vederli, qualche volta anche a farli. Dice che non ama i miei film e per questo motivo non li va a vedere, dice «preferisco la tua amicizia che vedere i tuoi film», si illude che io non sia noioso quanto i miei film. L'ultimo mio film che ha visto, non ce l'ha fatta e a metà si è addormentato. Lo dice lui e non lo nasconde, dice che non ama i film sonnolenti, crede che per dormire sia preferibile un letto alla poltrona del cinema. Ho detto che il suo metro è il cinema americano, e al di fuori di quello tutto è nullo, inutile. Dice: «quando si dice museo uno pensa subito al museo del Louvre, mentre ce ne sono tanti altri. Anche dalla parola cinema verrebbe da pensare subito al cinema americano»; questo lo dice quando amanti del cinema non americano lo costringono, in realtà non riconosce altro che il cinema americano. Questa sua assolutezza è tale che gli piacciono persino gli imitatori del cinema americano. Per questo motivo, insistendo, mi porta a vedere uno di questi film, quasi con la forza, però con buone intenzioni: «se un francese è capace di fare un film americano, per quale motivo tu non lo potresti fare?», e dice: «fare un film per una o due piccole sale cinematografiche, è come coltivare il grano in un piatto per haftsin (1), mentre altri coltivano ettari di terra». Io non respingo le sue parole, non lo posso fare, però non lo posso fare un film all'americana, e tantomeno questo film, al quale mi ha portato quasi con la forza, è un film. Alla terza sequenza mi rendo conto di cosa si tratta: ancora una di queste fabbricazioni dei soliti eroi, con il condimento di un po' di umanità. Il protagonista del film trasporta il suo fucile insieme ad un vaso di fiori , sì sposta continuamente in qua e in là con il fucile e il vaso. Prima di mirare al petto di qualcuno, annaffia la pianta e la mette alla finestra, alla luce del sole. Soddisfatto dall'aver compiuto questo umano dovere, con tranquillità comincia a insegnare ad una ragazzina che non ha più di quattordici o quindici anni, a sparate e ad ammazzare. La ragazza dimostra uno straordinario talento e mira al petto di un giovane salito su una lirnousine, il quale ovviamente avrà commesso altri delitti. Comunque sia, la pressione delle piccole dita di una ragazzina sul grilletto di un fucile, io questo non lo amo. Quando vedo che le fatiche del maestro non vanno sprecate e macchiano la tuta sportiva pulita e nuova del giovane uomo, desidero uscire dalla sala, ma la gioia che leggo sul volto del mio amico mi impedisce di farlo. Non devo tutto al godimento del mio amico, per dire la verità anch'io sono curioso di scoprire, comunque, alla fine, il filmmaker che intenzioni ha con questa pianta invadente e come vuole trasmettere il suo messaggio di umanità al pubblico di cuore semplice. Gli avvenimenti accadono uno dopo l'altro, senza tenere conto di una geografia razionale, un uomo da solo è da una parte e un gruppo di tiratori cattivi dall’altra, si mirano reciprocamente, l’unica logica di questi avvenimenti è che in una carrellata del film vengono uno dopo l'altro, non si sa dove sta chi. Della logica geografica esatta, che guarda caso è una delle peculiarità e punto di forza di questo genere di film, non c'è traccia. Ho detto tra me e me: «pensa un po’, se un francese non sa fare un film all'americana, sicuramente non potrei farlo io». Non ho visto il resto del film e sono uscito dai cinema. Il mio amico, protestando, mi diceva: «tra tutte queste persone inchiodate in sala, tu sei l'unico a capire?», e in seguito mi ha bombardato con le cifre stratosferiche, persino in America, dell'incasso di questo film. SEGUE A PAGINA 2 È PIU’ IMPORTANTE IL CINEMA O LA VITA? QUANTO ZAVATTINI C’È NEL CINEMA IRANIANO CHE VINCE L’OSCAR? UN RACCONTO DI KIAROSTAMI IN REGALO PER IL MANIFESTO KURT HAMRIN DALLA SISAL IN POI: UN LIBRO PICCOLO PRINCIPE JOHN AKOMFRAH SUDAFRICA DOPO L’APARTHEID VIDEOGAMES HITLER-SYBERBERG

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MUSICA » ARTI » OZIO

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 3 MARZO 2012 ANNO 15 N. 9

GLI ARCHIVI DEL FOLK SPONSORIZZAZIONI ROCK

di ABBAS KIAROSTAMI

●●●Il mio amico è una persona che se neintende in tutti i campi; la sua specializzazione èl'architettura, però non lavora nel campoarchitettonico; legge e scrive spesso, ma ancoranessuno ha visto i suoi scritti; dice di scrivere persé, guadagna da vivere disegnando,saltuariamente tira righe negli studi diarchitettura, ma soltanto per soddisfare i bisogniprimari. Ho detto che se ne intende in tutti icampi. Gli eventi del mondo per lui si dividono indue categorie, quelli che ama e quelli che nonama. Il cinema è uno degli argomenti che amapazzamente, e per quanto riguarda il cinemaamericano ... è incondizionatamenteappassionato del cinema americano. Per lui i filmnon americani non hanno identità, va sempre avedere i film americani e incoraggia anche me avederli, qualche volta anche a farli. Dice che nonama i miei film e per questo motivo non li va avedere, dice «preferisco la tua amicizia chevedere i tuoi film», si illude che io non sia noiosoquanto i miei film.

L'ultimo mio film che ha visto, non ce l'ha fattae a metà si è addormentato.

Lo dice lui e non lo nasconde, dice che nonama i film sonnolenti, crede che per dormire siapreferibile un letto alla poltrona del cinema. Hodetto che il suo metro è il cinema americano, e aldi fuori di quello tutto è nullo, inutile. Dice:«quando si dice museo uno pensa subito almuseo del Louvre, mentre ce ne sono tanti altri.Anche dalla parola cinema verrebbe da pensaresubito al cinema americano»; questo lo dicequando amanti del cinema non americano locostringono, in realtà non riconosce altro che ilcinema americano.

Questa sua assolutezza è tale che gli piaccionopersino gli imitatori del cinema americano.

Per questo motivo, insistendo, mi porta avedere uno di questi film, quasi con la forza, peròcon buone intenzioni: «se un francese è capace difare un film americano, per quale motivo tu nonlo potresti fare?», e dice: «fare un film per una odue piccole sale cinematografiche, è comecoltivare il grano in un piatto per haftsin (1),mentre altri coltivano ettari di terra».

Io non respingo le sue parole, non lo possofare, però non lo posso fare un filmall'americana, e tantomeno questo film, al qualemi ha portato quasi con la forza, è un film.

Alla terza sequenza mi rendo conto di cosasi tratta: ancora una di queste fabbricazionidei soliti eroi, con il condimento di un po' diumanità. Il protagonista del film trasporta ilsuo fucile insieme ad un vaso di fiori , sìsposta continuamente in qua e in là con ilfucile e il vaso.

Prima di mirare al petto di qualcuno, annaffiala pianta e la mette alla finestra, alla luce del sole.Soddisfatto dall'aver compiuto questo umanodovere, con tranquillità comincia a insegnare aduna ragazzina che non ha più di quattordici oquindici anni, a sparate e ad ammazzare. Laragazza dimostra uno straordinario talento e miraal petto di un giovane salito su una lirnousine, ilquale ovviamente avrà commesso altri delitti.Comunque sia, la pressione delle piccole dita diuna ragazzina sul grilletto di un fucile, io questonon lo amo.

Quando vedo che le fatiche del maestro nonvanno sprecate e macchiano la tuta sportivapulita e nuova del giovane uomo, desidero usciredalla sala, ma la gioia che leggo sul volto del mioamico mi impedisce di farlo. Non devo tutto algodimento del mio amico, per dire la veritàanch'io sono curioso di scoprire, comunque, allafine, il filmmaker che intenzioni ha con questapianta invadente e come vuole trasmettere il suomessaggio di umanità al pubblico di cuoresemplice.

Gli avvenimenti accadono uno dopo l'altro,senza tenere conto di una geografia razionale, unuomo da solo è da una parte e un gruppo ditiratori cattivi dall’altra, si miranoreciprocamente, l’unica logica di questiavvenimenti è che in una carrellata del filmvengono uno dopo l'altro, non si sa dove sta chi.Della logica geografica esatta, che guarda caso èuna delle peculiarità e punto di forza di questogenere di film, non c'è traccia.

Ho detto tra me e me: «pensa un po’, se unfrancese non sa fare un film all'americana,sicuramente non potrei farlo io». Non ho visto ilresto del film e sono uscito dai cinema. Il mioamico, protestando, mi diceva: «tra tutte questepersone inchiodate in sala, tu sei l'unico acapire?», e in seguito mi ha bombardato con lecifre stratosferiche, persino in America,dell'incasso di questo film.

SEGUE A PAGINA 2

È PIU’ IMPORTANTE IL CINEMA O LA VITA? QUANTOZAVATTINI C’È NEL CINEMA IRANIANO CHE VINCE L’OSCAR?

UN RACCONTO DI KIAROSTAMI IN REGALO PER IL MANIFESTO

KURT HAMRIN DALLA SISAL IN POI: UN LIBRO

PICCOLO PRINCIPE JOHN AKOMFRAH SUDAFRICADOPO L’APARTHEID VIDEOGAMES HITLER-SYBERBERG

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(2) ALIAS3 MARZO 2012

KIAROSTAMIFuori pioveva con tuoni e fulmini,una distesa di nuvole nere copriva ilcielo di piazza Michelangelo [piazzaSignoria di Firenze, n.d.t.], lecampane della chiesa e il fragore deituoni si mescolavano alla voce delmio amico scontento e agitato chediceva «se questo non è un bel film, iltuo sicuramente è un bel film» eancora «i soldi che ho pagato per ilbiglietto del tuo film valgono tantevolte di più del copione del tuo film».

Quando si arrabbia, la sua ironiasarcastica aumenta; quando gliricordo che sono suo ospite e che mifermerò a Firenze soltanto perventiquattro ore e che avrei altrechances di vedere questo film in unaltro luogo, mentre visitare di nuovoFirenze non mi sarà cosi facile -soprattutto in compagnia di unamico intenditore -, allora il suosarcasmo si placa. Per cambiareargomento, gli chiedo qualcosa sullastoria del ponte che si trova asinistra [a destra in realtà, n.d.t.]della piazza. Da lontano si vedonodue turisti con i vestiti e gli ombrellicolorati. Camminare sotto la pioggiasenza ombrello è difficile, però ilmio amico ce la mette tutta ed èdeciso a raccontarmi in modo moltopreciso di questo ponte; per fare ciòdobbiamo andare sul ponte.

Nonostante che sappia che nonamo camminare sotto la pioggia,insiste per passare sotto la galleria diVasari e benchè il passaggio siacoperto, la pioggia entra da tutte edue le parti del corridoio, compliceun vento che rompe gli ombrelli. Ilmio amico non sembra sentire né ilvento né la pioggia. Le suespiegazioni iniziano dal corridoio,costruito per ordine del ducaCosimo I che aveva concesso poterea Vasari, artista fiorentino [aretino dinascita, n.d.t.] di fama, di demolirequalsiasi cosa sorgesse sul suocammino, persino parte della chiesadi Santa Felicita; arrivati alla torredei Mannelli, questa famiglia non dàil permesso di passo e demolizione,e nonostante che Cosimo I avessetutto il potere di imporre la sua idea,per il rispetto che nutre verso questanobile famiglia che aveva datograndi contributi alla storiafiorentina - io non so quali sianoquesti contributi e benchè curioso,penso che sia meglio lasciar perdere- ne osserva la volontà.

La pioggia ci schiaffeggiamalamente il viso e noi stiamocamminando lentamente; accanto anoi tutti corrono per mettersi alriparo sotto le arcate del ponte, ma ilmio amico quando spiega una cosacammina piano e quando vuolesottolineare una cosa, quasi si ferma,come se non piovesse affatto.Insomma, questo Vasari fa sorgeredelle grandi colonne a sostegno delcorridoio, rispettando la torre deiMannelli.

Con difficoltà ci spostiamo dasotto il corridoio di Vasari al ponte,cercando riparo sotto un’arcata.Sostiamo accanto a un gruppo dituristi, perlopiù americani, che con ivestiti e gli ombrelli colorati stannoin fila uno accanto all'altro. Ancheun caricaturista è accanto a noi con isuoi ritratti a pastello bianco e nerodi Marx, Marilyn Monroe e BrigitteBardot, coperti da un velo dicellophane e appesi a una colonna,probabilmente campioni del suolavoro per turisti e clienti dai gustisemplici. Il suo aspetto non ha nullada invidiare alle sue opere, con lelabbra sottili, il naso abbastanzagrosso, i baffi molto curati, un

berretto rosso.Guardando il suo viso, noto che

lui sta a sua volta guardandoun'altra cosa: è completamenteimmerso ad ascoltare laconversazione di una personaappoggiata alla colonna che parlacon una ragazza americana. È ungiovane alto, con una t-shirt bianca,le braccia forti ed i capelli corti ericci come quelli delle statue degliantichi romani. Parla del cuore, inun inglese grossolano, alla ragazzaappoggiata al muro di mattoni difronte. Da dove mi trovo io, non si

vede il viso di nessuno dei due enonostante sia curioso di vedere iloro volti, non ci si può muovere:alla mia destra c'è il ritrattistache,con lo sguardo fisso, osserva ilgiovane fiorentino, alla mia sinistrac'è il mio informato amico che mista spiegando con estremaprecisione la storia di questo ponte.

Questo ponte storico e magnificoera stato costruito in legno nel 974(nel medioevo) - lui mi sottolinea einsiste sul termine medioevo perchéio non pensi che era stato costruitoventi anni fa - e poi era crollato a

causa di un'alluvione. Nel 1114viene ricostruito con altri materialipiù resistenti alla pressionedell'acqua del fiume [Arno, n.d.t.],ma nell'anno 1324 è completamentespazzato via da un'altra alluvione ecosì nel 1334. Il ponte attuale, quellosopra il quale ci troviamo vienefondato dieci anni dopo, nel 1344, suprogetto di Alfredo Fioravanti; nel1964 [1966 n.d.t.]viene danneggiatogravemente dall'alluvione, le partidanneggiate saranno poi restauratee si possono notare delle fughe dicolore rosa tra i mattoni di un muro,

che è quello dove si appoggia laragazza con una camicia bianca digarza e le scarpe bianche sportive,un abbigliamento simile a quello deitennisti. Il giovane con pantaloni escarpe non nuovi, bello eaffascinante come un pavone cheapre la sua ruota: «Questi turistiamericani devono essere abbastanzaprivi di gusto per andare a vederestatue di Michelangelo e di da Vinci.Guarda me, sono vivo, bello e ilsangue mi scorre nelle vene», ma laragazza non guarda. Da dove mitrovo io, non posso vedere il suoviso, ma dal suo modo di stare sicapisce che il suo sguardo va difronte, laddove in passato sitrovavano i negozi dei macellai, dettibeccai. Ma nel XVI secolo, durante ilgoverno dei Medici, per ordine delduca Cosimo I i negozi dei macellaivengono rilevati dagli orafi e dapiccoli negozi di due metri per due,che stanno uno accanto all'altrosulla parte nord del ponte, con iricchi turisti che ai nostri giornivengono da ogni parte del mondo acomprare gioielli dagli orafi delponte Vecchio.

Le mie orecchie ascoltano laspiegazione della mia guida, i mieiocchi guardano il giovane fiorentinoe la ragazza che ascolta le parole delgiovane, ma i cui occhi vanno ainegozi degli orafi, e anche agliuomini e alle donne che stretti gli unialle altre stanno di fronte a questevetrine scintillanti e brillanti.Guardano, ma non entrano. Inegozianti stanno al centro delnegozio, guardando la pioggia e iclienti che non comprano. Tuttistanno nella stessa posizione enessuno sa che anche il negozianteaccanto sta esattamente come loro,al centro del negozio, con le manidietro la schiena e i piedi stretti unoaccanto all'altro, appoggiato suitacchi come statue, con lo sguardofisso fuori sui clienti o sulla pioggiache continua a cadere. Nessuno parlacon nessuno (come se tutticonoscessero la storia del ponte),tranne il mio amico che senzainterruzione continua a spiegarmi e ilgiovane fiorentino che continua a

fare il rubacuori. L'acqua con unostrano gorgoglio passa sotto i nostripiedi; da quando siamo venuti sulponte sembra si sia alzata di 50 cm.Cerco di ricordare le date delladistruzione del ponte, usando il ritmodei numeri: da 24 a 44 venti anni, da44 a 64 ancora venti anni e poil'ultimo, 1964 [1966, n .d. T.], chediventano 600 o 620 anni, non miriesce di calcolare bene. Però so che intutti questi anni l'ultima cifra a destradell'anno della distruzione è 4, perciòin questo anno, 1994, sonoesattamente passati trent'anni.Quindi, non posso giungere ad altraconclusione che l'alluvione potrebbeanche adesso distruggere tutto e tutti,turisti e abitanti, acquirenti e venditoridi gioielli, e questo non c'entraproprio con la cifra a destra, il 4.

Con i miei occhi, vedo chel'acquazzone è cosi forte che, a direil vero, mi viene un po' di paura,però le spiegazioni ininterrotte delmio amico intenditore sono per mecome un calmante; insomma, lui daanni vive in questa città, è unemigrato navigato, esperto[letteralm.: che ha assaggiato il caldoe il freddo, n.d.t], parla come unaradio ed io mi accorgo che con imiei calcoli ho perso un sacco diinformazioni circa un ponte o unapiazza o una persona. L'ultima suafrase che ricordo è circa ildanneggiamento del ponte nel 1964[1966, n.d.t]; quel giorno la faccendapotrebbe essere andatasemplicemente come adesso:qualcuno stava raccontando la storiadel ponte a un altro, c’era un pittorecon i suoi quadri, gli orafi e i clienti, ituristi, il vento e la pioggia e ungiovane che pensava al1a salvezzadel genere umano in questasituazione da «si salvi chi può». Misembra che l'acqua stia venendo su,guardo e vedo che non manca cheun palmo perchè arrivi sotto ilponte, di nuovo il panico mi assale;la presenza di un gruppo consistentedi turisti giapponesi mi tranquillizzaun po’. In numero massiccio, moltoordinati, passano al centro del pontee la guida quietamente sta parlandodella storia del ponte nella lorolingua. Sicuramente non dice nulladella distruzione del ponte, questacalma è evidente in ciascuno di loro,tutti quanti sono nascosti allo stessomodo sotto i loro k-way in plasticadotati di uno speciale cappello, con i

IL CINEMA IRANIANO

SPLENDORI E MISERIEPRIMA DELL’OSCARA ASGHAR FARADHI

IL CINEMAE LA VITA

Dopo la pioggia.Abbas a Firenze

IL CICLISTA DI MOSHEN MAKHMALBAF

●●●Alla fine degli anni ottanta il cinema iraniano, che avevacompletamente liquidato, anche in senso drammaticamente fisico,con carcere e esecuzioni, star e studio system precedente(considerato diabolico) rinasce a poco a poco sotto il segno dellarivoluzione khomeinista. Nel 1989 Il ciclista di Moshen Makhmalbafvince Riminicinema, ed è la prima volta che riemerge all’estero un filmiraniano. È un’opera di sconvolgente stile neorealista, scoperta daFabrizio Grosoli che provocherà addirittura un «quasi sequel»)...

di CHANGIZ SANII

●●●Kiarostami venne a Firenze su invito delFestival dei popoli per presiedere la giuria. E michiese di accompagniarlo, anche durante i lavori digiuria, come avevamo fatto altre volte, aRiminicinema, Taormina, Courmayeur ect. Allora civolevamo molto bene, e io continuo a voler bene adAbbas. Ma non lo diciamo a Kiarostami! Augurotante belle cose alla sua persona e anche al suopersonaggio! Dunque, durante il suddetto festival,lo portai in giro per far vedere orgogliosamente lebellezze della nostra amata Firenze (n.b.: sono unfiorentino dell'Iran, e per di più un architetto).Cominciai dalla piazza della Signoria (1), poi dapalazzo Vecchio, le statue della Loggia dei Lanzi, gliUffizi e naturalmente camminando lungo ilcorridoio vasariano finalmente arrivammo al miticoPonte Vecchio che collega le due sponde dell'Arno.A metà della passeggiata, esattamente quandoeravamo arrivati davanti al Perseo di BenvenutoCellini - gli adetti del lavoro dell’opificio delle pietredure la stavano portando via per restaurarla (doposecoli che questo bronzo stava lì fermo con la testasanguinante della Medusa in mano) - dal cielocominciò a piovere come se piangesse solo perquell’evento, e la gente davvero piangeva e seguivalo spostamento della statua con l'aria da unacerimonia funebre. Dunque io continuavo a fare dacicerone al grande maestro, ignaro che lui ungiorno avrebbe usato le mie parole contro di me.

Infatti dopo qualche settimana, con una telefonataalla mia compagna (ex moglie e attuale mammadella mia-nostra figlia) disse che aveva scritto unracconto che parlava di noi, con Firenze comelocation. E alcuni mesi dopo venne a trovarci qui emi parlò del racconto e della sua pubblicazione suuna rivista iraniana. Poi mi diede l'autorizzazione ausarlo, se eventualmente avessi voluto tradurlo estamparlo in Italia. Infine mi disse che aveva infilatodentro il racconto fiorentino, un po di Francia eun'altra persona amica (sua)(2)! Per dire la verità,tutta la parte che riguarda il cinema americano e igiudizi sui suoi film non mi riguardano, maconfermo che tutto il resto è verosimile, ovviamentepassato dal filtro magico del grande maestro.

(1) Per ricordare la breve storia di quella parte diFirenze mandai in Iran un po’ di pagine sulla città,scritte in persiano. Le sue citazioni sono dunqueesatte, tranne un paio di piccoli errori trascurabili esottolineato tra parentesi. (2) Io amo i film diKiarostami, soppratutto i suoi corti in bianco nero,assoluti capolavori, girati quando Abbas erasconosciuto. Lo scoprii guardando i titoli di testa diGhaisar (Il Cesare) di Masoud Kimiai (1970): salamAbbas, sei grande come Saul Bass! Infine, ma nonper ultimo, ora che il nostro cinema ha riempito ilsuo paniere di premi internazionali con l’oscar aFarhadi, auspico che le autorità iraniane lascinoliberi di lavorare gli artisti come Panahi che nonhanno fatto altro che portare buon nome e gloria alloro amato paese, l'Iran, e agli iraniani.

Due iraniania Firenze. Abbase un architettoche detesta i suoifilm, ama solo ifilm americani evorrebbe cheanche Kiarostamine realizzasse uno

di ROBERTO SILVESTRI

SEGUE DALLA COPERTINA

UN INEDITO DI ABBAS KIAROSTAMI, IL GRANDE REGISTA IRANIANO

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(3)ALIAS3 MARZO 2012

volti uguali e lavati dalla pioggiaascoltano con molta attenzione leparole della loro guida. Il loromuoversi con precisione sotto lapioggia, tra la gente sui due lati delponte, con i vestiti colorati, sembraun carnevale, e questo mitranquillizza. Incoraggiato, maanche per cautela, vorrei proporre almio amico di seguire i giapponesiabbandonando il ponte, però il mioamico intenditore è impossibile cheaccetti la proposta finchè, con lamassima generosità, non avrà finitodi raccontarmi tutta la storia diquesto ponte pieno di avventure. Hopaura persino che questa propostagli faccia ricordare il film al cinema eche riapra la sua ferita, e comunquesono anche curioso di vedere l'esitodel lavoro del giovane fiorentinoche, come il farhad' (figura mitica discultore iraniano), sta scolpendo ilcuore dell'amata con lo scalpellodella parola e, come l'architettofiorentino Vasari, sgombra ogniostacolo e quando arriva alla torredei Mannelli parla della suagiovinezza e della sua bellezza, chesembra l'unica moneta sonante chepossiede, e la t-shirt è incollata alsuo corpo, con i capelli ricci chebrillano di pioggia.

Guardo intorno, tranne luiall'orecchio della ragazza e il mioamico intenditore al mio orecchio,nessuno dice niente. Ora anche ituristi girano le spalle alle vetrine deigioiellieri e hanno lo sguardo fisso difronte; gli orafi si sono portati sullasoglia e immobili guardano difronte. La pioggia si aggroviglia sottol'arcata e io ho la sensazione che ilponte sotto i miei piedi diventipensile. Nonostante questo, né ilmio amico né il giovane smettonoun attimo di parlare. Dal bordo delgrande cappello di un uomo dietrodi me, l'acqua gocciola e vadirettamente sul mio collo e così dallungo naso del caricaturista cheattentamente ascolta le parole delgiovane. Non c'è posto permuoversi, il cielo ruggisce come ilmio amico. Ora capisco che anchelui ha visto la pioggia, ma il suobrontolio è rivolto al volume dellapioggia che gli impedisce di farmivedere Palazzo Vecchio, che è piùantico.

È un edificio diverso da altriedifici di Firenze. Dal suo balcone,durante il fascismo, Hitler eMussolini hanno parlato alla gente,oggi è la sede del comune di Firenzee dell'Ufficio Anagrafe, luogo dimatrimoni civili. A chi non vuole

sposarsi in chiesa, il sindaco o unsuo pubblico ufficiale scrive ilcontratto di matrimonio e le dueparti firmano. Ascolto questeinformazioni con l'orecchio sinistro,mentre quello destro ascolta ilgiovane che sta chiedendoufficilamente la mano della ragazzaed elogia il vivere semplice parlandodella sua mansarda che si affacciasulla collina e sulla chiesa di S.Miniato e degli uccellini che hannonidificato sul davanzale della suafinestra. Lui aveva assistito a come ilmaschio e la femmina in perfettasintonia prendessero questi fuscelli euno sopra l'altro li mettessero suldavanzale della finestra e come unodi loro - scoprì poi trattarsi dellafemmina - covasse l'uovo, e come aturno questo uovo venisse scaldato,e alla nascita del piccolo come tutti edue lo difendessero dal gatto nerocattivo del vicino. Diventato piùgrande gli insegnarono a volare ... equando tutti e tre volarono insiemee andarono via, arivarono altripiccioni proprio lì, senza usare ilvecchio nido ma rinnovandolo connuovi fuscelli...

La ragazza era così indifferenteche sul momento ho pensato chenon conoscesse la lingua, mentrefissava costantemente due punti: ilmanico del suo ombrello, facendoapri e chiudi con il bottone, o il cieloche diventava sempre più nero.

La ragazza sta sempre adaggeggiare con il manicodell'ombrello e il ragazzo fa adocchio e croce il conteggio delle sueentrate indicando il caricaturista conil quale collabora, che è sordo e haun chiosco di pittura e cornici inuna zona lontana, e che è aiutante

suo e di altri pittori.Di nuovo guardo il pittore che ha

lo sguardo fisso sulle labbra delgiovane.

La ragazza è sempre silenziosa, ioper un attimo penso che forse èsorda anche lei e che il ragazzo nonlo sa, comunque sia il giovane nonsente alcuna risposta e forse perquesto motivo riprende a parlarecon orgoglio del suo fisico. Sembraessere l'unico capitale che ha. Dinuovo, mancandogli gli argomenti,si paragona alle opere diMichelangelo, si vanta delle sue fortibraccia. Il mio amico ora parla dellericche famiglie italiane [fiorentine,n.d.t.] dell'epoca, i Medici, i Pitti, gliStrozzi, i Gondi, i Rucellai, dice che iMedici erano i più potenti e che unaloro figlia era diventata sposa allacorte reale di Francia ed è inquell'epoca che fioriscono artisticome Michelangelo e da Vinci. .. e ilgiovane di nuovo si paragona alleopere di Michelangelo e dice che haricevuto molte proposte per farel'indossatore, ma non ama questolavoro: «i vestiti servono a coprire i

difetti, io non ho nessun motivo perfare ciò», un tempo a Roma faceva ilmodello per pittori e scultori, manemmeno questo gli piace, non glipiace essere circondato da ragazzi eragazze che lo guardano fisso, losguardo fisso potrebbe danneggiareil corpo e perciò ha abbandonatoanche questo lavoro, «però mipiacerebbe che tu mi guardassiattentamente, con uno sguardodiverso, da acquirente. Se è di tuogradimento, ci sposeremo. Unmatrimonio semplice al comune diFirenze, con una semplice cenetta inuna piccola casa con la portad'ingresso che entra direttamentenell' unica camera grande quantoun letto, ceneremo sul balconeaccanto agli uccelli, una cena checucinerò io, la ribollita, la zuppaspeciale di Firenze, con la tagliata -un kabab speciale fiorentino - con larughetta, che sono sicuro ti piacerà.Se non ti piace vivere a Firenze,verrò io con te, nonostante il mioamore per il mio Paese e perFirenze»... Firenze, che l'acqua staportando via. Il vento increspa lasuperficie del fiume, butta l'acqua intutte le direzioni, dal lato sinistro delponte l'acqua batte una dellecolonne, ricadendo sul selciato delponte, scorrendo via. Il vento rubaalcuni ombrelli colorati aiproprietari e li butta nel fiume ...L'affare sta diventando serio, questosi può vedere dalla reazioneopportuna degli orafi checominciano a raccogliere gli oggettidalle vetrine, mettendoli nellecasseforti. Tutti, con sangue freddo eallo stesso modo, raccolgono dasinistra a destra gli oggetti e limettono in cassaforte; forse hannoinciso i loro nomi sulle casseforti,sembrano tranquilli che gli eredipotrebbero recuperarle con facilitàdal fondo del fiume. I turisti non simuovono, fermi come le statue dipietra delle piazze, il vento di nuovoporta via altri ombrelli ai proprietari

con la testa rivolta al cielo, strappa dal muro difronte il ritratto di Marilyn Monroe e lo portaverso Palazzo Vecchio, la sede del comune diFirenze, e di seguito anche il ritratto di Marx. Lagiovane Brigitte Bardot resta ferma al suo posto,tutto è sottosopra, ora la gente a bassa voce stamormorando qualcosa, il giovane fiorentinocompletamente in silenzio ha lo sguardo fissoverso la ragazza, sembra che abbia detto l'ultimaparola e ora aspetta la risposta. Persino il mioamico intenditore ha chiuso la bocca, la ragazzaguarda il cielo con l'arcobaleno che sorge sotto ilbalcone del Palazzo Vecchio da un lato e supiazza Michelangelo [piazza Signoria, n.d.t.]dall'altro, esattamente sopra il cinema [nellarealtà non esiste alcun cinema in quel punto dipiazza Signoria, n.d.t.]. Un grande squarcio si aprefra le nuvole nere e si vede il cielo blu, la ragazzaguarda in quel punto, lo squarcio diventa semprepiù grande a incredibile velocità. Tutti guardanoin su, la pioggia smette e il ventovelocissimo stermina le nuvole; ilsole negli ultimi istanti del tramonto,sporge il suo colore arancio suFirenze. I turisti si sparpaglianocome le nuvole, ognuno verso unpunto, la ragazza attraversa concautela la strada piena d'acqua.L’acqua sgocciola dagli abeti deglialberi di Natale con i limoncini e lepalle e dalle luci colorate chedecorano le arcate del ponte. Laragazza apre il suo ombrello, conuno sguardo semplice e freddosaluta il ragazzo. Sembra che questarisposta sia sufficientementeconvincente per il giovane fiorentinoe ovviamente non lo soddisfa affatto.Riesco a vedere il viso della ragazza,un viso pallido, fragile, con gli occhiazzurri, è un volto che sa diaristocrazia decaduta, e il giovane,con il volto pallido e deluso, sta alsuo posto e la guarda. Il caricaturistache non smette di guardare, con unamossa dell'angolo delle labbra tirasu il naso fin dove può, cerca diconsolare il giovane in una linguapriva di parole, gli fa capire che nonera un affare straordinario. Ma ilragazzo, con gli occhi delusi, ha losguardo fisso sulla strada, indirezione del percorso della ragazza.L'acqua porta via qualche arancia,piccola e grande. Non so perché, misono ricordato di una frase attribuitaa Zavattini, il cineasta italiano, e nonso perché, voglio pensare che luifosse di Firenze. Diceva: «il primopassante accanto a te, potrebbeessere il protagonista del tuo film».Un vagabondo scalzo raccoglie learance dall'acqua che scorre sulcorridoio vasariano vicino a piazzaMichelangelo [piazza Signoria,n.d.t.]. Il suo volto mi fa ricordareuno dei personaggi dei film di Olmi,Ermanno Olmi, cineasta dellaseconda generazione che desiderereifosse anche lui di Firenze. Diceva:«La prima generazione del cinemaguardava alla vita e faceva i film, laseconda generazione ha visto i filmdella prima, guardava la vita e facevadei film, la terza generazione guardasolo i film e fa film»... Passiamo dalcinema che si trova sulla piazzaMichelangelo [piazza Signoria,n.d.t.], dove proiettano un film dellaterza generazione, il film è finito e ilvolto della gente che esce dalla salasembra quello di chi torna da unfunerale. Vorrei chiedere a uno diloro «alla fine, che fine ha fatto quelvaso di fiori?».

(1) Letteralmente tavola delle setteesse, dalla presenza di sette elementiinizianti per la lettera esse, che gliiraniani imbandiscono in occasionedel nau ruz (nuovo giorno), il 21marzo di ogni anno.

GERENZA

«CLOSE UP», 1990●●●Abbas Kiarostami, uno dei pochi cineasti sopravvissuti alle purghefondamentaliste dei guardiani della rivoluzione, prende spunto proprio dalla vittoriaa Rimini di «Il ciclista» per realizzarne una sorta di sequel, «Close up», la storia di untruffature che si spaccia da regista del «Ciclista» per adescare falsi finanziamenti.Anche questo film ha uno straordinario successo di pubblico e di criticainternazionale e lancia la «nuova onda iraniana» che sarà presto oggetto di unaaccurata retrospettiva organizzata dalla Mostra del nuovo cinema di Pesaro elancerà i film sempre più «liberi» e poetici di un amico e collaboratore di KiarostamiJafar Panahi, che inizia a vincere festival internazionali sempre più prestigiosi...

L’OSCAR 2012●●●Nel frattempo Makhmalbaf, ex drastico inconoclasta e islamista sfegatato, al puntoda considerare la musica una intollerante e sensuale interferenza nel rapporto con dio,spalleggiato da tutta la sua famiglia di cineasti, realizza immagini sempre meno«controllabili» e inizia a polemizzare con le assurdità del sistema censorioimperante...Paradossale in un «paese che con il film di Tamineh Mir Mirany Ghaire azeKhoudo Hitch Kasse Naboud si era dedicato tra i primi all’erotismo lesbico (1975).Kathami passa e la situazione si complica per tutti. Solo Farhadi con About Elly e Unaseparazione (che vince l’Oscar) riesce a mantenere altro il livello della ricerca senza farsiimprigionare e senza essere costretto all’esilio. Certo i suoi film - sempre concentrati suquestioni etiche non sovversive - vanno decifrati e interpretati obliquamente....

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Ermanno Olmidiceva: «La primagenerazione delcinema guardavaalla vita e faceva ifilm... la terzagenerazione ormaiguarda solo i filme fa film»

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POESIA

Mappa emotivadell’immigrato nero

«LE NOVE MUSE» DI JOHN AKOMFRAH ■ LA DIASPORA NERA IN INGHILTERRA

«Ricordo quei pomeriggi, da ragazzini,passati ad ascoltare le storie dei nostri genitori.Arrivati dall’Africa in Gran Bretagna avevanotrovato un paese freddo, inospitale, bianco...»di Marco Scogmamillo

●●●In occasione della premierelondinese dell’ultimo film di JohnAkomfrah, Le nove muse, abbiamoincontrato il regista presso l’Instituteof Contemporary Arts per unadiscussione sul film e su alcunetematiche ricorrenti nella sua opera.

John Akomfrah è un pioniere delBlack British cinema. Artista visivo,studioso e critico cinematografico,nel corso di una carriera ormaitrentennale ha svolto un lavorofondamentale di indaginesull’identità black, attraverso uncorpus di opere che hannocostantemente messo in discussionela forma documentario non solo peresplorare la storia dei nerid’Inghilterra, ma anche, forsesoprattutto, per analizzare i modi incui il discorso sui neri è statocostruito nella storia dai mediabritannici. La riflessione diAkomfrah, figlia dei cultural studies edelle teorie su cultura e potere diStuart Hall, prende le mosse dallaconstatazione di un’assenza. «Daragazzino andavo sempre in uncinema dove proiettavano filmd’autore. Non li capivo ma nerimanevo affascinato. Era un modoistintivo per fuggire la realtà, peròc’era un aspetto che alla realtà mi ciriportava in continuazione: in queifilm i neri non c’erano mai.

Nell’Inghilterra degli anni ’70 i nerierano invisibili nei media, e quandonon lo erano la lororappresentazione era frutto di unafantasia coloniale». Nel 1982, conalcuni compagni, fonda il BlackAudio Film Collective proprio conl’intento di investigare quella«fantasia coloniale». La societàinglese aveva prodotto un’identitànera preconfezionata, e questa eradata così per scontata che quandonel 1985 la popolazione di Brixton siribellò contro le violenze della polizianessuno fece fatica a credere allaversione data dai media, che parlavadei neri solo in termini divandalismo e criminalità. «Ma nellarealtà non esistono identità fissate.Esistono solo narrazioni chesembrano funzionare. Purtroppoqueste vengono adottate, anche inmaniera inconscia, da comunità egruppi sociali». Gli sforzi delcollettivo si propongono didecostruire questi congegni diidentificazione, e producono nell’86il primo capolavoro, Handsworthsong. «Il modo in cui le rivolte dell’85venivano ricostruite e presentate daimedia ci fece capire che era propriocontro quei pregiudizi che dovevamomuoverci. C’erano versionialternative, altri punti di vista daraccontare». Akomfrah e compagnilo fanno attraverso questodocumentario sperimentale/saggio

visivo in cui lo spettatore, senza laguida della voce narrante, è libero diformulare il proprio pensieroseguendo una narrazioneframmentaria, che accosta i filmatidelle rivolte di Brixton a immaginid’archivio, musica dub e rumori,creando un flusso ipnotico eassociativo. La nuova avanguardianera destò tanto scalpore quantecritiche, tra cui quella celebre di

Salman Rushdie, che rimproverava alcollettivo di essere pretenzioso e piùattento a questioni formali e dirappresentazione che alla vita vera,dei neri di strada. Akomfrah sorride:«Naturalmente era l’esatto contrario.Il fatto è che non basta interessarsi aquello che avviene in strada. Bisognainterrogarsi sul perché esista quellastrada. Sui congegni che definisconole cose in termini di bianco o nero.Perché non c’è nulla di naturale intutto ciò».

Negli anni successivi, con il BlackAudio Film Collective fino al ’98 e poiin autonomia, Akomfrah ha seguitofedelmente il proprio programmarealizzando diversi film tra cui Sevensongs for Malcolm X, uscito nel ’93come il bio-pic di Spike Lee ma benpiù problematico nellarappresentazione del leader nero, e

The last angel of history (1997),un’analisi dei rapporti fra culturapan-africana, science fiction, viaggiintergalattici e cultura digitale cheprende le mosse dalla musica di SunRa e George Clinton e la fantascienzanera di scrittori come RobertDelaney e Octavia Butler.

È a Handsworth song, però, chesembra riallacciarsi direttamente ilnuovo film di Akomfrah, Le novemuse. Affresco della diaspora neradegli anni’50 e ’60, Le nove muse ècome Handsworth song un film sullamemoria, sulle relazioni tra memoriapersonale e memoria istituzionale.Davanti agli occhi dello spettatorenon scorrono però scene di rivoltaurbana, ma misteriose immagini diuomini ripresi di spalle mentreimmobili fissano paesaggi ghiacciatiche sembrano provenire da un altropianeta. Nonostante la suacomplessità di film sospeso fradocumentario e video-arte,composto visivamente da materialed’archivio e da riprese fatte dalregista in Alaska, e traboccante diriferimenti che da L’Odissea e LaDivina Commedia arrivano fino almodernismo europeo più elitario, Lenove muse riesce a dialogare con lospettatore innanzitutto a livelloemotivo. Lo stesso Akomfrah neparla con parole che fannoriverberare i sentimenti suscitatidalla proiezione: «Per anni sonostato ossessionato dalla miagenerazione, da ciò che avevamofatto e da come lo avevamo fatto.Avevo praticamente dimenticatocoloro che si erano imbarcati in unviaggio così complesso eimpegnativo. Ho sentito il bisogno difermarmi e guardare indietro. Miamadre è morta da poco, e con lei sene sono andati molti di quelli chenegli anni ’50 e ’60 sono sbarcatisulle coste inglesi. Con questo filmmi sono rivolto a loro. Ricordo queipomeriggi, da ragazzini, passati adascoltare le storie dei nostri genitori.Arrivati dall’Africa avevano trovatoun paese freddo, inospitale, bianco.Quando pochi anni fa sono arrivatoin Alaska per le riprese di un lavorosu The waste land, ho pensato: "Eccoquello che devono aver provato". Hopensato che fosse il momento giustoper comporre un epitaffio alle lorovite. Per una volta non mi sonointeressato ai fatti, alle statistiche, hoprovato a costruire una mappaemotiva dell’immigrazione nera inInghilterra. Niente di piùcomplesso».

Per raccontare la storia psicologicadell’immigrazione Akomfrah

moderati arabi < 165 166 167 >

Brahim Ekfash, Eboya Hamu, Bubacar Bah, Mohamed Ebhoya e altri sahrawi sonoin carcere dal 27 febbraio. Nella città occupata di Dajla gridavano: «Sahara libero».

●●●Il sacco di Roma 1. Dialogo rubatosul 64 tra un uomo in tuta da meccanicoetà 50/60 e una «verace ultraottantenne»lui: «… i visigoti, i lanzichenecchi, ipalazzinari, i preti er governo e mo’arivano i peggio, nun guardeno ‘n faccianisuno, er peggio der peggio è er sacco dele banche , signò, nun ve lasseno mancol’occhi pè piagne». lei: «Ah morè e mo’ tepare che si me rimane quarche lacremame la spreco pe li strozzini!» il dialogo siperde tra i rumori del traffico e vienesubito surclassato da due voci squillanti acui non riesco a dare un volto data laressa sul bus. lui: «aò anvedi che ber culoa mandolino che c’hai» lei «sì, ma pe’ tenun sona» lui «e te credo è rotto» altrafrenata e sono scesa e pensavo che è statauna rarità sentire parlare romano sul 64che normalmente è una babelecosmopolita da cui è difficile uscire senzaessere stati derubati, e se davvero questogoverno rivaluterà gli estimi catastali del60% senza legare l’infame tassa, ici o imuche sia, al reddito, la speranza di ascoltarela lingua trascritta e reinventata dal poetaBelli naufragherà del tutto e il«romanesco» sarà solo quello parlato neiquartieri dormitorio sparsi lungo ilraccordo anulare, quelli che si chiamanocon le torri tipo tor bellamonaca doveverranno definitivamente esiliati gli ultimiromani del centro. Già immagino l’assaltofino all’ultima bottega, ai sottoscala, lesoffitte e le cantine, i tacchi dodici delle«segnorine» dei nuovi padronis’incastreranno tra i sampietrini d’oro,sempre sconnessi ma d’oro, allora nientepiù «paini», riccetti e malandri, niente piùpasseretti all’alba che si rincorrono tra ipanni stesi, tra le mutandine e i calzini,perché nessuno scuoterà le briciole dallefinestre dopo pranzo né stenderà pannitra i vicoli stretti e ombrosi, non cisaranno più gatti né gattare, né cantinediventate teatri né poeti, né cineclub néstudi di pittori, né librerie e i gradiniintorno alle fontane verranno disinfettaticon spray urticanti e magari ci metterannole catene come hanno già fatto a piazzaSan Pietro e a Santa Maria Maggiore cosìnessuno ci si potrà sedere e poi un tristegiorno sfratteranno anche le puttane dalrione Monti ….

ULTIMI MANDOLINISUL 64

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(5)ALIAS3 MARZO 2012

La passione del grande regista americanoper il romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, di cui

nel 1943 acquistò i diritti, scrivendone anchela sceneggiatura, rimasta purtroppo nel cassetto

rinuncia a dare un impiantonarrativo al suo film e procede perlibere associazioni di immagini, vocirecitanti, musiche e rumori, come inun’improvvisazione jazz in cui aturno i diversi strumenti prendono inmano il procedere della discorso. Larinuncia all’elemento narrativo vienedefinita dal regista come una sceltaetica.

«La maggior parte dei materialivisivi di questo film provengono dadocumentari sociali, ognuno giàimpacchettato in una cornicenarrativa. Dopo aver passato cosìtante ore negli archivi ho sentito ilbisogno etico di liberare le immaginida queste narrazionipreconfezionate. Immagina di essereragazzino nero di nove o dieci anni,in una scuola di Birmingham neglianni ’60. Ti puntano una cinepresasul viso e tu ridi perché credi che laragione per cui ti stanno filmando èche le gente è felice di vederti. Poi,vent’anni dopo, ti rendi conto che inquel momento ti trovavi dentro unaprigione chiamata "documentariosociale", perché eri un problemasociale. Ecco, dopo quarant’anni hosentito il bisogno di liberare questeimmagini da ogni tipo di narrazione,farle parlare per quelle che sono, edare la possibilità allo spettatore dirispondere solo di quello. Non so seci sono riuscito, ma certamentequella era la mia ambizione».

«ACT OF VALOR»,I RAMBO CRESCONO

UN SORTILEGIO IN TOURNÉESi può trovare il libreria il cofanetto «Il Piccolo Principe»(Bompiani, 22 euro) con il libro e 2 cd audiolibro esaltatodalle voci di Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco. E ci sonoancora solo due giorni per assistere allo spettacolo teatrale,oggi serale e domani pomeridiana, a Roma al Teatro Vittoria(piazza Santa Maria Liberatrice 10)con la regia di ItaloDall’Orto. Allestito dalla Compagnia Mannini Dall’Orto, lospettacolo che ha già avuto oltre 400 repliche, ha debuttatonel 1998, e Italo Dall’Orto è anche l’autore della riduzione del

testo e interprete della parte del Pilota, mentre la parte delprotagonista è affidata a turno a Pietro Santoro e EmilioMagni, bambini dal talento speciale. Nel ruolo della Rosa e delSerpente, al loro primo debutto sul palco, Virginia Gori eArianna Baldini, giovanissime promesse della danza,studentesse del Centro Studi Danza e Movimento di Firenze.Scenografia di Armando Mannini e, fra le musiche originali diGionni Dall’Orto e Erika Giansanti, la canzone della rosa èinterpretata da Irene Grandi. La tournée tocca poi Milano,teatro Carcano dal 16 al 18 marzo, quindi dal 29 al 31 marzoil teatro Il Rossetti di Trieste

ORSON WELLES E «IL PICCOLO PRINCIPE» ■

Nel cappelloc’è un elefanteinghiottito da un boa

In alto il cineastaafro-inglese John Akomfrahdi cui è appena uscitonelle sale «Le nove Muse».A destra l’illustrazioneoriginale del «Piccoloprincipe» di Antoinede Saint-Exupéry

●●●Gli uomini (e le donne) bomba diAct of Valor non nascondono esplosivonelle scarpe o nelle mutande. I loroordigni sono eleganti gilet beige, «cosìsottili che starebbero sotto unosmoking», ripieni di un cocktail di biglie diceramica, plastico, e proiettili a tasso didistruzione altissima, oltre che immune aisensori di qualsiasi metal detector. È«terrore» decisamente globale quello delcampione al box office americano delloscorso week-end - con suicide bombersfilippini, guerriglieri torturatori del CostaRica, cartelli messicani armati fino ai denti,spacciatori ebrei della Cecenia e, in testaa tutti, un top leader di Al Quaedainvasato, in combutta collettiva per unmega attacco contro gli Stati Uniti. Tral’inerme spettatore e quella coalizioneinfernale solo un gruppetto di uomini: glistessi che hanno ucciso Osama Bin Laden,liberato gli ostaggi americani in Somalia unmese fa e che stanno facendo lobby neicorridoi di Washington per poter agire(in tutto il globo) con più libertà eautonomia rispetto alle gerarchie delPentagono.

Nel film di Lewis Teague Navy Seal(1990), dedicato proprio ai corpi specialidella Marina Usa, Michael Biehn e CharlieSheen erano due di questi militari, allenatie programmati come macchine da guerra.Nel 1997, al picco delle sua carriera,Demi Moore sudava sangue per avereaccesso all’exclusivo boys club in G.I. Jane,di Ridley Scott (nella realtà, le donne sonoancora bandite). In Act of Valor (che escein Italia il 4 aprile), i Navy Sealsinterpretano se stessi. Anche la genesi delfilm è capovolta: il progetto non è uninstant movie originato in fretta e furia aHollywood in seguito alle prodezzze deicosiddetti Special Ops, ma è statoconcepito come parte di un’iniziativa peril reclutamento inziata dal Pentagono nel2006. È stato il Pentagono, infatti, asuggerire il film agli ex stuntmen,produttori indipendenti Mike McCoy eScott Waugh, e alla loro Bandito Brothersspecializzata in patinati documentarisportivi (come Step Into Liquid e Dust toGlory), che avevano già ripreso i Sealsdurante una missione in soccorso di unagente segreto nelle Filippine. Allasceneggiatura, le penna non proprioelegante di Kurt Johnstad (300), cui vaprobabilmente il merito dell’iperboleetno/kitch/complottistica della trama. Matutto ciò che riguarda le operazionimilitari e i soldati sarebbe materiale diprima mano, fornito sotto il beneplacitodell’ufficio promozione della Marina.Molte della riprese, raccontano le note diproduzione, sono state realizzate duranteautentiche sessioni di traning dei corpispeciali, in cui venivano simulate azionimilitari piuttosto complicate. È così, peresempio che è stata possibile la lungasequenza d’apertura che segue i Seals

nella liberazione di un’agente della ciaselvaggiamente torturata nella giungla delCosta Rica. I militari nel film (di cui nonviene mai dato il nome completo) sonoancora in servizio attivo e hanno potutopartecipare alla produzione nei periodi dilicenza. I loro volti, i movimenti e le scened’azione (riprese in modo spettacolare,ma grezzissimo) sono quindi piuttostocredibili. Quando aprono la bocca moltomeno, anche perché non aiutati daidialoghi, pieni di cliché. I terroristi, invece,sono tutti interpretati da attoriprofessionisti. Così, tra la capacità direcitare e lo stampo ridicolamentecaricaturale dello script, un po’ alla 24, Icattivi fanno almeno l’effetto di veripersonaggi, non di un comunicato stampaeccezionalmente piatto, come invecesuccede per i soldati, più anonimi diquello che risulterebbero in un realitytelevisivo. Il risultato è un ibrido strano didocufiction, con un paradossale effettocontroproducente. Lanciato daldistributore Relativity Media (quelli diKnockout di Soderbergh, in cui c’è unadonna capace di dar filo da torcere aqualsiasi Navy Seal), con una campagna atappeto fatta di centinaia di previewstrategiche in basi militari e affini, spot suicircuiti radio più conservatori, unapromozione attraverso il videogiocobellico Battlefield 3 e persino uno spot tra3 milioni di dollari andato in onda duranteil Superbowl, Act of Valor ha incassato 24milioni di dollari nel suo week endd’esordio, bettendo l’ennesima avventuracomica di Madea/Tyler Perry. Inoccasione della prima, a Los Angeles, seiNavy Seals dotati di paracadute, sonoatterrati in mezzo a Sunset Boulevard,chiuso al traffico in occasione dell’evento.L’immagine, un po’ Red Dawn, sarebbepiaciuta molto a John Milius. E l’ultimainquadratura di Act of Valor ritrae uno deiSeals su una spiaggia, che avanza verso ilmare, con la sua tavola da surf. Ma il filmdi McCoy e Waugh non osa nemmenosfiorare il cuore di tenebrapolitico/poetico dell’autore di ApocalypseNow. Per non parlare del suo occhio per Idettagli di un’azione di guerra. Ancora davedere se questo spottone da 50 milionidi dollari frutterà le reclute desiderate daPentagono. Certo, la fascinazione per icorpi speciali, di cui Obama si serveapertamente e che, in cambio, lo hannoservito benissimo, non è destinata afermarsi. La loro qualità visibile/invisibile,l’impressione di corpi cometecnologicamente avanzati anche loro,quasi cyborg, soddisfano il miraggio diguerre sempre pù chirurgiche, indolori,rapide e lontane. Le loro missioni(quando venno bene), l’equivalente diraggi laser, l’opposto dellaguerra/macelleria raccontata da StevenSpielberg in War Horse. È attesissimo perfine anno (uscirà solo dopo i risultati dellepresidenziali, per evitare di sembraretroppo pro-Obama) il film di KathrynBigelow sulla missione per uccidere BinLaden. Già in produzione anche unaversione b della stessa storia, Code Name:Geronimo, di John Stockwell.

di LUIGI ABIUSI

●●●Gli anni in cui un grandescrittore come André Malraux – nonsenza contraddizioni e larvatiinteressi imperniati alla necessitàdell'avventura e della scoperta dinuove, pure culture – percorreva levie del terzo mondo, dirigendosi inIndocina (e cercando di ricavarne,pare, ornamenti scultorei di granmercato), sono gli stessi che vedonol'esordio letterario di Antoine deSaint-Exupéry, rigorosorappresentante, benché in unadisposizione del tutto personale, diquel romanzo d'azione (tuttoletteratura ed esperienza di vita),diffusosi in Francia intorno al 1930, eche, come variazione intorno allaforma del reportage, giungeva, allimite, fino al referto nichilistico dallezone del Congo del Voyage céliniano.Per cui, allo scaltrito esotismo di unMalraux immerso negli spazi verginiindocinesi nella misura in cui, pergiunta, ne sarebbe scaturito, per lui,l'ammanto dello scrittore attivista,corrispondeva lo slancio ingenuo,disinteressato del poeta aviatore,

cultore del deserto quale spazioaperto alla sedimentazione di unnuovo umanesimo, per quantoretrospettivo.

Nel senso della consequenzialitàtra finitura teorico-poetica eprospettiva politica, non stupiscel'interesse da parte di Orson Wellesper il Piccolo principe, di cui ottennesubito, nel '43, i diritti per farne unfilm, scrivendone la sceneggiatura,ma che non poté sfruttare anche pervia del rifiuto di Disney a collaborarealla realizzazione delle parti adisegno animato previstedall’adattamento.

E leggendo le pagine dellaversione wellesiana, riproposta direcente da Bompiani dopo la primaedizione del 1995 (traduzione diFabrizio Ascari; postfazione di EnricoGhezzi), non si può non avereconferma di quella visioneprospettica che presiedeva in Welles,a un preciso approfondimento esnaturamento degli spazi, percorroderne le accezionicapitalistiche, americaniste o alcontrario ingigantire, deformare,immaginare l'incanto di ambientialternativi; come in questo caso,quelli colmi di elementi celesti,fulgidi, sorti dal seno stesso deldeserto in cui il piccolo principeappare come dal nulla, per poiscomparire alla fine non lasciandoné corpo, né traccia. Sono miraggi,spettri, aggregazioni estemporaneedi visuale sorte dalla nullità deldeserto, ovvero dalla fertile formacava (direbbe Renato Serra) di unadistesa sabbiosa e tersa (atta aldissolvimento), vuota in ragione diuna piena attesa che definisce allorail filtro formale, linguistico, inperenne costituzione emodificazione, a cui si affidano tanto

Saint-Exupéry che Welles: nonimitazione del dato sensibile (tantopiù che nel deserto ve n’è penuria omonotonia) ma invenzione continua(partendo da quella prosperamancanza) di ciò che riguardal'invisibile. E del resto Ghezzi, dasempre concentrato sui meccanismidi possente evanescenza delleimmagini, non poteva che partire dalì, dal segreto che la volpe confida alpiccolo principe: «l'essenziale èinvisibile agli occhi». Di lì lacreazione, che sia fedele il piùpossibile alla natura dell'invisibile, sirisolve tutta (anzi, non si risolve, nonpuò) nell'allusione (all'infinità difogge e posture del potenziale), nelpuro vibrare del significante, delmascheramento. Qui la formulaghezziana diviene pregnante nel suodivenire formale, sonante, cioè nel«salto saussuriano del nessosignificante/significato, odisseminazione proliferazioneesplosione del nesso e del senno; macol nesso di poi...»; quel «poi»,quell’altro (miraggio) incarnato perun momento nel puro collegamento,nesso appunto: la scatolarettangolare con tre buchi perrespirare, che sarebbe una pecora, oil disegno che agli adulti sembra diun cappello ma che nasconde inveceun elefante inghiottito da un boa, ogli squarci di cielo nella loro identitàdi deserto, contraltare libertario efantastico ai pianeti dell'utile, delpotere, della vanità, del lavoroalienante. In questo modol'umanesimo definito daSaint-Exupéry volgendosi al passatodi una Francia rurale, a un'infanzia –magari quella di un incantatoAlain-Fournier – in cuil'«addomesticamento»,l'avvicinamento emotivo all'altro è lapremessa per la creazione, per lacatena di corrispondenze («Ma tu haii capelli color dell'oro. Pensa comesarà meraviglioso quando mi avraiaddomesticato! Il grano, che è doratocome i tuoi riccioli, mi farà pensare ate. E mi piacerà ascoltare il vento trail grano...»), sembra riguardare ancheil procedimento critico, trasfigurantewellesiano, in relazione al portatoretroattivo, mettiamo, di un Quartopotere (ma «visibile» anche nel DonChisciotte e, ovviamente, in questoPiccolo principe, rimastinecessariamente illusioni), che facapo all’immagine – finalmentecompiuta – dello slittinodell’infanzia, Rosebud, e costituiscel'intima resistenza alle diverse,contingenti derive della storia.Soprattutto alla fine Welles ci offredelle indicazioni di regia piene diaria e di colore, miraggi fatti dellasostanza stessa della malinconiafanciullesca (per le immagini che siperdono) e del sorvolo (di unpoeta-aviatore che mirava dall'alto laresistente, geologica purità dellaTerra): «il campo lungo mostra uncielo all'alba e contro l'orizzonte lasagoma di un pozzo», o «dettaglio:interno del secchio. L'acqua con ilcielo che vi si riflette», «dissolvenzain apertura: un altro campo lungo diun cielo pieno di nubi in cui vola unaeroplano, talvolta nascosto dallenuvole» e «durante le ultime fasidella narrazione il cielo, indissolvenza, è diventato notturno.Scintillio di stelle».

IL LIBRO

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di FRANCESCO MAZZETTA

●●●In attesa dell'uscita del nuovocapitolo di Bioshock una letturaestremamente interessante è quelladel libro in cui Filippo Zanoli,«umanista della vecchia scuola»(come egli stesso si definisce sul suoblog:http://gamesvertigo.wordpress.com) e impegnato nel GamesLabIulm, prende in esame il percorsovideoludico di Bioshock partendodagli ispiratori System Shock1 e2 eseguendo la strada di Ken Levineallo sparatutto in prima personafino a «annusare» i primi sentoridella nuova incarnazione delmondo a cui Levine rimette manodopo la parentesi del secondo titolo.

Ma Bioshock. In nome del padre(Unicopli, 16. volume della collanaLudologica) parte da ancora piùlontano: dal First Person Shootercome genere. Addirittura da Calvino

(e poi c'è chi dice che i videogiochiallontanino i giovani dalla lettura!):Zanoli mostra come il genere sia giàin nuce rappresentato nel principaleracconto di Ultimo viene il corvodove un bambino utilizza un fucilericevuto in regalo da alcunipartigiani per sterminare unapattuglia nazista. Dal raccontoZanoli passa al videogiocoosservando «la soggettiva... comemacchina perfetta diimmedesimazione utente-centrica,come incanalatrice di pulsioni edesideri facilmente realizzabili, macome tale soggetta a limitazionianche importanti su altri piani...l'FPS... tendenzialmente monotonoper quanto riguarda il punto divista, predilige la narrazione che sisviluppa autonomamente, secondole regole del gioco e nel/durante lapratica del gaming stesso conpoche, pochissime, intrusioni

esogene di tipo paratestuale».Il libro mostra perfettamente

come di questo genere - soloapparentemente sempre uguale a sestesso - Ken Levine offra una provadecisamente autoriale scegliendo direalizzare un successore di SystemShock 2 con il medesimo profondoappeal cyberpunk ma concedendomaggiori spazi di giocabilità lineare.Ed il vero protagonista di Bioshock(e ovviamente anche del seguito, acui Levine non ha collaborato, e chepure rimane nel solco dellacreazione originale) è Rapture, lacittà sottomarina creata per tutti igeni anarchici che volevanoimpedire al sistema capitalistico, aquello comunista o alla religione diporre limiti o dazi alla lorocreatività, che si trasformano invecein mostri per aver preteso coneccessiva avidità meraviglie da sestessi. E il gameplay che rimane in

mente al giocatore non è tantol'attività di sparare tipica del genere(pure presente in ovviaabbondanza) ma quella della sceltadei potenziamenti con cuitrasformare il corpo del proprioalter ego virtuale. Per questacapacità leviniana il prossimocapitolo di Bioshock: Infinite,previsto in uscita entro l'anno, ècarico di un pesantissimo hype: ilvideo promozionale ci mostra presiin una Rapture sospesa in cielodove la glorificazionedell'americanità è collassata in unafaida di cui siamo poco entusiastitestimoni soprattutto per salvare ildeus-ex-machina di quel mondorappresentato da una deliziosafanciulla in pericolo. Già dal videopromozionale un'occasione perriflettere su come i videogiochi nonsiano «semplici» giochi ma veri epropri mondi da vivere.

VIDEOGAME

di FEDERICO ERCOLE

●●●Il banco di prova definitivo peruna nuova console portatile è quellodi portarla fuori e di giocarciall’esterno, solo alloral’appassionato di videogiochi, comeil surfista che sta per provare inmare la sua nuova tavola mentreonde gigantesche si abbattono sullasabbia, potrà capire se l’hardwarevale la spesa e il proprio tempo.

È arrivata in occidente Ps Vita, lanuova mini-playstation di Sony edopo diverse ore di gioco, moltedelle quali trascorse sotto il cielo,dentro la metropolitana e in tuttiquei luoghi dove il videogameportatile trova la sua ragioned’essere, possiamo affermare che sitratta di un piccolo prodigio, ingrado di donare alla realtà di tutti igiorni la stessa dimensione dicoinvolgimento e di astrazione cheuna console domestica, con l’ausiliodi un grande schermo, può fornireal giocatore hardcore. Un prodigio«inattuale» dicono alcuni esperti delmercato, magari meno esperti divideogame, perché un dispositivoportatile novello rischia l’estinzionein un’epoca in cui i mini-giochi pertelefoni e tablet fatturano miliardi.Ma la bellezza di Ps Vita sta proprionell’essere una fenomenalemacchina da gioco, ancoraincompresa dal pubblico (inGiappone ha venduto poco) comel'anno scorso lo fu il sorprendente3Ds Nintendo, che dopo un lanciostentato e la diminuzione drasticadel prezzo negli ultimi mesi si èdiffuso a milioni.

Giocando a Ps Vita, seduti su unapanchina, o sulla poltrona di untreno, si verifica una curiosasensazione di sdoppiamento dellarealtà. Osserviamo la giungla diUncharted Golden Abyss, uno deititoli di lancio, e ci appare cosìdefinita e ricca di particolari, graziead un motore grafico potentissimo,che sembra una finestra su un altromondo, uno di quei portaliultra-dimensionali descritti neiromanzi di fantascienza. Guardiamol’orizzonte vasto del gioco, le suenuvole, i raggi del sole giocare conrami e foglie e inevitabilmentealziamo lo sguardo anche sulpresente, curiosi della realtàquotidiana che ci circonda ma giàpresagendo l’incanto di quellavirtuale in cui stiamo per rituffarci.Inoltre possiamo «toccarla» quellarealtà fittizia, perché la Ps Vita ha untouch-screen e una superficieposteriore anch’essa sensibile altocco, e ruotarla, grazie ai sensori di

movimento. Se abbiamo indossatole cuffie il senso di immersione ècosì avvolgente che,paradossalmente, ci illudiamo dileggere un libro, di toccarne lepagine e visualizzare, tramite unostrano meccanismo fanta-onirico, leimmagini e i suoni prodotti dallanostra fantasia.

Ps Vita è un sensuale preludio,ma solo un inizio; oltre il già citato,e davvero riuscito Uncharted, igiochi disponibili al lancio non sonotutti così affascinanti, tuttavia glisviluppatori sembrano ben dispostiverso la console e in futurousciranno giochi desiderabili comel’ «animoso» Gravity Rush, il remakeHd di Final Fantasy X, un nuovoSilent Hill, Dragon’s Crown deimaestri dei gdr disegnati a mano diVanilla Ware e, si mormora e sispera, un nuovo Monster Hunter,perché il fatto che l’«imprescindibile» serie Capcom siaper ora traslocata su 3Ds hasignificato molto per il pubblicogiapponese, che adora questasimulazione di caccia ai mostri. Seescono più Monster Hunter supiattaforme diverse possiamosperare che almeno uno di questiarrivi infine in occidente. Entrobreve uscirà anche un videogamerealizzato in uno splendente biancoe nero, Escape Plan, un’avventurastrategica e enigmatica che sfruttaad arte le possibilità di Vita.

Ps Vita è piuttosto cara per cuil’acquirente ci penserà due volteprima di investire quasi trecentoeuro in un nuovo dispositivo, e lememory card specifiche hannoprezzi un po’ troppo elevati. Mapurtroppo è sempre così al lancio diuna nuova console, e molti silimiteranno a sognarla prima dipoterla infine possedere e avrannotuttavia il tempo di vedere se Ps Vitasarà all’altezza delle aspettative.

Eppure questo splendidomostriciattolo di Sony (come il suounico vero concorrente, il 3Ds) èuna nuova fresca alba, la promessache i videogiochi non siestingueranno in tante piccolebagatelle, talvolta divertenti per 2minuti, spesso superflue edimenticabili, studiate per ilmercato di massa dei telefonini. Eper chi ama davvero i videogame,per chi è cresciuto nutrendosi dilunghi, magnifici, complessi eprofondi sogni virtuali, potrebbeessere sufficiente.

LIBRI

Bioshockin nomedel padre,un altromondoda vivere

Ps Vita nuovaper i giochi

in alto da «Uncharted golden abyss»,sotto da «Escape»

Giocare con lanuova consoleSony in treno,al mare, in metrò,per provareil piaceredi un surfistae lo sdoppiamentodella realtà

L’ESTREMA SINISTRA LUDICA

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(7)ALIAS3 MARZO 2012

INTERVISTA ■ MARCO BRAMBILLA

«Genesis», lo sguardoaccelerato sul cinemafatto a pezzi in 3Ddi LUCA CELADALOS ANGELES

●●●La prima volta che hoincontrato Marco Brambilla era il1993 e il giovane registaitalo-canadese era l’ultima scopertadi Joel Silver che l’aveva ingaggiatoper dirigere Demolition Man,fumettone di fantascienza palestratacon Sly Stallone e Sandra Bullock.Sotto la tutela di Silver,superproduttore e vecchia volpe damultisala, Brambilla sembravadestinato a seguire le orme di unMichael Bay o un Renny Harlin ouno dei tanti giovani con unagavetta in videoclip e pubblicità,sbarcati a a Hollywood e disposti acoreografare esplosioni ed effettispeciali in blockbuster patinati.Invece Brambilla, milanese dinascita ma cresciuto in Canadadove la famiglia è emigrataquand’era bambino, è sparito quasisubito dai radar hollywoodiani perriemergere come videoartista eartista filmmaker sperimentale cheavrebbe anni più tardi collaboratofra gli altri con Marina Abramovic,Matthew Barney e Gaspar Noé. Laseconda volta che l’ho incontrato,qualche settimana fa, era incompagnia di un altro celebretransfugo da Hollywood e paladinodel cinema indipendente: RobertRedford, cui stava illustrando unadelle sue ultime opere istallata inNew Frontier, la sezionesperimentale e multimediale diSundance. Genesis è un videocollagemurale in 3D della durata di tre

minuti, una sorta di arazzomultimediale già esposto a NewYork, Santa Monica e al festival diVenezia. Nell’anno in cui il 3D èstato adottato da Martin Scorsese,Werner Herzog e Wim Wenders, ilvideo affresco di Brambilla èun’applicazione particolarmenteesilarante dell’illusione 3D. Sulloschermo scorre un collage di clipprovenienti da oltre 400 film i cuipersonaggi, in loop iterativi,agiscono, inveiscono e si dibattonocome anime dannate prigioniere diun girone infernale in technicolor.Genesis raffigura una «storiauniversale dell’umanità»rappresentata da protagonisti delcinema come profeti di un codicearcaico: Mosé/Charlton Heston,John Wayne di Sentieri Selvaggi,Raquel Welch cavernicola, arance

meccaniche, gladiatori e martiri dicelluloide in un unico GiudizioUniversale cinetico e cinematico,una rappresentazione sacra dipeccato, espiazione e potenza difuoco che racchiude estasi edeccessi di un secolo di cinema.Abbiamo parlato con l’autoredavanti alla sua rutilante apocalissebarocca.

●Soffri ancora i postumi di esserestato un regista «hollywoodiano»?Nel 1996 ho cominciato lavorare perme stesso, con film nonnecessariamente narrativi ma cheavevano più attinenza con lasperimentazione che mi ha sempreattirato, da quando avevo 17 anni. Ifilm che ho fatto a Hollywood mihanno insegnato molte cose sullatecnica e la tecnologica e imeccanismi di distribuzione ma laparte personale, quella espressiva,semplicemente non era compatibilecon quel modello. Quando hopotuto lavorare su concetti piùpersonali, in cui credo molto, mihanno aperto la via dellasperimentazione. I miei lavori piùrecenti utilizzano il cinema di

Hollywood e voglionocommentarlo: il concetto che i filmsono diventati spettacolo e artificio.Certo esiste ancora il cinemafondato sulle emozioni e film cheoperano su un livello diverso, maquelli «grandi», in 3D si sonostaccati dalla storia del cinema eavvicinati al concetto di parco atema. Mi interessava fare uncommento sul cinema come esisteadesso riprocessandolo per renderlosemmai ancor più spettacolare e,spero, estetico. Qualcosa capace dicreare una forte emozione in sensostrettamente visivo.

●Cinema come linguaggioartistico?Esattamente, per Evolution houtilizzato spezzoni di 400 film e ilrisultato è una comunicazionemolto più «aggressiva» di quella diun film visto al cinema.

●Come hai lavorato su questaopera?Mi hanno ispirato molto i quadri diBrueghel. Avevo già lavorato con latecnica del collage 4 anni fa. Questaè la seconda volta e la tecnica èforse un un po’ più precisa. Primauso Photoshop con deifermo-immagine per decidere unacronologia, dopo prendo lecorrispondenti scene dei film, leimmagini in movimento, e ne facciodei loop. Così le clip sono tutte inuna ripetizione ipnotica e ipersonaggi sono intrappolati neltempo e in questa «tela» di giudiziouniversale, come dici tu.

●Perché in 3D?Molti dei film che abbiamocampionato erano stati girati in 3Dgià in partenza eppoi è il giustoformato per un lavoro sul cinema diadesso e la sua «esagerazione». Vistoin un museo o in una galleria il 3Dfa un commento molto preciso sulsenasazionalsimo dei film.

●Altri autori hanno ripudiatoHollywood, rimanendo tuttavianell’ambito del cinema, quelloindipendente magari, ma non tu.Perché?Come dicevo, non sono mai statoappassionato della forma narrativa.È vero che esistono anche modiinteressanti di utilizzare la trama, inmodo non-lineare, piùsperimentale, ma nel cinemahollywoodiano c’è molta pocasperimentazione, sono storieraccontate migliaia di volte epersonalmente non ho più passionedi riraccontare ancora la stessastoria.

Purtroppo la maturità del cinemaha portato a questo – e quando unaforma arriva a una maturità come ilcinema oggi, bisogna trovare ilmodo di fare cose nuove anche colmezzo stesso, non solo colcontenuto.

●Credi che il nostro sguardo siastato ormai irrevocabilmentemodificato dal modoframmentario di vedere oggi?Sì, sicuro e il nostro sguardocambierà ancora. Continuerà adaccelerare.

GRAMSCIE LA CRISI

Il videoartista e filmmakeritalo-canadese racconta il suo«Giudizio Universale» cineticoe cinematico esposto al Sundance

ITALIENI

I dodici autori che più ci fannocomprendere la crisi che stiamo vivendo– ecco il mio programma Alias 2012. Hodetto di Kafka e Buster Keaton (gennaioe febbraio), è venuto il momento diGramsci.

Tra il 1929 e il 1935, scrivendo iQuaderni, Gramsci mostra e dimostra chela civiltà moderna è entrata in «crisiorganica» agli inizi del Novecento.

Crisi «organica» vuol dire –estremamente semplificando: 1. di lungadurata, 2. di carattere mondiale, 3. cheriguarda tutti gli Stati, 4. che èeconomica-sociale-politica-culturale, 5.che nasce dalla rottura degli automatismieconomici-sociali-politici-culturali dati edall’emergenza di nuovi modi disentire-comprendere-capire-agire, cheperò non arrivano a espandersi fino asostituire i precedenti.

Ecco perché Gramsci è attuale oggi:perché ha analizzato lo stato nascente diquesta crisi. La crisi finanziaria deisubprime, scoppiata alla fine del 2006negli Stati Uniti, dunque, non è l’iniziodella crisi che stiamo vivendo, bensìl’inizio della fase terminale della ‘crisiorganica’.

La prima guerra mondiale è «la primarisposta» alla crisi organica. Un primotentativo, da parte delle classi dirigenti, dimassificare e standardizzare le classidirette – che iniziavano a svilupparepericolosamente la loro creatività,autonomia, solidarietà.

Sulla scia della prima guerra mondiale,si elaborano, teoricamente epraticamente, tre grandi risposte regionalialla crisi organica mondiale. Il fascismo, lostalinismo, l’americanismo. Tre risposteche non risolvono la crisi, solo laprolungano, e sfumano una dopo l’altra.Sconfitta del fascismo, crollo sovietico,declino americano.

Gramsci scrive i Quaderni quandoqueste risposte sono in costruzione, e fauna critica scientifica delle loro basieconomiche, sociali, politiche, culturali –incentrata nella critica del marxismo edella sociologia, architravi teoriche delletre risposte.

Gramsci oltre il marxismo? Sì,Gramsci, con i Quaderni, supera ilmarxismo dei marxisti e di Marx stesso –e lo sa: «Perché gli Epigoni dovrebberoessere inferiori ai progenitori? Nellatragedia greca, gli ‘Epigoni’ realmenteportano a compimento l’impresa che i‘Sette a Tebe’ non erano riusciti acompiere». Quaderno 8 – 1931-32.

A partire da questa doppia criticaGramsci fonda una nuova scienza, la«scienza della storia e della politica», eindividua alcuni elementi fondamentali peruna concatenazione di teorie scientifiche:la teoria della crisi organica prima fraqueste.

Per risolvere questa crisi occorresviluppare una nuova scienza. Le vecchiescienze economiche-sociali-politiche, dadecenni, non comprendono la realtà, nonprevedono i processi, non progettano ilfuturo.

Da anni (dalla scrittura del libroSociologia e marxismo nella critica diGramsci, De Donato, 1978) Luis Razeto eio stiamo lavorando alla costruzione dellascienza della storia e della politica,partendo dal Gramsci dei Quaderni. Ilprimo passo è stato precisamente lateoria della crisi organica. I lettori italianila trovano intera nella sezione ‘Scienza’del mio sito-officina:www.pasqualemisuraca.com

BRAMBILLA

Dettaglio da «Evolution 3D»,sotto da «New Frontier»

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MAAKOMELE MANAKA

MAK, POESIE PER MANDELA,PER I MONDIALI, PER IL PAESE●●●Figlio del drammaturgo e poeta MatsemelaManaka e della coreografa e danzatrice Nomsa KupiManaka, Mak sin da bambino rivela il suo talento ed acinque anni vince lo Young Artist Award presso ilFunda Art Centre di Soweto, dove poi studia. Adiniziarlo all’arte della poesia un incidente che locolpisce alla spina dorsale a soli nove anni. Rimaneimmobile in un letto d’ospedale per lungo tempo ecosì la poesia diventa la sua compagna di vita. A 16anni calca il palcoscenico del Windybrow ArtsTheatre affiancando il poeta inglese BenjaminZephaniah e il sudafricano Dr. Don Mattera, inseguito si esibisce in diverse occasioni ufficiali comedavanti al presidente Nelson Mandela perl'inaugurazione della scuola elementare a Soweto.Presenzia a diverse manifestazioni culturali tra cuil'Urban Voices Poetry Festival, un'importantemanifestazione sud africana e negli anni successivi siesibisce in Germania ad Amburgo, a Berlino, inoccasione della cerimonia di chiusura dei mondiali dicalcio, e a Kohln dove divide il palcoscenico conmolti importanti poeti africani come Lebo Mashile eGcina Mhlope. Nel 2003 ha pubblicato la sua primaraccolta poetica If Only che ottiene un grandesuccesso e fa di lui un poeta molto ricercato.

Nel 2005 è stato nominato Daimler Chrysler Poetdell’anno. Nel 2008 incide insieme ad altri artisti ilsuo primo Cd, Word Sound Power.

È del 2009 la sua raccolta più matura In Time.Alcune sue poesie sono comparse con traduzione afronte nell’antologia I nostri semi-Peo tsa rona, curatanel 2007 da Raphael d’Abdon per l’editore Michele diSalvo di Napoli.

STACY HARDY

SCRITTRICE E REGISTASPERIMENTALE●●●La scrittrice, nata a Città del Capo,è direttrice della rivista sudafricanaChimurenga ma anche una prestigiosa filmmaker. All’International Film FestivalRotterdam del 2006 è arrivata col suocortometraggio I Love You Jet Li realizzatoin collaborazione con Jaco Bouwer, cheha fatto parte di transmediale.06: videoselection ad ha anche ottenuto il premiocome miglior film sperimentale al FestivalInternazionale Cileno delCortometraggio di Santiago del Cile nel2006. I suoi scritti sono apparsi su unaserie di pubblicazioni come EvergreenReview, Itch, Donga, Sweet Magazine, Litnet,Pocko Times, Art South Africa, Ctheory enaturalmente Chimurenga. Numerosi suoiracconti sono stati pubblicati in libri,antologie letterarie e cataloghi. Unaraccolta di suoi lavori sono prossimi allapubblicazione presso Pocko Books,Londra. Recentemente ha completato illibretto per un’opera lirica incollaborazione col poeta LosegoRampolokeng. Tra i suoi progetti attuali efuturi ci sono una serie di film e romanziillustrati.

In alto Maakomele Manaka,in basso Stacy Hardy

di BEATRICE ANDREOSEPADOVA

●●●A vent’anni dalla suaabolizione, nessuna festa dellauguaglianza per il post apartheid.Cosa è rimasto sotto il cielo del SudAfrica dopo la straordinaria battaglianera, partita da Soweto e capeggiatada Nelson Mandela, che, assiemealla mobilitazione delle coscienzeoccidentali, hanno decretato la finedella segregazione razziale? Non lagiustizia né la dignità. Utopianegata? Non proprio. Piuttosto unprocesso in fieri pieno dicontraddizioni e dolore gravato dadisoccupazione e crisi economica,ma anche da lotte tribali molto similial razzismo che, paradosso dellastoria, scandiscono anche a quellalatitudine la questione sociale. Araccontarcelo il giovane poetaMaakomele Manaka e la scrittriceStacy Hardy, direttrice della rivistasudafricana Chimurenga oltrechélodatissima film maker, ambedueospiti, nei giorni scorsi a Padova, delPorche Jazz Festival nella salaRossini del caffè Pedrocchi.Esponente tra i più apprezzati dellagiovane generazione di spoken wordartists sudafricani, Mak fa parte delgruppo Soul2Mouth. Pococonosciuto in Italia se non per unaapparizione al Festival dellaletteratura di Mantova del 2009 e peralcune traduzioni per la rivista ilTolomeo, Mak è un performer digrande destrezza. Ritmo puro la suavoce, di grande effetto la suarecitazione che trasforma l’oralitàantica in una nuova bandiera beat.Mak scandisce le rime, velocissime escatenate, al ritmo di assonanze edallitterazioni, fondendo testiimpegnati a sonorità reggae, jazz, hiphop e rap. Nei suoi versi snocciolaveri e propri gomitoli di denunciasociale, intrisa di delusione e rabbiaper il destino dei giovani fratelli diSoweto, la più grande township diJohannesburg dove lui stesso nel1983 è nato. I giovani oggi sonospesso disoccupati, divisi tra alcool eAids. In La mia Johannesburg si legge«… Come possono i tuoi figlicapire/che sono nati da una stirpe/di dolore e mani sporche,/consumeranno la lorogiovinezza/rimpiangendo il propriotalento/ chè noi genitori nonpurificammo il presente. /Ascolta ildolore nei suoi occhi,/ siaddormenta in lacrime/nell’angosciaper il marito/per il figlio

irresponsabile». A Padova recitaalcune poesie tradotte perl’occasione da Itala Vivan e Raphaeld’Abdon. In Il tempo recita così: «Ilmio tempo non è prima o dopo maadesso/ Un tempo di cui nonabuserò/perché molti sono morticercando di sconfiggere questotempo/ un uomo libero sta ancorafacendo il tempo/ nella propriamente imprigionata/depressione sichiama la sua sposa/ ma il temponon gli ha lasciato mostrarel’orgoglio della sua cultura».

●Mak la tua è una poesiacontemporanea che eredita ilpassato. Parla del tuo rapporto conl’oralità tradizionale.La produzione orale è importante inAfrica, è una cosa che abbiamo tuttidentro di noi. La spettacolarizzazionedella poesia ci arriva da tempi antichiquando il poeta era una importantefigura pubblica che poteva alzare lavoce davanti il re. L’oralità è parte dinoi stessi fin dalla nascita, vienetrasmessa da una generazioneall’altra e la poesia è una forma dicomunicazione pubblica. Io comepoeta ho il dovere di informarvi sulletragedie del mio paese.

●Racconta di Soweto oggiSoweto nasce in piena apartheidnegli anni ’50 ed è l'agglomeratodelle township della partesud-occidentale della periferia diJohannesburg. Era la città dell’oro evi viveva gente di tutte le stirpi. Lapopolazione anche oggi è fortementemultietnica: l’inglese è la lingua base

su cui si innesta la parlata di strada,prodotto di numerose lingue edialetti. I gruppi predominanti sonogli Zulu , i Sotho, gli Tswana, gliSwati e gli Tsonga. Oggi nel quartierec’è tanta musica e tanta poesia.

●Come vivono oggi i giovani inSud Africa a 20 anni dalla finedell’apartheid?Nei giovani c’è unadepoliticizzazione crescente. Essi sisentono molto lontani e sono moltodelusi dal partito unico, l’Anc, oggiin preda a divisioni e denuncereciproche. Tra i giovani neri in

particolare c’è moltadisoccupazione. Tra loro è forte,come del resto in tutto il mondo,l’influenza della musica. Io stessodopo la scuola superiore ho presoun anno di vacanza. Quando sirimane a casa piuttosto di non fareniente si fuma l’erba e cosi fanno iragazzi delle township. Io sono unodi loro anche se un po’ piùfortunato. La poesia, che è stata lamia compagna di strada sin dalmomento in cui sono entrato inospedale per l’incidente che mi hacolpito a nove anni, oggi mi porta arecitare i miei versi in molte parti

del mondo. Senza la poesia oggi nonsarei qui a parlare con te.

●La grande povertà in cui icittadini neri sono costretti a viverenelle township causa un aumentodella microcriminalità e lo scoppiodi continue tensioni razziali, comenel 2008 quando nei sobborghi diJohannesburg bande armate dipistole e machete «cacciavano» gliimmigrati provenienti dal Malawi,dal Mozambico, ma soprattuttodallo Zimbabwe, fuggiti da un paesein bancarotta e dal governoMugabe. Oggi gli scontri sono tra idiversi gruppi etnici. Tragicoparadosso storico per un paese doveè stata eliminata l’apartheid.I fenomeni di xenofobia in Sud Africasono contro gli immigrati, il nord ècontro il sud. Noi siamo sempre statiabituati ad essere considerati inferiori.Voi qui avete radici e tradizioni che

arrivano da lontano. Da noi l’apartheid ha cancellatoogni tradizione che nessuno percepisce più. Cirimane solo la lingua. Nessuno aveva previsto laxenofobia. Bisogna ricordare però che tra i diversi enumerosi gruppi etnici c’era molta ostilità ancheprima della colonizzazione. Nel momento degliscontri ci siamo resi conto che il nostro sogno erafinito. Noi sudafricani non siamo diversi dagli altri.

●Il campionato mondiale di calcio chesignificato ha avuto per voi?Ci ha praticamente lasciati in mutande. Io hoscritto la storia di un giocatore di calcio ubriaconeche alla fine viene ucciso.

●Che religione c’è in Sud Africa?L’evangelizzazione è stata molto forte.Cristianesimo e islam sono stati accolti dai nostririti. I primi però non sono altrettanto accomodantinei confronti delle nostre religioni indigene.

●A Stacy chiedo un parere sugli episodi dixenofobia

È terribile ma tutto questo può diventareoccasione per una importante e positivariflessione. Bisogna ricominciare daccapo fuori dalmito verso il vecchio sogno panafricano. La primaliberazione è quella della mente. La xenofobia sirivolge verso gli africani. Erano anni cheserpeggiava nel paese, nei taxi, nei negozi. C’ègente che viene bruciata perché si dice arrivi inSud Africa per rubare il lavoro.

●Tu fai politica attiva?No. Il nostro impegno politico lo facciamoattraverso l’arte che è l’unico vero strumento chepuò cambiare le cose.

INCONTRI ■ MAAKOMELE MANAKA E STACY HARDY

Soweto, Johannesburg:il tempo è adesso,tra musica e poesia

DOPO L’APARTHEID

SUDAFRICA

Un poetae performere una scrittriceparlano dei nuovifenomenidi xenofobiae dell’arte comeunico impegnopolitico possibile

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LA RASSEGNA

LE DONNE

IL CONCORSO

50 E 50DI JONATHAN LEVINE; CON JOSEPHGORDON-LEVITT, SETH ROGEN. USA 2011

0Adam non ha ancora trent’anni,è fidanzato con la bella Rachaele si diverte con l’amico Kyle.

Quando scopre di essere malato dicancro, incapace di accettare la malattia,non reagisce, per rendersi conto poiche la vita può ricominciare. Tematrattato sotto forma di commediaamericana con battute come: «Perché ame? Io faccio la raccolta differenziata!»

SAFE HOUSE - NESSUNO È ALSICURODI DANIEL ESPINOSA, CON DENZELWASHINGTON, RYAN REYNOLDS. USA 2012

0Sud Africa. Matt Weston(Reynolds), una recluta della Ciadeve tenere in custodia un

pericoloso criminale in attesadell’interrogatorio. Tobin Frost(Washington) è un ex agente in fuga dadieci anni, dopo aver venduto segreti edilapidato fondi dell’agenzia. Quando la«casa sicura» viene attaccata damercenari che vogliono Frost, Westonè costretto a fuggire con Frost verso unaltro rifugio, e durante la fuga scopronodi avere parecchie cose in comune.

THE WOMAN IN BLACKDI JAMES WATKINS, CON DANIEL RADCLIFFE,SOPHIE STUCKEY. GB CANADA 2012

0Arthur Kipps (Radcliff ormaiuscito dal ruolo di HarryPotter), un giovane avvocato

londinese, si reca in un villaggio peroccuparsi dell’eredità di una clientedefunta. Qui si imbatte in una serie dieventi inquietanti: è la presenza delfantasma di una donna che cercavendetta e terrorizza gli abitanti delluogo. Nel film, girato nell’Essex a LayerMarney Tower, non a caso, compareuna Rolls Royce Silver Ghost.

L’ARRIVO DI WANGDI MANETTI BROTHERS, CON Ennio Fantastichini,Francesca Cuttica. ITALIA 2012

0Gaia, un’interprete di cinese,viene chiamata per unatraduzione urgente e riservata.

Si trova di fronte Curti, un agente privodi scrupoli, che deve interrogare unfantomatico signor Wang. Ma, per lasegretezza, l’interrogatorio viene fattoal buio e Gaia non riesce a tradurrebene. Infine la luce viene accesa. (esce il9 marzo)

A SIMPLE LIFEDI ANN HUI; CON ANDY LAU, DEANNIE YIP.HONG KONG 2011

0Ispirato a una storia vera,racconta il rapporto tra ungiovane di famiglia benestante e

Tao, la governante che lo accudiva dapiccolo e per sessant’anni ha servito lasua famiglia. In età avanzata lui dedicheràil suo tempo per aiutarla, film sullagratitudine e il rispetto. Ann Hui, laprotagonista, ha ricevuto la Coppa Volpia Venezia per la sua interpretazione e ilpremio Pari opportunità. (esce l’8marzo)

HENRYDI ALESSANDRO PIVA, CON CAROLINACRESCENTINI, CLAUDIO GIOÉ. ITALIA 2012

6Lotta con armi piuttosto aguzzePiva per trovare un accordoplausibile con il genere televisivo

e la sua tendenza ben sperimentata alparadosso e all’ironia spinta, all’uso deldialetto creativo e della scenainaspettata. Parliamo di generetelevisivo perché non appena compareuna volante, un commissario e il suovice, siamo già in prima serata, poiprende il sopravvento l’assurdoquotidiano e ce ne allontaniamo, poil’interno borghese e ci ripiombiamo.Non è riuscito questo connubio, non cilascia quella certezza di aver assistito aun evento come Lacapagira o a unrimescolamento di carte come Mio

cognato. Anche se ha portato con sétutti i pezzi giusti. (s.s.)

ED ORA PARLIAMO DI KEVINDI LYNNE RAMSEY, CON TILDA SWINTON, EZRAMILLER. USA 2011

7Tilda Swinton, madre dolorosae suo figlio, disadattato einquieto. La scozzese Ramsey

scoperta di Cannes, entra in catatoniada primo piano sull’amore materno chequando evolve in passione s’accende laluce rossa di pericolo. un gioco affettivoal massacro. Il romanzo di Schriver soloalla fine spiega completamente l’intrigo,il film tende a usare un elemento comesottotesto e spiegazione di un altro(musica, montaggio, recitazione). (r.s.)

UN GIORNO QUESTO DOLORETI SARÀ UTILEDI ROBERTO FAENZA; CON TOBY REGBO, ELLENBURSTYN, MARCIA GAY HARDEN, LUCY LIU,DEBORAH ANN WOLL, PETER GALLAGHER. ITALIAUSA 2012

7Dal romanzo di Peter Cameronmaneggiato con cura, per nienteincline a fare il verso ad altri

grandi frequentatori di New York, conun gusto meno aspro nell’osservazione,mai sardonico anche quando descrive lepiccole assurdità che non sono neanchepiù solo americane (i ritocchini in dayhospital, i divorzi lampo, la life coach...).È sostenuto in questo dalla morbidezzadi toni del giovane protagonista, il giàcelebre Toby Regbo e dalle musiche diAndrea Guerra con le canzoni cantateda Elisa. Eppure c’è un sottofondopolitico nel film, come era presenteanche nei film degli anni settanta (EllenBurstyn è l’icona che li ricorda) cheraccontavano l’impossibilità di esserenormali e dove si cercava la via d’uscitaper cambiare il mondo. (s.s.)

HYSTERIADI TANYA WEXLER; CON HUGH DANCY, MAGGIEGYLLENHAAL. GB 2011

7Produzione inglese elussemburghese, ma diretto dauna regista americana (laureata

in cinema e in psicologia di genere aYale) con gusto femminista. Fino al 1954l’isteria femminile era considerata unamalattia da curare in manicomio o conpratiche chirurgiche, ma in questacommedia si racconta l’antefattoautentico, l’invenzione del vibratore daparte di un giovane medico che nellaLondra del 1880 grazie a un’idea del suoamico Edmund mette a punto ilmarchingegno. Divertente e pieno dicitazioni letterarie senza esserestucchevole. (s.s.)

HUGO CABRETDI MARTIN SCORSESE, CON CHLOE MORETZ, ASABUTTERFIELD, SACHA BARON COHEN, BENKINGSLEY. USA 2011

8È al cinema che Martin Scorseseha dedicato il suo ultimo filmmeraviglioso, festa in onore di

Georges Méliès, il pioniere dimenticatoe tornato protagonista. Ora Scorsese loha «restaurato» regalandogli la magiasuprema, il fascio di pulviscolo che ciaccompagna e intima al presente diricordare, di inventare nuovi desideri,mentre all'opposto, superpremiato, unaltro titolo pretende il tributo all'epocadel muto, parodia in bianco e nero, TheArtist, specchio deformante non solo diieri. (m.c.)

KNOCKOUT - RESA DEI CONTIDI STEVEN SODERBERGH; CON GINA CARANO,MICHAEL FASSBENDER. USA 2011

7È uno dei lavori più astratti,teorici e ricchi di humpur delregista, una specie di saggio sul

cinema d’azione spionistico, secco,veloce, in cui Soderbergh raggiunge unasimbiosi praticamente totale conl’occhio obiettivo e il cuore della Red, lacamera digitale. Soderbergh si affida auna professionista, la campionessa dilotta libera Gina Carano

soprannominata Crash. Schiantare èesattamente quello che fa l’ex marineMallory Kane (Carano) ai suoi avversariquando si accorge che qualcunoall’interno della sua organizzazione lavuole morta. Capovolte nel film oltrealle convenzioni del rapporto di forzafisica tra uomini e donne, anche quelledei rapporti di sesso. (g.d.v.)

POSTI IN PIEDI IN PARADISODI CARLO VERDONE, CON CARLO VERDONE,MICAELA RAMAZZOTTI. ITALIA 2012

7Il nuovo film di Carlo Verdoneci riporta ai tempi eroici dellacommedia all'italiana e delle

opere più riuscite del nostro cinemacomico. Dopo una prima partestrepitosa, di grandi tempi comici, laseconda mostra qualche momentofaticoso, qualche gag è ripetuta o inutile.Eppure tutto questo, alla fine, ci importapoco, visto che il film vive di una suacarica comica originale e popolareassolutamente dilagante. Ma al di là dellerisate, colpisce il candore di Verdone dimostrarsi per tutto il film coi suoidifetti, le sue paure, anche le sueovvietà, lasciandosi nudo davanti allospettatore nella sua più totale fragilità.Anche l'idea di mettere in scena lanuova povertà italiana, la crisi, con unastoria comica fa parte di questoprocesso. È il suo candore, dopo tantianni di cinema, che ce lo rende davverovicino al punto che non possiamo nonvolergli bene. (m.gi.)

QUASI AMICI(INTOUCHABLES)DI ERIC TOLEDANO, OLIVIER NAKACHE; CONFRANÇOIS CLUZET, OMAR SY. FRANCIA 2011

7Campione di incassi in Francia,ispirato al romanzo di PhilippePozzo di Borgo (Il diavolo

custode, ed. Ponte delle Grazie) giocasu due mondi «intoccabili» tra loro.Philippe, ricco, nobile, è rimastoparalizzato per un incidente diparapendio dal «collo in giù» e pocoprima ha perduto per un tumorel’amatissima moglie. Incontra Abdelimmigrato algerino appena uscito digalera che scompiglia la sua esistenzafacendogli ritrovare l’amore per la vita.Fosse solo lo specchio di due societàparallele il film non funzionerebbe fuoridai confini nazionali. Il gusto esotico ècerto componente reciproca dei duepersonaggi che si annusano, siseducono. I registi nascondono laseduzione nella chiave della commedia emettono in modo il gioco diimmedesimazione che è riconoscibileovunque, perfetta sintesi di unacomplicità maschile che è sempre inbilico sull’erotismo. (c.pi.)

GLI SFIORATIDI MATTEO ROVERE; CON ANDREA BOSCA,MIRIAM GIOVANELLI. ITALIA 2012

7Che bellezza, tornano i filmitaliani impegnati tutto sesso!Che sia impegnato Gli sfiorati

(bel titolo) di Matteo Rovere lo sicapisce dal marchio Fandango,dall’omonimo romanzo di SandroVeronesi da cui è tratto e, soprattutto,dal manifesto un po’ moraviano. Ipersonaggi del film sono «sfiorati», cioè«indifferenti» e «annoiati» a quasi tuttoad eccezione del sesso, l’italo-spagnolaMiriam Giovanelli, piccola star della tvspagnola, ha un gran corpo adatto allacostruzione da commedia eroticasamperiana anni ’70. Matteo Rovere,che aveva girato nel 2008 il curioso Ungioco da ragazze, erotichello vm18 conragazze cattive, con Gli sfioratiripercorre eroicamente anche la stradadel cinema letterario tra Maselli eBolognini degli anni ’60. Ne viene fuoriuna commedia sexy con idee che«sfiorano», anche giustamente, ilridicolo e in certi tratti precipita nelmuccinismo generazionale, ma che allafine se funziona lo fa grazie alla suacostruzione di film di genere. (m.gi.)

A CURA DIFILIPPO BRUNAMONTI,ANTONELLO CATACCHIO, MARIACIOTTA, GIULIA D’AGNOLOVALLAN, MARCO GIUSTI, CRISTINAPICCINO, ROBERTO SILVESTRI,SILVANA SILVESTRI

LA SCENA DELLE DONNEPORDENONE, CORDENONS, S.VITO, MANIAGO,SACILE, SPILIMBERGO, PRATA, FONTANAFREDDA5-30 MARZODal 5 marzo in provincia di Pordenoneparte la 7˚ edizione della «Scena delledonne», kermesse di spettacoli, lettureed incontri organizzata dalla Compagniadi Arti e Mestieri, con l’AssociazioneInscena. Il 5 marzo al convento di SanFrancesco presentazione del festival, il 6inaugura Lella Costa con Arieall’Auditorium Concordia a Pordenone,il suo omaggio alla musica. Il 7 aManiago, al teatro Verdi Magari... dellacompagnia LunaalGuinzaglio di Elisa Risigari, l’8 marzo programma speciale, alle 18con la presentazione del libro «Quello che le donne non dicono» al Caffè Municipioe alle 20 cena e spettacolo di Laura De Marchi al ristorante Al Parco diFontanafredda. Il programma prosegue fino alla fine del mese. Ma a Pordenone cisaranno anche dal 6 al 13 letture dei testi selezionati del concorso «quello che leragazze non dicono». Per chi vuole scoprire la sua vena tatrale Laura De Marchiterrà uno stage presso la sede della Compagnia di arti e Mestieri il 10 e l’11 marzo.Informazioni e prenotazioni tel. 043440115- 3400718557 - [email protected]

IL BRASILEA BOGLIASCO

MAGICO

I FILM IL FILM

SINTONIECESARE DEVE MORIREDI PAOLO E VITTORIO TAVIANI; CON GIOVANNI ARCURI, COSIMO REGA, ANTONIO FRASCA, MAURILIOGIAFFREDA, SALVATORE STRIANO, FABIO CAVALLI, JUAN DARIO BONETTI, FRANCESCO CARUSONE,VINCENZO GALLO, ROSARIO MAJORANA, FRANCESCO DE MASI, GENNARO SOLITO. ITALIA 2012Col suo bianco e nero fotografato splendidamente da Simone Zampagni, distribuito dallaSacher di Nanni Moretti, è un film di libertà assoluta, radicale nelle sue scelte di regia edi punto di vista ma soprattutto nel modo in cui interroga la materia stessa del suonarrare. Siamo nel carcere romano di Rebibbia, tra detenuti che scontano penealtissime, e anche senza fine, per associazione camorristica o omicidio, coi quali il registaFabio Cavalli lavora nel suo laboratorio teatrale. Il testo prescelto è Giulio Cesare diShakespeare. I Taviani filmano per mesi la preparazione, dai provini per la scelta degliattori, alla lettura del testo, le prove in una sala angusta del carcere visto che il teatronon è ancora agibile, sino al debutto per il quale le immagini diventano a colori.Dentro/fuori: è su questa geometria dello spazio che costruiscono il film, a partire dalrapporto tra l'attore e il personaggio, Giulio Cesare, Bruto, Cassio, Antonio ... e perciòil testo e le sue possibili interpretazioni. È lì che si concentra tutto, passato e presente, ilvissuto prima del carcere e i conflitti al suo interno rimangono nel fuoricampo senzaperò essere celate. Si rappresentano infatti tra le parole di Skakespeare, nelle provequando affiorano gli scontri e le tensioni, nella lettura solitaria in cella dove ritornano leferite del passato, l'angoscia di un futuro senza orizzonte, la solitudine, le scoperte diuna diversa consapevolezza. (c.pi.)

APOLLO 11: SGUARDI DIRITTIROMA, PRESSO ITIS G. GALILEI VIA CONTEVERDE 51, 5-8 MARZOUna rassegna sui diritti, sul mondo checambia: registi italiani in viaggio traAfghanistan, Somalia, Tunisia e Italia,pronti a cogliere le novitàsull’emancipazione, la primavera,l’accoglienza. Quattro serate conproiezioni alle ore 20 e la presenza ditanti ospiti, per discutere econfrontarsi: lunedì 5 preceduto daAfgana - Kabul 2011 di RiccardoBiadene (incontrano il pubblicoEmanuele Giordana e GiulianoBattiston), il film di Valentina Monti Girls on the air, lo sguardo di una giornalistaafghana sul suo paese; martedì 6 il corto River di Tommaso Cammarano e AntonioDe Matteo e Inshallah di Antonio Laforgia, storia di un ragazzo tunisino e di unagenerazione; mercoledì 7 Un Ponte per presenta Zaynab’s Sisters di CarolinaPopolani su Zaynab al-ghazali, attivista dei Fratelli musulmani, con la presentazionedel libro di Renata Pepicelli Il velo nell’Islam. Storia, politica, estetica; giovedì 8 Ferrhoteldi Mariangela Barbanente, come organizzano la loro vita ragazzi e ragazze somale,vita di rifugiati dopo l’emergenza, in un piccolo hotel dismesso vicino alla stazionedi Brindisi. (s.s.c.)

XVI EDIZIONE DEL VALSUSAFILMFESTSCADENZA 15 MARZOQuest’anno il tema principale del ValsusaFilmfest, il festival sui temi del recuperodella memoria storica e della difesadell'ambiente è: «Terre Contese». Iltermine per le iscrizioni è fissato al 15marzo e nel sito www.valsusafilmfest.itsono reperibili il bando, la scheda dipartecipazione, le informazioni sui premi ele cinque sezioni del concorso:Documentari, Le Alpi, Cortometraggi,Memoria Storica e Videoclip Musicali. Iltema è obbligatorio solamente per leopere della sezione Documentari con una durata massima di 60’; nelle sezioniCortometraggi (max 30’) e Videoclip Musicali (max 6’) il tema è libero; la sezione LeAlpi è per filmati sulla montagna e sulla cultura montana (max 60’); la sezione MemoriaStorica, in collaborazione con l’Anpi Valle di Susa, è riservata a opere che documentinodi un avvenimento della nostra storia passata e recente (max 60’). Continua lacollaborazione con il «Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra,dei Diritti e della Libertà» di Torino che ospiterà, il 25 aprile la proiezione del filmatovincitore della sezione Memoria Storica. Tra febbraio e marzo si terrà la rassegna«Cinema in Verticale», con filmati di montagna, nell’ultima settimana di aprile sisvolgeranno le proiezione delle opere in concorso e gli eventi collaterali. (s.s.c.)

LA NOTTEItalia, 2012, 4’, musica: Arisa, regia: Gaetano Morbioli,fonte: Video Italia

7Parigi ricoperta dalla neve,immagini ipercolorate fin quasi albianco e nero del classico palazzo

d’epoca con Arisa che canta il suo brano(arrivato in finale a Sanremo). Sonosoprattutto dettagli di spartiti, oggetti,elementi architettonici a rendere il videopiuttosto delicato, sobrio e pulito, con untocco vintage, rispetto a molti altri lavoridi Morbioli troppo «effettati». Il promo deLa notte sottolinea il carattere d’antandella canzone (il regista si concede perfinouna chiusura «a cannocchiale» come nelcinema muto), con il compito ditrasformare l’immagine di Arisa da pop aclassicheggiante.

SHIMBALAIE’Brasile/Italia, 2011, 3’17”, musica: Maria Gadù, regia:Veronica Mengoli, fonte: Rtl

7Sembrerebbe il Brasile anche sein realtà ci troviamo a Bogliasco,in provincia di Genova. Seguiamo

la giornata di un surfista dal suo risveglioall’incontro con gli amici e alleperformance acquatiche. Le immaginisottomarine, la camera a mano, gliinteressanti tagli di inquadrature, un usosapiente della sfocatura ci fanno capirecome Mongoli – regista soprattuttopubblicitaria – sa il fatto suo. Inoltre inShimbalaiè non compare mai la cantautricedi San Paolo, autrice del brano che l’hacondotta al successo internazionale,brano che – pur essendo uscito nel 2009– è stato tradotto in videoclip solo nel2011. La fotografia è di Dario Ghezzi.

MEA CULPA – PART IIGermania, 1991, 5’, musica: Enigma, regia: HowardGreenhalgh, fonte: Youtube.com

9Insieme a Rivers of Belief e Principleof Lust, Mea Culpa costituisce unatrilogia concept a partire dalla

musica new age degli Enigma. La fotografiae le atmosfere sono le stesse: anche quivisioni medievali (bellissima la silhouettedella carovana, così come altre suggestionitra Bergman a Corbijn) si fondono consequenze più atemporali con la giovanemodella che rappresenta l’indivisibilità(vedi anche il clip di Sadness (regia diGuimbard) tra angelico e diabolico (echidella caccia alle streghe), tra sacro eprofano, tra piacere erotico ed elevazionespirituale. Sempre in agguato, anche inquesto caso, la trappola del kitsch e delpatinato, ma Mea Culpa presenta unacostruzione visiva indubbiamenteintrigante.

IT’S RAINING MENUsa, 1982, 4’, musica: Whaeter Girls, regia: autoreignoto, fonte: Youtube.com

1Ah, i begli effetti elettronici anni’80! Calate dentro scenografie emodellini, intarsiate con altre

immagini grazie ai blue screen, il duosovrappeso composto da Martha Wash eRhodes Armstead sogna una pioggia diuomini dai bei bicipiti e pettorali incostume da bagno sotto l’impermeabile.It’s Raining Men (ormai un classico dellamusica pop) è un clip all’insegna del kitsche alquanto arcaico (siamo nel ’82!), che silascia perdonare grazie al registro ironicoe alla simpatia delle «ragazze del meteo».

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(10) ALIAS3 MARZO 2012

di SIMONA FRASCA

Cinquemila ore di registrazioniaudio, tremila video, cinquemilafotografie, 17.400 brani musicali,centinaia di migliaia di metri dipellicola, mucchi di manoscritticonservati in luoghi rimasti a lungoinaccessibili questo è l’immensolascito di Alan Lomax che dalla finedi febbraio è on line all’indirizzoculturalequity.org attraverso ilprogetto Global Jukebox appenadigitalizzato e destinato in parte allavendita in cd o downloading. Inoltreuna parte di quell’archiviocomposto da 400 ore di filmatiprodotti per il network statunitensePbs fra il 1978 e il 1985 è stato resopubblico su un canale di Youtubededicato.

Il Lomax Geo-Archive è unprogetto di un’importanza unica,paragonabile a quella che un tempoera l’istituzione di una grandebiblioteca pubblica, un luogo diconsultazione dal quale è possibileascoltare tutto ciò che lo studiosoamericano ha raccolto e catalogatoa partire dagli anni Trenta fino apoco prima della morte, avvenutanel 2002, nelle aree del NordAmerica e dei Caraibi, in Europa,Africa, Russia e Asia Centrale. Unarchivio così concepito era statosolo immaginato da Lomax quandoera in vita e la tecnologia era ancoraimpreparata ad affrontare unprogetto di tali proporzioni. AnnaLomax Wood, figlia dello studioso epresidente della Association forCultural Equity, in occasione dellapresentazione del progetto hadichiarato che esso si è sviluppatodi pari passo con la tecnologia. Orache il mondo è interamentedisponibile con la semplicepressione di un dito l’archivioLomax dischiude la sua immensaricchezza indicando la strada a studie interrelazioni di ogni tipo.

Il 31 gennaio scorso, perfesteggiare il giorno in cuil’etnomusicologo avrebbe compiuto97 anni, l’etichetta Global Jukeboxha pubblicato The Alan LomaxCollection from the AmericanFolklife Center, un sampler digitalein download realizzato sotto ladirezione di Don Fleming,musicista, produttore discografico edirettore esecutivo della Associationfor Cultural Equity che raccoglie 16tracce provenienti dai diversi luoghie teatri di ricerca di Lomax.

Il principio di «cultural equity»che negli anni ispirò lo studioso èsemplice e geniale e rispondeall’idea che le differenti forme con le

quali si esprimono i popoli nonsono altro che le diverse espressionidel modo in cui l’uomo si è adattatosulla terra. Questo spinse Lomax adedicarsi alla ricerca comparata chelo condusse in giro per il mondocon gli strumenti offerti dallamusicologia, l’antropologia, lalinguistica e la scienza coreutica. Ilprogetto culminò all’inizio deglianni Novanta con la nascita delGlobal Jukebox, un monumentalesforzo teso a organizzare esintetizzare le scoperte connesse

alle discipline citate cheripristinassero le relazioni traespressione artistica, geografiaumana e modelli sociali. L’obiettivoprimario della Association forCultural Equity è di dar vita a quelloche i promotori definiscono unprogramma di rimpatrio, cioèrestituire la musica registrata daLomax alle comunità diappartenenza ripagando gli eredi

con i diritti d’autore derivanti daquelle incisioni ed eseguendo così lavolontà dello studioso stesso. Così ilprimo atto di questo processo èstato di donare le registrazioni, lefotografie, i video e gli altridocumenti alla biblioteca pubblicadi Como nel Mississippi dove nelsettembre del 1959 Lomax realizzòle prime incisioni dell’allora ignotoFred McDowell, bluesmand’eccezione del Delta sound cuihanno guardato negli anni RollingStones, coverizzando You GottaMove, Aerosmith, Jon Spencer BluesExplosion e Jack White tra gli altri.

Alan Lomax con la sua aria schivae scontrosa, per il totale disinteresseverso il denaro appariva come untipo bizzarro dal momento che aipiù sfuggiva l’obiettivo della sua vitae delle sue ricerche che era

profondamente umanistico. Lomaxfu al centro di controversiepolitiche: giudicato unsimpatizzante del Partito ComunistaJ. Edgar Hoover, l’ implacabiledirettore dell’Fbi, si interessò alungo di lui fino al punto dichiedere ai servizi segreti britannicidi seguire le attività dello studioso inInghilterra quando vi si recòall’inizio degli anni Cinquanta peruna serie di trasmissioni alla Bbc.

In seguito Lomax continuò le suericerche nel sud dell’Europa. InSpagna il suo lavoro culmina tra glialtri in un disco realizzato per laColumbia Spanish Folk Music chesarà utilizzato nell’ambito jazz daMiles Davis e Gil Evans per ilseminale Sketches of Spain del 1959.Fra il 1953 e il 1954 Lomax è in Italiacon Diego Carpitella con il quale

raccoglie una innumerevolequantità di registrazioni sul campo,lavoro del quale resta traccia direttanel suo libro L'anno più felice dellamia vita. Un viaggio in Italia. Graziea lui Carpitella, già al lavoro conErnesto De Martino, continuò araccogliere migliaia di canti popolaricreando uno dei più vasti repertorinazionali del genere.

Negli anni Settanta Roberto DeSimone ricostruì la geografia dellacultura popolare della Campaniaregistrando anche lui unaconsiderevole quantità didocumenti sonori e individuandoun itinerario unico di storia socialeche resta una delle più approfonditericerche condotte con lo spiritodello studioso che sa di appartenereempaticamente a quel mondo,come rivelano il tono e l’intimitàcon cui De Simone stesso si rivolgeai suoi informatori durante leregistrazioni. Fu un’opera di ricercaautentica, un atto d’amore versouna cultura già all’epoca vacillante,la sua impresa si inseriva nel solcodelle ricerche inaugurate da DeMartino e Carpitella ma soprattuttofu l’attuazione di un percorso diconoscenza che non sarebbe certoavvenuto in quei termini rigorosi eappassionati senza l’insegnamentodello studioso americano. Lomaxper primo aveva intuito che le radiciautentiche di un popolo sono darintracciare nelle sue espressioni piùspontanee e più che mai nella suamusica che è «popolare» proprioperché racchiude lo spirito di unacomunità e ne costituisce ipresupposti per edificare il suofuturo.

A partire dagli anni Trenta AlanLomax e suo padre, il musicologoJohn Lomax, erano stati gliinfaticabili testimoni di centinaia diregistrazioni collezionate negli StatiUniti che contribuirono a sviluppareil prezioso archivio di musica folk

Il jukeboxglobaledi Alan Lomax

ARCHIVI/1 ■ REGISTRAZIONI AUDIO E VIDEO, FOTO, MANOSCRITTI

Il catalogo completo dell’etnomusicologo Usasbarca per la prima volta in rete, tutto in digitale.I materiali, provenienti da varie parti del mondo,verranno restituiti alle comunità di appartenenza

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ARCHIVI/2 ■ LA «ANTHOLOGY OF AMERICAN FOLK MUSIC»

Harry Everett Smith,lo strano collezionistadi fantasmi bluesdi ALBERTO PICCININI

«Sono orgoglioso di aver vissutoabbastanza per vedere realizzato unodei miei sogni. Ho visto l'Americacambiata dalla musica». Furonoqueste le parole di Harry EverettSmith, il curatore dell'Anthology ofAmerican Folk Music, nell'accettare ilGrammy speciale del 1991 per la suaopera, una delle tappe fondamentalinella storia della musica popolaremoderna. Appena in tempo: sarebbemorto pochi mesi dopo al ChelseaHotel come una vera rockstar,«cantando mentre se ne andava».Così riferiscono le testimonianze.Negli ultimi anni viveva con unadonazione di diecimila euro l'annoassicuratagli dalla Grateful DeadFoundation. Il chitarrista Jerry Garciaera uno di quelli che poteva dire diaver avuto cambiata la vitadall'ascolto dell'antologia. Propriocome Bob Dylan. E tanti altri.

Allen Ginsberg, che fu suo amicoper quarant'anni, lo ricordava così:«Era un personaggio unico e ungrande genio, un filosofo ermetico,regista, pittore, archivista, mago, unapersona leggendaria che conobbeThelonious Monk e Charlie Parker;veniva dal Northwest e conosceva ilpeyote e gli indiani d'America, visse aNew York e si può includere tra ifilmmaker per il suo film Heaven andEarth e i suoi film sperimentali deglianni '40, collage animati, i primi (...) etutte quelle cose che adesso sipossono vedere anche su Mtv».Ginsberg dimenticava per brevità labizzarra attrazione di Harry Smith perle collezioni di qualsiasi genere: uovadecorate, libri rari, vestiti indiani,mazzi di tarocchi. Di più: Nel 1980Smith donò al Museodell'Aeronautica di Washingtoncinque scatoloni di aeroplanini dicarta raccolti nelle strade di NewYork. Negli ultimi anni di vita

collezionava suoni con un piccolowalkman, puntando il microfonosulla città dalla finestra della suastanza.

Dalla sua collezione di 78 giri,messa insieme prima della guerragirando per negozi e magazzini chesvendevano tutto per partecipare allosforzo bellico, nacque l'Anthology ofAmerican Folk Music. Smith avevanemmeno trent'anni quando,squattrinato artista e regista beatnik aNew York, per tirar su qualche soldola cedette all'etichetta Folkways.Sessant'anni fa esatti, nel 1952. Nevenne fuori un elegante cofanetto,diremmo oggi. Sei long playing divisiin tre capitoli: «ballad», «socialmusic», «song». Un'altra parola delgergo discografico più recentesarebbe «compilation»: l'antologiaripubblicava 86 canzoni incise tra il1927 e il 1933, quando la Victor, laOkeh, la Columbia presero aesplorare i mercati regionali, spessoregistrando in loco con le primeapparecchiature elettriche del tempo.C'era del blues, del gospel, c'eramusica hillibilly e appalachiana, delcajun. Era un bootleg, per usare unaterza parola recente. La questionedelle licenze di utilizzo dei brani furisolta completamente soltanto nel1997, quando l'Antologia furipubblicata su cd.

Quelle canzoni raccontavano unastoria altra, non necessariamente«autentica» - si trattava pur sempre didischi commerciali e non di materialida etnomusicologi - ma certopopolare. Conquistaronoimmediamente (e perdutamente) tuttiquelli che non sopportavano più lafaccia cattiva dell'America anni '50:caccia alle streghe, guerra in Corea,fine del New Deal. Tra gli hipster e imusicisti che si andavano radunandonei bar del Greenwich Village a NewYork, l’Antologia era il Sacro Graal.«Conoscevamo ogni parola di ognunadi quelle canzone. Anche di quelleche odiavamo», ha ricordato ilfolksinger Dave Van Ronk. E un altrofolksinger dell'epoca, Peter Stampfel,aggiungeva che - chissà perché - ilterzo volume era quello più amato.

Nel terzo volume c'erano cenzonidi Blind Lemon Jefferson, MississippiJohn Hurt, Clarence Ashley, della

Carter Family. Per quel che se nesapeva al tempo, potevano essere giàtutti morti, fantasmi, alieni da unaltro pianeta. L’Antologia creò dalnulla il canone del folk americano,riesumando voci e canzoni cancellatedalla Depressione e dalla guerra.

Mentre negli stessi anni AlanLomax girava il sud degli Stati Uniticol suo registratore, per conto dellaBiblioteca del Congresso, lacompilation di Henry Smith saltava apiè pari qualsiasi precauzionescientifica. Fu merito di Moses Asch,l'ebreo polacco inventore dellaFolkways, che praticava il concetto di«world music» cinquant'anni primadel tempo, quello di coinvolgerlonell'impresa di ripubblicare quelmateriale. Smith scelsepersonalmente la sequenza dei pezzi,scrisse le note, disegnò la copertina ele buste interne. Benché avesse studied esperienze da etnologo - avevastudiato all'Università di Washington,e sua madre era stata insegnante nellariserva indiana dei Lammi - si lasciòguidare soltanto dalla sua sensibilitàartistica. Usò semplici trucchi da discjockey. La canzone successiva cherisuona nella precedente. I temi dellecanzoni - omicidi, suicidi, amori,grandi catastrofi - che disegnano unfilo narrativo implacabile. Una solacosa ignorò coscientemente: sel'esecutore fosse bianco o nero. Equesto, a pochi anni dalla nascita delrock'n'roll, si rivelò un gestorivoluzionario. «Ci vollero anni -gongolava - prima che qualcuno siaccorgesse che Mississippi John Hurtnon era un hillybilly». Era invece uncontadino nero che aveva inciso perla Okeh Records negli anni '20canzoni come Corinna Corrina eStack-o-Lee (entrambe riprese da BobDylan). Dopo l’uscita dell’antologia loritrovarono, ignaro di tutto,consultando una vecchia cartageografica dove risultava l'anticonome del suo paese, Avalon, cantatoin un suo blues.

Bob Dylan, che di giornoraccontava balle dicendo di averimparato a suonare il blues girandosui treni, di notte ascoltava l'Antologiae mandava tutto a memoria. Unaquindicina di pezzi del suo repertoriovengono da lì, a cominciare da See MyGrave Keep Clean di Blind LemonJefferson. In breve, senza Antologianon ci sarebbe stato il movimento delfolk revival: niente Bob Dylan, nienteJoan Baez. E senza Antologia, il bluese le altre forme popolari americanenon avrebbero attraversato l'oceanoimpollinando il nascente rock'n'roll.Niente Rolling Stones, niente LedZeppelin. Il mondo sarebbe stato piùtriste: un luogo senza vie d'uscita, unmondo senza altri mondi.

Successe anche che a un certopunto i musicisti dell'Antologiaancora in grado di salire su unpalcoscenico, fossero portati in giroper l'America e l'Europa comemadonne pellegrine. Ma questo, aSmith importava poco o nulla. Sonorimaste sempre sullo sfondo,puttosto, negli innumerevoli tributiall'Anthology of American Folk Music,- che in copertina aveva unillustrazione rubata al trattatodell’alchimista inglese Robert Fludd -le sue implicazioni magiche,sciamaniche. Smith invece aveva benchiaro cosa intendeva dicendo che la«sua» musica aveva cambiatol'America. La magia aveva funzionato.

«La musica folk - ripeteva infineDylan - è l'unico luogo dove nulla èsemplice. È strano (weird), pieno dileggende, miti, Bibbia, fantasmi...Caos, cocomeri, quasiasi cosa...». EGreil Marcus scrisse nelle notedell'edizione 1997: «Smith costruì unmondo, o una città: Smithsville. Nellaquale i cittadini non sonodistinguibile per la razza. Non ci sononé servi e né padroni. (...) E non èveramente musica folk, perché gliesecutori non sono folk, ma individuiambiziosi, insoddisfatti, volenterosi,fuori posto. Individui che provavano ausare le risorse della comunità persfuggire alla comunità, per sfuggire daessa, anche senza uscire dalla porta dicasa».

(popolare) americana della Libraryof Congress di Washington. Inseguito Alan da solo promosse ilnome di musicisti eccezionalieppure misconosciuti come WoodyGuthrie, Pete Seeger, Molly Jackson,Lead Belly, Muddy Waters, JoshWhite, Burl Ives, organizzòprogrammi radiofonici, concerti efestival, firmò saggi illuminanti,inaugurò carriere artistiche emovimenti culturali e politici chepresero l’avvio proprio dalla presadi coscienza di una nuova identitànazionale incoraggiata attraverso lamusica folk. Negli anni la raccolta dibrani musicali e di testimonianzeorali dell’archivio Lomax si èarricchita sempre più nellaconvinzione confermata dalla storiache la musica afroamericana el’hillbilly, fino agli anni Sessantaconsiderati stili da disprezzare,fossero i repertori che avrebberocostituito il contributo principaledella musica americana.

In tempi più recenti la ricerca diLomax ha intercettato l’interesse dimusicisti come Moby che trasse icampionamenti di alcuni pezzi delsuo seminale album Play proprioutilizzando frammenti delleincisioni che lo studioso americanoaveva raccolto nel sud degli Usa,così come pare abbia fatto lo stessoBruce Springsteen per il suo nuovolp Wrecking Ball in uscita in questigiorni.

«Songs can help», le canzonipossono aiutare, scrive Pete Seegerall’inizio del suo splendido«memoir» Where Have all theFlowers Gone di cui parlammoampiamente proprio da questecolonne. È un messaggio diimperturbabile filantropia cheracchiude il fine ultimo e più nobiledella musica che è quello di far staremeglio le persone nel segno dellacondivisione e della libertà, unindirizzo morale e un insegnamentodei quali Alan Lomax fuprobabilmente il primo ispiratore.

NICK CAVE VS MTVIl 21 ottobre del 1996, alla vigilia della premiazione per gli Mtv Awards, Nick Cave scrisseall'emittente musicale televisiva questa lettera: «Vorrei iniziare ringraziando tutti voi per ilsupporto che mi avete dato in questi anni, e vi sono anche grato per la nomination comemiglior artista maschile. Non è poi certo passato inosservato lo spazio che avete dedicato aiduetti con Kylie Minogue e PJ Harvey tratti dal mio ultimo album Murder Ballads, di cui visono grato; di nuovo i miei più sinceri ringraziamenti.Ma detto ciò, sento che mi è necessario chiedere che la mia nomination venga annullata, ecosì anche per il futuro, di modo che possiate presentarla a quanti si sentano più adatti con lanatura competitiva di queste ceremonie. Io, da parte mia, non mi sento adatto. Sono sempre

stato dell'opinione che la mia musica sia unica e individuale, e che esista oltre i regni abitati dacoloro che pensano di ridurre le cose a mere misurazioni. Io non mi sento in competizionecon nessuno. La mia relazione con la mia musa è delicata e sento che sia mio dovereproteggerla da influenze che ne possano offendere la fragile natura.Mi arriva con il dono di una canzone, e di rimando la tratto con il rispetto che credo le siaddica - con questo intendo non sottometterla all'indegnità del giudizio e della competizione.La mia musa non è un cavallo e io non sono a una corsa di cavalli, e anche qualora lo fosse,non la attaccherei a questo carretto - questo calesse di teste rotte e premi scintillanti. La miamusa si potrebbe spaventare! Potrebbe fuggire! Potrebbe abbandonarmi completamente!Così, di nuovo, al popolo di Mtv, apprezzo l'ardore e l'energia che è stata gettata dietro il mioultimo disco, e vi ringrazio infinitamente, davvero, grazie, grazie, ma no... no grazie.

ARCHIVI/3

JOHN PEEL IN ONDA. I DISCHI, I LIVEE LE INTERVISTE DI UN MITO DELLA RADIOL'archivio di John Peel, storico conduttore radiofonico della Bbcscomparso nel 2004, diventerà un museo interattivo on-line. 52milaalbum, 40mila singoli e migliaia di cd appartenuti a Peel confluirannoin «The Space», un nuovo servizio sperimentale digitale organizzatoe finanziato dalla Bbc e dall'Arts Council. Quest'ultimaorganizzazione garantirà i finanziamenti iniziali (3.5 milioni disterline) mentre la Bbc fornirà il supporto organizzativo e la debitaconsulenza. In futuro ulteriori finanziamenti saranno indispensabiliper trasporre in rete l'intero materiale. Nel frattempo Tom Barker,responsabile del John Peel Centre for Creative Arts fa sapere che«questo è un primo passo per creare un archivio che si rivelerà tra ipiù importanti nella storia della musica moderna». FrankPrendergast della Eye Film and Television ha aggiunto: «L'idea è diricreare digitalmente lo studio di casa di John Peel e tutta la suacollezione a cui gli utenti potranno accedere visionandocontemporaneamente gli appunti presi dallo stesso Peel in merito aun disco, concerti d'archivio e interviste filmate con i musicisti». «TheSpace» sarà attivo da maggio a ottobre 2012. (F. Ad.)

Sessant’anni fausciva la raccoltache avrebbeispirato il primofolk revival.L’opera di un discjockey alchimista,amico di Ginsberge padre spiritualedi Bob Dylan

In alto Alan Lomax al lavoro;sotto, in grande, The Hill Billies (1928);alcuni dischi con pezzi raccolti da Lomax;la Carter Family (la foto è da «Anthologyof American Folk Music») e due immaginiemblematiche di Harry Smith

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Quando le case discografiche dominavano eorientavano il mercato, non pochi artistierano sottoposti a vessazioni di variogenere. Alcuni gliel’hanno fatta pagare. Traquesti i Rolling Stones che nel '70 - dopocontinui alterchi - consegnarono alla Deccaun incredibile pezzo di fine contratto:Schoolhouse Blues. Quasi immobile dal puntodi vista musicale, la canzone rivelava unritornello ben ispido: «Dov'è che possofarmi succhiare il pisello?/Dov'è che possofarmi inculare/Posso anche non averesoldi/ma so come rimediarli». Da questiversi il brano passerà alla storia comeCocksucker Blues ispirando il titolodell'omonimo documentario di RobertFrank del ’72 dedicato al tour promozionaledegli Stones in occasione dell’uscita di Exile

on Main St.. Ovviamente la Decca decise dinon pubblicarlo. Tredici anni dopo verràinavvertitamente incluso in The Rest of theBest, un cofanetto uscito solo in Germania.Quattro settimane si accorsero dell’erroree ripubblicarono il box senza il brano. Ilpezzo si ascolta regolarmente in rete. AncheTrent Reznor è andato giù duro. Nel 2007mentre è in tour in Australia si accorge cheYear Zero, il disco dei suoi Nine InchNails, veniva venduto a 35 dollari mentre ilresto dei cd girava a 21.99. Avesse pagato laqualità forse poteva anche funzionare, manon va così nel mondo della musica. LaUniversal si giustificò dicendo che i fan dellaband avrebbero acquistato qualsiasi cosa aqualsiasi prezzo: «Sono i cd degli altri chedobbiamo scontare». Adirato, Reznorinviterà i fan a rubare il disco nei negozi e lorenderà lui stesso disponibile on-line.

Liquidato dall’etichetta, pubblicheràdirettamente dal suo sito il nuovo cd deiNin, Ghosts I-IV, chiedendo ai fan un’offertalibera: guadagnerà ben 1.6 milioni di dollari(la stessa mossa non aveva pagato un annoprima per i Radiohead). Nel 1979 anche iClash risposero bene alle continuesollecitazioni della Cbs che già ai tempi deldebutto si era rifiutata di pubblicare TheClash negli Usa; la stessa label nicchiava sullapubblicazione di singoli proposti dalla band esi ostinava a pretendere che il suono venissecostantemente ripulito e aggiustato. Dopol’uscita di Give ’em enough Rope (1978), iClash chiesero di poter registrare undoppio lp e l’etichetta si rifiutò. Alla fine siaccordarono per un 12" che suonava a 33giri da inserire nell’album. La Cbs pensava aun pezzo, se ne ritrovò ben nove. In praticaun album doppio al prezzo di un singolo.

Mike Oldfield si superò con RichardBranson e la sua Virgin. Nel 1973pubblicherà Tubular Bells, uno dei dischi piùacquistati della storia, anche tema dellacolonna sonora del film L’esorcista. Sarà laprima pubblicazione dell’etichetta. Il discocon cui la Virgin spiccherà il volo e Branson- fino a quel momento proprietario di unacatena di negozi medio-prezzo - diventeràuna delle persone più ricche e influenti dellospettacolo. Ovviamente a chi è salito così inalto spesso la casa discografica chiedesempre un seguito equivalente. Incalzato, econsapevole di non aver replicato ilsuccesso del debutto, Oldfield deciderà dirispondere con Amarok (1993), apoteosianti-commerciale. Che quel disco fosse unamossa intenzionale lo si capisce a 48 minutidall’inizio quando, in codice Morse, vieneinciso: «Fuck off RB», fottiti Richard

Branson. Oldfield decise di offrire di tascasua 1000 sterline alla prima persona cheavesse decriptato la frase. Pagò benvolentieri. Non sorprende che Tubular BellsII sia il debutto per la Wea! In ultimo iBlack Flag a cui la Unicorn/Mca bloccherà25mila copie del debutto Damaged perchépresumbilmente «immorale» e«anti-genitori». Henry Rollins e compagni siintrodurranno negli stabilimenti dellaUnicorn incollando un adesivo sul logo dellaMca: «Come genitore, l’ho trovato un discoanti-genitori». Pubblicheranno comunque ill’album in proprio (per la Sst, l’etichetta delloro chitarrista Greg Ginn), con la Unicornche intenterà una causa feroce impedendoal gruppo di pubblicare dischi a nome BlackBlack e con i nomi propri. Respirerannosolo quando verrà anunciato il fallimentodella Unicorn nell’83.

Facce da chitarra. I primisponsor del rock’n’roll

di FRANCESCO ADINOLFI

RITMIIn un tempo non troppo lontano imusicisti pubblicizzavano solo imezzi di produzione di loro strettapertinenza, ben guardandosi dasponsorizzazioni «altre» oggidominanti: bibite, macchine, profumiecc. Si trattava, inoltre, di pubblicitàdi settore che negli anni Sessantacomparivano regolarmente anche suriviste non specializzate. Oggi non èpiù così. Ecco qui accanto alcuneimmagini emblematiche.

Interessante il modo in cui laRickenbacker specificava che quelmodello 1966 fosse utilizzato dal’Beatle’ John Lennon. All’epoca iBeatles avevano già pubblicatoRubber Soul (1965) e Revolver (1966),erano dunque ben affermati,evidentemente non per tutti. «Se poinon apprezzate la chitarra di Lennon- prosegue l’annuncio - potetescegliere tra cinque altri modelli».Occhio anche alla pubblicità di StevieWonder che all’esordio godeva ancoradel diminutivo «Little». Ai tempi dellasponsorizzazione delle armonicheHoner, l’artista - tredicenne - avevapubblicato Fingertips (Pt. 2), singolodel 1963 con Marvin Gaye allabatteria. Rilassato e - come al solito -compassato, Charlie Watts, batteristadei Rolling Stones, «si dà» allaGretsch, nota casa newyorkese distrumenti musicali. Interessantecome le pubblicità del tempoincludessero nel testo brevi notebiografiche. Nello specifico sielogiano le capacità del musicistaricordando come abbia subito leinfluenze di altri batteristi e comeoggi siano i più giovani ad imparareda lui.

Importante la Sunn, produttoreUsa di amplificatori, pubblicizzatanello specifico dagli Who maapprezzata anche da VelvetUnderground, Cream, Kiss ecc.Nacque da un’idea di NormSundholm, bassista dei Kingsmen (ilgruppo di Louie Louie) che insieme alfratello Conrad approntarono unamplificatore che potesse essereutilizzato in posti ben più ampi diquelli in cui erano soliti esibirsi.

Anche gli Steppenwolf, il gruppo diBorn to Be Wild, vengono descritticon debita enfasi e piglio quasigiornalistico: «La loro musica è unrock selvaggio selvaggio che risuonain tutto il paese. Il suono pesante degliSteppenwolf comincia con le chitarree gli amplificatori Rickenbacker».Eccoli i vecchi uffici stampa all’opera,essenziali e efficaci. E mentre MickJagger dà «voce al 1967», untravolgente Keith Moon (The Who)preferisce la Premier. E sotto una listadi altri gruppi che ricorrono aquell’azienda specializzata in batterie:Animals, Hollies e Pretty Things. Glialtoparlanti AR 3-a cooptano, invece,Miles Davis specificando che sonoricercati da molti professionistiperché poco «coloriti edestremamente accurati». Anche BillWyman sceglie la Vox che si legò alungo ai Rolling Stones; in parciolareper il bassista approntò una versioneridotta e semi acustica del notomodello Vox Mark IV Bass. In ultimoFrank Zappa e le chitarre Hagstrom; lapubblicità - che gioca con drug - nonha bisogno di parole: «Il folk rock èuna noia».

(a cura di f. ad.)

Nessun flirt con bibite,macchine o profumi.In un tempo lontanissimoi musicisti preferivanopubblicizzare solo i propri«strumenti di produzione»

VAN HALEN, NIENTE M&M’S MARRONIÈ risaputo che i rider, ovvero le richieste delle rockstar agli organizzatori dei concerti,possono essere davvero eccessive: dagli arredi dei camerini al catering alimentare piùdettagliato. È affiorata in rete (http://vimeo.com/36615187) un’intervista di Dave LeeRoth (voce dei Van Halen) che spiega la «mitica» avversione del gruppo per gli M&M’sdi color marrone. Quei cioccolatini erano severamente proibiti nei camerini e se la bandli avesse scovati l’organizzatore ci avrebbe rimesso tutto l’incasso. Roth racconta che ladicitura «niente M&M’s marroni» era in realtà un test per capire se gli organizzatoriavessero effettivamente letto riga per riga le voluminose richieste artistiche della band.Al contrario potevano aver posto poca attenzione anche al resto (luci, amplificazioneecc.), mettendo a rischio l’incolumità della band e di chi lavorava per i Van Halen.

IDEE POP

Come mandarea quel paesei discograficie vivere ricchie felici. Dai Clasha Mike Oldfield

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(13)ALIAS3 MARZO 2012

WilcoL'alt country di una delle formazioni piùacclamate dal mondo indie.Milano GIOVEDI' 8 MARZO (ALCATRAZ)Bologna VENERDI' 9 MARZO (ESTRAGON)

tUnEyArDsLa polistrumentista Merrill Garbus, in artetUnEyArDs, arriva in Italia per presentareil nuovo Whokill.Roma SABATO 3 MARZO (LANIFICIO 159)Milano DOMENICA 4 MARZO (TUNNEL)Bologna MARTEDI' 6 MARZO (LOCOMOTIV)

Roger DaltreyIl cantante degli Who ripropone dal vivo illeggendario album Tommy e una selezionedei migliori brani della band inglese.Padova VENERDI' 9 MARZO (GRAN TEATROGEOX)

Lewis Floyd HenryIl blues da strada del one-man bandinglese in tour.Mezzago (Mb) SABATO 3 MARZO(BLOOM)

Shabazz PalacesLa formazione, al debutto discografico, delcugino di Gonjasufi, tra hip hop esperimentazioni synth dub.Vigonovo (Ve) SABATO 3 MARZO (STUDIO2)

U.K. SubsIl loro primo album risale al 1979.Esperienza da vendere per la punk band

londinese. Con loro Tv Smith.Colle Val d'Elsa (Si) SABATO 3 MARZO(SONAR)Modugno (Ba) DOMENICA 4 MARZO(DEMODE')Roma LUNEDI' 5 MARZO (TRAFFIC)

PontiakLa band Usa sulla scia di Melvins,Arbouretum e Black Mountain.Conegliano Veneto (Tv) SABATO 3MARZO (APARTAMENTO HOFFMAN)

SchwefelgelbLa band tedesca ricalca le orme della newwave inglese e tedesca e del punk.Faenza (Ra) GIOVEDI' 8 MARZO (CLANDESTINO)Brescia VENERDI' 9 MARZO (LIO BAR)

God Is an AstronautLa band post rock irlandese torna nelnostro paese.Milano MARTEDI' 6 MARZO (TUNNEL)Roma MERCOLEDI' 7 MARZO (CIRCOLO DEGLIARTISTI)

James TaylorUn lunghissimo tour italiano per ilsongwriter americano.Napoli MARTEDI' 6 MARZO (TEATROAUGUSTEO)Catanzaro MERCOLEDI' 7 MARZO (TEATROPOLITEAMA)Catania GIOVEDI' 8 MARZO (TEATROMETROPOLITAN)Lucca SABATO 10 MARZO (TEARTO DEL GIGLIO)

Sonny & The SunsetsBeach pop per Sonny Smith e la sua band.Carpi (Mo) GIOVEDI' 8 MARZO(MATTATOYO)Osimo (An) VENERDI' 9 MARZO (LOOP)Mirano (Ve) SABATO 10 MARZO (MOON)

Peter KernelL'indie rock della band svizzero- canadese.Torino VENERDI' 9 MARZO (EL BARRIO)Modena SABATO 10 MARZO (VIBRA)

Bill CarrothersIl disco-progetto Joyspring (un omaggio altrombettista Clifford Brown) vienepresentato dal pianista in un lungo touritaliano.Macerata SABATO 3 MARZO (TEATROL. ROSSI)Vasto (Ch) DOMENICA 4 MARZO (TEATROROSSETTI)Bacoli (Na) LUNEDI' 5 MARZO (OSTERIADA CALIENDO)

NaziziLa «First lady» dell’hip hop kenianosostenuta dall’Afrodisia Sound System.Milano VENERDI’ 9 MARZO (BIKO)Roma SABATO 10 MARZO (ANGELO MAI)

Fresu & SosaIl duo tra Paolo Fresu e Omar Sosa conospite Jaques Morelenbaum.Bologna DOMENICA 4 MARZO (CANTINABENTIVOGLIO)Casalmaggiore (Cr) MERCOLEDI'7 MARZO (TEATRO COMUNALE)

Milano GIOVEDI' 8 E VENERDI' 9 MARZO (BLUENOTE)Oristano SABATO 10 MARZO (TEATROGARAU)

CaparezzaIl nuovo tour del rapper di Molfetta.La Spezia SABATO 3 MARZO (PALA MARIOTTI)Bologna SABATO 10 MARZO (PALANORD)

Il Teatro degli OrroriIl tour di presentazione dell'ultimo lavorodella band veneta, Il mondo nuovo.Brescia SABATO 3 MARZO (LATTE +)San Vittore di Cesena (Fc)VENERDI' 9 MARZO (VIDIA)Sant'Andrea delle Fratte (Pg)SABATO 10 MARZO (URBAN)

Paolo BenvegnùIl cantautore, ex Scisma e leader dellaband che prende il suo nome, in unospeciale progetto in duo.Torino SABATO 3 MARZO (BLAH BLAH)Vigonovo (Ve) VENERDI' 9 MARZO(STUDIO 2)Trieste SABATO 10 MARZO (TETRIS)

Way to Blue FestivalIl festival blues si apre con Andy Irvine.Roma GIOVEDI' 8 MARZO (JAILBREAK)

Casa del JazzLa struttura capitolina offre il recital delgruppo Worldream e gli incontri con LinoPatruno (I grandi temi della Storia del Jazz,con Silvia Manco), Antonio Lanza (Il Jazz

californiano) e Alberto Castelli (Big BossMan. Vita e leggenda di Muddy Waters, conMax Trani). Al Parioli inizia Note di lunedì-Parioli in musica, con Nicky Nicolai eStefano Di Battista Jazz Ensemble nelrecital Con tutte le note che ho.Roma SABATO 3, DOMENICA 4, LUNEDI’ 5,MERCOLEDI' 7 E GIOVEDI' 8 MARZO (CASADEL JAZZ, TEATRO PARIOLI)

Aperitivo in ConcertoPrima assoluta per la rassegna milanese:Louis Moholo Unit Special Edition,dedicated to the Blue Notes.Milano DOMENICA 4 MARZO (TEATROMANZONI, ORE 11)

Parco della MusicaIn programma Mauro Ottolini &Sousaphonix, Enrico Pieranunzi NewAmerican Trio (Scott Colley e AntonioSanchez), Brad Mehldau in solo, MarioBiondi e il Pollock Project (Art-jazz emusica libera per un incontro surrealista evisionario, con Marco Testoni, NicolaAlesini e Max Di Loreto).Roma SABATO 3, DOMENICA 4 E MERCOLEDI'7 MARZO (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)

CrossroadsLa rassegna itinerante propone il duoMaria João & Mario Laginha e il JazzQuartet della cantante Cheryl Porter.Massa Lombarda (Ra) GIOVEDI'8 MARZO (TEATRO DEL CARMINE)Cesenatico (Fc) SABATO 10 MARZO(TEATRO COMUNALE)

LO SPIRITODI PETER GUNN

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPALUCIANO DEL SETTEGUIDO FESTINESELUIGI ONORIROBERTO PECIOLA

Debutta il Jessica Lauren Four, ultimoprogetto di Jessica Lauren, polistrumentista(perlopiù tastierista) britannica che haattraversato la scena soul jazz in lungo e inlargo collaborando con una miriade diartisti: dai Killer Meters a Demis Roussos.Ora torna con un ep omonimo JessicaLauren Four (Freestyle rec. FSRCD/LP093;2012) in cui mescola blues, soul e aspersionigospel. Come nel caso di Happiness Trainpezzo invincibile affidato alla voce di JocelynBrown con cui si è incontrata per caso inuno studio di registrazione. Il risultato è ungospel incrementale con i ritmi che salgonocome quel treno che lento lento prendevelocità. Brown è un classico della discomusic e del mondo house avendo legato ilsuo nome a Chic, Change, SalsoulOrchestra, Cerrone, Culture Club ecc. Èanche la cantante da cui gli Snap! hannocampionato il verso I got the power (dal suodance hit Love's Gonna Get You). In HappinessTrain dà fondo a una versatilità vocale cheincanta. Pacato e intenso I Believe semprecon lei alla voce e pronto per qualsiasi jazzclub che si rispetti. Da notare che JessicaLauren è una presenza fissa del Jazz Meetserata del locale Last Days Of Decadence al145 di Shoreditch High Street WhitechapelLondon E1 6JE. Uno sguardo di Londrameno soul e bluesy è offerto daReflections on Love, storico corto del1966 di Joe Massot in collaborazione con loscrittore Derek Marlowe e di LarryKramer. La pellicola, tutta ambientata nellaswingin' London, segue una coppia londinesedai primi flirt al matrimonio civile (collettivo,insieme a tante altre coppie). Ci sonoframmenti di Beatlemania, cineprese cheindugiano su Carnaby Street e relativa modadel tempo, atmosfere che rimandano aquella Londra. Un quadretto ingenuo,idilliaco e così trasparente che ben rendel'idea di un'era in cui tutto (anche il ritocivile) diventava nuovo e eccitante.Protagonista Jenny Boyd, supergroupielegata sentimentalmente a Donovan e MickFleetwood. Rispetto alla versione originaledi 21 minuti, su YouTube gira, invece, ilre-edit del 1999 (11 minuti) dei Kula Shaker,band inglese psych beat di metà anniNovanta, che hanno risonorizzato il film. Perinciso Massot, scomparso nel 2002, hadiretto Wonderwall, film con colonna sonoradi George Harrison il cui titolo ha ispiratol'omonimo pezzo degli Oasis. SempreMassot è stato il regista di The Song Remainsthe Same, il concert-film dei Led Zeppelin.Tra le sceneggiature di Kramer si ricordanoGirando intorno al cespuglio di more e Donne inamore (Ken Russell). Marlowe ha scritto ilclassico spy-thriller Un dandy in trappola.OCCHIO al nuovo, travolgente singolo diEugene McGuinness, artista solista echitarrista della band di Miles Kane; tornacon Shotgun (Domino RUG 445; 2012),omaggio a Henry Mancini e al tema di PeterGunn, da cui campiona la struttura portantedel pezzo. Avvincente. McGuinness hapubbblicato un ep e un album omonimo; èin arrivo il nuovo disco (anticipato proprioda Shotgun e dal precedente Lion).

Aa. Vv., The Jeffrey Lee Pierce SessionsProject Vol. 2 (Glitterhouse/Venus)Willis Earl Beal, Acousmatic Sorcey(Xl/Self)Andrew Bird, Break it Yourself (BellaUnion/Coop Music)Wallis Bird, Wallis Bird (Karakter/FamilyAffair)Blood Red Shoes, In Time to Voices(V2/Coop Music)Matthew Bourne, Montauk Variations(Leaf)Jeff Cascaro, The Other Man (Herzog/Audioglobe)Ceremony, Zoo (Matador/Self)Choir of Young Believers, Rhine Gold(Ghostly/Audioglobe)The Decemberists, We All Raise OurVoices to the Air... (Rough Trade/Self)Everlast, Ungrateful Living (Spv/Audioglobe)Feedtime, The Aberrant Years (Sub Pop/Audioglobe)Erasure, Fill Us with Fire (Mute/Self)Childish Gambino, Camp (Glassnote/Coop Music)Giardini di Mirò, Good Luck (Santeria/Audioglobe)Grimes, Visions (4Ad-Beggars/Self)Hunx, Hairdresser Blues (Hardly Art/Audioglobe)The Jezabels, Prisoner (Pias/Self)Jonquil, Point of Go (Blessing Force/CoopMusic)Jowjo, Out of the Window into the House(Riff)Joy as a Toy, Dead as a Dodo (CheapSatanism)Lost in the Trees, A Church that Fits OurNeeds (Anti-Epitaph/Self)The Magnetic Fields, Love at the Bottomof the Sea (Domino/Self)Spoek Mathambo, Father Creeper (SubPop/Audioglobe)Cass McCombs, Wits End/Humor Risk 2 cd(Domino/Self)Micatone, Wish I Was Here (SonarKollektive/Audioglobe)Memoryhouse, The Slideshow Effect (SubPop/Audioglobe)Nobraino, Disco d'oro (Martelabel/Venus)NoMoreSpeech, NoMoreSpeech(Alterhead Productions/Audioglobe)Offlaga Disco Pax, Gioco di società(Odp/Venus)Pond, Beard Wives Denim (Modular/Audioglobe)Poor Moon, Illusion ep (Bella Union/CoopMusic)Rival Sons, Pressure & Time Redux(Eerache/Artevox)Seventeen Evergreen, Steady on, Scientist!(Lucky Number/Coop Music)The Softone, Horizon Tales (Cabezon/Audioglobe)The Stranglers, Giants (EarMusic/Edel)Sycamore Age, Sycamore Age (Santeria/Audioglobe)Tomat, 01-06 June (Monotreme/Cargo)Vadoinmessico, Archaeology of the Future(Pias/Self)Paul Weller, Sonik Kicks (Cooperative/Universal)White Rabbits, Milk Famous (Mute/Self)Alex Winston, Alex Winston (V2/CoopMusic)Yeti Lane, The Echo Show (Clapping Music)

Idioti (La Tempesta Dischi) è il settimoalbum a firma Uochi Toki, duo degeneredel rap italiano. Se La recensione di questodisco è una provocazione rivolta allastampa perché oltrepassi i soliti schemicritici, La prima posizione della nostraclassifica dissacra il pop e diventa «unascusa per usare la parola paradigma nelritornello melodico». Ironici, paradossali,acuti e rumorosi, Napo e Rico riesconosempre a spiazzare, anche quandosconfinano nel moralismo. Un discoverboso in cui «le parole sonoimportanti». Rico è anche produttoreartistico di Funeralistic (Anemic Dracula/LaValigetta), secondo album di Quakers &Mormons. Il cantato (in inglese) ha unaforte impronta indie rap mentre iritornelli ridisegnano il pop, piazzandolo inambienti inconsueti. Le basi si muovonotra hip hop e break core con lampi gabbere accenni drum'n'bass. Un album chesegue un periodo buio nella vita del duo esviscera il concetto di morte. Idioti eFuneralistic, a modo loro, mettono allaprova la forma rap grazie a unatrasposizione non solo musicale maanche culturale, creando così originaliibridismi. (Luca Gricinella)

ON THE ROAD

IN USCITA A MARZO

INDIE ROCK

Le lunghe ombredel dream pop

HIP HOP ITALIA

Uochi Toki,il duo degenere

INDIE ITALIA

Muro del Cantoin costruzione

DIRTY THREETOWARD THE LOW SUN (Bella Union/CoopMusic)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Dopo sei anni di silenzio riprendeil sodalizio tra Jim White, Mick Turner eWarren Ellis, esponenti di spicco dellascena alternativa australiana. E riprendecon quello che sembra il lavoro più afuoco della loro carriera. Post rock esperimentazione vanno a passeggio manonella mano, improvvisazione e teorie punklottano tra loro senza un vero vincitore,se non chi ascolta questo cupo eispiratissimo lavoro. E quando il violino diEllis prende le redini è pura magia. (r.pe.)

EMERSON, LAKE & PALMERLIVE AT THE MAR Y SOL FESTIVAL (Leadclass)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Non è entrato nella celebrazioni enell'agiografia, spicciola o imponente chesia, il festival rock portoricano di Mar ySol: disastro organizzativo, pare, noncerto musicale. Perché erano anni tosti,per il rock. E anche per EL&P, che qui,1972, sono tutto tranne che l'algido,indigeribile supergruppo che tanta criticapost punk s'è divertita a sbeffeggiare. Unaversione di Tarkus da brividi, coi synthanalogici che sembrano ululanti bestieprimordiali, un Rondo come bis da 18minuti, pura fantasia e potenza, unaimpeccabile Pictures at an Exhibition. (g.fe.)

FARMER SEAA SAFE PLACE (Dead End Steet/New Model)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Sono tempi difficili, i tempi di oggi.Le paure serpeggiano, portandosi dietroincubi, insicurezze, futuro nascosto dietronebbie fitte. Cantano la paura i torinesiFarmer Sea, e la raccontano in 10 tracceautoprodotte, che convincono su tutti ifronti. Il comun denominatore è un rockdenso, che si liquefa nelle chitarre per poitornare a coagularsi quando, spesso, lapresenza del piano assume ruoloprimario. Paura, o meglio inquietudine èquella di The Fear; cui fanno da antidotoThe Green Bed e Lights. Echi dei Rem, maechi soltanto. L’anima profonda è tuttaFarmer Sea. (l.d.s.)

MEGAFAUNMEGAFAUN (Crammed Discs/Ma.So.)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Altri segnali confortanti, per nondire, in assonanza, esaltanti, dall'indie rockamericano profondo (dal Wisconsin, nonesattamente la California) a caccia diradici e futuro assieme. Chi ha amato lebelle avventure sonore di Bon Iver - ossiaJustin Vernon, assieme proprio a loro - edei Fleet Foxes qui trova addirittura dimeglio. Una band «obliqua» che ha ilcuore piantato nella San Francisco freakdei Settanta, e il cervello orientato versoil terzo millennio: sennò non sispiegherebbe la misteriosa alchimia dellecanzoni tra CS&N e i Battle, tra Ayler e iGrateful Dead. Una meraviglia. (g.fe.)

MISSAIL GRANDE BLUFF (MusicShow/Edel)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Se un rapper genera inquietudinein chi l'ascolta, allora ha raggiunto loscopo. Missa, look a metà fra Valentina diCrepax e Lady Gaga, è credibile in questaautoproduzione che arriva a tre anni daquando si faceva chiamare Miss Simpatia eattaccava Fabri Fibra. Ora se la prendecon tutti; attori, giornalisti e politici, macon tale ricchezza d'argomenti e sorrettada solide basi elettroniche e coinvolgentitanto da farci venire un sospetto: laragazza, forse ha proprio ragione... (s.cr.)

THE TWILIGHT SADNO ONE CAN EVER KNOW (Fat Cat/Audioglobe)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Niente è per sempre uguale. Conquesta filosofia, la band scozzese si èapprocciata al terzo album, quello che disolito ne definisce la valenza. E cosìdall’indie rock elettrico eccoli virare,sotto la supervisione del dj e producerAndrew Weatherall, verso il più classicoelectro rock pop, dalle influenze Eighties.Una strizzata d’occhio anche alle sonoritàteutoniche e un disco che non apre nuovefrontiere ma si ascolta con gusto. (r.pe.)

KENNY WHEELERONE OF MANY (CamJazz)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ In questi dieci brani Wheeler saràfallace nell’intonazione e nell’emissione delsuono ma è sempre lucidamente epoeticamente ispirato, come i suoi amici-partner John Taylor (con il suo pianismoelegante e asciutto) e Steve Swallow (conil suo inconfondibile basso- chitarra cuinon mancano mai guizzo lirico e fantasia).Tempi medio-lenti, ritmo interiorizzato,prevalenza melodica, soli scavati, forteimpatto poetico: un’opera che sa diermetismo senza compiacimenti. (l.o.)

Tre lavori nostrani, diversi tra loro perconcezione, provenienza e stile. Partiamocon Auff!, secondo lavoro degli abruzzesiManagement del Dolore Post-Operatorio (Martelabel/Venus). Post punke cantautorato italiano si fondono in questodisco dai testi caustici e affilati come lame.Sulla strada de Il Teatro degli Orrori, nondimenticando icone del rock italico comeCccp e Marlene Kuntz. Non tutto è a fuoco,ma la base è interessante. Molto intrigante ilterzo album del trevigiano Nicola Manzan, inarte Bologna Violenta. Utopie e piccolesoddisfazioni (Wallace-Dischi Bervisti/Audioglobe) è un insieme di noise, musicaclassica, squarci cinematici, cori dell’Esteuropeo e elettronica estrema, un lavorodifficile e ardito, saturo e potente, forseaddirittura esagerato. Arrivano da Roma ene cantano vite, morti e miracoli di oggi e diieri Il Muro del Canto. Folk hardcore perquesto ensemble capitolino, già noto eacclamato nella loro città, che esordisce conL’ammazzasette (Goodfellas). Il ricordo degliArdecore è concreto solo nel dialetto,perché qui non ci sono canzoni tradizionalima il tutto è farina del sacco della band chevede la voce baritonale e i testi sagaci dell’exSurgery, Daniele Coccia. (Roberto Peciola)

Sarà perché registrato in varie località, le piùlontane e disparate del mondo, o perché èun qualcosa che somiglia a un best, unacollezione di singoli e b-side, nonostante siparli in realtà di un esordio, ma Melt(Carpark/Goodfellas) del collettivo«multietnico» con base a New York,Young Magic, sembra un assemblaggio distorie musicali, unite da un denominatorecomune: la qualità. Elettronica, pulsionishoegaze, pop, derive esotiche, il tutto aformare un unicum decisamente intrigante.Così come lo è Ghostory (Full TimeHobby/Self), terzo lavoro del duo Schoolof Seven Bells, anch’essi dalla GrandeMela, un concept album sui sogni «dapaura» di un bambino. Basi dream pop conquel tanto di electro che non guasta e cheregala spunti ritmici e non solo atmosferacome spesso accade nel genere, e un grangusto melodico, ci piace. Altro mix etnico èquello che offrono i Nedry, trioanglo-nipponico al debutto con In a DimLight (Monotreme). La voce suadente di AyuOkakita si staglia su un letto di sonoritàelettroniche gentili e eleganti, estremamenteraffinate, con richiami al buon vecchio triphop, rivisto in questo nuovo millennio.Ipnotico e oscuro. (Roberto Peciola)

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L’Uccellinovenuto dal nord

AMARCORD

di MASSIMO RAFFAELI

●●●Avrebbe dovuto concludersicon uno squillante zero a zero, ilrisultato perfetto, e invece andò afinire 6-3, paradossalmente un esitoinfamante sia per Annibale Frossisia per un Nereo Rocco che, primadel calcio d’inizio, si era limitato adire ai suoi, gli ineffabili «manzi»,Zoghé come ve gh’ha insegna’ vostramare. E’ una domenica di pienoinverno, il 2 febbraio 1958, quandonella buca fangosa dell’Appiani, aPadova, a un passo da Prato dellaValle, arriva il Genoa guidato inpanchina dall’ingegner AnnibaleFrossi, l’occhialuta ala destra diBerlino 1936, un ex subalterno delPepp Meazza poi divenuto teoricoinsigne e persino cavilloso delcalcio all’italiana, quasi uncausidico del risultato a retibianche, il quale sa benissimo chesulla panca dei biancoscudati lo staintanto aspettando il genioempirico della sua stessa scuola.

Frossi ha un portavoce in campoche si chiama Julio César Abbadie,uruguaiano di classe smagliante edi estri in proporzione inversi allacontinuità: tocca a lui aprire il giocoe condurlo facendo salire lasquadra. Rocco viceversa ha dallasua una torma di duri muscolari(difensori arcigni quali Azzini eScagnellato o imponenti comeIvano Blason) e dissimula,chiudendo la difesa, i tre fuoriclasseche illustrano la squadra piùfischiata e diffamata d’Italia:l’italo-argentino Humberto Rosa,un regista capace di goleare e didettare i tempi, il centravanti SergioBrighenti, letale stoccatore in area,infine un’ala destra svedese, KurtHamrin, appena avuta in prestitodalla Juventus. Dunque al Genoa vail dubbio onore di attaccare e alPadova, la squadra di casa, spettainvece il contropiede più classico:come non bastasse, in conferenzastampa Rocco ha voluto inchinarsial collega laureato omaggiandolo diun titolo, Xè el me maestro, cheall’altro non promette nulla dibuono. Fatto sta che a soli treminuti dalla fine del primo tempo ilGenoa è sotto di cinque gol, quattrodei quali su azioni che tutte sisomigliano e portano la firma dellosvedese velocissimo che si lancianel vuoto alle spalle dei rossoblù,duettando in progressivo conBrighenti e Rosa, per concludereindifferentemente di destro esinistro, una volta anche di testa:sembra che qualcuno in tribuna aquesto punto esclami Xè comedarghe ai fioi («è come picchiare ibambini») mentre Gianni Brera,l’indomani riferendone su Il Giorno,definisce a tutte lettere KurtHamrin «un gigante».

Il gigante è alto appena 169 cm.(per 69 kg. di peso) ed è nato aStoccolma, figlio di unimbianchino, il 19 novembre del1934; apprendista di tipografia

(come Giovanni Trapattoni) dopoalcuni anni all’AIK, lo ha acquistatoper la stagione ‘56-‘57 la Juventus. ATorino non è andato male (8 gol in23 partite) ma un infortuniorecidivo al piede destro ne ha moltolimitato il rendimento nonostanteavesse compagni di squadra, fra glialtri, un raffinato centravanti, LelloAntoniotti, e nientemenoGiampiero Boniperti all’apice dellacarriera ma frustrato nel suonarcisismo di goleador perchéappena retrocesso da puntaavanzata a interno di regia. Sisospetta, come per altri fuoriclassecacciati dalla Juve – su tutti HelgeBronée e Eduardo Ricagni – che siastato proprio Boniperti, intrinsecoper così dire della famiglia Agnelli, aproporre il trasloco di Hamrin, senelle memorie giovanili dettate aGian Paolo Ormezzano (La miaJuventus, prefazione di Carlin, 1958)così lo ritrae: «Svedesinointelligente e calcolatore, che peròda noi non rese al massimo dellesue possibilità, per incidenti vari edifficoltà di ambientamento». Talidifficoltà è probabile consistesseronel rifiuto di essere sottomesso agli

ordini del capitano o di passaresempre a lui il pallone conl’automatismo servile di quasi tuttigli altri.

Nell’estate del ’57, nonostanteBoniperti, arrivano a Torino JohnCharles e Omar Sivori: Hamrin lisegue in tournée nella sua Svezia,con loro compie mirabilie ma alritorno è «tagliato» dalla rosa inquanto straniero soprannumerario.Perciò va in provincia da Rocco,notoriamente un rigeneratore divecchi giubilati come di talentiincompiuti: ed è lì, nella stagioneirripetibile in cui il Padova dei«manzi» si classifica terzo dietroJuve e Fiorentina, che Hamrin, conle sue 19 reti in 30 partite, vienedavvero battezzato fuoriclasse. Lasua fisionomia è indimenticabile:brevilineo, evolve a piccoli passilungo l’out, non ha grande falcatama è capace di guizzi improvvisi edi cambi di marcia repentini; la suaspecialità è il cross dal fondo,rasoterra o in alto, però si accentravolentieri in area e, senza essereegoista, spesso si concede il lusso disegnare. I gol di Hamrindifferiscono l’uno dall’altro ariprova di un talento versatile,adattabile a qualunque frangentedella gara e al mutare delle tattichedi gioco. Dirà che gli assomiglianoPaolo Rossi e Filippo Inzaghi: certoè molto meno opportunista sottomisura ma li supera entrambi perqualità del repertorio. Il Paròn gliha messo il soprannome di Fainama i tifosi prenderanno a chiamarloUccellino per la specialità del fisico,e d’ora in avanti Uccellino sarà.

E’ un atleta leale, un vero eproprio gentleman del campo cheignora i castighi della ammonizioneo, peggio, della espulsione. Rocco lotorchia in allenamento, lui non sene adonta e presto si abitua, se adistanza di decenni confessa (nelbel volume di Pino Lazzaro, Nellafossa dei leoni. Lo stadio Appiani diPadova nei ricordi di tanti excalciatori biancoscudati, Edicicloeditore 2002): «Fare il calciatorecredo sia il mestiere più bello delmondo, con le porte poi che ti siaprono come fossero tende. Chigioca a calcio deve essereconsapevole di questo perché bastapoco, basta farsi male e star fuoriper essere subito dimenticato. Perme l’allenamento era un lavoro: sec’era da piegarsi cinque volte io lofacevo sei volte, se gli addominalierano quindici io arrivavo a venti».Chiude in gran forma l’unicastagione a Padova però stavolta larimpatriata estiva significa CoppaRimet. Al Mondiale di casa del 1958Hamrin è titolare anche nellafinalissima che si apre al quartominuto con un gol da fuori di NielsLiedholm, al passo d’addio.Uccellino è il più giovane fracampioni celebrati come Liedholmstesso o Gunnar Gren, detto ilProfessore, e un poeta dal sinistroimpossibile, Lennart Skoglunddetto Nacka: tuttavia non c’è difronte il Genoa di Abbadie ma ilBrasile di un fenomenodiciassettenne, Pelé, guidato inpanchina da una specie di filosofodifensivista, Vicente Feola, che diFrossi e di Rocco rappresenta lasintesi ideale. Insomma fannocinque a due per i carioca e Hamrinsa già che la Juventus l’ha appenaspedito a Firenze a titolo definitivo.

Trova una squadra neanche malema di medio cabotaggio dovesembra avviarsi al suo autunno diatleta: è la Fiorentina di BeppeChiappella, di Humberto Maschio,Alberto Orlando e GiancarloMorrone, in cui rimane nove anni econtinua imperterrito agiocare/segnare vincendo, dopotutto, due Coppe Italia, unaMitropa e nel ‘61, nella finalepassata alla storia come la battagliadi Ibrox Pak, la Coppa delle Coppecontro i Rangers di Glasgow. Hatrentatre anni, ha preso casa aFirenze e sembra avvicinarsi per luilo stato di quiescenza quandoriceve una telefonata dal maestro.

Nereo Rocco lo chiamava Faina, per Breraera un Gigante. Kurt Hamrin fece divertirei tifosi di Juve, Padova, Fiorentina, Milan,Napoli. E ammutolì i razzisti di Rotterdam

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Kurt Hamrin sulla copertinadell’Intrepido negli anni ’60.

Sotto giovanissimo al Padovacon Azzini e Scagnellato.

Sopra, schieratocon la nazionale svedese

ai mondiali del ’58 e inallenamento ai tempi dellaJuventus. Nella foto grande

della pagina a fianco,mentre riceve la Coppa

Italia vinta con la Fiorentinanel 1966. Sopra, con Nereo

Rocco, in rossonero, conla divisa dell’Aik Stoccolma

e con Nils Liedholm.In questa pagina a destra

la scultura di MedardoRosso «Bookmakers»

Nel generale scetticismo, comesempre sottovalutato, offeso,dileggiato, Paròn Rocco staallestendo un Milan che diconoraccogliticcio, di anziani spompati egiubilati, ma presto si rivela unasquadra di classe mondiale. Hamrinè giusto l’ultimo tassello di unattacco che fa perno su GianniRivera (con Lodetti addetto allaborraccia) e due punte di grandevigore, Angelo Sormani e ilgiovanissimo Piero Prati daCinisello Balsamo detto Pierino lapeste. Il Milan stravince ilcampionato e, non bastasse, arrivaalla finale della Coppa delle Coppe,a Rotterdam il 23 maggio 1968,

contro l’Amburgo di Uwe Seeler. Sigioca nello stadio del Feyenoord, latifoseria locale (tradizionalmenteincline al neonazismo eall’antisemitismo) tifa Amburgo abraccia levate e fischia i rossonerisenza sospettare che Uccellino staper celebrare la propria apoteosi.Qui gli basta ridurre di un terzo laquota rifilata al Padova dieci anniprima e infatti, su suggerimento diRivera, va due volte in gol a passifitti, zigzagando imprendibile,prima al terzo poi al quindicesimominuto del primo tempo, quando lapartita può dirsi conclusa: lo stadiotace costernato, cadono le braccialevate a migliaia nell’ «Heil!» mentre

Uccellino viene cinguettando la suagioia civilissima che si accendeappena in un sorriso chiaro.

Bisserà l’anno dopo addirittura inCoppa dei Campioni a Madrid, lasera in cui Nereo Rocco (coadiuvatoda Gianni Rivera) impartisce amuso duro, e per 4 a 1, unamemorabile lezione d’umiltà epragmatismo all’Ajax di RinusMichels e di un ancora imberbe,non meno strafottente, JoahnCruijff. Ma per Kurt Hamrin, cheimmaginiamo gongolante nellamisura in cui può esserlo uno comelui, non è affatto finita. Ora hatrentacinque anni, eppure si regalaaltre due stagioni al Napoli,neppure così male, e un’altra,l’ultimissima, un ritorno all’origine,tra i semidilettanti dell’IFK diStoccolma, dove gioca appena diecivolte ma segna cinque gol, cioè unamedia che continua a esseretremenda. Se potesse, non fosse peri reumi e le ginocchia torturate, luicontinuerebbe oltre quel 1972.Successive e modeste esperienze diallenatore come di osservatore nondicono nulla né a lui né a noi. Pernoi conta solamente l’ala destradell’Appiani, di Ibrox Park e diRotterdam, il campione che primafu detto la Faina e poi, per tutti, fusemplicemente Uccellino.

QUELLI CHE SALVANOLA CATEGORIA

di PASQUALE COCCIA

●●●Altro che la fuga in garagedell’ex capitano dell’AtalantaCristiano Doni. Un secolo fa,esattamente nel 1914, al malcapitatofantino fu necessario fuggireall’estero per sottrarsi alla rabbiadegli scommettitori, i qualiscoprirono il truffaldino accordo conun bookmaker in occasione del GranPremio del Commercio di Milano, lamanifestazione sportiva nazionalecon il premio più ricco. Le agenzie digioco asiatiche sulle quali puntano igiocatori italiani coinvolti nelloscandalo scommesse e gli «zingari»che circolano nei ritiri estivi percorrompere alcuni giocatori delmassimo campionato di calcioitaliano? Dilettanti rispetto aibookmakers che operavano a bordocampo a inizio Novecento. Lepuntate venivano accettate a partitain corso e prevedevano che loscommettitore desse una «mancia»al calciatore che segnava un gol. Inoccasione del derby giocato nel 1911tra Genoa e Doria, le puntatearrivarono fino a 10mila lire.

Dallo scandalo scommesse allaprima tangentopoli dello sport ilpasso è breve. All’Inief (Istitutonazionale per l’incrementodell’educazione fisica), riconosciutoente morale nel 1910, per lacostruzione dello stadio di Romafurono assegnate 450 mila lire, unasomma che sollecitò gli appetiti delsottobosco politico, che provvide nelgiro di poco tempo a prosciugarladel tutto. Il ministro Credano,chiamato a dar conto in Parlamento,ammetterà il «rapinamento difondi». Nulla da invidiare allalievitazione sproporzionata dei costiper la costruzione o l’ampliamentodegli stadi in occasione deicampionati mondiali di calciodisputatisi nel 1990 in Italia.

Le giocate più consistenti, però, leregistra il ciclismo: a Milano nel1897 scoppiano tumulti alciclodromo Fossati dove le combinetra concorrenti sbancano gliscommettitori. Che i fautori diimbrogli e i maneggioni di soldi lafacessero da padrone è testimoniatoanche da un’opera d’arte delloscultore Medardo Rosso, che nel1894 denominò una sua scultura«Bookmakers». Il non plus ultra,però, è testimoniato dallescommesse sul tiro al piccione: i

tiratori potevano scommettere su sestessi, e a seconda della posta ingioco, infallibili tiratori sui quali sipuntava a colpo sicuro, diventavanodei brocchi, il tutto a vantaggio diimprobabili vincitori.

Racconta questo e molto altroFelice Fabrizio, pioniere in Italiadella storia dello sport, che nel suoultimo libro Fuoco di bellezza. Laformazione del sistema sportivoitaliano 1861-1914 (Sedizioni),analizza il difficile percorso dellaformazione delle organizzazionisportive italiane a livello locale enazionale. La diffusione di societàsportive prevalentemente nel nordItalia (Torino, Milano, Genova) afronte di una situazione del centrosud pressoché inesistente, se sieccettua Roma.

L’autore accenna anche alrapporto tra il fenomeno migratoriodi vaste proporzioni verificatosi tra il1880 e la fine del secolo e la nascitadi società sportive nei paesi diapprodo degli emigranti italiani:società ginnastiche sorgono aMarsiglia, Strasburgo, il Cairo; circolidi velocipedisti a New York, SaoPaulo e Buenos Aires; numerosesocietà di canottaggio a Concepcion,Porto Alegre, Lima e Montevideo. ASan Francisco fu costituito unComitato coloniale per lo sviluppodell’educazione fisica, a Santiago delCile nel 1910 sorge l’Audax ClubItalia, mentre a Sao Paulo nel 1914nasce Palestra Italia. A Buenos Airesil Club Ciclistico Italiano, fondatonel 1898 conta più di mille soci. Afondarle sono gli immigrati dellaprima ora, quelli che più di altriavevano colto la necessità diaccogliere i nuovi arrivati e offrireloro momenti di collettività italianaattraverso lo sport.

I rimpatri che si susseguono tra il1885 e il 1900 (il 45%) e quelli cheavvengono nella prima decade delNovecento (il 60%), rappresentanoun’occasione di contaminazione e diintroduzione di pratiche sportiveestranee alla nostra tradizione. Intempi di globalizzazione, la ricercastorica sul rapporto tra emigranti esocietà sportive tra Ottocento eNovecento è un tema di estremaattualità. Felice Fabrizio ha scrittouno dei libri più interessantipubblicati dall’editoria sportiva neidieci anni del nuovo secolo e ciauguriamo che si cimenti presto insfide altrettanto impegnative.

IL BUNGA BUNGA DI PEPE REINAIl fantasma del razzismo continua a tormentare il Liverpool. Dopo il casodell’attaccante Luis Suarez (squalificato per 8 giornate per aver rivolto offese razzisteal francese del Manchester United Evra e poi di nuovo nell’occhio del cilone peressersi rifiutato di stringergli la mano quando i due si sono ritrovati a Old Trafford),nei giorni scorsi è finito nei guai il portiere spagnolo dei reds Pepe Reina. Colpevoledi aver prestato la sua immagine a uno spot pubblicitario della compagnia diassicurazioni Groupama nel quale il giocatore si ritrova prigioniero nella giungla diuna tribù africana. Giocando sul doppio senso del suo nome (Regina), il re indigenoKapula lo destina alla prova del Bunga Bunga (nella versione spagnola il re dice

qualcosa di simile a Tsinga Tsinga) e il numero uno viene portato via con una coronadi fiori in testa. La cosa non è affatto piaciuta a Operation Black Vote, organizzazioneno profit inglese che si occupa della comunità nera e delle minoranze etniche inGran Bretagna. «E’ uno spot imbarazzante che ricorda quelli delle sigarette degli anni’70 che prendevano di mira le tribù zulu», ha detto il direttore di Obv SimonWolley. «Reina pensa forse che i suoi compagni di squadra neri saranno contenti divedere la gente nera rappresentata come una manica di animali stupidi eomosessuali? Il Liverpool si dovrebbe vergognare di lui». Il club ha scelto di noncommentare l’accaduto dopo che la multinazionale spagnola ha deciso di ritirare lapubblicità pur non considerandolo offensivo nè discriminatorio. «Non abbiamo fattonulla di sbagliato ma se abbiamo offeso qualcuno allora chiediamo scusa».

●●●Il presidente del Forcoli (Toscana,serie D), Walter Tommasi, è statoleggermente arrestato per riciclaggio e cosìi tifosi hanno fatto una colletta e pagato ilpullman per la trasferta dei giocatori. Dasempre la necessità aguzza l'ingegno.«Bisogna salvare la categoria», hanno detto,dando una priorità quindi alla squadra piùche alla persona. Ed è già una notizia.

Rabya Chebbi, centrocampista offensivo(anche troppo) del Martinsicuro (Abruzzo),ha colpito con un pugno allo zigomosinistro l'arbitro, «il quale per il colposubìto stentava a parlare, a chiudere labocca e a rimanere in piedi in equilibrio». Afine partita andava a scusarsi ma, vistol'invito ad allontanarsi da parte dell'arbitro,lo ha accusato di aver ricevuto da lui unpugno. Insomma, squalifica per cinque anni,una carriera avviata nella federazionepugilistica.

Sempre Abruzzo, una delle centinaia digare rinviate per la neve, è stata la garavalevole per il campionato juniores traAltinrocca e Tre Ville. Solo che le duesocietà si sono accordate direttamente tradi loro, senza avvertire né il comitatoprovinciale tantomeno l'arbitro che, congran fatica, si è presentato al campo inperfetto orario, trovando un metro di nevee il custode che gli ha riferito del posticipo.Gara persa ad entrambe e un punto dipenalizzazione ciascuno.

Puglia, calcio a 5, derby tra l'AtleticoLaterza e l'Atletico Cassano. I padroni dicasa perdono nettamente e la delusione fabrutti scherzi. Un dirigente, il signorGiuseppe Tamborrino, aggredisce l'arbitroe gli procura un profondo taglio al dorsodella mano destra. Non basta, a partita incorso, nel mezzo di una decisionecontestata, un calciatore locale rifila unterrificante calcio al polpaccio dell'arbitro,che gli provocherà una leggere zoppìa permolti giorni. Non essendo riuscito adindividuare l'aggressore, viene squalificato ilcapitano della squadra, Salvatore Donno,per un anno. Poi, ecco il ricorso, nellalettera la società ammette che a dare ilcalcione è stato ancora il Tamborrino(tanto, già che c'era). L'arbitro ammetteche magari lo avrebbe voluto dare, ma nonera lui, sanzione aumentata per averdichiarato il falso.

Marco Cella, difensore dellaMelegnanese (Lombardia), espulsosecondo lui ingiustamente, ha preso a calci«la bandierina e un lampione». LuigiAmodio, del Vermezzo (sempreLombardia) si è sfogato invece contro unavversario, colpito con un violentissimopugno al naso che lo faceva crollare a terrain mezzo a un lago di sangue e con difficoltàrespiratorie. La Tac ha ravvisato la fratturacomposta dell'emimandibola di sinistra.

Il massaggiatore del Monte Romano(Lazio) è entrato in campo e si è direttoverso l'arbitro gridandogli «Ora tiammazzo»: è stato ingiustamentesqualificato fino a maggio. Syla Adem,calciatore del Dopolavoro ferroviario, haafferrato la guancia dell'arbitro e gli ha datoun forte pizzicotto.

Casarza Ligure-Borgoratti Meeting club(campionato juniores, Liguria) ad un certopunto si è trasformata in qualcos'altro, noncalcio comunque. La classica nuvola dipolvere dei fumetti, con lampi, cazzotti,gambe che spuntano, insomma rissacollettiva. L'arbitro, nel referto sconsolato,fa sapere che non poteva continuare lagara, essendo le squadre rimaste in sei,esclusi i vari dirigenti e panchinari espulsi.Quel che si dice un sano pomeriggio disport.

Lo storico FeliceFabrizio raccontala nascitadel sistemasportivo in Italiatra atleti corrotti,sperpero di denaroe contaminazionecon l’altro mondo

LIBRI ■ «FUOCO DI BELLEZZA»

Imbrogli, scandalie migrazione:lo sport italianoagli albori del ’900

RECENSIONI

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Il «nuovo cinematedesco» nonrimuove piùl’orrore delpassato. Verticedell’interrogazionenecessaria, cupae analitica il «rito-capolavoro» del ’77

Come uscire rigenerati dal labirinto surrealee dal girotondo circense fabbricato del cineastadi Nossendorf, l’esponente più decadente e baroccodella «scuola di Amburgo» e dei novissimi tedeschi?

Adolf Hitler, ilroveto ardente

di ELISABETTA ZUCCHI

●●●Hitler, un film dalla Germania(1977) di Hans Jürgen Syberberg èuna tetralogia, proprio come l’Anellodel Nibelungo di Wagner. La musicadi Wagner è notoriamente unapresenza costante nell’opera delregista tedesco. In Hitler, Syberberg citrascina in un girotondo circense incui troviamo bambole, burattini,pelouche, pupazzi, lo spettrodell’assassino di M di Lang, financouomini. «Come in un tableausurrealista, le presenze inanimatesono un ironico commento a coloroche si suppongono vivi (SusanSontang, «Hitler secondo Syberberg»in Sotto il segno di Saturno)».Aggiungerei a ironico agghiacciante.Questo circo particolare vienecriticamente osservato dall’autore dauna distanza siderale: egli ammaestrail nostro sguardo, lo libera dallegabbie e lo accompagna in voloattraverso una costellazione dovefinalmente ci sentiamo a casa(Heimat), anche se le fondamentatraballano. Laggiù, una musicasommersa sviscerata dal ventrematerno della terra risuona da unacripta sotterranea. Il paesaggio èspettrale, anche i bambini sonopostumi. Che cosa abbiamo perso? Lascatola di trucchi dei prestigiatori, lagiostra della vita e della morte?L’intimità della vita e della morte,motore che fa girare la giostra? Laculla dell’infanzia e la sua innocenza?Qui gli uomini sono simulacri di sestessi, l’elemento ludico è stato uccisodalla coscienza di una perdita cheforse non potrà mai essere redenta el’anelito romantico all’infinito èdiventato incoercibile volontàd’annientamento. Intuiva SimoneWeil: «C’è qualcosa d’infinito nellosterminio totale di un popolo». La«fiaba d’inverno» di Syberberg èun’avventura nell’immaginariotedesco, nel tentativo necessario dicreare uno scarto dalla storia e unvarco in essa, attraverso un percorsodi elaborazione del lutto(Trauerarbeit) che possa ricrearecatarticamente il senso del tragico (edunque del comico) e, con esso, laragion d’essere dell’opera d’arte. In talsenso, inevitabile è l’incontro delregista di Nossendorf con Wagner:«Wagner infatti - afferma PaoloBertetto in Genealogia dell’avvenire emusica dell’inesprimibile: il cinemasecondo Syberberg - non era soltanto ilsimulacro implicato dai discorsi suLudwig II e su Hitler, ma era anchel’infinita potenzialità di produzionemitopoietica che reggeva lediversamente cattive mitologieantropologiche degli altri personaggi,era la voce del roveto ardente – perusare una formula di Gottfried Benndedicata a Hitler – che aveva saputofar esplodere la ricchezzafantasmatica della cultura germanica,trasformandola in forma simbolicamaterializzata, atto costitutivo,simultaneo e radicale,dell’immaginario e del reale dellamodernità tedesca».

Wieland il fabbro (Wieland il fabbroè una leggenda popolare di cuiWagner prepara due schizzi conl’intenzione mai realizzata dimusicarla per l’Opera di Parigi) vienereso prigioniero e zoppo dal reNeiding – che aveva molto sentitoparlare dell’arte di Wieland - affinchéforgi per la sua corte ogni specie dicose utili, solide, durevoli. Ad un certopunto, memore della visione avuta ungiorno, sulla riva del mare, di unavergine-cigno, Schwanilde, (simbolodella musica), si forgia «delle ali perinnalzare il suo ardimento fino avendicarsi del suo carnefice, delle aliper volare lontano, verso l’isola felicedella sua sposa!»; «allora la necessità(Noth) stessa battè le sue ali nel pettopieno d’angoscia di Wieland e ispiròentusiasmo al suo cervello inmeditazione». Allo stesso modo,Syberberg – viandante del celebreCanto notturno di Goethe - citrasporta, grazie all’uso dellostraniamento del teatro epicobrechtiano, del leitmotiv e di insistitiprimi piani con forte valenza affettiva

– che Deleuze chiamaimmagini-affezione - , in un luogodiverso da quella terra di nessuno cheè lo scenario spettrale del TerzoReich. L’effetto di straniamento(Verfremdungseffekt) indica la presa didistanza critica rispetto al mondorappresentato in scena che si ottienenello spettatore e ancor primanell’attore, attraverso appunto laforma teatrale «epica». Come avevagià scritto anni prima Herder, l’epossembra essere lo stile più adatto adesprimere allegoricamente lanecessità di un «nuovo viaggio» e diun «nuovo ritorno», di una distanzadalla storia e nella storia. Syberberg,attraverso l’uso strutturale dellemarionette - attrici e spettatrici idealidel film – crea un’impasse,un’incommensurabilità fral’esperienza filmica e la realtà storicanarrata: il fantoccio al postodell’uomo rappresenta la difficoltà,forse l’impossibilità di comunicare aqualcuno esattamente quello che è

successo: com’è stato possibile unprogramma di sterminio? Che cosa hafatto sì che un popolo intero sitrasformasse in un carneficedell’umanità? Quantoall’immagine-affezione, leggiamo inImmagine-movimento di Deleuze,essa è «il primo piano e il primo pianoè il volto (…) essa è al contempo untipo d’immagine e una componentedi tutte le immagini». In Hitler,immagini-affezione sono quella dellabambina (la figlia Amelie Syberberg);quella di una lacrima generata da unastella (nella quale compare unpaesaggio carsico da Viaggio sullaluna di Méliès con al centro una sferadi vetro contenente una casa nera,ovvero la Black Mary, il primo studiocinematografico del mondo); quelladella Black Mary stessa. Leimmagini-affezione, così come leripetizioni di alcuni brani musicali –primo fra tutti il Preludio del Parsifal -vengono dal regista di Nossendorfusate come leitmotiv della sua

narrazione, conferendo alle scene unacerta spettralità, tanto che Wagnerstesso diventa una presenzasimulacrale che, come ben evidenziaPaolo Bertetto, indica, nell’indistintodi una caverna platonica, «il reticolosegreto dell’impossibilità edell’enigmaticità di ogni grandecreazione artistica». Lo spaziointerstiziale e allegorico cheSyberberg orchestra intreccia almenotre registri emotivi, i quali sicompenetrano secondo una«matematica del labirinto, un viluppodi sentimenti e di idee che hannopreso forma acustica e visiva»(Syberberg, Filmbuch, München,1976): il primo è il patetico, intesocome evocazione o dilazione di un«impresentabile». Il secondo è ilmalinconico, in quanto visione di ciòche non è più e che forse non è maistato o di ciò che è e non sembrareale (le immagini dell’Infernodantesco di Dorè). Come affermaStefano Socci, «il regista parla disilenzio della melanconia e subito

tornano alla mente i disegni di Schneider per i romanzi di KarlMay, quegli eroi nudi e soli nel paesaggio, tanti Prometeo lividi,fieri e attoniti, preda di un’angoscia senza nome eppure con gliocchi sempre rivolti alle stelle» (Syberberg, Il castoro, 1989). Infine,il terzo registro è il fantasmatico-simulacrale, come nostalgia diun’innocenza dell’immaginazione, di un’«irrazionalità» romanticanon corrotta. «Per Syberberg - sottolinea Guido Vitiello inL’autunno tedesco e l’ombra lunga di Hitler - la vera sconfitta dellaGermania post-bellica è il «sacrificio volontario del proprioirrazionalismo creativo». Afferma il regista: «Preferirei definirequesta irrazionalità come l’ultimo principio della strutturaincommensurabile del nostro essere artistico, l’insolubile, lanostalgia, il desiderio struggente di significato nella follia, in

quella opera d’arte che è il film, esoprattutto la volontà da parte delpopolo di rappresentare il mito»(«L’arte come salvezza dalla miseriatedesca», in Hitler, un film dallaGermania, Ubulibri, 1984). Questairrazionalità, che è anche un bisognodi redenzione e necessità di ritrovarel’aura del mito, viene incarnata inparticolare dalle due figure femminilidi Hitler e del Parsifal: la bambina(Amelie Syberberg) e Kundry (il voltoè di Edith Clever, la voce di YvonneMinton). «La bambina, – descrive ilregista – figura secondaria ma semprepresente, rappresenta la colpa, poichéporta in scena il pupazzo Hitler e losistema nella culla di fronte allaproiezione di un’immagine delGabinetto del dottor Caligari; ellarappresenta però, allo stesso tempo,l’istanza somma e giudicatricedell’innocenza, di fronte alla qualetutto passa come un’intima visioned’orrore. L’innocenza ha in sécontemporaneamente le dueimmagini» (L’arte e la salvezza dallamiseria tedesca). Il silenzio dellabambina che intrattienel’«impresentabile» fra le palpebrechiuse come un muto leitmotiv,rimosso ma necessario, rende tantopiù visibile quanto più inafferrabileuna «musica del paesaggio». Talemuto leitmotiv ci fa udire la musica diun silenzio originario, e in esso ci faintravedere il sogno di unaredenzione. La bambina, con il capoavvolto in uno scialle nero, pareevocare una «pienezza d’attesa» che èanche un languore sensuale e, nelcontempo, colpevole. Forse non èesagerato ravvisare in lei anche ilsegno e l’ambiguità di una profondacontraddizione - quella fra il coro e ilprincipium individuationis - dallaquale solo può rinascere lo spiritodella tragedia greca – come lointendeva Nietzsche. «La tragediagreca è la messa in opera artistica delcontenuto e dello spirito del mitogreco (…) Il poeta tragico ci ha fattoconoscere il contenuto e l’essenza delmito nella maniera più evidente e piùintellegibile, e la tragedia altro non èche la perfezione artistica del mitostesso; ma il mito è il poema (corsivomio) di una concezione collettivadella vita» (Wagner, Opera edramma). La saggezza tragica di cui labambina è inconsapevole portatrice èanche il sogno di un’armonia fraspirito della musica e spirito dellaterra, di uomo e natura. È l’Erdadell’Oro del Reno, spirito della terrache annuncia la fine imminente deglidei. L’ascesi di Erda-cammino dellabambina è anche un ammonimento,che il movimento discendente delCrepuscolo degli dei sottolinea.Risuonano le parole di Wagner: «Lapaura della fine è la sorgente di ogniinsensibilità all’amore e crescesoltanto dove l’amore stesso si sta giàaffievolendo». La bambina si alza einizia un fantasmatico cammino nelmondo, con in braccio un cane dipelouche che ha la faccia di Hitler - eche porterà con sé fino alla fine. Sulla

scia della Gesamtkunstwerk (operad’arte totale) di Wagner, Syberbergvuole«rendere udibile quello che nonè mai stato visto e visibile quello chenon è mai stato udito». La bambinaattraversa delle grotte, s’imbatte nellaproiezione di Lola Montez di Ophülsdal film Ludwig. Passa poi vicino aitre angeli del quadro I tempi di Rungee in mezzo al compasso di Dio daL’antico dei giorni di Blake, quindidavanti alle Norne di WielandWagner; attraversa un paesaggio diFriedrich, con la pietra nera (esaedro,pietra cubica, simbolo alchemicodella terra, anzi della Prima materia)della Melancholia di Dürer. La pietranera, secondo le parole dello stessoregista, è «lapis lapidi, pietra di luce,lux ex coelis, caduta dalla corona diLucifero. Il Graal, la Kaaba, il Vellod’oro, caduto dall’albero della vita,dalle stelle, l’inizio e la fine degli astri,parte del tesoro di Delfi, dell’ereditàd’Apollo, il dio del sole». La bambina,continuando il suo cammino, arrivainfine davanti al neonato sull’erba,dal Mattino di Runge. Il bambinorappresenta la circolarità ed eternitàdella vita. È, al contempo, fanciullodivino e spirito della terra: scaturisceda un fiore, che a sua volta è simbolodella bellezza celeste e delleprofondità abissali (mentre i petali, lacorolla e la tensione del gambo sonoun inno al cielo, le radici siprotendono dal bulbo fino verso laprofondità della terra). Alla fine, labambina appare in candide vesti e,fissando a lungo il pupazzo con ilvolto di Hitler «sembra riappacificarsicon il passato; e a questo puntoirrompono le note dell’Inno alla gioia,a testimonio di un Trauerarbeitcompiuto, di un lutto trionfato.Eppure, ha notato un finissimointerprete, «la Nona è lasciata insospeso, nel suo registro più alto, inun punto che sembra implorare unarisoluzione musicale» (Hillman 2005,82), quasi a suggerire una catarsimancata» (Vitiello, L’autunno tedescoe l’ombra lunga di Hitler). Figura diamore e colpa, oltre alla bambina diHitler, è anche Dolore-di-cuore,presenza fantasmatica del Parsifal emadre del «puro folle» (comenell’opera, viene solo nominata, ma èproprio la sua assenza il motoredell’azione) che nasconde, in una«selva e brughiera selvaggia», ilmondo al figlio («Dall’armi lunge, dascontri e furor d’uomini, ella ti vollein silenzio celare e custodire»). Larivelazione della morte della madreda parte di Kundry, dèmone delpeccato e del «sonno eterno», «ladonna che in una esistenzaprecedente ha riso davanti a Cristosul Golgota» (Syberberg, StefanoSocci) dischiude a Parsifal, nellacolpa, proprio in virtù di una perditache è un’assenza d’amore, l’illusionedi una redenzione - di cui Kundry sifa tramite involontaria - nella volontàdi mito. Il film è una visione che entraed esce dal monumento di cartapestadella testa di Wagner (una strutturasmontabile, alta tre o quattro metri,che è modellata sulla mascheramortuaria del compositore). Parsifal,che in Hitler è il tentativo di unacatarsi, vuol essere per Syberberg«una grande visione di redenzioneintesa come risultato di unaconoscenza raggiunta mediantel’illusione e la follia».

IL CINEMA COME ARTE SOVVERSIVA

SYBERBERGImmagini tratte da«Hitler, un film dalla Germania»di Hans Jurgen Syberberg (1977)