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Alexander Calder Lawton 22 luglio 1898 – New York 11 novembre 1976 Nato in una famiglia di artisti − scultori il nonno e il padre, pittrice la madre − Calder comincia a scolpire a quattro anni e fa qualcosa che già lascia intravvedere il suo genio creativo. Realizza anche piccole sculture con dei fogli d’ottone come regalo di natale per i genitori, crea gioielli con il filo metallico, perline e bottoni, costruisce modelli di trenini che si muovono grazie alla gravità − e non è ancora alle scuole medie. Ecco alcuni dei suoi lavori più caratteristici: La famiglia Calder si trasferisce di continuo, ma in ogni casa è assicurato che la cantina sarà destinata ad Alexander, perché ne faccia il suo piccolo atelier. Tuttavia, quando arriva il momento di scegliere il college, i genitori fanno pressione perché i figli (Alexander ha una sorella più grande di qualche anno, Peggy, anche lei legata al mondo dell’arte) intraprendano carriere più sicure. È così che nel 1919, a 21 anni, Calder ha già una laurea in Ingegneria meccanica e comincia a fare i lavori più disparati: è ingegnere idraulico e poi disegnatore per la New York Edison Company, anche fuochista su una nave, perfino addetto al controllo delle ore in una segheria. È in questo periodo, dopo anni di distacco, che ricomincia a fare arte e di nuovo se ne appassiona al punto da decidere di trasferirsi a New York per iscriversi all’Art Students Leauge. Non ci rimane a lungo, però: nel 1926 è a Parigi, impegnato soprattutto nel progetto che chiama Cirque Calder: sculture in filo metallico di acrobati, domatori, ballerine, sollevatori di pesi, alcuni decorati con stoffa e perline, altri mossi da piccoli meccanismi, tutti insieme partecipi di serate spettacolari che avevano, tra il pubblico, Joan Mirò e Piet Mondrian − e non sembra per niente male come inizio di una carriera artistica.

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Alexander Calder

Lawton 22 luglio 1898 – New York 11 novembre 1976

Nato in una famiglia di artisti − scultori il nonno e il padre, pittrice la madre − Calder comincia a scolpire a quattro

anni e fa qualcosa che già lascia intravvedere il suo genio creativo. Realizza anche piccole sculture con dei fogli

d’ottone come regalo di natale per i genitori,

crea gioielli con il filo metallico, perline e bottoni, costruisce modelli di trenini che si muovono grazie alla gravità − e

non è ancora alle scuole medie. Ecco alcuni dei suoi lavori più caratteristici:

La famiglia Calder si trasferisce di continuo, ma in ogni casa è assicurato che la cantina sarà destinata ad Alexander,

perché ne faccia il suo piccolo atelier.

Tuttavia, quando arriva il momento di scegliere il college, i genitori fanno pressione perché i figli (Alexander ha una

sorella più grande di qualche anno, Peggy, anche lei legata al mondo dell’arte) intraprendano carriere più sicure. È

così che nel 1919, a 21 anni, Calder ha già una laurea in Ingegneria meccanica e comincia a fare i lavori più disparati:

è ingegnere idraulico e poi disegnatore per la New York Edison Company, anche fuochista su una nave, perfino

addetto al controllo delle ore in una segheria. È in questo periodo, dopo anni di distacco, che ricomincia a fare arte e

di nuovo se ne appassiona al punto da decidere di trasferirsi a New York per iscriversi all’Art Students Leauge.

Non ci rimane a lungo, però: nel 1926 è a Parigi, impegnato soprattutto nel progetto che chiama Cirque Calder:

sculture in filo metallico di acrobati, domatori, ballerine, sollevatori di pesi, alcuni decorati con stoffa e perline, altri

mossi da piccoli meccanismi, tutti insieme partecipi di serate spettacolari che avevano, tra il pubblico, Joan Mirò e

Piet Mondrian − e non sembra per niente male come inizio di una carriera artistica.

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In questo periodo comincia anche una serie di ritratti con il filo di ferro,

tra cui anche quello di Edgard Varèse

e di Fernard Léger (che qui guarda se stesso),

che rompono l’apparente bidimensionalità data dal materiale grazie alle ombre che proiettano, che danno vita a

profili sempre diversi.

Nel 1930 visita lo studio di Mondrian.

È questo il momento in cui cambia tutto. Con le parole di Calder: «It was like the baby being slapped to make its

lungs start working». Fa un’osservazione all’artista olandese: non sarebbe interessato a far muovere queste opere?

Mondrian ci rimane un attimo e poi risponde che no, insomma, proprio no. Ci penserà Calder, allora, per tutto il

resto della sua vita.

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Dopo vari studi giunge alla realizzazione di mobile grandissimi, spesso giganteschi, fatti di forme di metallo dipinte

tenute assieme da fili di metallo e attaccati al soffitto, sospesi sopra i visitatori, che magari hanno incorporati dei

gong in modo che col vento suonino, che hanno nomi bellissimi come Arc of Petals.

.

Con queste opere sospese e con quelle a terra (chiamati stabile), Calder ricomincia a confrontarsi con l’idea della

scultura come oggetto che fa parte di uno spazio. Ed è anche per questa casualità dei movimenti che molti dei suoi

mobile hanno nomi che richiamano cose leggere che cadono e volteggiano, come i petali, appunto, o la neve, o le

foglie. Tutto questo converge in una direzione più grande: quella del cosmo − e non è così difficile capire perché.

Nasce così la serie Constellations, ispirata alle Constelaciones di Joan Mirò.

Quando A Universe fu esposto per la prima volta al MoMA di New York, Albert Einstein rimase fermo quaranta

minuti (o almeno così hanno raccontato a Calder) aspettando che il meccanismo compisse tutti e novanta i giri prima

di ricominciare daccapo.

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La produzione di stabile e la scelta delle grandi dimensioni portano Calder anche a sperimentare sempre più con le

opere monumentali, che chiamava agrandissements, in particolare a partire dagli anni Cinquanta: tra cui anche lavori

per l’UNESCO (The Spiral, 1958),per l’Aztec Stadium di Città del Messico (El Sol Rojo, 1968), per la città di Grand

Rapids in Michigan (La Grande Vitesse, 1969) o per Chicago, su commissione degli USA stessi (Flamingo, 1974).

Parallelamente a tutto questo, Calder continua a portare avanti la pittura, che aveva approfondito ai tempi dell’Art

Students League.

L’immagine di Alexander Calder che tante volte viene restituita, quella di un bambino che si diverte coi colori mentre

confeziona cose fragili che vanno bene giusto come arredamento, non potrebbe essere più lontana dalla realtà. Si

tratta di un ricercatore, di un artigiano, di un osservatore, di un ingegnere, che ha attraversato il secolo più

innovativo e trasformista per quanto riguarda l’arte continuando instancabilmente a cercare, con i propri mezzi, di

rimanervi in equilibrio − nel senso bello della cosa.

La sua arte è stata un prendere le mosse da una tradizione di materiali forti come la pietra, il bronzo e il legno e non

sceglierne nemmeno uno: piuttosto, cercare continuamente i contorni delle cose e non riprodurne la massa, non il

modo in cui occupano lo spazio ma come piuttosto lo delimitano e lo disegnano. Voleva consentire alle figure di

essere trasparenti.