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analisi mounieriana del pudore è da collocarsi nell’ambito del particolare contesto della cultura francese degli anni che vanno dal 1930 al 1950, all’interno della quale – anche per le sollecitazioni che provenivano dalla vicina cultura di lingua tedesca – il tema venne largamente dibattuto. Del resto già nella Francia del Settecento il problema era stato posto, aprendo la via alle successive analisi dell’antropologia culturale. L’occasione immediata della rinnovata attenzione al tema dal pudore fu tuttavia rappresentata dalla rapida diffusione anche in Francia dell’opera di Max Scheler, resa ben presto accessibile grazie ad un insieme di traduzioni e alla quale Mounier fu introdotto dall’amico Paul-Louis Landsberg, che di Scheler era stato allievo diretto e che – emigrato in Francia per la sua condizione di ebreo – venne assoggettato ad una morte precoce nei campi di sterminio nazisti. Quasi negli stessi anni – e non casualmente, ma in relazione alla crisi di quel positivismo che aveva largamente dominato la Francia dell’Ottocento e del primo Novecento – alla diffusione del pensiero scheleriano si accompagnava l’avvio della ricca stagione dello spiritualismo, aperta da quel Maurice Blondel che nelle pagine dell’Action aveva anche offerto una ricca trattazione del tema dell’amore, del resto strettamente connesso con quello del pudore. Di questa nuova e ricca stagione filosofica dei Maritain e dei Marcel, dei Rougemont e dei Guitton, anche Mounier è parte, con una sua peculiare originalità. Di questa sorta di “filosofia dell’amore”, nella quale pienamente si inserisce Mounier, è impossibile dare conto in questa sede; ma tenere presente questo contesto è di fondamentale importanza per meglio cogliere le matrici culturali ed insieme gli originali sviluppi della concezione mounieriana del pudore. Non va peraltro dimenticata – fra le correnti filosofiche non riconducibili al pensiero cristiano – la serrata critica al sentimento del pudore portata avanti da alcune componenti dell’esistenzialismo, e in particolare dal Sartre de L’Etre et le Néant che anzi rappresenta per Mounier, seppure in negativo, una sorta di interlocutore privilegiato, come emerge in particolare dalle pagine della sua Introduction aux existentialismes. Accessibile a Mounier soltanto nel 1944 (quando il Traité du caractère era già stato fondamentalmente steso), il volume sartriano, nel quale ampio spazio è dedicato al tema del pudore (visto peraltro soprattutto in negativo, come honte e cioè come “vergogna”), rappresenterà, negli scritti degli anni successivi al Traité un essenziale referente, seppure in prospettiva polemica, dato che nella visione sartriana la corporeità («il corpo concreto che io sono») è costantemente assoggettata al rischio della espropriazione, e dunque di una vera e propria alienazione, da parte dell’altro, attraverso uno strumento – lo sguardo – che è di per se stesso opaco e distruttivo: lo sguardo svuota l’altro del suo essere profondo e lo riduce a chi lo guarda. Nasce di qui la honte vista come una sorta di oscura nostalgia di un essere profondo espropriato dal fagocitante sguardo L dell’altro. In qualche modo – secondo Sartre – attraverso lo sguardo l’altro «possiede un segreto, il segreto di ciò che io sono». Di qui, nella prospettiva sartriana, la incomunicabilità fra le persone. Non esiste un vero e proprio rapporto io-tu che non sia di reciproca spogliazione: l’amore è dunque un’illusione e si riduce all’incontro fra due corpi; non è l’incontro fra due libertà ma fra due asservimenti. Alla fine l’amore è «senza reciprocità». In tal modo, la honte sostituisce il pudore: è a questo svuotamento del senso del pudore che Mounier reagirà. Essenziale punto di riferimento per una ricostruzione della visione mounieriana del pudore sono le pagine del vasto Traité du caractère, che avrebbe dovuto costituire il punto di avvio di una riflessione di insieme sulla fenomenologia della persona: progetto accantonato dapprima per l’urgere, dopo la liberazione della Francia, dei pressanti problemi connessi con la ripresa di Esprit, la rivista alla quale Mounier aveva deciso di consacrare le migliori energie intellettuali, poi drammaticamente frustrato dalla morte precoce (1950). Pur con tutti i limiti derivanti dal fatto che l’opera era stata redatta nell’esilio del villaggio di Dieulefit, ove Mounier si era rifugiato dopo l’arresto e la prigionia subiti a Lione, il Traité può essere considerato una vera e propria “architettura della persona” nelle sue varie modalità espressive, a partire dell’inscindibile connessione tra personalità e corporeità. Appunto per questo, l’opera rappresenta forse il nucleo filosofico originario del personalismo di Mounier, rispetto al quale la matura e conclusiva opera del 1949, Le Personnalisme, può essere considerata una ripresa e una puntualizzazione. Nel Trattato il tema del pudore è affrontato nel contesto generale della riflessione sulle categorie, non opposte ma complementari, di corporeità e di intimità: il pudore è in qualche modo il punto di congiunzione fra l’una e l’altra, perché da un lato esso deve misurarsi con la concretezza della struttura corporea, dall’altro evoca ciò che a questa struttura non può mai essere compiutamente ricondotto, e cioè la segreta sfera della vita personale. osì il pudore rappresenta una sorta di ponte fra esteriorità ed interiorità. Si situano in questa prospettiva alcune specifiche riflessioni sul senso del pudore. Dopo avere sottolineato la ricorrente tensione della persona tra la spinta alla socialità e l’esigenza del ripiegamento su se stessa, Mounier definisce il pudore come un “arretramento” che tuttavia non è una resa né un puro e semplice “respingimento” dell’altro: se infatti il pudore esprime comunque una presa di distanza, non per questo esclude l’altro; la persona pretende soltanto, dall’altro, di non essere risolta nella sua pura corporeità: essa va al di là. In questa luce, il pudore appare l’elemento rivelatore della trascendenza della persona: non nel senso di una Trascendenza che sta al di là della realtà quotidiana, ma come segnale dell’irriducibilità della persona ad essere C compiutamente posseduta da un’altra, attraverso un toccamento o uno sguardo. Il pudore è, in questo senso, un «segnale dell’incomunicabilità», indica la soglia oltre la quale né lo sguardo né il contatto corporeo possono procedere. Il pudore è ciò che consente alla persona di mostrare i limiti dello sguardo e dello stesso incontro corporeo, perché, rivelando un al di là della persona, indica al contempo la sua trascendenza. Il pudore sta ad indicare, sotto questo aspetto, una duplice trascendenza. Non soltanto dinanzi all’“altro”, ma «di fronte al Trascendente che è in esso». «Il pudore o la vergogna morale – nota ancora Mounier – esprimono [il fatto] che tra la mia natura corporale o sociale oggettivata e la mia esistenza non c’è identità». La vergogna (la honte) non riguarda tanto il proprio essere corporeo disvelato all’altro, ma il fatto di non essere che questo, e dunque di essere ridotto a AGORÀ DOMENICA DOMENICA 17 MARZO 2013 3 pura corporeità, e ciò perché l’uomo è infinitamente di più di ciò che può essere «assoggettato allo sguardo dell’altro». Il pudore assume dunque un significato in qualche modo fondativo della persona: «L’uomo potrebbe definirsi come un essere capace di vergogna. Ho vergogna, dunque esisto, nel senso pieno della parola; esisto come un essere trascendente, fatto per svincolarsi perpetuamente da sè, dalle sue passioni, dalle sue azioni». Così, mentre per Sartre ogni incontro fra gli uomini porta all’alienazione, per Mounier resta lo spazio per un’autentica comunicazione interpersonale, a condizione che essa non pretenda di cogliere la totalità della persona. Nella prospettiva dell’incontro con l’altro, il pudore indica la soglia che non può essere valicata nemmeno nella più intensa intimità: nell’altro vi è sempre un “di più”. Il pudore è l’annuncio che vi è un nucleo originario della persona che è al di là della corporeità. Dell’intimità, elemento costitutivo della persona, il pudore è il custode: esso mantiene la comunicazione interpersonale e lo stesso intenso rapporto io-tu nei suoi limiti, salvaguardando un’intima zona di rispetto. Così «il pudore è il sentimento che la persona ha di non essere insidiata nel suo essere da chi scambierebbe la sua esistenza manifesta per la sua esistenza totale». In questa prospettiva il pudore non è un di meno ma un di più, non è povertà ma ricchezza della relazione: esso testimonia che la persona non può essere colta nelle sue profondità se si è incapaci di andare oltre la parola e lo sguardo: «io sono infinitamente più del mio corpo». È dunque questo, in sintesi, il nesso profondo che intercorre fra persona e pudore: vi è nella comunicazione e nella stessa ricerca dell’intimità una soglia che non può essere varcata, il segnale di una “riserva” alla quale la sola persona può attingere. Il sentimento del pudore, alla fine, è dunque il segnale di una “eccedenza”. Il pornografo, il libertino, l’esibizionista coltivano l’illusione del compiuto possesso e del totale disvelamento dell’altro, ma in realtà l’apparente completo “disvelamento” del corpo non è in alcun modo una “rivelazione” dell’essere profondo dell’altro. egnale di questa “eccedenza”, il pudore è un invito ad andare oltre la pura corporeità e insieme la denunzia di ogni “svelamento” che non sia segno di totale abbandono ad un’altra persona (e non semplicemente ad un’altra corporeità). Solo questa capacità di “andare oltre” crea le premesse di un’autentica intimità, che potrà comportare anche il compiuto svelamento del corpo dell’altro (e segnerà dunque, per questo aspetto, la fine del pudore sessuale), ma che dovrà sempre misurarsi con la “riserva” che sempre accompagna la categoria stessa di persona, e cioè la salvaguardia di una sfera di intimità nella quale nemmeno l’amore più denso e più puro può entrare. Emblematico al riguardo, per il credente, il rapporto con l’Altro che è Dio, che potrà essere mediato e condiviso ma mai sostituito dall’altro. Il pudore, alla fine, non è tutto: l’“eccedenza” di cui esso è il segnale allude da ultimo al primato dell’amore, nella sua forma tanto terrena quanto trascendente, grazie al quale il pudore è inverato e sublimato, piuttosto che negato; allora, e solo allora, l’io si abbandona ad un tu. Non si dà amore autentico al quale il pudore non prepari la strada, né pudore autentico al quale l’amore non fornisca il definitivo suggello. È in questo senso che – alludendo tanto all’amore umano quanto a quello divino – Simone Weil, sul finire della vita, ha potuto scrivere che «l’amore non può essere disgiunto dal pudore». Qui, e soltanto qui, il pudore si colloca al suo vero livello, come segno della dignità e della irripetibilità della persona, della quale esso è il geloso custode, quasi come “penultima” parola, preludio all’ultima e definitiva Parola. Ma ancora una volta, dietro la parola sta il silenzio. © RIPRODUZIONE RISERVATA S «Nell’ottica sartriana, l’incomunicabilità fra le persone porta a una reciproca spogliazione: l’amore non è l’incontro fra due libertà, ma fra corpi tesi all’asservimento dell’uno all’altro» Una pagina poco nota del padre del «personalismo» cristiano. Con Max Scheler, Jacques Maritain e Jean Guitton, anche il fondatore di “Esprit” rivaluta una virtù che gli esistenzialisti tendevano ad interpretare solo in negativo come “vergogna”, anziché come un frutto dell’amore IDEE L’EREDITÀ E LE PROSPETTIVE DI UN PENSIERO CHE UNISCE PERSONA E COMUNITÀ iorgio Campanini è fra i maggiori conoscitori del pensiero di Emmanuel Mounier e del personalismo. La personalità di Mounier (1905-1950) è ormai considerata di prima grandezza nella storia civile e religiosa del Novecento, sia per l’apporto teorico offerto al movimento personalista, sia per le forti sollecitazioni che dal suo pensiero religioso sono venute al movimento di idee che ha preparato il Concilio Vaticano II. Ora Campanini pubblica dalle edizioni Studium il volume Mounier. Eredità e prospettive (pagine 298, euro 24). Il libro è il distillato di una pluridecennale ricerca e mette a fuoco alcuni degli aspetti centrali del pensiero mounieriano, con particolare riferimento al suo progetto di una «società personalista e comunitaria» che ponga al suo centro l’uomo e l’umano, contro il rischio ricorrente della deriva tecnocratica e consumistica di un Occidente troppo spesso dimentico delle sue radici. Dal libro anticipiamo alcuni brani che affrontano la questione del pudore nel pensiero di Mounier, come disposizione interiore che ha anche una rilevanza nell’agire sociale e politico delle persone. © RIPRODUZIONE RISERVATA G «Non povertà ma ricchezza della relazione: il pudore testimonia che l’uomo non può essere colto in profondità se non si va oltre la parola e lo sguardo. Vi è una soglia segreta che è solo della persona» Mounier e il pudore che mancò a Sartre di Giorgio Campanini «LA PUDICIZIA VELATA», STATUA RAFFIGURANTE CORNELIA ANTONIA, FINE DEL II SECOLO A.C., MUSEO ARCHEOLOGICO DI ISTANBUL (FOTO MONDADORI) JEAN-PAUL SARTRE EMMANUEL MOUNIER

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analisi mounieriana del pudore èda collocarsi nell’ambito delparticolare contesto della culturafrancese degli anni che vanno dal

1930 al 1950, all’interno della quale – ancheper le sollecitazioni che provenivano dallavicina cultura di lingua tedesca – il temavenne largamente dibattuto. Del resto giànella Francia del Settecento il problema erastato posto, aprendo la via alle successiveanalisi dell’antropologia culturale.L’occasione immediata della rinnovataattenzione al tema dal pudore fu tuttaviarappresentata dalla rapida diffusione anchein Francia dell’opera di Max Scheler, resaben presto accessibile grazie ad un insiemedi traduzioni e alla quale Mounier fuintrodotto dall’amico Paul-Louis Landsberg,che di Scheler era stato allievo diretto e che– emigrato in Francia per la sua condizionedi ebreo – venne assoggettato ad una morteprecoce nei campi di sterminio nazisti.Quasi negli stessi anni – e non casualmente,ma in relazione alla crisi di quel positivismoche aveva largamente dominato la Franciadell’Ottocento e del primo Novecento – alladiffusione del pensiero scheleriano siaccompagnava l’avvio della ricca stagionedello spiritualismo, aperta da quel MauriceBlondel che nelle pagine dell’Action avevaanche offerto una ricca trattazione del temadell’amore, del resto strettamente connessocon quello del pudore. Di questa nuova ericca stagione filosofica dei Maritain e deiMarcel, dei Rougemont e dei Guitton, ancheMounier è parte, con una sua peculiareoriginalità. Di questa sorta di “filosofiadell’amore”, nella quale pienamente siinserisce Mounier, è impossibile dare contoin questa sede; ma tenere presente questocontesto è di fondamentale importanza permeglio cogliere le matrici culturali edinsieme gli originali sviluppi dellaconcezione mounieriana del pudore. Non va

peraltro dimenticata – fra le correntifilosofiche non riconducibili al pensierocristiano – la serrata critica al sentimentodel pudore portata avanti da alcunecomponenti dell’esistenzialismo, e inparticolare dal Sartre de L’Etre et le Néantche anzi rappresenta per Mounier, seppurein negativo, una sorta di interlocutoreprivilegiato, come emerge in particolaredalle pagine della sua Introduction auxexistentialismes. Accessibile a Mouniersoltanto nel 1944 (quando il Traité ducaractère era già stato fondamentalmentesteso), il volume sartriano, nel quale ampiospazio è dedicato al tema del pudore (vistoperaltro soprattutto in negativo, comehonte e cioè come “vergogna”),rappresenterà, negli scritti degli annisuccessivi al Traité un essenziale referente,seppure in prospettiva polemica, dato chenella visione sartriana la corporeità («ilcorpo concreto che io sono») ècostantemente assoggettata al rischio dellaespropriazione, e dunque di una vera epropria alienazione, da parte dell’altro,attraverso uno strumento – lo sguardo – cheè di per se stesso opaco e distruttivo: losguardo svuota l’altro del suo essereprofondo e lo riduce a chi lo guarda. Nascedi qui la honte vista come una sorta dioscura nostalgia di un essere profondoespropriato dal fagocitante sguardo

’Ldell’altro. In qualche modo – secondo Sartre– attraverso lo sguardo l’altro «possiede unsegreto, il segreto di ciò che io sono». Diqui, nella prospettiva sartriana, laincomunicabilità fra le persone. Non esisteun vero e proprio rapporto io-tu che non siadi reciproca spogliazione: l’amore è dunqueun’illusione e si riduce all’incontro fra duecorpi; non è l’incontro fra duelibertà ma fra due asservimenti.Alla fine l’amore è «senzareciprocità». In tal modo, lahonte sostituisce il pudore: è aquesto svuotamento del sensodel pudore che Mounier reagirà.Essenziale punto di riferimentoper una ricostruzione dellavisione mounieriana del pudoresono le pagine del vasto Traitédu caractère, che avrebbe dovutocostituire il punto di avvio diuna riflessione di insieme sullafenomenologia della persona:progetto accantonato dapprimaper l’urgere, dopo la liberazionedella Francia, dei pressantiproblemi connessi con la ripresadi Esprit, la rivista alla qualeMounier aveva deciso diconsacrare le migliori energieintellettuali, poidrammaticamente frustrato dallamorte precoce (1950). Pur contutti i limiti derivanti dal fattoche l’opera era stata redattanell’esilio del villaggio di Dieulefit, oveMounier si era rifugiato dopo l’arresto e laprigionia subiti a Lione, il Traité può essereconsiderato una vera e propria “architetturadella persona” nelle sue varie modalitàespressive, a partire dell’inscindibileconnessione tra personalità e corporeità.Appunto per questo, l’opera rappresentaforse il nucleo filosofico originario delpersonalismo di Mounier, rispetto al quale lamatura e conclusiva opera del 1949, LePersonnalisme, può essere considerata unaripresa e una puntualizzazione.Nel Trattato il tema del pudore è affrontato

nel contesto generale della riflessione sullecategorie, non opposte ma complementari,di corporeità e di intimità: il pudore è inqualche modo il punto di congiunzione fral’una e l’altra, perché da un lato esso devemisurarsi con la concretezza della strutturacorporea, dall’altro evoca ciò che a questastruttura non può mai esserecompiutamente ricondotto, e cioè la segretasfera della vita personale.

osì il pudore rappresenta una sorta diponte fra esteriorità ed interiorità. Sisituano in questa prospettiva alcunespecifiche riflessioni sul senso del

pudore. Dopo avere sottolineato laricorrente tensione della persona tra laspinta alla socialità e l’esigenza delripiegamento su se stessa, Mounierdefinisce il pudore come un “arretramento”che tuttavia non è una resa né un puro esemplice “respingimento” dell’altro: seinfatti il pudore esprime comunque unapresa di distanza, non per questo escludel’altro; la persona pretende soltanto,dall’altro, di non essere risolta nella suapura corporeità: essa va al di là. In questaluce, il pudore appare l’elemento rivelatoredella trascendenza della persona: non nelsenso di una Trascendenza che sta al di làdella realtà quotidiana, ma come segnaledell’irriducibilità della persona ad essere

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compiutamente posseduta da un’altra,attraverso un toccamento o uno sguardo. Ilpudore è, in questo senso, un «segnaledell’incomunicabilità», indica la soglia oltrela quale né lo sguardo né il contattocorporeo possono procedere. Il pudore è ciòche consente alla persona di mostrare ilimiti dello sguardo e dello stesso incontro

corporeo, perché, rivelando un al di là dellapersona, indica al contempo la suatrascendenza. Il pudore sta ad indicare,sotto questo aspetto, una duplicetrascendenza. Non soltanto dinanziall’“altro”, ma «di fronte al Trascendente cheè in esso». «Il pudore o la vergogna morale– nota ancora Mounier – esprimono [ilfatto] che tra la mia natura corporale osociale oggettivata e la mia esistenza nonc’è identità». La vergogna (la honte) nonriguarda tanto il proprio essere corporeodisvelato all’altro, ma il fatto di non essereche questo, e dunque di essere ridotto a

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pura corporeità, e ciò perché l’uomo èinfinitamente di più di ciò che può essere«assoggettato allo sguardo dell’altro». Ilpudore assume dunque un significato inqualche modo fondativo della persona:«L’uomo potrebbe definirsi come un esserecapace di vergogna. Ho vergogna, dunqueesisto, nel senso pieno della parola; esisto

come un essere trascendente,fatto per svincolarsiperpetuamente da sè, dalle suepassioni, dalle sue azioni». Così,mentre per Sartre ogni incontrofra gli uomini portaall’alienazione, per Mounier restalo spazio per un’autenticacomunicazione interpersonale, acondizione che essa nonpretenda di cogliere la totalitàdella persona. Nella prospettivadell’incontro con l’altro, il pudoreindica la soglia che non puòessere valicata nemmeno nellapiù intensa intimità: nell’altro viè sempre un “di più”. Il pudore èl’annuncio che vi è un nucleooriginario della persona che è aldi là della corporeità.Dell’intimità, elementocostitutivo della persona, ilpudore è il custode: essomantiene la comunicazioneinterpersonale e lo stesso intensorapporto io-tu nei suoi limiti,salvaguardando un’intima zona di

rispetto. Così «il pudore è il sentimento chela persona ha di non essere insidiata nel suoessere da chi scambierebbe la sua esistenzamanifesta per la sua esistenza totale». Inquesta prospettiva il pudore non è un dimeno ma un di più, non è povertà maricchezza della relazione: esso testimoniache la persona non può essere colta nellesue profondità se si è incapaci di andareoltre la parola e losguardo: «iosono

infinitamente più del mio corpo». È dunquequesto, in sintesi, il nesso profondo cheintercorre fra persona e pudore: vi è nellacomunicazione e nella stessa ricercadell’intimità una soglia che non può esserevarcata, il segnale di una “riserva” allaquale la sola persona può attingere. Ilsentimento del pudore, alla fine, è dunque ilsegnale di una “eccedenza”. Il pornografo, illibertino, l’esibizionista coltivano l’illusionedel compiuto possesso e del totaledisvelamento dell’altro, ma in realtàl’apparente completo “disvelamento” delcorpo non è in alcun modo una“rivelazione” dell’essere profondo dell’altro.

egnale di questa “eccedenza”, ilpudore è un invito ad andare oltre lapura corporeità e insieme la denunziadi ogni “svelamento” che non sia

segno di totale abbandono ad un’altrapersona (e non semplicemente ad un’altracorporeità). Solo questa capacità di “andareoltre” crea le premesse di un’autenticaintimità, che potrà comportare anche ilcompiuto svelamento del corpo dell’altro (esegnerà dunque, per questo aspetto, la finedel pudore sessuale), ma che dovrà sempremisurarsi con la “riserva” che sempreaccompagna la categoria stessa di persona,e cioè la salvaguardia di una sfera diintimità nella quale nemmeno l’amore piùdenso e più puro può entrare. Emblematicoal riguardo, per il credente, il rapporto conl’Altro che è Dio, che potrà essere mediato econdiviso ma mai sostituito dall’altro. Ilpudore, alla fine, non è tutto: l’“eccedenza”di cui esso è il segnale allude da ultimo alprimato dell’amore, nella sua forma tantoterrena quanto trascendente, grazie al quale

il pudore è inverato e sublimato,piuttosto che negato; allora, e solo

allora, l’io si abbandona ad untu. Non si dà amore

autentico al quale ilpudore non prepari la

strada, né pudoreautentico al qualel’amore non forniscail definitivosuggello. È inquesto senso che –alludendo tantoall’amore umanoquanto a quellodivino – SimoneWeil, sul finiredella vita, hapotuto scrivere che«l’amore non puòessere disgiunto dalpudore». Qui, esoltanto qui, il pudoresi colloca al suo verolivello, come segnodella dignità e dellairripetibilità dellapersona, della quale essoè il geloso custode, quasicome “penultima” parola,preludio all’ultima edefinitiva Parola. Ma

ancora una volta,dietro la parola sta il

silenzio.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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«Nell’ottica sartriana,l’incomunicabilità fra le persone porta a unareciproca spogliazione:l’amore non è l’incontrofra due libertà, ma fracorpi tesi all’asservimentodell’uno all’altro»

Una pagina poco nota del padre del «personalismo» cristiano. Con Max Scheler, Jacques Maritain

e Jean Guitton, anche il fondatoredi “Esprit” rivaluta una virtùche gli esistenzialisti tendevano

ad interpretare solo in negativocome “vergogna”,anziché come un frutto dell’amore

IDEE

L’EREDITÀ E LE PROSPETTIVE DI UN PENSIERO CHE UNISCE PERSONA E COMUNITÀ

iorgio Campanini è fra i maggiori conoscitori del pensiero di Emmanuel Mounier edel personalismo. La personalità di Mounier (1905-1950) è ormai considerata diprima grandezza nella storia civile e religiosa del Novecento, sia per l’apportoteorico offerto al movimento personalista, sia per le forti sollecitazioni che dal suo

pensiero religioso sono venute al movimento di idee che ha preparato il Concilio VaticanoII. Ora Campanini pubblica dalle edizioni Studium il volume Mounier. Eredità e prospettive(pagine 298, euro 24). Il libro è il distillato di una pluridecennale ricerca e mette a fuocoalcuni degli aspetti centrali del pensiero mounieriano, con particolare riferimento al suoprogetto di una «società personalista e comunitaria» che ponga al suo centro l’uomo el’umano, contro il rischio ricorrente della deriva tecnocratica e consumistica di unOccidente troppo spesso dimentico delle sue radici. Dal libro anticipiamo alcuni brani cheaffrontano la questione del pudore nel pensiero di Mounier, come disposizione interioreche ha anche una rilevanza nell’agire sociale e politico delle persone.

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«Non povertà ma ricchezzadella relazione: il pudoretestimonia che l’uomonon può essere coltoin profondità se non si vaoltre la parola e lo sguardo.Vi è una soglia segretache è solo della persona»

Mouniere il pudore che mancò a Sartre

di Giorgio Campanini

«LA PUDICIZIA VELATA», STATUA RAFFIGURANTE CORNELIA ANTONIA, FINE DEL II SECOLO A.C., MUSEO ARCHEOLOGICO DI ISTANBUL (FOTO MONDADORI)

JEAN-PAUL SARTRE

EMMANUEL MOUNIER

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