Percorsi di riflessione Prof. Giorgio Campanini FONDAZIONE/Campanini - relazione.pdf · impegno...

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1 Per una nuova primavera del laicato Percorsi di riflessione Prof. Giorgio Campanini Villa Elena, Affi (VR)

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Per una nuova primaveradel laicato

Percorsi di riflessione

Prof. Giorgio Campanini

Villa Elena, Affi (VR)

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La Fondazione Elena da Persico,ispirandosi particolarmente al pensiero diElena da Persico (1869 –1948), giornalistae collaboratrice di Giuseppe Tonioloin ambito sociale, ha, tra i suoi scopi,“la promozione di iniziative sociali e culturaliper una crescita della società secondo i valoridella solidarietà cristiana”

Con piacere inviamo la relazionedel prof. Giorgio Campanini,docente di Storia delle Dottrinepolitiche presso l’Universitàdi Parma, a quanti hannopartecipato all’iniziativa dellaFondazione e ai simpatizzantidella stessa.

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PER UNA NUOVA PRIMAVERA DELLAICATO

Affi, 11 marzo 2006

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Partecipazione e responsabilità sociale dei laici cristiani,nella società di oggi.

Premessa

A quarant'anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II èvenuto il momento di tracciare, o almeno di tentare di tracciare,un bilancio della presenza e del ruolo dei laici nella Chiesa enel mondo. Che cosa è cambiato, che cosa è rimastosostanzialmente come prima?

Non è facile rispondere a questo interrogativo, anche perchéil discorso dovrebbe essere condotto a diversi livelli inriferimento alla liturgia, alla catechesi, alla partecipazione agliorganismi consultivi, alla presenza nel sociale e via dicendo.Nella prospettiva di Verona e in riferimento al quinto ambito diimpegno proposto ai credenti nel documento preparatorio,questo tentativo di bilancio si concentrerà particolarmente sudue punti:

1) le ragioni del parziale arretramento del laicato cattolicoitaliano rispetto all'impegno sociale e politico e dell’emergeredi una sorta di "nuovo intimismo" che sta caratterizzando nonpoche forme di presenza laicale e la stessa spiritualità di taluniassociazioni e movimenti (comprendere queste ragioni èessenziale per evitare di rivolgere generici ed inascoltati appellialla partecipazione);

2) le basi su cui costruire una nuova e più responsabilepresenza dei laici nella società di oggi per creare le premesse diuna "nuova primavera", dopo il lungo inverno, che hacaratterizzato la presenza nel sociale dei cattolici italiani da

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circa un quindicennio a questa parte, a partire, cioè, dalla crisidella Democrazia Cristiana.

Saranno, queste, le due parti della relazione.

Uno sguardo alla storia

Occorre riconoscere che la dialettica tra “intimismo” e“militanza", fra tensione escatologica e impegno nella storia, èantica quanto lo stesso Cristianesimo. Tuttavia nell' Italia diquesti sessant'anni, cioè negli anni che ci separano dalla finedella seconda guerra mondiale ad oggi, questa dialettica haassunto particolari modalità che cercheremo di analizzare.

Il rapporto fra cattolici e società era stato caratterizzato, giàa partire dalla rivoluzione francese (ma in Italia con particolareradicalità dopo il 1870), da una accentuata separazione fracredenti e società, in relazione alla irrisolta “questione romana”ma, ancor più, dall'irrisolto rapporto fra Chiesa e modernità. Néil fascismo aveva posto fine a questa separatezza dato che ilConcordato del 1929 riconosceva il ruolo e la presenza dellaChiesa, ma limitava la sua sfera di azione ad un ambito"spirituale" ben definito e ben delimitato, che non avrebbedovuto mai estendersi alla sfera civile. La crisi del 1931 inrelazione all'educazione della gioventù e specificatamente alruolo dell'Azione Cattolica in questo campo può essereconsiderata esemplare; né il compromesso che intervenne dopola crisi mutò la sostanza dei rapporti fra Chiesa e fascismo:sotto il profilo della presenza nel sociale, l'unico spazioconcesso alla Chiesa era quello dell' "intimismo".

Soltanto alla caduta del fascismo, cioè a partire dal 1944-45,si aprono ai cattolici italiani spazi di effettiva presenza nellasocietà, quali non erano stati consentiti né all'epoca dell'Operadei Congressi, né nella breve esperienza del Partito popolare diSturzo, né durante il ventennio fascista. Finiva la lunga

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stagione dell'”intimismo” e iniziava la nuova stagione della“militanza”. I cattolici entravano a vele spiegate nell'arenapubblica e ben presto acquisivano posti di primariaresponsabilità grazie alle capacità dimostrate da una classedirigente che aveva saputo integrare l'antico nucleo provenientedal Partito popolare (De Gasperi in primis) con nuovi apporti diuomini che si erano formati nel periodo fascista (Fanfani e LaPira, Dossetti e Vanoni, per limitarsi ad alcuni nomi). Sostenutida un pontificato fortemente impegnato sul piano sociale, comequello di Pio XII, e potendosi avvalere dell'apporto diun'Azione Cattolica capillarmente presente in tutto il territorionazionale, nonché di un robusto insieme di organizzazionicattoliche "collaterali", la Democrazia Cristiana conobbe allorala sua migliore stagione ed offrì un importante contributo allaricostruzione e, insieme, alla modernizzazione del Paese.

Quelli che in modo alquanto spregiativo furono definiti glianni della “occupazione del potere” furono in realtà gli anni incui prese corpo il sogno (o forse l'illusione) di una società cri-stiana nelle diverse, ma alla fine convergenti declinazioni chedi questa categoria furono fatte negli anni che intercorrono traUmanesimo integrale di Jacques Maritain (1936) el’Architettura cristiana dello Stato di Giorgio la Pira (1954). Di"nuova cristianità" aveva parlato appunto Maritain; di "Societàad ispirazione cristiana" gli intellettuali della sinistra detta poi"dossettiana”; di "civiltà cristiana" Pio XII. Vi era qualchediversità di approccio alla base di questa diversa terminologia,ma lo sbocco era sostanzialmente unitario: il grande progettodegli anni '40 e '50 fu, per i cattolici italiani, quello dellasocietà cristiana. Per il raggiungimento di questo ideale siimpegnarono i cattolici migliori, in vista di esso misero incampo la loro autorevolezza ed il loro prestigio le gerarchieecclesiastiche e, in prima linea, Pio XII: per esso operaronomilioni di umili militanti.

Qual è stato, alla fine, l'esito di questo immane sforzo?

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Dopo il malinconico tramonto della Democrazia Cristianauna storiografia impietosa e spesso partigiana ha messosoprattutto in luce i limiti di questa esperienza. Ma un obiettivobilancio storico non può rinunziare a mettere in luce anche leimportanti acquisizioni di questa stagione: l'elaborazione,grazie al determinante apporto dei cattolici, di una Cartacostituzionale che nel complesso ha una profonda ispirazionecristiana e rappresenta ancora oggi un alto ed irrinunciabilepunto di riferimento; il rapido superamento delle ferite dellaseconda guerra mondiale; il consolidamento della democrazia;il graduale assorbimento nel regime democratico di forze,prima fra tutte il potente Partito comunista di allora, che alungo gli erano rimaste estranee; l'azione per il superamento,con l’avvio dell’Unione europea, di antichi nazionalismi;l'avvio di una stagione di sviluppo economico che non ha avutoeguali nella storia d'Italia e che, con ogni probabilità, si riveleràirripetibile.

Nonostante tutte queste importanti acquisizioni, tuttavia, la“società cristiana” non è stata realizzata. Sul piano legislativosi dovevano registrare mutamenti ritenuti inquietanti(l'introduzione del divorzio prima e la legalizzazionedell'aborto poi, confermate nei referendum popolaririspettivamente del 1974 e del 1981 che rivelavano nel Paeseuna realtà assai lontana da quella che a lungo era stataconsiderata l’"Italia cattolica"); ma preoccupanti apparivanosoprattutto i cambiamenti verificatisi sul piano del costume,della mentalità, dei comportamenti. L'auspicato punto di arrivoera quello della “società cristiana”, ma lo sbocco finale diquesto processo era la società secolare. La crisi di progettualitàed insieme di stili e di comportamenti etici dell'ultima fasedella Democrazia Cristiana metteva in un certo senso la pietratombale sui sogni e sulle speranze di un'intera generazione dicattolici che si era spesa per la costruzione di una nuovasocietà. Ed in effetti il "nuovo" era avanzato: ma rivelava un

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volto profondamente diverso da quello che si sarebbe volutodelineare a partire dagli entusiasmanti messaggi natalizi deglianni di guerra di Pio XII, dalle lotte degli uomini dellaResistenza, dalle dure fatiche di uomini come De Gasperi eVanoni, veri e propri "caduti sul campo" nella dura fatica dellapolitica.

Il "ritorno" del religioso

E’ in questo contesto che si sviluppa e cresce in Italia - neglianni 70 - una sorta di silenzioso rigetto della militanza politicae cresce, nello stesso tempo, una rinnovata domanda religiosa.Proprio e partire dalla constatazione dei limiti dell’uso delpotere politico, sempre più diffusamente ci si domanda allorase il ruolo della politica non sia stato sopravvalutato e se nonsia il caso di ritornare allo spirituale.

Sempre più evidenti si fanno i segni del disagio dei cattoliciitaliani nei riguardi della politica: proprio in ordine al rapportofra Azione Cattolica e Democrazia Cristiana si verificanodolorose crisi; nascono nuovi movimenti; si registra una vera epropria “fuga” di intellettuali rappresentativi dagli scenari dellapolitica. La stessa Conferenza Episcopale italiana, avviandonegli anni ’70 il programma decennale Evangelizzazione esacramenti, mostra, soprattutto attraverso alcuni uominiparticolarmente rappresentativi (sia consentito citare, neltrentennale della morte, almeno il Vescovo Enrico Bartoletti),la decisa volontà di un recupero della sua capacità di annunzio.Il convegno ecclesiale del 1976 su Evangelizzazione ePromozione umana (Roma, 1976) registra il mutamento e cercadi orientarlo in una direzione che non sacrifichi né il primatodell'evangelizzazione né la concreta attenzione all'uomo.

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Aveva scritto una volta Charles Péguy che lo spiritualedorme sempre nella brandina da campo del temporale e ilconvegno del 1976 avrebbe voluto evitare (ma non si può direche abbia pienamente conseguito il suo obiettivo) questadivaricazione e attrezzare i credenti a non separare mai ildiscorso sull'uomo e il discorso su Dio.

In complesso sembra di potere affermare, tuttavia, che ilfilone più consistente del cattolicesimo italiano, a partire daglianni ’80 del Novecento, abbia progressivamente preso ledistanze dalla politica. Si vuole una Chiesa non soltanto superpartes, dopo una lunga stagione di troppo diretticoinvolgimenti, ma anche e soprattutto "spirituale", se nonintimistica. Sempre più forte ed evidente appare ladivaricazione fra una grande maggioranza di credenti legata aduna visione quasi del tutto "spirituale" (o, più propriamente,intimistica) della fede religiosa e una piccola, ma attiva evivace, minoranza che continua a sottolineare la necessitàdell'impegno nella storia.

L'elemento più caratteristico di questa nuova stagione delcattolicesimo italiano è rappresentato dall'emergenza delvolontariato. Agli occhi di molti credenti e soprattutto deigiovani e delle ragazze della nuova generazione il volontariatoappare la via privilegiata per coniugare fra loro la concretaattenzione all’uomo con le sue povertà, i suoi bisogni, le sueproblematiche, e il servizio a Dio. Alla fine, si pensa, sono gliuomini che contano, non le strutture. E’ anche possibileabbandonare le strutture al loro irreversibile declino e spendereinvece le proprie energie, utilizzare le proprie risorse morali emateriali, per un diretto impegno a favore degli uomini, diquelli vicini, che sono fra noi, ma anche di quelli lontani,abbandonati da tutti, ma non dai veri credenti.

A mezza strada fra la tentazione dell'intimismo e il rifiuto diuna diretta militanza politica, il volontariato appare oggi amolti credenti come la felice soluzione mediana che concilia

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fra loro l'esigenza della presenza alla storia e quella dellanecessaria presa di distanza dalla storia, l'impegno nel mondoe il rifiuto della compromissione con il mondo e, alla fine,riesce a coniugare l'amore verso Dio e l'amore verso ilprossimo.

E' su questo sfondo che si è costruita nella sostanza la vitadella Chiesa italiana, soprattutto nella sua diffusa realtà parroc-chiale, negli ultimi vent'anni; e ciò, nonostante i reiteratirichiami giunti sia dai pontefici (e con particolare vigore daGiovanni Paolo II), sia dall'episcopato, a non disertare il campodella politica. I trent'anni che ci separano dal convegnoecclesiale del 1976 segnano, nel complesso, questo progressivoarretramento della comunità cristiana che è in Italiadall’impegno nel sociale; o, se si vuole, il passaggio da unimpegno nel sociale “a tutto campo" ad una presenzaconcentrata prevalentemente, se non esclusivamente, nelsettore del volontariato. Si potrebbe, alla fine leggere la storiadi questo trentennio in termini di spostamento del pendolo, ieritutto orientato dalla parte della politica, oggi decisamentespostato dalla parte di un'esistenza cristiana incentrataprevalentemente sulla vita personale.

Questa tesi meriterebbe di essere adeguatamente motivata,ciò che è impossibile in questa sede. Basterà tuttavia ricordareuna serie di dati e di fatti.

In primo luogo, tutte le indagini di sociologia religiosamettono in evidenza come, dalla maggior parte dei praticanti,la religiosità sia considerata essenzialmente un fatto interiorecon forti connotazioni personali (e talvolta decisamenteindividualistiche), una forma di rapporto diretto con Dio. Leindicazioni della Chiesa in campo etico (e dunque anchenell'ambito dell'etica sociale, soprattutto politica ed economica)vengono in generale considerate irrilevanti e spesso non sononemmeno conosciute.

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In secondo luogo, stanno conoscendo una grande fortuna imovimenti di spiritualità, i gruppi autoreferenziali, i movimentifortemente incentrati sull'auto-realizzazione personale ofinalizzati alla costruzione di piccole comunità caratterizzatedall'intensità dei rapporti interpersonali. Parallelamente,arretrano associazioni e movimenti orientati anche allapresenza nel sociale.

Infine, appaiono in declino, se non in crisi, le varie iniziativelegate alla formazione sociale dei credenti. Le parti "sociali", insenso lato dei catechismi - da quello dei ragazzi a quello degliadulti - risultano sistematicamente sottovalutate (se nonpuramente e semplicemente omesse). Le Scuole di formazionesociale si sono fortemente ridotte come numero e comecapacità di incidenza e limitata appare l'attenzione alleperiodiche, ma ancora troppo saltuarie e insufficientementeorganiche, "Settimane sociali" dei cattolici italiani (pochediocesi le hanno preparate prima e commentate e studiate poi).Si fa strada una nuova “teologia del laicato” che, con la giustapreoccupazione di evitare nuove separatezze all’internodell'unico popolo di Dio e di rivendicare l'impegno per ilmondo che è tipico di tutta la Chiesa, finisce tuttavia perlasciare in ombra una delle specifiche responsabilità dei laici,quella di costruire la città dell'uomo.

E' forse eccessivo parlare di deriva intimistica del catto-licesimo italiano - soprattutto perché non possono esseredimenticate le grandi e fresche risorse impegnate nelvolontariato - ma sembra tuttavia di dovere constatare unadiffusa e persistente disaffezione per la politica. D'altra parte, ilvenir meno di una sufficientemente organica ed autonomapresenza dei cattolici in politica (quando si è dappertutto, inrealtà, sembra, non si è in nessun luogo...) e, nello stessotempo, la memoria degli esiti non esaltanti di questa presenzaoffre sufficienti giustificazioni a questo disimpegno.

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Gioca per altro un insieme di fattori sostanzialmente esternialla comunità cristiana e riconducibili al “clima” generale chel'Italia (e con essa gran parte dell'Occidente) sta oggi vivendo.E' un clima caratterizzato dal venir meno di sicuri punti diriferimento (la “società liquida” di cui parla Bauman), da fortiripiegamenti individualistici e dunque da una marcataautoreferenzialità, dall'assoluta centralità che sta assumendol'auto-realizzazione del singolo rispetto alla "vita buona" dellasocietà. Non stupisce, in questo contesto, che anche lareligiosità venga vissuta in forme sempre più autoreferenziali,quasi come un solitario rapporto dell'uomo con Dio. Alla fine,ma soltanto alla fine, la religione è anche questo: lungo lastrada che porta a Dio dovrebbe esservi anche il camminarecon gli uomini (anche questo è Vangelo), ma la necessità diquesto cammino sembra sfuggire a non pochi cristiani delnostro tempo.

Una "nuova militanza”?

Creare le condizioni di una nuova stagione, se nonpropriamente di "militanza" (perché questa categoriaappartiene probabilmente, in via definitiva, al passato), diattiva presenza dei cattolici nella società italiana non è nésemplice né facile, perché presuppone un mutamento dellacultura nella quale i cristiani, consapevolmente o meno, sonoimmersi.

E' da questa consapevolezza che nasce il Progetto culturaledella Chiesa italiana, ormai in atto da circa un decennio, ed icui passi sono segnati da una grande fatica, soprattutto nelrapporto fra Conferenza Episcopale e chiese locali. Nessunomisconosce, in linea teorica, l'importanza e la rilevanza della

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cultura; ma se si vanno a verificare le concrete scelte di campoche si effettuano nell'utilizzazione del personale ecclesiastico edelle risorse di cui la comunità cristiana dispone, il quadromuta totalmente. Se è forse esagerato affermare cheall'impegno per la promozione di una cultura di ispirazionecristiana restano soltanto le briciole, sarebbe difficile sostenereche, nella concretezza della vita di una chiesa locale o di unaparrocchia, sia questa una reale priorità. Eppure, se la culturamedia dei cattolici italiani continuerà ad essere quella indottada una televisione passivamente accettata e subita senzamediazioni, sarà difficile modificare l'attuale derivaindividualistica.

Investire nella cultura significa operare per il tempo lungomentre urgono alcune scelte pastorali, si impongono scadenzenon rinviabili, mancano gli uomini e le risorse per unaprogettazione di lunga durata. E tuttavia le strategie, ed anchele linee pastorali, del tempo breve, rischiano di non lasciare ilsegno.

Nell'ambito della religiosità in particolare, se essa si coniugaad una cultura di marcata impronta individualistica efortemente autoreferenziale, diventa inevitabile il fenomenoevidenziato dal sociologo contemporaneo Franco Garelli, ecioè quello della "forza della religione” e, insieme, della"debolezza della fede.

La religione, non la fede autentica, può risultare soddisfattaed appagata di un solitario rapporto devozionale con Dio.Quando si passa dalla sfera del sentimentalismo edell'emozionalità, all'esperienza forte dell'amore di Dio, allorala presenza dei fratelli, questo fardello ingombrante dell'“uomoreligioso”, diventa per l'uomo di fede il banco di provadell'autenticità del suo rapporto con Dio. E, a questo punto,anche i problemi della società non possono venire rimossi dagliorizzonti della fede.

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Su questo sfondo, precise sollecitazioni ad una nuova e piùilluminata presenza dei credenti nella società provengono dadue recenti documenti, certo di diversa autorevolezza, ma allafine fra loro convergenti nel delineare un possibile cammino dauna religiosità intimistica ad una fede che sappia assumersi lesue responsabilità di fronte alla storia.

Il primo di questi due testi è il documento preparatorio alConvegno di Verona, che ne porta lo stesso titolo, Testimoni diGesù risorto, speranza del mondo (CEI, 2005). Esorcizzataogni tentazione di abbandonarsi al pessimismo, se non alladisperazione, il documento rinnova ai credenti l'appello adessere uomini e donne di speranza e a portare questa speranzanella storia degli uomini.

Vengono così individuati i diversi "luoghi" di questasperanza e particolarmente quello relativo all'esercizio dellacittadinanza.

Ciò che la religione intimistica dimentica è propriol’essenziale e irriducibile "doppia cittadinanza" del cristiano,già felicemente individuata da uno dei testi più suggestivi delleorigini cristiane, la cosiddetta Lettera a Diogneto ("ogni terrastraniera è la loro patria, ed ogni patria è una terra straniera": v5). Abitare la città come pellegrini e, nello stesso tempo,sentirsi non completamente inseriti in essa. Amare la città esoffrire per la città senza fare di essa un assoluto e sapendo cheil Regno di Dio travalica ogni realtà storica. Abitare, dunque, lasperanza umana nel segno della Speranza cristiana... E' questa"duplice cittadinanza" che troppi credenti, troppi "uominireligiosi" mostrano di avere dimenticato e che dunque occorreriscoprire.

Il documento preparatorio del convegno di Veronasottolinea con forza il legame che intercorre fra speranzacristiana e speranza umana, e dunque fra orientamento allasalvezza ultraterrena e operoso agire nel mondo. “Ladimensione escatologica del Cristianesimo - si osserva fra

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l'altro - non è alienante; ma è il “non ancora” che dà senso edirezione all'opera "già presente"” (n. 11) Essere uomini edonne del proprio tempo significa anche farsi carico della vitadella città: in caso contrario "la testimonianza cristianacorrerebbe il rischio di condannarsi a un'inefficacia pratica" (n.11); e, ancor più, di essere assoggettata ad una radicaledeformazione. In questo senso "contemplazione” e "impegno”sono due facce della stessa medaglia: "Nella stessa esperienzacredente deve essere custodita sia la parola viva di Dio ed igesti sacramentali della fede, sia l’impegno costante pertrasformare il mondo attuale, come anticipazione dellasperanza futura (n. 11).

Di qui la scelta di includere l'ambito della presenza nellaCittà fra i “luoghi” nei quali testimoniare la speranza cristiana(n. 15). Di qui una domanda che già nella sua formulazioneimplica il superamento di ogni visione intimistica delCristianesimo: "Come" (non "se"..) l'impegno civile, nelrispetto della sua specificità sociale e politica, può essere unmodo della testimonianza cristiana?".

Domanda seria, che corrisponde ad un "caso serio" dellacomunità cristiana che è in Italia. L'impegno civile non è unaopzione facoltativa, è una doverosa scelta di campo. Si trattasemmai di esaminare criticamente, all'interno della comunitàcristiana, le forme e le modalità della sua traduzione in terminioperativi. E qui, accanto alla virtù cristiana del discernimento,occorre anche la lezione della storia, per evitare di ripetere nelfuturo alcuni errori del passato.

Nella medesima linea, ed assai più autorevolmente, sicolloca la prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est.Le due parti di cui essa si compone si integrano a vicenda:dalla riflessione su "Dio amore" e sulla sua appassionatatenerezza per l'uomo discende la vocazione della Chiesa adessere “comunità d'amore” a servizio di tutti. In questo senso laChiesa non può né deve “restare ai margini nella lotta per la

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giustizia" (n. 28). L'amore, ivi compreso il servizio della carità,sarà sempre necessario, e di esso dovranno farsi antesignani icristiani attraverso un’operosa presenza al mondo; ma amorevuole significare impegno per la costruzione di strutture giuste(n. 28) ed è appunto questo il compito eminente della politica."Operare per un giusto ordine della società" è compito eresponsabilità diretta dei fedeli laici, chiamati "come cittadinidello Stato... a partecipare in prima persona alla vita pubblica"(n. 29). Ciò non significa l'emarginazione della Chiesa dallavita sociale, perché anzi è sua responsabilità porsi a serviziodegli uomini attraverso le sue organizzazioni caritative; ma, sequesto è il compito proprio e irrinunciabile dellaChiesa-istituzione, incombe sui laici, come Chiesa presente edoperante nella storia, la responsabilità di edificare strutturegiuste poste al servizio degli uomini. L’impegno per formarepersone "giuste" va di pari passo con quello per la realizza-zione di strutture "giuste". In questo senso, "Fede, speranza ecarità vanno insieme" (n. 39).

Nulla di più lontano, dunque, sia da un amore di Dio che siconsumi esclusivamente nell'interiorità della coscienza (salvovocazioni del tutto eccezionali e rimanendo comunque benchiaro che non è questo lo stile di santità autenticamentelaicale), sia da un servizio della carità preoccupatoesclusivamente del soddisfacimento dei bisogni di singoli o digruppi attraverso l'azione di volontariato. Vi è un terzo e nonmeno importante livello, quello della attenzione alle strutture econseguentemente della rimozione delle strutture ingiuste e,insieme, della costruzione di strutture giuste. E', questo, ilgrande compito affidato alla politica.

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Etica e politica

Come costruire strutture giuste, attraverso l'impegnopolitico? Sino a che punto, ed entro quali limiti, la legislazionepuò adeguarsi all'ideale della giustizia?

Sono questi i ricorrenti problemi con i quali deve misurarsichi, da credente, intende operare nell'ambito della politica. E’,questa, la ricorrente tensione che già agli inizi del NovecentoMax Weber indicava come l'inevitabile dialettica fra "eticadella convinzione” (che afferma e proclama i valori, ma chenon si pone il problema della loro concreta traduzione storica)ed "etica della responsabilità" (che viceversa si fa carico direalizzare il bene qui ed ora concretamente possibile).

Il primo approccio è quello del "profeta" e si risolve in una"etica della testimonianza”; il secondo approccio è quellodell'uomo politico che si pone anche il problema del successo(mai, tuttavia, soltanto il problema del successo). Si pone inquesta prospettiva non tanto il problema del "minor male" alquale rassegnarsi quanto quello di “massimo beneconcretamente realizzabile” in un determinato contesto storicoed alla luce dei rapporti di forza che sono il campo naturale el'ineliminabile spazio della politica.

E’ possibile, in casi limite, limitarsi ad una presenza orien-tata alla pura testimonianza (si pensi a un Luigi Sturzo costrettoall'esilio o a un Dietrich Bonhoeffer prigioniero dei nazisti), mainsieme attenta alla costruzione di un diverso futuro; madovrebbe trattarsi - e, in una società democratica, normalmentesi tratta - di casi-limite. La normalità delle cose è quella delladistanza che (inevitabilmente, in società pluralistiche come lenostre) intercorre fra il dover essere e ciò che è concretamentepossibile. Limitarsi a proclamare ciò che "deve essere" puòsignificare, sotto la nobile forma del "profetismo", un ritirarsisotto la tenda, e dunque, ancora una volta, caderenell'intimismo. Ma, nello stesso tempo, affermare il necessario

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“realismo" della politica può finire per coprire i cedimenti, lecompromissioni, le distorsioni di un potere che ha ormaiperduto di vista il suo essenziale legame con la giustizia.

Si sviluppa fra questi due estremi - fra l'etica della puratestimonianza e l'etica del puro successo - la difficile naviga-zione di chi intende fare politica da cristiano nell'attuale con-testo storico. Non vi sono rotte predefinite che possano guidarein questa navigazione, ma vi è almeno una bussola orientatricein grado di orientare in questo cammino.

Sono almeno tre i criteri ai quali fare riferimento.In primo luogo evitare di accreditare il primato dell'apparire

sull'essere, in nome di quella sorta di angosciosa sindrome dipresenzialismo esasperato, tipica della società dellacomunicazione di massa, che esalta a dismisura la “visibilità” ascapito dell'operosa presenza nelle sedi proprie della politica edi uno stabile e permanente rapporto fra eletti ed elettori.

In secondo luogo occorre guardarsi dalla tentazione di farprevalere l'interesse di una parte (fosse pure quello della "partecattolica" nella quale ci si riconosce) sull'interesse generale. Ilriferimento al “bene comune”, spogliato di ogni retorica, è quidi rigore.

Infine il credente impegnato in politica non è l'ingenuoassertore di una società non conflittuale, ma colui che -prendendo atto della conflittualità esistente fra gli individui, igruppi, i corpi sociali - non l'esalta né la strumentalizza, ma lapone, in quanto possibile, a servizio della ricerca di unaragionevole mediazione fondata sul rispetto delle reciprocheposizioni e sul dialogo.

Questi scarni accenni (che certo meriterebbero di esseresviluppati attraverso un'approfondita riflessione sul rapporto traetica e politica) bastano a far comprendere la complessità diproblematiche troppo spesso ignorate o sottovalutate. Siimpone anche a questo riguardo, da parte della comunitàcristiana, un “di più” di attenzione e di riflessione.

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E si impone, nello stesso tempo, un forte impegnoformativo. Il rischio che non poche comunità cristiane stannooggi correndo è quello di un impegno nella società fondato suibuoni sentimenti, se non addirittura sulle emozioni, più che suuna reale e competente conoscenza dei problemi. Si lottagenerosamente per la pace senza interrogarsi a fondo sullecause strutturali della guerra; ci si batte per il riscatto del "terzomondo" senza avere una precisa conoscenza delle cause delsottosviluppo; ci si impegna per la salvaguardia dell'ambientesenza comprendere le ragioni profonde del degrado ecologico,e così via.

Ebbene, l'appello ai buoni sentimenti può sfociare nella"carità" o nella beneficenza immediata e diretta, o al piùfondare l'una o l'altra forma di volontariato; ma non puòincidere in profondità nelle strutture (ciò che rimane il compitoeminente della politica) senza un'adeguata conoscenza deiproblemi. Sotto questo aspetto non è nemmeno sufficiente unabuona conoscenza della Dottrina sociale cristiana (conoscenzache, tuttavia, largamente difetta) ma occorre misurarsi conproblematiche assai complesse, che richiedono un'adeguatacompetenza. Non è certo possibile chiedere a tutti i fedelil'acquisizione di queste competenze, ma questa salutareimmersione nella realtà è condizione necessaria per chi intendaoperare convintamente e responsabilmente in politica. Lacomunità cristiana non può essere il luogo direttodell’impegno, ma potrebbe e dovrebbe essere il luogo dellaformazione a questo impegno, l'ambiente nel quale maturano le"vocazioni" al servizio della città attraverso la politica (nonmeno necessarie delle vocazioni al servizio della comunitàcristiana).

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Ritornare ad un'autentica laicità

Il rifiuto dell'intimismo e la riscoperta del senso profondodell'impegno del cristiano nel mondo presuppongono lariscoperta del senso cristiano dell'autentica laicità: come haaffermato un grande maestro del Novecento, Yves Congar,laicità significa prendere sul serio le cose del mondo, nonconsiderarle una "figura” o un "fantasma" di un mondodestinato a passare.

Certo, quella mondana non è né l'unica né l'ultima dimoradel cristiano, ma una casa degna di essere abitata e che,appunto per questo, deve essere di continuo riedificata edabbellita.

Il senso cristiano della laicità si è andato un poco smarrendoper effetto di un duplice movimento. Da una parte si èsottolineato, e giustamente, il ruolo dei laici nella costruzionedella Chiesa e dunque nell’evangelizzazione, dando vita ad unaserie di vaste e ricche esperienze di spiritualità ed anche diministerialità. Da un'altra parte si è posto in evidenza che tuttala Chiesa, dal papa al più umile dei fedeli, è "laica" in quantoorientata al servizio del mondo.

L'una e l'altra posizione - il dovere dei laici di costruire laChiesa e la responsabilità di tutta la comunità cristiana neiconfronti del mondo - hanno un loro fondamento; rischianotuttavia, se radicalizzate, di porre in crisi l'autentica laicitàcristiana. Da una parte si può determinare, e in taluni casi difatto si è determinata, una sorta di rincorsa alla ministerialitàlaicale nella Chiesa e una fuga dalla ministerialità laicale versoil mondo, dimenticando che è una Chiesa mutilata einevitabilmente zoppicante quella che cammina con una gambasola, quella della evangelizzazione, e non utilizza l'altra gamba,quella della "promozione umana" (per riprendere l'intitolazionedel grande convegno ecclesiale italiano del 1976).

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Dall'altra parte il giusto richiamo alle responsabilità che laChiesa ha verso il mondo ha indirettamente legittimato unasorta di supplenza ecclesiale nell'ambito delle cose temporali:alla "afasia” dei laici è inevitabilmente corrisposta unasovraesposizione della Chiesa gerarchica; ciò che tuttavia èavvenuto non senza qualche rischio di offuscamentodell'autentica laicità cristiana. Non si intende con questoaffermare che la Chiesa istituzionale, e specificamente l’e-piscopato, debba tacere quando sono in gioco valorifondamentali della comunità civile, ma solo ricordare che vi èuna Chiesa popolo di Dio che dovrebbe far sentire la propriavoce senza legittimare, con il suo silenzio, una superficiale, mapur corrente, identificazione tra la Chiesa-episcopato e laChiesa-comunità. In altre parole, ognuno, nella Chiesa, do-vrebbe sapere svolgere la propria parte; e ciò, per quantoriguarda laici cristiani, non sempre accade.

Questa duplice appartenenza dei laici - costruire la Chiesa einsieme costruire il mondo - non è né semplice né facile; maguai se venisse meno questa “doppia cittadinanza", se cioèfiorissero le vocazioni alla costruzione della Chiesa, per la viadiretta dell'evangelizzazione, e contemporaneamente venisseromeno le vocazioni alla costruzione del mondo, a quella"promozione umana" che non è di per sé la salvezza, ma puòessere l'incunabolo e l'antemurale della salvezza.

Annunziare la salvezza escatologica senza rinunziare allasalvezza storica: è questo il significato profondo della speranzacristiana. Lo mette in luce, felicemente, il documentopreparatorio del convegno di Verona là dove, citando Paolo VI,invita i credenti a farsi speranza del mondo in "questa stupendae drammatica scena temporale e terrena"(n.16). Fuori di questascena non si è protagonisti, ma solo comprimari o comparse; equesto i laici cristiani non possono né devono essere.

Di questa stagione di "nuovo protagonismo” del laicatoesistono, a partire dal Concilio Vaticano II, e soprattutto dalla

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Lumen Gentium i presupposti teologici, ma non ancora, oalmeno non compiutamente, le condizioni storiche. Non ci sideve stupire oltre misura di questo stacco, dal momento chetutte le "rivoluzioni" - e sotto molti aspetti, e certamente dalpunto di vista della riscoperta della laicità, il Vaticano II è statoveramente una piccola-grande “rivoluzione”... - conoscono,dopo una fase iniziale innovatrice e creativa, momenti di stasi etalvolta di involuzione. Constatare il lento cammino dellavisione conciliare del laicato e della laicità non significatuttavia rassegnarsi ad un surrettizio, ma qualche voltaevidente, ritorno all’antico.

Molti fatti si potrebbero addurre a riprova di questo relativo"arretramento" dell'attenzione al laicato nella Chiesa italiana dioggi (ma, in verità, il panorama non appare più confortante inaltri paesi). Basterà richiamarne soltanto due da considerarsiquanto mai indicativi.

Il primo dato, già ricordato, ma sul quale è opportunoritornare, è rappresentato dalla ormai aperta contestazione della"teologia del laicato" conciliare, soprattutto in ordine alla bennota caratterizzazione del laico sotto il profilo della “indolesecolare”. Autorevoli correnti della teologia contemporanea -come ho posto in evidenza nel mio "Il laico nella Chiesa e nelmondo" - tendono a dare della definizione conciliare di "indolesecolare" tipica dei laici un'interpretazione non teologica, madescrittiva e sociologica (e dunque, nella sostanza, riduttiva).

Non sarebbe l'attenzione al mondo e l'impegno nel mondo,pur nella comune appartenenza di tutti i battezzati alla Chiesa,a caratterizzare il laico, essendo questa caratteristica di tutti,indistintamente, i membri della Chiesa.

A questo, che si potrebbe chiamare uno "svuotamentoteologico" del laicato, corrisponde, per certi aspetti, anche uno“svuotamento partecipativo” del laicato nella Chiesa.

E' sconfortante leggere sui mass-media le “prese di posi-zione della Chiesa", “il pensiero della Chiesa”, ”i

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pronunciamenti della Chiesa" e constatare poi che in realtà sitratta il più delle volte di pronunciamenti della Conferenzaepiscopale e talora soltanto del suo presidente. Quellaidentificazione fra Chiesa e gerarchia che il Concilio VaticanoII aveva voluto cacciare dalla porta sembra rientraresurrettiziamente dalla finestra.… Parla, insomma, laChiesa-gerarchia e tace (o forse non viene ascoltata) laChiesa-laicato. Sintomo di questa sorta di ritorno all'antico è lasituazione quasi ovunque non esaltante, in cui versano gliorganismi di partecipazione, a partire dai Consigli pastoralidiocesani (ed anche parrocchiali, dove sono stati Costituiti edove realmente funzionano).

Bisogna riconoscere che una parte di responsabilità perquesto stato di cose ricade sugli stessi laici, dei quali mi sonopermesso di denunziare in altra sede una sorta di afasia. Equando la voce dei laici tace, è inevitabile che rimanga spaziosolo alla voce dei vescovi.

Per superare questa situazione non si tratta in alcun modo -come da talune parti, per altro, si comincia a fare - di ritornareagli antichi e sterili riti delle contestazioni epidermiche epittoresche, ma di lavorare con serenità e con continuità perchési affermi nella Chiesa un autentico spirito di collegialità e dipartecipazione. Non è in discussione il principio di autorità, mail suo concreto esercizio. Proprio in questa linea e con questospirito, certo di interpretare il sentimento di non pochi credenti,ho ripreso su “Aggiornamenti sociali” la proposta avanzata giàal Convegno “Evangelizzazione e promozione umana”dell’ormai lontano 1976, di costituire – in linea con una stessaindicazione conciliare, non propriamente precettiva ma pursempre autorevole – un Consiglio, o ”Forum”dei laici italiani.Ma al di là delle strutture, ciò che importa è che i laici italianisi sentano membra vive della Chiesa e facciano sentire la lorovoce, soprattutto per favorire quel più stretto rapporto fraChiesa e società che è la condizione preliminare ed

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indispensabile perché si apra una nuova stagione dievangelizzazione.

Conclusione

In coincidenza (del tutto casuale, riteniamo) con il lavoropreparatorio del Convegno di Verona, una forte sollecitazioneall’impegno nella storia è provenuta dalla prima enciclica diBenedetto XVI, Deus caritas est. Si sarebbe potuto pensare aduna proposta decisamente intimistica qualora l'enciclica sifosse limitata alla sola prima parte, quella dedicata a presentaree a riproporre il grande annunzio cristiano di Dio-amore (adun’attenta lettura, per altro, la stessa prima parte si rivelatutt'altro che astrattamente spiritualistica: si vedano, adesempio, i densi passaggi del n.15 sulla stretta connessioneintercorrente fra amore di Dio e amore del prossimo).

E’ proprio la seconda parte della Deus Caritas est cheesclude una lettura privatistica del messaggio cristiano,soprattutto là dove il papa sottolinea fortemente la connessioneesistente fra il rinnovamento delle coscienze e la costruzione distrutture giuste, che è appunto l’impegnativo ed esigentecompito della politica (n. 28). Su questo terreno "politica e fedesi incontrano", "osa" affermare il pontefice (n. 28) al punto cheè legittimo domandarsi di che "qualità" sia la fede se essapresume di coinvolgere soltanto le coscienze e non si fa caricoanche della umanizzazione delle strutture della società. Spettaalla Chiesa, e ai credenti impegnarsi nella "lotta per lagiustizia". Ma questo non è il compito della Chiesa–popolo diDio: “la formazione di strutture giuste non è immediatamente”(sottolineare la forza di questo aggettivo) compito della Chiesa,ma appartiene alla sfera della politica, e dunque dei fedeli laici,

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sui quali incombe "il compito immediato di operare per ungiusto ordine nella società" (n. 29).

La partecipazione alla vita liturgica della Chiesa, l'ascoltodella Parola, l'esercizio quotidiano dell'amore del prossimo, daquesto punto di vista, non sono sufficienti, non definiscononella sua pienezza l'identità laicale. Non si può essereautenticamente giusti se ci si accontenta di una "giustizia"parziale e dimidiata, che si rivolge alle coscienze ma nellostesso tempo si dimentica delle strutture. Né è possibilecostruire strutture ispirate alla giustizia - quelle senza le quali,come ricorda il papa riprendendo un famoso passo di Agostino,anche i più grandi regni sono soltanto un "grande latrocinio" -senza il passaggio obbligato della politica. Nessuna "nuovaprimavera" sarà possibile per la società italiana se i laicicristiani non prenderanno sul serio questo monito e se non siassumeranno sino in fondo le loro responsabilità.

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Dibattito

I laici si vengono a trovare in situazione di minorità rispettoal clero

Dovremmo domandarci se questa minorità dipenda soltantodall’episcopato o dal clero o anche da una certa timidezza, dauna certa riluttanza dei cattolici a esporsi.

Nella Chiesa italiana mi sembra stia prevalendo la linea delmugugno o della mormorazione, piuttosto che la linea deldibattito franco e aperto. Bisogna anche saper pagare un prezzonell’ esprimersi con franchezza e con rispetto. Personalmentene so anch’io qualche cosa. Bisogna che i laici escano daquesto complesso di inferiorità, dal timore di urtare o di vedersiemarginati. Dovremmo ricuperare la parresia cristiana, chevuol dire non banale ed epidermica contestazione, ma cristianafranchezza nel far conoscere il nostro pensiero, le nostreopinioni nei luoghi più diversi che ci sono consentiti: daiConsigli pastorali, ai Consigli parrocchiali, alla stampa, aimezzi di comunicazione di massa.

La difficile fase di preparazione al Convegno di Verona

Girando un po’ per tutta Italia, come mi capita da qualchemese, vedo che ci sono diocesi che stanno prendendo sul serioil Convegno di Verona, stanno organizzando incontri. In variluoghi sono stati organizzati tre incontri preparatori sutematiche le più diverse, mentre altre diocesi sono quasicompletamente assenti.

Io credo che ci sia ancora il tempo per invertire la tendenza.Credo che come laici dobbiamo sollecitare in modo garbato,

responsabile, ma anche fermo e franco, chi ha responsabilità

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decisionali nella Chiesa, affinché la preparazione a Veronavenga fatta seriamente.

Sotto questo aspetto abbiamo una grande carta in mano:l’indicazione precisa e chiara della Conferenza episcopale. Noinon chiediamo una cosa che corrisponde a una nostra opinioneo convinzione, chiediamo semplicemente alle Chiese locali cheottemperino alla forte sollecitazione della Conferenzaepiscopale. Dobbiamo essere più papisti del Papa in questosenso e aiutare a smuovere le acque.

Perché dico questo? Perché sono passati quasi 11 anni dalConvegno di Palermo, c’è stata una svolta del pontificato,sicuramente ci sarà prima o poi un cambiamento nella guidadella Conferenza Episcopale italiana e dovremmo evitare diperdere questa occasione e trasformare il Convegno di Veronain una specie di passerella intellettuale più o meno prestigiosa.Dovremmo riuscire a dialogare sui problemi della Chiesa. Mipermetterei, quindi, di invitare i presenti a farsi portatori nellediverse sedi del desiderio che Verona sia un luogo vero diconfronto e di dialogo.

Il parziale fallimento dei gruppi culturali

C’è una certa allergia di gran parte del mondo cattolico a unimpegno culturale serio. Dobbiamo riconoscere che lasituazione della cultura in Italia, nonostante le grandi tradizionidel nostro Paese, si va facendo difficile. Leggo dati inquietantisull’attitudine alla lettura della gente e degli stessi laureati.

Recentemente si rilevava che gran parte dei laureati italianinon legge un libro all’anno oltre quelli che riguardano lapreparazione e l’aggiornamento professionale.

C’è la televisione che dà una falsa idea del sapere tutto.ionon faccio altro che discutere con persone che si illudono disapere tutto. Sanno tutto sull’ecologia, sul Terzo mondo, sulle

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guerre atomiche, perché hanno questa banale informazione chederiva dai 5 minuti di ascolto della televisione.

E’ chiaro che non si può chiedere a tutti un approfondimentoculturale; però credo che una comunità cristiana, che vive in uncerto territorio, non possa esimersi dal cercarne di capire ledinamiche, le problematiche. Sono problematiche moltoconcrete.Qualcuno dice che la politica è astratta: le problematicheconcrete sono chi non ha casa, immigrati che non si sa dovesistemare, la viabilità. Che una comunità cristiana si facciacarico dei problemi del territorio con proposte concrete èmolto importante. Questo, in senso lato, è cultura. Ovviamente,per arrivare alla scelta concreta (ad es: cosa fare per gliimmigrati) ed evitare i luoghi comuni e gli slogan, occorrecapire la realtà dell’immigrazione. E’ necessario questocontinuo rimbalzo dal “momento cultura”, che consente dicapire i problemi, al “momento operativo”, quello delleproposte concrete.

C’è il rischio della strumentalizzazione dei valori cattolici?

Non so se avete letto su Avvenire dei giorni scorsi la durareprimenda di monsignor Valentinetti, Vescovo di Pescara, aun gruppo di sedicenti cattolici che ha presentato unprogramma in cui mettevano a confronto la dottrina socialedella Chiesa e il proprio programma politico, affermando diessere in prima linea nell’attuazione di questo programma.Mons. Valentinetti ha mandato una comunicazione al clero persottolineare che nessuno si può appropriare della dottrinasociale della Chiesa; sarà la Chiesa, saranno i credenti, sarannoi Vescovi che decideranno se un programma è corrispondente ono alla dottrina sociale della Chiesa. C’è questa tendenza adappropriarsi del cattolicesimo da tutte le parti.

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Avrete presente la cosiddetta vicenda degli atei devoti? Oggitutti o quasi si proclamano cattolici, salvo una frangiamarginale, e cercano di imbonire l’elettorato cattolico. Aquesto dobbiamo reagire: e ciò non vuol dire che dobbiamoavere un atteggiamento reattivo nei confronti di chi, in buonafede e con stile corretto, afferma anche la propria adesione aivalori del cristianesimo.

Con quali modalità reagire alla tendenza del venire menodell’impegno politico dei cattolici?

Sulle cause di questo disimpegno ho detto qualche cosa, siapure a grandi linee. Ho accennato alle ragioni storiche, allacrisi e alla fine non propriamente gloriosa dell’età politica deicattolici e al sostanziale insuccesso del progetto di creazione diuna società di ispirazione cristiana. Ma ho aggiunto anche che,a mio avviso, la causa fondamentale di questo disimpegno stanella lettura essenzialmente privatistica della religione. Diquesta lettura privatistica un po’ tutti abbiamo la responsabilità.

Qualche settimana fa ero fuori Parma per un convegno ed hopartecipato alla Messa del sabato e della domenica in cui c’erail famoso Vangelo: “Date a Dio quel che è di Dio, date aCesare quel che è di Cesare”. Se c’era un testo del Vangelo chesi prestava a una riflessione sui doveri del cristiano verso lacittà era proprio quello. Tutti e due gli omileti - sarà un caso -hanno fatto una lettura assolutamente spiritualistica e incentratasul dare a Dio la preghiera. C’è questa lettura intimisticasistematica. Un’indagine dell’Ufficio catechistico nazionalerivela che si fa poca catechesi degli adulti, e che le paginesociali del Catechismo degli adulti della Chiesa italiana, chesono molto ben fatte e abbastanza corpose (sono unacinquantina di pagine), sono completamente ignorate dallacomunità cristiana.

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È ovvio che se nelle omelie, nella catechesi, nei luoghi diincontro non si parla mai dei doveri del cristiano verso la città,si alimenta questa visione privatistica della fede contro la qualedobbiamo, per quanto possibile, reagire.

C’è un eccesso di fasia o di eloquio da parte di certi laiciorientati a fare una lettura strumentale del dato di fede

Sono d’accordo nel denunziare questa tendenza. Evitiamo diavviare queste forme di dialogo e di incontro, in periodo dicampagna elettorale. So di un Vescovo che alla fine di gennaioha deciso di non ricevere più nessun laico, perché aveva decinedi domande di colloquio di persone che sapeva candidati oaspiranti candidati, i quali sarebbero andati dal Vescovo e sisarebbero fatti belli. Questo Vescovo ha deciso di non riceverenessun laico per un paio di mesi. Scelta radicale, e forse ancheintelligente.

Luoghi di confronto e collaborazione

Sarebbe quanto mai opportuno che nella comunità cristianasi realizzassero luoghi di confronto fra coloro che da credentifanno politica (anche su sponde diverse) e i laici di buonavolontà.

Fuori della campagna elettorale i rischi distrumentalizzazione sono tutto sommato marginali ed èpossibile confrontarsi seriamente.

In sede locale ci sono consiglieri comunali di diversetendenze: che una parrocchia, una comunità interpelli questepersone, chieda loro che cosa pensano di certi problemi, checosa intendano fare in ordine a determinate situazioni, credo

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sia non solo lecito, ma fortemente consigliabile, a condizioneche si evitino i rischi di strumentalizzazione. Quindi, da nonfarsi in campagna elettorale, ma a bocce ferme.

L’importanza del volontariato

Non ho inteso in alcun modo svalutare il volontariato. Anzi,credo che esso abbia una grande importanzaper formare lepersonead essere attente alle problematichee perché costituisceun priomo passaggio in direzione della politica. Certi problemifiniscono per esulare dall’ambito di concertazione delvolontariato e ci si rende conto che bisogna incidere anchenelle strutture al di là dell’aiuto al caso singolo.

Il volontariato quindi, da una parte, è un bellissimo modo diessere vicini agli altri; in altra prospettiva, aiuta allaformazione, al senso della cittadinanza.

Sottolineiamo però che, se in una comunità l’impegno sifermasse solo al volontariato, se in una città tutti i cristiani oquasi facessero volontariato e nessuno si dedicasseall’impegno politico, sarebbe una comunità zoppicante,camminerebbe su una gamba sola, quella dell’aiuto ai singoli etrascurerebbe l’altra gamba, quella dell’incidenza sullestrutture.

La politica come volontariato, come ambito nel qualespendersi non per finalità di lucro, di vanità o di successopersonale, ma in spirito di servizio

Sono convinto anch’io che l’impegno politico debba averesempre una componente in senso lato di gratuità. Ci sono deilivelli in cui questo è possibile: si può fare, per esempio, il

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consigliere comunale a livello di quasi completa gratuità, maquando si assumono impegni rilevanti, poniamo l’impegno diparlamentare, allora è necessaria una professionalità ed è giustoche a questa professionalità corrisponda un adeguatocompenso. Non entriamo nel problema del compenso deiparlamentari, ma il principio che chi svolge per un tempo lungoun’attività pubblica trascurando la propria professione debbaessere onestamente compensato dalla comunità, mi sembrafuori discussione. Resta inteso che, quando si fa politica atempo pieno, non può mancare la dimensione di gratuità e direlativo disinteresse.

Perché i cattolici hanno avuto, mano a mano che ci siallontanava dalla seconda guerra mondiale una diminuitacapacità di incidenza?

Le ragioni sono molto complesse e le ho potute soltantosfiorare. Individuerei soprattutto due ragioni di fondo di questacrisi della presenza politica dei cattolici e, per essere più chiari,della Democrazia Cristiana.

La prima ragione è data dal venire meno di una adeguatacultura politica e di una vera capacità progettuale.

Ho studiato a fondo la fase iniziale della presenza politicadei cattolici, quella che va dal 1943 al ‘50 circa. Abbiamoavuto quell’importante documento programmatico che è ilCodice di Camaldoli, le idee ricostruttive della DemocraziaCristiana di De Gasperi, il grande discorso di Gonella sullelibertà al primo Congresso della D.C., un apporto di grandespessore dei cattolici alla Costituente, una capacità progettualein ambito economico con Vanoni e nell’ambito della riformaagraria con Segni. Dunque, c’è stata una stagione in cui icattolici hanno avuto uomini di grande spessore culturale ecapaci veramente di proposte programmatiche significative. Un

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po’ alla volta questa tradizione si è perduta (pensiamo alpresidente del Consiglio e ai ministri degli anni Ottanta inconfronto con Vanoni, De Gasperi…). Perché questo siaavvenuto non saprei dirlo. È possibile che anche in politica visiano, come nella letteratura e nelle arti, periodi di grandefulgore in cui si concentrano i geni e altri periodi in cui siregistrano delle stanche, delle fasi di arretramento.

La seconda ragione, a mio avviso, è rappresentata dallecrescenti divisioni intervenute fra i cattolici. Noi oggi ciscandalizziamo, o comunque costatiamo la litigiosità tra icattolici nei diversi schieramenti, ma, quando si va a guardarela storia interna della Democrazia Cristiana, come ho fatto perun certo periodo di tempo, si trovano delle lacerazioni terribili.

In certi Congressi si è arrivati allo scontro fisico, ci si èpicchiati fra democristiani, ci si è tolti il saluto. Dunque questedivisioni interne non sono assolutamente un fatto nuovo, inpassato erano un poco eclissate, oggi sono manifeste.Probabilmente non dobbiamo scandalizzarci oltre misura; lapolitica, ci dicono i sociologi, è essenzialmente conflittuale, èanche lotta per il potere e non rinunzia ai colpi duri neiconfronti dell’avversario. Credo che il cristiano non debba farfinta che la conflittualità, che la lotta per il potere non ci siano.

Bisogna però cercare di vivere questa conflittualità,riconoscendo che è in atto una lotta per il potere, con uno stileche non dovrebbe essere quello aspro e barbaro di chi non siriconosce nella fede. Se poi, sul piano pratico, anche i cattoliciqualche volta abbiano assunto gli stili di chi cristiano non è,questo fa parte della malinconica storia della presenza deicristiani nella storia, fatta di grandezze e di splendori, maanche di zone d’ombra.

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Non ci sono punti di riferimento in cui i laici cristianipossano aver voce?

Ho ripreso recentemente su Aggiornamenti sociali laproposta di padre Sorge al Convegno 1976 sulla creazione diun Forum nazionale dei laici e devo dire che le risposte aquesto mio manifesto sono state molto positive da parte deilaici, anche se reticenti da parte dell’episcopato. Però io nondispero nel tempo lungo; molto dipenderà anche dallo stile concui andrà avanti questo pontificato.

Le carenze oggettive dei cattolici impegnati nelle strutture

Le carenze oggettive dei cattolici impegnati nelle strutturedobbiamo riconoscerle e accettarle, perché sappiamo che laperfezione non è di questo mondo, che il peccato originalelascia tracce profonde. Vorremmo essere circondati da cristianisempre esemplari, ma non sempre avviene. Coglierei la relativaincoerenza di certi cattolici, per esempio di coloro che operanonelle strutture pubbliche, per denunziare anche qui una carenzadella comunità cristiana.

Noi facciamo molto poco per formare i credenti al sensodello Stato, alla serenità dell’esercizio della professione, allacapacità di dialogo. Ci sono temi di etica professionale che nonvengono quasi mai affrontati. Ricordo, perché su questo temasono stato sempre molto attento, un caso singolare che citocome esempio di una mentalità a mio avviso esemplareprescindendo dal giudizio sull’intenzione del singolo. In unacittà la Guardia di finanza decide di fare un controllo sullapresenza dei dipendenti e vede che un dipendente ha firmato ilcartellino, ma è assente dal lavoro. Quando questo dipendente ètornato e gli hanno chiesto cosa avesse fatto, ha dettocandidamente: “Sono andato a Messa”. Timbrava il cartellino

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e andava a Messa e credeva di essere un buon cristiano. Io ho imiei dubbi, ma al di là dell’episodio che può esserefolcloristico, domandiamoci quanti pubblici dipendenti, quantiprofessionisti, quanti professori universitari abbiano il sensodel rigoroso esercizio della professione e che cosa fa lacomunità cristiana per formare all’etica professionale. C’è unfortissimo sbilanciamento fra l’etica personale, soprattuttol’etica familiare e sessuale, e l’etica professionale. Per esempio,nonostante le tante omelie ascoltate non ne ho mai sentita unain cui si parlasse di doveri professionali del cristiano, come lapuntualità o la serietà. Di questi temi abbiamo parlato inincontri riservati ai professori universitari per quanto riguardal’etica del docente; l’etica professionale, però, riguarda tutti,riguarda il contadino che deve mungere bene la mucca el’artigiano che deve piantare bene un chiodo. Questo del farbene il proprio lavoro è un tema che nella comunità cristiana èsempre rimasto in ombra. Dovremmo domandarci come sonogli impiegati postali cristiani, i vigili urbani cristiani e viadicendo.

Un’attenzione alla femminilità

Vi ho detto all’inizio la mia simpatica sorpresa nel vederequi una numerosa presenza femminile. Quando affronto questitemi, in genere non è così, ma penso che che giustamente moltedi voi si richiamano all’insegnamento di Elena da Persico, circala doverosità delle donne di essere attente al mondo. “Se ilmondo va male la colpa è anche nostra perché non studiamo,non ci interessiamo delle grandi questioni moderne”, dicevainfatti Elena da Persico.

Ciò che mi colpisce ulteriormente del generale venir menodell’attenzione ai problemi sociali, è proprio il dato di

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attenzione ancora più bassa alla politica da parte dellapopolazione femminile, soprattutto delle giovani.

Non voglio demonizzare coloro che si truccano, cheseguono le diete, vanno in palestra, seguono la moda; tutti idati però rivelano che le ragazze di oggi sono assolutamentedisinteressate alla politica.E’ necessario domandarsi se dipendada loro o se dipenda, ancora una volta, da una famiglia che siinteressa di certe cose e non di altre, da una comunità cristianache non le forma al senso sociale, da una scuola che hacompletamente lasciato in ombra l’educazione civica,cenerentola della scuola italiana. In questo contesto non ci sipuò stupire che le ragazze di oggi si disinteressinogeneralmente alla politica, anche se questo è un fattoinquietante. Non basta aver dato il voto alle donne, non bastainvocare le quote rosa e la partecipazione se non c’è alle spalleun mondo femminile attento a questi problemi, capace diguardare a ciò che avviene nella società.

Questo purtroppo oggi non accade quindi il richiamo èquanto mai necessario.

La formazione delle coscienze, di coscienze giuste, in vistadella creazione di strutture giuste

Quello della formazione della retta coscienza è un problemache, per essere sviscerato, richiederebbe un’adeguataattenzione. Sottolineerei almeno un aspetto: nella formazionedella coscienza gioca molto la capacità di entrare in relazionecon l’altro: l’attenzione, il rispetto, l’amore per l’altro.

La coscienza che si apre all’incontro con l’altro attua unamediazione che comporta l’attenzione non solo al rapporto coni singoli, ma anche al rapporto con le strutture e al lorocambiamento.

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E’ un discorso molto complesso e non lo possiamocertamente affrontare qui.

Noi ci troviamo di fronte a realtà, a situazioni spessoincancrenite, che occorre modificare alla radice. Pensiamo, adesempio, alla condizione operaia di fine Ottocento, ai sistemisalaraiali allora in vigore, alla mancanza di ferie, di riposodomenicale e via dicendo. Le lotte operaie, soprattuttoinizialmente, hanno portato alla trasformazione di questestrutture economiche ingiuste. Questi esempi stimolano atrovare forme nuove per creare strutture giuste.

Quanto si esprime la Chiesa sul commercio mondiale dellearmi?

Il commercio delle armi pone problema.Io credo che dovremmo riuscire ad arrivare a chiudere le

fabbriche di armi. Non importa che qualcuno ci dica che, senon le fabbrichiamo noi, le fabbricherà la Cecoslovacchia o laMongolia o l’Ucraina. Facciamo la nostra parte!

Occorre demolire le strutture ingiuste – e io credo che unafabbrica di armi sia una struttura ingiusta-, ma, se si haresponsabilità politica, occorre anche farsi carico del tessutoeconomico di una certa area geografica, del futuro degli operaie delle loro famiglie; così che non dovrebbe bastare una pura esemplice chiusura della fabbrica, ma, per esempio, progettareuna sua riconversione.

E’ la linea di Isaia: non le spade, ma le falci e gli aratri.E’ perfettamente inutile predicare la necessità di chiudere le

fabbriche di armi se non si trovano soluzioni politiche aiproblemi derivanti dalla loro chiusura.

Non basta la profezia, la proposta etica di alto livello, maoccorre, ed è il compito della politica, farsi carico dellesoluzioni concretamente possibili. Altrimenti continuiamo a

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predicare contro il commercio delle armi, ma continuiamocontemporaneamente a produrle e a venderle.

Il disimpegno dei giovani nei riguardi della politica

Il disimpegno dei giovani non è solo nei confronti dellapolitica. I giovani tendono a vivere il volontariato comeesperienza di attenzione al prossimo connotataprevalentemente in senso emozionale o sentimentale, più che intermini di lucido e responsabile atteggiamento verso gli altri.

Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe ad analizzarel’attuale vissuto giovanile. Il rapporto giovani-politica moltospesso è simile ai rapporti che i giovani hanno con altri ambiti.Pensiamo allo stile con il quale si incontrano oggi ragazzi eragazze, al relativo disimpegno sul piano delle scelte di vita, lafatica ad accettare la realtà stessa del matrimonio.

C’è una difficoltà all’assunzione di impegni costanti eregolari che si esprime a molti livelli, ivi compreso il livello delvolontariato e della politica. Il problema di fondo, che abbiamoa più riprese affrontato, è quello di creare comunità cristiane incui si sappia fare un percorso formativo all’interno del quale lescelte di campo definitive siano rivalorizzate e siano anchepreparate attraverso un percorso catechetico e formativo dilunga durata.

Credo che dobbiamo investire di più con una formazionegiovanile anche se purtroppo le forze che abbiamo in questoambito si stanno riducendo.

Io sono molto preoccupato per la quasi totale scomparsa ingran parte d’Italia della figura del giovane sacerdote, delcappellano che segue i gruppi giovanili, non perché neghi aisacerdoti anziani la capacità di entrare in dialogo con i giovani,ma perché vedo che la presenza di figure sacerdotali giovanisarebbe importante.

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La Chiesa dovrebbe attrezzarsi per trovare figure laicalimaschili e femminili in grado di assumersi questi compitiformativi.

Comunque la risposta a questa difficoltà dei giovaniall’assunzione di impegni di lunga durata sta, a mio avviso,essenzialmente nella capacità di creare contatti permanenti eadeguatamente approfonditi di formazione.

C’è una presunta scarsa presenza della Chiesa sul pianodell’etica politica contrapposta a una sua maggiore presenzanel campo dell’etica sessuale o della vita

Io ho qualche perplessità nel riconoscere la validità diquesta diagnosi. Direi che c’è una sistematicasopravvalutazione dei pronunciamenti della Chiesa in alcuniambiti da parte dell’opinione pubblica e della stampa e unaparallela sistematica sottovalutazione degli interventi dellaChiesa in campo di etica sociale. Faccio un solo esempio: quelmodesto, piccolo e marginale documento al presbiterato sullamissione dei presbiteri con tendenze omosessuali1 ha suscitatoun vespaio di commenti, dichiarazioni e interventi. Ilcompendio della Dottrina sociale della Chiesa cattolica èpassato in larga misura sotto silenzio.

Allora il problema è questo: è la Chiesa che non affrontacerti temi o è un’opinione pubblica distratta e in qualche modocondizionata per cui, se si dicono tre righe sulla omosessualitàescono paginoni e, se si pubblicano 400 corpose pagine sulladottrina sociale, silenzio? In campo sociale credo che nessuna

1 “Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica circa i criteridi discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenzeomosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli OrdiniSacri.” Congregazione per l’educazione cattolica, 4 novembre 2005

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Chiesa come quella contemporanea abbia parlato: messaggi delPapa per la pace, sistematici documenti del pontificioConsiglio e Pace, anche sul riarmo, sulla giustizia nel mondo,sul Terzo mondo, gli stessi numerosi documenti sociali dellaConferenza episcopale italiana…

Forse quello che è mancato non è tanto la produzione deidocumenti ecclesiastici al vertice, ma la ricezione da parte dellabase ecclesiale.

Le Chiese locali, i movimenti, le associazioni, le parrocchiespesso non hanno tenuto adeguatamente conto delle indicazioniin questo ambito, date dal Magistero..

È possibile che qualche cosa debba essere rivisto anche inquesta produzione dei documenti; probabilmente si imporràuna certa selezione dei messaggi, parlare meno spesso, piùautorevolmente, più brevemente.

Resta però il fatto che, a mio avviso, la Chiesapostconciliare in campo sociale si è espressa autorevolmente econ contributi di grande livello, perché il Magistero socialedella Chiesa è molto ricco. Ciò che in parte è mancato, è lacapacità di ricezione da parte delle Chiese locali di questoinsegnamento, anche se siamo ancora in tempo per correre airipari e per aprire una nuova stagione di attenzione anche aquesti problemi.

Con questo ho concluso questa mia piccola fatica e viringrazio.

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Stampato in proprio ad uso internoEventuali imprecisioni nel testo del dibattito (non rivisto dall’autore)

dipendono dal fatto che esso è stato trascrittodirettamente dalla registrazione