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Anno XXVI - Numero 2 - 2013 - Bimestrale di approfondimento dell’Associazione Italiana Genitori Si chiama Drunkorexia la nuova moda che si beve la vita di molte teen-ager. Corre sul filo tra l’anoressia e l’abuso di sostanze alcoliche. Una metafora della nostra società? ONLUS STAMPA 2 numero LO SBALLO delle vanità delle vanità

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Lo sballo delle vanità. Si chiama Drunkorexia la nuova moda che si beve la vita di molte teen-ager. Corre sul filo tra l’anoressia e l’abuso di sostanze alcoliche. Una metafora della nostra società?

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Anno XXVI - Numero 2 - 2013 - Bimestrale di approfondimento dell’Associazione Italiana Genitori

Si chiama Drunkorexia la nuova moda che si beve la vitadi molte teen-ager. Corre sul filo tra l’anoressia e l’abusodi sostanze alcoliche. Una metafora della nostra società?

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Anno XXVI - Numero 2 - 2013 - Bimestrale di approfondimento dell’Associazione Italiana Genitori

Si chiama Drunkorexia la nuova moda che si beve la vitadi molte teen-ager. Corre sul filo tra l’anoressia e l’abusodi sostanze alcoliche. Una metafora della nostra società?

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LO SBALLOdelle vanitàdelle vanità

Scuola, parte il Sistema di valutazione

Intervista a Pietro Sestito dell’Invalsi

Nelle scuola arrivano i Bes

Caro ministro ti scrivo

Spunti verso il Congresso Age di Pescara

Mantova, il ricordo di Vittore Franchini

La situazione a un anno dal terremoto

Orvieto, a scuola “Orto in condotta”

I figli, 160mila euro di investimento

EDITORIALE

Una società drunkoretica

Il termine viene da un neologismo legato al comportamento

che si diffonde tra le giovanissime di controllare maniacalmente

la dieta per poi sballare di alcol. Una metafora del nostro tempo.

A cui le nostre famiglie e le nostre associazioni possono

fare da baluardo educativo

Mangiare sempre meno fino a digiunare per poi assumere rilevanti quantità di bevande alcoliche. L’o-biettivo è ben preciso: arrivare a stomaco vuoto all’ora dell’happy hour, dove poi poter ingurgitare cocktail alcolici senza freno. Questo strano e pericoloso com-portamento alimentare, diffuso particolarmente fra le adolescenti, viene rappresentato con un neologismo: drunkoressia.

Nelle pagine che seguono spiegheremo i rischi di questo mix tra ubriachezza e anoressia. Ma vorremo cercare prima di capire se quest’atteggiamento non possa diventare una metafora del nostro tempo, della nostra società. Forse è un esercizio un po’ ardito, ma ci aiuta per il nostro fine: riflettere su ciò che ci circonda, con uno sguardo educativo.

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Una società drunkoretica

“Crisi economica”, termine fra i più presenti nel dibattito pubblico e nelle ricerche in Google: non è un’e-spressione virtuale, è una realtà con la quale fare i conti ogni giorno, per il suo carico di disoccupazione, tagli alla spesa pubblica, fallimenti di aziende e sfratti.

Un dramma per molte famiglie, soprattutto per i giovani che vedo-no occlusa ogni possibile prospetti-va. Dobbiamo farcene una ragione: ogni economista accorto ci dice che la crescita non è infinita, lo sviluppo e il consumo di risorse hanno limiti. Per un futuro più equo, possibile per tutti, dovremo tutti rinunciare a qualcosa, poco. Perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

Torniamo alla metafora: è come se a una fase bulimica, onnivora, mai sazia, seguisse ora la fase anoressica. Manca la liquidità del denaro, ma sia-mo anche a dieta (ferrea) per quanto riguarda idealità, sogni, obiettivi, cultu-ra, riflessività.

Oppure assumiamo cibi sbaglia-ti, che non nutrono adeguatamente, inseguendo ancora modelli non pos-

sibili, impraticabili. Proprio come gli ideali di bellezza tipici delle sfilate di moda o delle subrettine televisive sognati dalle adolescenti drunkoressiche.

Nel corso degli anni sono scomparsi dalla tavola del nostro tempo cibi necessari alla tenuta sociale: ci hanno detto che la famiglia era un’insalata insipida; che cultura e istruzione erano acque non gasate meno gustose di un reality o di una carriera da tronista. Cibi come fiducia, le-galità, etica, profondità di rapporti umani non si adattava-no alla “nouvelle cuisine” declinata come carriera, profitto, spensieratezza, successo facile. Ora, priva di vitamine e proteine, la nostra crescita rallenta. Dovremmo riprendere ad alimentarci in modo equilibrato, ma ricorriamo, piutto-sto, allo sballo.

La correlazione fra crisi e gioco d’azzardo, per esem-pio, trova le sue logiche nelle modalità contraddittorie di

gestire il denaro, e ha radici profonde nell’illusione di poter “vincere facile”. Sfidare la sorte, provare il brivido del rischio per sentirsi vivi, illudersi di trova-re vie di fuga e soluzioni che sarebbero negate nella realtà: questi sono i tratti della personalità di un giocatore d’az-zardo, ma anche dell’azzardo collettivo che emerge qua e là, in politica, in TV, nel consumo smodato di ore nei social network. È drunkoressia sociale, tutto ciò. Il digiuno che predispone a un hap-py hour che, quando finisce, ti lascia con un pugno nello stomaco.

Dicono che alla base dei disturbi alimentari vi sia un disagio, espressio-ne di insicurezza, difficoltà a interagire con i pari e infine, qualcosa che spinge a farsi del male. Quei cibi rifiutati (fa-miglia, istituzioni, senso di comunità, legami solidali e fiduciari…) non sono forse la cura adatta? Forse non ci sen-tiamo più vivi se assaporiamo il gusto delle cose ben fatte, il piacere di parole sensate e ben riposte, la condivisione di gesti, tempi, idee e cose con perso-ne che via via sentiamo più amiche? Offrire il bene, parlarne bene, dire che esiste può essere d’aiuto a chi desidera farsi del male?

È certamente una sfida, controcorrente, dare vita ad un’associazione, un comitato, un gruppo di persone che adotta un pezzo di comunità, la cura, la ripulisce, la ama. Noi, Age, lo facciamo da lungo tempo. Se quest’anno pare ancor più difficile, più forte è l’augurio, a ciascuno: coraggio.

Nascono in Campania, in Piemonte, in Veneto, in ogni luogo, gruppi di genitori che continuano a generare vita, educativa e sociale, dopo quella biologica. Sempre di generosità si tratta. Mamme e papà, buoni insegnanti e buoni educatori, catechisti e animatori sportivi, ammini-stratori locali virtuosi e intellettuali onesti, associazioni che riuniscono persone: ci sono, in giro, dietisti d’eccezione. Fidiamoci un po’ di loro. E fidiamoci anche del fatto che i giovani non bevono proprio tutto ciò che si offre loro.

Una società drunkoretica

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Drunkorexia, nuova cattiva moda che si beve la vita delle ragazzineUn nuovo comportamento a rischio tra i giovanissimi: tenere sotto controllo le calorie in settimana, per poi ubriacarsi nel week end. La parola all’esperto

Una schiera di 300 mila ragazzi, di cui 8 su 10 femmine tra i 14 e i 17 anni. Sono i minorenni inte-ressati, secondo alcune fonti, da un nuovo fenomeno sottostimato: quello della “drunkorexia”. Da anni l’Age è impegnata attivamente per combattere il diffuso feno-meno del consumo smodato di alcol da parte di ado-lescenti e giovani. Nei luoghi di ritrovo, soprattutto in occasione dei fine settimana, si creano zone di degrado e di disagio, e in alcuni casi anche di grave pericolo per i cittadini non sempre tutelati dalle istituzioni. È de-primente anche percorrere le vie cittadine e incontrare giovani e adolescenti con bottiglie in mano, spesso in stato di alterazione. Esistono norme ben precise, ma spesso non vengono adeguatamente fatte rispettare.

Ma negli ultimi tempi ha preso piede anche in Italia una nuova tendenza fra i giovani un nuovo fenomeno rappresentato da un termine inglese che mette insieme due parole: “drunk”, cioè ubriaco, e “anorexia”, facil-mente traducibile in italiano. Si tratta quindi di un nuovo disordine del comportamento alimentare a metà fra al-colismo e anoressia. In pratica i giovani limitano di molto l’assunzione di cibo nei giorni precedenti il week-end per poter introdurre altre calorie con l’alcol senza rischiare di ingrassare. Nelle ragazze questo comportamento ha effetti ancor più rischiosi in quanto metabolizzano l’alcol in modo diverso rispetto ai ragazzi. Abbiamo chiesto a Umberto Nizzoli, psicologo e clinico, referente nazionale del Comitato editoriale della Società scientifica sui disturbi

del comportamento alimentare di fare chiarezza su questo tipo di comportamento a rischio.

Innanzitutto, come è nato questo termine?

Succede spesso che qualche testimone “di strada” osservi la nascita di nuovi comportamenti e inventi un nome per descriverli. Se quei nomi trovano rimbalzo nei media diventano di uso comune. Così è successo anche con la “drunkorexia”: un termine usato per descrivere co-sa fanno purtroppo ormai tanti giovani che vogliono con-temporaneamente molte cose e per giunta contrastanti tra loro.

Come si manifesta il comportamento degli drunko-ressici?

Vogliono sballare e in fretta, per divertirsi come cre-dono loro, senza però aumentare di peso. Ecco allora che la mania di tenere un corpo sottile li spinge a togliere l’assunzione di altre calorie per lasciare spazio al fiume di alcol che serve loro. Si potrebbe dire che avendo una base di tipo anoressico (senza essere davvero anoressici) e volendo alterare il funzionamento della loro mente assu-mendo una droga, l’alcol, li buttano giù in modo bulimico (come fanno tutti i binge). A ben vedere quindi sono com-portamenti di tipo bulimico: vogliono tutto e il suo con-trario, senza alterare l’immagine corporea. È interessante notare che questi comportamenti sono di tipo sociale: av-

Bere alcol senza mangiare...300 mila i giovani “drunkoressici”

Astenersi dal cibo per potersi permettere aperitivi e superalcolici, bilancino delle calorie alla mano. Una modalità di comportamento che riguarda gli anoressi-ci, soprattutto adolescenti, e a cui i media hanno già dato il nome di “drunkoressia”.

Secondo i dati del ministero della Salute in Italia ci sono 300 mila ragazzi e ragazze classificabili sotto questa etichetta. Otto su 10 sono femmine tra i 14 e i 17 anni. Si tratta però di stime, perché il fenomeno è quasi completamente sommerso. Ma, senza arrivare a questo nuovo comportamento patologico, il problema dell’abuso di sostanze alcoliche sempre più diffuso an-che tra i giovani è drammatico, come testimoniano i dati epidemiologici sul consumo di alcol in Italia che si possono trovare sul portale del ministero della salute e che qui riprendiamo in parte.

In Europa l’alcol causa 195.000 morti l’anno e co-stituisce la terza causa di morte prematura, dopo l’iper-tensione e il consumo di tabacco, con costi altissimi sul piano sanitario, sociale ed economico.

Pertanto i consumi alcolici e i modelli di consumo rappresentano un importante indicatore della possibile evoluzione delle condizioni di salute e sicurezza della popolazione e dei relativi costi evitabili in termini uma-ni, sociali ed economici. I dati sui consumi alcolici e i modelli di consumo confermano il progressivo allonta-namento del nostro Paese dal tradizionale modello di consumo mediterraneo.

È cresciuta nell’ultimo decennio la quota di coloro che consumano bevande alcoliche al di fuori dei pasti, con un incremento particolarmente significativo tra le donne.

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vengono nel gruppo, hanno bisogno del gruppo per strut-turarsi e sono fatti per stare meglio (a loro modo) nel grup-po. Sono perciò comportamenti largamente influenzati dalla moda: in tanti gruppi essere drunkoretico è trendy.

Chi sono le vittime più comuni di questa tendenza?In genere tutti i giovani appartenenti a certi gruppi.

Ma sono le ragazze a esserne più “affascinate”. Sono loro infatti le più suscettibili ai disordini legati all’immagine corporea e al peso. La drunkorexia ti fa contare le calorie schivandole ai pasti per assumerle con l’alcol. Questa condotta serve per sballare alle feste o ai ritrovi. Logico che si associ a comportamenti smodati o a rischio in cui può esserci la facile promiscuità sessuale.

Quali sono gli effetti a livello neurologico e fisico?Facilmente il drunkoretico vomita, ha temporanei

stati confusionali della mente, rallentamente ideativo e neuromotorio. È possibile quindi che accadano episodi di intossicazione alcolica, infezioni a trasmissione ses-suale, gravidanze indesiderate e precoci, danni circolatori o neurologici. Siccome le ragazze sono più suscettibili alle condotte di stampo anoressico-bulimico, e meno in condizione di metabolizzare l’alcol oltre che essere coloro che portano più intensamente le conseguenze gravidiche, ecco perché per loro la drunkorexia è ancora più a rischio che per i maschi.Spesso la famiglia resta all’oscuro di questi compor-tamenti dei propri figli e in molti casi è una telefonata delle Forze dell’Ordine o del Pronto Soccorso a infor-mare i genitori. Quali sono i sintomi che possono indi-care il problema? Esiste nel caso della drunkorexia un punto di non ritorno come nel caso dell’anoressia?

Può capitare che a una festa un figlio o una figlia si ubriachino e i genitori lo sappiano solo dopo un incidente. Però, se parliamo di drunkorexia un genitore disinformato equivale di norma a un genitore distratto. Come fa a sfug-girgli che la figlia o il figlio abbia una mania per l’immagine corporea e si sottoponga a una dieta eliminativa? E come

fa a non accorgersi che il figlio o la figlia si chiuda in ca-mera per ore senza pensare che cerca di camuffare l’alito, lo sguardo. E come fa a non sapere quanto sta fuori e che vada alle feste? Forse il genitore non è avvertito nel senso che non si è aggiornato.

Qual è l’atteggiamento migliore da tenere?Se hai un figlio o una figlia adolescente o giovane

devi stare aggiornato e attento, e devi farlo in modo calmo e sorridente. Quindi genitori inconsapevoli o assurdamen-te antigeni è bene che si diano una mossa. Ma penso che l’Age rappresenti un grande aiuto per genitori che non vogliono limitarsi a fare gli struzzi e poi, se succede un danno, cercare di passare per povere e ignare vittime.

Famiglia e Scuola dove possono rivolgersi per avere aiuto e sostegno?

Servizi per i disturbi dell’alimentazione o per le di-pendenze ce ne sono. Non trattano solitamente casi co-me questi. Però ci sono molti esperti. Possono trovare lì un esperto di loro fiducia.

Il binge drinking, modalità di bere di origine nor-deuropea che implica il consumo di numerose unità alcoliche in un breve arco di tempo, ha riguardato nel 2009 il 12,4% degli uomini e il 3,1% delle donne ed è ormai abitudine stabilmente diffusa, soprattutto nella popolazione maschile di 18-24 anni (21,6,1%) e di 25-44 anni (17,4%). Pratica il binge drinking anche una buona percentuale di donne fra i 18 e i 24 anni (7,9%) e fra le giovanissime di 11-15 anni esso appare più diffuso che fra i coetanei maschi.

In generale il consumo a rischio riguarda il 15,8% degli italiani al di sopra degli 11 anni, per un totale di quasi 8 milioni e mezzo di persone. Tra esse in partico-lare circa 475.000 minori al di sotto dei 16 anni (il 18,5% tra i ragazzi e il 15,5% tra le ragazze), in cui il consumo dovrebbe essere pari a 0; e circa 3 milioni di anziani over 65 (il 44,7% dei maschi e l’ 11,3% delle femmine) in cui il consumo a rischio coincide prevalentemente con il consumo giornaliero non moderato, soprattutto durante i pasti.

La tipologia di consumo a rischio prevalente tra i

giovani è il consumo fuori pasto, che ha riguardato nel 2009 il 34,4% dei maschi e il 22,8% delle femmine di età compresa fra gli 11 e i 25 anni.

Gli alcoldipendenti in trattamento nei servizi pub-blici sono in costante aumento dal 1996 e nel 2008 ne sono stati rilevati 66.548. Fra essi in particolare la per-centuale dei giovani al di sotto dei 30 anni rappresenta il 10,2% del totale, con un valore in crescita rispetto a quello della precedente rilevazione (10%), soprattutto tra i nuovi utenti.

Nonostante la quota importante di popolazione esposta a una vasta gamma di rischi alcolcorrelati si segnala anche qualche positiva tendenza nella evolu-zione di alcuni indicatori di rischio, in relazione sia alla popolazione più giovane (diminuzione dei consumi fuori pasto tra i maschi di 14-17 anni, diminuzione degli atteggiamenti di tolleranza nei confronti dell’ubriachez-za tra da i giovani studenti di 15-19 anni, diminuzione della quota di giovani studenti che si ubriacano) che a quella anziana di oltre 65 anni (lieve diminuzione del consumo a rischio in entrambi i sessi).

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Ludopatia, in Emilia se ne parla Arriva il primo progetto di leggeÈ a firma del consigliere regionale Giuseppe Pagani il primo atto formalizzato per regolamentare il settore del gioco d’azzardo che mina persone e famiglie

di Gabriele Rossi*

Il gioco d’azzardo è divenuto ormai un fenomeno devastante sotto il profilo sociale, etico ed economico: si parla, in Italia, di circa 15 milioni di giocatori abituali. Terribili sono le sue ricadute in campo familiare. È un mercato ancora in fortissima espansione, in particolare il gioco d’azzardo on-line, che il Governo ha “benedetto” rendendo lo Stato un vero e proprio biscazziere.

I numeri che riguardano le persone coinvolte nel gioco d’azzardo patologico sono impressionanti: 800mi-la sono i giocatori già patologici che necessitano di cure appropriate (la ludopatia è considerata ormai a tutti gli effetti malattia sociale) con un costo sociale di circa 5-6 miliardi di euro. Inoltre, assommano a 300mila i giocatori a rischio patologico. L’industria del gioco d’azzardo ha un fatturato di circa 100 miliardi di euro, pari a circa il 4% del Pil nazionale; la spesa pro-capite (neonati inclusi) è di circa 1.323 euro l’anno a persona. Si stanno moltipli-cando, a livello di istituzioni locali, le azioni per con-trastare il gioco d’azzardo; purtroppo a queste giuste azioni si contrappongono i ricorsi ai Tar da parte delle società di gestione del gioco. La giurisprudenza attuale non aiuta, in quanto l’unica sentenza di riferimento è quella della Corte Costituzionale n. 300 del 10 novembre 2011 che consente alle Regioni di introdurre limiti all’at-tività delle sale giochi per tutelare i soggetti più fragili. Si può parlare, dunque, di una situazione caotica, di una specie di far west legislativo su questa materia. A ciò si aggiunge l’impegno di tante associazioni, tra cui l’As-sociazione Genitori (Age), per limi-tarne almeno gli effetti e la diffusione.

Altro dato allarmante: è stato documentato che i minori frequenta-no le sale dove si gioca d’azzardo e si effettuano scommesse; inoltre, ora il gioco online è divenuto accessibile a tutti.

Sull’argomento abbiamo chie-sto a Giuseppe Pagani, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e pri-mo firmatario di un progetto di legge regionale sul gioco d’azzardo, come si collochi questa proposta di legge e soprattutto quali obiettivi intenda perseguire.

«Non vi è una legge nazionale che disciplini organicamente il gioco

d’azzardo patologico, abbiamo lavorato per un anno con la consapevolezza di essere in un momento di incertez-za. C’è un ritardo di anni da parte della politica italiana nell’affrontare questo grave problema, che non riguarda solo i “giocatori” ma anche e soprattutto il complesso delle persone (familiari e non) che ruotano attorno al gio-catore affetto da «gioco d’azzardo patologico» (Gap): si parla di sette persone per giocatore. Ciò significa, nume-ri alla mano, circa 6 milioni di persone coinvolte».

«Non si può escludere – prosegue Pagani - anche una sorta di contiguità della politica con le società che gestiscono il gioco d’azzardo. L’Italia è il Paese che gio-ca di più in Europa ma è anche il Paese più arretrato per politiche di contrasto. Le famiglie sono lasciate sole. Il giocatore affetto da Gap assume comportamenti scon-volgenti, arrivando anche, per giocare, a rubare i soldi ai propri figli o, sul lavoro, ai propri colleghi».

Sul tema delle “distanze”, Pagani spiega: «Nel pro-getto di legge dell’Emilia-Romagna si specifica questa disposizione e s’impone una distanza minima di 500 metri da luoghi come istituti scolastici e altri frequentati prevalentemente da giovani o luoghi di culto e strutture sanitarie». Secondo Pagani, il decreto Balduzzi, converti-to nella legge 189 del 2012, è rilevante perché finalmente riconosce la ludopatia come malattia, ma non ha finan-ziato i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), in quanto il Ministero dell’Economia li ha di fatto bloccati.

«La legge regionale prevede interventi a favore dei giovani per la prevenzione, in collaborazione con istitu-zioni scolastiche, enti locali, Aziende Sanitarie Locali,

Terzo settore e Associazioni. C’è in-fine un dato che deve allarmare: a livello regionale il 41,7% di giovanis-simi tra i 15 e i 19 anni ha, nel 2011 - secondo un’elaborazione di Espad - almeno una volta praticato giochi in cui si scommettono soldi».

La Regione Emilia-Romagna in-tende rilasciare il marchio “Slot freE-R” agli esercenti di esercizi commer-ciali, ai gestori di circoli privati e ad altri luoghi deputati all’intrattenimen-to che scelgano di non installare nel proprio esercizio le apparecchiature per il gioco d’azzardo.

* Ufficio Nazionale Famiglia, Adolescenti e Giovani - Age

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Pediatri, dannoso per i ragazzi navigare più di tre ore al giornoDall’indagine della Società italiana di pediatria escono stili di vita pericolosi dei ragazzi di fronte al web ma anche il cattivo rapporto con l’attività motoria

È interamente da consultare l’indagine su “Le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti” della Società Italiana di Pediatra, appuntamento annuale fin dal 1987: è una sorta di osservatorio permanente sull’adolescenza italiana e un punto di riferimento – an-che fuori del mondo pediatrico – per coloro che, a vario titolo, si interessano alle problematiche legate a questo complesso e sfaccettato periodo della vita.

Qualche notizia? Quasi il 40% dei ragazzi nella fa-scia d’età 13-14 anni non pratica alcuna attività sportiva (oltre alle 2 ore settimanali previste dal calendario sco-lastico), o la pratica per meno di 2 ore a settimana. E la percentuale sale al 44% per quanto riguarda le ragazze. «Troppo poco», avverte Giovanni Corsello, presidente della Sip. A maggior ragione se si pensa che, sempre se-condo i dati dell’Osservatorio Sip, gli sportivi più dei se-dentari hanno pagelle da 10 e lode. I numeri smentisco-no dunque l’equazione “tutto muscoli e niente cervello”. Non risulta vero che i ragazzi che passano tanto tempo in palestra sono distratti e svogliati fra i banchi di scuola. Anzi, gli adolescenti innamorati di uno sport collezionano successi nella vita scolastica in percentuale maggiore rispetto ai sedentari: dichiara di “andare bene a scuola” il 56,5% degli sportivi, contro il 40,3% dei secondi. E que-sto dedicando allo studio quotidiano un numero di ore pressoché confrontabile.

«Un adolescente in questa fascia d’età - commenta Corsello - dovrebbe praticare almeno un’ora al giorno di attività fisico-sportiva, che non significa necessariamen-te attività agonistica, ma può essere anche solo correre in un parco. Un’esigenza connaturata alla specifica fase di sviluppo, ma che oggi diventa ancora più necessaria considerando sia lo stile di vita troppo sedentario dei nostri ragazzi, sia le abitudini alimentari spesso non cor-rette e sbilanciate in eccesso».

A sorpresa, stare più seduti in poltrona non invita neanche alla lettura. Gli sportivi risultano consumatori più accaniti di libri non scolastici: ne legge più di 6 il 18,2% contro l’11,4% dei sedentari. E sono anche più sani, assicurano gli autori dell’indagine.

V’è poi il rapporto dei ragazzi con la tecnologia e i mezzi di comunicazione. La Tv occupa ancora una parte significativa della vita (da 1 a 3 ore il 58,9%, guardata anche mentre si mangia dall’87% dei ragazzi). Il 45% ha in camera sia TV che PC, solo il 2,8% non utilizza il telefono cellulare. Molto utilizzato internet (più di 3 ore al giorno nel 21,3% dei casi).

L’eccesso di Internet influisce, negativamente, an-

che su comportamenti e abitudini non direttamente collegate all’uso della Rete. Gli adolescenti che navigano su Internet per più di tre ore al giorno hanno abitudini alimentari peggiori, sono più inclini al rischio, fumano e bevono di più, leggono di meno, hanno un rendimento scolastico inferiore, hanno comportamenti sessuali più “adultizzati”, praticano meno sport e lo fanno con un atteggiamento molto più orientato alla vittoria che alla pratica ludica.

Un quadro certamente non confortante se si consi-dera che questa “categoria” di adolescenti è in costante crescita. Cresce la fruizione di Internet (che ormai più es-sere considerata universale in quella fascia d’età); cresce la fruizione quotidiana (riguardava il 42% nel 2008 oggi riguarda oltre il 70%); per non parlare di Facebook, pres-soché inesistente tra gli adolescenti nel 2008, sul quale oggi ha un proprio profilo circa l’80%.

Sono stati anche confrontati i numeri tra i ragazzi nel loro complesso e quelli che fanno un uso massiccio di Internet. Sul totale, quelli che avrebbero un rendi-mento scolastico buono sarebbero il 52,6%, ma se si considerano solamente quelli che utilizzando il Web per tre ore o più al giorno, allora la percentuale scende al 36,5%. Addirittura il 24% ammetterebbe di adottare comportamenti definiti come “rischiosi”, salendo al 40% nel caso degli “appassionati” del Web. Ma c’è un altro dato che preoccupa: «La fruizione sempre più massiccia di Internet e, quindi, la sempre maggiore conoscenza dello strumento – commenta Maurizio Tucci, curatore delle indagini Sip – invece di indurre i giovani utenti ad atteggiamenti più consapevoli e quindi più prudenti (il che potrebbe rappresentare un positivo contrappeso), li spinge ad assumere comportamenti sempre più liberi e trasgressivi. In ciò si evidenzia quan-to sia carente una adeguata formazione ed informazio-ne, da parte degli adulti di riferimento, su un corretto utilizzo del mezzo».

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Marijuana, adolescenti a rischioL’influenza dell’atteggiamento dei genitori

Due studi internazionali segnalati dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei mi-nistri. Il primo. Un sempre più cospicuo numero di ricerche neuropsicologiche e di neuroimmagine dimostra che l’e-sposizione alla marijuana in adolescenza distrugge i processi di maturazione corticale che avvengono du-rante questa importante fase dello sviluppo del siste-ma nervoso centrale. Obiettivo principale di un recen-te studio americano è stato quello di investigare se bassi livelli di glutammato nella corteccia cingolata anteriore riscontrati in soggetti adolescenti consumatori cronici di marijuana siano associati a bassi livelli di acido gamma aminobutirrico (Gaba). È stata utilizzata la spettroscopia con risonanza magnetica in un campione di adolescenti che fumano abitualmente marijuana (almeno 100 volte in un anno) per confrontare il loro pattern metabolico cerebrale rispetto a un gruppo di soggetti di controllo non consumatori. Il gruppo dei consumatori ha dimostra-to una riduzione significativa (22%) del livello di Gaba e una contemporanea  riduzione (14%) di glutammato ri-spetto al gruppo di controllo. La ricerca offre una confer-ma circa la presenza di disfunzioni metabolico-funzionali a livello di corteccia cerebrale negli adolescenti che fu-mano abitualmente cannabis.

La seconda ricerca. L’atteggiamento dei genitori influenza i pensieri e i comportamenti dei figli, anche rispetto a tematiche come l’uso di droga. Secondo

una recente indagine americana pubblicata sulla rivista Human Communication Research, messaggi sinceri e inequivocabili antidroga favoriscono negli adolescenti atteggiamenti contrari all’uso. I ricercatori hanno esami-nato l’influenza del dialogo genitori-figli rispetto all’uso di alcol, sigarette e marijuana nei giovani, coinvolgendo nello studio adolescenti americani di 11-13 anni, di origi-ne latina ed europea.

I ricercatori hanno individuato specifiche argomen-tazioni che i genitori potrebbero impiegare, e che risulte-rebbero efficaci nel favorire atteggiamenti antidroga e che disincentiverebbero l’uso di sostanze, in particolare, di alcol nei giovani di origine latina e di marijuana nei giovani di origine europea.

Oltre alla esplicita disapprovazione dell’uso, i ge-nitori possono parlare delle conseguenze negative, di come evitare il contatto, stabilire regole contrarie all’u-so, riportare esperienze negative di conoscenti coinvolti nell’uso di sostanze. Il dialogo si dimostra quindi uno stru-mento efficace nell’influenzare gli atteggiamenti dei figli. Questo studio, inoltre, si distingue per il fatto di analizzare l’influenza del racconto di esperienze personali dei geni-tori con le droghe sui comportamenti e gli atteggiamen-ti degli adolescenti. Dai risultati emerge che parlare di esperienze passate sull’uso di sostanze, pur sottolinean-done le conseguenze negative, indebolirebbe gli atteg-giamenti antidroga nei giovani.

Mi drogo di vitaUn commento all’ennesima indagine sull’uso di sostanze stupefacenti nelle scuole del nostro Paese

di Gianni Nicolì*

In termine tecnico si chiamano sostanze psico-trope, perché dilatano e deformano la coscienza. Co-munemente si chiamano droghe. Torniamo a parlarne perché un’ennesima indagine, quella più recente dell’E-spad, dell’Istituto di Fisiologia clinica del Cnr, confer-ma in Italia un aumento generalizzato dell’uso di varie sostanze presso i giovani consumatori, circa 600.000 utenti a vario titolo, un quarto del totale della popola-zione scolastica. È sempre una notizia preoccupante anche se non si può dire sia una novità.

Su questo aspetto della vita sociale, che è quasi superfluo definire problema, dobbiamo risolvere alcune questioni spesso date per scontate:

Le droghe non fanno più o meno male, ma sono estremamente dannose e devastanti perché entrano nel circuito neurolettico (leggi funzionamento

del cervello). Provocano danni irreversibili, non basta smettere per tornare come prima. Tra l’altro è scientifi-camente dimostrato che chi non si droga ha un cervello ricchissimo di droghe naturali che il corpo si autopro-duce. Quindi è più sanamente drogato chi non si droga.

Il problema purtroppo non riguarda solo i gio-vani, ma troppi adulti. Le Iene dimostrarono che anche molti parlamentari, della passata legislatura, si drogava-no. Dobbiamo aiutare i giovani a comprendere che non “fa figo” farsi, anzi è il contrario: la felicità non sta nei luoghi di spaccio e di sballo, discoteche incluse.

Tanto è stato fatto contro la droga, eppure i risul-tati sono disarmanti al punto che si evidenzia che c’è una parte, consistente, della popolazione che la vuole e un’altra parte, più ampia, che ne contrasta l’uso. Atten-diamo una ricerca che ci dica perché gli altri tre quarti della popolazione scolastica non abusano: sarebbe a questo punto assai interessante studiare le ragioni di chi non utilizza sostanze. L’insuccesso di molte cam-pagne contro la droga dimostra la nostra debolezza educativa, cioè l’incapacità di delineare, per i nostri gio-vani, orizzonti gratificanti e significativi per i quali non ci si frigge inutilmente il cervello. La battaglia per una vita integra passa indicando e praticando il bene, il buono e il bello, in modo così intenso, che non ci deve essere posto per altro!

* Ufficio nazionale Age per la Scuola e l’Università

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Prevenire il fumo di sigaretta Tre ricerche su famiglia e scuolaIl Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio segnala tre studi internazionali che si occupano soprattutto del ruolo delle mamme

Visto il dilagare del consumo di sostanze stupe-facenti, si parla un po’ meno oggi del problema del fumo di sigararette, a parte il dibattito stucchevole se la sigaretta elettronica fa bene o fa male. Tre stu-di internazionali segnalati dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, pongono l’attenzione su tre diversi aspetti del proble-ma.

Il primo studio. Vedere le madri fumare rende più inclini gli adolescenti alle sigarette.È stato dimostrato che il fumo materno durante la gravidanza è associato con l’età di inizio del fumo nei figli, con lo status di fumatore, con il livello di consumo di sigarette e di dipendenza dalla nicoti-na, con la progressione del fumo quotidiano. Sono diversi i possibili meccanismi ipotizzati per spiegare questa relazione, che possono essere genericamente classificati in meccanismi diretti e meccanismi indi-retti. Il principale meccanismo diretto sarebbe quello fisiologico. Il più importante meccanismo indiretto sarebbe invece quello che passa per i problemi com-portamentali, dei quali il fumo sarebbe una manife-stazione. Tra le ipotesi proposte per il meccanismo indiretto, è stata avanzata anche quella in base alla quale sarebbe il comportamento materno rispetto al fumo durante l’adolescenza dei figli a influenzare il rapporto con le sigarette di questi ultimi.

Uno studio, realizzato in California, su 6.349 giovani dai 14 anni in su ha dimostrato che la media-zione dei problemi comportamentali, di cui il fumo è uno delle manifestazioni, ha riguardato maggiormen-te i figli di donne che hanno sempre fumato, anche durante la gravidanza, e di donne che pur avendo smesso durante la gravidanza hanno ripreso succes-sivamente. Questo meccanismo di correlazione po-trebbe essere dovuto a una predisposizione genetica come anche essere il risultato dell’ambiente condi-viso da madri e figli. Questi risultati, in conclusione, suggeriscono che gli interventi per ridurre il fumo tra i giovani dovrebbero essere sempre associati alla ridu-zione dei fattori familiari, come lo stress familiare, le convinzioni e le regole insegnate ai figli.

La seconda ricerca. Fumare in gra-vidanza modifica la struttura anatomica del cer-vello del nascituro. Nonostante siano noti i danni provocati dalla nicotina attraverso l’esposizione pre-

natale, sono ancora poche le ricerche che si occupa-no di studiare gli effetti a lungo termine del fumo di sigaretta, specialmente per lo sviluppo del cervello, durante la gestazione. Uno studio canadese dell’Uni-versità di Lethbridge ha voluto esaminare la presenza di cambiamenti morfologici nella struttura neurona-le, nella corteccia prefrontale media, nella cortec-cia orbitale, nella corteccia parietale, in seguito ad esposizione prenatale alla nicotina. Gli autori hanno utilizzato delle cavie femmina somministrando loro nicotina o una soluzione salina durante tutta la ge-stazione. Alla nascita, i cuccioli sono stati esaminati mediante la tecnica di colorazione argentica o Golgi-cox, in grado di evidenziare le strutture del tessuto nervoso. L’analisi neuroanatomica è stata effettuata su 18 aree del cervello: tra queste 11 hanno mostrato una significativa differenza morfologica della densità delle spine dendritiche apicali e basali nella corteccia parietale. La modifica anatomica è inoltre risultata associata al sesso dell’animale studiato. Il dato inte-ressante emerso dallo studio è la scoperta di cam-biamenti dendritici nei ratti con esposizione prenatale alla nicotina simili a quelli trovati in ratti a cui era sta-ta somministrata nicotina in età adulta. La scoperta di cambiamenti precoci nell’anatomia e nel compor-tamento di animali esposti all’effetto della nicotina durante la fase prenatale ha importanti implicazioni per comprendere i fenomeni della plasticità cerebrale e degli effetti a lungo termine di tale sostanza sulle strutture nervose ancora in fase di sviluppo.

Curiosa la terza ricerca. Scuole con regole più rigide sottraggono i ragazzi al vizio del fumo. Uno studio, effettuato in Canada, ha vo-luto descrivere l’associazione tra la bassa tolleranza nei confronti del fumo nelle scuole, nei ristoranti e negli spacci vicini agli istituti e l’avvicinamento alle sigarette da parte degli studenti. È emerso che gli studenti che frequentano scuole poco o affatto tolle-ranti rispetto al fumo hanno meno probabilità di ini-ziare a fumare rispetto ai ragazzi di istituti tolleranti. Allo stesso modo, i ragazzi che frequentano negozi e ristoranti poco intolleranti rispetto al fumo, hanno meno probabilità di avvicinarsi al tabacco.

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Giovanissimi con i piedi per terra e le radici nei valori della famigliaL’Age prosegue la collaborazione con il Concorso promosso dall’Associazione amici dell’Università Cattolica. Premiati anche i genitori

di Marco D’Adda*

Quest’anno la premiazione dei vincitori del con-corso “Con i piedi per terra” si è svolta il 10 maggio a Ravenna: per la prima volta vi era un premio anche per la categoria genitori, offerto dall’Age, che ha fatto parte an-che della commissione di valutazione con Age Lombar-dia ed era rappresentata alla premiazione dal presidente Age Ravenna, Daniele Polgrossi, e dal presidente Age provincia di Milano, Marco D’Adda.

Circa 5.000 elaborati, soprattutto da parte degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo gra-do, a sottolineare quanto sia alto e sentito il valore delle “radici” e della famiglia fra i giovani di oggi: è questo il messaggio positivo che viene dal concorso, come è stato sottolineato anche dal sindaco di Ravenna e dal rappresentante del Vescovo. Abilmente condotta da Francesca Fialdini, nota conduttrice televisiva, si è poi svolta una tavola rotonda con testimonianze di un avvocato di Milano, figlio di un “vu cumprà” senegalese, e una scrittrice, indiana di nascita ed adottata bambina da una famiglia italiana. Poi due educatori del carcere di Bari hanno raccontato la loro esperienza di insegnanti nel carcere minorile locale. A conclusione sono stati con-segnati i premi ai vincitori di tutte le categorie. Un premio speciale è stato dato alla scuola con il maggior numero di partecipanti, oltre 400 elaborati.

Per i genitori il tema del concorso era “In ogni fa-miglia c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessuna altra famiglia. Scrivi un post per il nostro blog in cui racconti una caratteristica, un episodio, una situazione che rende unica la tua famiglia”. Ha vinto il premio una mamma di Arma di Taggia (Im), Stefania Lombardi con il seguente racconto:

«Gli occhi dei miei figli sono indaco, come il mare di notte, come il cielo quando viene sera. Sono gli stessi occhi della loro nonna e della loro bisnonna, donne li-bere e fiere. Donne zingare. Già, perché la nostra è una famiglia mista, dove il sangue italiano si mischia a quello slavo, la religione cattolica convive pacificamente con quella islamica, le tradizioni comuni al nostro popolo si integrano con le usanze millenarie del popolo rom. Io, avvocato, di famiglia tipica medio borghese, tradizionali-sta, sono sposata da 11 anni con un uomo che viene dai profondi Balcani, di famiglia povera ed errante. Abbiamo due figli, nati da questo nostro amore tanto contrastato dai ben pensanti quanto difeso da noi due soli con tutte le nostre forze, ma solido e forte malgrado tutto. Tra

noi non ci sono conflitti, prevaricazioni, discriminazioni: siamo una famiglia che crede nel rispetto della diversi-tà, nel diritto di essere ciascuno libero di fare le proprie scelte, libero di pregare Cristo oppure Allah, perché alla fine Dio è unico e non importa come lo chiamiamo, se lo invochiamo con il cuore Lui ci sente. Noi parliamo italia-no e bosniaco, mangiamo pizza e sarma, festeggiamo Natale ed Eid, balliamo e cantiamo musica italiana e mu-sica gitana. Ci piace camminare scalzi per sentirci più vi-cini alla terra, accettiamo la ricchezza e la povertà con la stessa allegra indifferenza, viviamo ogni giorno come se fosse l›ultimo. Perché siamo liberi, siamo figli del vento. In tutta questa caotica diversità c›è un unico, fortissimo filo che ci lega: l›amore. L›amore e nient›altro».

Segnaliamo anche un elaborato, scritto da un geni-tore di Milano, Alessandro Fratelli: «Il trasloco di Nata-le! Ogni anno e sempre prima in anticipo sui tempi...Ale il papà, Alby il maggiore, Giacomo il furbo, sono coin-volti da Stefania la mamma nel trasloco di Natale. Cos’è il trasloco di Natale? È il principale evento socio-ludico-pedagogico-teamworking della famiglia tutta! È il mo-mento in cui, in quattro, facciamo tre viaggi dalla cantina all›abitazione per prendere scatole e scatole di materiale che Stefania la mamma nel tempo ha acquistato e cre-ato per trasformare l›abitazione in un villaggio natalizio! È un momento non privo di tensioni (attenzione a non rompere nulla!) e di suspense (dov›è finito l›albero!) ma anche di forte coesione familiare (a tutti piace il villaggio Natalizio alla fine!!!) e dove alla fine il tema ricorrente so-no le risate per prendere in giro Stefania la mamma che però lo riconosciamo, alla fine, grazie al suo impegno e creatività ci regala un›atmosfera speciale!»

* Presidente Age Provinciale di Milano

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Media e minori, parole chiare sulle istituzioni a tutela dei bimbi Sono tanti gli organismi attivati per proteggere i più piccoli dai mass media ma attraversano una crisi profonda. È ora di coordinare le forze e gli sforzi

Sembra oggi smarrita in Italia, Paese da decenni tra i meno prolifici al mondo, una vera cultura dell’in-fanzia e dell’adolescenza. Di questo problema il mondo dei media è diventato la «vetrina» più evidente, attraverso episodi di cyberbullismo, di sexting in rete, di uso precoce e rischioso dei social network, di dipen-denza dall’uso di computer e di cellulari, per non par-lare dei video giochi, dell’azzardo online, di programmi televisivi trash, di film in circolazione senza divieti, che impressionano anche gli adulti. Sotto la spinta di nume-rosi atti violenti compiuti da minori, gli Stati Uniti, con il loro presidente Obama, stanno seriamente decidendo di tutelare i minori impedendo la diffusione di violenza al cinema e in Tv: in Italia pare che questo problema non interessi proprio nessuno. Stiamo attendendo eventi drammatici di cronaca per aprire gli occhi?

Le istituzioni a tutela dei minori in Italia esistono, ma negli anni si sono sempre più affievolite, come nel caso eclatante, di cui quasi nessuno più parla, del Co-mitato Media e Minori, istituito da una legge (Decreto legislativo 177/05, come modificato dal Decreto legisla-tivo 15 marzo 2010, n. 44), senza Presidente da più di un anno. Per impedire che questo organismo muoia perché il Ministero dello Sviluppo economico, compe-tente in materia, non provvede alla nomina, l’Age, insie-me ad altre realtà, fra cui il Codacons, il Cgd e altre, ha formalmente inviato una diffida al Ministero. Attendiamo notizie.

Il Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu) pres-so l’Agcom, ha attraversato una crisi con le dimissioni del Presidente Borgomeo: formuliamo i migliori auguri alla presidente neoeletta Angela Nava (un rappresen-tante di genitori ci voleva!). Il Cnu inoltra segnalazioni all’Agcom, promuove audizioni, cerca contatti. Ma i risultati sono scarsi, forse perché questi argomenti pa-iono sollevati in antagonismo al mondo delle aziende. Non si hanno notizie, per esempio, della proposta di legge presentata a novembre 2012 per limitare la pub-blicità dei giochi di fortuna online: in un Parlamento che era a scadenza nessuno ha voluto impegnarsi in una partita ritenuta delicata, e ci ritroviamo a sperare nei nuovi eletti. 

La Commissione bicamerale per l’infanzia, collegata all’Osservatorio nazionale dell’infanzia, ha rallentato nel tempo la sua attività.

La Commissione di revisione cinematografica presso la direzione Cinema del Ministro dei Beni cultu-rali dovrebbe valutare i film nell’ottica dell’applicazione

di divieti volti ad escludere i minori dalla visione di film inadatti, ma le pressioni sono talmente forti da rendere vani gli sforzi dei genitori presenti, peraltro già mino-ranza per i criteri di una legge ormai vecchia, che risale agli anni ’60: la Commissione ha il compito di consi-derare il valore educativo e/o diseducativo delle opere cinematografiche, in riferimento ai minori. Non è una commissione di censura, ma pochi l’hanno capito, e il ruolo dei genitori è considerato quello di bacchettoni attenti a misurare i centimetri di pelle scoperti. Comun-que, la legge è completamente da riscrivere.

Esiste, e forse lo sanno in pochi, anche l’Istituto per l’Autodisciplina pubblicitaria, al quale il citta-dino può inoltrare specifiche segnalazioni. Così come da qualche tempo ha preso il via il Comitato per la Sicurezza nella Rete, che riunisce circa cinquanta fra istituzioni, associazioni, gestori e provider.

Con queste istituzioni (superstiti, o poco note) do-vrebbe collaborare attivamente  il Garante nazionale per l’infanzia, realtà di recente istituzione (legge n.112 del 12 luglio 2011), che ha ottenuto solo da pochi me-si un regolamento per le sue attività. Speriamo che il Garante non debba limitarsi a partecipare a convegni e occuparsi di situazioni estreme, come se fosse un difensore civico: a lui potrebbe competere davvero la promozione di una cultura dell’infanzia nel nostro Pae-se, lavorando d’intesa e in rete con l’associazionismo e le altre istituzioni.

Sembrerebbe arrivata l’ora di tentare di coordi-nare forze (poche) e sforzi (molti). È da coinvolgere la scuola, realtà che, pur tra mille difficoltà e incertezze, si occupa quotidianamente dell’educazione dei no-stri figli. La duplicazione di Comitati e Organismi ha disperso le forze, e soprattutto disorienta il genitore che si chiede, concretamente “a chi devo rivolgermi? Cosa fare se ritengo che un messaggio pubblicitario, un film, un sito internet siano offensivi o pericolosi per la crescita di mio figlio?”. Ci insegnavano che, in Italia, se vuoi insabbiare un problema, crei una commissione, un nuovo organismo. Sul delicatissimo tema dei minori e dei media è ora di cambiare rotta. Qualche potentato economico non sarà contento, ma si tratta ora di de-cidere, una volta per tutte, se i ragazzi stanno a cuore al nostro Paese: insieme ad una grande opera edu-cativa e formativa, bisogna connettere, collegare, semplificare e dare forza (sanzionatoria e non so-lo) a uno – due organismi dei quali tutti i cittadini siano informati.

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Educazione e Byte senz’anima, i media non si fabbrichino alibiElisa Manna, ricercatrice del Censis, dati alla mano dimostra l’impatto che tv, pubblicità, web hanno sui giovani e le famiglie

di Davide Guarneri

La nostra biblioteca di genitori attenti alla realtà dei mass media, sempre più presente e determinante nella vita nostra e dei nostri figli, si arricchisce di un altro interessante libro, realizzato da un’amica dell’Age, Elisa Manna, ricercatrice del Censis e membro del Consiglio nazionale degli Utenti. “Anima e byte” è un libro che indaga le trasformazioni culturali e valoriali causate dai media, tutti, dalla Tv a internet: il sottotitolo “Media, valori e nuove generazioni” evidenzia, appunto, che i media, di fatto, esercitano un ruolo determinante nella costruzione delle personalità, nello sviluppo del cervello, nella definizione dei bisogni.

Come sarà il futuro? È una domanda che ricor-re spesso, soprattutto oggi, ma che quasi sempre ci poniamo riguardo al benessere economico, molto più raramente in relazione ai valori in cui credere, ai princìpi da considerare davvero importanti, all’anima che carat-terizzerà le nostre relazioni. Non si tratta di schierarsi unilateralmente a favore o contro i media: si tratta, piut-tosto, di avere consapevolezza di quanto avviene sotto i nostri occhi, cioè, come dice Elisa Manna, «il cambia-mento della struttura del nostro modello culturale».

Il libro fa emergere alcuni possibili effetti dei me-dia sulla concezione della vita dei giovani: consumi-smo, banalizzazione dei sentimenti, paura, indifferenza e diffidenza sociale, impoverimento linguistico e nei processi di apprendimento, intolleranza, aggressività, concezione oggettificata della donna e così via. Tali ef-fetti sono individuati in base ai risultati di moltissime ri-cerche internazionale sul tema, peraltro (stranamente?) sconosciute in Italia.

Siamo consapevoli, per esempio, di quale impat-to abbia la presenza continua di messaggi pubblicitari all’interno della vita familiare? Ricerche, soprattutto nel Nord Europa, dimostrano che la pubblicità si insi-nua soprattutto nei bambini, in particolare in famiglie meno abbienti e con cultura inferiore. L’impossibilità di corrispondere sempre alle richieste dei bambini genera disagio, stress, conflitto fra i genitori. Forse anche per questo molti Paesi europei (Italia rigorosamente esclu-sa) vietano e sanzionano la presenza di pubblicità nei programmi e nei canali per bambini?

Pubblicità e amicizia, pubblicità e sentimenti, te-levisione e amore, media e sessualità, media e disturbi alimentari, media e aggressività, cronaca e diffusione di indifferenza oppure di paure, percezione della realtà ed

equilibrio: sono alcune delle coppie di parole sulle quali viene presentato abbondante materiale, sempre con uno stile espressivo facile, non superficiale, nello sforzo di accrescere la consapevolezza diffusa di genitori e in-segnanti, perché siano maggiormente coscienti rispetto ai messaggi mediatici e più capaci di interagire.

Bisogna sviluppare consapevolezza, certo, attra-verso la conoscenza, ma anche, chiamare alla respon-sabilità, ci dice Elisa Manna: è certamente importantis-simo il ruolo di genitori ed educatori, della scuola, ma ciò «non deve trasformarsi in alibi assolutorio per quan-ti – emittenti televisive, compagnie telefoniche, provider – hanno responsabilità editoriali o veicolano contenuti».

Dopo 102 pagine di libro (non è così impossibile leggerlo tutto d’un fiato), forse anche noi realizzeremo di essere un poco dipendenti dai media. Un’indagine in California ha mostrato, nel 2011, che molti adolescenti e adulti giungono a controllare gli sms, la posta elettro-nica o il proprio social network “continuamente” oppure “ogni quarto d’ora”: le conseguenze su concentrazione, rendimento scolastico, relazioni sociali sono facilmente prevedibili. La distanza fra California e Italia è davvero minima, forse. Sappiamo davvero di cosa parliamo quando dissertiamo di scuola, didattica e riforme, ap-prendimento, adolescenti, mass media?

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Scuola più efficace ed efficiente L’Italia si allinea agli altri PaesiIl Consiglio dei ministri ha approvato il Sistema nazionale di valutazione La presentazione dei punti chiave, almeno come sono stati scritti sulla carta

Dopo un percorso cominciato nel 2001, il Consiglio dei Ministri ha approvato su proposta del Mi-nistro dell’istruzione, università e ricerca, in via definitiva, il Regola-mento che istituisce e disciplina il Sistema Nazionale di Valutazio-ne (Snv) delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative accredi-tate dalle Regioni.

L’Italia si allinea così agli al-tri Paesi Europei sul versante della valutazione dei sistemi for-mativi pubblici, e risponde agli impegni assunti nel 2011 con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strut-turali 2014/2020. Il regolamento ha concluso il suo iter di appro-vazione avviato il 24 agosto 2012 data in cui è stato presentato in 1° lettura al Cdm, do-po aver superato tutti i passaggi prescritti dall’art.17, comma 2, della legge n. 400/88.

Il Sistema Nazionale di Valutazione ha lo scopo di dare al Paese un servizio fondamentale per poter aiu-tare ogni scuola a tenere sotto controllo gli indicatori di efficacia e di efficienza della sua offerta formativa ed impegnarsi nel miglioramento; fornire all’Ammini-strazione scolastica, agli Uffici competenti, le informa-zioni utili a progettare azioni di sostegno per le scuole in difficoltà; valutare i dirigenti scolastici e offrire alla società civile e ai decisori politici la dovuta rendicon-tazione sulla effettiva identità del sistema di istruzione e formazione.

Il Regolamento dà attuazione alla delega conferita al Governo con il decreto legge n.225 del 2010 con-vertito in legge n.10 del 2011 e costituisce un rilevante passo avanti nel percorso cominciato con il decreto legislativo 286 del 2004.

Il Snv si impianta sull’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazio-ne, che predispone tutti gli adempimenti necessari per l’autovalutazione e la valutazione esterna delle scuole; sull’Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, in-novazione e ricerca educativa, che può supportare le scuole nei piani di miglioramento; su un contingente di Ispettori definito dal Ministro che ha il compito di gui-dare i nuclei di valutazione esterna.

L’Invalsi ha anche il coordina-mento funzionale dell’Snv.

Il procedimento di valutazione si snoda attraverso quattro fasi es-senziali: la prima fase è quella del-la autovalutazione delle istituzioni scolastiche, sulla base di un fasci-colo elettronico di dati messi a di-sposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione (“Scuola in chiaro”), dell’Invalsi e delle stesse istituzioni scolastiche, che si conclude con la stesura di un rapporto di auto-valutazione da parte di ciascuna scuola, secondo un format elettro-nico predisposto dall’Invalsi e con la predisposizione di un piano di miglioramento.

La seconda fase è la valuta-zione esterna da parte di nuclei coordinati da un di-rigente tecnico sulla base di protocolli, indicatori e programmi definiti dall’Invalsi, con la conseguente ridefinizione dei piani di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche.

Il terzo passaggio prevede azioni di miglioramento con l’eventuale sostegno dell’Indire, o di Università, enti, associazioni scelti dalle scuole stesse;

La fase conclusiva è quella della rendicontazione pubblica dei risultati del processo, secondo una logica di trasparenza,di condivisione e di miglioramento del servizio scolastico con la comunità di appartenenza.

Sono più di 1300 le istituzioni scolastiche che, durante l’anno scolastico 2012/2013, hanno già segui-to in via sperimentale secondo diverse modalità que-sto percorso che è stato presentato e condiviso, all’ interno di specifiche conferenze di servizio, con tutti i dirigenti delle scuole italiane e i docenti referenti per la valutazione.

Tra gennaio e marzo 2013 tutti i dirigenti delle scuole italiane e i docenti referenti per la valutazione (circa 26.000 persone), hanno infatti partecipato a seminari di presentazione del regolamento. Da metà marzo tutte le scuole dovrebbero avere a disposizione il fascicolo “scuola in chiaro” e il format per costruire il proprio rapporto di autovalutazione e, dal prossimo an-no, gli strumenti messi a punto dal progetto sperimen-tale Vales saranno disponibili per tutte le scuole.

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Valutazione, le sperimentazioni delle scuole e del loro personaleUna sintesi delle principali esperienze condotte finora negli istituti scolastici dal Vsq al Vales, da Vm a Caf: tante sigle per tentare di migliorare il sistema

Valutazione per lo sviluppo della qualità (VSQ): programma operativo sul triennio della scuola media in-feriore (2011-2013). In esso la performance della scuo-la, oggetto di valutazione nel suo insieme e senza che ne discendessero elementi di valutazione del personale (del dirigente scolastico o dei docenti al suo interno) ivi operante, è basata sulla combinazione di due elementi, i guadagni cognitivi conseguiti nel tempo dai suoi allievi e una serie di giudizi sintetici sui processi posti in esse-re dalla scuola per come rilevati a mezzo di una visita valutativa esterna. Le visite valutative esterne, svolte nel 2011, oltre a fornire una serie di giudizi sintetici sul-la qualità dei processi in essere nella scuola, avevano anche da svolgere una funzione diagnostica e consul-tiva sul come “migliorare” tale qualità. In VSQ le scuole sono state chiamate innanzitutto a “competere” tra di loro, nel senso che già alla fine della prima tappa – sulla base del valore aggiunto misurato sulla base degli ap-prendimenti in I media (nel 2011) e di quelli in V prima-ria (nel 2010) dei loro alunni, nonché di una serie di giu-dizi sintetici espressi nel 2011 dai valutatori esterni. Le scuole piazzate per prime hanno ricevuto un ammonta-re di risorse spendibili per interventi di miglioramento, in qualche caso peraltro allocato in parte come premio diffuso al personale. Attualmente è in corso la seconda ‘tappa’ del progetto che vede di nuovo in campo tutte le scuole partecipanti per l’attribuzione di un premio finale. La valutazione è condotta nel medesimo modo della tappa precedente.

Valutazione e sviluppo (VALES): programma ope-rativo sul triennio 2013-2015 che prevede una prima fase valutativa, finalizzata alla definizione di interventi di miglioramento da porre in essere nel biennio successivo e sulla cui base definire obiettivi – e connessa valutazio-ne ex post del loro conseguimento – in capo al dirigente scolastico. La fase valutativa si articola in un momento di autovalutazione ed in una successiva visita di un team di valutatori esterni, lungo linee che richiamano quanto a regime previsto dal Regolamento SNV approvato l’8 marzo 2013, in cui però la valutazione esterna interver-rebbe solo in via eventuale – non quindi ogni anno in tutte le scuole - e con priorità da dare alle scuole consi-derate in condizioni critiche. La sollecitazione alle scuole, alla base del processo di autovalutazione, avviene a seguito di stimoli “esterni” da parte dell’INVALSI e del MIUR, configurandosi quindi come una autovalutazione “guidata”. Rilevanza hanno quindi in questo contesto le misurazioni degli apprendimenti, e in prospettiva quindi anche misure di valore aggiunto e non solo di livello di questi, e più in generale gli esiti formativi cioè l’output della scuola. Per individuare cosa e come migliorare la scuola, i valutatori esterni sono chiamati a considerare criticamente i processi in atto.

La natura non premiale di VALES, e la percezione di poter ottenere ciò nonostante risorse spendibili nella sin-gola scuola, ha portato ad un elevato numero di adesioni al progetto, che sono state successivamente “raziona-te”. Per motivi di risorse 200 delle 300 scuole parteci-panti sono peraltro localizzate nelle regioni Obiettivo 1 e quindi potranno beneficiare anche delle risorse di cui ai fondi strutturali comunitari che finanziano interventi e progetti aggiuntivi rispetto al funzionamento ordinario della scuola. Poiché queste risorse seguono loro proprie regole la loro spendita sarà in parte almeno disgiunta dai processi di valutazione e definizione di un piano di mi-glioramento vigenti nel progetto

VALES. Percorso formativo dirigenti scolastici di nuova nomina: anche i dirigenti scolastici di nuova nomina stanno replicando il percorso valutativo delle scuole VALES con tre importanti eccezioni. La prima è l’assenza nel loro caso di un momento di valutazione esterna. La seconda è che taluni strumenti statistici de-finiti per le scuole VALES non sono disponibili per quelle dirette dai neo dirigenti (in particolare le indagini sul cli-ma presso studenti, docenti e genitori). La terza è che non sono previste per queste scuole risorse aggiuntive

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a sostegno dei piani di miglioramento definiti a seguito della valutazione della scuola. I dirigenti in altri termini sono stati sollecitati ad avviare un percorso di autova-lutazione che, nel loro caso, è innanzitutto una sorta di inventario approfondito della situazione ove sono stati chiamati ad operare, analisi dalla quale ricavare indica-zioni sul che fare.

Valutazione e Miglioramento (VM): progetto che coinvolge scuole interessate a sperimentare una serie di strumenti di valutazione che in parte si sovrappongono ed in parte differiscono dagli strumenti VALES. Le prin-cipali differenze rispetto a quest’ultimo sono riassumibili in quattro elementi. A parte le risorse derivanti dai fondi comunitari nelle regioni dell’Obiettivo 1 – rispetto al cui utilizzo le scuole partecipanti a VM ricevono un supporto nella definizione dei necessari documenti programmatori a tal fine comunque necessari – le scuole VM non rice-vono in generale alcun supporto finanziario per la messa in atto di interventi di miglioramento. Specularmente, non vengono neppure definiti obiettivi con valenza con-trattuale da porre in capo al dirigente scolastico. Quanto al percorso di valutazione, le scuole VM non partono da un processo di autovalutazione guidata e tematizzata, da svolgere a monte della successiva valutazione esterna. L’autovalutazione avviene al contrario a valle dell’inter-vento d’un team di valutatori esterni e reagirà, oltre che alle generali sollecitazioni derivanti dal flusso di ritorno delle rilevazioni INVALSI e dei dati di sistema forniti dal MIUR (disponibili per l’universo delle scuole), alle specifi-che sollecitazioni sul cosa si possa migliorare fornite dai valutatori esterni. La costruzione d’un proprio rapporto di autovalutazione ha quindi importanza ridotta. Sul piano degli strumenti di valutazione adoperati, le scuole VM sperimentano aggiuntivamente uno strumento di osser-vazione in classe dei docenti, il cui scopo peraltro non è valutare (tutti) i singoli docenti delle scuole in questione e neppure desumerne un giudizio sintetico sulla scuola nel suo complesso, bensì definire uno strumento che pos-sa successivamente esser messo a disposizione delle singole scuole per fornire un feedback ai propri singoli insegnanti.

Valorizza: un progetto, durato solo una annualità (il 2010-11) e poi non più rinnovato, al cui interno si sono distribuiti premi finanziari ai singoli docenti individuati come “i migliori” all’interno della singola scuola parte-cipante. La tecnica d’individuazione dei “migliori” si è basata su un metodo reputazionale. La sperimentazione ha innescato, come peraltro VSQ, intense opposizioni sindacali, nonostante il metodo reputazionale abbia di-mostrato, sul piano tecnico, una certa solidità, nel senso che i giudizi delle diverse componenti all’interno della scuola sono in genere risultati piuttosto concordanti.

Common Assessment Framework (CAF). Mo-dello di autovalutazione. Il progetto ha mirato ad av-viare processi di autovalutazione da parte delle singole scuole, supportando l’attivazione di un ciclo integrato

di programmazione, valutazione e comunicazione delle performance nelle istituzioni scolastiche, attraverso l’u-tilizzo guidato del Modello Europeo di autovalutazione CAF nella versione Education. Gli aspetti enfatizzati sono quelli della trasparenza e rendicontabilità del servizio erogato, nonché della partecipazione degli stakeholders. L’intervento è articolato nelle seguenti fasi: formazione del personale scolastico sul Modello CAF; sperimenta-zione guidata, tramite metodologi di accompagnamento, del modello di autovalutazione all’interno delle scuole partecipanti; elaborazione di Rapporti di Autovalutazione e di Piani di Miglioramento da parte delle scuole. L’ac-compagnamento ha fatto leva sulla presenza presso gli Uffici Scolastici Regionali dei Poli Qualità e sull’esistenza sul territorio di reti di scuole . Attualmente sono coin-volte 316 istituzioni scolastiche volontarie nelle Regioni Obiettivo Convergenza in fase di attuazione dei piani di miglioramento; altre 160 sono in fase di avvio dell’auto-valutazione con il modello CAF. Il progetto si configura di fatto come un’azione formativa sull’autovalutazione finalizzata al miglioramento continuo basata sul modello CAF. Questo di per sé va inquadrato come un approccio gestionale basato sui principi del TQM (Total Quality Ma-nagement), nato per l’autogoverno delle organizzazioni pubbliche e basato sulla cultura del risultato con l’obiet-tivo di portare ad una presa di consapevolezza dei ma-nager per sviluppare azioni specifiche di miglioramento.

Altre sperimentazioni: molte scuole, specie delle regioni del Mezzogiorno (e più in particolare delle regioni dell’Obiettivo Uno, sono state in questi anni interessate da un profluvio di interventi che, per la loro natura aggiuntiva rispetto al funzionamento ordi-nario della scuola, hanno di fatto assunto una natura sperimentale. Le sperimentazioni hanno riguardato gli aspetti più vari: in molti casi si è trattato di progetti definiti a livello di singola scuola; in altri di pacchetti predefiniti. A latere di tutto ciò le scuole sono state fortemente sensibilizzate sulle tematiche valutative. Tra valutazione e interventi di miglioramento vi è però stato un debole collegamento.

| Paolo Sestito con Davide Guarneri - Milano, venerdì 19 aprile Convegno Valutazione

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Paolo Sestito, Invalsi: risultati? Non fare graduatorie fra scuoleIntervista al commissario straordinario dell’istituto che presenta le novità del Sistema di valutazione e spiega come valorizzare il ruolo delle famiglie

«La valutazione è finalizzata al miglioramento dell’in-tero sistema scolastico e nel concreto di ogni singola scuola, non a creare elenchi di scuole ordinate e compa-rate sulla base di un qualche punteggio. Ogni scuola è chiamata a individuare percorsi di miglioramento». È que-sta la prima novità del nuovo regolamento che disciplina il Sistema Nazionale di Valutazione, approvato lo scorso marzo dal Consiglio dei ministri, secondo il commissario straordinario Invalsi Paolo Sestito, intervenuto il 19 aprile al congresso dell’Associazione italiana di valutazione.

Altri elementi di novità?«Il sistema contempera un percorso di autovaluta-

zione, a cui ogni istituto scolastico viene sollecitato, e la presenza di indicazioni metodologiche dall’esterno, con la presenza anche di una visita valutativa esterna. Sebbene tutte le scuole saranno, a campione, possibile oggetto di valutazione esterna, la priorità sarà data alle scuole in condizioni maggiormente critiche, sì da poter concentrarvi gli sforzi e le attenzioni. Ciò comporta l’acquisizione da parte delle scuole di strumenti e percorsi e, più in gene-rale, di una attenzione a considerare, riconoscere e incre-mentare la qualità complessiva del proprio servizio.

Quale sarà l’oggetto della valutazione?Dovrà comprendere non solo gli esiti formativi ed

educativi degli allievi - a partire dalle rilevazioni Invalsi de-gli apprendimenti, come misura standardizzata in proposi-to disponibile, ma senza circoscrivere l’attenzione esclu-sivamente agli stessi e comunque tenendo conto delle condizioni di partenza degli alunni di una scuola e del suo contesto complessivo - ma anche e soprattutto i processi che contribuiscono a determinarli. Ciò in coerenza con la finalità della valutazione, che è quella di definire percorsi di miglioramento, che le scuole dovranno individuare e il sistema supportare.

L’Italia sta recuperando il suo ritardo storico nella va-lutazione anche in ambito scolastico?

Lentamente, stanno cadendo quelle barriere pregiu-diziali che vedono nella valutazione solo gli aspetti fiscali di controllo ed eventuale censura o premio.

Per il settore della scuola qual è il rapporto tra valuta-zione e sviluppo della qualità?

La valutazione deve incidere attivando un circuito virtuoso tra analisi e miglioramento. I dati raccolti, ordi-nati e interpretati, vanno utilizzati, spesi a beneficio del

miglioramento. Il miglioramento richiede azioni di sistema – e qui i dati necessari possono anche limitarsi a dati di sistema, costruiti a d esempio su una base statistico-campionaria – ma anche la definizione a livello locale, nel-la singola scuola, del che fare – ed è per questo che molte informazioni, quali ad esempio quelle delle rilevazioni Invalsi sugli apprendimenti, devono potersi avere per ogni singola scuola.

Cosa pensa sul fatto che la componente genitori sia stata poco considerata nella composizione strutturale degli enti valutatori?

I genitori possono e debbono interagire all’interno delle comunità scolastiche, in modo non formale e buro-cratico se si vorrà trarre anche da loro il miglior contributo specifico in quanto primi responsabili dell’educazione dei figli. L’Invalsi dialoga – anche se forse ancora troppo po-co, ma qui incide anche la scarsità di mezzi di cui dispone - con le associazioni dei genitori e, soprattutto, cerca di stimolare e supportare la loro attività di “controllori critici” delle vicende scolastiche, a livello di sistema complessivo e non solo.

Perché non renderne pubblici i risultati?Non diffondiamo i risultati delle rilevazioni sugli ap-

prendimenti nelle singole scuole, come qualcuno pure ci chiede, perché crediamo che questi dati servano innanzi-tutto alla singola scuola per ragionare su se stessa e oggi renderli automaticamente pubblici rischierebbe di indurre solo distorsioni indesiderate. Ove la scuola voglia farlo, ad esempio adoperando il canale di scuola in chiaro del Miur, noi sosteniamo la scelta e abbiamo indicato un possibile format che esalti la comparabilità di tali dati, evitando e prevenendo quelle che potrebbero definirsi come forme di vera e propria “pubblicità ingannevole”. Nella singola scuola, abbiamo poi da quest’anno previsto che molti dei dati sulle rilevazioni sugli apprendimenti degli alunni che vengono restituiti alle scuole siano resi accessibili anche al presidente del consiglio d’istituto, un genitore, al fine di valorizzare le dialettiche interne tra le varie componenti della singola scuola.

Cosa consiglia alle associazioni genitori?Segnalare ed evidenziare questa opportunità. Nel-

le sperimentazioni che si stanno conducendo al fine di meglio dettagliare il sistema di valutazione di cui al Re-golamento prima detto, stiamo inoltre definendo possibili modalità di ascolto della componente genitori.

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I genitori valutano la scuola Il regolamento non li menzionaLe famiglie, i decisori politici, l’opinione pubblica devono conoscere i dati della valutazione perché si esca dalla banalità di luoghi comuni e pregiudizi

di Davide Guarneri*

È opportuno e urgente realizzare anche in Italia un sistema di valutazione della scuola e degli insegnanti stessi: siamo ora di fronte a un decreto che avvia il percorso, ma per molti Paesi europei la valutazione è prassi consolidata. Ora che forse molti pregiudizi sul te-ma sono caduti, l’argomento può essere affrontato con serenità, senza risvolti ideologici o corporativi.

Senza dati, una “guerra fra poveri”

A scanso di equivoci, desidero precisare che la valutazione, a mio parere, si colloca nel più ampio obiettivo di rilegittimare il sistema scolastico: se, infatti, parti dell’opinione pubblica e della politica considerano la scuola come sola spesa per il Paese, descrivendola come un sistema pesante, obsoleto, non rispondente alle istanze della modernità, persino come ammortizza-tore sociale per occupare laureati e accudire bambini, emerge ancor più evidente, appunto, l’urgenza di va-lutare la scuola, proprio per individuare e valorizzare le professionalità in essa presenti e le buone esperienze, senza temere di segnalare, nel contempo dispersioni e sprechi: perché abbiamo un costo per alunno elevato, gli insegnanti mediamente meno pagati in Europa, un numero di alunni per insegnante mediamente basso, e classi più numerose della media europea? Perché il sistema scolastico italiano ha punte d’eccellenza, con risultati sopra la media europea, ed aree di grande dif-ficoltà?

Già esiste un sistema di valutazione, che io chia-mo “la valutazione sul cancello”. Tutti i genitori, fuori da scuola, il mattino, si scambiano idee su qualche insegnante, quello molto bravo e quello che «speriamo mio figlio non finisca in quella classe». È una valutazio-ne soggettiva, talvolta emotiva, talvolta molto vicina al vero.

Dovremmo finalmente terminare questa “guerra fra poveri”: da un lato, gli insegnanti, quelli motivati e laboriosi, che legittimamente lamentano la scarsa con-siderazione di cui godono, prima di tutto da parte del loro datore di lavoro. Dall’altra parte i genitori, quelli che tengono alla formazione dei figli e desiderano parteci-parvi, spesso esclusi dalla scuola perché non ci sono tempi e fondi, o comunque spesso disinformati, in balia dell’opinione pubblica. Nessuno è così ingenuo da pen-

sare a un sistema scolastico completamente privo di operatori demotivati o inadatti. Sarebbe come pensare a una classe composta solo da studenti modello. O a un’officina che abbia solo Maestri del Lavoro fra i suoi addetti. Anche la scuola, come altre comunità di lavoro, è un ambiente nel quale convivono insegnanti brillanti e insegnanti meno qualificati, personale motivato e dedito agli alunni ben oltre l’orario scolastico, insieme a personale svogliato. A partire dalla valutazione, il si-stema scolastico deve essere in grado di gestire questa diversità e deve attrezzarsi per farlo, così che media-mente si assicuri una buona qualità dell’insegnamento.

I cittadini (le famiglie), i decisori politici, l’o-pinione pubblica devono conoscere, inoltre, i dati della valutazione, perché si esca dalla banalità dei luoghi comuni e dei pregiudizi, e si orienti il Paese a investire nell’istruzione e nella formazione, in quantità e qualità, invertendo finalmente la preoccupante de-crescita di finanziamenti, in corso da molti anni. Non ultimo argomento a sostegno della valutazione, è che il diritto all’istruzione e la libertà educativa siano davvero praticati: la valutazione è necessaria per sfumare le difformità nella scuola, non solo fra scuola e scuola, ma persino fra classe e classe. Ed è strumento di conoscenza a disposizione dei genitori nel momen-to in cui devono compiere scelte per i propri figli. La valutazione sia rivolta al sistema pubblico d’istruzione, quindi alle scuole statali e a quelle paritarie: ciò anche per avere dati che aiutino, un’altra volta, a superare pregiudizi.

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Le domande dei genitori

Di certo, come genitori, chiediamo che i risultati siano pubblici, a disposizione delle famiglie. Ci animano alcune domande, infatti: perché, in sostanza, l’unica valutazione nella scuola è quella rivolta agli studenti, destinatari dell’intero sforzo didattico ed educativo, ma anche non colpevoli qualora questo non funzioni? Perché gli studenti di terza media a giugno sostengo-no un esame con molte prove scritte e un ampio orale (l’insieme, pare, più impegnativo dell’esame di Stato!), concludendo il tutto con un voto numerico assai sem-plificatorio, talora neppure in grado di valorizzare il merito e le eccellenze, mentre raramente ci si interroga sul percorso formativo che li ha accompagnati negli an-ni? Perché ogni mamma e ogni papà, attendendo fuori dalla segreteria che sia esposta la composizione delle classi prime, spera che il figlio sia nella sezione B e non nella C, sapendo che “quel” tale insegnante è davvero problematico? Perché auspicare che arrivi quell’altro, che “tutti sanno, prepara molto bene”? E che fare per quell’ottimo insegnante che si sta spegnendo nella rou-tine, in un consiglio di classe opaco? È possibile mirare a uno standard minimo e dignitoso di qualità, sotto il quale non si possa andare?

Valutare l’insegnamento

Forse, più che di “valutazione degli insegnanti”, dovremmo riferirci a una valutazione dell’insegnamento: realtà molto più complessa e ampia, risultato dell’in-treccio di fattori che coinvolgono e intrecciano la per-sona dell’insegnante, l’organizzazione dell’ambiente di lavoro, la relazione con il territorio, i rapporti di collabo-razione fra colleghi, le culture orientative diffuse nelle famiglie e nella comunità locale. Valutazione degli inse-gnanti e valutazione della scuola sono aree di un unico processo, dal quale neppure noi genitori siamo esclusi.

Dunque si dovranno, fra le altre cose, valutare la qualità dell’ambiente, la presenza o meno di procedu-re inclusive e di promozione di comunità educative, la qualità delle relazioni (fra docenti, fra docenti e genitori, fra docenti e studenti), le competenze comunicative de-gli attori del processo, l’attenzione alla disabilità ed ai bisogni educativi specifici.

Strumenti?

Il Regolamento emanato nel marzo scorso non cita esplicitamente i genitori. Se, fra i marosi delle tem-peste politiche, il disegno di legge giacente al Senato (approvato alla Camera) relativo alla governance delle scuole dovesse proseguire il suo iter, verrebbe introdot-

to in ogni istituto un nucleo di valutazione, composto da insegnanti e anche da genitori: sarebbe un primo passo a nostro parere significativo verso l’idea di valu-tazione che ho provato a descrivere. Lo stesso disegno di legge contiene la proposta di organizzare conferen-ze periodiche di rendicontazione, secondo l’idea di una scuola trasparente, che risponda e dialoghi con il territorio. Circa una valutazione che sia espressione di trasparenza e cultura della rendicontazione, desidero segnalare che anche le recenti Linee di indirizzo sul-la partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa1 rilanciano lo strumento del bilancio sociale che «rappresenta per le scuole un’opportunità di aper-tura verso il territorio che consente una comunicazione più incisiva con gli stakeholder, in particolare con le famiglie».

Non c’è dubbio che genitori e studenti abbiano uno specifico punto di vista, insostituibile, che, cor-rettamente ponderato, è necessario a una valutazione globale: già alcune scuole distribuiscono ai genitori, da tempo, questionari di valutazione, anche organizzan-dosi poi in reti per la qualità2. La prassi del questionario non è, di per sé, una novità, anzi, proprio una legge lo richiedeva: si trattava del Dpr del 7 giugno 1995, in attuazione della legge 163/95, riferita all’introduzione della “Carta dei servizi”. Noi pensiamo che il coinvolgi-mento dei genitori vada qualificato, non limitandosi al recepimento delle istanze del singolo; ove presenti, co-mitati e associazioni di genitori sono certamente un luogo di mediazione e compensazione di individualismi, distorsioni, rivendicazioni. I rappresentanti di classe e d’istituto possono, inoltre, offrire un punto di vista maggiormente d’insieme.

Una valutazione coinvolgente,che produca risultati duraturi

Riteniamo che, affinché la valutazione sia davvero formativa e volta al miglioramento, debba essere coin-volgente: il personale scolastico deve partecipare alla definizione del percorso e dei criteri, il territorio va coin-volto, un’autorità terza e indipendente gestisca il pro-cesso. La valutazione apre una finestra, dunque, che lascia intravvedere l’interno di una casa nella quale ci si deve occupare anche di formazione iniziale dei docenti, di formazione in servizio, di didattica, di nuove modalità di valutazione degli apprendimenti, di organizzazione e promozione della motivazione e partecipazione delle di-verse componenti che la abitano. E ci si deve occupare anche del giardino che le sta intorno.

* Sintesi dell’intervento al Convegno del 19 aprile all’Università degli Studi di Milano

1 Inviate alle scuole con Nota MIUR del 22.11.2012, prot. n. 32142 Interessante, per esempio, il sito www.requs.it , che si autodefinisce “la rete per la qualità della scuola”.

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Ecco i Bisogni educativi speciali ma la scuola non sembra pronta Sono stati già sintetizzati in Bes ed estendono a tutti gli studenti che hanno difficoltà il diritto a un piano didattico personalizzato. Se n’è parlato a Parma

di Lorenza Gastaldo*

Con il solito acronimo, così di moda nel mondo sco-lastico, entrano a far parte della galassia scuola i Bes, i Bisogni educativi speciali. Con la circolare numero 8 del 6 marzo scorso il Ministero dell’Istruzione, uni-versità e ricerca (Miur) ha emanato le indicazioni per l’inclusione scolastica e per una didattica accessibile. È la fine di un percorso durato 10 anni che ridefinisce in modo operativo le indicazioni della legge 53 del 2003, fino a ora applicate solo parzialmente e con forti contrasti all’interno degli insegnati. Se ne è parlato lo scorso 23 aprile all’Istituto Tecnico Agrario “Fabio Boc-chialini” di Parma nel corso di un incontro di forma-zione promosso dall’Associazione italiana dislessia, in collaborazione con l’Associazione nazionale insegnanti di lingue straniere e con l’Associazione italiana genitori. A firma dell’allora ministro Francesco Profumo e diffuse dal capo dipartimento Lucrezia Stellacci, rappresentano un ultimo tassello di quel mosaico com-plesso che è la scuola italiana.La direttiva estende a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, con percorsi ad hoc che, all’interno di un Piano didattico personalizzato, che accantona definitivamente i vecchi programmi, permettano a tutti di raggiungere obiettivi condivisi e di uscire dalla scuola con una certificazione di competenza.Un passo avanti contro la dispersione scolastica, an-cora molto alta anche nella Regione Emilia Romagna, e a favore di una dimensione calata sulla persona, con nuovi dispositivi, accorgimenti specifici, compiti dif-ferenziati, elaborati alternativi, tutto ciò insomma che può venire incontro ai ragazzi in difficoltà. Quali sono le categorie citate nella circolare? Gli alun-ni con disabilità varie non tutelati dalla legge 104: in pratica quelli con disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculìa, disgrafia), con svantaggio socio-economico, linguistico o culturale. Rientrano in queste categorie anche i cosiddetti “borderline” cognitivi, anch’essi non censiti dalla legge 104, gli ipercinetici con sindrome Adhd (deficit del disturbo dell’attenzione e dell’iperattività) e tutti coloro che con continuità o per determinati periodi abbiano la necessità di una ade-guata risposta dalla scuola. Simonetta Pellicciari, presidente dell’Associazione italiana dislessia di Parma, ha presentato gli scopi dell’associazione, ente accreditato dal Miur, che si

occupa della divulgazione e dell’informazione sulle caratteristiche della dislessia e dei Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), che interessano una per-centuale compresa fra il 3 e il 5% della popolazione scolastica. Una realtà che offre una serie di servizi a questi studenti e alle loro famiglie, che rappresentano un’importante forma di sostegno e tutela. Bianca Trifi-rò, psicologa e psicoterapeuta, referente sportello Dsa dell’Università di Parma, ha trattato il tema delle diffi-coltà scolastiche, dal punto di vista del modello bio-psico-sociale di funzionamento della persona. In base a questo modello, ha valutato i Bes degli studenti che presentano un disagio scolastico e le possibili strategie per dare ad essi risposta, sottolineando la necessità di creare reti di collaborazione e reciproco aiuto. Valentina Robuschi, psicologa e psicoterapeuta, ha affrontato il tema della sofferenza psicologica che pos-

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sono vivere gli studenti con disagio scolastico, il loro senso di inefficacia e di impotenza di fronte alle diffi-coltà scolastiche, l’interiorizzazione di un’idea fallimen-tare di se stessi con il rischio di sviluppare problemi emotivi o comportamentali. Ha analizzato in modo par-ticolare le emozioni di ansia, tristezza e rabbia nell’am-bito scolastico. Una scuola nuova che dovrà però fare i conti con problemi irrisolti. La configurazione di questo sistema presuppone una distribuzione dei ruoli e dei carichi ben precisa, risorse economiche a favore degli insegnanti, classi ridimensionate e suddivise per livelli,

quelle attuali sfiorano 30/35 alunni per aula, un’ottima pianificazione territoriale e gestionale. Non ultimo un cambiamento radicale nella prassi didattica che deve essere affiancato da una capillare e costante forma-zione docente che prepari i futuri prof ad avere anche competenze relazionali e psicologiche. Principi sacro-santi che però mal si conciliano con il drastico ridimen-sionamento economico che da anni colpisce la scuola italiana e che pare irreversibile .

* Presidente Age Parma

LE OPINIONI DEGLI ESPERTILuciano Rondanini, dirigente tecnico dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna e dirigente dell’Uf-ficio Scolastico di Piacenza con inca-rico funzionale all’integrazione scola-stica presso il 13° Usp di Parma: «La circolare n. 8 pone un problema di fondo che è quello di come le scuole affronteranno i bisogni dei ragazzi non tutelati dalla normativa di riferimento, cioè la legge 104 e i Dsa. Un 15% degli studenti incontrano difficoltà ri-levanti nel loro percorso scolastico che spesso sono causa di abbandono scolastico o dispersione. Questo si-gnifica che i docenti e le scuole nel-la loro organizzazione dovranno farsi carico di risolvere tali problematiche. Come fare? Rafforzando la coralità dell’azione didattica, la corresponsa-bilità educativa, la dimensione col-legiale e non ultimo strategie nuove di gestione della classe. I problemi sono che al Consiglio di Classe verrà attribuito un compito difficile e nuo-vo: individuare gli alunni con bisogni educativi speciali e creare per loro percorsi personalizzati. Il rischio sta nell’eterogeneità dei criteri creata da una disparità di vedute. In questa fa-se occorre molta cautela: individuare problematiche significative all’interno del profilo, storia, biografia particola-re del ragazzo. Si tratterà comunque di casi eccezionali, non della regola, perché ci porterebbe in un terreno di difficile gestione, considerando gli organici in nostra dotazione. Un’appli-cazione tout court creerebbe in que-sta fase solo problemi. Per ora, con gli strumenti che abbiamo, dobbiamo essere prudenti e applicare la circola-re n. 8 solo in casi eccezionali».

Sergio Olivati, dirigente del Polo dell’Agroindustria Isiss Galilei-Solari-

Bocchialini di Parma: «La Direttiva mi-nisteriale del 27 dicembre 2012 sui bisogni educativi speciali e sull’orga-nizzazione territoriale per l’inclusio-ne scolastica è finalmente operativa; poiché i bisogni speciali sono davvero molti, una scuola inclusiva dovrebbe essere in grado di leggerli tutti. Le sti-me ci dicono che gli alunni che hanno bisogno di una speciale attenzione nel loro percorso scolastico vanno dal 3 al 13% degli iscritti; ecco perché bi-sognerà pensare a un reale «fabbiso-gno» di risorse aggiuntive per dare le risposte necessarie. Andranno anche migliorate diverse prassi sulla gestio-ne e l’attuazione del Piani educativi individualizzati. In particolar modo, proprio perché i bisogni sono di diver-sa natura, occorrerà stringe alleanze strette con famiglie, servizi sociali e strutture sanitarie. Sia ben chiaro: tut-to ciò non significa certo fabbricare alunni diversi, bensì costruire per loro un piano didattico personalizzato, con obiettivi, strumenti e valutazioni pen-sati su misura per loro. Il convegno organizzato presso la nostra scuola vuole sicuramente andare in questa direzione». Gabriella Orlandi, dirigente dell’I-stituto Tecnico Commerciale “Mace-donio Melloni” di Parma: «La circolare ministeriale sui Bisogni educativi spe-ciali è stata inviata alle scuole a mar-zo, quasi alla fine del percorso scola-stico annuale, in un periodo critico e denso di impegni per tutto il persona-le. A fine anno è impossibile affrontare nuove iniziative ed organizzare inter-venti significativi in così breve tempo. Rimanderemo tutto a settembre dopo averci riflettuto con tavoli di lavoro condivisi. Certo è che la scuola ha risorse sempre più limitate, un taglio

del 30% del fondo d’istituto alle supe-riori e di ben il 50% negli Istituti com-prensivi. A settembre dovremo quindi valutare cosa ci possiamo permettere in base alle risorse a disposizione». Giovanni Bonvini, presidente re-gionale per l’Emilia Romagna dell’As-sociazione italiana genitori: «Se si hanno figli che frequentano la scuola e che rientrano nelle categorie indica-te dalla circolare, è bene depositare la documentazione nel prossimo mese di giugno in previsione dell’avvio del prossimo anno scolastico. Così gli istituti potranno già avere i numeri su cui riflettere per l’eventuale stesura dei piani personalizzati. Le famiglie devono comunicare tempestivamen-te eventuali modificazioni nello stato di difficoltà dei figli, se la situazio-ne “speciale” permane o si è risolta. Noi come associazione genitori siamo particolarmente vicini agli alunni che hanno bisogno di procedere in modo individualizzato o personalizzato per raggiungere uno stato di armonizza-zione nello sviluppo psicofisico inte-grale della persona».

Isa Abati, docente di lingue e for-matrice, spiega come buona parte delle carenze a livello cognitivo siano date da non corretti stili di vita fin dai primi mesi del bambino. Cita a tale proposito Giacomo Stella: «In base ai risultati delle ricerche nell’ambito delle neuroscienze chi non ha avuto sufficienti esperienze sensoriali del mondo esterno non forma la memoria esperienziale, con sede nel 5° strato della corteccia cerebrale, che agisce da supporto alla memoria di tipo logi-co che si forma negli anni successivi all’infanzia».

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Caro nuovo ministro ti scrivo L’Age sempre pronta al dialogoL’esecutivo guidato da Enrico Letta ha nominato ministro per l’Istruzione Maria Chiara Carrozza e ha nominato tre sottosegretari. Il nostro augurio

A seguito delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio, dopo un periodo di consultazioni, lungo a causa dei risul-tati incerti usciti dalle urne, il 28 aprile 2013 si è insediato il nuovo Governo presieduto dall’on. Enrico Letta. Al mini-stero dell’Istruzione, Università e Ricerca è stata designata la professoressa on. Maria Chiara Carrozza, rettore della Scuola Superiore S. Anna di Pisa fino al 26 febbraio scorso, docente di bioingegneria industriale, deputato per il Partito Democratico. ll Consiglio dei ministri di giovedì 2 maggio ha completato la formazione del nuovo Gover-no nominando 40 nuovi viceministri e sottosegretari. Al Miur sono arrivati i sottosegretari Gabriele Toccafondi,

Marco Rossi Doria e Gianluca Galletti. Toccafondi è laureato in scienze politiche, è un dirigente di cooperativa, deputato con il Popolo delle Libertà dal 2008. Rossi Doria, già sottosegretario all’Istruzione nel precedente Esecutivo, è laureato in Scienze dell’educazione ed è insegnante. Galletti, laurea in Economia e Commercio, è stato ca-pogruppo dell’Udc presso la Camera dei Deputati. Al neoministro Maria Chiara Carrozza l’Age, assicurando al ministero la propria collaborazione, libera e propositiva, in continuità con i suoi quarantacinque anni di impegno per le famiglie, l’educazione, la scuola, ha inviato un lettera d’augurio, che qui riportiamo.

Gentilissima professoressa, nelle ore in cui il presidente Enrico Letta presenta al

Parlamento le linee del suo governo, per chiedere la fiducia, ore insieme drammatiche e

cariche di speranza, desidero esprimere, a nome dell’Associazione Italiana Genitori, che

presiedo, un caloroso augurio per l’incarico che Le è stato affidato: ruolo prestigioso,

certo, ma soprattutto oneroso, difficile, di grande responsabilità. La scuola italiana vive

un certo senso di abbandono e di sfiducia, e ha grande bisogno soprattutto di accredi-

tamento sociale e politico: proprio nella crisi che attraversiamo, competenze, speranza

e sviluppo possono venire dal sistema dell’istruzione e della formazione, insieme a quelli

della ricerca e università.

La nostra associazione è attivamente presente in tutto il Paese, e operativa presso

il Miur, all’interno del Forum delle Associazioni dei Genitori della Scuola (Fonags), colla-

borando proficuamente, con un dialogo aperto, presso la Direzione generale per lo Studente, la Partecipa-

zione, l’Integrazione e la Comunicazione: siamo consapevoli che la presenza dei genitori in forme organizzate

è ancora insufficiente, ma è intenso il nostro impegno, da volontari, per la formazione di genitori competenti,

per la presenza nelle scuole e la realizzazione di autentiche comunità educative.

Molti, in questi primi giorni, Le suggeriranno priorità e urgenze; non aggiungiamo problema a problema,

ma preferiamo, piuttosto, esprimere la piena disponibilità dei genitori alla collaborazione, consapevoli del

ruolo e della responsabilità che spetta anche a noi.

Saremo con Lei per una scuola aperta a tutti, secondo il dettato costituzionale, quindi “pubblica” perché

accogliente e di qualità, sia essa statale, paritaria o degli enti locali: una scuola in cui si allentino un poco i mille

lacci delle burocrazie, a ogni livello, e siano valorizzate l’autonomia, le competenze, i luoghi di incontro. Ciò de-

ve passare da alcuni snodi, quali il pieno rilancio e finanziamento della progettualità, il coinvolgimento effettivo

delle famiglie, la realizzazione di coerenti strumenti di valutazione del sistema e dell’insegnamento stesso, il

riconoscimento delle professionalità degli insegnanti, la permeabilità tra istruzione e formazione.

La riflessione condivisa e approvata dal nostro Consiglio nazionale prima delle elezioni aveva come titolo

“Per un dibattito elettorale che parli di famiglia, di bambini, di papà e mamme, di scuola, università ed edu-

cazione: non solo Imu, banche e tasse”: riteniamo che quelle parole restino attualissime, e ci auguriamo che

la sua voce, all’interno del Consiglio dei Ministri e nel Paese, richiami tutti alle centralità dell’educazione, vera

sfida per il Paese. Auspicando un incontro in tempi ravvicinati, sono a ringraziarLa per l’impegno gravoso che

ha accettato, riconfermando il nostro spirito costruttivo, da genitori che hanno, appunto, il dovere di “generare”

non solo biologicamente. Con l’occasione porgo distinti saluti, a Lei, ai suoi collaboratori, alla sua famiglia.

Davide Guarneri

(Presidente nazionale A.Ge.)

| Maria Chiara Carrozza

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Stampa VERSO IL CONGRESSO

Realizzare alleanze educative nella scuola e nei mondi di vitaLa logica dei patti di corresponsabilità educativa da stipulare nelle scuole deve estendersi al territorio. Spunti di riflessione per il congresso nazionale

«L’AGe è un’Associazione di promozione e solidarietà sociale, di formazione delle persone e di tutela dei diritti dei genitori e dei figli. È basata sulla solidarietà e la partecipazione dei genitori i quali, asso-ciandosi, perseguono finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale» (art. 6 Statuto nazionale).

Le finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale caratterizzano la nostra associazione per un’idea di “cittadinanza attiva e corre-sponsabile”. L’associazione, in tutte le sue articolazioni, e gli associati stessi, contribuiscono al bene comune delle comunità, in dialogo propositivo e mai di sterile contrapposizione con le istituzioni e i soggetti attivi nella società. Con “tutte le donne e gli uomini di buona volontà”, potremmo dire.

Soprattutto intorno all’educazione, oggi più che mai, è necessario realizzare alleanze. È la logica dei patti di corresponsabilità educativa da stipulare nelle scuole, che può e deve estendersi al territorio. La storia dell’Age è intrecciata con la storia della scuola italiana, dagli anni ’70 ad oggi: come la scuola via via si è posta di fronte alle istanze del tempo, così l’associazione ha sempre più ampliato i propri orizzonti. Se la scuola è uno dei “mondi vitali” che impegnano una parte signi-ficativa del tempo dei nostri figli, senza mai trascurare la formazione continua di noi adulti, specifiche atten-zioni sono da porre al tempo libero, allo sport, ai mass media, alla salute, alle condizioni sociali e politiche che sostengono (o scoraggiano) le famiglie, e così via.

Con queste riflessioni che fanno da sfondo, pen-siamo siano utili, intorno al tema della comunità e dell’alleanza educativa, anche alcune parole del “Dos-

sier” che ha preparato il Laboratorio nazionale “La Chie-sa per la scuola”, promosso dalla Cei, al quale hanno partecipato anche alcuni rappresentanti dell’Age.

«La scuola è una comunità che opera all’interno di altre comunità o in sinergia con esse. All’interno della comunità politica, la scuola è un ambiente che con-corre alla determinazione del bene comune, di cui è parte essenziale il bene delle relazioni tra tutte le perso-ne che vivono nella scuola: docenti, alunni, dirigenza, personale non docente, bidelli, famiglie. Nella vita quo-tidiana delle comunità scolastiche le relazioni crescono attraverso lo scambio, la ricerca, la cooperazione, la risoluzione dei conflitti, la “conversazione”. Il latino conversor, una traduzione possibile del greco politeúo, significa “vivo con”: la conversazione non è dunque uno scambio qualunque di parole, ma la costruzione di relazioni. La scuola pertanto contribuisce anche al-la creazione di vincoli di solidarietà sociale… Qualora siano ostruiti i canali di comunicazione, la scuola falli-sce l’obiettivo di dimostrare che è possibile realizzare comunità di persone legate tra loro da vincoli di solida-rietà e di amicizia civile, oltre che personale. Quando questo ruolo non viene riconosciuto e valorizzato, la figura dell’insegnante è resa marginale: marginale di-venta anche la scuola, considerata come un’azienda in passivo sulla quale non conviene investire… Nel terri-torio della scuola ci sono altre comunità, tra cui la par-rocchia, frequentata dalle famiglie di alunni di scuole che appartengono allo stesso suo territorio e da molti docenti, che, però, spesso vengono utilizzati solo come catechisti, facendo astrazione dal loro impegno educa-tivo nelle scuole. Queste comunità ecclesiali possono fare molto per aiutare le famiglie a interagire con la co-munità scolastica e per sostenere l’opera dei docenti, aiutandoli nella propria missione e nella maturazione di una adultità responsabile (EVBV, n. 41).

«Guai a chi è solo!», ammoniva il saggio Qoelet (cfr. Qo 4,12). Il riconoscimento della complessità come cifra ineludibile del mondo postmoderno rende necessario affrontare in maniera sistemica anche la questione educativa. Lo sviluppo sempre più accele-

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23VERSO IL CONGRESSOONLUS

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rato dei mezzi di comunicazione e delle tecnologie digitali è causa non seconda-ria dell’importanza crescente dei contesti di apprendimento non formali e informali: se fino a vent’anni fa un ragazzo impa-rava a scuola, da maestri e insegnanti, la maggior parte di ciò che gli sarebbe servito per vivere e lavorare, oggi non è più così. Di conseguenza sarebbe affatto illusorio immaginare la trasmissione dei saperi e l’educazione come prerogativa esclusiva di un solo attore, sia esso la famiglia, la scuola, o qualsivoglia altra agenzia educativa.

Solo la collaborazione sistematica e armoniosa di soggetti diversi, capaci di interagire in maniera consapevole e concertata, potrà essere all’altezza del nostro tempo e produrre risultati effica-ci… Il frutto maturo di queste alleanze è la costituzione di una vera comunità educativa, unico luogo adeguato al pro-cesso educativo nella società comples-sa, in cui sono coinvolti personalmente tutti i soggetti: alunni, famiglie, docenti, dirigenti e personale ausiliario. La co-munità è il noi che consente alle parti in causa di superare i particolarismi e di condividere la medesima appartenenza. Alleanza significa anche collaborazione leale per un progetto comune, senza antagonismi e rivalità; rimanere fedeli al patto di alleanza è possibile solo tra galantuomini. Questo impegno di natura etica, intrinsecamente connesso con l’al-leanza, comporta innanzitutto uno stile di presenza e di testimonianza da parte degli adulti…

Si costituiscono così quelle rela-zioni generative che tutti desideriamo: relazioni in cui si produce qualcosa di nuovo e sorprendente, qualcosa di bello e inaudito, che nessuna delle due parti avrebbe mai potuto produrre da sola. Sono le relazioni che rendono buona la vita e che segnano il gioioso compimen-to dell’alleanza. Relazioni che generano i figli e rigenerano gli adulti, prevenendo così la demotivazione e il burnout. Grazie a questo stile di dialogo la scuola non diventa una prigione asfissiante o una noiosa anticamera della vita vera, ma un ambiente abitabile e sereno, perché profondamente umanizzato. La persona – dell’alunno e dell’insegnante – torna al centro dell’attenzione, il dinamismo educativo non degenera in un processo anonimo e impersonale, ma si realizza mediante l’incontro quotidiano».

Associazione Italiana GenitoriXIV Assemblea congressuale nazionale

I genitori associati:capitale di relazioni, valore

nell’educazione e risorsa per il PaeseMontesilvano (Pescara), 27 – 29 settembre 2013

Venerdì 27 settembre

ore 16.00 Accoglienza, registrazione partecipanti

ore 16.30 Saluto introduttivo - saluto autorità

ore 17.30 Tavola rotonda “Quale associazionismo dei genitori, per il nostro Paese?”

Intervengono

• GiovannaBoda,DirettoregeneraleperloStudente,laPartecipa-zione, l’Integrazione e la Comunicazione, MIUR

• FrancescoBelletti,sociologo,direttoreCentroInternazionaleStudiFamiglia e Presidente nazionale Forum delle Associazioni Familiari

Dibattito

ore 19.30 Aperitivo di benvenuto a cura di Age Pescara e cena

ore 21.15 Serata di accoglienza a cura di Age Pescara con presen-tazione arte e storia locale (con video)

Sabato 28 settembreore 9.00 Relazione introduttiva della Presidenza

ore 9.30 Interventi programmati presidenti e delegati regionali

ore 10.00 Interventi dei delegati e associati Apertura presentazione delle candidature

ore 15.00 “Genitori in ascolto”: incontro-dialogo rappresentanti di giovani e associazioni giovanili

ore 17.00 Interventi dei delegati e associati Presentazione candidati e mozioni congressuali dalle ore 17.30 apertura seggio (proseguirà fino alle 19.00)

ore 20.00 Cena

ore 21.30 Serata a cura di Age Pescara con canti folkloristici eseguiti da artisti della FAFIT (Federazione Associazioni Folkloriche Italiane)

Domenica 29 settembre

ore 9.00 S. Messa presieduta dall’Arcivescovo di Pescara - Penne mons. Tommaso Valentinetti

ore 10.00 Proclamazione Presidente nazionale Dibattito con l’intervento dei delegati e associati Mozioni di indirizzo Votazione mozioni e documenti Conclusioni

ore 13.00 Pranzo

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ONLUS ONLUS

Stampa Stampa24 VERSO IL CONGRESSO

Congresso regionale Piemonte La sfida educativa delle famiglieNel bilancio dell’appuntamento di fine mandato dell’associazione regionale il rilancio, oltre che del presidente, anche della forza del mettersi insieme

di Marco Margrita

«Prima del Napolitano 2, l’Age Piemonte ha votato il Clara 2». Così, scherzosamente, il presidente nazionale Davide Guarneri, nel corso del Congresso Regionale, ha sottolineato la riconferma alla guida dell’associazione genitori piemontese di Gian Carlo Clara. Lo scorso 20 aprile, qualche ora prima che il Parlamento rieleggesse il Presidente Napolitano al Quirinale. I delegati delle as-sociazioni subalpine, infatti, quel sabato mattina, si sono riuniti a Torino nella sala conferenze del Centro servizi al volontariato per celebrare il congresso regionale. Un mo-mento di bilancio e di confronto, che si è naturalmente concluso con la riconferma dei vertici regionali – oltre al presidente, anche la vice Maria Malsani Valente – e la decisione di incrementare, per dare rappresentanza alle nuove associazioni ed in conseguenza al forte aumento di iscritti, il numero di componenti il direttivo (portati ad undici).

Il Congresso aveva un titolo programmatico: “Le famiglie associate protagoniste della sfida educativa. Il territorio come “laboratorio educazione”: sussidiarietà, solidarietà, mutualità”. Un tema che è la sintesi del lavo-ro di radicamento che l’associazione ha portato avanti nello scorso triennio.

Nella relazione del direttivo uscente si è partiti dal metodo, si sono ripercorse le modalità di allargamento dell’asso-ciazione. «L’Age – vi si specifica-va - è un metodo per costruire un protagonismo sociale (innanzitutto di servizio al “bene comune”) delle famiglie associate. Sono in gioco tre principi: sussidiarietà, solidarie-tà e mutualità. L’Age, quindi, deve trovare e farsi trovare. Occorreva,

innanzitutto, senza scadere in una strumentalizzazione, “andare incontro” alle famiglie. Offrire, anzi offrirsi, co-me strumento di protagonismo. Non tanto rivendicativo quanto propositivo. L’associazione è un metodo, è un luogo di educazione alla - e costruzione di - partecipa-zione. Questo andava fatto conoscere alle persone ed agli stakeholder. All’inizio, quindi, quanti avevano assun-to l’impegno nell’associazione regionale hanno operato una “condivisione delle loro mappe relazionali. Ci si è resi incontrabili, in sintesi». Animati, innanzitutto, dalla curiosità e dal desiderio di incontrare esperienze con cui contaminarsi, costruire una sintesi positiva. Con la forza del proprio specifico valoriale, ma senza pregiudi-zi. D’altronde, ricordando una citazione di Alexis Carrel richiamata nella relazione: «Poca osservazione e molto ragionamento portano all’errore, molta osservazione e poco ragionamento portano alla verità».

Da questo approccio, è stato ricordato negli inter-venti nel Congresso, «sono nati gli incontri con le per-sone, le istituzioni e le esperienze che hanno permesso di diffondere la proposta Age in Regione. Ed anche la collaborazione con altri realtà ecclesiali ed associative. Ad esempio: Pgs, Arc, Mcl, Ammp, “Il Laboratorio”. Oltre alle molteplici nate, localmente o su aree omogenee par-ziali della regione, con gli Uffici Scolastici, gli Istituti, le pubbliche amministrazioni, altre associazioni, le Diocesi

e le parrocchie». Nella mozione finale del Con-

gresso anche un passaggio per esprimere «profonda gratitudine per la preziosa azione del presi-dente nazionale Davide Guarneri. Giunto al secondo mandato non potrà riproporre la sua candidatura, è dunque opportuno esprimere un plauso per il suo continuo lavoro di potenziamento e accreditamento dell’associazione. Il Congresso re-gionale del Piemonte auspica che qualunque sia il prossimo presiden-

te nazionale questi sappia operare in intelligente continuità con quanto si è concretamente realizzato in questi sei anni». L’Age Piemonte, da questo con-gresso, esce rafforzata nella volontà di essere “valore aggiunto”. Di sostegno per le associazioni locali, di proposta verso quella nazionale.

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Stampa Stampa 25RICORDO / SPAZIO AGE

Mantova,la scomparsadi Vittore Facchini

Il 9 maggio è morto un uomo che ha dato molto all’Age, sia a livello mantovano che a livello nazionale. Vittore Facchini fu infatti colui che permise la rinasci-ta dell’Associazione genitori a Mantova oltre ad essere rappresentante nel Forags Lombardia e membro del Consiglio nazionale.

Nato a Curtatone il 17 giugno 1937, sposato con Marisa Campanini, aveva tre figlio e tre nipoti. Conse-guito il Diploma di maturità magistrale nel 1956, fu ma-estro, insegnando anche in scuole serali e popolari, poi nella scuola media unificata. È stato professore di Tirocinio all’Istituto magistrale di Mantova e dirigente scolastico della Direzione didattica statale di Castel-lucchio, Rodigo e Rivalta per 18 anni, fino al 1996. Con-temporaneamente alla professione di dirigente, ha svolto un servizio decennale presso l’Irrsae Lombardia e ha collaborato con l’Aimc e la Fism. Nel 1999 il Pre-sidente della Repubblica gli ha conferito il Diploma di

Benemerenza di prima classe con facoltà di fregiarsi della medaglia d’Oro per l’opera particolarmen-te zelante ed efficace svolta a fa-vore dell’istruzione elementare e della educazione infantile.

Da tempo era malato. Lo ri-cordano, come testimonianza, le figlie: «Nella malattia, che lo ha perseguitato più e più volte, ha sa-puto mantenersi saldo ai principi in cui ha creduto e accrescere la sua fede. Mai un gesto d’impazienza o di insofferenza. Al contrario ha vissuto questi lunghi anni di malattia con dignità e pazienza, lottando oltre che per se stes-so, anche e soprattutto per la tua Marisa e per noi fi-glie. Un uomo tenace nel realizzare i propri progetti e soprattutto coerente a quei valori su cui ha costruito e vissuto la sua esistenza».

L’amico Giampaolo Zapparoli ricorda, tra le altre cose, il suo impegno per i genitori: «Già in pensione si aprì al tema della partecipazione della famiglia alla gestione della scuola, dedicando alcuni anni intensi all’Age, per la quale ha organizzato incontri serali e attività di formazione in tutta la provincia, ottenendo il coinvolgimento di centinaia di iscritti».

| Vittore Facchini

Carpi Terremoto, la situazione Parla il presidente locale Age

Anche Carpi e i comuni viciniori sono stati parti-colarmente colpiti dal forte sisma dello scorso anno. A Giuseppe Cavicchioli, presidente dell’Age locale abbia-mo anzitutto chiesto come si presenta la situazione dodi-ci mesi dopo. «Da un primo sondaggio che ho avuto modo di compiere ho ricavato pochissime informazioni circa fgli interventi e la ripresa delle attività. Per quanto riguarda la Diocesi di Carpi posso confermare che su quaranta chie-se ben 34 sono inagibili e/o irrecuperabili; gli edifici scola-stici, tra cui il “Sacro Cuore” sono parzialmente inangibili, per cui hanno le attività scolastiche si svolgono anche in container. C’è la promessa che si possa rientrare comple-tamente negli edifici solo con il prossimo anno scolastico.

Dunque i tempi del ritorno alla normalità saranno molto lunghi?Ci sono tuttora molte situazioni di disagio nelle famiglie

per una serie molteplice di fattori negativi, come la per-dita delle proprie abitazioni o la mancanza del lavoro a causa della crisi economica che ha messo in ginocchio le aziende del territorio aggiungendosi agli enormi danni compiuti dal terremoto. A un anno dal cataclisma si può affermare che tantissimo c’è ancora da fare e purtroppo non si hanno certezze sul come procedere, perchè i li-velli decisionali si sovrappongono e rendono sempre più complesso compiere le scelte più giuste.

Quali le aree più colpite?Oltre a Carpi, Mirandola, Cavezzo, Novi, Concordia, Me-dolla e non ultimo il comune di San Martino in Spino col-pito, solo pochi giorni fa, anche da un uragano che ha distrutto case, fabbricati e coltivazioni. Grazie per l’at-tenzione e la sensibilità dell’Age alla nostra situazione.

Da subito varie Age locali hanno dato il loro contributo per la popolazione di Carpi colpita dal terremoto, oggi come possiamo continuare a sostenere gli amici di Carpi?È possibile anche devolvere le offerte e i contributi alla Caritas diocesana di Carpi indicando la causale “Emergenza terremoto 2012”:Unicredit di piazza Martiricodice Iban IT09V02008 23307 000028478401oppure Banco San Geminiano e San Prosperocodice Iban IT83Z050 34233 00000000023005;Banca popolare Dell’emilia Romagnacodice Iban IT36Y053 87233 00000001466626

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Stampa Stampa26 SPAZIO AGE

Mirandola,La fatica di ripartire e l’aiuto di tutta l’Age

Un anno fa il sisma che colpiva l’Emiliae in particolare il basso modeneseIl punto della situazione con la nostra referentesul posto Maurella Malaguti

di Gabriele Rossi

Mirandola è stata duramente colpita nel maggio 2012 da una violenta serie di scosse telluriche che hanno provocato quat-tro morti fra la popolazione, oltre a causare gravissimi danni al pa-trimonio storico-artistico e alle aziende. Ne è derivato un danno economico incalcolabile alla realtà industriale locale. Le scosse si sono susseguite nel tempo, ancora oggi ogni tanto la terra conti-nua a tremare. A ciò si è aggiunto nelle settimane scorse un tor-nado che ha ulteriormente aggravato una situazione di particolare crisi. Abbiamo chiesto a Maurella Malaguti di Mirandola, con cui la nostra associazione ha avuto modo di collaborare da subito, co-me si presenta oggi, a distanza di un anno, la situazione nel suo Comune e come sta funzionando la rete di solidarietà.

«Purtroppo a causa della burocrazia i lavori di ricostruzione vanno molto a rilento – afferma - e inoltre la tromba d›aria che si è scatenata il 25 aprile scorso ha creato ulteriori problemi sul nostro territorio già martoriato dal terremoto. Ci sono persone che, oltre alla casa, hanno perso anche il lavoro e quindi sia la Regione che lo Stato dovrebbero in primis snellire l›iter burocratico per accele-rare la ricostruzione degli immobili danneggiati. Anche se il Comu-ne di Mirandola ha stanziato per queste persone un importo men-sile variabile secondo il numero dei famigliari, il “contributo auto-noma sistemazione” (Cas), che però non è sufficiente in quanto

perché queste persone devono pagarsi anche un canone d›affitto. Inoltre il Cas viene riconosciuto solo a quelle persone che non usufruiscono dei moduli abitativi acquistati dal Comune».

Avete pubblicato un bel libro sulla vostra città, che raccoglie la storia degli edifici monumentali di Mirandola e delle frazioni, documentandoli prima e dopo il terremoto. È possibile acquistarlo per contribuire alla ricostruzione?

È un libro commovente, perchè documenta le ferite al patri-monio storico-artistico del territorio, cioè alle nostre radici cultura-li. Per ora la prima edizione del libro “Città di Mirandola” è già an-data esaurita e siamo in attesa della riedizione.

Nella Chiesa di S.Francesco sono rimaste praticamente intatte solo la facciata e la navata che raccoglie le tombe dei Pico: segno che si deve ripartire e ricostruire, senza abbandonare la città? R. Certo. La facciata è già stata messa in sicurezza e rimarrà come in origine mentre la parte destra verrà ricostruita in toto perchè completamente distrutta; invece la nava-ta di sinistra, dove ci sono le tombe dei Pico, verrà solo messa in sicurezza perchè fotunatamente non ha subito grandi danni.

Age Nazionale si è da subito impegnata per assicurare aiuti; dopo un anno dal terremoto, come possiamo continuare a contribuire alla vostra ripresa? Colgo l’occasione per ringraziare nuovamente l’Age per la solerzia e la grande dispo-nibilità che l’ha contraddistinta nel soccorrere i terremotati della cosidetta Bassa Modenese, facendoci avere aiuti di ogni genere. Ora anche qualche commerciante sta riaprendo il proprio negozio nel centro di Mirandola per dare una parvenza di normalità anche se tutt’intorno pullulano decine di cantieri edili. Rimangono proble-matiche in merito alle scuole elementari e materne e alla bibliote-ca. Il Comune di Mirandola ha organizzato diverse iniziative dal 19 al 25 maggio, organizzate in occasione dell’anniversario del sisma 2012: un segno che Mirandola vuole ripartire e dare speranza a tutti gli abitanti.

Da ParmaLibri e giochi per i bambini

A dicembre e gennaio, nonostante il freddo e il maltempo, si è svol-to a Parma il torneo di calcio “Un dono per Mirandola” riservato ai bambini nati nel 2001. Al torneo cui hanno partecipato diverse squadre, compresa una proveniente da Mirandola, ha permesso di raccogliere libri e giochi per gli alunni delle scuole dell’infanzia e primaria di Mirandola colpite dal terre-moto e che sono stati consegnati dai rappresentanti Age e Cif ai responsa-bili del comune di Mirandola per la distribuzione presso le scuole del paese. Un sincero grazie a Simone Pignatelli che ha ideato e organizzato il tor-neo. È stata una importante occasione per sensibilizzare i bambini verso i propri coetanei così duramente colpiti dal terremoto.

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Stampa Stampa 27SPAZIO AGE

FolignoAdotta una barriera

di Maria Alessandra Menichini

Un’adozione un po’ speciale quella proposta dall’Age Fo-ligno, quella di una barriera per fare in modo che diventi ac-cessibile. L’associazione locale, infatti, nel suo programma di attività, ha come impegno prioritario quello di partecipare e contribuire a promuovere le realtà associative private e i pro-getti di Enti Istituzionali che si occupano di problematiche fa-miliari e di servizi alla persona. L’Age ha partecipato infat-ti al progetto “Adotta una barriera e aiutala a diventare accessibile a tutti”. Un’iniziativa nata da Daniela Zipeto e Giorgio Raffaelli, che, insieme al periodico Chiaro Scuro, e in collaborazione con Il Sole Associazione socio culturale per ciechi e ipovedenti e con l’Age, hanno ideato e proposto al Co-mune momenti di informazione e approfondimento sulla realtà delle barriere esistenti nel territorio della città e la realizzazio-ne di eventi educativi nelle scuole, per stimolare la conoscenza e promuovere comportamenti adeguati e responsabili nella vita sociale a vantaggio di se stessi e degli altri.

Uno dei momenti più significativi del percorso progettua-le dal titolo “Giochiamo in tutti i sensi” ha coinvolto studenti di scuola superiore nella organizzazione degli spazi e produzio-ne dei materiali e bambini, ragazzi e adulti, che hanno parteci-pato a tre giornate (6-7-8 aprile) di attività e attraverso la fan-tasia e il gioco, hanno potuto sperimentare nuove possibilità di conoscere la realtà. Concentrare l’attenzione sulle potenzialità sensoriali del proprio corpo e sulla esperienza personale delle difficoltà, che possono derivare da un impedimento fisico, ha permesso ai partecipanti ai “giochi” di approfondire la consa-pevolezza di quali siano i fattori che facilitano e quali quelli che

ostacolano, nello spazio e nel tempo, la possibilità di ognuno di muoversi autonomamente rispetto ai propri bisogni, interessi e desideri.

L’esperienza è stata utile a percepire “sul proprio corpo” l’importanza di rimuovere le “barriere” non solo architettoni-che, ma anche comportamentali e relazionali che producono e/o aggravano situazioni di pericolo e di ostacolo al benesse-re di ogni persona. In quanto Associazione genitori il nostro compito educativo si esprime nello smascherare le ambiguità comportamentali che, a livello personale e sociale, fanno ap-parire le “barriere” come un problema che riguarda solo “alcu-ne” persone: in materia di barriere architettoniche chi può so-stenere che un gradino, pur basso, non sia un pericolo per un bambino piccolo, quanto per una persona ipovedente, per un anziano, per una persona che si muove con ausili manuali e/o meccanici e/o a motore? In materia di barriere comportamen-tali quali costi e benefici ha il rispetto di se stessi e degli altri negli spazi e tempi della vita personale e sociale? In materia di barriere relazionali quali vantaggi e svantaggi offre comunica-re in modo chiaro, diretto e responsabile in famiglia, in ambito professionale, sociale e istituzionale?

Più che classificare le persone ci interessa individuare e classificare le tipologie di barriere presenti nel nostro territo-rio, per migliorare la capacità di ciascuno di utilizzare, in modo responsabile, gli strumenti che già esistono e quelli che potre-mo potenziare per migliorare la nostra qualità di vita. Adottare e aiutare sono due infiniti che si coniugano spesso con l’esse-re genitore ed esprimono due dimensioni importanti della rela-zione educativa: accogliere e promuovere. Come piccola realtà associativa territoriale collegata alla più ampia realtà nazionale abbiamo accolto con piacere l’idea di Giorgio e Daniela, la col-laborazione delle altre associazioni, il patrocinio del comune di Foligno e della regione Umbria e ci impegniamo ad accogliere e promuovere il contributo di tutti coloro che vorranno condi-videre, arricchire e promuovere la facilità di “accedere” al be-nessere di figli e genitori.

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OrvietoOrto in condotta per vivere bene

Grazie alle conoscenze e alle esperienze di Slow Food, Orvieto ha ospitato un corso per “imparare l’orto” a fini edu-cativi rivolto ad insegnanti delle scuole locali e a genitori. en-trambi sanno bene come i bambini scelgano spesso la ma-nipolazione come attività di gioco. Ogni materiale è utile per conoscere giocando: la sabbia, la farina, i semi, la pasta ali-mentare, il pongo, l’argilla, l’elenco sarebbe lungo. Pochi am-bienti come l’orto riassumono tutti questi aspetti e altri ancora, la conoscenza diretta delle piante alimentari, delle loro natura, forma, fisiologia, dei loro colore e sapore, del modo per colti-varle dalla buona terra. È questo un elemento sempre più es-senziale per l’educazione dei nostri figli, immersi in una cultura virtuale che li sottrae dalle esperienze concrete e da rapporti interpersonali di socializzazione tra pari e attraverso le gene-razioni. Il rapporto scuola-famiglia è da questo punto di vista di grande rilevanza per la costruzione dei cittadini di domani. Partendo da queste esigenze, da alcuni anni anche ad Orvie-to e nel comprensorio, sono state avviate iniziative isolate per creare una nuova cultura del cibo e della “terra”, mediante la creazione di orti didattici scolastici e sociali.

La richiesta latente per l’utilizzo di questo strumento, l’orto, ai fini didattici ed educativi in senso lato(educazione alimentare, alla salute, all’ambiente, al gusto), determinò nel 2010 una prima sollecitazione da parte dell’Associazione genitori verso le Scuole di Orvieto con la presentazione di un Progetto “Orto a Scuola” accolto con interesse dai Dirigenti scolastici. Per dare una coerenza di progetto alle diverse ini-ziative già in atto, come ad esempio l’orto scolastico presso la scuola primaria di Sferracavallo, e qualificare in senso siste-

mico la creazione di nuovi orti sul territorio, nel corso del 2012 si sono ritrovati i diversi attori – scuole di Orvieto, Provincia, Age, Cittaslow- che hanno richiesto la necessaria consulenza scientifica e pedagogica da parte di Slow Food, un’associa-zione che opera da 25 anni nel campo della promozione e dello sviluppo dell’enogastronomia, del rispetto dell’ambiente e della biodiversità, con attività di educazione e divulgazione.

Alla Condotta Slow Food di Orvieto è stata demandata l’organizzazione di un primo corso per Orto scolastico, l’orto in condotta, che ha visto la luce a partire da Aprile 2013. Il corso, organizzato secondo uno standard nazionale di Slow Food, pre-vede tre incontri all’anno per tre anni con docenti e genitori delle classi interessate delle scuole di Orvieto, che vedranno coinvolti alunni in età 3–13 anni. Al termine del primo ciclo sa-ranno avviati i primi tre orti scolastici in altrettante scuole.

Che cosa è l’orto in condotta?In Italia l’Orto in Condotta prende avvio nel 2004 dive-

nendo lo  strumento principale delle attività di educazione ali-mentare e ambientale nelle scuole.  Insieme agli studenti, gli insegnanti, i genitori, i nonni e i produttori locali sono gli atto-ri del progetto, costituendo la comunità dell’apprendimento per la trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell’ambiente. Tutti questi soggetti hanno la possibilità di fare rete tra di loro e di scam-biarsi idee e esperienze anche a distanza grazie alla piattafor-ma virtuale Grow the Planet. La produzione di prodotti coltivati dai bambini (in collaborazione con i nonni e i genitori organiz-zati dall’Age di Orvieto) riguarderà erbe aromatiche, insalata, fagiolini, zucchine, piselli, pomodori, mais per i pop-corn, fra-gole e lavanda profumata, ecc.. L’esperienza dell’orto centra obiettivi trasversali a quelli della programmazione generale. Circa 500 saranno i bambini e i ragazzi coinvolti delle scuole di Orvieto con le relative insegnanti e collaboratori scolastici. L’i-niziativa che è partita si concretizzerà poi in una serie di even-ti aperti alla città, come mercatini, degustazioni, momenti di scambio intergenerazionale.

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ONLUS

StampaSPAZIO AGE

Acerra Tumori al seno, campagna under 40

di Marinella Paesano

L’associazione Genitori Age Acerra ha promosso dalla fine aprile una campagna di screening senologico sul terri-torio di Acerra, in collaborazione con l’associazione Under-forty Women Breast Care Onlus, nell’ambito del primo Pro-getto Europeo di prevenzione, diagnosi e cura presso il Di-partimento di Senologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli “G. Pascale” UnderForty. Il filo conduttore dell’iniziati-va è il “dovere”, come genitori, di fare prevenzione come at-to di responsabilità nei confronti dei nostri figli e la “Scuola” in quanto luogo familiare e quotidiano che offre l’occasione di trattenersi pochi minuti in più per compiere un gesto verso se stessi. L’iniziativa coinvolge i quattro circoli didattici della scuola dell’infanzia e primaria sul territorio.

Nell’appuntamento iniziale, le visite sono state prece-dute da una breve conferenza di presentazione dell’iniziativa da parte di Massimiliano D’Aiuto dell’Istituto nazionale dei tu-mori di Napoli Fondazione “G. Pascale”, responsabile del pro-getto UnderForty.

Le statistiche non mentono: i tumori al seno sono in au-mento. Massimiliano D’Aiuto, 39 anni, una eccellenza nel settore, ha operato a Parigi e a Milano nell’équipe medica di Veronesi. Adesso ha creato “UnderForty Women Breast Ca-

re”, un’associazione che si occupa delle prevenzione al tu-more al di sotto dei 40 anni di età, presentata in anteprima mondiale a Napoli. ‘UnderForty’ nasce sotto l’ala di Alts (As-sociazione Lotta Tumore al Seno).

Gli abbiamo chiesto perché questo obiettivo di preven-zione al di sotto dei 40 anni: «I tumori al seno sono in au-mento, precisamente, del 30% per la fascia d’età che va dai 30 ai 40 anni, ma anche dai 20 ai 30 anni sono in leggero aumento. Lo screening in Italia, parte dai 50 anni in su. Biso-gna “educare” l’opinione pubblica a fare controlli mirati dopo i 30 anni. Su dieci pazienti che opero di tumore al seno, tre hanno tra i 30 e i 40 anni.

La maggior parte delle mie pazienti al di sotto dei 40 anni arrivano alla diagnosi per auto-riscontro, cioè scopro-no il nodulo al seno da sole, palpandosi e quando è presen-te il nodulo, sono “interessati” i linfonodi e il tumore è già al-lo stadio due. Quando va in metastasi si raggiunge lo stadio quattro

La diagnosi di questi tumori “precoci”, non è sempli-ce, anche perché lo screening territoriale non tocca queste donne. Spesso, il problema viene allo scoperto casualmen-te, mentre per la remissione della patologia è necessaria una diagnosi precocissima e un immediato approccio terapeutico. Basterebbe una visita senologica una volta all’anno».

La campagna di informazione ed educazione alla pre-venzione del cancro al seno è partita ad Acerra il 27 Apri-le dal 2° circolo didattico, per poi proseguire in tutti gli altri tre circoli didattici di Acerra, dove le mamme, le insegnanti e tutte coloro che, tengono a cuore la propria salute, possono prenotare la propria visita senologica.

L’associazione UnderForty e l’Age rgione Campania, fir-meranno a breve un protocollo d’intesa, proprio per far si che la prevenzione venga divulgata a tutte le famiglie.

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Stampa SPAZIO AGE

BergamoI sogni possono volare Belletti alla quarta festa provinciale

A cura di Age Brembrate-Grignano

Un momento di incontro per collegare il passato al pre-sente e per guardare al futuro. Domenica 21 Aprile a Bremba-te si è svolta la quarta festa dell’ Age provinciale di Bergamo: una occasione di festa e riflessione per associati amici e sim-patizzanti, come è stata ribattezzata. “I sogni possono volare” per ricordare le persone care e significative che hanno contri-buito a mantenere vivo lo spirito dell’ associazionismo Age nel-la provincia di Bergamo: Giambattista Ludrini, per tanti anni presidente provinciale e dell’Age locale di Alzano Lombardo, e Giulia Renata Colanetti presidente di quella di Spirano.

Per non dimenticare ma, soprattutto, per andare avanti e continuare il cammino con rinnovato entusiasmo, ci è sem-brato naturale coinvolgere, in un momento di festa le nostre famiglie. Il tema conduttore della giornata “Famiglia e associa-zionismo” ha richiamato e collegato idealmente una riflessione

sul nostro impegno sociale e familiare. Lo abbiamo fatto con Francesco Belletti, presidente nazionale del Forum delle as-sociazioni familiari.

Belletti ha rimarcato l’importanza di una famiglia aperta al confronto , protagonista nel divenire della società, pronta a una criticità attiva e propositiva, per sostenere un’educazione che aiuti i nostri figli a diventare cittadini adulti, responsabili e consapevoli del loro ruolo etico e civile. Preziosi gli interventi di rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni nell’ambito locale, regionale e nazionale.

Quest’anno l’A.ge Brembate–Grignano ha organizzato e ospitato, presso l’oratorio, l’evento che ha coinciso con la ri-correnza del 15° anno della sede locale. Il ruolo importantis-simo della famiglia è stato rimarcato durante la celebrazione della Santa Messa. L’offertorio è stato il momento in cui si è ri-cordato ai presenti lo spirito di servizio e il tempo dedicato agli altri gratuitamente che caratterizza i nostri piccoli gesti quo-tidiani simboleggiati dall’orologio portato all’altare. La condi-visione del pranzo e dello spettacolo pomeridiano ha reso la giornata, nonostante il clima avverso e ancora invernale, colma di calore, colore e gioia.

L’impegno di organizzare questo evento e la buona riu-scita ci hanno permesso di scoprire che insieme si può. Con la consapevolezza che un ramo da solo si può spezzare, un fa-scio di rami no. Diamoci l’appuntamento per il prossimo anno. Vorremmo idealmente immaginare un mondo più umano, so-brio e vicino ai valori irrinunciabili legati alle nostre radici eti-che e cristiane: ecco perché i sogni possono volare.

Nuvolera (Bs)Dal primo soccorso alle favole in biblioteca

Due diverse iniziative hanno caratterizzato nei mesi scor-si l’associazione di Nuvolera, in provincia di Brescia. La pri-ma, in collaborazione con il Cosp Mazzano, è un mini-corso di pronto soccorso per ragazzi dai nove a tredici anni. Lo sco-po degli incontri è stato quello di fornire ai partecipanti le no-zioni di base sul primo soccorso, perché, in caso di necessità, sappiano come comportarsi, cercando soprattutto di mante-nere il controllo e poter chiedere l’intervento del 118.  All’ini-ziativa hanno partecipato una quarantina di ragazzi. Oltre alle semplici e prioritarie informazioni sulla chiamata al 118 i volon-tari del Cosp hanno mostrato ai ragazzi alcune facili manovre che anche loro potrebbero eseguire in caso di necessità. Que-sta parte “pratica” è stata sicuramente la più apprezzata per-ché l’hanno simulata con i loro compagni di corso. I volontari del Cosp hanno anche mostrato una delle ambulanze che viene

utilizzata per le uscite sul territorio. Una serata è stata dedica-ta anche agli adulti, che hanno sperimentato nozioni di primis-simo soccorso utili, semplici e pratiche.

Nel periodo invernale, come negli anni scorsi, sono pro-seguite le “Favole in biblioteca”. Ogni ultimo martedì del me-se, nella biblioteca comunale, vengono lette a turno da alcuni genitori, favole per bambini dai 4 ai 7 anni. È un incontro vera-mente apprezzato dai bambini che, di volta in volta, vi parteci-pano. È sempre un appuntamento piacevole e avvincente  per «chi crede nella necessità che l›immaginazione abbia il suo po-sto nell›educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola»..

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È stato recentemente calcolato che il costo di crescere un bambino dalla nascita ai 18 anni è di circa 160.140 euro.

Ma questi 160.140 euro non sono poi così tanti se si traducono in:

Se pensi ancora che il miglior consiglio sia quello di non avere figli, se vuoi diventare “ric-co”.... ti sbagli di grosso.

Vuoi sapere cosa ricevi in cambiodei tuoi 160.140 euro?

Per 160.140 euro, anche tu genitore…

Non c’è miglior rendimento per i tuoi 160.140 euro: diventi un eroe solo perché recuperi il pal-lone da un albero, sai insegnare ad andare sui pattini, riempi d’acqua una piscina di plastica, o cucini una torta al cioccolato!

Per 160.140 eurohai un posto in prima fila per…

Agli occhi del tuo bambino sei appena appena sotto Dio. Hai il potere di far passare la bua con un bacio, di mandare via i mostri cattivi da sotto il letto, di consolare un cuore spezza-to, di amarlo senza limiti.

È un bell’affare per quel prezzo, no?

8.897 euro l’anno

741 euro al mese

171 euro alla settimana

24 euro al giorno

1 euro l’ora

• Risatine sotto le coperte ogni sera

• Bacini umidicci

• Abbracci teneri teneri

• Una manina da tenere

• Qualcuno con cui fare le bolle di sapone

• Qualcuno con cui ridere a più non posso

(qualunque sia stata la tua giornata

di lavoro) • Più amore che il tuo cuore possa

sopportare

• Puoi dipingere con i colori • Giocare a nascondino • Rincorrere farfalle e lucciole • Giocare con le macchinine o le bambole • Continuare a credere a Babbo Natale • Hai una scusa per leggere ancora le favole

alla tua età, guardare i cartoni animati, rita-gliare fiori di carta, tirare i sassolini tra le on-de del mare, esprimere un desiderio quando

vedi una stella cadente

• Il primo passo • La prima parola • Il primo giorno di scuola • Il primo giro in bicicletta senza le rotelle • Il primo appuntamento d’amore • La prima volta al volante

Un figlio costa o vale?160 mila euro di investimento

* Riceviamo questa notizia, tanto significativa quanto simpatica, dagli amici dell’Associazione nazionale Famiglie Numerose (www.famiglienumerose.org).

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ONLUS

2013:associati all’Age

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