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Adattamento ebook di Luciano Folpini

Novembre 2015

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A Sua Eminenza Reverendissima

Il Signor Cardinale

Carlo Maria Martini

Arcivescovo di Milano

nella sua prima

visita pastorale

alla Parrocchia di

San Giovanni Evangelista

in Gavirate

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L’epoca del Cardinale Federico Borromeo

Indice

Presentazione ............................................................................................................ 7

Avvertenze ................................................................................................................. 8

Introduzione............................................................................................................... 9

I Protagonisti ............................................................................................................ 12

Gli Arcivescovi ...................................................................................................... 12

L'Arcivescovo Gaspare Visconti ........................................................................ 12

II Cardinal Federico Borromeo .......................................................................... 13

Le visite pastorali .............................................................................................. 14

I Parroci ................................................................................................................ 15

II Parroco Turriano ........................................................................................... 15

La documentazione anagrafica ......................................................................... 16

Le annotazioni economiche. ............................................................................. 17

Gli ultimi interventi e la rinuncia. ..................................................................... 21

I Parroci Veggio e Carabelli ............................................................................... 22

Giulio Veggio .................................................................................................... 22

Benedetto Carabelli .......................................................................................... 23

II Parroco Gian Paolo Albuzzi ............................................................................ 27

La Cappellania Albuzzi ...................................................................................... 27

Parroco a Lonate Ceppino ................................................................................ 28

Parroco di Gavirate ........................................................................................... 29

Gavirate tra il '500 e il '600....................................................................................... 33

La Parrocchia ........................................................................................................ 33

Le strutture ...................................................................................................... 33

II popolo di Dio ..................................................................................................... 35

II clero gaviratese ............................................................................................. 35

La partecipazione dei fedeli .............................................................................. 37

II contributo delle "scuole" ............................................................................... 39

L'attenzione religiosa........................................................................................ 40

Le processioni di voto ....................................................................................... 41

La processione del Corpus Domini .................................................................... 42

Il Paese ..................................................................................................................... 45

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Gli abitanti ............................................................................................................ 45

I dati del 1596 ................................................................................................... 45

Notizie al lavatoio! ........................................................................................... 45

La vita ................................................................................................................... 47

Paese rurale ..................................................................................................... 47

Una vita difficile ............................................................................................... 48

La guerra .......................................................................................................... 50

Note ......................................................................................................................... 53

Appendice I: I documenti ......................................................................................... 62

Archivio Parrocchiale di Gavirate ......................................................................... 62

Registro nati n. 1 .............................................................................................. 62

Registro nati n. 2 .............................................................................................. 62

Registro matrimoni n. 1 .................................................................................... 62

Registro morti n. 1 ............................................................................................ 62

Legati, 1, 1 ........................................................................................................ 62

Culto-Processioni, 1, 9 ...................................................................................... 62

Miscellanea, 6, 8 ............................................................................................... 62

Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sez. X .............................................. 63

Pieve di Besozzo: .............................................................................................. 63

Biblioteca Trivulziana (Milano, Castello Sforzesco) ............................................... 64

Appendice lI: I parroci a Gavirate ............................................................................. 65

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Il cardinal Federigo Borromeo - Giulio Cesare Procaccini

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L’epoca del Cardinale Federico Borromeo

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Presentazione Ecco il IV fascicolo della "Storia della Parrocchia di Gavirate".

La narrazione copre l'arco di tempo che va dal 1589 al 1636 e si snoda attorno all'imponente figura del Cardinale Federigo Borromeo che venne in Visita pastorale a Gavirate il 28 Gennaio 1596.

Il lavoro è stato condotto da Don Adolfo Passoni, Cappellano della nostra Casa di ri-poso. Egli, con diligente impegno, ha ricercato e studiato le antiche carte che custo-discono e tramandano la storia di Gavirate, e, con intelligente sensibilità, ha saputo fare rivivere i personaggi e gli avvenimenti di quel tempo passato ma non trascorso.

A lui vada la nostra riconoscenza.

Il Manzoni - è d'obbligo citarlo quando si parla del Cardinal Federigo - chiacchieran-do, un giorno con Cesare Cantù, mentre faceva la passeggiata quotidiana perle vie di Milano, disse: "La vita dei popoli, al contrario di quella degli individui, ha tanto più di avvenire quanto più ha di passato".

E aggiunse: "Si, io sono vecchio; io credo all'efficacia del passato, e vorrei sempre lo si adoperasse per migliorare l'avvenire; si desse indietro per saltare più risoluto in avanti, il progresso fosse evoluzione non rivoluzione".

La pubblicazione di questo studio, come degli altri che l'hanno preceduto e che, se Dio vorrà, lo seguiranno, ha proprio e solo questo scopo che speriamo di raggiunge-re anche con la benedizione del nostro amato Arcivescovo, Cardinale Carlo María Martini, presente in questi giorni a Gavirate, per la sua prima Visita pastorale.

Don Tiziano Arioli

Parroco

Gavirate, 13 maggio 1984

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Avvertenze

Questo fascicolo è la continuazione dei precedenti e quindi da una parte li presup-pone e dall'altra si rifà a loro. A tale scopo, per semplicità, quando occorre, i tre fa-scicoli sono indicati rispettivamente "Cenni di Storia", "Note Storiche", "S. Carlo a Gavirate" seguiti dal numero della pagina.

Quanto alle fonti da cui abbiamo attinto per questo periodo, ne diamo in appendice un elenco completo così che ad ognuno sia possibile controllare le notizie, ma so-prattutto ripercorrere questa storia in tutta la sua ricchezza, mentre il presente fa-scicolo, per la sua stessa mole, offre solo qualche piccolo elemento.

Ricordiamo che noi attingiamo quasi esclusivamente a fonti ecclesiastiche e anche questa è una caratteristica di queste pagine che, ovviamente, ne costituisce un limi-te.

Le citazioni dalle fonti sono fatte in carattere corsivo.

Se il documento è in volgare lo trascriviamo come è, anche per gustare la lingua del tempo; se è in latino lo traduciamo in lingua corrente; ciò spiega alcune differenze dei nomi, per es. Albutio (nella lingua del tempo), Albuzzi (nell'uso di oggi).

Infine ricordiamo il valore di alcune misure a cui si fa riferimento.

II moggio equivale a circa litri 146 e si divide in otto staia e questo in quattro quarta-ri.

La brenta (di vino) equivale a litri 75 e mezzo.

La lira (imperiale) si divide in 20 soldi e questi in 12 denari.

Le altre monete (scudo, ducato, fiorino) hanno un valore cinque o sei volte la lira.

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Introduzione Le notizie raccolte in queste pagine vanno dal 1589, data della visita dell'arcivescovo Gaspare Visconti, al 1636, ultimo anno della presenza del parroco Gian Paolo AIbuz-zi.

È un periodo coperto dall'episcopato di Gaspare Visconti (1585-1595), del card. Fe-derico Borromeo (1595-1631) e dall'inizio del card. Cesare Monti (1632-1650). Data però l'estensione e l'importanza dell'episcopato del cardinal Federico, crediamo di non sbagliare se - con qualche dilatazione- lo chiamiamo l'età del card. Federico Bor-romeo.

Nello stesso periodo quattro parroci: Carlo Turriano (1589-1608), Giulio Veggio (1608-1609), Benedetto Carabelli (1609-1615), Gian Paolo Albuzzi (1615-1636).

Saranno queste figure i protagonisti del nostro racconto.

Nelle ricerche precedenti vi era una quantità di documenti, grossi e piccoli, soprat-tutto collegati con le visite pastorali, che illuminavano molti angoli della vita della parrocchia. Ora i documenti ufficiali, come le relazioni delle visite, sono... ufficiali; ciò le rende più ordinate, organiche, chiare, ma in cambio manca l'abbondanza di note, atti, notizie che permettevano di frugare nella storia e nella cronaca della par-rocchia.

AI loro posto ci sono i registri parrocchiali di battesimi e matrimoni che sono per se stessi fonte di notizie e lo divengono ancora di più perché in quel tempo le notizie e i dati che un parroco riteneva importanti li segnava in una pagina qualsiasi di un regi-stro. Talvolta avviene sulla pagina a cui sono arrivate le registrazioni, talvolta sulle facciate di risvolto della copertina, talvolta si riservano ad alcune annotazioni (am-ministrative, pastorali, ecc.) le pagine finali di un registro.

Ovviamente restano notizie occasionali, frammentarie; un chronicon, cioè l'annota-zione progressiva degli, avvenimenti della parrocchia, non è ancora conosciuto e at-tuato.

Invece una veduta d'insieme della parrocchia, delle sue istituzioni e attività è offerta ancora soltanto dalle visite pastorali, e, per quanto ci riguarda, dovremmo dire dalla visita pastorale del card. Federico Borromeo del 1596, ampia e ordinata, l'unica di cui possediamo sia la relazione sia i decreti.

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I Protagonisti

Gli Arcivescovi

L'Arcivescovo Gaspare Visconti

II 3 novembre 1584 muore S. Carlo. A Roma, in quei giorni, Gaspare Visconti, un ec-clesiastico milanese di famiglia nobile, che si era dedicato soprattutto a problemi giuridici come uditore del tribunale della Sacra Romana Rota, viene eletto vescovo di Novara. Ma la vacanza della chiesa di Milano lo mette in lizza per la successione di S. Carlo e la scelta del Papa cade proprio su di lui, cancellando la precedente elezione.

Si era fatto anche il nome di Federico Borromeo, cugino di S. Carlo, già attivo nella Curia Romana, ma era sembrato troppo giovane (22 anni!) per questo incarico.

Gaspare Visconti è eletto il 28 novembre 1584 e, dopo il disbrigo di tutte le procedu-re ecclesiastiche e civili, entra a Milano nel luglio 1585. Sarà vescovo per dieci anni perché muore il 12 gennaio 1595, all'età di 57 anni.

La successione a un vescovo come S. Carlo, lavoratore instancabile, lottatore infles-sibile, rigorosissimo con sé e con gli altri, che aveva mosso e rimescolato acque sta-gnanti da tempo, non era una successione facile. Molte persone, anche serie e ri-flessive, pensavano che un vescovo dovesse essere un po' più calmo, dolce e mite di S. Carlo.

Gaspare Visconti lo fu, ma non gli giovò molto. Forse per l'età, forse perché inesper-to della vita pastorale, la burocrazia curiale prese il sopravvento anche in forme con-testatrici: loro avevano imparato da S. Carlo, loro sapevano che cosa si doveva fare, ecc. ecc.

Perciò questo arcivescovo non ebbe molta fortuna. Si pensi che nel 1589 convoca il Concilio Provinciale (la riunione dei vescovi della sua regione ecclesiastica) e... i ve-scovi non si presentano; e al suo funerale sarà presente uno solo di questi numerosi vescovi suffraganei!

Lui non ha mancato di fare quanto poteva per continuare l'opera di S. Carlo attra-verso, tra l'altro, sei sinodi diocesani e la visita pastorale alla diocesi; a Gavirate que-sta avviene il 21 giugno 1589.

I documenti al riguardo sono esigui, ma lui compie il suo dovere e, siccome la par-rocchia è vacante da sei mesi, provvede durante la visita alla nomina del nuovo par-roco, Carlo Turriano.

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II Cardinal Federico Borromeo

A Gaspare Visconti succede il card. Federico Borromeo, cresciuto alla scuola del cu-gino S. Carlo, che, per il nome della famiglia e forse anche per quello del cugino, ha fatto una brillante carriera a Roma.

Non tutto era esemplare neanche a Roma, ma la serietà e il desiderio di virtù e di perfezione di Federico era stato coltivato e protetto da S. Filippo Neri di cui si era fatto discepolo.

Milano ha un nuovo arcivescovo; qualcuno di coloro che hanno assistito alle vicende del Visconti scrive in poesia dialettale:

"Adesso viene un altro Borromeo che scaccerà dalla testa (dei preti) ogni biz-zarria".

In realtà Federico si distinguerà per modi più miti; anche a lui persone serie e rifles-sive hanno detto di mitigare un po' le fatiche e la severità di S. Carlo. Ma, se lui lo fa, è perché è uno spirito diverso. Eletto arcivescovo a 31 anni (è nato nel 1564), com-pie l'ingresso in diocesi il 27 agosto 1595. Subito però trova grossi impacci per i dirit-ti rivendicati dalle autorità spagnole; il primo riguardava la sedia che occupava in duomo il governatore il quale esigeva che fosse entro i cancelli dell'altar maggiore nei settori riservati al clero!

Su queste cose S. Carlo aveva sempre dato battaglia e aveva sempre raggiunto delle soluzioni di fatto di là dal problema giuridico. Federico, uomo di studio e di ufficio, apre le questioni giuridiche che... non si chiudono mai.

È a Milano da poco più di un anno e parte per Roma per seguire queste pratiche; parte nella primavera del 1597 e torna nell'autunno del 1601; Milano resta pratica-mente senza arcivescovo per quasi cinque anni.

Per parte sua aveva iniziato subito un lavoro notevole, in cui aveva un posto impor-tante la visita pastorale fatta con impegno, continuità, ordine. Prima di venire a Mi-lano, nelle sue riflessioni in preparazione al nuovo incarico, aveva cercato di traccia-re un progetto di vita e di azione

"per quello che sin hora comprendo, rimettendomi ad alterarlo per l'esperien-za che mi mostrerà molte cose"

in queste riflessioni pensa anche alla visita pastorale e si propone di iniziarla subito dopo la festa del duomo (8 settembre) cominciando dalle località più lontane. Vuol conoscere lo stato delle parrocchie prima della visita; intende fare pochi decreti e invece si propone di agire coi parroci convincendoli ed aiutandoli.

Ciascun convisitatore (i preti che l'accompagnano sono cinque) ha un compito parti-colare; il compito che riserva a sé è questo:

la visita del tabernacolo e del battistero; cresimare, comunicare, predicare;

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visitare le confraternite, specialmente quella della dottrina cristiana; componere paci che siano gravi; riprensioni a particolari quando il caso lo richieda; ma soprattutto, "il ragionamento col curato", cioè il colloquio privato, per cono-

scere dal prete i difetti suoi e del popolo, per esortarlo e istruirlo, vedere se inse-gna la dottrina cristiana, se predica, se fa la meditazione, se studia.

Viene in mente il colloquio con don Abbondio nei Promessi Sposi; il richiamo al Manzoni ci può servire anche a sentire la grandezza di questo vescovo,

"un personaggio, il nome e la memoria del quale, affacciandosi, in qualunque tempo, alla mente, la ricreano con una placida commozione di reverenza, e con un senso giocondo di simpatia... Federico Borromeo fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi di una grand'opulenza, tutti i vantaggi di una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'esercizio del meglio. La sua vita è come un ruscel-lo che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnarsi nè intorbidirsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume.

...Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse rendere la sua utile e santa". (I Promessi Sposi, cap. 22).

A Gavirate la visita pastorale è tra le prime, ìl 28 gennaio 1596, e, a differenza di quelle di S. Carlo, abbiamo il testo della relazione ufficiale e dei decreti, con una vi-sione sintetica e chiara dello stato della parrocchia.

Ritornerà, per quello che ne sappiamo, una sola volta, nel 1620, di passaggio per il Sacro Monte, quando verrà interessato alla costruzione della chiesetta di Armino.

Negli anni 1628-1630 vi è nel Milanese prima una grave carestia e poi una peste paurosa e anche in quelle circostanze rivela la sua grandezza che emula quella di S. Carlo.

Muore il 21 settembre 1631, a 67 anni di età, forse in conseguenza delle fatiche e di-sagi di quegli anni.

Gli succederà il card. Cesare Monti, suo cugino, che, nominato arcivescovo di Milano nel 1632, farà il suo ingresso in diocesi soltanto nel 1635; il suo episcopato (1632-1650) va quindi oltre il nostro periodo.

Le visite pastorali

Durante questi anni le visite pastorali sono tre. Quella di Gaspare Visconti del 21 giugno 1589 è riassunta in quattro facciate di annotazioni scarne, nervose, di difficile lettura. Vi è poi la visita del card. Federico il 28 gennaio 1596, durante la rettoria del Turriano, indubbiamente la più imporante. Nella primavera del 1608 -Turriano è presente, ma si è dimesso; è parroco Giulio Veggio - c'è la visita di mons. Cesare Pez-

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zano, visitatore delegato; non possediamo la relazione, ma abbiamo il testo dei de-creti che illuminano qualche particolare.

Accanto a queste ci sono alcune relazioni dei vicari foranei di Besozzo, in seguito a normali visite vicariali. Due sono di Prospero Colonna e sono pure preziose. Una, del 1592, è un resoconto succinto ma organico della situazione delle parrocchie della pieve, che porta come titolo: "Status Ecclesiae Besutij et eius plebis..." L'altra è del 1610, compiuta dopo la visita ("post visitationem praestita") ovviamente del 1608; si tratta di un controllo di come sono stati eseguiti i decreti, e per Gavirate ci sono no-tizie preziose in un brevissimo resoconto.

Ultima (tra quelle che conosciamo, perché con ogni probabilità ce ne saranno state altre) e a distanza, c'è una visita del 1635 del vicario foraneo Gian Battista Masinago; è breve, circoscritta a poche cose, ma illuminante.

Sarà sulla base di questi documenti che descriveremo un po' la situazione della par-rocchia di Gavirate alla fine del '500 - principio del '600.

I Parroci

II Parroco Turriano

L'arcivescovo Gaspare Visconti il giorno della visita pastorale, 21 giugno 1589, nomi-na il nuovo parroco nella persona del prete Carlo Turriano di Caronno. È abbastanza giovane, di 26-27 anni, entrato nella vita ecclesiastica al tempo di S. Carlo e ordinato sacerdote dal Visconti.

Forse la sua scelta fu suggerita da Prospero Colonna, il vicario foraneo di Besozzo, dove un fratello sacerdote, Andrea, era canonico teologo e presso il quale Carlo ave-va studiato per cinque anni "litteris humanioribus et casibus conscientiae", cioè i corsi del ginnasio e della teologia.

Queste notizie le sappiamo dallo "status personalis", la scheda anagrafica annessa alla relazione della visita pastorale del card. Federico Borromeo. A quella data, 1596, il fratello Andrea non è più a Besozzo, ma è parroco a Caronno, loro paese natale, al-la stessa data il papà Gian Pietro è morto e anche la mamma Giacomina, mentre c'è un altro fratello sposato; la famiglia non è ricca e lui non ha altri redditi che quelli della chiesa.

“È sufficientemente preparato peri casi di coscienza", cioè per il ministero delle con-fessioni. Per parte sua si è scelto come confessore il parroco di Cocquio, prete Luigi Besozzi, di una famiglia benestante del posto, che nel 1596 ha 60 anni ed è parroco dal 1560; il quale a sua volta si é scelto il parroco di Gavirate come proprio confesso-re. II particolare sembra solo una curiosità, ma è importante per noi, perché ci dimo-stra la stima e fiducia che il vescovo ha in lui.

Allora non tutti i preti avevano la facoltà di confessare la gente e tanto meno pote-vano confessare i confratelli. II rettore G. Antonio Lanzavecchia, a Gavirate, 25 anni

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prima, non poteva confessare, mentre il suo coadiutore Giovanni Zocco, aveva an-che la facoltà di confessare i preti; il parroco Prando (1574-1588) aveva regolare fa-coltà di confessare i fedeli, ma non pare che la facoltà si estendesse ai preti. II parro-co Turriano ha questa facoltà.

Un elenco di Prospero Colonna di questi anni indica i preti autorizzati alle confessio-ni per i fedeli e quelli per i preti; nella pieve di Besozzo questi ultimi sono il Colonna di Besozzo e il teologo Turriano Andrea fratello del nostro parroco e i parroci di Coc-quio, Gavirate, Travedona e Ternate.

Dalla scheda personale sappiamo anche che è esperto di canto fermo (liturgico) e fi-gurato; la notizia è confermata dal Colonna nel documento del 1592:

a Gavirate "maestro è lo stesso parroco che insegna anche il canto".

Anzi il Colonna in un altro documento, che si può accostare per la data a quello dei confessori, fa l'elenco dei maestri presenti nella pieve; per la zona di Besozzo-Angera c'è un solo maestro laico, a Besozzo, un uomo cinquantenne, sposato, che insegna ai figli dei nobili; gli altri sono preti:

"Inoltre insegnano le prime nozioni (rudimenta) molti sacerdoti che hanno compiuto la loro professione di fede in occasione dei Sinodi, e sono...".

L'elenco ne indica sei, tra cui

"il curato di Gavirate che tiene in casa quattro ragazzi, oltre gli altri".

Dunque la premura del parroco va oltre la scuola, perché mette su un piccolo colle-gio, una iniziativa non senza significato e non senza impegno.

Da tutto l'insieme esce l'immagine di un prete preparato, colto, sensibile, attivo. Ag-giungiamo che gode buona salute ("Est corporis costitutione valida" dice la scheda) e possiamo concludere che Gavirate si trova ad avere un bravo parroco.

II Turriano è parroco per oltre 18 anni, dal giugno 1589 all'inizio del 1608. La docu-mentazione da cui desumere la sua attività non è molta, però, tra i parroci di questo periodo, è il solo che ha lasciato una serie di osservazioni, note, documenti che ci of-frono numerose notizie spicciole della vita della chiesa e del paese. Ci sono i dati anagrafici della parrocchia contenuti in uno stato d'anime datato 1596 e nell'elenco dei morti degli anni 1592-96, oltre che nei registri dei battesimi e dei matrimoni; ci sono dati economici, di vario tipo, diffusi qua e là nei registri parrocchiali che illumi-nano certi aspetti della parrocchia; ci sono documenti vari che informano su pro-blemi o episodi ritenuti significativi. Vediamo la consistenza di questa documenta-zione che ci servirà per conoscere un po' la parrocchia e il paese.

La documentazione anagrafica

I registri: il Turriano continua i registri di matrimonio e di battesimo, già iniziati dal Prando, con una sua calligrafia molto più sciolta e, generalmente, chiara. Ha anche qualche particolarità: tiene conto del numero dei battesimi e, in margine al registro,

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scrive:

"Da qui indietro sono 100;...sono 200; ...300, ...400; ...438 (il 10-6-1607)".

Se aggiungiamo i 25 successivi celebrati da lui, abbiamo la cifra di 463 battesimi.

Ma il Turriano ha anche un'altra usanza che ci è di qualche utilità: ogni tanto, a mar-gine degli atti di battesimo, si trova l'indicazione "morto", "morta".

L'indicazione è preziosa, anche se un po' oscura: quando sono morti, a che età? Cer-tamente doveva indicare un decesso precoce, e se è così possediamo un dato im-portante della vita in quel tempo.

Lo stato d'anime: lo stato d'anime datato 1596, fu steso con ogni probabilità in pre-parazione alla visita pastorale che avviene il 28 gennaio. Stende con ordine, focolare per focolare, l'elenco degli abitanti con l'indicazione dell'età e della ammissione alla comunione.

II parroco Prando ci aveva abituati a uno stato d'anime più ricco di dati. L'elenco dei focolari era diviso per rioni, era indicato il proprietario della casa e la professione del capo-famiglia; così era possibile farsi un quadro più chiaro della fisionomia del pae-se.

Qui no; qui le famiglie sono elencate una dietro l'altra senza alcuna indicazione e neppure sappiamo intravvedere l'ordine che presiede alla compilazione. Sono 106 focolari, con 504 persone, di cui 402 sono ammesse alla comunione. Pur con questi limiti, il documento è assai importante e lo scrupolo, che ritroveremo come una ca-ratteristica del parroco, è una garanzia sul suo contenuto.

Gli elenchi dei morti: il registro dei morti ha inizio regolare nel 1639, quindi dopo il periodo che interessa a noi. Però il parroco Turriano per gli anni 1593-96 ha steso gli elenchi dei defunti che troviamo su alcuni fogli cuciti in capo al primo registro dei morti dell'Archivio Parrocchiale; per i primi tre anni gli elenchi sono anche nell'archi-vio della Curia; si può pensare che ha consegnato anche questi all'inizio del 1596 per la visita pastorale. Perché li ha stesi in questi anni? e perché non ha continuato una iniziativa che sarebbe stata tanto utile? Vedremo infatti come questi fogli siano una fonte di notizie interessanti.

Gli elenchi non sono registrazioni accurate tanto meno "atti di morte"; sono indica-zioni sommarie dei decessi avvenuti, dove l'unica cosa segnata con precisione è la data di morte; spesso non ci sono i nomi, ma genericamente "un homo'; "una don-na"; "una creatura", negli elenchi per la curia sono indicati i sacramenti ricevuti in punto di morte.

Ecco, per esempio, l'inizio del 1593:

"Adì 9 Genaro morì una donna, conf. com. onta" (confessata, comunicata, un-ta con l'unzione degli infermi); "Adì 14 ut supra morì una creatura". Eccetera.

Le annotazioni economiche.

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I problemi economici sono una preoccupazione di ogni istituzione come di ogni casa; anche per la Chiesa. Quando arrivò a Gavirate il parroco Prando nel 1574, la popola-zione trovò subito un motivo di lamentela per le esigenze economiche da lui avanza-te; si trattava della primizia.

Ma anche col suo successore si presenta un problema fondamentalmente di soldi.

Come nel 1574, c'è anche ora un "Memoriale delli homini del Comune di Gavirà" in-dirizzato all'Ill.mo et Rev.mo Signore che è il cardinale; è un memoriale e non è data-to, ma la risposta a questa supplica è nella visita pastorale del card. Federico; si trat-ta del diritto avanzato dal parroco sulla cera offerta per i funerali, mentre la gente voleva che, secondo la consuetudine del posto, fosse della chiesa.

È una spia degli interessi della parrocchia e riprenderemo l'episodio; qui ricordiamo che il Turriano - di là dall'episodio - non appare in nessun modo esoso e accetta la soluzione dell'arcivescovo favorevole alla popolazione. Non si trovano altri elementi che rivelino frizione nei rapporti col parroco, il quale, proprio dopo la visita pastora-le, si rivelerà attento e forsanche scrupoloso e preoccupato di documentare l'uso che fa dei soldi della chiesa; sono le varie note sparse qua e là nei registri, che in parte soddisfano, in parte stimolano la nostra curiosità, e riguardano legati, offerte, investiture di beni, spese ordinarie e straordinarie per la chiesa.

Raccogliamo le notizie che ci arrivano da questo materiale.

I lasciti alla chiesa: il parroco nel suo ministero accosta talvolta persone, special-mente malati gravi, che dichiarano a voce, in presenza di lui e di altri testimoni, al-cune loro volontà a favore della chiesa e in suffragio della loro anima.

Tre delle nostre facciate sono destinate a una dozzina di queste dichiarazioni che vanno dal 1599 al 1606. Alcune, stese diligentemente, sono poi cancellate con righe trasversali; forse quando il lascito era stato realizzato, forse quando si era costituito un titolo giuridicamente più valido? Parecchie volte è indicato in calce o in margine l'adempimento degli oneri nei vari anni. La forma è più o meno questa:

"Adì 22 Marzo 1600. Nota come Lucia del Muscio inferma protesta, et vuole che la casa sua nella quale sta dentro sia la metà della sua sorella la Defendi-na, et l'altra metà la lascia alla chiesa per spendere intorno a suoi bisogni, et questo in remedio dell'anima sua et tutto ciò ha protestato con chiara voce et intelligibile alla presenza di me prete Carlo Turriano curato di Gavirate, et de Bilia de Pozetto, et Jacomo de Vincenzo testi tutti duoi vicini et noti et di que-sto ne faccio io ampla fede col mio giuramento".

Forse vale la pena di sottolineare la forma di giuramento presente più volte, che dà importanza alla dichiarazione, ma è anche segno di una certa preoccupazione del Turriano e persino dello scrupolo di precisare le cose. Ecco un testo significativo:

"1605, adì 19 xbre (dicembre). Memoria qualmente il curato di Gavirà è obli-gato a celebrare duoi anuali ogn'anno per il quondam nominato il Cocho, uno

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de sei sacerdoti et l'altro utplacet. Per uno possiede la selva chiamata a Ca-reggio; per l'altro una vigna chiamata alle motte de fiori(?). Et di questo ne faccio io prete Carlo Turriano curato di Gavirà memoria in questo foglio per sgravio della mia coscienza et de sucessori".

Le spese della chiesa: le annotazioni delle spese per la chiesa lasciano l'impressione di un certo disordine e più ancora di discontinuità; inizia vari elenchi diversi e sem-bra non terminarne nessuno.

II più completo è il resoconto delle spese per gli anni 1591-1604.

II titolo è solenne:

"Memoria delle robbe comprate da me, prete Carlo Turriano Curato, a nome della chiesa delli denari et miei et parte de elemosine della chiesa donate"

la precisazione dei soldi suoi e della chiesa è aggiunta successivamente, forse per lo stesso scrupolo di cui dicevamo. Segue l'elenco delle spese; per il 1591-92 sono dieci voci in un solo elenco per complessive L. 259 S.4. (Ricordiamo che la lira si divideva in 20 Soldi e il Soldo in 12 Denari). La spesa maggiore è un ostensorio che costa L.30 S.15; poi pianete, pallii d'altare, ecc.; un secchiello e asperges per l'acqua santa mol-to economico (L.2 S.18), mentre nel 1602, trovandosi a Milano al sinodo, compra "un asperges bellissimo; costa L.5 S. 5".

Seguono spese successive spesso compiute a Milano in occasione dei sinodi dioce-sani; le maggiori sono una pisside grande (L.25 S.15) il 12 maggio 1596; nel 1598 un crocifisso processionale per le donne che "costa a Varese lire 20"; ma la spesa più ingente:

"1602, adì 18 8bre. Ho comprato duoi Angeli per l'altare quali sono costati con la coperta di tela verde di S. Gallo L.65 S.11".

Certamente sculture di legno; peccato di non possederle più. Queste annotazioni coprono quattro facciate e al termine il parroco fa la somma totale: sono L. 679 dal 1591 al 1604.

Ma vi sono altri elenchi indipendenti. C'è una nota della spesa per l'olio della lampa-da negli anni 1599-1600; l'acquisto è in libbre, sempre al costo di Soldi 15 la libbra, fino all'ultimo acquisto quando sale a Soldi 18, con un aumento del 20%.

L'elenco contiene anche, una volta, la voce cera per L.12 S.17 D.6; complessivamen-te sono L.61 S.11 per circa 70 libbre di olio, più la cera, nell'arco di oltre un anno.

Ricordiamo che la libbra è una misura di valore vario, ma esisteva una "libbra da olio" di 32 once, per il peso di gr. 871; in chiesa la lampada ardeva continuamente giorno e notte e il card. Federico nel 1596 aveva prescritto che nei giorni festivi fos-sero due.

Probabilmente si usava ancora olio di noci, perché nel 1608 il Pezzano raccomanda di usare olio d'oliva.

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II battistero: nella visita pastorale il card. Federico ha stabilito alcune opere da com-piere. AI battistero si deve provvedere un cancello che chiuda la cappella; se entro sei mesi non si provvederà, non si potrà più battezzare in questo fonte e i bambini si porteranno a una parrocchia vicina.

Difatti il registro dei battesimi, in data 19 febbraio 1598, annota che dall'agosto pre-cedente non si è più battezzato "per causa della ferrata quale non era fatta".

Di questa operazione abbiamo qualche indicazione nelle nostre note economiche. II fabbro che la prepara è denominato Schizzo e a lui, nel 1598 (non '97), in agosto e settembre sono versati due acconti; un terzo, sempre in settembre, al "maestro del-la cancellata" (è ancora lui?); nel novembre 1598 e infine il 5 marzo 1600 ci sono pa-gamenti a persone che hanno fornito del materiale. La somma è di L. 28 circa. In precedenza c'era stata una spesa per la "invidriata"(quale? dove?) con soldi che il parroco ha ricevuto da una signora.

La cappella dell'altar maggiore: il card. Federico aveva anche ribadito l'ordine di S. Carlo di ampliare la cappella dell'altar maggiore, cioè l'abside della chiesa. Un lavoro del genere si compie nel 1600; in agosto-settembre il parroco spende cento lire, ri-cevute per testamento da un Matteo Cheola in favore della chiesa; gli servono in parte per pagare

"cinquanta centenara calcina colata per dare principio alla fabrica della capella mag-gior della chiesa"

e in parte come anticipi all'imprenditore, mastro Michele, che se ne è assunto l'im-pegno "come n'appare per scritto nelle mani del Lanzavegia".

Le note hanno questo tono: ”Io faccio fede et memoria come ho dato et sborsato...".

A quest'opera il parroco contribuisce anche personalmente con 10 ducatoni, che so-no circa 60 lire, versati parte in denaro, parte in natura (le entrate delle decime, primizie e affitti), e sono versate a mastro Michele e a un "Gioseffo feraro", il fabbro per le inferriate delle finestre.

Troveremo che un Gian Battista Bianchi il 4 aprile 1602 lascia 4 ducatoni "da spende-re per la capella maggiore appena costruita".

Circa la sistemazione di questa cappella abbiamo un'altra notizia che questa volta non ci viene dai brogliacci della spesa, ma, si direbbe proprio per caso, dai registri di matrimonio, ed è che nel 1606 si sta decorandola.

A un matrimonio dell'11 novembre fa da testimone "Messer Zanpietro Muttone, pit-tore, che allhora pingeva la capella".

Vorremmo sapere molte più cose di questo signore e delle sue opere, e non le sap-piamo.

Sappiamo però che nel 1608 il visitatore Pezzano dichiara che la cappella del'altar maggiore "è stata recentemente ricostruita in forma decorosa", e, nel 1610, il so-

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pralluogo dei vicario Prospero Colonna preciserà che '7a cappella maggiore che si era cominciato a dipingere, ora è completata". Ma negli appunti economici di que-st'opera non si parla.

Gli ultimi interventi e la rinuncia.

La rettoria del Turriano deve essersi distinta per una attenzione premurosa - diciamo ancora: scrupolosa? - per le attività parrocchiali, per i suoi compiti nella chiesa, per lo svolgimento delle funzioni sacre. Verso il termine del suo ministero, che si chiude all'inizio del 1608, abbiamo due documenti in un latino scorrevole e corretto, che potremmo ritenere preparati in vista della visita del Pezzano del maggio di quell'an-no; ovviamente può averli stesi per altri motivi, e forse per il suo successore, dietro richiesta o non. Non sono datati, ma uno di essi, riguardante le processioni di voto, pone dei problemi a cui è data puntuale soluzione nei decreti del Pezzano, come ve-dremo.

L'altro documento descrive il rito che si segue nella celebrazione dei funerali e uffici funebri. L'esposizione è molto particolareggiata; rivela preoccupazioni di ordine (non si dà inizio all'ufficiatura se non sono presenti tutti i sacerdoti), preoccupazioni eco-nomiche (si canta la messa, ma non con gli apparati per il costo e la scarsità di sa-cerdoti e di paramenti...), ecc.

La conclusione:

"Per quanto si possa giudicare, non c'è nessun abuso; soltanto si osserva com-pletamente il testo del nuovo rituale che si usa nella amministrazione di tutti i sacramenti".

II parroco non ha proprio nulla da rimproverarsi. Del resto anche il suo vescovo non gli rimprovera nulla; nella visita del 1596 il card. Federico si diffonde a descrivere come si svolge il culto eucaristico (processioni, comunioni in chiesa e agli infermi) evidentemente con senso di approvazione; a Gavirate, al tempo del Turriano, le cose erano fatte bene.

In data 12 febbraio 1608 il Turriano stende l'ultimo atto di matrimonio celebrato dal lui e c'è questa precisazione: "

...alla presenza di me, prete Carlo Turriano, residente in detta cura con licenza de' superiori havendo permutato... ".

Non è più parroco, ma solo residente in parrocchia, quindi non ha più la facoltà di celebrare matrimoni ed è stata necessaria una particolare autorizzazione; ormai lui ha lasciato l'incarico. Da quando? Perché?

La rinuncia è precedente il 4 febbraio, perché in quella data il successore ha preso possesso della parrocchia, ma il Turriano continua i battesimi fino al 15 marzo; il successore inizierà le celebrazioni con un battesimo il 22 aprile.

Perché? A questo interrogativo è più difficile rispondere.

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Il Turriano ha 45-46 anni; dai registri non si hanno segni di assenza dal lavoro par-rocchiale, fosse pure per malattia; ci sono indicazioni della sua partecipazione co-stante ai sinodi diocesani.

Sembra un uomo dotato, è maestro di canto e di grammatica, è confessore di sacer-doti. Perchè rinuncia?

Rimane in parrocchia e abbiamo un documento, scritto da lui quando non era più parroco, che si trova al termine del secondo registro dei battesimi: "Nota et memo-ria delle investiture fate periiRev.do prete Carlo Toriano alias curato di Gavirate", elenca sette (forse otto) atti di locazione compiuti negli anni 1592-94 (o'99). Quel registro ha inizio col 1617; lui scrive sull'ultima facciata; non può aver scritto... prima che il registro esistesse!

Allora a distanza di parecchi anni è ancora qui e si preoccupa di mettere nero su bianco queste cose?

Se concludessimo che, da tante piccole spie, il Turriano si presenta come un uomo un po' scrupoloso, preoccupato dei suoi compiti e delle sue responsabilità? E perciò a un certo momento è tentato di rinunciare? Queste decisioni, in genere, non si im-provvisano. E se la postilla molto strana del 10 giugno 1607 "fino a qui 438 battesi-mi" indicasse già la cura di tirare le somme e partire? Sono ipotesi belle e buone; non possiamo affermare niente. Ma, da quello che possediamo, questa è una ipotesi che sta a galla.

Così si commiata un parroco che deve essere stato un bravo parroco.

I Parroci Veggio e Carabelli

Giulio Veggio

II 4 febbraio 1608 il parroco Turriano celebra un battesimo e in margine all'atto scri-ve: "Oggi il prete Giulio Veggio è entrato nel pacifico possesso di questo beneficio "; è l'espressione che indica l'atto giuridico di presa di possesso della parrocchia, un gesto che si può fare di persona, ma anche per delega. Perciò non ci meravigliamo che il Turriano continui per un paio di mesi a compiere funzioni parrocchiali; ad ogni modo in aprile il nuovo parroco è presente.

Purtroppo rimane poco. Inizia con un battesimo il 22 aprile e ne celebra 20 nel 1608 e 10 nel 1609, gli ultimi (due gemelli) il 5 giugno.

I matrimoni sono 9, il primo il 14 maggio 1608, l'ultimo il 27 aprile 1609; una sola volta in questi atti è sostituito, il 27 agosto 1608, in un battesimo celebrato dal cura-to di Comerio, ma l'atto è steso dal Veggio.

Dalla ultima facciata del secondo registro dei battesimi, che già conosciamo, risulta che il 10 aprile 1609 ha investito "Andrea del Torcio della pezza di terra dove si dice alla casa de Previdi rogato a q. Jo Francesco Lanzavegia "; l'annotazione segue quelle del Turriano ed è di mano del parroco Guilizzoni (1637-1650).

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Quest'uomo riceve mons. Pezzano, visitatore regionale, nel maggio del 1608. Non possediamo la relazione della visita e il testo dei decreti sarà noto solo quando è già parroco il Carabelli, ma conosciamo il motivo della visita alla pieve perché lo dice il card. Federico nell'introduzione al volume dei decreti:

"Ci constava che in questa pieve di Besozzo, di tutti i decreti di S. Carlo e delle altre visite passate, pochi erano stati eseguiti e in più erano sorte molte altre difficoltà a cui bisognava provvedere".

Per noi che cosa poteva essere? Non sappiamo. I decreti per Gavirate non rivelano gravi inadempienze, anche per la nota premura del Turriano e le sue opere; la cap-pella dell'altar maggiore è stata ampliata e si sta dipingendo, la cappella della Ma-donna c'è, il battistero è stato completato con la cancellata.

Certo qua e là mancano le rifiniture e poi c'è da eseguire la sistemazione della chiesa di S. Giovanni in cimitero, ecc.

Ma, ad ogni modo, di queste cose non si può far colpa al Veggio che arriva insieme al visitatore e non fa in tempo a vedere i decreti che arrivano più tardi. Può darsi che anche lui abbia fatto la sua parte, almeno continuando la decorazione, già in corso, della cappella.

Comunque, in data 17 luglio 1609 il Veggio lascia Gavirate e si trasferisce ad Affori, un paese e una parrocchia, allora, fuori Milano, in pieve di Bruzzano; e don Benedet-to Carabelli, da 6 anni parroco ad Affori, diviene parroco di Gavirate; avviene uno scambio tra i due parroci, un fatto che oggi sarebbe abbastanza inconsueto, ma sembra non lo fosse allora, almeno nella vita del Carabelli.

Ad Affori il Veggio rimane fino al 1622; sui registri di battesimo e matrimoni annota il suo arrivo:

"Adì 14 luglio 1609 io prete Giulio Veggo pigliaj posesso di questa cura".

In data 19 febbraio 1622 incomincia a farsi sostituire dai parroci vicini nella celebra-zione dei battesimi per una "indisposizione" e muore nei mesi successivi.

II successore prete Ambrogio Giussani è nominato il 15 giugno

"essendo vachata detta cura per la morte del R.P. Giulio Vecchio, alias curato di Affero";

come afferma lui stesso presentandosi nel registro dei battesimi.

Benedetto Carabelli

"L'anno 1609, nel mese di luglio, il giorno 17, venni a Gavirate, io prete Bene-detto Carabelli, dottore in Sacra Teologia, a seguito di permuta fatta col retto-re prete Giulio de Veggi che ho posto come curato ad Affori, pieve di Bruzzano, dove io rimasi per sei anni".

Questo è il biglietto di presentazione del nuovo parroco, steso da lui, in latino, sul registro dei battesimi; con una particolarità che non appare nella trascrizione: dotto-

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re in sacra teologia è scritto e poi cancellato con una riga. Allora, è o non è dottore in teologia?

Una sua scheda anagrafica del 1608, mentre è ancora ad Affori, dice che

"è stato ricevuto nell'ordine dei Dottori in Teologia, però non ha in casa il do-cumento (prlvilegium) del suo dottorato".

Che cosa vuol dire con precisione? È forse un bell'originale che vanta titoli superiori alla realtà? Quando lascerà Gavirate per Lonate Ceppino scriverà in quei registri una presentazione più o meno dello stesso tenore, ma di dottorato in teologia non fa più parola.

Ma altri particolari rivelano che si tratta di un bel tipo, per esempio quando si esprime come se la nomina del Veggio ad Affori fosse compiuta da lui e non dal ve-scovo!

Queste osservazioni hanno solo lo scopo di sottolineare l'esuberanza del personag-gio dal piglio disinvolto, sicuro, forse autoritario; dopo un Turriano, forse scrupoloso, quest'uomo dovrebbe andar bene.

Di lui, dunque, possediamo lo status personalis, steso nel 1608 ad Affori in occasione di una visita vicariale. È di Gallarate, e, nel 1608, ha 33 anni; papà e mamma sono morti; ci sono due fratelli, il maggiore sposato, il minore ancora studente; la famiglia aveva qualche rendita valutata in 200 scudi (oltre mille lire, una discreta somma) che i tre fratelli mantenevano ancora indivisa.

Ha fatto un tirocinio seminaristico di 13 anni e diventa prete nel 1596, dunque a 21 anni, a Vigevano, non si capisce bene se con tutte le autorizzazioni necessarie.

Ad Affori arriva nel 1603 per °libera rinuncia" del predecessore Carlo Antonio Gius-sani. Risiede assiduamente nel suo ufficio,è diligente nei suoi doveri. Ha doti per la predicazione, è esperto nei casi di coscienza, è competente di canto fermo e figurato e sta bene di salute! Che cosa vogliamo di più?

Ma desideriamo sottolineare un altro particolare. La sua scheda ci dice che le rendi-te della chiesa di Affori sono di 200 scudi, una bella somma; le rendite di Gavirate nel 1608 raggiungono e superano le 600 lire, più o meno la metà, e il prete Benedet-to Carabelli lascia quella parrocchia pingue e viene in questa.

Mancando altre informazioni sui motivi del cambiamento, questo è un elemento da ricordare per valutare l'uomo che non va a caccia di pingue prebende.

I registri: i registri parrocchiali continuano; il Carabelli ha una scrittura passabile, so-litamente chiara, talvolta troppo minuta e fitta. Nei 5-6 anni della sua presenza ce-lebra 155 battesimi e 48 matrimoni e solo una volta delega il prete Franco Valtellina, vice-curato (?), il 1 gennaio 1611.

Le attitudini di uomo pratico del Carabelli si rivelano in un piccolo particolare: inizia í singoli atti di battesimo col nome del battezzato scritto in risalto: "Caterina, figlia

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di... e di... nata il... fu battezzata... ", questo permette di ritrovare più facilmente l'at-to di battesimo di una persona. Certamente per lo stesso motivo pone lui, negli atti di battesimo di alcuni anni precedenti, il nome del battezzato in margine al registro.

Le opere: ma la sua attività deve essersi rivelata anche in realizzazioni concrete. Ar-rivato da poco, riceve i decreti del Pezzano; poiché la visita era stata disposta per stimolare l'adempimento dei decreti precedenti, l'anno successivo, il 1610, arriva il vicario foraneo, il prevosto Colonna, per il controllo; nel titolo del resoconto è fatto riferimento alla visita:

"Sopralluogo della chiesa di Gavirate compiuto dopo la visita".

È un resoconto così denso e così breve che lo trascriviamo:

"Si è provveduto un pulpito di tavole di noce al lato del vangelo della cappella maggiore. Questa cappella maggiore che si era già cominciato a dipingere, ora è completata.

La chiesa di S. Giovanni che era davanti alla facciata della parrocchiale e che era crollata, fu riparata e vi fu trasferito il sodalizio di penitenza (i Disciplini) secondo le disposizioni dei decreti di S. Carlo.

La sacristia è stata dotata dei paramenti necessari perla celebrazione della messa, coi colori stabiliti.

La casa parrocchiale è stata riordinata.

Parroco è il rev.do prete Benedetto Carabelli, già curato di Affori, che subito dopo la visita ha permutato col rev.do prete Giulio Veggio".

La decorazione dell'abside, iniziata dal Turriano, può essere stata continuata e com-pletata dal Veggio, ma certamente la chiesa di S. Giovanni in cimitero fu riordinata - finalmente! - dal Carabelli perché è una precisa disposizione del Pezzano e non è opera da poco; e il Pezzano ha dato pure l'ordine di acquistare i paramenti della messa nei cinque colori liturgici.

Dunque il Carabelli sembra proprio un prete che si dà da fare, anche per la sua casa! A un anno dai decreti del Pezzano e dalla sua venuta ha già eseguito vari e impegna-tivi adempimenti. Non sappiamo altro.

La rinuncia e la permuta: resta da dire che alla fine dell'anno 1615 c'è il cambio del parroco e ancora una volta si tratta di permuta: il Carabelli lascia il posto al prete Gian Paolo Albuzzi parroco di Lonate Ceppino e va là a sostituirlo! Ecco l'annuncio fissato a Lonate Ceppino sul registro del battesimo in italiano e, in termini equiva-lenti, su quello dei matrimoni in latino:

Nota qualmente io, prete Benedetto Carabello, adì 7 novembre 1615 hebbi la collatione (l'investitura) del Beneficio Curato di Lonate Ceppino per permuta fatta con il Rev.do Gio Paolo Buzzo quale è successo in mio luogo a Gavirate pieve di Besozzo, et il possesso di detto beneficio fu preso da me il 2 dicembre 1615.

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Vi rimase poco, neppure due anni; il primo battesimo è del 16 dicembre 1615, l'ul-timo del 19 ottobre 1617. Per la celebrazione dei matrimoni nell'estate 1616 si fa sostituire e scrive in margine al registro:

'In questo periodo, io, prete Benedetto Carabelli curato di Lonate Ceppino sono stato a Roma, Loreto, Venezia e... ".

L'ultima località non è chiara; ad ogni modo un viaggio così nel 1616 era qualcosa

Affresco esistente sotto la mensa dell'altare della Madonna Addolorata, nella chiesa parrocchiale, che risale probabilmente alla fine del 500.

Il parroco Frapolli nel 1770 dice che è la Madonna della Cappellania Albuzzi o della Vergine di Loreto. Cfr. nel testo a pag. 23, e n. 15.

Che si tratti proprio della immagine fatta trasferire da Ferno a Gavirate nel 1598 dal fondatore Giorgio Vismara, è un interrogativo che resta aperto, per la

difficoltà di pensare a quell'epoca il trasporto di un dipinto murale.

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come andare in America e lo si annotava; o almeno un Carabelli lo annotava. Nel 1617 avrebbe 43 anni; è morto? Ha permutato ancora una volta? Finora non abbia-mo tracce per rispondere a questa domanda.

II Parroco Gian Paolo Albuzzi

La Cappellania Albuzzi

Le "cappellanie" sono una caratteristica del tempo; un benestante o una confrater-nita che volevano funzioni particolari per i vivi o per i morti, costituivano un "legato" lasciando dei fondi o delle rendite per tale scopo; poteva essere una messa settima-nale, uno o più uffici e messe annuali, ecc.

Questi oneri solitamente erano "legati" a un altare o a una cappella, e, se erano compatibili con l'attività parrocchiale, era lo stesso parroco a provvedere. Talvolta, specialmente una famiglia signorile, che magari possedeva una propria cappella, stabiliva oneri e disponeva rendite tali da giustificare la presenza di un prete appo-sta; per esempio, se il legato disponeva una messa ogni giorno - e allora non si usava celebrare più di una messa al giorno - occorreva necessariamente un cappellano de-stinato a questa cappella o cappellania.

È quello che avviene a Gavirate nel 1598; il 5 marzo, con atto notarile di Gian Fran-cesco Lanzavecchia, si costituisce una cappellania della Beata Vergine di Loreto.

L'iniziativa è di un signor Giorgio Vismara di Ferno, forse parente degli Albuzzi di Fi-gnano, che fa trasferire da Ferno a Gavirate una immagine della Vergine di Loreto e la colloca nella cappella nuova della chiesa parrocchiale, dedicata alla Madonna, ma ancora senza ornamenti e immagine.

L'arcivescovo Visconti (1589) e il card. Federico Borromeo (1596) hanno detto che era dedicata alla Vergine del Rosario, ma ora, accolta questa offerta, diventa cappel-la della Madonna di Loreto.

II Vismara la dota di numerosi beni situati in Cerro Maggiore e coinvolge varie fami-glie di Gavirate, specialmente alcune famiglie Albuzzi di Fignano, con diritto di pa-tronato, per cui comunemente si parlerà di cappellania Albuzzi. Ci vuole un cappel-lano il quale ha l'onere di mantenere i paramenti per l'altare, celebrare la messa quotidiana e alcune funzioni più solenni in circostanze varie,

"et con carico, in più di tener a scuola, et insegnare a legere, et gramatica li descendenti delle famiglie et casata sua, et delli fratelli d'esso Giorgio et delli fratelli Albuzzi di Fignano figlio gli già di Giovan' Ambrogio, et di Nicolò Albuz-zo dell'istesso luogo, loro cugino, et di Nicolò Luino d'Armino, e di Galeazzo Lanzavecchia di Gavirate, et di Benedetto Buzzo di Fignano, et un'altra casata che sarà nominata dal Dottor Gio Luca Albuzzo, uno de detti fratelli, quando et come a lui piacerà...".

II cappellano sarà scelto dai fondatori, con preferenza per eventuali presbiteri delle

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famiglie Albuzzi e Vismara, e il primo cappellano viene nominato contestualmente all'atto di fondazione ed è Gian Paolo Albuzzi di Fignano; a differenza dei suoi suc-cessori, a lui è concesso di farsi sostituire nell'adempimento degli oneri di legato. È così che incontriamo il prete Gian Paolo Albuzzi, senza che ci sia data altra indicazio-ne della famiglia a cui appartiene. È giovanissimo, ha circa 22 anni, ed è ordinato sa-cerdote l'anno dopo, il 7 ottobre 1599, proprio per questa cappellania, senza studi particolari né in collegio né in seminario; verso la fine della vita un documento lo de-finirà "sacerdote di puoche lettere" e cioè senza istruzione.

Non abbiamo molte notizie della sua presenza e attività di cappellano; tra il marzo 1600 e l'aprile 1601 celebra cinque battesimi per delega dei parroco Turriano che stende personalmente l'atto, e dalla visita del Pezzano sappiamo che nel 1608 ci so-no ancora delle ombre circa le rendite della cappellania. Difatti nei decreti, prima ci si preoccupa del decoro della cappella della Beata Vergine Maria (altare, finestre, imbiancatura), poi si aggiunge:

Il rev.do Gian Paolo Albuzzi, eletto e immesso nella cappellania fondata dall'Ill.mo sig. Giorgio Vismara, si interessi perché la fondazione abbia esecu-zione, e, se occorre il peso della nostra autorità, si presenti all'ufficio del re-sponsabile delle Visite, il quale apra un procedimento sommario contro chi di dovere. Quando poi, come speriamo, ottenga i beni dovuti, non trascuri di ese-guire quanto ha stabilito il fondatore.

Tanto zelo, tanto entusiasmo, persino delle deroghe in favore di questo primo cap-pellano, ma... a dieci anni di distanza i soldi non arrivano ancora.

Parroco a Lonate Ceppino

Perciò è al di fuori di ogni attesa che a un certo punto scopriamo che questo cappel-lano della cappellania della B.V. di Loreto, che nel 1600 è certamente a Gavirate e nel 1608 è oggetto dei decreti del Pezzano, dal 1605 è parroco di Lonate Ceppino.

Celebra il primo battesimo il 1 settembre 1605 e l'ultimo di sua mano il 17 novem-bre 1615; spesso è sostituito da cappellani; soprattutto il prete Francesco Bragio lo sostituisce sempre più frequentemente sia nei matrimoni che nei battesimi e solo qualche volta c'è l'indicazione "in absentia" del curato.

A differenza del Carabelli non fa dichiarazioni né di arrivo né di partenza.

Ma come poteva essere cappellano qui e parroco là? Come poteva adempiere gli oneri della cappellania? E come va intesa, allora, la clausola che questo primo cap-pellano, a differenza dei successivi, poteva farsi sostituire nell'adempimento degli oneri? O, forse, poiché le entrate non... entravano, si era sentito in diritto di pren-dersi un altro incarico? O i soldi non venivano perché lui era altrove? E il Pezzano, che nel 1608 parla di lui senza alcun riferimento al suo incarico parrocchiale, lo sa di questa cosa? Non siamo in grado di rispondere a nessuno di questi interrogativi. Pe-rò sappiamo che per ottener il beneficio di Gavirate è occorsa una dispensa pontifi-

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cia e che anche in seguito ha incontrato, lungamente, difficoltà nell'acquisire e legit-timare le sue rendite, proprio perché già investito della cappellania.

E ricordiamo qui che nel perticato rurale degli inizi del '600 risulterà proprietario di oltre 130 pertiche di terreno, come beni propri evidentemente ereditati dalla fami-glia.

Parroco di Gavirate

Come sempre, noi "leggiamo" il nostro parroco attraverso i registri. In margine al re-gistro dei battesimi è scritto:

Il giorno 4 (dicembre 1615) sono venuto a Gavirate,

il giorno dopo celebra il primo battesimo e l'ultimo sarà il 12 ottobre 1636; il primo matrimonio è il 16 febbraio 1616 e l'ultimo il 10 agosto 1635; per tutto il 1636 non compaiono matrimoni, e nel registro vi sono due facciate in bianco.

La prima "lettura" è il disordine! La scrittura è faticosa da leggere, ma il disordine è generale; le righe sono ora larghe ora strette, gli atti sono appiccicati gli uni agli altri e si fatica a distinguerli.

Talvolta il disordine cresce; nel 1623 si fa sostituire a lungo nella celebrazione dei matrimoni e quando riprende nel 1624 la grafia è ancora più trasandata e ci sono numerose correzioni; nel registro dei battesimi ci sono segni notevoli di trascuratez-za e talvolta gli atti sono datati, incominciati, interrotti e malamente cancellati.

Che cosa sarà successo? C'è stato o non c'è stato il battesimo? Tra i predecessori non abbiamo mai trovato qualcosa di simile. Resta da aggiungere che i registri dei suoi anni - vorremmo pensare senza sua colpa - sono anche quelli più consumati dall'umidità; la parte inferiore dei fogli dei battesimi è spesso scolorita, illeggibile, e anche consumata, quella dei matrimoni cade a pezzi!

I collaboratori: Ma forse ha anche altre difficoltà? Forse è un po' malato? Di fatto è il primo parroco che con frequenza si fa sostituire nella celebrazione dei sacramenti; più volte sono i parroci vicini, di Comerio, Biandronno, S. Andrea, Cocquio.

Qualche volta celebra anche lui per loro. Così nel 1632, in data imprecisata tra il 17 febbraio e il 31 luglio, celebra il matrimonio di due persone di Comerio in qualità di "vice curato di Comerio, cura vacante, nella parrocchiale di Bardello, ove io ero per la congregatione".

Nelle parrocchie piccole, senza coadiutore, il parroco più vicino era di diritto colui che sostituiva il parroco in caso di impedimento e aveva il titolo di vice-curato; in quel tempo, la parrocchia di Comerio è vacante, quel giorno lui è a Bardello per una riunione di preti e la celebrazione la compie lì e stende l'atto sul registro di Gavirate.

Ma la sostituzione più significativa è quella compiuta dai coadiutori. In questi anni compaiono a Gavirate due preti; il primo è Sebastiano Sbirro, che è presente negli anni 1620-1621 e si firma "cappellano di Gavirate"; nel 1620 celebra 16 battesimi su

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27 e un matrimonio; nel 1621 8 battesimi su 34.

Invece nel 1623 troviamo un Gian Battista Martignoni "coadiutore di Fignano"; cele-bra 15 battesimi su 24 e 4 matrimoni tra l'aprile e il giugno; dal 1628 qualche volta celebra ancora, ma allora è parroco di Biandronno.

E che cosa significa che lo Sbirro è cappellano e il Martignoni coadiutore di Fignano? A Gavirate non si è parlato di coadiutore se non quando il rettore G. Antonio Lanza-vecchia era "inhabilissimo"; l'attuale parroco è malato? È incapace?

Alcune curiosità: nel 1619 c'è un battistero nuovo; in margine a un atto di battesimo dell'11 settembre, scolorito e illeggibile per l'umidità, è scritto:

Bartolameo, il primo che fu battezzato nel novo batisterio.

Che cosa si è fatto? Non deve essersi trattato di lavori di lunga lena perché il 29 ago-sto e il 1 settembre si era battezzato regolarmente.

Dieci anni prima, nei decreti della visita del Pezzano è detto:

La vasca del sacro fonte si ricavi da una pietra sicura, non da una pietra bibula

che si impregna d'acqua. Forse si doveva cambiare la vasca battesimale per questo motivo, e lo si è fatto ora?

Nel 1625, dopo il battesimo del 15 agosto, è scritto:

Si adverta che sono stati battezatti parte a Cocho, parte a Bardello

a Gavirate si riprenderà il 10 gennaio 1626.

Perché questa interruzione? Per lavori in corso? O per le condizioni di salute del par-roco?

II 26 gennaio 1632 celebra due battesimi il parroco di S. Andrea, Camillo Gabrigino, "con licenza del parroco e del vicario foraneo" e la notizia assume importanza perché ci viene detto che uno di quei bimbi, già battezzato in casa, è nato nel maggio 1631 "in tempo di contagio", e da allora sono passati otto mesi e il parroco non si è preoc-cupato di supplire le cerimonie.

E infine vi è lo sconcerto accaduto nell'ultimo anno di vita, quando la zona, Gavirate compreso, è sconvolta dalla incursione dei Francesi.

Ma queste sono notizie troppo importanti e ci ritorneremo.

Aggiungiamo qui un fatto d'altro genere che non ci viene dai registri. È il passaggio del card. Federico Borromeo, il sabato 24 ottobre 1620, diretto al Sacro Monte.

Una commissione di Armino, guidata da Matteo Besozzi signore del luogo, presenta all'arcivescovo una supplica per poter edificare ad Armino una chiesetta intitolata a S. Carlo.

Se ne discorre in piedi sotto il portico della casa parrocchiale e il notaio arcivescovile stende la relazione - ufficiale, ma tanto difficile da leggere! - dell'incontro informale; poi la supplica, stesa in calligrafia, sarà postillata il 27 successivo dal Sacro Monte

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con la decisione della concessione a firma del cardinale.

II commiato: abbiamo detto più o meno tutto quello che sappiamo. E mai ci è sem-brato di saper poco, come di questo prete che è di Gavirate, che nel 1598 assume una cappellania in loco e che poi è parroco per vent'anni.

Negli ultimi anni raccogliamo di lui qualche giudizio non molto favorevole. Nel 1635, all'età di 60 anni, in una relazione della pieve si afferma di non poter dare dati preci-si,

perché il detto parocho dimandato non ha voluto comparire mai, nè tam puo-co mandare il stato (la situazione della parrocchia), come non vuol venir ad al-cuna altra fontione

anche se noi ricordiamo quando nel 1632 è alla riunione di clero a Bardello. E infine abbiamo un'ultima spia: è un bilancio? Nel 1635 passa per una visita vicariale il pre-vosto di Besozzo che è, ora, Gian Battista Masinago, successore di Prospero Colonna dal 1618; la relazione è scarna:

una raccomandazione per l'uso dell'abito ecclesiastico; una raccomandazione per i vasetti degli olii sacri del battesimo, perché lì dove sono c'è umidità e muffa (e a questo punto a noi vengono in mente i registri corrosi dall'umidi-tà!); e infine una costatazione e raccomandazione per la chiesa:

Poiché la chiesa è stata trovata piena di sporcizia e anche le pareti sono coper-te di ragnatele, si provveda assolutamente per l'avvenire alla pulizia e al nito-re... "!

II 6 febbraio 1637 prende possesso il nuovo parroco; I'Albuzzi è morto.

Lo sappiamo da un curioso documento che ritroveremo; nel 1636, dopo l'incursione dei Francesi, l'arcivescovo, a seguìto di una relazione datata 13 agosto, dispone un contributo di 10 ducatoni in favore del parroco, ma il parroco muore prima di averli ricevuti.

Si può quindi pensare al tardo autunno.

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Gavirate tra il '500 e il '600

La Parrocchia

Le strutture

La parrocchia, come il comune, si estende ai quattro rioni di Armino, Pozzolo, Figna-no, Gavirate, che distano mezzo miglio (circa 750 metri) l'uno dall'altro e sono disco-sti anche dalla chiesa che è in mezzo, in posizione un po' elevata. Questa distanza la-scia qualche segno, tant'è vero che nella visita dell'agosto 1569 proprio per la di-stanza si spiega una certa difficoltà dei ragazzi a venire alla dottrina il pomeriggio della domenica. La spiegazione non è molto convincente, perché nella visita del card. Federico si nota che la dottrina cristiana è frequentata più d'inverno che d'e-state; ora il disagio del cammino era certamente maggiore in inverno.

Per la distanza e per motivi di tradizione alcune famiglie di Armino desiderano sep-pellire i loro morti nella chiesa di Cocquio e il cardinale stabilisce che questa volontà venga rispettata. Per lo stesso motivo quelli di Armino non amano venire fino a Ga-virate per la messa domenicale e mons. Tarugi e S. Carlo avevano insistito perché prendessero coscienza di questo dovere.

Forse è ancora questo motivo a tener vivo in Armino il desiderio di avere una pro-pria chiesetta; difatti nella supplica del 1620 scrivono che

in tempo di pioggia, per i torrenti che vi tramezzano, non ponno (non possono) quelle povere anime se non con grave incommodo e pericolo trasferirsi colà (a Gavirate) a messa e procurare gl'altri loro necessari suffragi.

Ad ogni modo le due chiese e il cimitero sono in posizione centrale tra i rioni. La chiesa parrocchiale dei Santi Giorgio e Giovanni, sul luogo dell'attuale, ma più corta (braccia 25x22, circa m. 15x13), nell'ultimo quarto di secolo e all'inizio del'600 si è venuta rinnovando e completando.

Sono scomparsi i numerosi altari laterali, frutto di devozioni particolari, tutti più o meno provvisori, più o meno incompleti, più o meno in disordine; la cappella dell'al-tar maggiore viene ampliata e decorata; il parroco Turriano provvede con premura suppellettile e paramenti nuovi e decorosi. La cappella della Madonna del Rosario, che diventa poi della B.V. di Loreto, è ancora, per quanto ne sappiamo, bisognosa di rifiniture e decorazione.

Anche il battistero, per il quale c'è una attenzione pari a quella per il tabernacolo, viene completandosi pian piano: la cappella è realizzata nel 1583-84, nel 1597 si provvede il cancello di protezione, cosa a cui si teneva particolarmente; nel 1608 c'è la disposizione di sostituire la vasca battesimale con un'altra in pietra più opportuna e nel 1619 abbiamo notizia di un battistero nuovo.

Nel 1625 c'è ancora una interruzione di 6 mesi nella celebrazione dei battesimi, sen-za alcuna motivazione.

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Altri lavori? Quali? Non sappiamo. La decorazione e l'immagine dei battesimo di Ge-sù, ripetutamente richiesta nelle ultime visite, manca ancora nel 1647. Certo ci di-spiacesapere che nel 1635 lì i vasetti degli olii santi sono coperti di muffa!

Intanto nel1608 si comincia a suggerire di costruire davanti alla facciata un pronao-un atrio sostenuto da colonne come è attualmente - per le cerimonie iniziali dei bat-tesimo che dovrebbero compiersi fuori della chiesa (difatti la prima parte dei batte-simo è la domanda di entrare nella Chiesa), con la precisazione che è proibito so-starvi per ascoltare la messa. Questa disposizione nella vecchia chiesa non fu mai realizzata.

Le visite sottolineano ovviamente tante altre cose utili o necessarie. II pavimento ha bisogno di essere riordinato (che solitamente vuol dire livellato) sostituendo la terra battuta con uno strato di cemento.

In chiesa vi sono ben 32 sepolcri; ogni visita si è preoccupata che fossero tenuti in modo conveniente, ma nel 1608 si insiste ancora che si coprano bene per evitare il fetore. Le finestre dovrebbero essere ampliate per dare più luce; da una visita dei 1647 sapremo che questo è avvenuto per la parte meridionale "e la chiesa ne ha ri-cevuto molto splendore" e si suggerisce di farlo anche dall'altra parte. Eccetera.

Davanti alla chiesa parrocchiale - praticamente sull'attuale piazza, in cui ne è segna-to il perimetro - c'è la vecchia chiesa di S. Giovanni in cimitero; è sempre stata in condizioni pietose che col tempo si accentuavano e i numerosi decreti - a cominciare dal 1574 - perché si provvedesse non avevano esecuzione. Nel 1592 è in rovina, nel 1596 una parte del tetto è crollata per il peso della neve; nel 608 c'è ancora un ordi-ne ultimativo di riordinarla entro tre anni come semplice oratorio per i disciplini o abbatterla.

Questa volta - è parroco il Carabelli - qualcuno ci pensa e nel 1610 l'operazione è compiuta e ci sono i disciplini; diventa l'oratorio di S. Marta che per due secoli anco-ra avrà importanza nella vita della parrocchia. Col trasferimento dei disciplini in S. Marta si conclude in pratica l'attività e la storia della chiesetta della Natività o di "S. Maria in via", della famiglia Besozzi, di cui non si parla più.

Ma era angusta (braccia 10x8x4; circa m 6x5x2,5) tutta squadrata, senz'abside; quindi un portichetto più che una chiesa, con l'umidità che penetrava dal terreno circostante; e non è mai stata ritenuta idonea alla celebrazione della messa.

Intorno alle due chiese c'è il cimitero, un luogo di grande richiamo per ogni popolo religioso. In questo tempo è discretamente in ordine e il card. Federico costata che vi è solo un breve tratto di cinta crollato che si può riparare con piccola spesa; dei cimitero fa parte anche la chiesa di S. Giovanni o oratorio di S. Marta che diventa la tomba dì elezione dei confratelli. Questi sono i luoghi sacri.

Con l'ampliamento della cappella dell'altar maggiore S. Carlo ha chiesto anche che si praticasse dietro la chiesa una strada e così la processione della terza domenica del

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mese potesse svolgersi attorno alla chiesa; ma nel 1596 si svolge ancora interna-mente. A sinistra della chiesa c'è - come oggi - la casa parrocchiale con cortile, giar-dino, orto e stalla "ben chiusa". La casa, dal Prando al Carabelli, è stato oggetto di cure e non doveva essere male; nel 1596

sono quattro locali a pian terreno, una piccola sala, la cucina, la cantina e un ripostiglio di varie cose, e tre al piano superiore, abbastanza comodi

nel 1610 sappiamo che il Carabelli l'ha rimodernata ancora.

Questa chiesa ha dei beni. C'è una piccola decima annuale di circa quattro moggia di grani (frumento, segale, miglio) e una primizia teoricamente di 25 moggia ma che in pratica non superava mai le 20; ci sono alcuni legati perpetui, non molti, perché il card. Federico ne elenca quattro, il più vecchio risalente al 1510 (il legato di Stefano Cardana), il più recente del 1580 stabilito nel testamento di Bernardo Lanzavecchia.

Ci sono le proprietà della chiesa: il card. Federico elenca una sessantina di pertiche di vigne, campi, prati, selve che assicurano una rendita di circa sei moggia di frumen-to, tre di segale, tre di miglio; nel 1624, in un inventario per notaio, si arriva a circa 90 pertiche e non è indicata la rendita.

Da questo inventario, molto preciso, sappiamo che i terreni sono concessi in affitto ad alcuni coltivatori del paese, un Andrea Bajo di Fìgnano, un Andrea de Giorgio di Pozzolo e due fratelli Pietro e Bartolomeo de Valenzasca di Gavirate; però attorno alla casa parrocchiale ci sono due appezzamenti di terreno, uno di circa dieci perti-che, in parte bosco, in parte campo, in parte vigna, e l'altro di quattro pertiche di vi-gna, e "detti beni sono fatti lavorare dal detto M. Rev. Sig. Curato a sua mano" e cioè li cura lui direttamente. Sappiamo che nel 1608 le rendite complessive della chiesa erano superiori a L. 600 annue una cifra ritenuta sufficiente perché il parroco si fa-cesse carico del mantenimento di un chierico in parrocchia. Non è dunque una chie-sa povera.

II popolo di Dio

II clero gaviratese

Una chiesa è viva se è viva la gente. I parroci di Gavirate li conosciamo; sono un bel mazzetto di persone, molto diversi l'uno dall'altro e ci è sembrato di aver scoperto qualche dote e difetto di ciascuno; ci sono poi i sacerdoti coadiutori, ma di essi, dai nostri documenti, non esce una fisionomia.

Sappiamo che c'è del clero nativo di Gavirate; I‘iniziativa così cara a S. Carlo, di colti-vare dei chierici, dà frutto anche qui. Durante gli anni del Turriano qualche figlio di famiglia gaviratese diventa prete.

In parrocchia c'è sempre almeno un chierico che serve in chiesa e si prepara al sa-cerdozio e deve aiutare il parroco nella dottrina cristiana; di qualcuno abbiamo noti-zia. Nell'atto di matrimonio dell'8 gennaio 1592 appaiono due testimoni

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messer Zan Angelo Luino et Galeazzo Baio tutti duoi di detta terra et tutti duoi chierici.

Di Galeazzo Baio non sappiamo altro.

Gian Angelo Luino, figlio di un sig. Nicolò di Armino, in quello stesso anno diventa prete, perché il 9 settembre celebra un battesimo e ne stende personalmente l'atto; sapremo, dallo status personalis del clero della pieve, che nel 1596 ha 28 anni ed è vice parroco di Bogno; anzi Bogno lo ricorda come il primo dei suoi parroci dal 1599 al 1629.

Ha compiuto gli studi umanistici a Milano, ha un piccolo patrimonio, non è molto ferrato per i casi di coscienza (cioè per le confessioni), ed è anche di salute cagione-vole. Della sua salute precaria abbiamo una prova da un documento presente in cu-ria del 3 maggio 1602: il medico Lodovico Tatti dichiara che non può lasciare la casa e mettersi in viaggio proprio per motivi di salute; probabilmente era il viaggio per partecipare al sinodo 19°,dell'8 maggio 1602.

Dalla stessa visita sappiamo che dal 1593 un altro gaviratese, don Battista Suigno, è parroco di Ternate, lui pure di 28 anni nel 1596; la scheda non dice cose molto posi-tive di lui:

gli mancano i libri necessari, non sa bene il latino, anche lui non è molto ferra-to nei casi di coscienza, e non ha conoscenza del canto fermo: anche lui ha un piccolo patrimonio che raggiunge una settantina di pertiche di terreno. È par-roco fino alla morte nel 1629 e di lui abbiamo due altre notizie. Una è abba-stanza rilevante:

il 14 aprile 1602 fu chiamato "al Santo Uffizio delle Grazie" e il prevosto Co-lonna ha incaricato il parroco di Travedona di sostituirlo durante l'assenza. II Santo Uffizio delle Grazie era la sede distaccata a Milano del Santo Uffizio di Roma, ed era presso la chiesa della Madonna delle Grazie perché lì era, ed è, il convento dei Domenicani, solitamente incaricati per l'attività della Inquisizio-ne.

Dunque il Suigno deve rispondere di qualche cosa riguardante o la fede o la morali-tà; ma non deve essersi trattato di cose grosse perché ritorna e continua ad essere il parroco di Ternate.

L'altra notizia riguarda il testamento; lui che non era ricco, lascia molti soldi; tra l'al-tro 100 scudi d'oro per costruire nella chiesa parrocchiale di Ternate una cappella a S. Giovanni Battista; un legato di messe per L. 300 annuali da riscuotere a titolo di interessi di una somma depositata al Banco di S. Ambrogio di Milano (?); e anche 100 lire alla scuola del Santissimo Sacramento di Gavirate.

Un poco più giovane di loro è il prete Gian Paolo Albuzzi, il futuro parroco, che il Tur-riano delega talvolta a celebrare battesimi, ma ne scrive lui stesso l'atto, forse per quella scrittura sgraziata dell'Albuzzi.

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Anche il parroco Carabelli - per il quale è scattato ufficialmente l'onere di mantenere in proprio un chierico - si è curato di questa cosa; tra il 1611 e il 1615 parecchie volte un chierico Gian Antonio Buzzi - di cui non sappiamo altro - è testimone ai matrimo-ni. Ma ci sono anche dei preti.

Nella famosa facciata finale del secondo registro dei battesimi, il parroco Guilizzoni annota che nel 1613 il parroco Carabelli opera un cambio - certamente di terreni, ma non è detto - con il "M. Rev. Sig. Dottor prete Gio Jacomo Albutio" del quale sappiamo che possiede oltre 130 pertiche di terreno. II documento del Prospero Co-lonna del 1602 ci informa che questo prete è di Fignano, che è giureconsulto (dotto-re in diritto), che è stato parroco di Pioltello e che da un paio d'anni esercita per ca-rità e con frutto la cura d'anime di Comerio, abbandonata da un discutibile prete Ge-rolamo Mugiasca.

Anche l'inventario dei beni della chiesa del 1624 usa per questo prete il titolo di giu-reconsulto, e inoltre ci fa conoscere un "Sig. Dottor et Canonico Collegiato di Milano Antonio Maria Bossi".

Una notizia più curiosa: nel 1616, a un matrimonio del 3 settembre, sono testimoni il "Sig. Francesco Lanzavegia et il Rev. Sig. Cesare Lanzavegia, padre et figliuolo".

Stando allo stato d'anime dei 1596 Cesare nel 1616 ha 25 anni; da un documento vi-cariale del 1635 sappiamo che è diventato prete e canonico della collegiata di Be-sozzo nel 1617. Non ha fatto grandi studi, ma è protetto dal Sig Abbate Castelbesoz-zo; il giudizio non è molto entusiasmante;

sacerdote un puoco duro et di mezzani costumi.

Infine, l'ultimo battesimo del tempo dell'Albuzzi, il 12 ottobre 1636, è celebrato da un

prete Gioseffo Besozzo, cappellano coralle di S.to Lorenzo Maggiore di Milano"

il fatto di trovarlo qui ci fa pensare che sia di famiglia gaviratese.

La partecipazione dei fedeli

Siamo in una chiesa post-tridentina e secentesca, nella quale, sia per visione eccle-siale, sia per visione politica, la società ha una struttura fortemente gerarchizzata e perciò non si sbaglia a sottolineare l'importanza e l'influenza decisiva del clero nella vita della parrocchia.

Ma - forse anche questo è un segno della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa -anche allora scopriamo segni molto significativi di partecipazione e di corresponsabi-lità dei laici nella vita della Chiesa.

A Gavirate le entrate sono di oltre 600 lire, ma sono per il parroco. E la chiesa? E le spese continue che pure abbiamo visto? C'è all'inizio della nostra epoca, nella visita dell'arcivescovo Visconti, una di quelle sue notizie essenzializzate:

Per la fabbrica della chiesa (le spese per la chiesa) ci pensa la gente; non c'è

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nessuna rendita"' e il card. Federico ci dice che c'è "una cassa comune costitui-ta da tempo immemorabile

per provvedere alle spese per le funzioni della chiesa. Questa gente semplice e po-vera ha delle istituzioni per provvedere a interessi comunitari; cose che, forse, non abbiamo neppure oggi!

Difatti la popolazione non è indifferente. Sappiamo che la cappella del Rosario non è sorta in seguito a un legato, cioè a una rendita,

eppure fu costruita con le prestazioni degli abitanti, perché desideravano che si erigesse la scuola del Santo Rosario".

La gente di Armino che, vista la difficoltà di raggiungere la parrocchia, vuole una sua chiesa, si propone anche di lavorare alla costruzione e perciò chiede

che per la fabbrica istessa si puossi lavorare etiandio in giorni di festa per la povertà del luogo, purché non sii domenica o festa d'apostolo".

I disciplini, a cui è affidata la chiesetta malconcia di S. Maria in via, si dichiarano pronti a tutti i lavori necessari se viene ceduta loro e il card. Federico li incoraggia su questa strada.

L'iniziativa del Turríano di stendere dei pro-memoria di contenuto economico ci fa sapere che, con una certa frequenza, persone anche comuni si ricordano della chie-sa non solo con dei legati, ma anche lasciando soldi da spendere per la chiesa; ricor-diamo che il suo brogliaccio delle spese si intitola:

Memoria delle robbe comprate... delli (con) denari et miei, et parte de elemo-sine della chiesa donate

nel 1598 una spesa è così registrata:

...un ducatone de quelli denari che io ho nelle mani della madona perla invi-driata

dove madona non vuol dire la Madonna, ma una signora del posto, probabilmente riconoscibile da tutti; nel 1599 muore la madre di Antonio de Nose e lascia L. 40 da spendere liberamente per la chiesa; nel 1600 Matteo Cheola lascia cento lire allo stesso scopo.

Abbiamo un altro documento che ci informa di questi gesti; nell'archivio parrocchia-le (Legati, 1, 1) c'è un elenco dei legati compresi nei testamenti stesi dal notaio Gian Francesco Lanzavecchia tra gli anni 1586 e 1615, inviato al parroco, probabilmente I'Albuzzi, per doverosa informazione.

Sono 18 testamenti e sei di essi dispongono offerte per le spese della chiesa, talvolta indicando lo scopo, talvolta rimettendosi al parroco e sono quasi tutti del tempo del Turriano; forse era stato capace di destare interessamento per queste cose. Si va da dieci soldi (mezza lira, l'offerta per la celebrazione di una messa) a 25 lire e troviamo offerte

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da spendere per la chiesa come meglio si potrà, come parrà meglio al parroco,

alla cappella della gloriosissima Vergine Maria, da spender per l'ornamento (omatum) di quella cappella

per l'ornamento della chiesa a giudizio del curato

per l'ornamento della cappella maggiore appena costruita (1602) , ecc.

C'è anche, senza data, un legato per i poveri: un testatore o testatrice, dal nome il-leggibile, lascia sette staia di segale e miglio per il pane da dare ai poveri, una volta in maggio, una volta il giorno dei morti, per otto anni dalla sua morte; erede ed ese-cutrice Caterina Besozzi.

II contributo delle "scuole"

Ma l'intervento più continuativo, organico, istituzionalizzato dei fedeli nella vita, non solo economica, della parrocchia lo si vede nelle scuole. Conosciamo l'importanza che avevano al tempo di S. Carlo; ora prendiamo le notizie dalla visita del card. Fe-derico.

La confraternita dei disciplini, che pure avrà ancora un avvenire, attraversa un mo-mento delicato della sua storia:

Il sodalizio di penitenza ha ancora qualche parvenza di disciplina, ma continua ad assottigliarsi e, se non viene incrementato, in breve scomparirà.

Ricordiamo che nel 1589 erano dieci; quanti saranno stati ora?.

L'attesa del card. Federico sembra rivolgersi tutta alla confraternita del SS. Sacra-mento. Non è che a Gavirate abbia brillato per I‘osservanza dei doveri statutari; fon-data nel 1574, sembra non aver mai rinnovato le cariche che erano annuali! Però al-la lampada del tabernacolo si è sempre provveduto. Di più: al tempo dei raccolti, che è ovviamente il più indicato per ottenere offerte, il parroco incarica due confratelli a fare il giro della parrocchia per raccogliere quello che si offre,

e in questo periodo si fanno anche le spese necessarie sia per la manutenzio-ne della chiesa, sia per le migliorie.

E qui nasce il problema della cera. Dopo aver detto quanto sopra, II cardinale ag-giunge:

"La popolazione provvede ogni anno la cera necessaria perle funzioni della chiesa, prendendo da una cassa comune costituita tra loro da tempo immemo-rabile. Ma la cera dei funerali era di diritto del parroco; se non che gli abitanti dicono che i predecessori dell'attuale parroco usavano lasciare la cera dei fu-nerali fino a quando fosse stata celebrata la commemorazione del settimo giorno. E cioè la cera usata per il funerale si usava anche per l'ufficiatura senza doverne offrire dell'altra. Ma l'attuale parroco ha abolito questa usanza di-cendo che la cera, una volta offerta, era sua, come è il modo di comportarsi delle altre chiese. Tuttavia, generosamente, ha convenuto di lasciare questa

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cera alla confraternita del Corpo di Cristo, salvo il suo onorario, con la condi-zione che la popolazione, in occasione della festa patronale, offra una quantità di cera più abbondante di prima. Anche gli altri curati della pieve accettarono volontieri e generosamente questa soluzione.

Nei decreti della visita la convenzione diventa un ordine

altrimenti infliggeremo una pena a nostro giudizio.

Ma l'episodio merita di essere illuminato anche attraverso il Memoriale delli huomi-

ni del comune di Gavirà indirizzato al cardinale prima della visita.

L'esposto della gente è un po' più folcloristico della relazione ufficiale. Intanto il pro-blema specifico riguarda i due "cilostri" o ceri d'altare, più o meno grossi secondo le possibilità dei dolenti, che si accendevano durante i funerali. II parroco li ritira per sé, la gente vuol che restino alla chiesa come si è sempre fatto e supplica l'arcive-scovo ad intervenire:

il parroco non rispetta una tradizione, ne viene un danno economico alla no-stra chiesa, tanto più che ora noi paghiamo al parroco per i funerali una quota doppia di prima!

Forse ci vien da sorridere. Questioni di mondo piccolo? Certamente, ma soprattutto di un mondo povero. Del resto ogni cosa assume il valore nel tempo in cui avviene, e questa è pur sempre una prova di partecipazione alla vita della parrocchia.

L'attenzione religiosa

La premura per la chiesa, la lampada al Santissimo, la cera delle funzioni è indub-biamente una premura che ha motivazioni religiose; ma vi sono segni di questa at-tenzione che non sono complicati con problemi di soldi, c'è un senso di Dio che per-vade questo popolo.

Quelli di Armino, quando chiedono di lavorare per la propria chiesetta, escludono le domeniche e le feste degli apostoli; certamente questa precisazione teneva conto della mentalità del tempo, ma intanto questo popolo sa che il giorno del Signore (e degli apostoli) è giusto e doveroso rispettarlo fino in fondo, sempre.

Accanto a questo fatto poniamo l'altro della costruzione della cappella della Ma-donna

perché desideravano che si erigesse la Scuola del S. Rosario.

Anche qui un posto particolare tocca alla scuola del SS. Sacramento in cui ci si assu-mono alcuni precisi doveri e compiti. L'Arcivescovo se ne preoccupa, scendendo ai particolari organizzativi, ma anche alla indicazione dei doveri prevalenti e ne fa cari-co al parroco. Ecco qualche esempio:

Il parroco con tutta la diligenza possibile... alla terza domenica del mese esor-terà gli scolari con una predica adatta per il buon andamento di questa scuola e soprattutto per l'osservanza delle regole; così potranno ottenere le indulgen-

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ze e le grazie concesse a questa scuola.

Ogni terza domenica del mese compirà una devota processione col SS. Sacra-mento entro la chiesa e si farà premura che tutti partecipino con le candele accese e come di consueto annuncerà le indulgenze...

Quando si tratterà di portare il viatico ai malati, mandi avanti due scolari scelti allo scopo, i quali preparino convenientemente la casa del malato e le altre co-se necessarie perchè il sacramento sia ricevuto in maniera molto degna... .

Con tutti í suoi limiti la scuola gli appare come il luogo migliore dell'impegno per il culto e la vita religiosa.

Le processioni di voto

Nella linea delle manifestazioni religiose si inseriscono le feste e processioni di voto che coinvolgono non un gruppo, ma tutta la comunità. In quell'epoca le feste di pre-cetto, formatesi in una società contadina che aveva tempi e ritmi particolari, erano assai più numerose delle attuali, perché oltre le domeniche comprendevano da tren-ta a quaranta altre solennità, a cui poi ogni parrocchia aggiungeva alcune feste "vo-tive" che cioè si era scelto di propria volontà obbligandosi con un "voto"; a Gavirate sono nove (cfr. Note Storiche, pag. 28 e pag. 39 n.11).

Oltre le feste ci sono le processioni di voto che al tempo di S. Carlo erano 11 e nell'e-lenco del Turriano 14 per l'aggiungersi delle litanie minori (in vigore ancora fino a una ventina d'anni fa, tra l'Ascensione e la Pentecoste).

Queste processioni sono aperte dal parroco con la croce e "per voto" c'è l'obbligo che vi partecipino almeno un membro di ogni focolare, che sono un centinaio; evi-dentemente ne partecipavano assai di più, se San Carlo aveva dovuto vietare la par-tecipazione dei ragazzi inferiori ai dodici anni e delle giovani da marito. Non si tratta di una ordinata e solenne processione per le vie del paese come le conosciamo oggi; sono lunghe marce di devozione e di penitenza. Parecchie si svolgono lungo itinerari tradizionali nei campi e sulla montagna di Gavirate; si cantano le litanie, si sosta nei punti dove ci sono croci e segni sacri. Alcune poi vanno ben oltre: a S. Caterina del Sasso, al Sacro Monte, a Brebbia, e ci si ferma alle cappelle e chiese lungo la strada. Altre erano particolarmente lunghe e faticose; una raggiunge S. Antonio in Valtrava-glia e nel ritorno si fa sosta nella prepositurale di S. Lorenzo in Valcuvia. II giorno di S. Marco

si va a S. Martino, posto in cima al monte, dove arriva solo una parte minima della gente, per l'altezza del monte che è eccessiva e per la difficoltà di salire che è enorme; nel ritorno si fa una stazione in Canonica di Valcuvia

II primo maggio

si va a S. Clemente, eretto in cima alla montagna e anche lì a stento arriva me-tà della gente; lì si cantano le litanie e nel ritorno si fa una stazione nella chie-sa di S. Andrea di Cocquio.

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Questi pellegrinaggi chiedono una giornata di cammino, di canti e di preghiere; poi ci saranno stati momenti di sosta, momenti per mangiare, forsanche per cantare.

Già S. Carlo aveva visto degli inconvenienti, che non mancano neppure ora; nei de-creti del Pezzano si legge:

Nella festa di S. Marco Evangelista si sale alla chiesa di S. Martino, in cima al monte della Valcuvia, diocesi di Como, che dista otto miglia da qui e nel cami-no succedono alle volte molte cose che offendono la morale cristiana.

Allora, in base ai decreti provinciali e al Sinodo diocesiano Xl°, commutiamo in questo modo; quel giorno la processione, con la partecipazione di molta gente, salga alla chiesa della Beata Vergine del Sacro Monte sopra Varese. Gli altri voti e consuetudini... si rispettino tutti".

Dunque ci sono difficoltà, c'è qualche inconveniente; ma di là da tutto esce l'imma-gine di un popolo pellegrinante e orante

che non ha quaggiù la città dove fermarsi, ma va in cerca di quella futura. (Lett. agli Ebrei, 13, 14).

La processione del Corpus Domini

Questa non è una processione di voto, ma è per tutte le parrocchie la manifestazio-ne esterna più solenne del culto all'Eucaristia; in quegli anni si diffondono anche le SS. Quarantore, ma non abbiamo notizia che siano già arrivate qui. La processione del Corpus Domini a Gavirate ha assunto una caratteristica particolare perché c'era l'usanza che tra Cocquio e Gavirate si compiva una funzione comune; un anno offi-ciava un parroco partendo da una parrocchia e terminando nell'altra, un anno offi-ciava l'altro parroco con un percorso inverso.

Bisogna credere che la celebrazione e per partecipazione e per solennità (gara trai due paesi?) e per devozione rappresentasse un grande momento di fede, tanto ci si teneva! Ma l'iniziativa non è stata senza difficoltà, le quali anzi si protrassero per de-cenni; noi ne abbiamo notizia nel 1596, nel 1629 e nel 1641-42.

Nel registro dei battesimi, in data 15 giugno 1596, il Turriano - ancora lui! - sente il bisogno di mettere una nota. Due giorni prima, il 13, era stata la festa del Corpus Domini e si era potuto tenere la processione eucaristica secondo la tradizione pro-pria delle chiese di Cocquio e Gavirate. La notizia meritava di essere ricordata per-ché da tre o quattro anni, per ostacoli frapposti dal prevosto Prospero Colonna, non si era potuto celebrare "un tanto bene".

II prevosto e la comunità di Besozzo si opponevano in nome di qualche altra ragione e tradizione, che è questa: il giorno del Corpus Domini la processione più solenne si tiene nel centro della pieve e vi partecipano tutti i parroci e le comunità dei dintorni.

Forse le due cose si sovrapponevano, o forse si riteneva che questa celebrazione in-terparrocchiale distraesse da quella vicariale. Ora l'arcivescovo, "supplicato instan-

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temente" risponde acconsentendo alla richiesta di Gavirate e Cocquio con una lette-ra,

qual littera è questa in testa in questo libro, e questo faccio io P. Carlo Turria-no, Curato di Gavirate, per memoria di tanta grazia concessaci in tal giorno.

Soltanto che la lettera collocata all'inizio del registro non c'è più e noi non cono-sciamo il tenore delle disposizioni.

Anche nel 1629, quando è parroco I'Albuzzi, la soluzione è favorevole alla tradizione; troviamo nell'archivio parrocchiale (Culto-Funzioni, 1, 9) la sentenza emanata il 17 maggio da mons. Paolo Bucciarelli, vicario civile. Stavolta l'iniziativa parrebbe più della popolazione che dei preti; sono presenti i rappresentanti delle comunità di Cocquio e Gavirate (sindaci, procuratori, nobili) e dall'altra il prevosto col capitolo, nobili e rappresentanti di Besozzo. La sentenza è questa: le comunità di Cocquio e Gavirate hanno diritto a continuare nella loro tradizione e non sono tenuti, né i par-roci né la popolazione, a partecipare alla processione di Besozzo; è fatto obbligo di non parlare più (!) di tutte le lotte, ostacoli, molestie che sono state compiute in nome di questa cosa; le spese processuali sono a carico di Besozzo.

Tutto è chiarissimo; è chiaro anche che ci dovevano essere state liti non da poco! Lo sapremo più esplicitamente nel 1641-42, quando il problema si ripresenta e trova una soluzione evidentemente diversa. Questa data esce dal nostro periodo, ma vai la pena di tenerne conto.

L'arcivescovo (Cesare Monti) permette la processione, purché in orario successivo a quella di Besozzo, a cui i parroci di Gavirate e Cocquio, o almeno uno dei due, devo-no partecipare, mentre alla loro processione (a cui è prescritta la presenza di almeno otto preti) inviteranno preti della pieve di Varese, notificati al prevosto che pure de-ve essere invitato e, se vuole, presiederà la cerimonia. La sentenza è dunque ben di-versa; anche in quei tempi, sia pure lentamente, certe sensibilità ed esigenze muta-vano e mutavano le soluzioni ai problemi. II prevosto di Besozzo - ora è un Gian Bat-tista Perabò - in una lettera molto secentesca scriverà all'arcivescovo la sua 'indicibi-le consolazione'; ma intanto ci dice cose interes-santi; questa vicenda ha comporta-to

una dispendiosissima lite... per la quale oltre infinite spese continouate per cinquanta anni e più, n'erano seguiti disordini tumulti e scandali straordinarii, restandone alcuni publicamente scommunicati con publici cedoloni.

Di queste scomuniche ne conosciamo una. Nel giugno 1639 il prevosto Perabò veni-va a cavallo a Gavirate per una visita vicariale. Tre uomini, un Francesco Besozzi, un Giovanni Bossi e un Bernardo Buzzi lo affrontano, fermano il cavallo, tengono briglia e staffa e vogliono sapere quali ordini ci siano, perché vogliono difendere i diritti del paese; se hanno fatto anche di più, l'esposto, che è la richiesta di condono, non lo dice.

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Sono scomunicati e l'assoluzione verrà concessa nel febbraio successivo dal prevosto stesso, a nome del cardinale, davanti alla chiesa di Cocquio, alla quale ciascuno farà l'offerta di un cero del peso di una libbra.

Allora si puntava su cose come queste l'impegno, il puntiglio, l'onore! Anche qui for-se ci vien da sorridere; ma, l'abbiamo già detto, ogni tempo ha le sue debolezze; og-gi non si tifa forse per cose anche molto più discutibili? E questa gente sentiva in una funzione religiosa un segno della sua importanza e autonomia. Ne aveva così poca!

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Il Paese

Gli abitanti

I dati del 1596

I rioni li conosciamo; dagli stati d'anime del 1574 e 1576 sappiamo che il maggiore è Gavirate con 38 focolari, poi Armino e Fignano con 27 e 25, ultimo Pozzolo con 12, un centinaio in tutto con una popolazione di circa 550 persone (29); lo stato d'anime del 1596, che non fa le distinzioni dei rioni, elenca 106 focolari e 504 persone; nel 1636 si parlerà di 130 focolari.

II confronto delle famiglie tra il '74 e il '96 non é agevole e non è significativo perché solo in alcuni casi si riconosce con certezza una famiglia. Bisogna ricordare che le pa-rentele non sono ancora fisse e spesso si fa riferimento alla paternità o alla locali-tà; nel 1576 a Pozzolo su 12 focolari ci sono 7 Pozzoldo e nel 1596 non se ne ritrova neppure uno.

Non troviamo più nessun Besozzi, né della famiglia di Armino né della famiglia di Ga-virate, che pure talvolta appaiono ancora nei registri parrocchiali. I Lanzavecchia so-no rappresentati da Francesco, di 36 anni, sposato, padre di quattro figli, e Galeazzo, di 30 anni, "soluto" (celibe, ma si sposerà in seguito) che vive con un "garzone", i quali non apparivano negli elenchi del Prando (30). Vi sono i Luino, i Buzzi (solo un paio di focolari, prima erano numerosi); non si incontrano gli AIbuzzi.

Le famiglie di Battista Bianco, di Pietro Maria Aliotto, dì Benedetto Buzzi hanno in casa una coppia di servitori; altre 7 famiglie hanno una "serva", due un "famiglio", Galeazzo Lanzavecchia un "garzone". Titoli distintivi si incontrano per Mastro Gio-vanni Bossio, Messere Nicolò Luino, Messere Bernardo Gaietta e Madona Isabella, Messere Francesco Lanzavegia e Madona Francesca.

I focolari, come si sa, sono compositi; spesso riuniscono due nuclei familiari, senza contare il padre o la madre vedovi e fratelli o sorelle non sposati; raramente trovia-mo tre nuclei familiari nello stesso focolare. Con tutto questo non si incontrano fo-colari numerosissimi; il massimo è raggiunto da tre focolari di 10 persone compresi i domestici.

Notizie al lavatoio!

In un paese piccolo e statico le novità sono piccole e semplici, ma, solitamente, co-municate e condivise. L'elenco dei morti del Turriano offre alcune di queste notiziole importanti nella vita quotidiana del paese.

Per esempio nel 1593

Adì 13 otobre morì il sig. Gio Maria de Armino, confessato, comunicato, onto

Non era una notizia qualsiasi; Gian Maria Besozzi è il figlio minore e l'unico maschio di Matteo e Giulia Besozzi, i signori di Armino. Nel 1593 ha 30-31 anni; nel 1589 era

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già sposato (la moglie Angela Caterina è madrina a un battesimo il 13 dicembre); il 29 giugno 1591 si celebrano le cerimonie del battesimo per una figlia, Giulia (il nome della nonna), che era stata battezzata d'urgenza in casa e il 27 dicembre del 1592 c'è il battesimo di un maschio, Matteo (il nome del nonno).

Nel testamento, del 15 settembre 1593 - un mese prima di morire - ha dato disposi-zioni all'erede Matteo (che non ha ancora un anno) e, per lui, alle tutrici di riedifica-re la chiesetta di Armino entro tre anni dalla morte; e, se costoro trascurassero di farlo, dà facoltà alla comunità di erigere la chiesetta e di rivendicarne il costo dalla famiglia.

Dunque tutto Armino è coinvolto in questo avvenimento. Poi il 13 maggio successivo "morì la sig. Paola deArmino, confessata, onta", certamente la sorella di Gian Maria che aveva un anno più di lui. Che cosa avrà detto la gente? "Povera famiglia"? oppu-re: "La morte sì che è una cosa giusta"?

Un'altra persona distinta che muore in questi anni è una Lanzavecchia:

Adì 5 ut supra (marzo 1594) morì Madona Leonora Lanzavegia, conf.;

nella edizione parrocchiale è detto soltanto "Madona Leonora"; sì sa chi è (32).

Ma qua e là troviamo anche figure minori che si affacciano alla cronaca, per es. le comari, le levatrici.

Compaiono in continuità negli atti di Battesimo come persone conosciute, spesso indicate con "comare la solita", che ad Armino vuol dire, dal 1590 al 1608, una "Martha del focho" (focco, foco, il nome della famiglia) e a Gavirate e Fignano "Cate-rina la Gaiara" dall'inizio degli anni'80 al 1600.

Di lei c'è qualche altra notizia. II Turriano annota il suo testamento:

Adì 8 8bre 1600. Memoria qualmente Caterina detta la gaiara stando inferma alla presenza di Gio et Stefano suoi generi gli ha obligato per cinque anni ad sborsare 3 lire per uno, per uno officio per l'anima sua ogni anno, et questo al-la presenza di Andrea Baio custode et Giuanina del Marchesotto, et Antonia sua figlia et di questo ne faccio io infrascritto fede col mio giuramento.

Però non muore e, dopo una assenza dal 14 giugno 1600 al 30 marzo 1601, riprende le sue funzioni fino al 28 luglio 1605; in quest'epoca evidentemente si riammala e il parroco, in margine a quella disposizione testamentaria, scrive: `Il 14 agosto rinnovò (il lascito?); adì 28 agosto morta", e seguono le annotazioni dell'adempimento del lascito. Altre prendono il suo posto; si trova:

una Lucia solita; pretta; Irata; detta fratessa (chissa perchè?); una Madona Violante Bianca, hoste in Gavirà, una Apollonia Cheola solita; ecc. .

Ed ecco qualche altra curiosità, come una finestrella sulla vita del paese:

Adì 19 giugno (1593) morì uno giovane che se aneghò nel lago;

Adì 14 8bre morì un pover huomo forastiero,

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nel 1594, in data 24 novembre, nell'edizione della Curia è scritto:

morì uno pazzo

nell'edizione parrocchiale invece:

morì il matto de Armino

una precisazione che a Milano non avrebbe detto nulla, ma qui richiama un poveret-to che tutti conoscevano e compativano, o, forse, stuzzicavano e irritavano.

La vita

Paese rurale

Siamo in un paese agricolo e la popolazione è soprattutto di massari e braccianti agricoli. Che cosa lavorano? Esiste un perticato rurale detto di Carlo V che parte dal 1558, ma aggiornato anche al secolo successivo, da cui possiamo raccogliere qualche indicazione sul paese.

L'estensione rurale è di oltre 11.200 pertiche milanesi (di mq. 654,51 ciascuna), di cui un terzo circa, e cioè pertiche 4.052, sono terreno non coltivabile, brughiera, zerbo, palude, ecc., e questo è tutto terreno del comune il quale possiede pratica-mente anche tutto il bosco della montagna (pertiche 1.427) più alcune limitate quo-te di terreni redditizi; complessivamente al comune appartengono 5.731 pertiche, più della metà.

Una fetta relativamente modesta, circa un centinaio di pertiche, appartiene alla chiesa plebana, prima Brebbia, poi Besozzo; una grossa fetta di 727 pertiche al mo-nastero di Voltorre, evidentemente oggetto di molte donazioni; la chiesa di Gavirate possiede 325 pertiche, una sessantina di vigna, più di cento in campi arativi, quasi un centinaio di selva sulla montagna, una trentina di pascolo, tre di orto, l'orto del par-roco!

Questi dati, che sono del 1558, non coincidono con quelli che abbiamo trovati negli inventari della chiesa, ma non siamo in grado né di spiegare né di correggere le dif-ferenze. II perticato che ha scopi fiscali, considera alcuni terreni redditizi e altri no; redditizi sono le vigne (avidato), i campi da coltivo (aratorio), le selve, i prati mentre i boschi e il pascolo non hanno una valutazione fiscale; l'avranno più tardi con l'inizio del '600. Ecco l'elenco dei principali terreni col contributo fiscale:

vigne, pertiche 1.304 - soldi 2 per pertica; campi da coltivo, pertiche 1.746 - soldi 1 per pertica; selva, pertiche 1868 - soldi 1 per pertica; prato sutto, pertiche 370 - soldi 1 denari 6 per pertica; prato, pertiche 8 - soldi 3 per pertica prato d'acqua, pertiche 10 - soldi 3 per pertica orto, pertiche 16 - soldi 2 per pertica.

Ricchi secondo questo documento sono quelli che possiedono un centinaio di perti-

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che di terreno redditizio.

Un Antonio Buzzi ha 115 pertiche di vigne, 160 di campi da coltivo; il prete barnabita Gian Pietro Besozzi di Milano, padre di Orazio, possiede 59 pertiche di vigne, 30 di campi; Matteo Besozzo d'Armino 28 di vigne, 84 di. campi, 100 di selva.

Evidentemente ci sono anche proprietà minime: Giorgio della Barbina ha mezza per-tica di orto; Cristoforo Besozzi che risiede a Cocquio possiede una pertica di campo; parecchi possiedono solo qualche pertica di selva in monte.

La proprietà è frazionata fra 133 titolari, alcuni dei quali non abitano a Gavirate.

Le coltivazioni le conosciamo; frumento, segale e miglio sono le culture fondamenta-li con cui si pagano generalmente gli affitti dei terreni, e anche le primizie, decime e legati alla chiesa; ma sappiamo anche che c'è il raccolto delle rape e dei fagioli, e, nei boschi, di noci e di castagne. Una notizia sorprendente è l'estensione delle vigne che coprono un terzo del terreno coltivato e il vino entra difatti come una voce normale nelle quote di affitto.

Ci sono pascoli, ma non si parla mai di bestiame, anche se sono numerosi i massari di carro e buoi; l'unico accenno generico al bestiame si avrà nel 1636 quando tutti, uomini, cose, animali si rifugiano sul monte per timore dei Francesi. C'è invece qual-che accenno ad animali da cortile che ovviamente i contadini allevano, perché tal-volta il canone di affitto comprende uno o più paia di galline; così, per esempio,

Antonio et fratelli Gerletti pagano (alla chiesa) formento stara 1, segala stara 1, polastri n. 2, caponi n. 2, vino brenta 1 ".

C'è un lago a Gavirate, ma da nessuna parte abbiamo trovato un riferimento; nessu-no mai parla di barca né di pesca; solo nello stato d'anime del 1574 c'è un piscatore, Antonio Maria Gaietta, e nell'elenco dei morti del 1593 c'è il giovane che annegò nel lago; niente altro.

Una vita difficile

È risaputo che in quest'epoca la vita era ancora molto insidiata; la grande preghiera litanica diceva:

A peste, fame et bello libera nos Domine;

epidemie, carestie, guerre sono mali che non mancano negli anni che consideriamo noi.

L'età degli abitanti è piuttosto bassa, particolarmente-sembra- in questo cerchio di anni; difatti se negli stati d'anime del Prando (1574-1576) c'erano persone di 65, 68, 69 anni e due di 70 (Bernardo Lanzavecchia a Gavirate e Battista Brusetto ad Armi-no), nello stato d'anime del 1596 vi è soltanto una Caterina Rodelino, vedova, di 60 anni e una Gioanina vedova, madre di Giovanni Caldirè, di 62 anni.

Si moriva presto e spesso prestissimo; facciamo una puntata appena fuori del nostro

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periodo; il registro dei morti inizia nel 1639 e in quell'anno muoiono 15 persone; leggiamo le età: anni 25, giorni 4, giorni... (illeggibile), giorni 4, giorni 3, anni 1, anni 40, anni 40, anni 52, anni 6, anni 50, anni 38, anni 40, appena nato, anni 32.

Torniamo alla nostra epoca; ricordiamo che il parroco Turriano annotava a fianco degli atti di battesimo "morto", "morta", segno indubbio di morte precoce. Ebbene, nell'elenco del 1589 (il primo anno del Turriano che inizia i battesimi in agosto) ab-biamo 19 battesimi e di questi 12 muoiono; nel 1590 i nati sono 32 e 22 muoiono, mentre nel 1591 sono 21 i nati e 6 i morti e anche nel 1592 6 i morti su 22 nati.

La conclusione inevitabile è che gli anni 1589 e 1590 sono stati anni di epidemia, al-meno per i bimbi, perché non abbiamo dati per gli adulti; ma la mortalità infantile era alta sempre.

Per il 1593-95 esiste l'elenco dei morti e quindi si può tentare un movimento ana-grafico di questi anni su questa popolazione di circa 500 abitanti; di là dai totali, una cosa che colpisce è la presenza tra i defunti di tante "creature", distinte dai "putti", i ragazzi; sono dunque bimbi in tenerissima età che siamo tentati di dire neonati; eb-bene, in base a questi elenchi, nel 1593 abbiamo 13 nati e 31 morti (di cui 8 creatu-re), nel 1594 24 nati e 36 morti (9 creature), nel 1595 29 nati e 10 morti (4 creature) (35).

E chiaro che gli anni 1593 e 1594 sono stati anni eccezionali. Particolarmente il 1594 offre dai dati impressonanti; di quei 36 morti, 20 sono tra il 30 gennaio e il 17 marzo e dentro in questa fascia, tra il 31 gennaio e il 19 febbraio, muoiono 9 persone (2 creature, un bimbo, 6 adulti) di "Gavirate"; il rione è indicato con una aggiunta suc-cessiva alla registrazione, segno che anche il parroco a un certo punto ha voluto sot-tolineare il fenomeno. Certamente una epidemia (colera, vaiolo...) ha colpito il-paese come era avvenuto negli anni 1589 e 1590.

Gli altri parroci ci forniscono minori notizie, ma c'è una annotazione che anche il 1631 è stato un "anno del contagio".

II 26 gennaio 1632 il parroco di S. Andrea compie le cerimonie per due bimbi battez-zati in casa al momento del parto; una è una bimba, Margherita,

nasciuta in tempo di contagio nel mese di maggio prossimo passato... Adì 29 sudetto, la sudetta Margherita ha finito l'ultimo giorno di sua natural vita

Questi sono gli anni della carestia (1628-29) e della peste (1630) del card. Federico e dei Promessi Sposi; a Gavirate non sappiamo che la peste sia giunta; però sappiamo che nel 1629 le nascite sono insolitamente basse, otto soltanto contro le 20-30 di norma, e il 1631 è anno di contagio.

Bisogna concludere che la morte di neonati o in tenerissima età era un dato che ac-compagnava la vita coniugale, e l'impegno e il sacrificio per mettere al mondo i figli aveva anche questa previsione così dolorosa; e bisogna anche dire che il pericolo di qualche epidemia che minacciasse tutti era sempre incombente. II "Te Deum" di fine

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anno per questa gente aveva un significato molto più concreto che oggi per noi.

La guerra

Dalla guerra liberaci, o Signore!

Le nostre zone hanno conosciuto il passaggio di eserciti in combattimento durante la guerra dei Trent'Anni nel 1636 per la battaglia di Tornavento a Lonate Pozzolo tra soldati a servizio dei Francesi e soldati a servizio della Spagna; la battaglia è del 22 giugno, e prima e poi i soldati dei Francesi, in generale truppe mercenarie svizzere, devastano la zona, saccheggiando case e chiese, portando via quanto può servire, distruggendo quanto non serve, dando fuoco agli edifici. L'episodio ha lasciato in tutta la zona un ricordo pauroso; numerosi parroci l'hanno annotato nei registri e tra loro anche il parroco Albuzzi che pure sembra allergico a queste note. In data 17 giugno scrive nel registro dei battesimi:

Memoria come alli 17 Giugno alla mattina vene aviso al improviso che li fran-cesi venevano nella pieve di Brebia siche si comosse la plebe in modo tale che fugirno alla montagna con il mobile, et bestie, donne, et fanciulli, in braccio, et le donne gravide ve ne fu che partorirono in mezzo alle selve si che si verifichò quello che si legge nel vangelo, ve pregnantibus et nutrientibus in illis diebus (guai alle incinte e a quelle che allattano in quei giorni).

Dalli 13 del sudetto (mese) fugirono da Soma et Olegio in qua infiniti populi con carri bagalie figli et donne et bestiame tutti sopra li monti de Gavirate ove sogiornavan giorni e notte nelle selve; furono però accettati et riceuti con cari-tà.

II testo è sufficientemente chiaro, come chiaro è il senso del panico che si è diffuso al grido di "Arrivano i Francesi"!

La montagna e i boschi sono il rifugio e la salvezza e c'è stata anche solidarietà coi profughi dei paesi minacciati per primi; il pericolo è durato fino alla metà di luglio o poco più. L'arcivescovo di Milano, il card. Cesare Monti - giunto in diocesi l'anno precedente - appena tornata la calma, preoccupato di quanto è avvenuto, manda un delegato a raccogliere notizie precise sulla situazione delle parrocchie e l'archivio di curia ci ha conservato questa relazione ufficiale che porta la data del 13 agosto.

Che ne fu di Gavirate? La condizione di Gavirate, e più precisamente per il parroco, è stata... drammaticamente buffa. Difatti era al margine della zona invasa e le truppe che razziavano devono aver fatto solo qualche comparsa, nella quale per la verità hanno incendiato 17 case. Invece erano accorsi da Varese i soldati per proteggere e difendere il paese dai razziatori e i guai maggiori erano venuti da loro, perché la guerra... è la guerra! Ecco il resoconto:

"Gavirate. Questa chiesa non ha patito alcun danno da francesi per la diligen-za del curato che essendo più lontana delle altre, hebbe tempo di trasferire ogni cosa in luogo sicuro. Ma il danno l'ha patito il proprio curato nella casa,

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et nella persona da quelli di Varese, et di Biumo, il capo de quali fu Carlo Car-cano, qual sotto pretesto di perseguitare i francesi, entrò hostilmente nella ca-sa parochiale, la quale spogliorno afatto di quanto si trovava dentro, sì di gra-no e vino, come de suppellettile, provisione, cibaria, et d'ogni altra cosa. Da francesi però, sono rimaste abrugiate in questa terra case 17, et farà fuochi (focolari) 130".

Dunque la chiesa é salva, la casa parrocchiale no, ma presumibilmente anche molte

altre case private, oltre le 17 incendiate dai francesi.

Intanto la gente è fuggiasca sui monti, intimorita per le cose e per la vita; lo stesso giorno della fuga una donna partorisce! II giorno dopo, 18 giugno - i soldati non sono ancora comparsi né da Est, né da Ovest - si scende in chiesa per celebrare questo battesimo d'eccezione:

"Adì 18 Giunio fu battizatto da me sottoscritto curato Albutio un putto nato al-la montagna per timore de francesi, dico nato da Antonio Gerletto et Caterina sua moglie, nato alti 17, et li fu posto nome Jacobo, compadre Andrea Terar et Madona Angela Butia".

È l'ultimo battesimo celebrato dal parroco Albuzzi, proprio una speranza nella bufe-ra.

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Note 1. Perla visita dell'arcivescovo Gaspare Visconti non si può parlare di documenti,

perché oltre la brevissima relazione telegrafica, c'è un solo documento del tem-po, che non riguarda problemi pastorali tanto meno gaviratesi e non sappiamo perché è tra i nostri documenti. È una lettera scritta da Milano 1'11.6.1589 (la vi-sita a Gavirate è il 21.6) indirizzata all'arcivescovo, in cui un "fedele servitore" (la firma non c'è) fa presente alcuni inconvenienti nella riscossione del dazio a Lesa "che ne causa assai danno a V.S. Ill.ma". II dazio di Lesa, pur così vicino ad Arona, non è un diritto dei Borromei, ma dell'arcivescovo di Milano. II documento è in vol. 24, q. 28.

2. Cfr. C. Marcora, Lettere del card. Federico Borromeo ai familiari, 1579-99, Mila-no, 1971, prefazione, pag. 18 ss.

3. AI termine del vol. 21 dell'Arch. di Curia che porta la descrizione della visita del card. Federico Borromeo, ci sono le schede anagrafiche (status personalis) dei parroci, cappellani e chierici della pieve. Quella del Turriano è a pag. 399r; ci sono anche due altri presbiteri oriundi di Ga-virate, prete Gian Angelo Luino, vice parroco di Bogno (pag. 329v) e prete Gian Battista Suigno, parroco di Ternate (pag. 393r) di cui diremo in seguito. Dei decreti del Pezzano esiste il volume anche nell'Archivio Prepositurale di Be-sozzo (Prep., 2) al cui termine un foglio reca la dichiarazione firmata dei singoli parroci di aver ritirato la copia dei propri decreti. Questi decreti hanno una storia: la visita è del maggio 1608 e il cardinale atten-deva a promulgarli sperando nella soluzione di "alcune rilevanti liti della colleg-giata che intralciavano non poche disposizioni riguardanti particolarmente il ter-ritorio di Besozzo". Visto l'eccessivo ritardo si decide a pubblicare i decreti ri-guardanti le parrocchie della pieve, rinviando quelli per Besozzo. II volume è da-tato 19 dicembre 1608, ma a Besozzo deve essere arrivato con un ulteriore note-vole ritardo, perchè, per Gavirate, ritira e firma il parroco Carabelli presente solo dal 17 luglio 1609.

4. Queste date sul parroco di Cocquio sono di Prospero Colonna nella visita del 1592; però nella visita del card. Borromeo, nello status personalis, sì legge: "no-minato da S. Carlo", cioè non prima del 1564-65.

5. In questo documento sembra esserci un'anomalia. I sacerdoti autorizzati alla con-fessione dei semplici fedeli sono solo 5, uno meno che per la confessione dei pre-ti; è escluso il parroco di Travedona. La cosa ci appare molto strana, ma si ripete anche per le pievi di Angera-Arona e di Leggiuno che seguono. Dobbiamo accettarlo così? O c'è un errore nel titolo e i due elenchi devono esse-re scambiati?

6. L'interessamento peri maestri è di natura morale; allora tutti quelli che insegnava-

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no, laici o no, dovevano fare una professione di fede per dare garanzia che il loro insegnamento era conforme all'insegnamento religioso e morale della Chiesa. Cfr. Conc. Prov. I, Parte 1, e Instrutione a i Vicari Foranei, in Acta Ecclesiae Medio-lanensis, ed. Ratti, 1890-92, li, col. 32. e col. 1945.

7. La notizia è interessante, ma oscura; non siamo in grado di immaginare le motiva-zioni, la composizione e la fisionomia di questa convivenza. Erano ragazzi poveri che solo così potevano studiare? Sarebbe troppo bello, ma è difficile immaginarlo per quel tempo. Erano figli di be-nestanti affidati a lui? In genere costoro non li allontanavano da casa. Erano ragazzi che pensava di preparare al seminario? Erano ragazzi dei paesi vicini? Come si ve-de, è difficile, senza ulteriori informazioni, cogliere il significato e il valore di una iniziativa che sembra singolare.

8. Nella visita del card. Federico c'è questa annotazione: "I libri dei battesimi, matri-moni, cresima, morti non sono regolari, ma solo lo stato d'anime". Qui regolari vuol dire delle dimensioni ufficiali; noi non possediamo il registro delle cresime e dello stato d'anime; c'è solo la copia dello stato d'anime del 1596 per l'archivio della cu-ria. I registri regolari sono su fogli di cm. 35x23,5 e tali sono il registro n. 2 dei battesimi (con inizio il 12.2.1617), il registro n. 1 dei matrimoni (inizio il 11.2.1628), il registro n. 1 dei morti (inizio 10.1.1639). Prima per i morti non esiste registro; per i battesimi e matrimoni esistono realmen-te, ma su fogli più piccoli (cm. 30x20 circa). Per i battesimi questi quinterni costitui-scono il primo volume che inizia col Prando nel 1577 e arriva a tutto il 1616; non ci si è quindi sentiti in dovere di interromperlo per iniziare un registro regolare. Per i matrimoni i quinterni del Prando e del Turriano sono cuciti all'inizio de primo regi-stro regolare, ma anche questa volta i successori hanno continuato sugli stessi quinterni fino ad esaurimento e cioè fino al 1627. Ci interessa notare un altro parti-colare: le ultime 12 facciate dei quinterni piccoli non recano più atti di matrimonio, ma note economiche stese dal parroco Turriano che vanno dal 1591 al 1606 e che ci offriranno utili notizie.

9. L'ipotesi che si tratti di decessi precoci è fatta soprattutto per esclusione di altre spiegazioni plausibili; l'unica immaginabile è che, in mancanza del registro dei mor-ti, trasformasse il registro dei battesimi anche in registro dei morti, ponendo l'an-notazione man mano che uno moriva. Ma allora come si spiegano certe differenze? In alcuni anni l'indicazione di morte è altissima; nel 1589 sono 12 su 19 nati, nel 1590 22 su 32; invece per le classi del 1591 (21 nati) e 1592 (22 nati) ci sarebbero soltanto, fino al 1608, sei morti per parte, e nel 1602 (24 nati) soltanto due.

10. Che lo stato d'anime sia stato preparato per la visita pastorale è la ipotesi più ra-gionevole. Se la esprimiamo con qualche incertezza è per un fatto particolare: lo stato d'anime ci dà nel 1596 una popolazione di 504 anime mentre la relazione del-la visita ci dà la cifra di 483 anime. È possibile che in presenza di uno stato d'anime

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si sia attinto ad una altra fonte divergente? Ci sono altri documenti che sembrano in relazione con questa visita e non sono ri-cordati nel testo: una dichiarazione sulla fondazione e consacrazione della chiesa parrocchiale e un elenco delle suppellettili (paramenti, biancheria, candelieri, ecc.) (vol. 28, q. 1 1); una dichiarazione sulle entrate della chiesa, sulle tre chiese di Gavi-rate, su alcuni legati (il documento sembra incompleto) (vol. 24, q. 29). Questi do-cumenti entrano quasi di peso nella relazione della visita pastorale. Un particolare: il documento di vol. 28 è scritto dal Turriano, il documento del vol. 24 è di altra calligrafia che ci sembra senza dubbio la stessa del Pezzano, notaio della visita di S. Carlo nel 1581. Che fosse notaio anche in questa visita? Ricordiamo che nel 1608 sarà lui il visitatore delegato dal card. Federico.

11. Tra gli elenchi dei morti esistenti in parrocchia e quelli della curia ci sono discrete differenze. Oltre alla indicazione dei sacramenti, caratteristica degli elenchi della curia (c'era forse una precisa richiesta?), vi è differenza nella indicazione dei nomi che sono più numerosi negli elenchi parrocchiali; qualche lieve differenza di data (forse errori di trascrizione); la differenza più saliente è nell'elenco del 1593: in quello della curia i morti sono 27, in quello della parrocchia sono 31, con l'aggiunta di una "donna" e tre "creature". Per quanto riguarda il 1596 ricordiamo che l'elen-co (di 7 defunti) termina il 22 luglio; non è morto più nessuno o il parroco ha inter-rotto le registrazioni?

12. Le note economiche (spese, lasciti, ecc.) del Turriano sono le prime che incontria-mo e anche le uniche nel nostro periodo. Che cosa possediamo? In capo al primo registro dei morti ci sono gli elenchi dei defunti 1593-96 su cinque facciate; la sesta reca note di spese che vanno dal giugno 1598 al marzo 1600 e ri-guardano la cancellata del battistero. In capo al primo registro dei matrimoni sono cuciti quegli atti di matrimonio in formato più piccolo degli anni 1574-1627; ma le ultime dodici facciate di questi quinterni sono state riservate dal Turriano a una serie eterogenea di annotazioni economiche. C'è prima di tutto una facciata in cui sono registrate le spese per l'olio della lampada tra il 1599 e il 1600. Seguono tre facciate con l'annotazione di alcune volontà testamentarie orali in favore della chiesa; poi quattro facciate di spese va-rie per la suppellettile della chiesa tra il 1591 e il 1604; infine due facciate con le spese per l'ampliamento dell'abside della chiesa (1600). Aggiungiamo che, chiusi con queste note i quinterni piccoli, comincia il registro re-golare, ma le prime due facciate sono coperte da un elenco molto chiaro e ordina-to (salvo i danni dell'umidità nel quarto inferiore) di persone che versano dei beni alla chiesa, precisati in natura e quantità. Non sapremmo datarlo, ma è della nostra epoca perché nell'elenco ci sono correzioni e precisazioni posteriori di mano del parroco Valerio Guilizzoni che arriva a Gavirate nel 1637.

13. A proposito dello scrupolo del Turriano ricordiamo che, al termine degli appunti economici nel registro dei matrimoni, pone la nota di una spesa fatta per ordine

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dei Vicario coi soldi di una multa inflitta al parroco di Cazzago: "Adì 16 marzo 1602. lo P. Carlo Turriano Curato di Gavirate ho hauto L. 6 dal Curato di Cazago quali sono per una condanna fatta contra di lui in congregatione, de quali ne ho speso L. 4 in una cassa per i paramenti così imposti dal sig. Prevosto".

14. II documento dice "Chiesa di S. Giorgio..."; ma è evidentemente un errore; la chiesa davanti alla parrocchiale è la chiesa di S. Giovanni in cimitero.

15. L'immagine della Madonna di Loreto sembra essere quella che esiste ancora nella cappella della Madonna Addolorata, sotto la mensa dell'altare dietro la statua del Cristo nel sepolcro. Lo deduciamo da una notizia del registro dei morti del 9.9.1770; è morto il nob. prete Alfonso Albuzzi, titolare della cappellania, e nell'at-to di morte si legge: "Mille settecento settanta alli 9 del mese di settembre. II Rev.do Sacerdote nobile Sig. Alfonso Albuzio nato ed abitante in questa parrocchia, ordinato a titolo di alcune messe assegnate dal testatore alla B.V. di Loreto che si vede sotto l'altare della B.V. Addolorata nella Cappella Comunale in questa Chiesa Parrocchiale col supplemento di Patrimonio paterno..." L'immagine risale alla fine del'500 ed è presumibile che sia stata collocata sopra l'altare della cappella; come è finita sotto? Nella prima metà del'700 la chiesa è sta-ta ampliata fin quasi a rinnovarla; è certo che la parete meridionale è stata rispet-tata. Un'ipotesi può essere questa: la vecchia chiesa era a livello della piazza; la nuova è stata alzata, con le gradinate di accesso e l'immagine che era sopra la mensa dell'altare è finita sotto. Speriamo che ricerche di tipo tecnico oltre che di archivio possano dare una risposta definitiva.

16. Notizia della morte dell'Albuzzi ci viene anche dall'incartamento della cappellania di cui è da sempre titolare. ll28 febbraio 1637 si riuniscono gli aventi diritto di pa-tronato per nominare il nuovo cappellano "poiché nei giorni scorsi è diventata va-cante la cappella di S. Maria Laurentana nella chiesa parrocchiale dei SS. Giorgio e Giovanni di Gavirate e Fignano... per la morte del M.R.D. Gian Paolo Albuzzi, ultimo titolare..." Era anche il primo! "Nei giorni scorsi" potrebbe far pensare a una data vicina; ma d'altra parte negli appunti della visita pastorale del 1647, compiuta da Antonio Bossola visitatore de-legato, si dice che il successore Valerio Guilizzoni è stato nominato nell'anno 1636.

17. Durante i lavori al battistero si sospendeva la celebrazione dei battesimi a Gavirate e i bambini venivano portati nelle parrocchie vicine, Bardello o Cocquio secondo la comodità. Questo è annotato nel registro dei battesimi di Gavirate in varie ricor-renze: dal dicembre 1583 al maggio 1584 per la costruzione della cappella del bat-tistero, dall'agosto 1597 al febbraio 1598 per la applicazione della cancellata, e in-fine dal settembre al dicembre 1625 senza l'indicazione del motivo. A Bardello non è possibile verificare il fatto perchè i registri esistenti hanno inizio col 1660; a Cocquio non vi è traccia per il 1583-84 e per il 1597-98; invece nel 1625 ci sono otto battesimi di bimbi di Gavirate dall'8 settembre al 27 novembre.

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All’incontro, nel 1583, dall'11 settembre al 5 dicembre a Gavirate sono battezzati 14 bimbi di Cocquio e uno di Inarzo; nel registro di Cocquio vi è un vuoto dal 27.1 1.1583 ai 27.12.1584, ma di questo fatto non è data alcuna spiegazione; e anche nel maggio del 1584, alla ripresa dei battesimi a Gavirate, i primi tre sono bimbi di Cocquio.

18. A Bogno non abbiamo trovato nessuna indicazione utile perchè i documenti d'ar-chivio iniziano tutti assai più tardi.

19. Anche a Ternate i documenti parrocchiali sono posteriori a questa epoca. La notizia del testamento però viene da un manoscritto conservato in quella parrocchia, una ampia ricerca inedita compiuta con indubbia competenza dal sac. Ceruti Antonio nel 1857. Quanto al nome è scritto in modo molto vario: Suigno, Suinio, Sovigno, Zuigno, Zuinio, in latino Tuinius.

20. Tra le collaborazioni alla chiesa, l'unica ufficiale è quella del custode, talvolta detto anche "monaco"; è il sacrestano. Accanto alla chiesa vi era una casa riservata a lui, ma S. Carlo l'ha fatta abbattere per le precarie condizioni; difatti al tempo della vi-sita del card. Federico il custode vive in casa d'affitto a proprie spese. La figura del custode è chiaramente collocata nell'organigramma della chiesa, con compiti precisi e noti e con diritti e rendite stabili e riconosciuti; la visita del 1596 si diffonde in questo capitolo. Deve suonare le campane, pulire la chiesa, ornarla per le celebrazioni, aver cura di suppellettile e paramenti. Le entrate ordinarie annuali sono un quartario (quarta parte dello staio) di miglio per ogni massaro e braccian-te, una primizia a carico del comune di due moggia di miglio e due brente di vino, il raccolto di alcuni terreni della "custodiaria", un compenso in occasione dei funera-li, e, se nel pericolo di grandine suona le campane, ha un diritto supplementare di prelevare sul campo un fascio del raccolto perogni massaro. L'arcivescovo racco-manda la fedeltà a tutte queste cose.

21. È una precisa disposizione di S. Carlo, nel Conc. Prov. I, parte 3 e in Instrutione a i Vicari Foranei. Cfr. Acta Ecclesiae Mediolanensis, ed. Ratti, 1890-92, li, col. 126 e col.1951.

22. A proposito della confraternita dei Disciplini abbiamo una notizia importante che precisa e in parte corregge quanto abbiamo scritto in S. Carlo a Gavirate, pag. 21, sulla sua origine. Nell'Arch. di Curia, vol. 20, q. 34, c'è una relazione del 16.11.1573 (l'anno prima dell'arrivo del Prando e della visita di S.Carlo) stesa e inviata all'arci-vescovo dal prete Ettore Besozzi a nome del vicario foraneo Antonio Contorbia. Tra le altre cose è detto: "Nelli mesi passati alchuni huomini de Gavirate presero certi habiti di sacho sotto pretesto di erigere una Compagnia et così senza licenza de superiori nè tam poco del suo Curato incominciorno a fare alchuni edificij in la Chiesa Parochiale, la quale chiesa resta in sino a I'hora presente interdetta per uno incendio in essa fatto di certe bradelle et parte di detta chiesa. II che detti scholari sino all'hora presente sono statti più di scandalo ch'altrimente, et posto disordine

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tra gli Gentilhuomini di detto luogho, il quale luogho merita coadiutore al suo cura-to, sì per esser il curato poco idoneo come ancho per il gran populo". Dunque è un gruppo che nasce autonomamente nel 1573, mettendo a disagio il parroco "poco idoneo", chp -a G. Antonio Lanzavecchia, e la loro presenza non sembra estranea all'incendio delle panche in chiesa. Però il parroco Prando al suo arrivo guarderà favorevolmente il gruppo e la loro posizione in parrocchia verrà le-gittimata. Notiamo anche che il parroco Lanzavecchia, la cui presenza era documentata solo fino al novembre 1572, è presente ancora un anno dopo, sempre bisognoso di coadiutore. (Sulla figura del parroco G. A. Lanzavecchia, cfr. Note Storiche). II documento da cui citiamo dice che anche a Besozzo in quegli stessi mesi è sorta una confraternita dei Disciplini, ma ha ottenuto le debite approvazioni e la loro presenza è di edificazione per la parrocchia; e un altro gruppo c'è da anni ad Ange-ra, senza nessun riconoscimento, ma con una condotta irreprensibile.

23. L'ufficiatura a sette giorni dalla morte era un fatto comune allora che probabilmen-te solo i poveretti senza alcun soldo tralasciavano. II motivo è anche comprensibile: il funerale avveniva in fretta, anche il giorno stesso della morte, solitamente senza celebrazione della messa; a sette giorni si faceva l'ufficiatura solenne con maggior partecipazione. La cosa è evidente appena ha inizio il registro dei morti (1639), perché si annota anche la celebrazione del "settimo" col grado di solennità e il nu-mero dei sacerdoti partecipanti.

24. Come si vede tra l'esposto della popolazione e quello dell'arcivescovo c'è qualche differenza; si potrebbe quindi anche mettere in dubbio la relazione tra i due docu-menti. Però l'unico testo arcivescovile che parli dell'argomento è questo, il quale evidentemente allarga il problema rendendolo, da parrocchiale, vicariale e ciò po-trebbe aiutare a spiegare le differenze. Per questi motivi li teniamo collegati.

25. Nell'elenco dei legati rogati da Gian Francesco Lanzavecchia c'è un segnale dell'in-teressamento se vogliamo dell'importanza della scuola del SS, Sacramento. Dopo il 1600 (uno strappo al foglio non ci permette di essere più precisi) c'è un legato di Bellizia Castelli che lascia L. 1.000 (una cifra enorme, mai incontrata prima) da inve-stire in una proprietà idonea per alcuni legati la cui esecuzione è affidata al priore pro tempore della scuola "a lode della Vergine gloriosissima e in riparazione dei miei peccati". Sitratta di celebrare una messa settimanale, di cantare le litanie della Madonna al sabato sera davanti al suo altare, di mantenere accesa una lampada davanti a questo altare dal sabato sera alla domenica sera e nelle feste della Ma-donna; se avanzavano altre rendite dovevano servire a cantare altre volte le litanie.

26. II numero delle feste di precetto è variato lungo i tempi; per l'epoca che ci interes-sa S. Carlo stabilì l'elenco nel Sinodo Diocesiano V° del 1578 che fissava 40 feste di precetto oltre le domeniche e comprendeva, per esempio, tre feste in occasione della Pasqua, tre a Pentecoste, quattro a Natale, tutte le feste degli apostoli ed al-tre ancora. Diciamo, per curiosità, che non comprendeva la festa di S. Giuseppe che

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si affermerà successivamente. Cfr. E. Cattaneo, L'evoluzione delle feste di precetto a Milano dal sec. XIV al XX, in Studi in memoria di Mons. Cesare Dotta, Milano, Archivio Ambrosiano, IX, 1956.

27. IlTurrianolechiama "maggiori";tradizionalmente le chiamiamo "minori" per distin-guerle da quelle del giorno di S. Marco, il 25 aprile, dette "maggiori". Stranamente mancano nell'elenco della visita di S. Carlo del 1574 e non si può pen-sare ad un errore perchè in quel tempo vi sono altri due elenchi, uno di mano del Lanzavecchia, e uno di mano del Prando che entra nei decreti della visita, e non compaiono in nessuno.

28. La processione alla cima del S. Martino è certamente la più lunga; il Pezzano parla di 8 miglia, 12 Km., ma oggi da Gavirate per Caldana-Azio-Cuvio-Duno sono 23 Km. Se allora esisteva qualche sentiero più breve sarà certamente stato più faticoso. È dunque veramente un cammino lungo e ripido, ma era una meta abbastanza co-mune anche per le altre pievi intorno.

29. La cifra è approssimativa per le note caratteristiche dei due stati d'anime del Pran-do; nel primo manca Pozzolo, nel secondo quasi tutto Gavirate e quindi la cifra è induttiva; abbiamo aggiunto al primo documento il dato di Pozzolo del secondo.

30. Per i Besozzi di Armino, l'erede Giovanni Maria è morto nel 1593, ma la vedova Angela Caterina è madrina a un battesimo il 16.8.1594. Per la famiglia di Orazio Be-sozzi, la moglie Camilla compare nei battesimi il 6.3.1593 e il 20.6.1599; il 14.2.1600 compare "l'Aurelia del sig. Horatio", forse una figlia non ancora nata nel 1574. Forse queste famiglie vivevano ora a Gavirate, ora in città. Per i Besozzi cfr. S. Carlo a Gavirate, pag. 47. Per i Lanzavecchia cfr. Note Storiche, pag. 15 ss.; anche l'albero genealogico che appare in quella pagina non è esaurien-te; riporta le persone che compaiono nei documenti ecclesiastici; non è escluso che ci fossero altri fratelli e soprattutto sorelle.

31. L'estratto del testamento di Gian Maria Besozzi è contenuto nella relazione della visita del card. Federico; però non si trova nel contesto di Gavirate, ma al termine di quello di Cocquio, prima di iniziare la visita di Gavirate. Evidentemente il cardina-le ha visitato Armino durante il cammino da Cocquio a Gavirate (cfr. vol. 21, pag. 365-366). II fatto non mette in discussione l'appartenenza di Armino alla chiesa di Gavirate; difatti le disposizioni dell'arcivescovo per questa chiesetta (da costruire in un'altra posizione perché lì passa il torrente e non ci si può difendere dalle infiltra-zioni di acqua) sono tra i decreti per Gavirate (cfr. vol. 22, pag. 141).

32. L'unica Eleonora Lanzavecchia, nata Besozzi, che già conosciamo è la moglie di Ber-nardo (junior); ma forse non è questa. Bernardo nello stato d'anime del 1574 com-pare, senza moglie, in una famiglia di nipoti "del Piatto", perciò è presumibile che fosse già vedovo. Senza dire che Eleonora nel 1594 quanti anni avrebbe?

33. Qualche curiosità ci viene da altre parti. Nell'inventario dei beni del 1624 incon-triamo il "sig. fisico Alberto Besozzi" e il "Capitaneo Alfonso Besozzi" che hanno possedimenti in Gavirate. Fisico è il termine chi indica il medico, capitaneo è cer-

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tamente un termine militare, un ufficiale dunque delle milizie spagnole. Così pure dai registri conosciamo, negli anni 1616-17, un Andrea di Giorgio presti-naio a Pozzolo, un Agostino di Baio sarto ad Armino, un Gian Giacomo Buzzi fabbro a Fignano.

34. I dati di questa pagina sono presi dal perticato rurale del 1558 che è quello di par-tenza; esiste anche la situazione al 1590 e una dell'inizio del'600 aggiornata al 1666. Abbiamo preferito la prima perché si presenta con maggior ordine e comple-tezza; nelle edizioni successive mancano totalmente le proprietà delle chiese e dei monasteri, evidentemente esclusi da oneri fiscali. Però è utile qualche confronto con l'edizione del 1590. Innanzitutto le cifre globali: alle 11.200 pertiche del 1558 fanno riscontro le 9.856 del 1590; calcolando quelle degli enti ecclesiastici si toccano le 11.000 pertiche, circa duecento in meno, una differenza non enorme, ma che non abbiamo elementi per spiegare. I possessori ora sono una trentina di più; probabilmente alcune proprietà si sono frazionate tra eredi; per esempio Benedetto Buzzi di Fignano e Gian Battista Buzzi, due possessori elencati in successione, hanno le stesse quantità e qualità di terreni, come per una divisione perfetta a metà, e così pure Domenico e Francesco Merchato detti del Baio e altri ancora. Alcune proprietà maggiori si riconoscono; la proprietà di Bernardo Lanzavecchia passa praticamente immutata a Gian Francesco e lo stesso avviene tra Matteo Be-sozzi e il figlio Gian Maria di Armino; ci sono ancora due Buzzi facoltosi, un Nicolò e un Luca, certamente quelli che troviamo col nome Albuzzi nella fondazione della cappellania della B.V. di Loreto; immutata è la proprietà del comune. Invece la pro-prietà del barnabita Gian Pietro Besozzi qui è dissolta, perché il figlio unico Orazio ora possiede solo sei o sette pertiche di terreno, probabilmente attorno alla casa; ma poi, stranamente, nell'edizione dell'inizio del '600 "Horatio Besozzo descritto a nome di Gio Pietro Besozzo" ha le identiche proprietà che aveva il padre.

35. Diamo questi dati così come li possediamo pur rendendoci conto che troppi parti-colari ci sfuggono. Tra l'altro, se le "creature" sono neonati (battezzati in casa e morti), compaiono nel registro dei battesimi? L'interrogativo è fondato e la risposta più probabile è negativa perchè mentre nei registri spesso si parla di bimbi battezzati in casa dalla comare per i quali si com-piono in seguito le cerimonie in chiesa, non compaiono mai bimbi battezzati in casa e morti senza le cerimonie in chiesa. Questa interpretazione rende errato per difet-to il numero dei nati a cui si debbono aggiungere tutte le "creature"; però anche in quel caso nei nostri anni avremmo nel 1593 21 nati contro 31 morti, nel 1594 35 nati contro 26 morti, nel 1595 33 nati contro 10 morti.

36. L'arcivescovo a seguito della relazione dispone alcuni sussidi peri parroci più colpiti e al parroco di Gavirate destina dieci ducatoni, circa 60 lire; ma il parroco muore prima di averli ricevuti. Avviene allora un fatto curioso: il prevosto di Besozzo prega di destinare questa ci-

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fra alla prepositurale per restaurare un ostensorio guastato dai francesi, "che servi-rà per memoria a quella chiesa della benignità di Vostra Eminenza", e l'arcivescovo concede. Quanto alla morte del parroco, che avviene poco dopo, questo spavento e i disagi vi hanno forse influito?

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Appendice I: I documenti

Archivio Parrocchiale di Gavirate

Registro nati n. 1

Contiene gli atti di battesimo dal 7.1.1577 al 31.1.1617, quindi tutti gli atti del tempo dei parroci Turriano, Veggio, Carabelli e inizio dell'Albuzzi.

Registro nati n. 2

Contiene gli atti di battesimo dal 12.2.1617 al 1658, quindi tutti gli atti del tempo del parroco Albuzzi.

Sull'ultima facciata vi è la "Nota delle investiture compiute da prete CarloTurriano alias curato di Gavirate"

Registro matrimoni n. 1

Contiene gli atti di matrimonio dal 20.4.1574 al 5.8.1658, quindi tutti gli atti del tempo dei parroci Turriano, Veggio, Carabelli e Albuzzi.

Dopo l'atto dell'11.11.1627 iniziano le annotazioni economiche del Turriano, da fo-glio 112r a 124v.

II foglio successivo, che è il primo delle dimensioni regolari, e che portava il n. 97, elenca su due facciate una serie di persone e i beni che versano alla chiesa come af-fitto o come legato.

Registro morti n. 1

All'inizio sono cuciti tre fogli; cinque facciate riportano l'elenco dei morti per gli anni 1593-96, la sesta una nota di spese per la cancellata del battistero, negli anni 1598-1600.

Legati, 1, 1

Elenco dei legati presenti nei testamenti rogati da Gian Francesco Lanzavecchia (anni 1586-1615)

Culto-Processioni, 1, 9

Sentenza per la processione del Corpus Domini: 17.6.1629.

Miscellanea, 6, 8

Supplica per assoluzione dalla scomunica, in relazione alla processione del Corpus Domini: 1639-1640.

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Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sez. X

Pieve di Besozzo:

vol. 28, q. 7: Visita dell'arciv. Gaspare Visconti: 21.6.1589.

vol. 24, q. 28: Esposto su alcuni inconvenienti nella riscossione del dazio di Lesa:

11.6.1589.

vol. 13, q. 7: Elenco dei confessori delle pievi di Besozzo, Angera, Leggiuno;

1590 c.

vol. 32, q. 19: Elenco dei ludimagistri delle pievi di Besozzo, Angera, Leggiuno;

1590 c.

vol. 10, q. 4: Status ecclesiae Besutìj et eius plebis; 1592.

vol. 28, q. 11: Dichiarazione su fondazione e consacrazione della chiesa

parrocchiale.

Nota delle suppellettili della chiesa parr.; 1595.

vol. 24, q. 29: Entrate della chiesa, condizioni delle tre chiese, legati

(incompleto).

Dichiarazione del Turriano; 1596 c.

vol. 24, q. 30: Status animarum parochialis Gavirati, 1596.

Index functorum Gavirati: 1593-96.

vol. 28, q. 21: memoriale delli huomini del comune di Gavirà; 1596 c.

vol. 21, pag. 365r-380r: Visita del card. Federico Borromeo, 28.1.1596.

392r: Status personalis del Prete Gian Angelo Luino.

393r: Status personalis del prete Gian Battista Suigno.

399r: Status personalis del prete Carlo Turriano.

vol. 22, pag. 135r-142r: Decreti della visita del card. Federico Borromeo.

vol. 41, q. 4: Documenti della cappellania Albuzzi fondata il 5.3.1598;

vasto incartamento con atti fino al 1755.

vol. 19, q. 1: Interventi di Prospero Colonna per le chiese di Comerio e

Ternate, aprile 1602.

Interessa i preti Gian Giacomo Albuzzi e Gian Battista Suigno.

vol. 8, q. 4: Processiones quae fieri solent a populo Gaviratensi;

Usus officiorum mortuorum in eccl. par. gavir.; Turriano.

Nova proviso di Gian Paolo Albuzzi; 1615?

Incontro informale col card. Federico

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per la chiesa di Armino; 24.10.1620.

vol. 16, pag. 11v-16r: Decreti della visita di Cesare Pezzano; 1608.

vol. 2, q. 7: Visitatio parochialis, di Prospero Colonna; 1610.

vol. 9, q. 24: Supplica per la costruzione della chiesa di Armino

e concessione; 27.10.1620.

vol. 33, q. 15: Inventario dei beni immobili della chiesa di Gavirate, per notaio;

17.1.1624.

vol. 6, q. 19: Visita vicariale di G.B. Masinago; 19.9.1635.

vol. 19, q. 31: Beneficiati e stato del clero della pieve; 1635.

Stato delle anime della cura di Gavirate.

vol. 19, q. 23: Li chierici hora habitanti o nativi della pieve di Besozzo; 1635 c.

vol. 6, q. 20 Relazione di danni patiti dalla seconda regione

vol. 19, qq 28-29: dalle incursioni dei francesi nel 1636.

vol. 6, q. 31

vol. 19, q. 32 Documenti riguardanti la processione del Corpus Domini;

1641-1642.

vol. 23, q. 16: Pieve di Bruzzano:

vol. 6, q. 7: Status personalis del prete Benedetto Carabelli, parroco di Affori;

13.5.1608.

Biblioteca Trivulziana (Milano, Castello Sforzesco)

Perticato Rurale; località foresi, pieve di Brebbia.

cartella 7, 587, a: Perticato rurale 1558 in copia del sec. XVII con indice.

cartella 8, 588, a: Perticato rurale prob. del 1558 in originale con indice.

cartella 8, 588, c: Perticato rurale del 5 dicembre 1590 con indice

(manca Comerio e Voltorre).

cartella 7, 589, b: Catasto dell'inizio del sec. XVII, con aggiunte sino al 1666

(manca Comerio).

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Appendice lI: I parroci a Gavirate Antonino de Gavirate. Nel 1455 nella visita dell'arciv. Carlo Gabriele Sforza è elenca-to tra i cappellani di Brebbia.

Nella relazione della visita è detto che solo il prevosto e un chierico risiedevano a Brebbia; è logico quindi dedurre che gli altri cappellani, tra cui Antoninus de Gavira-te risiedono nelle proprie cure.

Sarebbe quindi il primo parroco residente di cui abbiamo notizia.

Pietro Clerici de Vigle: un documento di Brebbia del 1485 è steso nella casa del sig. prete de Vigle cappellano di Gavirate e tra i cappellani elencati nel documento c'è un prete Pietro di Gavirate.

Nel 1494 in un documento notarile riguardante i beni di Voltorre appare come retto-re di Gavirate un prete Pietro Clerici de Vigle.

Siamo portati a pensare che questi tre elementi riguardino la stessa persona che quindi è certamente presente dal 1485 al 1494.

Lascia dei beni in Gavirate per un legato alla chiesa di Gavirate. È un gaviratese?

Lanzavecchia Galeazzo: Nel 1538 è rettore di Gavirate; nel 1554 agisce ancora come rettore; è di famiglia gaviratese.

Lanzavecchia Gian Antonio: Nato nel 1521 c., nel 1546 riceve la tonsura e l'investi-tura della rettoria di Gavirate e diviene prete nel 1555.

È difficile dire quando inizia effettivamente la rettoria, succedendo allo zio Galeazzo. Ci sono documentazioni certe dal 1564 alla fine del 1573.

Alla visita di S. Carlo del 1574 è già morto.

Compare un coadiutore, Zocco Giovanni nel 1569.

Prando Francesco: Diviene parroco il 5.3.1574. È di Castano, nato circa il 1551-52. Riceve la visita di S. Carlo nel 1574 e 1581. È presente certamente fino al 25.2.1588.

Cotta Ottavio: La sua presenza è documentata dal 8.3.1588 al 6.1.1589. La parroc-chia resta vacante per sei mesi.

Turriano Carlo: Diviene parroco il 21.6.1589. È di Caronno, nato nel 1562-63. Riceve la visita del card. Federico Borromeo.

È parroco fino all'inizio del 1608 quando rinuncia, risiedendo in parrocchia.

È presente, almeno nel 1599-1600, il cappellano Gian Paolo Albuzzi.

Veggio Giulio: Prende possesso della parrocchia il 4.2.1608.

Rimane fino a dopo il 5.6.1609 e rinuncia permutando con la parrocchia di Affori do-ve muore nel 1622.

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Carabelli Benedetto: Entra il 17.7.1609, proveniente da Affori dove è stato parroco per sei anni.

È di Gallarate, nato nel 1570. Rimane fino a dopo il 12.11.1615 e compie una nuova permuta col parroco di Lonate Ceppino, dove rimane fino alla fine del 1617.

Albuzzi Gian Paolo: Arriva il 4.12.1615, permutando la parrocchia col Carabelli.

È di Gavirate-Fignano; nel 1598 è designato cappellano della cappellania Albuzzi; poi è parroco di Lonate Ceppino dal 1605 alla fine del 1615.

È parroco di Gavirate fino alla morte che avviene verso la fine del 1636.

Sono presenti due preti: Sbirro Sebastiano cappellano di Gavirate negli anni 1620-21 e Gian Battista Martignoni coadiutore di Fignano nel 1623.