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1 Storia di Bogno Appunti raccolti da Claudio Binda Ultimo aggiornamento : 25 Luglio 2013

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Storia di Bogno

Appunti raccolti da Claudio Binda

Ultimo aggiornamento : 2255 LLuugglliioo 22001133

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Volendo scrivere una storia su Bogno, ci troviamo in difficoltà sin dalle prime righe.

Infatti, come si può scrivere una storia di un paese in cui non è mai accaduto nulla di

particolare e non è mai nato alcun personaggio celebre; però, come si legge e si sente da

più parti, la storia non è fatta di monumenti, battaglie, grandi avvenimenti ecc.. ma di

uomini, e di uomini in un paese pur piccolo come il nostro ce ne sono passati tanti nel

corso dei secoli che hanno piantato i semi per poter far crescere le radici della nostra

esistenza, del nostro modo di vivere, costruendo quella tradizione a cui tutti noi ci

aggrappiamo; cioè la nostra storia.

Naturalmente la storia di un piccolo paese come il nostro, sarà molto simile alla storia di

tanti paesi vicini della nostra zona, ma pensiamo che questo più che una noiosa

ripetizione di altre opere già scritte serva a mantenere viva l‟attenzione sulle tradizioni

del nostro territorio.

Terminata questa breve premessa, iniziamo col chiedere al lettore una buona dose di

immaginazione perché come abbiamo detto, mancando di documenti importanti si dovrà

sopperire a ciò con il ragionamento e con un poco di fantasia e sforziamoci di

dimenticare alcune nozioni errate che ci sono state imposte da cinema e letteratura

fantascientifica.

Carichiamoci quindi sulle spalle il nostro zaino pieno di fantasia e partiamo a ritroso nel

tempo fino a circa 70.000 anni fa.

Perché Bogno esisteva già 70.000 anni fa?

No. non esageriamo.

Sappiamo che la terra dalla sua formazione, avvenuta circa cinque miliardi di anni fa, ha

subito continue trasformazioni, (attività vulcaniche colossali, terremoti, maremoti, ecc.)

e varie glaciazioni.1

L‟ultima di queste glaciazioni, detta di Wurm ebbe inizio circa 70.000 anni fa e

raggiunse il suo culmine circa 15.000 anni fa, quindi iniziò a regredire attorno a 10.000

anni fa; si presume che, sulle nostre località, lo strato di ghiaccio abbia raggiunto lo

spessore di 1.000/1.200 metri.

Le acque prodotte dallo scioglimento di una massa di ghiaccio di così enormi

proporzioni, scavò vallate, costruì colline, depositò materiale colmando precedenti

depressioni, formò dei laghi dando così un nuovo aspetto a tutta la zona;

successivamente si alternarono vari periodi di freddo intenso a periodi con temperature

più miti con conseguente avanzamento ed arretramento dei ghiacciai che scendevano

dalle nostre montagne contribuendo così con il loro movimento alla conformazione del

terreno come noi oggi lo vediamo.

1 Le prime glaciazioni conosciute risalgono a circa 600/800 milioni di anni fa.

Conosciamo “in epoca più recente” le glaciazioni di Gunz fra 620/680 mila anni fa; Mindel fra 240/455

mila anni fa; Riss fra 125/200 mila e Wurm fra 10/70 mila anni fa.

Molte altre di minore intensità avvennero negli anni intermedi fra queste grandi glaciazioni.

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Perciò noi stiamo vivendo da circa 10.000 anni in un periodo climaticamente stabile.

Chi sta pensando che anche ai nostri tempi stiamo vivendo una situazione simile perchè

vi è magari un‟estate particolarmente calda o un autunno molto piovoso, si sta

sbagliando, infatti i periodi a cui stiamo accennando corrispondono a centinaia di anni

od addirittura a millenni.

Quindi se pensiamo che il nostro territorio era ricoperto da centinaia di metri di

ghiaccio, è pressoché impossibile pensare, nonostante la più ottimistica immaginazione,

che potesse essere abitato prima di quest‟epoca, anche se in altre parti della terra, dove

il clima poteva permettere un‟esistenza, l‟uomo aveva iniziato la sua lenta e continua

evoluzione già da circa 5 milioni di anni.

Ma l’uomo quando arrivò ad abitare il nostro territorio?

Prima di rispondere a questa domanda sarà bene fare un piccolo accenno a quella che è

stata l‟evoluzione dell‟uomo.

L‟uomo iniziò il suo cammino nel centro dell‟Africa, come è confermato da

ritrovamenti fossili, vivendo raccogliendo bacche e frutti, riparandosi sugli alberi, come

le proprie antenate scimmie e cacciando animali con delle rudimentali armi di osso o di

pietra che lui stesso si costruiva.

Cacciava anche i dinosauri?

No!

Questo è il più grosso inganno che alcuni cineasti ci hanno proposto, infatti questi erano

già scomparsi dalla terra da almeno 50 milioni di anni.

Per poter sopravvivere l‟uomo era costretto a continui spostamenti sia per seguire gli

animali che cacciava, sia al mutare delle stagioni per la raccolta dei frutti.

Durante questo suo peregrinare abitava in caverne per periodi più o meno lunghi come è

stato confermato dai ritrovamenti archeologici in più parti del mondo.

L‟uomo continuò nella sua lenta evoluzione per millenni e millenni sino a circa l‟ottavo

millennio prima di Cristo, quando forse anche a causa delle stabilizzate condizioni

ambientali, lo portò a stabilire le proprie dimore in un posto fisso, fenomeno questo

apparentemente di poco conto, che fu invece una delle maggiori concause per il nuovo

balzo in avanti che l‟umanità stava per compiere.

Mentre nella maggior parte dell‟Europa continentale dovette persistere ancora per vari

secoli, una certa economia ristagnante di tipo mesolitico2, in talune zone del Medio

Oriente, e sopratutto in un‟ampia zona detta “mezzaluna fertile” che abbraccia i territori

che a sud del Mar Nero e del Mar Caspio, si estendono dal Mediterraneo al Golfo

Persico, andavano maturando le condizioni che dovevano condurre a tempi nuovi.

2 Mesolitico = Periodo intermedio dell‟età della pietra fra 12.000/8.000 anni fa.

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Le zone ora ricordate comprendevano talune ridenti vallate, circondate da rilievi

montuosi, che parevano ben prestarsi a racchiudervi il bestiame in uno stato di semi

cattività, in tal modo l‟uomo potè evitare di rincorrere la selvaggina, come aveva fatto

per millenni e da puro cacciatore divenne pastore, badando a talune specie di animali

alquanto docili, come bovini, caprini, ovini e suini.

Nel breve volgere di alcuni secoli, dalle prime forme di cattività si passò alla

domesticazione, per passare poi ad un vero e proprio allevamento, a cui si giunse ben

presto seguendo il naturale evolversi degli eventi.

La fissazione delle dimore, che fu una causa e al tempo stesso una conseguenza delle

nuove condizioni ambientali verificatesi, consentì una più attenta osservazione dei cicli

vegetativi di alcune piante, da cui l‟uomo traeva i frutti, al punto che si potè giungere a

facilitare tali raccolte seminando appositamente talune essenze, in primo luogo taluni

cereali.

Con questi primi passi della coltivazione del terreno si ebbe ben presto l‟avvento

dell‟agricoltura, che costituì per l‟umanità un gigantesco passo innanzi.

Per seguire lo sviluppo vegetale si arrivò a costruire semplici zappette, di legno o di

corno, appesantendole con delle pietre per ottenere migliori risultati: più tardi vennero

inventati i veri aratri, con vomeri di pietra o di corno, trainati dapprima dall‟uomo

stesso, poi dagli animali ormai domestici.

Le messi furono raccolte con ingegnosi falcetti, ottenuti ponendo una serie di taglienti

lamette di selce una accanto all‟altra su appositi sostegni di legno o di osso, mentre i

cereali potevano essere ridotti in farina con l‟impiego di appositi macinelli strofinati su

piatte pietre.

Con i prodotti dei raccolti in genere, così come le sementi e gli alimenti, si vide la

necessità di conservarli entro silos scavati direttamente nel terreno, od entro recipienti,

dapprima di legno, di vimini, di cuoio, di pietra, poi di terracotta; veniva così inventata

la ceramica.

E‟ difficile dire con sicurezza come sia nata la ceramica; probabilmente, come molte

altre scoperte, hanno concorso a tale invenzione sia il caso fortuito che lo spirito di

osservazione, lo scambio di esperienze, la somma dei ricordi.

Sicuramente deve aver contribuito l‟aver notato che il terreno argilloso attorno ai

focolari, spesso accesi all‟interno delle capanne, con l‟azione del fuoco si induriva; e

forse fra i primi recipienti possiamo annoverare proprio soltanto i fori o pozzetti scavati

sul fondo delle capanne e induriti alle pareti dal calore.

L‟invenzione della ceramica, oltre che portare utilità alla vita quotidiana dei nostri

antenati, è di notevole importanza anche ai nostri giorni, perché tramite essa i nostri

archeologi riescono a ricostruire e a risalire alla civiltà di appartenenza; in pratica è il

primo libro della storia, anche se scritto inconsapevolmente.

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Col V° millennio A. C. circa ebbe inizio una sequenza di irradiazioni verso i paesi

dell‟Europa Occidentale, con varie ondate che si succedettero per alcuni millenni.

Le genti in possesso delle più arcaiche culture di quell‟epoca, provenendo come si è

detto, dal bacino del Mediterraneo Orientale, erano andate approdando dapprima sulle

coste dell‟Italia Meridionale e della Sicilia, poi su altre zone costiere, come quelle

liguri; da qui la penetrazione verso il retroterra.

Nel territorio che ci interessa più da vicino, una certa consistente occupazione può

essere ravvisata perciò solo a cominciare dal IV° millennio a.C. nelle zone più ospitali,

cioè quelle in cui il territorio meglio si presentava adatto alle nuove forme d‟economia,

basata sopratutto sull‟allevamento del bestiame e sulla coltivazione di piante alimentari

e dove, al medesimo tempo, corsi d‟acqua, laghi, paludi percorribili, offrivano la

possibilità di agevoli spostamenti, con le primitive imbarcazioni scavate in tronchi

d‟albero, per il trasporto di persone e di prodotti e per tutte quelle altre necessità ed

esigenze che il crescente dinamismo delle varie comunità rendeva sempre più

imperioso.

Sorsero così, specialmente attorno agli specchi d‟acqua che oggi formano i laghi di

Varese, di Monate, di Comabbio, di Biandronno, nonchè sulle sponde del Verbano, i

primi villaggi.

Chi erano i primi abitanti delle nostre zone?

Innanzi tutto bisogna ricordarsi che a quei tempi non c‟era il concetto di stato e di

conseguenza di popolo come siamo abituati a vedere ai nostri giorni, ma più

semplicemente questa invasione territoriale è stata portata da piccoli gruppi che si

spostavano alla ricerca di una più semplice sopravvivenza.

Gli storici unendo tutti i possibili indizi (ritrovamenti, leggende, toponomastica, ecc..)

sono giunti ad affermare che popolazioni Liguri si spinsero nel Varesotto sino ad

incontrare le prime colline, (Zona di Gallarate) essi erano di norma del buoni agricoltori

“coltivatori di legumi, (LIGURIUM) da cui sembri derivare il nome”e quindi si

limitarono alla zona pianeggiante ; ancora ai nostri giorni si notano alcune assonanze e

similitudini fra il dialetto parlato in Busto Arsizio e quello Genovese.

La zona più a nord, quella che ci interessa più da vicino, fu “invasa” da popolazioni

Celtiche, provenienti dal nord Europa, questa affermazione è possibile da similitudine

ritrovate sui tipi di inumazione dei morti, riti di culto, ecc..

Le tracce più antiche della presenza dell‟uomo nel varesotto sono state trovate nella

grotta situata ai piedi della Rocca di Angera e denominata “Tana del lupo” o “Antro

Mitriaco” e risalgono circa al 5000 a. C.

Queste popolazioni raggruppate in piccoli villaggi, anche se a pochi kilometri di

distanza fra loro, secondo il nostro sistema attuale di valutazione molto vicine, ma

“enormemente distanti” a quei tempi, durante “l’età del bronzo” tra il 1.800 A.C. e il

900 A.C. portarono queste genti ad uno sviluppo culturale diverso, tanto da indurre gli

studiosi ad assegnare loro delle nomenclature differenti :

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Cultura di Golasecca, tra le sponde del Ticino a sud di Sesto Calende.

Cultura della Lagozza, in zona di Besnate.

Cultura delle palafitte, sul lago di Varese, in località Bodio, Bardello ed in special modo

all‟isolino di Biandronno, dove sono stati individuati indizi tali da far risalire che l‟isola

fosse abitata già dal 3.000 A.C.

E‟ da notare come le varie culture si sono sviluppate in modo differente; infatti, mentre

dalle nostre parti, si viveva ancora in caverne o sulle palafitte, in altre parti del mondo,

come ad esempio in Egitto, le piramidi avevano già compiuto più di mille anni.

Ma torniamo a noi.

Sforziamoci ad immaginare di essere nel punto più alto della collina che attualmente è

coperta dall‟abitato di Bogno e guardiamoci attorno, con nostro grande stupore ci

accorgeremo di essere immersi in un‟enorme foresta verdeggiante, solo guardando

attraverso gli alberi scopriremmo i laghi, circa delle stesse dimensioni attuali e sullo

sfondo la catena delle Alpi con il massiccio del Monte Rosa che la sovrasta.

Una foresta formata in maggior parte da alberi di querce, castagni e olmi con un ricco

sottobosco molto intricato; il terreno è asciutto sui rilievi, mentre le zone più basse sono

ridotte a enormi acquitrini, solo qualche piccola radura verde si apre ogni tanto in

mezzo alla foresta.

Ma nel territorio di Bogno vi era qualche villaggio preistorico?

Nel gennaio del 2001 in località Brocchino in un modo tanto fortunato quanto casuale

venne alla luce una bellissima punta di freccia in selce, nello strato superficiale del

terreno, rimosso da una talpa.

La punta misura 45 mm. di lunghezza ed è larga 15 mm, ed è di selce grigiastra ben

lavorata, ma è leggermente spuntata.

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Essendo stato il terreno del ritrovamento rovistato più volte a causa della costruzione di

una casa, senza dare il minimo sentore dell‟esistenza di un villaggio palafitticolo, ed

essendo anche il luogo piuttosto elevato nei confronti del livello del lago, si presuppone

che la freccia sia stata persa magari durante una battuta di caccia, confermando ancora

più la fortunata coincidenza del ritrovamento.

Nel 2010 durante i lavori di posa di un metanodotto, sono stati rinvenuti tracce di un

insediamento preistorico, al termine della discesa che dalla località Brocchino porta

verso il lago, a circa 200 metri dal ritrovamento della freccia sopra indicata; sono

intervenuti i competenti organi dei Beni Culturali ed Archeologici che hanno fatto i

rilievi del caso; e per il momento rimaniamo in attesa dei risultati dell‟indagine

avvenuta.

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Ma come era un villaggio palafitticolo, e come vivevano i suoi abitanti?

Il villaggio: un agglomerato di capanne, erette con pietre e legname e spesso rivestite ed

irrobustite con lische e cannette, ottenute dalle piante palustri e tenuto a posto con

impasti di argilla indurita, mentre il tetto era di norma ricoperto di paglia e lische.

Poste su di un impalcato di qualche decina di centimetri sulla superficie dell‟acqua,

tenute ferme da pali fissati nel terreno ed unito alla terraferma attraverso una passerella,

che in caso di pericolo, poteva essere rimossa.

I nostri antenati vivevano con i proventi della pesca e coltivando alcuni cereali e verdure

sulla vicina costa, mentre si avventuravano a caccia all‟interno dei boschi circostanti.

La caccia era una delle attività indispensabili, anche se pericolosa, considerando il

rudimentale armamento che possedevano e la presenza nelle nostre zone di animali

anche di grosse dimensioni come cervi, cinghiali ed orsi, perchè oltre a procurare la

carne per l‟alimentazione forniva anche pelli per ripararsi dal freddo ed ossa per la

fabbricazione di utensili ed armi.

Sicuramente non esistendo una organizzazione statale e legislativa come intendiamo ai

nostri giorni, ogni singolo villaggio, formato da pochi nuclei familiari era gestito in modo autonomo, comandato, o meglio diretto dall‟esperienza dei più anziani.

In altre parti del mondo frattanto le varie popolazioni si riunivano in grandi gruppi,

dando così vita alle prime città.

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La nascita delle città costrinse gli abitanti a darsi una organizzazione, delle regole,

nascono così le prime leggi ed una conseguente burocrazia.

Inoltre gli abitanti dei villaggi per forza dovevano fare, per necessità, ogni tipo di

lavoro, mentre in città gli abitanti si specializzavano nei vari lavori, nascevano così le

varie attività artigianali e conseguentemente le attività commerciali.

In questa epoca, la città che prese decisamente il sopravvento su tutte le altre, fu Roma.

La sua continua espansione giunse anche nelle nostre terre, che furono conquistate dai

Consoli Gneo Cornelio Scipione e Marco Claudio Marcello, nel 221 a.C., con ogni

probabilità senza eccessive difficoltà, in quanto pensiamo che i “nostri” piccoli villaggi

ben poco potevano fare contro la grandezza, sia numerica che organizzativa

dell‟esercito romano.

Nell‟89 a.C. con la lex Pompea fu concesso il diritto di latinità.

Successivamente gli abitanti furono aggiudicati alla tribù Ufentina, come provano varie

iscrizioni su lapidi ed altari, ritrovati in zona.

Nel 44 a.C. alla morte di Giulio Cesare le nostre terre erano ancora territorio di confine

dello stato romano.

Bogno ha contribuito a confermare la presenza romana nei nostri territori in quanto

nel 1885 nei pressi del lavatoio pubblico di via Monteggia, in un piccolo loculo di

mattoni, fu trovata una grossa caldaia in bronzo con manico in ferro contenente circa 30

Kg. di monete romane.

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Questo tesoretto è andato purtroppo disperso, ma le informazioni che si hanno su di

esso, indicano che le monete furono coniate tra il 253 ed il 268 d.C. e quindi nascoste

dopo tale data, in un periodo di minacciosi movimenti delle popolazioni barbariche e di

grande instabilità dell‟impero romano.

Assieme alla caldaia, furono trovate anche tre zappe in ferro che evidentemente erano

considerate di valore anche quelle,

ed una bottiglia in bronzo molto elegante, questo tipo di bottiglia, che si presume

fabbricata nel territorio lombardo è stata ritrovata in varie parti d‟Italia e del Nord

Europa, gli studiosi la indicano come “tipo Bogno”, forse perché qui avvenne il primo

ritrovamento.

Tutto il materiale trovato in Bogno, tranne logicamente le monete che sono andate

perse, si trova esposto presso il Civico Museo di Varese.

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Il periodo storico dell‟Alto Medioevo è molto difficile da ricostruire, anche per territori

e città più grandi ed importanti, figuriamoci per un piccolo paese come il nostro, a causa

del continuo avvicendarsi al potere dei vari re, imperatori, barbari, vassali, conti, ecc…

Con ogni probabilità anche i nostri antenati dovevano faticare a seguire le vicissitudini

del governo centrale; immaginiamoci quali potevano essere e con quale rapidità agivano

i sistemi informativi di allora.

Unica cosa certa di quel periodo, è che con l’avvento della conquista romana (2° - 3°

secolo) si introdusse nel nostro territorio anche la religione cattolica, utilizzando la

stessa metodologia già sperimentata con successo dal potere centrale dell‟impero

romano, cioè, non imponendosi, ma sostituendosi gradatamente ai vari culti religiosi ed

in molti casi integrandosi con essi.

Ancor oggi in alcune feste tradizionali si può notare come si mischiano tra loro credenze

religiose e pagane.

Nel 313, con l‟Editto di Costantino, fu concessa la libertà di culto, e nel 391 il

Cristianesimo divenne “Religione di Stato”

Come si sa i romani adoravano moltissime divinità e costruirono diversi templi e

tantissimi altari (Are) e piccoli luoghi di culto addirittura nelle singole abitazioni (Lari).

Ancora ai nostri giorni possiamo notare un certo numero di piccole chiese, capellette

sparse per le campagne poste agli incroci di vie di comunicazione, angoli delle case o in

posizione piuttosto elevata.

A conferma di quanto detto è il ritrovamento nelle vicinanze di questi luoghi di culto

cattolico di are e altro materiale che fa risalire a culti precedenti pagani; scavando nella

pavimentazione di alcune chiesette poste alla cima di qualche piccolo colle si è potuto

rinvenire i resti di templi romani, ciò è successo a S.Clemente sopra Sangiano e

S.Michele in Valcuvia.

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L‟usanza di costruire piccole edicole con immagini sacre in special modo agli angoli

delle strade si protrasse sino all‟inizio del XX° sec. a dimostrazione di una grande

devozione e nello stesso tempo aveva un secondo scopo, con la posa di lumini, candele

e lucerne si praticava un primo rudimentale impianto di illuminazione stradale.

Il nostro territorio come tutto quello a nord di Milano era chiamato nel linguaggio

dell‟amministrazione romana la Liguria, divenuta poi sulla bocca dei Longobardi

Neustria, quindi Longobardia e in fine Lombardia.

Facciamo un balzo in avanti sino all’agosto dell’anno 1000, dove troviamo il più

antico documento che parla di Bogno, è una pergamena3 che tratta di un semplice atto

di vendita, ma che è in grado di darci varie ed interessanti notizie utili e spunti per

chiarire la nostra storia.

Questo documento che si trova trascritto nel “Codex Diplomaticus Longobardiae” cita

la vendita fatta dal conte Guibertus, figlio di Dodone a favore del presbitero Berno per

150 monete d‟argento di “casis ed castro con sedimines, servi set ancillas” localizzate in

Bogno.

L‟atto notarile è stato redatto in località “Agammi o Gammi”, forse l‟odierna Ganna.

Chi siano i personaggi citati non ci è dato sapere, ma in un altro documento del 1030

veniamo a conoscenza di un certo Dodone, padre di Uberto conte di Stazzona (Angera),

pertanto è possibile ipotizzare che il nostro Guibertus fosse fratello del Conte di Angera.

Il Brunella Lodovico, detto “cercasass” noto ricercatore ed amante della storia locale,

nel suo libro “Frammenti di storia Besozzese” dice che si tratta di Giuberto conte di

Ghemme.

Con ogni probabilità si tratta di una diversa interpretazione dello stesso documento.

Una diversa interpretazione di un documento antico non è sinonimo di incapacità ed

incompetenza, ma testimonia l‟effettiva difficoltà di tale lavoro, dobbiamo pensare che

detti documenti venivano scritti a mano utilizzando penne d‟oca o bastoncini di legno

appuntiti intinti in inchiostro; trattandosi per la maggior parte di compra-vendita o

testamenti, venivano redatti in più copie divenendo così un lavoro veramente lungo e

pesante, perciò si utilizzavano in abbondanza delle abbreviazioni.

A conferma delle difficoltà di trascrizione aggiungiamo il fatto che erano scritti nella

maggior parte in latino, non certo scolastico, ed oltre a ciò bisogna tener conto dello

3 La pergamena, detta anche cartapecora, è ottenuta da pelli animali, prevalentemente ovini,

perfettamente scarnite e rasate, conciate con calce e lisciate con pomice

Il nome deriva dall‟antica città di Pergamo nell‟Asia Minore dove nel II° secolo a.C. si produceva su

larga scala, ma se ne conosce il suo uso già nel v° sec a.C., sebbene il suo uso abituario venne in epoca

più remota.

In epoca romana soppiantò il papiro per le sue qualità : Vi si poteva scrivere su ambo i lati – Vi si poteva

produrla agevolmente dappertutto con relativa facilità – Si poteva raschiare e scrivere di nuovo e inoltre

consentì il passaggio del libro dalla forma a rotolo a quella di quaderno; tra il IV° e il XIII° secolo fu il

materiale scrittorio più usato, sino a quando poi la carta ne prese il suo posto.

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scolorimento dell‟inchiostro, dell‟accumularsi di muffe, macchie, lacerazioni, che col

passare degli anni si sono sovrapposte sulle pergamene.

Anche di Berno non conosciamo nulla, ma si pensa che esso agisse a nome della chiesa

Pievana di Brebbia, questa affermazione è possibile in quanto analizzando i documenti

dei notai Vivonius e Lanfranco di Brebbia fra il 1183 e il 1215, riguardanti i beni della

Pieve di Brebbia e dell‟Arcivescovo di Milano, ritroviamo la copia del nostro

documento di circa 200 anni prima, quindi sicuramente ritenuto di grande importanza.

Ma cosa si può dedurre dal documento ?

Innanzi tutto la presenza di un “castro” castello in Bogno, di una Pieve e di un castello

Arcivescovile in Brebbia.

Cerchiamo di dare una ragione a ciò; in primis la necessità durante il periodo medievale

dei castelli, i quali oltre che alla protezione dagli attacchi e dalle scorrerie dei nemici e

dall‟incertezza interna dovuta alla frammentazione politica ed alla mancanza di un

potere centrale forte; avevano anche motivazione economiche di non poco conto perché

i grandi proprietari, dei castelli e dei terreni adiacenti, offrivano protezione ai coltivatori

delle loro aziende evitandone la fuga in caso di pericolo.

A partire dal X secolo, il moltiplicarsi degli insediamenti fu anche la conseguenza

diretta della ripresa demografica e dei traffici che a causa dell‟insicurezza generale in

cui versava la società imponeva il sorgere di nuovi ripari e fortificazioni.

La conformazione dei castelli era molto varia a secondo del luogo in cui sorgevano,

delle soluzioni difensive e degli elementi costruttivi.

Anche le dimensioni erano ovviamente diverse, elementi fondamentali di un castello

erano naturalmente le mura, la torre (raramente più d‟una), destinata ad ospitare una

guarnigione di armati, e che prendeva il nome di “torrione” o “mastio”.

Fossati pieni d‟acqua a protezione delle mura erano possibili solo in pianura.

All‟interno del castello viveva una popolazione più o meno numerosa ospitata in case di

muratura o legno con tetti di paglia separate fra loro da orti ed in caso di pericolo

davano alloggio anche agli abitanti delle cascine dei dintorni.

Quasi sempre al suo interno vi era una Chiesa e dei locali adibiti a magazzino e stalle,

sia per preservare le masserizie da eventuali razzie, sia per sopravvivenza in caso di

assedio.

Solo nei castelli sede di Signori più ricchi o di corti regie vi era la presenza di edifici

architettonicamente complessi, talvolta confortevoli e lussuosi.

I castelli costituivano anche una fonte di controllo del territorio, in special modo per il

controllo delle poche vie di comunicazione (strade e vie d‟acqua), perciò erano poste

sulle alture.

Grazie alla costruzione dei castelli, la società subì profonde trasformazioni.

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I proprietari si appropriarono di fatto del potere lasciato vacante dalle autorità centrali,

assumendo via via, dopo i compiti di protezione delle popolazioni rurali, anche quelli

politici e amministrativi.

Tali poteri detti “di Banno” (ovvero di comandare, costringere e punire), venivano

esercitati non soltanto sui servi e coloni che mantenevano rapporti di dipendenza, ma

anche sull‟intiera popolazione che risiedeva sul territorio di pertinenza del signore.

Questa “Signoria territoriale” consentì, nei territori circostanti il castello, una vera e

propria giurisdizione che conferiva al Signore pieni poteri su tutti gli abitanti.

Forme caratteristiche di queste dipendenze erano il pagamento al signore di un

contributo in denaro, (la “taglia”) che, almeno teoricamente, ripagava la protezione da

questi accordata loro, e l‟obbligo di utilizzare il mulino, il frantoio e il forno signorile

pagando con parte del prodotto.

Ovviamente il processo di trasformazione non fu uniforme; nel tempo si assistè ad una

sempre maggiore contrattazione delle prestazioni d‟opera fra contadini e proprietari del

castello, spesso convertiti in canoni in denaro.

Nacquero anche nuovi tipi di “corvèes”, principalmente rivolte alla costruzione e al

mantenimento del castello e delle sue mura

La trasformazione della società in “ Signoria territoriale” non fu certo un processo

indolore, né tanto meno stabile, quasi ovunque si verificarono fenomeni di

sovrapposizione e contrasti, spesso violenti.

A essere in conflitto erano soprattutto i proprietari dei castelli e i semplici signori

fondiari.

Forti delle loro strutture difensive, i primi tentavano di sottrarre terre ai secondi

richiedendo ai loro contadini canoni e corvèes, togliendo così ai secondi la possibilità di

controllare i beni e le persone che si trovavano sul territorio sottoposto alla giurisdizione

del castello.

Come mai l’Arcivescovo di Milano era proprietario del Castello di Brebbia?

Alla fine dell‟Impero Romano d‟Occidente, avvenuta nel 476, con il graduale

disfacimento delle istituzioni e strutture poste a governo del territorio, si susseguirono

una infinità di lotte per la conquista del potere nell‟Italia Settentrionale.

Carlo Magno divise il suo vasto regno in marche e contee.

Il Varesotto formò il Contado del Seprio ed il suo capoluogo fu Castelseprio, località

fortificata non lontano dall‟odierna Tradate.

Negli anni fra il 960 ed 970, dopo varie vicissitudini militari, l‟imperatore Ottone I° di

Germania sconfisse Berengario II° ed affidò il controllo del territorio coi loro castelli,

(probabilmente terre sottratte ai seguaci di Berengario II°), ai suoi amici alleati più

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fidati fra i quali l‟Arcivescovo di Milano Valperto che divenne così proprietario di vari

castelli nella zona della sponda orientale del lago Maggiore.4

Il castello di Bogno, posto con ogni probabilità sul luogo di cui oggi ne rimane solo il

nome, risulta, come è indicato nel libro di A.A.Settia “Castelli e villaggi dell’Italia

Padana – Popolamento, potere e sicurezza fra il IX° e XIII° sec.” fra i più piccoli dei

castelli lombardi con una superficie di “circa” 1031 mq.; dal nostro documento si

deduce che era recinto da mura e contornato da “terra vacua iusta castro”, cioè terreno

vuoto, come era consuetudine costruttiva dell‟epoca, che corrispondeva alle prime più

elementari misure difensive di non dare agli eventuali assalitori la possibilità di

nascondersi e ripararsi dietro ostacoli di qualsiasi tipo mentre si avvicinavano.

I due castelli di Bogno e di Brebbia così vicini, facevano parte evidentemente di uno

stesso sistema difensivo e con ogni probabilità condivisero anche la stessa fine il (5

maggio) 1263 ad opera dei Torriani che li distrussero durante le lotte per il dominio

della città di Milano, fra i Della Torre ed i Visconti.

Le ridotte dimensioni del castello di Bogno, confermerebbero questa tesi, di essere non

una costruzione autonoma, ma un inserto di un complesso difensivo più ampio.

Unica prova, per ora, venuta alla luce durante lavori di giardinaggio sul luogo dove

sorgeva il castello; è il ritrovamento di un bel cucchiaio in bronzo che confrontato con

altri conservati in vari musei si può dedurre essere stato prodotto fra il XII° - XIII°

secolo, quindi in epoca in cui il nostro castello era ancora in piena attività.

Il cucchiaio ha una lunghezza totale di circa 15 cm. : la parte concava è quasi circolare,

misura infatti 5 x 5,5 cm, il manico molto sottile ha inciso delle decorazioni

geometriche ed ha la parte terminale un poco appiattita “tipo spatola”.

4 Da “Historia mediolanansis” di Landulfi Seniores.

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Sia sulla parte terminale che al centro del manico si intravedono altri tipi di decorazione

che purtroppo il tempo e l‟uso ha reso illeggibili.

All‟interno del cucchiaio vi è stampigliato un piccolo simbolo stlizzato: sembrerebbe un

fiore, forse un giglio.

Cucchiaio : il nome deriva dal latino “cochlea – chiocciola” forse perché i primi

rudimentali cucchiai erano formati da una conchiglia.

Inizialmente il cucchiaio non ebbe l‟utilizzo attuale ma una funzione liturgica: infatti

fino al „700 nelle Chiese cattoliche ne esistevano a fori sottilissimi per far passare il

vino durante la celebrazione della Messa, come, esistono tuttora cucchiai da incenso;

mentre nelle chiese di rito greco, copto e siriaco esistono cucchiai da “comunione”.

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Nel Medioevo la gente a tavola mangiava abitualmente con le mani, e ciò, per il canone

dell‟epoca, non era certo indice di maleducazione, nemmeno in ambito nobiliare; ci si

aiutava con un coltello appuntito che serviva anche per infilare pezzi di carne o cibi

solidi da portarsi alla bocca e si bevevano zuppe, brodo e farinate direttamente dalle

ciotole.

Per evitare di scottarsi le dita coi cibi caldi, le persone nobili e ricche utilizzavano delle

specie di ditali, di solito d‟argento; mentre per i più poveri , si diceva, bastava

l‟esperienza e la fame ad evitare scottature.

I cucchiai nel medioevo erano una rarità e non venivano utilizzati come oggi.

Nella maggor parte dei casi erano fabbricati in legno ed essendo molto grandi per poter

essere introdotti in bocca, si impugnavano , e si beveva dal cucchiaio come fosse una

piccola scodella.

Solo in pochi casi si fabbricavano in metallo. Il manico del cucchiaio di norma era

piuttosto corto e sottile e terminava all‟estremità o a forma di piccola spatola o ad una o

due punte e poteva quindi essere usato anche come forchetta; utensile che apparve sulla

tavola solo a partire dal secolo XIV°.

Un cucchiaio faceva parte degli effetti personali, era un articolo di lusso, nella maggior

parte dei casi era d‟argento e per i suoi possessori rappresentava più di un semplice

strumento per mangiare ed era segno di prestigio presentarsi ad un banchetto con un

cucchiaio.

Ma torniamo al “nostro” documento.

Oltre al castello, sullo stesso, viene citata anche la vendita di case in “cantone qui

dicitur Bunio medio”, quindi una distinzione fra il castello con le eventuali abitazioni

accessorie ad esso e quello che potremmo definire il paese.

Vengono anche venduti 112 terreni arabili, 46 appezzamenti di boschi di castagne, 45

prati ed 11 gerbi ed 11 servi; questo fa intendere come a quei tempi uomini e terreni

erano strettamente legati e considerati come semplice proprietà.

Non dobbiamo considerare la vendita di servi come un atto di schiavitù, ma bensì come

atto di solidarietà, infatti se questi servi, con probabilmente i loro familiari, traevano

sostentamento dal lavoro su queste proprietà con la vendita abbinata terreno/servi, gli si

garantiva il posto di lavoro.

Se vogliamo conoscere le cause che portarono alla distruzione dei nostri castelli

dobbiamo allargare un poco lo sguardo e vedere cosa stava succedendo in quegli anni

fuori di casa nostra, in special modo in Milano, da cui noi dipendevamo.

Gli inizii del XIII° secolo furono caratterizzati, in Italia, dalle lotte che videro

contrapposti papato ed impero.

I milanesi al fine di assicurare un periodo di stabilità politica alla propria città avevano

conferito ogni potere al Marchese Lancia dell‟Incisa, che di fatto aveva instaurato la

propria signoria in Milano.

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Nel 1256 al termine della Signoria Lancia, i milanesi si trovarono divisi sull‟elezione

del podestà, che rappresentava la massima carica civile.

Da un lato l‟Arcivescovo, Leone da Perego, appoggiato dalla maggior parte della

nobiltà fra cui i Visconti e i Crivelli, nominarono Paolo da Soresina, mentre dall‟altro

canto i Della Torre, con l‟appoggio del popolo, elessero Martino della Torre.

Le lotte che scaturirono dalle divisioni che si erano verificate in Milano, costrinsero

l‟Arcivescovo Leone da Perego e gli esponenti della nobiltà a rifugiarsi nei vari castelli

all‟esterno della città.

Più documenti testimoniano, in questo periodo, la presenza dell‟Arcivescovo di Milano

nel castello di Brebbia; non siamo a conoscenza dei motivi che indussero l‟Arcivescovo

a scegliere come propria dimora Brebbia, essendo egli proprietario di diversi castelli

della nostra zona; si potrebbe di fatto azzardare una ipotesi, che essendo in pratica

circondato da castelli di sua proprietà e da lui controllati, automaticamente il castello di

Brebbia diventava il più sicuro.

Alla morte dell‟Arcivescovo Leone da Perego, nel 1257, che aveva tentato invano di

restaurare l‟autorità vescovile nel governo della città, a risanare la situazione fra i

milanesi, si celebrò la così detta “Pace di S.Ambrogio”, così chiamata perché siglata

all‟interno della Basilica Ambrosiana.

La pace durò poco, già l‟anno successivo, ripresero i conflitti a causa delle lotte per il

predominio dell‟Italia Settentrionale fra Ezzelino da Romano, sostenuto dai nobili e

Manfredi di Svevia, sostenuto dai Torriani e dal popolo.

La città di Milano anche in questa occasione si divise in due raggruppamenti e nel

conseguente caos causato dalle lotte fra le fazioni, i Torriani riuscirono ad imporre

Martino della Torre quale signore di Milano, anche con l‟aiuto di Uberto Pallavicino

signore di Cremona, dando così avvio alla Signoria dei Della Torre (Torriani), la quale

si protrasse alla guida della città sino al 1277.

Le lotte civili che si era susseguite, impedirono l‟elezione del nuovo Arcivescovo per

ben 6 anni.

Nel 1262 unico candidato alla dignità arcivescovile era rimasto Raimondo della Torre;

quindi i Torriani si stavano impadronendo oltre che del potere civile anche dell‟autorità

ecclesiastica.

Il Papa Urbano IV, intervenne di persona per porre fine alla questione nominando

Ottone Visconti Arcivescovo di Milano, malgrado la sua appartenenza ad una famiglia

tradizionalmente legata all‟Imperatore (Ghibellini).

Le intenzioni del Papa erano quelle di dividere i poteri cittadini, accontentando

entrambe le fazioni e portare un poco di tranquillità all‟interno della città di Milano; ma

ottenne l‟effetto contrario.

All‟inizio del 1263, Ottone Visconti partì da Roma per prendere possesso delle sue

funzioni in Milano, ma non potendo entrare in città a causa dell‟opposizione dei

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Torriani, con una nutrita schiera di esuli milanesi, nel mese di aprile occupò il castello

di Arona in attesa di nuovi eventi.

Martino Della Torre pose d‟assedio il castello di Arona, che dopo un mese capitolò, ma

l‟Arcivescovo coi suoi più fidati collaboratori riuscì a fuggire.

L‟ira dei Torriani si abbattè allora sulle proprietà Arcivescovili ed i castelli di Arona,

Brebbia, Bogno e molti altri della zona furono distrutti.

La pace però era ancora lontana da venire, negli anni successivi, si verificarono in

Milano e nel contado, malcontenti e disordini per l‟inasprimento dei tributi, imposti da

Napo Della Torre che nel frattempo era succeduto al cugino Martino, dovuti in principal

modo per il mantenimento dell‟esercito, composto in maggior parte da mercenari.

Gli esuli sostenitori dell‟Arcivescovo, naturalmente, cercavano di trarre profitto dalla

situazione e fomentavano in continuazione delle rivolte all‟interno delle varie città del

contado, contando anche su molti sostenitori all‟interno di esse; e nel 1271 nominarono

Podestà di Milano, anche se di fatto non ne prese mai possesso, Goffredo da Langosco

Conte di Lomello, che divenne di fatto capo della fazione sostenitrice dell‟Arcivescovo.

Nel 1276 Goffredo da Langosco, alla testa dei fuoriusciti milanesi, occupò Arona

unitamente ad alcune postazioni strategiche dell‟Ossola, col favore delle popolazioni

locali fedeli all‟Arcivescovo.

Quindi sbarcò ad Angera con 3-4 mila5 uomini e si impossessò della Rocca

Napo Della Torre reagì inviando ad Angera il proprio figlio Cassone con un esercito

rinforzato anche da una schiera di 500 soldati tedeschi inviati dall‟Imperatore Rodolfo

d‟Asburgo.

I Torriani si accamparono nella piana del torrente Guassera “Quassa” nei pressi del

Lago Maggiore al confine fra gli odierni comuni di Ispra e Ranco, e posero d‟assedio la

Rocca di Angera.

Nel frattempo Goffredo da Langosco, con un esercito di circa 5 mila armati composta

da fuoriusciti Milanesi, Pavesi e del Seprio, oltre che da genovesi e spagnoli, partendo

da Arona, si portò più a nord, attraversò il lago, occupò quei territori, incorporando

nelle proprie file anche i locali fedeli all‟Arcivescovo e ridiscese verso Angera.

L‟esercito Visconteo piombò su quello Torriano, che fu colto di sorpresa mentre ancora

stava allestendo l‟accampamento; la battaglia scoppiò fra gli acquitrini e le zone

paludose attorno al fiumiciattolo Guassera e i Viscontei ebbero facile sopravvento sui

Torriani e lo stesso capo dei tedeschi Hans Lauser, venne ucciso.

5 La radicata abitudine medievale di aumentare la consistenza numerica, porta ad un errata valutazione

degli avvenimenti, questo perché i cronisti dell‟epoca non usavano i numeri come dati specifici, ma come

espediente letterario per stupire o sgomentare il lettore.

Anche l‟uso, ancora molto frequente, della numerazione romana, non contribuiva alla chiarezza, vista

l‟inclinazione all‟arrotondamento.

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Il Langosco, forse troppo fiducioso del suo esercito, di gran lunga più numeroso dei

Torriani, non si preoccupò di predisporre una difesa che potesse coprire i suoi uomini

durante l‟attacco; infatti Napo Della Torre stava congiungendosi con il figlio con un

esercito di 10.000 uomini e piombò alla spalle dell‟esercito Visconteo che già

intravvedeva la vittoria vicina, ed in breve tempo la situazione fu ribaltata.

A causa del terreno paludoso molti cavalieri vennero catturati e uccisi dopo che i loro

cavalli si erano letteralmente impantanati, sembra che lo stesso Goffredo Langosco

caduto col proprio cavallo nei pressi del torrente Guassera venne accerchiato e catturato,

portato alla presenza di Napo della Torre venne ucciso, sembra, per mano dello stesso.

Per la fazione Viscontea fu un vero disastro, Angera ed Arona tornarono in mano ai

Della Torre, molti vennero uccisi sul campo di battaglia, pochi superstiti fuggirono e

molti furono fatti prigionieri e condotti a Milano.

Giunti a Gallarate, non si conoscono le cause scatenanti, 34 di essi scelti tra gli

appartenenti alla nobiltà milanese, fra cui anche Teobaldo Visconti, nipote di Ottone e

padre di Matteo, futuro Signore di Milano, vennero decapitati sulla pubblica piazza.

La lotta tra Viscontei e Torriani non si calmò, i due eserciti si scontrarono anche a

Castelseprio, dove prevalsero i Torriani con l‟appoggio della popolazione locale.

Ottone Visconti si rifugiò in Canton Ticino, nel castello di Locarno, per riorganizzare la

controffensiva.

Le truppe viscontee al comando di Simone da Locarno, muovendosi via lago

ingaggiarono una battaglia navale, risultata vittoriosa, nei pressi di Germignaga, e

cinsero d‟assedio le rocche di Arona ed Angera, ma l‟intervento delle milizie di Napo

Della Torre costrinsero all‟abbandono dell‟assedio e al conseguente spostamento dei

viscontei verso est nella zona comasca, dove però trovarono appoggio da parte delle

popolazioni locali e quindi fu facile prendere possesso di Lecco, Civate e dintorni e da lì

proseguire verso Milano.

Napo anziché attendere i nemici in Milano, decise di uscire incontro con la sua

cavalleria e si rinchiuse nel borgo di Desio.

All‟alba del 21 gennaio 1277, i Viscontei attaccarono improvvisamente Desio, i

Torriani non poterono sfruttare la potenzialità della loro cavalleria, stretti all‟interno del

borgo. vennero sopraffatti, anche perché gli abitanti di Desio, visto come si stavano

evolvendo gli esiti della battaglia si ribellarono, dando così il colpo di grazia ai Torriani.

Napo Della Torre fu salvato, con atto di clemenza, dall‟Arcivescovo Ottone Visconti e

consegnato ai Comaschi, che, invece ferocemente, lo rinchiusero insieme a 5 suoi

congiunti (il figlio, un fratello e 3 nipoti) in una gabbia di ferro appesa esternamente alla

Torre del castello del Baradello, sopra Como, dove trovò la morte il 16 agosto 1278.

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Ottone Visconti quando finalmente si insediò sulla cattedra arcivescovile di Milano, si

ricordò dell‟aiuto dato dalle popolazioni Sepriesi a Napo Della Torre e nel 1287 emise

un editto: “che Castelseprio sia smantellato e tenuto distrutto in perpetuo; e nessuno osi

più abitare su quel monte” e così fu fatto, furono risparmiate solo le chiese, ma alla loro

rovina provvide il tempo e l‟abbandono.

Torniamo al nostro documento in cui viene indicato anche che il paese apparteneva

alla Pieve di Brebbia.

Il termine Pieve, ai nostri giorni sta ad indicare una porzione di territorio comprendente

più paesi, o meglio parrocchie limitrofe, ed è usato quasi esclusivamente in ambiente

ecclesiastico.

Il suo nome deriva da “plebs, plebis = Plebe, popolo” e deriva dal fatto che durante i

primi secoli di espansione del cattolicesimo, dopo l‟Editto di Costantino del 313 vi era

libertà di culto e quindi coesistevano più religioni contemporaneamente; la fede

cattolica dato i suoi principi di carità ed aiuto ai più bisognosi, ebbe più facile presa

verso il popolo più povero e meno verso i ceti più abbienti maggiormente legati alle

tradizioni del governo centrale, si vennero così a delineare due fazioni, oggi diremmo

caste, dei notabili – pagani – e del popolino – cattolico-, pertanto con il termine “plebe”

si indicava il popolo seguace della religione cattolica.

Successivamente si indicò con Pieve una circoscrizione civile e religiosa facente capo

ad una chiesa con battistero, detta “chiesa matrice” o “chiesa battesimale” alla quale

sono riservate alcune funzioni liturgiche e da cui dipendevano altre chiese e cappelle dei

dintorni.

I sacerdoti officianti risiedevano presso la pieve in comunità ed erano chiamati canonici

da “canon”, elenco di ministri di una chiesa.

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In seguito si stabilirono presso le singole chiese succursali, che in molti casi nel

frattempo si erano fornite di fonte battesimale e di cimitero, dette “curanzie”, rette da un

Curato, dando inizio al processo di formazione delle parrocchie.

All‟arrivo dei Longobardi6 si formarono due classi distinte dei “conquistatori” e dei

“conquistati”, il termine “plebe”, che in un primo momento indicava la comunità dei

battezzati passò in seguito ad indicare le persone tenute a pagare le tasse ed i vari

contributi; il termine infine passò a caratterizzare la contrapposizione culturale e sociale

fra i “sudditi”, romani, e la “classe dominante”, longobardi.

Su tutti gli atti notarili più antichi le persone indicate vengono specificate in “di legge

romana o di legge longobarda”.

Sui vari documenti il paese di Bogno è indicato in vari modi (Bunio, Loci Bonii, Bugno,

locum Bonium, Bogno), quale sia il vero significato del nome è difficile stabilirlo, forse

vista la conformazione del terreno il più probabile sembra derivare da bugno, tipico di

un muro bugnato, in dialetto “Bugnun” (foruncolo) cioè di qualcosa che si eleva.

(essendo di Bogno mi piacerebbe che l‟origine provenisse da “Loci Bonii”, luoghi buoni

o luogo dei buoni; ma la traduzione è forse un po‟ troppo partigiana).

Da un solo documento si è visto quanti spunti è possibile ricavare, ma si potrebbe

proseguire ancora, ad esempio approfondendo le ricerche sul valore delle 150 monete

d‟argento o sulla data di compilazione, visto che il calendario7 attuale è entrato in

vigore nel 1500.

Fra le testimonianze del periodo medievale sono di grande importanza le due tombe

rinvenute in Bogno intorno al 1913 durante la costruzione della villa Malaspina

(Ronzoni) in via Monteggia; nonostante le tombe risultassero già state aperte in

precedenza, si rinvennero due spade in ferro, una punta di lancia

6 I Longobardi, popolo di origini germaniche, giunsero in Italia nel 568 guidati dal loro re Alboino e

partendo dal Veneto orientale si insediarono in buona parte del territorio italiano. I Longobardi erano un

popolo in armi guidato da un‟aristocrazia di cavalieri e da un re guerriero ed inizialmente si comportarono

come dei conquistatori, animati da spirito di conquista e saccheggio, in seguito, anche a causa

dell‟adesione al cristianesimo si integrarono con la cultura latina, sino a divenire una delle basi

dell‟italianità. Il dominio longobardo si articolava in numerosi ducati, che godevano di una certa

autonomia rispetto al potere centrale dei sovrani che risiedevano a Pavia. Il regno cessò di essere un

organismo autonomo nel 774 a cui subentrarono i Franchi guidati da Carlo Magno. 7 Il calendario – l‟anno cominciava con la Pasqua, ed essendo questa variabile anno per anno ,

normalmente si preferiva fissare la data d‟inizio anno al 25 marzo.

Inoltre a complicare le cose, era in uso non indicare i giorni con numeri progressivi, ma facendo

riferimento a festività religiose, esempio : 2 giorni prima di Natale, o il lunedì dell‟Epifania, la terza

domenica di Quaresima, il giorno di S. Giovanni ecc….

Il calendario attuale fu introdotto il 15 Ottobre 1582, vennero soppressi 10 giorni dal 4 ottobre si passò

direttamente al 15 ottobre; in pratica i giorni che vanno dal 5 al 14 ottobre 1582, non sono mai esistiti.

Il nuovo calendario, chiamato Gregoriano dal nome del Papa Gregorio XII° che lo ha promulgato,

impiegò circa 200 anni per divenire di uso comune.

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ed un umbone di scudo in ferro con borchie,

segni evidenti che il proprietario doveva essere un cavaliere di notevole importanza.

Tutto il materiale fa bella mostra in una vetrina del Civico Museo di Varese.

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Nel 1920 nel parco della villa Ronzoni, nei pressi del ritrovamento delle due tombe

barbariche furono effettuate degli scavi alla ricerca di nuove tracce archeologiche, si

rinvennero una decina di tombe formate con lastre di pietre, ma al loro interno non si

rinvennero che piccoli frammenti di ossa, pur mancando di elementi su cui giudicare, si

rittennero anche queste di origine barbariche.

Tratto da “Penna e Pugno” –

Giornale edito in Besozzo nel 1923

Quando si parla di storia di un paese, non si può non parlare della Chiesa, sia per la

posizione sociale, culturale e ovviamente religiosa, ma specialmente come fonte di

ricerca storica per i documenti conservati nei suoi archivi.

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Come abbiamo già detto il Vangelo iniziò la sua diffusione a partire dal II° secolo; e per

quanto riguarda Bogno il primo segno della presenza cristiana risale al 1145 dove risulta

esistere la chiesa di S.Vito, come appare dal libro “L’antiquario della Diocesi

Milanese” del Sac. Francesco Bombognini edito nel 1790.

Dove fosse questa chiesa non ci è dato sapere, si potrebbe ipotizzare, come d‟altronde

era uso a quel tempo, fosse collocata all‟interno del castello.

Nel libro “ Frammenti di storia Besozzese” del Brunella viene citata la presenza di due

chiese sulla strada che da Bogno porta a Besozzo Sup.; la prima presso la frazione di S.

Vittore in territorio di Besozzo; la seconda, dedicata a S.Martino, in territorio di Bogno,

subito prima del ponte della ferrovia sulla sinistra, andando verso Besozzo, a conferma

di ciò, durante la costruzione della villa precedente all‟attuale, durante dei lavori di

scavo vennero alla luce i resti di alcune fondazioni, a confermare quanto finora era

riportato solo dalla tradizione.

Sul “Liber notitiae Sanctorum Mediolani” scritto da Goffredo da Bussero, cappellano di

Rovello, (nato nel 1220 e morto fra il 1304 e il 1311), vengono elencati tutti gli altari e

le chiese della Diocesi di Milano, per quanto riguarda Bogno, in una prima nota si

indica la presenza degli altari di S.Vito e S.Romano nella chiesa di S.Maria e in una

seconda nota viene segnalata nella chiesa di S.Maria l‟altare dedicato a S.Vito.

Dove fosse ubicata questa chiesa è ancora più difficile, in quanto nel frattempo il

castello (dai dati in nostro possesso) era stato completamente distrutto.

La chiesa attuale è stata costruita sul finire del 1500.

Sul luogo della sua costruzione si possono fare alcune considerazioni; se si considera

che a quei tempi il paese di Bogno era formato da un agglomerato di case presso

l‟attuale via Binda ed un altro nucleo di abitazioni presso la Piazza (inizio via Piave) più

alcune cascine sparse;la scelta del luogo dove doveva sorgere la nuova chiesa sarebbe

stata più logica farla ricadere in mezzo ai due nuclei abitativi o almeno presso uno di

essi.

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Ipotesi di come doveva esere Bogno alla fine del 1500.

Perché la chiesa fu costruita lontano dalle case e fuori dal paese?

Forse in loco vi era già qualche chiesetta, o qualche convento o forse più semplicemente

qualche rudere di torre, facente parte del sistema difensivo del castello posto più in alto.

Ad avvalorare quest‟ultima ipotesi, sta il campanile attuale della chiesa, che come

risulta anche dalle ultime indagini tecniche eseguite durante l‟ultimo restauro del

1993/94, conferma essere in stile preromanico e quindi databile intorno all‟anno 1000,

solo la cella campanaria è databile agli ultimi anni del XVI° secolo.

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Da due documenti conservati presso l‟Archivio della Curia Arcivescovile, nel primo

redatto fra gli anni 1567 e 1572 risulta Alessandro Feretto capellanus Bonij, (vedi

Appendice 1 ) nel secondo compilato fra il 1574 e il 1590 dal Prevosto di Besozzo

Prospero Colonna, nel quale si elencano tutti i preti della Pieve di Besozzo/Brebbia; tra

questi, Petrus Antonius Ferettus ha la sua prebenda8 in loco Bonij. (vedi Appendice 2 )

Quindi se vi erano dei preti incaricati ad assistere religiosamente la popolazione di

Bogno, è facile supporre l‟esistenza di qualche chiesa, prima della costruzione

dell‟attuale.

Analizzando i documenti conservati nell‟Archivio della Curia Arcivescovile di Milano

risulta che nel 1574 i lavori della costruzione della chiesa erano ancora lontani dalla loro

conclusione, in quanto manca completamente il tetto sia della chiesa che della sacrestia,

oltre a tutta la pavimentazione.

In un altro documento di 4 anni dopo vi è riportata una supplica degli uomini di Bogno

per poter usare i materiali di una chiesa di campagna di Brebbia dedicata a S. Protaso

(evidentemente distrutta o abbandonata) per poter portare a termine i lavori.

La Parrocchia fu ufficialmente eretta con la fondazione del Beneficio Parrocchiale a

ciò concorsero tre atti notarili il primo nel 1518, il secondo in data 21 Dic. 1548 a rogito

del Notaio Dott. Besozzi de Rabaglione Bartolomeo ed un terzo in data 17 Luglio 1581

8 Prebenda – Porzione di beni di un capitolo o colleggiata destinata a fornire un reddito a un ecclesiastico

che ne sia beneficiario (raramente tale beneficio è appannaggio di laici).

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con atto rogato dal Notaio Gerolamo Luino di Leggiuno ; in esso atto gli uomini di

Bogno si impegnarono per sé e per i propri eredi e discendenti a pagare annualmente al

Parroco pro tempore locale, per il proprio mantenimento, 50 Scudi d‟oro, detti Scudi di

Filippo II°. ( vedi Appendice 3 )

Non sempre questo impegno preso dalla Comunità di Bogno venne rispettato, tantè che

nel 1861 il Parroco pro tempore di allora D. Gioachino Trabattoni dovette far ricorso al

Tribunale Civile per far valere i propri diritti; successivamente nel 1909 il Comune si

rifiutò di pagare l‟assegno annuale (che nel frattempo in seguito ai vari adeguamenti

monetari avvenuti negli anni precedenti era divenuto di £. 293,53), al Parroco D. Dellea

Protaso, il quale dovette far ricorso al Tribunale, che dopo un lungo iter processuale,

anche questa volta diede ragione al Parroco ed obbligò il Comune al pagamento oltre

che il dovuto al Parroco (£. 293,53) anche di tutte le spese processuali che

ammontarono a £. 1052,11.

Non è detto che tutti i documenti portano un tassello più o meno piccolo, ma importante

per completare il mosaico della nostra storia; alcuni, anziché portare chiarezza

aggiungono nuove incertezze; il primo in data di poco posteriore al 1589 indica che il

giorno 18 novembre (9bris) si celebra la dedicazione della chiesa parrocchiale di S.Vito

“per consuetudine immemorabile”.

Un secondo di poco posteriore indica le dimensioni della chiesa in 20 braccia di

lunghezza, 10 in larghezza e 15 in altezza (ossia ml. 12 x 6 x 9).

Un terzo documento del 1748 riporta le dimensioni della chiesa, consistente in un‟unica

navata con le seguenti misure: lunghezza 30 cubiti, larghezza 15, altezza 18 (ossia circa

ml. 13,20 x 6,60 x 7,90).

Le misure non hanno alcun riscontro con l‟attuale struttura esistente, anche prendendo

in considerazione la sola navata centrale, che misura circa ml. 8 x 17; unico possibile

riscontro è dato dall‟altezza di ml. 9, la quale però è in contrasto con la notizia che nel

1854 la chiesa è stata innalzata con l‟abbassamento di 5 metri del pavimento.

Infatti dal “Liber cronicon” della Parrocchia di Bogno apprendiamo che nel 1854,

mentre era parroco Don Gioachino Trabattoni, con la spesa di 12.000 lire e con la mano

d‟opera prestata gratuitamente dagli uomini di Bogno, si innalzò la chiesa stessa (si noti

bene) con l‟abbassamento del pavimento di circa 5 metri e cioè fino al pavimento delle

tombe mortuarie antiche e sottomurando conseguentemente tutti i muri della chiesa

stessa e della torre del campanile. (vedi Appendice 4)

Attualmente a causa dell‟avanzamento del bosco si può notare con difficoltà, ma i più

anziani si ricorderanno della conformazione della collinetta su cui si erge la chiesa

perfettamente tondeggiante, segno evidente di una forma artificiale prodotta dal

riversamento di terreno dall‟alto.

L‟anno successivo (1855) venne altresì allungata di 8 metri dalla parte corale (la sezione

semisferica ove attualmente vi è l‟altare) e si completò la chiesa anche nella parte

vecchia, con cornici, colonne e capitelli.

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Nel 1858 si completò la facciata della chiesa su disegno dell‟Ing. Galeazzo Garavaglia e

sotto la direzione del Capomastro Bianchi Ferdinando di Gemonio; il tutto con la spesa

di £. 1318,71 sostenuta completamente dal Parroco Don Gioachino Trabattoni.

Davanti alla chiesa venne pure costruita un‟ampia piazza (circa la metà di quella

attuale).

Durante la dominazione straniera – tra „700 ed „800 - 2 erano le monete che circolavano

nei nostri territori, con valori diversi: la Lira Imperiale Austriaca e la Lira Milanese.

Erano divise in Denari, Soldi e Lira ed occorrevano 12 Denari per fare un Soldo e 20

Soldi per comporre una Lira.

Il Parroco che subentrò nel 1880 a Don Trabattoni, cioè Don Giosuè Parietti confermò

nel “Liber Cronicon” l‟esecuzione di tali lavori forte anche della testimonianza degli

“operai intelligenti che con gran pericolo allora lavorarono e che ancora ci sono”.

Negli anni successivi non si fecero grandi lavori, tali da sconvolgere l‟architettura

generale della chiesa, ma continui lavori atti a rendere la stessa più bella e consona alle

nuove esigenze che man mano si rendevano necessarie.

Per quanto riguarda gli arredi interni della chiesa poco si sa prima del suo ampliamento

del 1854/55; sicuramente il battistero in legno è antecedente a tale data come pure le

statue di S. Giuseppe e della B.V. del Rosario, che vennero già restaurate nel 1876;

(vedi Appendice 5) la statua della Madonna ottenne un ulteriore restauro con indoratura

nel 1909 ad opera dei fratelli Vismara di Lecco.

Prima di tale data la chiesa era provvista di un pulpito in legno fatto costruire nel 1833.

Nel 1909 venne installato l‟Organo dal sig. Maroni Giorgio di Varese, e nel 1912 venne

collocato, a spese del Parroco Don Protaso Dellea, l‟orologio sulla torre campanaria.

Da tenere presente che durante la visita pastorale del 2 agosto 1939 il Card. Schuster

approvò il progetto di ampliamento e risistemazione del campanile e della chiesa

ritenuta di ampiezza insufficiente per i bisogni attuali.

Tale progetto non venne mai attuato, probabilmente per il sopraggiungere della guerra.

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L‟altare marmoreo fu posato nel 1940 dal marmista Dansi di Viggiù su disegno

dell‟arch. Ugo Zanchetta, donato dall‟allora Parroco D. Amos Usuelli.

Nel 1945 si riprese l‟idea di ristrutturazione di tutto il complesso edilizio parrocchiale.

Per ampliare la chiesa si pensò di abbattere completamente il campanile liberando

spazio all‟interno della stessa, distruggendo così l‟unica opera architettonica di un certo

valore; a giustificazione dei progettisti possiamo dire che essendo il campanile

completamente intonacato non potevano conoscerne la vera antichità dello stesso.

Dovevano essere abbattuti la casa parrocchiale e tutti gli edifici appoggiati al fianco

della Chiesa, e costruiti staccati e completamente ex novo sia il campanile che la casa

del Parroco,

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successivamente si pensò di unire la Chiesa e la casa parrocchiale con un porticato.

Il progetto si doveva completare con l‟abbattimento di tutti gli altri edifici rurali, stalle e

cascine, ottenendo una ampia piazza di fronte alla Chiesa e con la costruzione del nuovo

oratorio circa nella stessa posizione dell‟attuale.

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Non si sa perché tutto ciò non venne mai realizzato, sicuramente essendo da poco

terminata la guerra e persistendo una grande povertà fra la popolazione di Bogno da sola

non era in grado di sostenere una spesa di così notevole proporzione; ma il Comm.

Angelo Ronzoni, proprietario dell‟omonimo cotonificio (Scissun) garantì la copertura

finanziaria dell‟intera opera fino all‟ultimo centesimo.

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All‟esterno della chiesa, la grotta della Madonna di Lourdes fu costruita nel 1954.

Un ultimo restauro con consolidamento di tutta la struttura della chiesa è stato effettuato

nel 1993 / 1994; venne rifatto la pavimentazione e tutta la decorazione della stessa; al

campanile venne tolto l‟antico intonaco fatiscente riportandolo all‟antico splendore, e le

originali bifore non vennero riaperte per non indebolirne la struttura.

Durante la posa della pavimentazione nei pressi dell‟altare maggiore si rinvenne una

fondazione in pietrame di forma leggermente ellittica, forse la fondazione di una

vecchia abside o di una torre difensiva.

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Vennero fatti tutti i rilievi del caso con l‟intervento della Soprintendenza Archeologica

ma, considerando il ritrovamento di nessun interesse artistico e storico, si decise di

ricoprire lasciando il tutto allo stato originale.

La Parrocchia fu istituita in via ufficiale il 17 luglio del 1581, dopo tre atti notarili per

l‟istituzione del Beneficio Parrocchiale, il primo del 1518, un secondo del 21 dicembre

1548 a rogito del notaio Dottor Besozzi Bartolomeo de Rabaglione ed infine un terzo

del 14 luglio 1581 a rogito del Notaio Dottor Gerolamo Luino di Leggiuno, come

abbiamo già visto in precedenza.

Don Giovanni Angelo Luino fu il primo Parroco eletto nel 1599, dopo di lui seguirono

altri 17 Parroci sino a Don Giuseppe Zocchi, che lasciò il suo incarico nel 2010.

Dei vari Parroci non conosciamo molto, fra loro si può osservare che ad esempio D.

Carlo Maria Bertano rimase al suo posto per ben 66 anni dal 1641 al 1707.

Altro meritevole di menzione è D. Pietro Antonio Monteggia, Parroco di Bogno per 49

anni dal 1782 al 1831, originario di Laveno, che con suo testamento del 17 ottobre 1830

lasciò tutti i suoi beni, consistenti in denaro e terreni, circa 150 pertiche, situati nei

comuni di Laveno e di Mombello alla comunità di Bogno.

La rendita di questi beni doveva servire in parte per incrementare la congrua al Parroco

ed in parte doveva essere distribuita per aiutare i più poveri di Bogno e servire per

l‟acquisto di medicinali ai bisognosi. (vedi Appendice 6)

Il Comune di Bogno ringraziò intestando a suo nome per perenne ricordo la via

principale che conduce a Besozzo Superiore.

Un ringraziamento particolare va fatto a D. Gioachino Trabattoni, che rimase fra noi per

40 anni fra il 1840 ed il 1880, il quale oltre ad aver ampliato e sistemato la chiesa come

oggi noi la vediamo, ha permesso a noi di ricostruire la storia del nostro paese; infatti la

composizione dell‟archivio parrocchiale formato da circa 900 documenti oltre ai vari

registri anagrafici la si deve nella quasi totalità alla sua volontà di conservare e

tramandare le notizie sui fatti avvenuti nel passato.

In un documento della Curia Arcivescovile di Milano risulta che la chiesa di Bogno,

come molte altre della zona, subì un saccheggio da parte delle truppe francesi allo

sbando, dopo la battaglia di Tornavento del 22 giugno 1636, fra il giugno e luglio di

quell‟anno. (Vedi Appendice 7)

I danni furono ingenti, furono distrutte tutte le suppellettili della chiesa, spezzate le

pietre delle sepolture e il tabernacolo sopra l‟altare, si salvò solo il Santissimo

Sacramento “perché il Curato l’haveva consumato” e pochi oggetti nascosti dal

Parroco;”il medemo curato è stato spogliato di tutto il suo mobile di casa, di vestiti,

bancaria, vino e grano. La sua entrata consiste in £.360, che li sono date dal popolo, il

quale sarà inabile a pagare per un pezzo, per essere stata la terra abbrugiata per la

metà, che prima era fuochi 30 circa”.

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Sullo stesso foglio vi è un‟annotazione successiva da parte della Curia Arcivescovile in

cui si indica di dare £. 40 alla chiesa e £.40 al Curato per le prime necessità.9

E‟ difficile immaginare una chiesa senza il suo campanile e conseguentemente le sue

campane con il loro suono “in codice” che avvisava la popolazione dell‟imminente

inizio di funzioni religiose o di chiamata a raccolta della popolazione per il Consiglio

Comunale, ma anche per comunicare momenti di pericolo e di morte o più

romanticamente il semplice inizio della giornata o il sopraggiungere della sera; era

insomma il sistema più diffuso di ciò che oggi chiameremmo “comunicazione di

massa”.

Proprio a causa di questo compito di avvisare i cittadini sia per questioni civili che

religiose, le campane e la loro manutenzione erano a carico del comune; non a caso in

molte città la torre campanaria è staccata dalla chiesa o addirittura conglobata nel

palazzo comunale.

Non sappiamo quando le campane iniziarono a diffondere la loro armonia in Bogno; ma

si presume da moltissimi anni.

Dai documenti dell‟Archivio Parrocchiale si apprende che il problema delle campane fu

di grande attualità a Bogno negli anni dal 1842 al 1870.

Nel 1842 la chiesa vendeva dei terreni, delle piante e le vecchie campane, ricavando una

somma di lire Milanesi 1.823,75.

Unitamente ad altre offerte, versava detta somma, come spontaneo contributo, al

Comune che si era impegnato a far rifondere le campane.

L‟incarico fu affidato alla Ditta Michele Comerio di Milano e il nuovo concerto fu

installato sul campanile nel 1842.

La Deputazione Comunale non fu però soddisfatta della campana maggiore, che, a detta

del fonditore era riuscita “non troppo levigata, ma senza difetti di suono”, e ne chiese la

rifusione.

9 L‟esercito Francese, comandato dal Maresciallo Crequi, alleato ai Piemontesi, aveva varcato il fiume

Sesia, allora confine tra Lombardia e Piemonte e volgeva verso Milano con l‟ambizioso disegno di

occupare la città. Il Governatore Spagnolo Marchese di Laganes, partendo dal suo Quartier Generale di

Abbiategrasso, andò incontro agli invasori e riuscì a fermare i Franco-Piemontesi sulle rive del Ticino nei

dintorni di Tornavento, paese nei pressi di Lonate Pozzolo: era il 22 Giugno 1636.

La battaglia fu violentissima: alla fine si contarono 2000 morti e 1000 feriti fra i Francesi e 800 morti e

500 feriti tra gli Spagnoli.

Entrambe le fazioni si attribuirono la vittoria, gli uni per aver respinto gli invasori; gli altri per aver

violato il suolo lombardo dopo aver attraversato senza perdite il Sesia. Unica cosa certa fu, che la

mancata conquista di Milano portò alla rottura del patto di alleanza fra Francesi e Piemontesi con la

conseguenza che l‟esercito francese, formato in stragrande maggioranza da mercenari, fu abbandonato a

sé stesso sul suolo nemico e durante il rientro in patria, attraverso la Svizzera, si divise in piccoli gruppi i

quali si abbandonarono a saccheggi e vandalismi contro le popolazioni inermi in molte parti del

Varesotto.

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La nuova campana riuscì più leggera della precedente (Rubbi 50,20 contro 53)10

e “di

tono un po’ calante”, ma il concerto ottenne il collaudo del Maestro di Cappella di

S.Vittore, Pietro della Valle che, il 16 aprile 1844, dichiarò “le tre campane in giusto

concerto di scala armonica, sonore e chiare di voce, eseguite secondo contratto”

Il collaudo, che costò 32,50 lire austriache (10 per il cavallo, 8 per il rinfresco e pranzo

del vettorale, 1,5 di mancia a stallieri e camerieri e 13 di perizia) fu liquidato con lire

30.

La liquidazione del conto della fusione delle campane, di lire milanesi 3173 presentata

dal fonditore fu assai più laboriosa.

Il Comune versò subito un acconto di lire 2015 e lasciò passare 15 mesi di garanzia e

manutenzione senza far pervenire alcun reclamo al fonditore.

A Bogno però il suono delle campane faceva discutere e il Comune, fatta rieffettuare

una nuova perizia, deliberò a pieni voti la rifusione completa dell‟intero concerto “per il

suono che distona affatto all’orecchio comune a cui si aggiunge il pubblico lamento per

tutte e tre, che per il tenue peso e forse per la posizione della torre troppo distante dalla

comune abitazione non davano suono sufficiente all’esigenze dei loro bisogni”.

Il fonditore fu chiamato presso l‟I.R. Commissione Distrettuale di Gavirate il 18

settembre 1846 dove fu stipulato un nuovo contratto che impegnava il Comune a pagare

il debito ridotto a lire 757, e il fonditore stesso alla fusione di un altro concerto di

campane di maggior peso che sarebbe stata pagata con “altra determinata somma”.

Ma, al principio del 1848, i sopravvenuti sconvolgimenti politici e le conseguenti

circostanze economiche negative, impedirono al Comune di dare l‟ordine della nuova

fusione e quindi di procedere al pagamento del debito che alla fusione stessa era

vincolato.

Nel 1849 morì il Comerio e gli Eredi, non sentendosi più obbligati a quel contratto,

chiedevano con istanze amichevoli la liquidazione delle 757 lire e relativi interessi.

Le cose si trascinarono fino al 1858 quando gli Eredi Comerio citarono in giudizio il

comune di Bogno.

Si venne ad una convenzione giudiziale che obbligava al pagamento del debito

annullando quanto stabilito nel 1846, ma la Delegazione Provinciale di Gavirate non

approvava.

A questo punto era il comune di Bogno a chiedere all‟Intendenza Generale di Como di

voler chiudere la vertenza nel timore che, trascinandosi le cose, persistendo anche

l‟impossibilità di far rifondere le campane, gli Eredi Comerio pretendessero l‟intera

somma su cui il fonditore nel 1846 aveva operato un forte sconto.

10

Rubbo = Unità di misura usato per determinare il peso delle campane, vale circa 8 Kg.

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Finalmente con sentenza del 27 settembre 1859, l‟Intendenza Generale della Provincia

di Como, dichiarò valida la convenzione giudiziale del 1858 e il Comune, pagando 757

lire, chiuse la vertenza.

Ma il problema delle campane non era ancora risolto.

Lo scampanio che da Bogno salutò le vittorie del‟59 e del‟60 sarà infatti stato ben

misero se come risulta da una nota dell‟allora parroco Don Gioachino Trabattoni “la

prima campana, la più grossa, non può accordare in armonia con le altre due, e

l’orecchio di chicchesia può giudicare del distono, di più minaccia quasi di cadere

dalla torre per la ruota che non è più suscettibile di aggiustature.

La seconda è pure mal franca per sconnessa inceppatura con ruota assai logora.

La terza poi essendo rotta non può dar suono” (Vedi Appendice 8)

Insomma doveva essere un gran bel concerto.

L‟esigenza di rinnovare il concerto per tanti anni e per tante avversità rimandata, restava

più che mai viva.

Nel 1868, la Fabbriceria della Chiesa, dopo una nuova vendita di terreni e piante,

indirizzava al Consiglio Comunale una lettera nella quale chiedeva di concorrere alla

rifusione della campana maggiore; a carico della chiesa restava la spesa di rifusione

delle altre due.

Si sarebbe ovviato finalmente all‟evidente continua confusione nel dare i segni delle

sacre funzioni che provocavano il giusto e insistente lamento della popolazione.

Il Consiglio Comunale accolse la richiesta e la fusione fu affidata alla ditta Bizzozero di

Varese.

Il concerto delle campane fu collaudato il 17 ottobre 1870 dal sac. Giuseppe Della

Valle, che lo trovò “in ottimo reciproco accordo del tono di sol maggiore, dotato di voce

chiara e animata, fornito di oscillazione ricca e sommamente armonica”.

La più grossa pesava Rubbi 54, le altre erano in proporzione.

Negli anni successivi le nostre campane svolsero il loro lavoro dignitosamente sino al

1943; solo nel 1910 il castello che sorreggeva le stesse ebbe bisogno di un restauro.

Dal “Liber Cronicon” parrocchiale apprendiamo che nel 1943 il Governo Italiano

decideva di prelevare almeno il 60 % delle campane (per motivi bellici); così a Bogno

vennero tolte il 30 gennaio 1943 due campane con gran dolore dei parrocchiani, si può

dire tra il pianto.

L‟incarico della rimozione fu affidato al Sig. Bianchi di Varese, titolare della omonima

fabbrica.

Rimase la più grossa, ad annunciare col suo suono grave che i tempi erano proprio

difficili e dolorosi.

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Nel 1951, dopo circa 8 anni di assenza, ritornano sul campanile le due campane tolte

durante la guerra.

Fuse dalla ditta Bianchi di Varese furono benedette il 18 febbraio dal Rev.do D. Felice

Pontiggia per delega del Cardinale Arcivescovo.

Pochi giorni dopo furono issate sul campanile a completare il concerto di tre.

Anche il 1980 passerà alla storia di Bogno come l‟anno delle nuove campane essendosi

installato il concerto di cinque campane, ed elettrificato il suo funzionamento.

In Bogno esiste anche un’altra piccola chiesa in via Lago; per conoscere la storia

della Chiesetta, bisogna partire dalle vicende legate al lascito da parte del Canonico Don

Carlo Ottavio Cusani per la celebrazione di una Messa festiva in perpetuo a favore della

comunità di Bogno, ed ai relativi istrumenti di compra vendita degli stabili di sua

proprietà.

Il testamento (uno fra i più antichi documenti conservati nell‟Archivio Parrocchiale)

(Vedi Appendice 9) del Canonico Don Carlo Ottavio Cusani rogato, il 9 Luglio 1746,

viene ratificato con atto notarile del 30 Giugno 1748 rogato dal Notaio Antonio Filippo

Luini in Bogno alla presenza del Console, dei rappresentanti della Comunità e di tutti

gli uomini di Bogno; detto istromento venne registrato presso il Senato Ecclesiastico di

Milano il 26 Dicembre 1749.

Da detto istromento :

“ . . . . . Si certifica che il Molto Reverendo Canonico Don Carlo Ottavio Cusani del

quondam Nobile sig. Alessandro abitante nel detto luogo di Bogno Pieve di Brebbia

Ducato di Milano, ha costituito un perpetuo legato di Messa Festiva da celebrarsi nella

Parrocchiale di Bogno dopo la Messa Parrocchiale a favore della medesima Comunità

mediante l’impiego fatto di lire tremila imperiali, quali sono di presente nelle mani del

sig. Carlo Colosso del detto luogo di Bogno, sotto l’annuo interesse da convenirsi tra

detto sig. Colosso, e la detta Comunità di Bogno alla morte di detto sig. Canonico

Cusani.

Pertanto, il Console, Comune, ed uomini della medesima comunità, convocati e

congregati nella pubblica piazza di detto luogo di Bogno, il cui vogliono come

consuetudine sempre convocarsi, e congregarsi circa le cose attinenti, e pertinenti alla

loro comunità, ammesso prieramente il solito segno della campana, e resi tutti avvisati

dall’infrascritto console, sono chiamati a vigilare acciò il detto perpetuo legato sortisca

il suo plenario effetto.

Unanimi e concordi, e niuno di loro discorde, né di volontà indifferente, hanno

sottoscritto con particolare loro giuramento tutti gli uomini di detta Comunità, che

hanno voce, e che abitano in detta comunità di Bogno, a nome loro e di tutte le persone

assenti, o per qualunque causa impediti.

In esecuzione di detta convocazione hanno li suddetti Console, Comune e uomini

determinato di far ricorso al Senato Ecclesiastico di Milano per avere le opportune

lettere patenti, affine di potersi obbligare all’esecuzione di detta Messa Festiva

perpetua, subito dopo la morte del suddetto Canonico Cusani, a favore della comunità,

come pure di mantenere per quella li necessari paramenti, cera, ed altro bisognevole ed

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altresì l’assistenza del sagrestano, con la riserva, che detta Comunità intende avere la

piena ed assoluta padronanza d’eleggere quel Sacerdote che sarà dalla comunità

benvisto, ne possa persona veruna in particolare avere ragione d’eleggere il detto

Sacerdote, per celebrare detta Messa dopo la Messa parrocchiale, a favore della

Comunità ed a suffragio dell’anima del suddetto sig. Canonico Cusani, e dei suoi

antenati defunti.

Tanto che in qualunque caso volesse il sig. Colosso, o suoi successori, restituire

detto capitale di lire tremila, presso di lui impegnate, che la detta comunità di Bogno sii

tenuta et obbligata ad impiegare detto capitale in proprietà idonea per avere l’interesse

pronto di trimestre in trimestre da pagarsi al sacerdote per la celebrazione di detta

Messa.

In caso che dalla detta Comunità non venisse adempita tale celebrazione di detta

Messa festiva, o per mancanza del Sacerdote, ovvero, perché quello assegnato fosse

indisposto, o per qualunque altro motivo non potesse quella celebrare, in tal caso e non

altrimenti, il detto sig. Canonico Cusani, intende e vuole, che detta Messa venga

celebrata dal Rev.do sig. Curato di Bogno nel giorno di Sabato, ed all’altare della

Beata Vergine del Santo Rosario in detta parrocchia di Bogno, recitando, prima della

Messa, ad alta voce unitamente col popolo un Salve Regina.

I Signori Reverendi Curati saranno tenuti a controllare che la volontà del sig.

Canonico venga rispettata, con l’esecuzione delle messe, come pure circa l’impiego di

detto capitale di lire tremila venisse restituita dal sig. Colosso o da suoi eredi al

comune di Bogno, affinché detto capitale resti di sicuro impiego per ricavare l’interesse

necessario all’adempimento delle messe come sopra.

Li detti sig.ri Curati saranno tenuti a vigilare a quanto sopra, nel caso il detto

capitale , restituito alla Comunità dal sig. Colosso, non dovesse dare i frutti necessari

al mantenimento della Messa festiva perpetua, o che venisse a perdersi del tutto,

dovranno obbligare il comune a pagare del proprio, così come li detti uomini di questa

comunità, si obbligano e promettono, perché così è. . .. . . “

Dopo la morte del Canonico Cusani avvenuta nel 1757 avvenne una innovazione in

punto al legato, di cui si ragiona, poiché il sig. Carlo Colosso, dichiaratosi creditore

verso l‟eredità Cusani della somma di Imperiali lire 900, faceva valere il diritto di

compensarsi sulle lire 3000 presso di lui giacenti di ragione del Canonico Cusani, e che

questi aveva assegnato a dote dell‟opera di culto da lui istituita.

Siccome in tal modo il capitale ridotto a sole 2.100 lire non avrebbe fruttato sufficiente

interesse per far celebrare le Messe, il sig. Colosso in concorso con i terrieri di Bogno

raggiunsero un accordo che venne confermato con l‟istromento del 26 Dicembre 1758

rogato dal Notaio Giò Batta Besozzi Rabaglioni allora residente in Besozzo.

Da detto istromento :

“ . . . . . . Il sig. Carlo Colossi rinunciò di vantare il suo credito di Imperiali lire 900,

e riconobbe il proprio debito verso l’eredità Cusani nell’integrale somma di imperiali

lire 3.000 . . . .

. . . . . . . .Ed il Comune di Bogno accordò al sig. Colossi il suo assenso onde la messa

istituita dal Canonico Cusani fosse celebrata d’allora innanzi in un oratorio, che il

Colossi, ed il Cusani a comuni spese avevano fatto erigere in Bogno stesso. . . . . .

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. . . . . . . . Il Colossi inoltre riservò per se stesso, e suoi eredi e discendenti il diritto

prima concesso al Comune di Bogno di scegliere quel sacerdote che meglio fosse

piaciuto, salvo però il diritto di potersi affrancare da tale obbligo mediante lo sborso di

imperiali lire 3.000, o la cessione d’un corrispettivo in stabili. . . . . .

. . . . . . . . Ma in pari tempo si assunse l’obbligo di sottostare a tutte le spese

occorrenti per la manutenzione dei paramenti, per la prestazione della cera, per

l’assistenza d’un sagrestano, e per quanto altro si fosse richiesto per la celebrazione

della messa stessa. . . . .

. . . . . . . . Pel caso poi, che gli eredi, o discendenti del Colossi non avessero voluto

sostenere si fatte spese, si convenne, che in allora avrebbe potuto la Comunità di Bogno

far celebrare di bel nuovo la suddetta messa nella Chiesa Parrocchiale, riassumendo a

proprio carico le surriferite spese di manutenzione. . . . . . “

Canonico Carlo Ottavio Cusani morto in Bogno nel 1757 sig. Carlo Colosso morto in

Bogno il 2 Settembre 1795 d‟anni 84 circa.

E’ quindi da ritenersi certa la costruzione della Chiesetta attorno alla metà del 1700

Fino a quando il sig. Colossi, e suoi eredi, e discendenti abbiano fatto uso delle riserve

convenute a proprio favore,( scelta del Sacerdote e di far celebrare la Messa nel proprio

Oratorio), e se abbiano o meno continuato a soddisfare gli assunti impegni di

manutenzione; questo non è attestato da alcun documento.

Nel catasto detto di Maria Teresa, dei primi anni del 1700,non si ha alcun segno della

presenza della Chiesetta; risulta che i fabbricati sulla destra guardando la facciata della

Chiesetta erano di proprietà del sig. Carlo Colossi; quelli a sinistra del Canonico Don

Carlo Ottavio Cusani; quando e come divennero entrambi di proprietà Colossi, non e

dato a sapersi.

Nell‟eredità di detto Colossi, successe la figlia sig.ra Teresa Colossi moglie di Pasquale

Tinelli e madre dei sig.ri Ferdinando Carlo e Pasquale Tinelli, che in occasione delle

divisioni fra essi fratelli seguita all‟eredità materna, al sig. Ferdinando, è aggiunto, in

confronto a quello degli altri fratelli condividenti, la maggiore annua rendita di milanesi

lire 150 per la messa festiva da celebrarsi nell‟Oratorio di Bogno; come da istromento

del 24 Giugno 1802 in rogito dal Notaio Giovanni Maria Vegezzi.

La proprietà della Chiesetta passò quindi da Carlo Colossi alla figlia Teresa e quindi al

figlio di questa Tinelli Ferdinando.

Con istrumento 8 Novembre 1813 ratificato il 28 Giugno 1814 in rogito del Dottor

Giuseppe Besozzi Notaio residente in Milano in cui il sig. Ferdinando Tinelli fece

vendita dei suoi beni situati in Bogno, e derivati dall‟eredità Colossi, alla sig.ra Donna

Francesca Porta fu Alessandro moglie del sig. Dottor Gerolamo Agazzi, alla quale fra

gli altri obblighi vedasi imposto nel paragrafo IV° il seguente che si accenna cogli stessi

termini.

Dall‟istrumento 28 Giugno 1814 :

“ . . . . . .IV° - Dovrà la compratrice serbare indenne, e rilevato indenne il venditore

dall’adempimento del legato di messe esistenti sui detti beni, e dell’annua ammontanza

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di lire Austriache centoquindici, centesimi dodici, e millesimi otto, pari a lire

centocinquanta di Milano, ritenuta la deduzione da farsi nella stima soprascritta dei

beni medesimi dal Perito Ingegnere della somma capitale di lire austriache

milletrecentodue, e centesimi cinquantasei. . . . . . “

La Chiesetta diventa proprietà Agazzi.

Al contrario da quanto disposto la Messa settimanale si celebra non già nell‟oratorio

suddetto eretto dal sig. Colosso e Canonico Cusani, ma bensì, da molto tempo, nella

Chiesa Parrocchiale a cura del Parroco di Bogno, il quale ne esige la limosina da chi è

tenuto a corrisponderla, ed i pesi richiesti per la relativa celebrazione anziché dagli

Eredi Colossi, è la Chiesa Parrocchiale che vi sopperisce del proprio.

Alla sig.ra. Francesca Porta subentrarono i propri figli Alessandro e Sacerdote

Cesare,(Istrumento del 9 Aprile 1853 rogato dal Dott. Gerolamo Maffei Notai in

Varese) i quali già come fece la propria madre, intendono di non aver maggiore obbligo

al suddetto intento di corrispondere una somma di milanesi lire 120, come si paga

attualmente, mentre invece il Parroco, e la Deputazione comunale ritengono che i

suddetti siano tenuti alla corresponsione di milanesi lire 150 annue.

Atto notarile 5 Agosto 1853 rogato Maffei con cui la sig.ra Francesca Porta fu

Alessandro vedova del consigliere Gerolamo Agazzi, ha fatto vendita ai di lei figli

Alessandro e Sacerdote Cesare dei fondi posti in Cardana, Bogno e Brebbia.

Al patto II° leggersi = come segue : Gli acquirenti sig.ri Fratelli Alessandro e

Sacerdote Cesare Agazzi saranno tenuti a soddisfare al peso che ritiensi onerante ad

alcuni degli stabili suindicati che erano di esclusiva proprietà della sig.ra Donna

Francesca Porta di far celebrare in Bogno una messa ogni settimana, e di sopportare

conseguentemente la relativa spesa nella misura che sarà di dovere, essendosi a tutto

avuto il conveniente riguardo nelle determinazione del prezzo di vendita.

A conferma della giusta pretesa da parte del Parroco e del Comune stanno gli atti di

iscrizione ipotecaria presso l‟Ufficio di conservazione delle ipoteche in Varese :

N° 412 vol. 46 pag. 39 del 23 Giugno 1828 a garanzia di detto legato valutato austriache

lire 2648,27 per una rendita annuale di austriache lire 132,41; detta ipoteca venne

confermata il 12 Giugno 1840 n° 707 e il 24 Maggio 1850 N° 929.

A nulla vale l‟obbiezione dei fratelli Agazzi, che la subentrante legislazione Austriaca

limita l‟interesse legale nella misura del 4 per cento, in quanto la rappresentanza del pio

legato Cusani può pretendere un capitale di lire 3000.

Non essendoci contratti posteriori all‟istromento 28 Giugno 1814 che favorisca i sig.ri

Agazzi, e prima di essi la sig.ra D. Francesca Porta loro madre, non sono più in

possesso dei vantaggi (scelta del sacerdote e de luogo di celebrazione) accordati al

Colossi, che riservò quei vantaggi per se, suoi eredi, e discendenti.

Passate in mano di estranei le proprietà Colossi il capitale delle tremila lire non è più da

ritenersi un mutuo coi relativi interessi, ma bensì un censo legato a terreni e caseggiati,

per cui i sig.ri Agazzi non avrebbero che la qualità di debitori.

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La rappresentanza del Legato Cusani,il 15 Febbraio 1854, dopo aver chiesto parere a

vari avvocati, chiede all‟ I. R. Delegazione Provinciale l‟autorizzazione a procedere per

via giudiziale con la richiesta; di obbligare i fratelli Agazzi al versamento dovuto di 150

lire annue, corrispondenti alle attuali Austriache lire 132,44

Di obbligare gli Agazzi a rifondere al Parroco, od alla Rappresentanza Comunale di

Bogno la somma di Milanesi lire 1140, equivalente alle attuali austriache lire 1032, 72

per le milanesi lire 30, pari ad austriache lire 26,48 pagate in meno dall‟anno 1815 a

tutto il 1853.

Il 24 Marzo 1854 la Delegazione Provinciale autorizza la rappresenta del Legato Cusani

a procedere per vie legali, facendosi rappresentare da un abile giureconsulto.

Per risolvere la questione, si giunse ad una soluzione :

I fratelli Agazzi versano alla Fabbriceria di Bogno lire Austriache 2000; altre lire

austriache 400 sono date dall‟attuale Parroco Sacerdote Gioachino Trabattoni.

Con questa operazione si intendono liberare completamente dai loro impegni, sia i

fratelli Agazzi, sia la Comunità di Bogno; la fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di

Bogno, assicura il pagamento per la celebrazione delle Messe del legato Cusani ed a

garanzia di questo mette ipoteca su dei terreni di proprietà della Chiesa

Il Parroco si obbliga a non pretendere né rimborso, né compenso alcuno per le suddette

lire 400 austriache.

Tale liquidità si rende particolarmente utile visto l‟imminente inizio dei lavori per

l‟ampliamento della Chiesa Parrocchiale.

Il Sacerdote Don Cesare Agazzi morì in Bogno il 7 Ottobre 1855

E‟ da ritenersi che fino a tale data la Chiesetta rimase aperta al pubblico, anzi durante la

proprietà Agazzi probabilmente veniva celebrata la Messa regolarmente da Don Cesare

Agazzi, anche sembra a causa delle sue precarie condizioni di salute, (celebrava

praticamente in casa.)

Il Sacerdote Cesare Agazzi in alcune carte viene denominato coadiutore di Bogno.

Per quasi settant‟anni non si hanno documenti che parlano della Chiesetta di via

Lago,fino al 1927, quando dal “Liber Cronicon” Parrocchiale apprendiamo che fu in

quest‟anno redenta la Chiesola della Madonna delle Grazie di proprietà del sig. Porrini,

già Agazzi, che si cercò di riportarla nel miglior modo possibile onde poterla adattare al

Culto essendo in precedenza completamente abbandonata.

Il 23 Maggio 1929 si acquistò per atto privato l‟Oratorio della casa situata alla Goda

appartenente ai sig. Porrini Paolo e Riva Virginia in Catalani. (vedi Appendice 10)

Per il restauro il principale benefattore fu la famiglia Viola di Milano stretti parenti del

Parroco Don Protaso Dellea.

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Il 4 Ottobre 1930 fu aperta al pubblico, vi si spesero £. 2.000

Nel 1932 si procurarono le stazioni della via Crucis, offerte dalla signora Checchi di

Gavirate, e nel 1933 dalla stessa furono regalate le due campanelle.

L‟edificio attuale sembra corrispondere all‟originale edificazione, infatti non si notano

particolari modifiche, a parte in sagrestia, (forse aggiunta successivamente); unica

modifica, la chiusura di una porta laterale verso il fondo della parete sinistra, che

permetteva l‟ingresso in Chiesa direttamente dal cortile dei proprietari.

Essendo le campane poste nel 1933 è da ritenersi che anche il piccolo campanile sia

stato edificato in tale occasione.

Analizzando la storia della Chiesetta è balzato agli occhi che un gruppo di case (una

buona fetta di paese, per quei tempi) era di proprietà di un religioso; il Canonico Cusani.

Bisogna rammentare che fino a non molti anni fa il paese era praticamente di proprietà

di due sole famiglie, Agazzi (come si è visto) e Quaglia; la curiosità è che questa

seconda famiglia ottenne i suoi beni in Bogno per via ereditaria; infatti la proprietà

giunse a Giuseppe Quaglia tramite la moglie Bollini Carola, figlia di Angelo e di

Fernandez Margherita a sua volta figlia di Pietro Fernandez e Marianna Maccagni.

Marianna Maccagni di Milano ottenne le proprietà di Bogno come lascito ereditario da

parte dello zio Don Pietro Belegotti Canonico della Collegiata di S.Tommaso in Terra

Amara di Milano11

.12

Come e perché la quasi totalità del paese fosse proprietà di due religiosi, non abbiamo

trovato documenti che potessero chiarire questa curiosità.

Visto che lo abbiamo nominato, vediamo più da vicino l‟Ing. Giuseppe Quaglia, anche

perché è l‟autore di quello che potremmo definire il simbolo di Bogno; “il Torrino”, ora

parco comunale.

Il Torrino fu costruito nella seconda metà del 1800 dall‟Ing. Giuseppe Quaglia; è

costituito da due soli locali sovrapposti, uno era adibito a studio privato, mentre quello

superiore fungeva da camera da letto; sulla terrazza da dove si può godere di una

grandiosa vista, ora vi è un tavolino in pietra, ma da voci riportate dai più anziani del

11

Attuale chiesa di S. Tommaso in via Broletto in Milano. 12

Nel 1574 L‟Arcivescovo Carlo Borromeo elevò S. Tommaso in Terra Amara (in seguito denominata

anche in Terra Mala o Terramala) presso Porta Comasina a colleggiata, trasferendovi 6 canonicati da

Brebbia e 6 da Monate; il capitolo fu soppresso il 19 maggio 1798, il suo archivio fu trasferito presso la

Curia Arcivescovile di Milano ed è da questa fonte che provengono i vecchi documenti che riguardano il

nostro territorio. (Vedi Allegati 11)

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paese sembra che durante le torride giornate estive vi si allestiva un letto coperto da una

tenda, infatti sull‟inferriata di protezione si notano ancora i sistemi di fissaggio dei pali

che sorreggevano il tendaggio.

Non essendo ancora stato inventato il condizionatore d‟aria, il nostro ingegnere nelle

giornate più torride dormiva in un luogo sicuramente fra i più arieggiati e di

conseguenza più freschi di tutto il paese.

Nel libro “Frammenti di storia Besozzese” il Brunella afferma che la torre fu eretta su

un basamento di una costruzione circolare più antica, forse di origine longobarda.

L‟Ing. Giuseppe Quaglia nacque a Cazzago Brabbia il 31 marzo 1819, dopo gli studi

superiori e la laurea conseguita presso l‟Università di Pavia, si trasferì a Varese dove

svolse la libera professione.

Sposò Carola Bollini di Milano e si trasferì nella villa di proprietà della moglie a

Bogno, dove morì per un improvviso attacco cardiaco la mattina di domenica 18 giugno

1893.

Fu un uomo di ingegno, dotato di un acuto spirito di osservazione e di sottile senso

dell‟umorismo, aveva saputo in breve volgere di anni, acquisire una solida posizione

economica e professionale.

Oltre alla villa di Bogno aveva numerose proprietà in Varese, Biandronno e Besozzo.

Quando il 8 agosto 1865, la casa Ducale Litta Visconti Arese, vendette la proprietà del

lago di Varese e della Bozza, alienò anche la proprietà del laghetto di Biandronno che

venne acquistata dal Quaglia.

Il Quaglia era benvoluto e stimato per le sue doti umane e per la fermezza del carattere

che lo spronò a tentare imprese grandiose di pubblica utilità, alle quali diede cospicuo

apporto di studio e di capitali.

Era fra i più convinti fautori dell‟abbassamento del livello del lago di Varese; non cessò

mai di sostenere con insistenza la necessità di quell‟opera nell‟interesse dell‟igiene,

dell‟agricoltura e dell‟industria che, in particolare, avrebbe potuto usufruire di nuove e

poderose forze idrauliche sul fiume Bardello e con il prosciugamento della palude

Brabbia ricavare una gran quantità di terreno coltivabile e contemporaneamente

eliminare le cause di possibili focolai di malaria ed altre malattie infettive causate dalle

zone paludose.

Da parte sua iniziò il prosciugamento del laghetto di sua proprietà, con la costruzione di

una galleria sotto la strada fra la chiesa ed il cimitero di Biandronno; l‟opera ancora

funzionante raggiunse solo in parte l‟obiettivo prefissato, infatti per lo svuotamento

completo si doveva attendere l‟abbassamento del lago di Varese, creando quindi un

maggior dislivello.

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Due erano gli obiettivi del Quaglia, il primo di natura economica; infatti col

prosciugamento si poteva ricavare un‟enorme quantità di torba, materiale allora molto

ricercato, che si usava come combustibile.

Il secondo obiettivo era più umanitario in quanto avrebbe bonificato una vasta area

paludosa, ritenuta allora portatrice di malattie e pestilenze.

Con altrettanto ardore si dedicò alle ricerche ed agli studi archeologici nel Circondario

di Varese, tanto da acquisire in materia una competenza non comune.

Raccolse le memorie dell‟età preistorica in una ricca raccolta di fossili ed oggetti vari,

che poi donò nel 1891 al Museo Kircheriano Nazionale Preistorico Pigorini di Roma.

Scrisse tre libri “ Dei sepolcreti antichi in 11 Comuni del Circondario di Varese” nel

quale elenca le sue scoperte; “Laghi e torbiere del Circondario di Varese”, ritenuto

ancora oggi fra gli studi più approfonditi di tale materia.

Un terzo libro in cui diede libero sfogo alla sua ironia ed umorismo fu stampato, ma non

venne mai distribuito, sembra su veto dei familiari, i quali diedero più peso al quieto

vivere che all‟arte letteraria, perché coinvolgeva personaggi noti e potenti della zona.

Re Umberto I° gli conferì l‟onorificenza di Commendatore della Corona d‟Italia per i

suoi meriti professionali e culturali.

L‟Ing. Quaglia lasciò in Bogno un segno ben visibile fino ai nostri giorni; infatti

effettuò sostanziali modifiche alla viabilità e grosso modo così come la vediamo oggi la

si deve al suo operato.

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Dobbiamo pensare che nei primi anni dell‟ottocento il paese era formato da un gruppo

di case presso la Piazza, un altro gruppo lungo il primo tratto dell‟attuale via Lago, un

gruppo a Masserano ed uno alla Binda; oltre a varie cascine sparse, inoltre vi era un

gruppetto di case ed un cortile dove ora sorge la scuola, dal ricordo dei nostri vecchi era

denominato Borghetto, nome abbastanza significativo che indica una parte staccata da

quello che era il paese.

Quali erano le strade: una che conduceva dalle case della Piazza alla Chiesa e tramite

l‟attuale via degli Alpini al Cimitero e proseguiva a fianco di esso giù verso il fiume e

da qui a Ronchèe, non ci risulta ci fosse qualche ponte, forse più probabilmente qualche

guado per i carri ed una passarella pedonabile per le persone, infatti nel Consiglio

Comunale di Bogno tenutosi il 19 Novembre del 1861 si delibera “di rimettere a nuovo

delli ponticelli da pedone sul fiume a Ronchèe e alla Bozza.”

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La strada verso Besozzo proseguiva quindi sino al termine della discesa, da dove

risalendo sulla sinistra, si portava verso Besozzo Superiore, non c‟era ancora il raccordo

con Besozzo inferiore; anche perché a quei tempi Besozzo era solo quello superiore,

l‟inferiore si sviluppò solo in seguito, con l‟avvento della ferrovia e conseguente

stazione.

Dalla Piazza attraverso una scalinata, ancora esistente anche se in disuso, si poteva

accedere alla campagna.

Certamente esisteva, anche se non si conosce esattamente dove passasse la strada che

univa la Piazza alla Binda, da qui attraverso l‟attuale strada comunale Motta di Pozzolo,

ci si poteva portare in quel di Masserano ed attraversando l‟attuale proprietà “ex

Quaglia” si raggiungeva “la Goda”sino circa a metà dell‟attuale via Lago da dove

svoltando verso la campagna si scendeva ad essa e qui si poteva raggiungere il “Mulino

Nuovo” e quindi Brebbia.

Per andare a Monvalle bisognava proseguire da Masserano su quella che oggi è strada

Consorziale, ma in quelli anni comunale, sino a raggiungere la cascina Durì e da lì

Turro.

Altra via di comunicazione coi paesi vicini era la strada che da via Quaglia, di fronte

alla “Cappelletta”, scendeva verso Cascina Brugusciolo e da qui si poteva risalire verso

Besozzo Superiore o andare verso Castelletto e quindi a Turro; anche dalla Binda si

poteva scendere a detta strada.

Le strade a quei tempi erano sterrate, larghe pochi metri, solo lo stretto necessario per il

passaggio di un carro e dove era possibile viaggiavano sulle alture, onde evitare quello

che a quei tempi poteva essere il maggior inconveniente, cioè quello di rimanere

impantanati.

Le strade univano i vari paesi o contrade, ma praticamente non esistevano nei centri

abitati, in quanto in essi si transitava passando da un cortile all‟altro; inoltre vi era un

nutrito intreccio di sentieri e scorciate varie; quanto asserito lo si può notare ad esempio

osservando il primo tratto dell‟attuale via Lago, non è che il nostro ingegnere non fosse

capace di tracciare una strada diritta o peggio al momento della stesura del progetto

fosse ubriaco, ma più semplicemente perché la strada dall‟interno dei cortili fu trasferita

sul retro delle case seguendo col suo tracciato le abitazioni già esistenti.

Vediamo più in dettaglio i lavori svolti:

Partendo dalla Piazza anziché passare fra i cortili si tracciò una strada diritta in

direzione della Chiesa e di Besozzo, questi lavori furono svolti nel 1891 come è

dimostrato dall‟incisione su di un masso posto ai piedi del muro di pietra sulla sinistra

di chi scende.

L‟attuale via Monteggia fu costruita quasi completamente ex novo, partendo dal

cancello d‟entrata alla villa “ex Quaglia” si scende sino ad incrociare la strada che univa

la Binda col Borghetto e con la Piazza, quindi anziché scendere verso cascina

Brugusciolo per poi risalire a Besozzo, si scelse il nuovo attuale tracciato sicuramente

più scorrevole.

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Con un pezzo di strada rettilinea si congiunse la Piazza con la via Lago, che nel

frattempo passò sul retro delle case e la detta via proseguì sino al Lago Maggiore

incrociando la strada che da Brebbia porta a Monvalle.

Inoltre partendo dalla Piazza si costruì ex novo il primo tratto di via Masserano,

passando sul retro delle case esistenti, abbattendo anche un pezzo di cantina e delle

cascine.

Quest‟ultimo lavoro consentì di chiudere il vecchio passaggio fra la via Lago e

Masserano e di conseguenza il Quaglia potè unire la sua villa ed il suo giardino con

quella che possiamo definire la sua “dependance” “il Torrino”.

Oltre alle strade non dobbiamo dimenticarci di un‟altra opera pubblica, che ai nostri

giorni sembrerebbe di secondaria importanza, ma importantissima a quei tempi, non

esistendo ancora l‟acquedotto comunale; la costruzione della fontana pubblica “navell”;

essa non era certamente l‟unica in paese, ma con la costruzione di un acquedotto che

partiva dal “Praa funtana” collocato fra le vie Arì e Masserano, garantiva l‟acqua alla

fontana pubblica per tutto il corso dell‟anno, ciò che non sempre era possibile per le

altre fontane del paese, e le nostre nonne non erano più costrette, specialmente durante il

periodo estivo a caricare tutto l‟occorrente sulla carriola e portarsi sino al fiume per fare

il bucato “la bugadaa”

L‟ultimo lavoro viario di una certa consistenza è stata la costruzione del pezzo di strada

che congiunge la via Sotto campagna a via Piave sino ai piedi della Chiesa, attuale via

Gorizia, per i nostri vecchi la “strada nouva”.

Se vogliamo fare un paragone coi nostri tempi, ci sembra quasi impossibile che lo

sconvolgimento viario di un intero paese si sia potuto realizzare in così pochi anni,

pensiamo ai progetti, autorizzazioni, burocrazia, ecc…

La risposta è abbastanza semplice e ovvia; l‟ing. Quaglia era oltre che il Progettista, il

proprietario della quasi totalità del paese.

Prima si era parlato del Lago della Bozza, infatti in territorio di Brebbia, dove ora vi è la

palude (ex sabbie d‟oro) vi era un laghetto alimentato dalle acque del fiume Bardello e

con scarico verso il Lago Maggiore.

Vediamo di allargare un poco la nostra storia per seguire quella che ha coinvolto i laghi,

anche perché Bogno, non dimentichiamocelo, confina con il lago Maggiore e quindi la

storia dei laghi è anche storia nostra.

Nel febbraio 1423, la Ducale Camera di Milano emise un decreto con cui si riservava il

diritto patrimoniale sui laghi del territorio varesino, comprese ovviamente le ragioni di

pesca e di caccia, il provvedimento colse di sorpresa coloro che da anni si

consideravano a tutti gli effetti giuridici,proprietari di quelle acque sulle quali

esercitavano quei diritti.

Non esisteva in Lombardia una legislazione delle acque che distinguesse, in termini

precisi, le acque pubbliche da quelle private.

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Valeva prevalentemente, in quel tempo, il criterio ricavato dalle vecchie leggi romane,

di considerare demaniali le acque aventi caratteristiche di navigabilità e, private, le altre.

Tuttavia, proprio nello Stato di Milano, la distinzione fu ancorata non solo al concetto

della navigabilità ma anche, per i corsi d‟acqua, a quello della loro origine, se cioè

fossero derivanti da fondi privati o da terreni pubblici.

Il malumore ed il risentimento dilagò fra la gente del lago, in special modo fra le

famiglie nobiliari che da tempo immemorabile si ritenevano proprietarie dei suddetti

laghi, e da parte degli abitanti delle comunità dei paesi rivieraschi particolarmente dediti

alla pesca.

Secondo un‟antica usanza, i proprietari affittavano l‟amministrazione del lago e

l‟esercizio del diritto di pesca, a dei fittavoli con i quali stipulavano un contratto,

regolarmente redatto da un notaio e rinnovabile ogni nove anni, in cui si

puntualizzavano le modalità di gestione, diritti e doveri che le parti si impegnavano a

rispettare.

Nel corso degli anni, fra continui ricorsi ed appelli, nulla mutò sui diritti di proprietà dei

laghi.

Tuttavia con il mutare della situazione politica e l‟avvento degli spagnoli, la vicenda

assunse toni di rinnovata vitalità.

Gli anni della dominazione spagnola furono, inefficienza amministrativa, esosità fiscale,

soprusi ed ingiustizie di ogni genere.

Il Governo pose in atto i più insensati criteri di ripartizione e riscossione, pur di

assicurarsi la disponibilità di nuovi balzelli; venivano riaffermati gli invocati diritti di

dominio ad alcuni dei più grossi proprietari, nel contempo negandoli ad altri.

L‟Autorità ricorreva a qualsiasi mezzo pur di poter aumentare le rendite e i beni

patrimoniali dello Stato; l‟organo di Governo aveva emanato un editto in cui

prescriveva a tutti coloro che avanzavano pretese su detti laghi di produrre, a far tempo

trenta giorni, i relativi documenti di proprietà, altrimenti gli asseriti diritti sarebbero

stati avocati al Regio Fisco.

Il 20 dicembre 1621, data in cui ebbe luogo la riunione delle parti avanti il Giudice

ordinario, prese storicamente avvio l‟interminabile causa, tra il Fisco e i privati

possessori dei laghi.

La vertenza si concluse, alcuni decenni più tardi, con l‟acquisizione dell‟intera proprietà

dei laghi, da parte della Regia Camera e loro successiva vendita, decretata dal

Magistrato Straordinario dello Stato di Milano.

Il Fisco era pervenuto alla decisione di considerare “beni regali” il lago di Gavirate e

quelli limitrofi, annullando in tal modo tutte le investiture e sentenze emesse fino ad

allora, sia sulla base delle delazioni ricevute, sia sulle notizie fornite rispettivamente dal

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Questore Vimercati e da Giò Antonio Pissina, ingegnere camerale incaricato di svolgere

indagini sul posto.

Determinante fu, in particolare, la relazione tecnica del Pissina il quale, dopo aver preso

in esame la natura idrografica dei quattro laghi, anche in rapporto alle acque affluenti e

defluenti, ritenne che essi si dovessero considerati aggregati al Verbano, come bracci e

membri del medesimo, con il quale comunicavano attraverso vene sotterranee.

Questa conclusione offrì al Fisco un appiglio valido a sostegno della tesi di demanialità

dei laghetti varesini in quanto il lago Maggiore già era incluso fra i beni patrimoniali del

Ducato di Milano, per le sue caratteristiche di navigabilità.

L‟ing. Angelo Alessandro Benzone fece un sopraluogo in data 13 settembre 1647 e

dalla sua relazione risultò che il laghetto della Bozza era molto pescoso, popolato in

specie da tinche e lucci e le venne assegnato un valore di 1.500 lire imperiali d‟oro.

Con un decreto del settembre 1650, venne infatti deliberata la definitiva presa in

possesso dei laghi, a nome della Regia Camera; il 1° Aprile dell‟anno successivo furono

pubblicate, in tutti i comuni della Pieve di Varese e di Brebbia, le cedole per la vendita

o l‟affitto dei diritti di pesca o dell‟intera proprietà.

Nessuno dimostrò tuttavia interesse all‟acquisto di tale diritto che molti ritenevano di

poter esercitare ancora a pieno titolo.

Il Fisco decise di procedere eclusivamente alla vendita dei laghi e delle loro pertinenze,

sulla base del valore indicato dai periti ingegneri Pissina e Benzone.

Non fu tuttavia facile trovare l‟acquirente, anche perché la somma richiesta era, per quei

tempi, abbastanza cospicua.

Un‟offerta pervenne da parte di Giuseppe Del Conte procuratore del Vescovo Francesco

Biglia di Pavia, con il quale vennero intraprese le preliminari trattative.

Andata poi deserta l‟asta con la quale si sperava di conseguire un maggior introito dalla

vendita, i cinque laghi, compreso quello della Bozza, furono aggiudicati al Biglia per

100.000 lire imperiali.

Francesco Biglia era stato assegnatario della commenda dell‟abbazia della SS.Trinità di

Capo Lago, che resse per oltre 35 anni.

Direttamente coinvolto nella responsabilità di gestione del monastero, il Biglia ebbe

così modo di interessarsi alle vicende del lago di Varese ed uniti che, proprio in quegli

anni, erano al centro di contestazioni, tra presunti proprietari e Governo Spagnolo.

Altre ragioni lo legarono alla conoscenza di quei luoghi: il castello di Caidate, proprietà

di famiglia, ove aveva trascorso ore serene della sua infanzia.

Da parte del Pontefice Innocenzo X° fu elevato alla sedia vescovile nel 1648, e gli fu

assegnata la Diocesi di Pavia.

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Il laghetto della Bozza sebbene fosse compreso tra i laghi acquistati dal Biglia, né lui né

successivamente i suoi eredi, trassero mai profitto dalla pescagione, la cui rendita per

antica consuetudine andava alla Casa Borromeo, feudataria di Brebbia.

Il 14 marzo 1858 si stipulò un contratto di affitto per il laghetto della Bozza fra la Casa

Litta (attuali proprietari) ed i fratelli Giovanni, Antonio e Giuseppe Bardelli, nativi di

Brebbia, il cui padre Carlo Antonio, e prima di lui nonni e bisnonni, avevano esercitato

la pesca in quel luogo, fornendo un eccezionale esempio di continuità in un mestiere

tramandato da padre in figlio; il canone di affitto annuo venne convenuto in lire

austriache 375 e dopo l‟unità d‟Italia, in lire italiana 324.

Per la pesca venivano usati “burchielli” e “navi” a fondo piatto di proprietà degli

affittuari.

Sul finire del 1800 si deviò il corso del fiume Bardello facendolo defluire direttamente

nel lago Maggiore, ponendo così fine al laghetto della Bozza.

L‟ultimo tratto del fiume che sfocia nel lago Maggiore dai più anziani è sempre stato

chiamato canale, che denota la sua costruzione in modo artificiale.

Perché fu fatto questo lavoro, non lo conosciamo.

Se vi fu un tentativo di eliminare un lago con la sua relativa zona paludosa, come era di

gran moda a quei tempi, visto il risultato ottenuto, fu un enorme sbaglio; oppure il

canale serviva a qualche cosa d‟altro?

Ma . . . lasciamo il lago e torniamo in paese e cerchiamo di capire come era

amministrata la nostra comunità.

Dell‟antichità non sappiamo nulla, i primi dati certi ci pervengono dai pochi documenti

in nostro possesso dei secoli XII e XIII e con questi cerchiamo di ampliare le nostre

conoscenze di come era il nostro paese e di come vivevano i nostri antenati.

Bisogna ricordare che durante tutto il medioevo pochi erano i proprietari terrieri, la

maggior parte delle terre era del demanio, quindi proprietà del Re e di chi ne faceva le

veci.

Dette terre venivano date in concessione per un certo periodo di tempo in cambio di

favori o in cambio di un affitto prestabilito (decime).

In seguito, si introdusse il diritto di successione, cioè il diritto che il Re aveva concesso

fosse utilizzato anche dagli eredi, in un primo momento ciò fu concesso solo ai grandi

feudatari (nell‟anno 877 - Capitolare di Quiesy).

Durante le secolari dispute per il controllo del potere in Italia fra la Chiesa e

l‟Imperatore; Corrado II° con l‟intento di coinvolgere a favore della sua linea di

condotta i piccoli feudatari, che nel frattempo avevano raggiunto una notevole forza, sia

politica che numerica, il 28 Maggio del 1037 promulgava “Edictum de beneficiis Regni

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Italici”, noto come “Costitutio de feudis” in virtù del quale anche i piccoli feudatari

godevano del diritto di trasmissione ereditaria dei loro benefici.

L‟eredità dei feudi minori avrebbe dovuto valere esclusivamente per il regno d‟Italia,

ma la sua applicazione finì per essere estesa ovunque e contribuì alla decadenza del

sistema feudale.

Infatti, con l‟ereditarietà ogni feudo finiva per diventare un piccolo Stato monarchico, il

controllo dell‟Imperatore veniva a mancare e la disgregazione dell‟impero diveniva un

fatto irreparabile.

Sempre dai documenti del XIII sec. apprendiamo che i terreni della chiesa di S.Pietro di

Brebbia, compresi nel territorio di Bogno, ammontavano a 6 jugeri - 113 pertiche - 936,

5 tavole e 58 piedi;13

pari a m2 - 147.137, 77.

Questo solo sommando i documenti conosciuti, quindi si presume che le proprietà

fossero molte di più.

Il fatto che molti terreni di Bogno fossero di proprietà della Chiesa di Brebbia,

dimostrerebbe ulteriormente il legame esistente fra i Signori di Brebbia (Arcivescovo di

Milano e Priore della Pieve di Brebbia) ed i relativi castelli.

Questi terreni venivano affidati ad abitanti del luogo con un contratto d‟affitto

(investitura “ad massaricium”) e nonostante i documenti siano pochi, i nomi di persona

e dei terreni si ripetono con frequenza.

In alcuni casi sullo stesso documento, o su documenti redatti a distanza di pochissimi

giorni, l‟affittuario rinuncia all‟investitura, e subito dopo viene riconfermato come

massaro degli stessi terreni; oppure viene sostituito da uno dei figli.

Questo modo di procedere si pensa servisse per aggiornare il canone di affitto e

principalmente per confermare chi era il legittimo proprietario, teniamo presente che in

quei tempi, non esistendo una qualsiasi forma di catasto, risultava difficile anche

dimostrare la legittima proprietà.

Gli affitti venivano pagati in natura, nella maggior parte dei casi, da qui si può

conoscere quali erano i tipi di coltivazioni e di allevamento che consistevano in

frumento, siligo14

e panico15

, vino e polli.

13

Le misurazioni dei terreni variavano da zona a zona, assumendo oltre a valori diversi anche delle

denominazioni diverse.

Lo “Jugero” corrispondeva a 24 “pertiche” che erano formate da 24” tavole” ed a sua volta era composta

da 24 “piedi” - Il termine “Jugero” deriva dal latino “jugum” = gioco ed equivaleva all‟area che era

possibile arare in una giornata di lavoro con una coppia di buoi aggiogati. In alcune zone il termine

cambiò denominazione come: biolca, giornata piemontese, tornatura, ma tutte con lo stesso significato 14

Siligo = tipo di frumento di prima qualità. 15

Panico = una qualità di miglio molto usata per l‟ottima resa produttiva e resistenza ai parassiti, venne

abbandonata e sostituita la sua coltivazione con l‟avvento del mais.

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Spulciando fra i vari documenti possiamo ricostruire anche come il pagamento di questo

affitto veniva effettuato in due rate a secondo della tipologia dei prodotti: a S.Lorenzo

(10 agosto) per i cereali e a S.Martino (11 novembre) per il vino e per i polli.

La raccolta era affidata a due canonici che prelevavano le masserizie presso i vari

fittavoli e li portavano in una “caneva”16

presso la canonica di Brebbia; è da notare

come il canone di affitto comprendeva anche 1 pasto per 2 uomini composto da tre

portate o una colazione composta da pane, vino e formaggio.

Scarsa era la circolazione monetaria, in quei tempi, e il baratto o il pagamento con

prodotti naturali era l‟abitudine.

La “decima” era il pagamento utilizzato quando il contadino doveva versare, al

legittimo proprietario, come canone d‟affitto una decima parte del prodotto ricavato

dalla lavorazione del terreno.

In seguito il termine decima veniva usato per indicare l‟obbligo di un pagamento,

poteva essere un affitto, un debito ecc…, anche se il dovuto non corrispondeva al

decimo del reddito, ma era stabilito di volta in volta a seconda della necessità e delle

situazioni.

Possiamo quindi immaginare il paese in mano a pochi o ad un unico proprietario e tutto

il resto della popolazione contadina costretta a lavorare come servi e solo in alcuni casi

come affittuari, pagando le decime.

Sino a pochi decenni fa la nostra era una società prettamente agricola e quindi il

controllo e la gestione delle acque era una questione della massima importanza.

L‟acqua serviva come fonte diretta per il sostentamento di uomini e di animali come

pure per l‟irrigazione di orti e giardini in caso di scarsa precipitazione ed era fornita

quasi esclusivamente da pozzi.

Il luogo di costruzione di nuove case e stalle pertanto era determinata dalla presenza o

meno di un pozzo d‟acqua, indispensabile per vivere, al contrario di quanto succede

oggi che le scelte cadono magari su di un luogo isolato e con un bel panorama.

Il controllo dei corsi d‟acqua era di primaria importanza in quanto spesso venivano usati

come comoda via di trasporto, come pure erano una preziosa forma di energia per

procedere alla trasformazione dei prodotti cerealicoli tramite dei mulini.

I mulini ad acqua erano già conosciuti sin dai tempi dei romani, quindi da oltre 2000

anni, ma quasi sicuramente sono molto più antichi.

Nel nostro territorio una sicura testimonianza dell‟esistenza di un mulino risale ad un

documento notarile del 26 marzo 1183, nel quale risulta la costituzione di una vera e

propria società stipulata fra Lanfranco rappresentante della Chiesa di S.Pietro di

Brebbia, con il consenso dei confratelli, ed Adamo figlio di Pagano “murinarius” di

16

Caneva = cantina, magazzino.

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Bogno per la costruzione di un mulino “infra cantonem de Ruvina” con comune spesa

sia per il mulino che per gli edifici ad esso connessi; ognuno dei contraenti è

proprietario della metà con il vicendevole diritto di subentrare l‟uno nella proprietà

dell‟altro.

La costruzione di un mulino comportava un notevole sforzo economico, quindi era

riservata a pochi facoltosi: nobili locali o istituzioni religiose.

L‟opportunità da parte della Chiesa di Brebbia di cimentarsi in una impresa di carattere

commerciale era forse dovuta alla necessità di macinare i propri cereali provenienti

dagli affitti raccolti presso i suoi massari.

La chiesa ha contribuito per la metà alle spese di costruzione, mentre non si conosce

come veniva suddiviso il relativo guadagno, forse il gestore versava un affitto alla

Chiesa di Brebbia.

Un secondo documento del 1215 ci informa che detto mulino è stato gestito per molti

anni dal suddetto Adamo figlio di Pagano Murinarius e da suo figlio Guifredo, essi

abitavano sul posto in località denominata “ad molendinos de Bunio”

Col passare degli anni il mulino cambiò padrone e i nuovi proprietari divennero Jacobo

e Alberto figli di Burro di Besozzo, che pagano 4 moggi17

al preposto della Pieve di

Brebbia al posto di Guifredo Murinarius di Bogno; il nuovo abitante e gestore del

mulino è Pietro de Vinea.

Visto così la gestione del mulino di Bogno sembrerebbe chiara, ma la realtà è diversa,

perché negli anni successivi vi furono varie liti con conseguenti sentenze a riguardo

degli affitti del mulino fra il gestore, la chiesa di Brebbia et “familia de Besutio”.

Su di un documento del 1278 risulta che sul fiume Bardello sono in funzione altri due

mulini; uno il località “Ronco di Brebbia”, gestito da Jacobatus Mullinarius, con ogni

probabilità di Bogno, in quando lascia in eredità alla chiesa di Brebbia delle sue vigne

in Bogno; il secondo gestito da Beninos Mullus “qui habitat in mollinis de Bergo”: si

ignora dove fossero ubicati questi mulini.

Particolari statuti regolavano le strutture e il pagamento del servizio prestato, che

variavano da luogo a luogo.

Essendo i mulini di proprietà del “Domini locii” era praticamente impossibile costruirne

altri, anche perché le acque erano sotto il suo controllo, pertanto vi era un vero regime

di monopolio.

I contadini dovevano quindi obbligatoriamente recarsi per macinare i propri cereali

presso il mulino del proprio padrone dovendo così pagare un‟ulteriore tassa oltre a

quella già sborsata per l‟affitto del terreno.

17

Moggio = antica unità di misura per cereali e liquidi, corrispondeva a 146,23 litri ed i suoi

sottomultipli erano :

staio = 18,27 mina = 9,13 quartaro = 4,56 metà = 1,14 e quartino = 0,28 litri.

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Come si chiamavano i primi abitanti di Bogno di cui abbiamo notizie; anche qui

partiamo ad analizzare il nostro documento dell‟anno 1000 ed i successivi e possiamo

elencare solo a titolo di curiosità i vari nomi senza avere la pretesa di ricostruire un

eventuale albero genealogico sino a quei tempi, in quanto impossibile, perché le

informazioni che abbiamo, determinate anche dalle usanze di quei tempi, sono molto

frammentarie ed incomplete.

Nei documenti si riportava solo il nome (anche questo in molti casi distorto od

abbreviato), il nome del padre e poche volte anche il luogo di provenienza.

Il cognome come lo intendiamo ai nostri giorni venne in uso solo secoli più tardi,

quando si introdusse la proprietà privata e quindi era richiesta una più dettagliata e

precisa distinzione per la conseguente eredità.

Anno 1000 Guibertus, figlio di Dodone

1034 Remedio, detto anche Remizo, diacono della chiesa di S.Pietro, figlio di

Adalberto, di legge longobarda

1118 Alberto et Ugonis, fratelli e figli di Nazaro, di legge longobarda

Alda, figlia di Mauro Draco

1125 Pagano di Adamo Drago et Adilia, coniugi di legge romana

Aurico di Morone Vualfredi

Alda coniuge di Dagiberto

Giovanni di Albrico et Oliva, coniugi di legge romana

1145 Arnolfo del fu Vuibello, chierico di S.Pietro, di legge romana

Aurico e Viviano, fratelli, detti Spiringoni

Stratiacani

Otonis

1147 Ottone detto Guibeli e Alda, coniugi di legge longobarda

Loterio detto de Coco

1148 Ambrogio di Pietro Spiliado e Viviana, coniugi di legge longobarda

1159 Rodolfo di Daiberto e Richilda, sua moglie e Giovanni e Lanfranco loro

figli

1170 Ottone e Giovanni figli di Guibello e Guglielmaccio figlio di Ottone

1199 Viviano de Iura

Miscadino e Guidino, padre e figlio, di legge longobarda

1221 Lombardo de Maxerano

Giovanni de Gronio

Miscarino de Vira

Vivra de Legodano

Dai vari documenti si può osservare come i nomi di alcune famiglie appaiono più di

frequente sia come diretti interessati in atti di compra vendita, sia di semplici testimoni

o fideiussori.

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Ciò testimonia uno speciale rapporto con la chiesa Pievana di Brebbia.

Troviamo a partire dal 1199 Mazus de Mascerano come proprietario terriero; mentre più

tardi Pietro figlio di Pietro de Mascerano insieme al fratello viene investito a titolo di

massaricio di ben 32 terreni di proprietà della chiesa di Brebbia situati in Bogno, che

prima erano tenuti da Guido de Mascerano.

Conferma questa dei buoni rapporti fra Pieve e i de Mascerano.

Difficile dire se questa famiglia abbia dato il nome alla località di Masserano, o

viceversa, infatti troviamo anche dei terreni denominati de Mascarano e Cantone de

Mascerano.

In altri atti di compra/vendita ritroviamo membri della famiglia de Mascerano; Madius e

i fratelli Lombardo e Nigro vengono nominati massari di Guido da Calavate;

quest‟ultimo doveva essere persona di un certo rilievo sociale, in quanto nei documenti

è sempre citato con l‟appellativo di “Ser” o “Dominus”.

Tra le nomine a massari troviamo anche Maifredus, Trussus, Pagano figlio di Truso,

tutti appartenenti alla famiglia “de Legodano”.

Sia come massari che proprietari terrieri abbiamo i “de Vira”, “de Gronio”, fra i quali

Johannes nel 1220 viene indicato come console del comune di Bogno.

E‟ abbastanza facile intuire dove fossero le case ed i terreni dei Mascerano, visto

l‟esistenza attuale della via Masserano, mentre per i “de Legodano” si può supporre

siano le case nei pressi della Chiesetta di via Lago; in dialetto “la goda” o “legode”

Se vogliamo ricostruire il nostro albero genealogico il materiale più antico a cui

possiamo fare riferimento sono i registri di Battesimo, Matrimonio e Morte conservati

nell‟archivio parrocchiale, questi partono dai primi anni del XVII sec., e pur con

notevoli difficoltà a causa di una descrizione non molto dettagliata degli stessi, è pur

sempre una buona base di partenza.

I nomi dei terreni e delle località riportate sui documenti più antichi trovano riscontro

solo in alcuni casi con l‟attuale, troviamo : Peciole Caldirola, Silvani Planam, Binda de

sotto, Spanela, Pradale, Pradariolo, Subtus Lagodani, Closo de Lagodani, Bixii, Pezoi,

Toredana, Cagalli, Bedesco, Saxo, Folliaroni, Saxellum, Rianam de Canzello, ad

fontanam de Caldirola, Oro de Bosco, Oro de Binda, Brebiasca, Perzego, Cuvascam,

ecc.., approfondendo le ricerche in questo settore, ci potremmo trovare di fronte a delle

piacevoli curiosità.

Per dare una spiegazione a nomi di persona così diversi dagli attuali non dobbiamo

dimenticare che i Longobardi guidati dal re Alboino giunsero in Italia nel 568 e

raggiunsero le sponde del Lago Maggiore e quindi le nostre terre intorno al 572 e la loro

dominazione terminò nel 774.

Le tracce del passaggio di un popolo e della sua cultura e civiltà rimangono

inesorabilmente sul posto, come resti archeologici, sia materialmente che sotto l‟aspetto

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più immateriale sotto forma di usi, costumi, feste popolari, nomi di località e dialetti

locali.

Prendiamo in esame quest‟ultimo aspetto e partiamo da un nome diffusissimo in Bogno,

sia perché indica una località sia perché è il cognome di tanti bognesi: Binda.

Binda indicava una striscia di terra a campi o a bosco, e guarda caso il declivio della

collina di Bogno, verso Cardana, è proprio interrotto da una striscia di terra

pianeggiante, attuale via Binda; il nome ha corrispondenza con l‟antico tedesco

“bindan”,l‟attuale “binden”, da cui deriva l‟italiano benda, per non parlare del dialetto

“bindel”e “bindaa”, tutti nomi che hanno in comune il significato di striscia, nastro,

legare, avvolgere, ecc..

Molti nomi dialettali hanno affinità con il tedesco, in specie quello più antico,

vediamone alcuni:

“stain e stein” in tedesco pietra e “berga o bergen”, alloggio , protezione, per noi una

casupola di piccole dimensioni e malsicura è una stamberga.

Il “palk” (travatura, assito) diventa palco in italiano e “palchet” in dialetto per indicare

qualcosa di elevato.

“skur”, luogo coperto, riparo, in dialetto prende vari significati “skur” per indicare il

buio o le imposte esterne delle finestre e con la variante “skuroo” un piccolo locale buio

senza aperture, ed anche il luogo buio e chiuso della chiesa dove viene riposta l‟Ostia

Santa il venerdì santo.

“stock”, tronco d‟albero, palo di sostegno, per noi è un travetto, puntello, di solito di

legno.

“bredel, predel” tavoletta, assicella piana – diventa “preda, predela, predelin”. Predella,

poggia piedi, sgabellino.

Proseguiamo con “skranha”, sedile; in dialetto “skagn, skagnet, skagnetin” sedia,

sgabello, sgabellino.

“scherpa”, in tedesco oggetto di valore, suppellettili; si trasforma nel nostro dialetto in

“schirpa” e diventa il corredo della sposa.

“federa e fazzjo” cuscino, cencio, straccio; diventa la custodia dell‟imbottitura del

cusino e “fazulet” il fazzoletto.

“skaus” lembo di un abito; diventa nella forma dialettale “scusàa”, grembiule; “scoss” e

“scusalina”, qualcosa che sporge, come il grembo materno o il davanzale di una

finestra.

Il Longobardo “supfa” sta a significare una specie di polentina; per noi e la “supa”,

minestra; il “thanf” vapore, fumo; da noi diventa “tanf” per aria viziata, puzza “tanfa”,

odore sgradevole.

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“asks” e “bras”, cenere e brace; da noi rimane invariato per la brace “bras” e diventa

“barnasch” per la paletta del camino adatta a rimuovere la cenere.

Da “krupp” nodo, deriva “grop” nodo, “grupaa” annodare “gropa” schiena, “grupun”

grossa schiena adatta a sopportare grossi carichi.

Lo stesso vale per “sterz” manico dell‟aratro; da cui deriva “sterz” sterzo, “sterzaa”

girare,”sterza” movimento brusco che provoca dolore.

Nomi come “skid” pezzo di legno e “stee” piolo, verga si sono tramutati nel nostro

dialetto in “skaia” scheggia e nei derivati “skaià” scheggiato, “skaiun” qualcosa di

lungo e magro e “steck” per indicare un lungo e sottile pezzo di legno come

stuzzicadenti o anche persona magrissima.

Anche la caccia e la pesca ci tramandano nomi derivati dal vecchio linguaggio

longobardo, come “trappa” trappola e “wada” rete da pesca da cui derivano i vari

“trapula” “trapun” e “vadin” trappola, talpa e attrezzo da pesca.

Varie le voci che fanno riferimento al corpo umano “nappja” naso, “strozza” gola,

“mago” stomaco, “skena” osso; diventano “canapja” grosso naso, “canapiun” nasone,

“struzaa” strozzare, “struzin” usuraio strozzino, “stroz” termine del gioco delle carte,

“magun” stomaco del pollame o dispiacere, rimorso, magone, nodi di pianto,

“rosmagun” il pettirosso,”skena” schiena.

A questo punto sembra chiaro da quale origine derivi il nostro dialetto, si potrebbe

proseguire con un lunghissimo elenco, ma limitiamoci a pochi altri esempi:

“slita” slitta ; “slita” “slitaa” “slisigaa” “slisigun” slitta, slittare, scivolare, scivolone.

“bera e beran” barella da portare; “barela” “bara”, barella, lettiga, bara.

“strae” teso, tirato; “strack” “stakàa” stanco, stancare

“gram” “list”,triste, irato, astuzia; “gram” “lest” persona o cibo cattivo,veloce,rapido.

“slahn” pazzo; “bislac” uomo strano.

“blauz” nudo; “biot” nudo, “sbiutaa” denudare, “balabiot” poco di buono.

“bison” puntura di insetto; “bisii, bisiàa”, puntura di insetti o di serpi, “bisa” biscia.

“skrafjan” grattare; “sgrafignaa” grattatare o rubare, “sgrafignada” graffio.

“slappon” divorare, inghiottire; “lapàa” mangiare velocemente, “lepàa” leccare, “lapa”

loquacità.

“trinkan” bere ; “trinkàa” bere eccessivamente.

“shahnan” fendere ; “skanàa” e “spakàa” scannare, rompere.

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“thukkjan” pigiare ; “trucàa” schiacciare il terreno.

“skerzan” scherzare ; “scherz” “scherzaa” scherzo, scherzare.

“storna” stornire ; “storn” “sturnii” sordo, assordare . . . e si potrebbe continuare.

A livello amministrativo il Comune era inteso come un‟organizzazione che gestiva

terreni e diritti comuni a tutta la popolazione; in un atto del 1209, in apparenza simile ad

altri, Goffredo de Monte, i fratelli Pietro e Giovanni de Monte, Ugeto figlio di Picino de

Monte et Ugo detto Cillina, tutti di Bogno, cedono dei terreni alla Chiesa di Brebbia.

In questo documento si legge “actum est hoc in loco Bunio in illo loco ubi vicini

conveniunt”; l‟atto e redatto quindi in Bogno nel luogo in cui i vicini (intesi come

proprietari terrieri) si radunavano abitualmente.

Ciò dimostra l‟esistenza di un luogo di riunione dell‟assemblea per la discussione dei

problemi che interessavano la comunità, con ogni probabilità era la pubblica piazza.

In atti del 1220 e 1265 Johannes de Gronio e Dominicus de Spazingono vengono

indicati come “consule et castaldo domini Archiepiscopi in ipso loco Bunio” ciò

dimostra come l‟organizzazione comunale di Bogno è strettamente collegata al potere

esercitato dall‟Arcivescovo di Milano sulle nostre terre.

In un documento fra i più antichi riguardante la popolazione di Bogno, non troviamo

nulla di diverso dall‟attuale, infatti si parla di tasse; già nel 1346 la comunità di Bogno

doveva contribuire, non si sa in che modo e in che misura, alla manutenzione della

strada di Rho, detta strada che univa Milano con il Verbano percorreva in pratica

l‟attuale statale del Sempione.

E‟ interessante notare che il 22 Agosto 1537 durante la visita pastorale dell‟Arcivescovo

di Milano alla Pieve di Brebbia, viene annotato che in Bogno vi sono 5 fuochi, cioè

famiglie patriarcali, e precisamente:

Baptista di Ronche masar et consule

Pedrolo da maserano masar

Andrea della piaza masar

Felipo della Binda masar

Bapta della godda masar

Da questo documento si deduce la presenza di un console, quindi un responsabile della

comunità, e della mancanza dei cognomi come intendiamo oggi.

In uno degli atti di fondazione della Parrochia di Bogno in data 17 Luglio 1581 rogato

da Gerolamo Luvino appaiono in qualità di Console, Evangelista della Godana di

Battista; Sindaci il Sig. Giulio De Ferrettis del fu Sig. Bernardo e Gian Giacomo della

Binda di Gian Angelo; Sindaco Generale, Giuliano de Angelono di Angelone.

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Sicuramente fra gli abitanti di Bogno non erano certamente tutte rose e fiori, ma degli

screzii più o meno gravi si verificarono anche da noi, come d‟altronde pensiamo siano

successi in ogni paese.

Nell‟Archivio Parrocchiale si è ritrovato un documento in cui si parla in modo chiaro di

un tentativo di incendio andato a vuoto in data 26 9bris 1658; mentre il 18 Genaro 1659,

notte seguente circa alle otto hore, l‟attentato incendiario alla casa dei Cochiti in Bogno

riuscì e causò ingenti danni.(Vedi Allegato 12)

“Il manoscritto si limita alla pura annotazione del fatto, non fa ipotesi sui motivi che

avrebbero spinto qualcuno ad appiccare il fuoco, nè ci sono altri documenti a chiarire

il mistero su questo antico fatto di cronaca che riporta a momenti non proprio

tranquilli nei rapporti interpersonali fra gli abitanti dei nostri paesi.”

Come si misurava il tempo?

Sino ai primi anni del 1800 le giornate erano divise anch‟esse in 24 ore, come

attualmente, ma non terminavano od iniziavano alla mezzanotte, ma bensì al tramontare

del sole; pertanto l‟inizio del giorno era variabile e seguiva il mutare delle stagioni.

Quindi la prima ora del giorno iniziava approssimativamente alle 9 di sera durante

l‟estate e circa alle 6, sempre di sera durante l‟inverno.

Era anche frequente indicare l‟orario partendo dal sorgere del sole, quindi per esempio,

“hora quarta” individuava che il sole era già sorto da 4 ore: in questo caso si usava

specificare anche se si trattava di ora di giorno o di notte.

Evidentemente in quei tempi durante il trascorrere della giornata non era necessario

conoscere con precisione il trascorrere del tempo.

Nel 1751 il comune era infeudato al Conte Giulio Visconti, cui si corrispondevano 35

lire all‟anno per ragione feudale.

Non vi risiedevano giudici.

I giudizi si tenevano presso il Podestà di Gavirate, cui si dava un contributo annuale di 7

lire, 6 soldi e 6 denari.

Il Comune non aveva consiglio generale né particolare.

Gli ufficiali erano il Cancelliere, che risiedeva a Besozzo, il console e i sindaci, che

cambiavano ogni anno.

Quando si doveva prendere decisioni rilevanti per la comunità, il console dava avviso ai

capifamiglia e li convocava nella pubblica piazza, in un giorno feriale.

Le scritture comunali si riducevano al libro del catasto, ai riparti annuali dei carichi e

delle ricevute di pagamento.

In seguito all‟unione temporanea delle provincie lombarde al Regno di Sardegna, in

base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di

Bogno con 473 abitanti, retto da un consiglio di 15 membri e da una giunta di 2

membri,fu incluso nel Mandamento VII di Gavirate, Circodario II di Varese, provincia

di Como.

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Alla costituzione nel 1861 del regno d‟Italia, il comune aveva una popolazione residente

di 476 abitanti.

In base alla riforma dell‟ordinamento comunale del 1865 il comune veniva

amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio.

Da un documento del 1877 Bogno aveva

39,80.00 Ettari di bosco, di cui

29,59.08 Comunali

e 10,23.92 Privati

Venivano allevati 131 bovini da parte di 47 proprietari

121 ovini “ “ “ 21 “

Non risultavano allevamenti di cavalli e suini.

Nel 1927 il comune di Bogno terminò di essere autonomo e venne aggregato al

Comune di Besozzo e inserito nella nuova provincia di Varese.

Quanti erano gli abitanti? Un primo dato ci viene fornito dal liber cronicon parrocchiale

ed indica nel 1748 la presenza in Bogno di 281 anime, di cui 197 comunicate.

Un forte incremento si ebbe nel 1780, si giunse in poco più di trent‟anni a 401 abitanti.

Nel 1911 si raggiunse quota 893 ed al 31 dicembre 1944 in totale in Bogno vi erano 780

abitanti più 220 sfollati a causa della guerra.

Un contributo importante per la conoscenza dei nostri antenati ci è fornita da un

censimento effettuato in data 3 – 4 luglio 1865 dall‟allora Parroco Don Gioachino

Trabattoni.

Da questo registro, compilato con molto scrupolo e precisione, sono evidenziate l‟età

delle persone, il loro stato civile, le parentele, ecc… e ciò permette di ricavare varie

osservazioni.

Il totale degli abitanti del Comune di Bogno erano 489.

La popolazione era decisamente giovane, ben il 64,20 % era inferiore ai 30 anni.

Solo 10 persone avevano un‟età superiore ai 70, di cui una sola superava gli 80.

Il più anziano del paese era il Sig. Binda Farè Innocente di Giovanni, nato in Bogno il

28 dicembre 1780, quindi di quasi 85 anni; morì 5 anni più tardi il 12 maggio 1870.

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Analizzando più a fondo i registri dei morti conservati nell‟Archivio Parrocchiale

possiamo notare che la mortalità infantile era sicuramente la causa maggiore di morte

infatti sino alla fine dell‟800 i bimbi che non riuscivano a raggiungere il primo anno di

vita erano una percentuale oscillante dal 29 al 43 % di tutti i morti della parrocchia.

Non è poi, una volta superato il primo anno, che la vita si presentasse più rosea, infatti i

pericoli di morte rimanevano anche con il passare degli anni, se pensiamo che nei

periodi analizzati non raggiungevano i 10 anni ben il 55 – 65 % dei bambini;

proseguendo nell‟analisi si deduce che a secondo dei vari periodi il 68 – 76 % dei

Bognesi morivano prima di aver compiuto il quarantesimo anno di vita.

Con l‟inizio del „900 la situazione migliorò un poco pur rimanendo una mortalità molto

alta in specie se confrontata coi nostri giorni, la mortalità nel primo anno di vita era

scesa al 18 %, chi non superava i 10 anni era il 28 % circa e circa il 58 per cento

riusciva a superare la soglia dei quarant‟anni.

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La causa della morte sui registri parrocchiali è segnalata solo in circa il 35 per cento dei

casi, e nella maggior parte in modo sommario, come ad esempio: dopo lunga malattia,

improvvisamente ecc…

Una delle maggiori cause di morte erano le varie epidemie che si abbattevano

periodicamente sulle popolazioni e sicuramente Bogno non ne fu esente, ma solo per

l‟anno 1654 è indicata la causa di morte per colera di ben quindici persone.

Oltre alle grandi epidemie tipo colera, peste ecc. è da tener presente, anche se ai nostri

giorni non causa più alcuna paura, le varie forme influenzali che puntualmente

sopraggiungevano con i primi freddi ed a causa della mancanza di antibiotici portavano

ad aggravamenti della malattia sino alla morte.

I cognomi più diffusi erano : Binda n° 151 pari al 30,88 %

Mattioni n° 45 “ 9,20 %

Realini n° 20 “ 4,08 %

Sartori n° 18 “ 3,68 %

Marzetta n° 17

Fondini n° 17

Del Motto n° 16

Giubellini n° 14

I nuclei abitativi erano n° 42, identificati con dei numeri civici progressivi, in alcuni

casi sono indicati per esempio: 10.0 – 10.1 – 10.2 – 10.3 ecc…, evidentemente per

distinguere le abitazioni all‟interno di uno stesso cortile.

Le cascine sparse per il territorio del Comune oltre al numero civico, sono indicate

anche con il nome; troviamo infatti:

Cascina Rii Cascina Ratt

Cascina Costiole Cascina Bojoni

Cascina Duri Cascina Bozza

Cascina Nuova Cascina Pampagana

Cascina Brocchino Cascina Alfieri

Cascina Marsciè

La frazione “Molino della Bozza”, del comune di Brebbia, apparteneva alla Parrocchia

di Bogno, e quindi rientrò nello stesso censimento.

Il totale degli abitanti della Frazione Molino della Bozza era di 45 persone.

A proposito dell‟età della popolazione, valgono le considerazioni fatte per il comune di

Bogno.

Per quanto riguarda i cognomi, la fanno da padroni:

i Binda con 21 persone, paria al 46,66 %

e i Bardelli con 14 persone, pari al 31,11 %.

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Un numero così elevato di persone con lo stesso cognome (Binda), ha portato

inevitabilmente al formarsi di soprannomi; infatti troviamo i Binda Pidinetto, i Binda

Farè, i Binda Topia, . . . di David, . . . di Vigna, . . . di Vanangelo, . . . della Piazza, . . .

Patan, . . . Boff, ecc…

Nel „900 i soprannomi si estesero anche ad altri cognomi e divennero il riconoscimento

ufficiale dei varii gruppi familiari (Patan, Bulgitt, Brisit ecc..).

Le origini di questi soprannomi sono state fra le più varie; se ad esempio il marito

partiva per le Americhe in cerca di fortuna senza dare sue notizie per anni, la moglie

Valeria rimasta a casa doveva provvedere da sola a mantenere sè ed i propri figli

divenendo in realtà il vero capo famiglia; per logica conseguenza i figli e discendenti

divennero “quei dii Valeri”.

Altro esempio i “Leura”, il nome deriva da una antica usanza, ancora di moda in diversi

paesi del meridione d‟Italia, di esporre all‟esterno dell‟abitazione un segno, in genere

una frasca, un ramo di pino o un simbolo che sta ad indicare la possibilità di poter

acquistare prodotti alimentari di loro produzione (olio, vino, verdura, frutta ecc.).

Anche in Bogno si verificava ciò quando il vino di propria produzione era superiore ai

propri bisogni, si esponeva il segno e si procedeva alla vendita e se uno di questi faceva

qualcosa di nuovo e di originale attaccando sopra la porta una bella lepre imbalsamata,

automaticamente i discendenti di tale famiglia divennero quelli del “Leura”.

In queste osterie “a termine” si vendeva praticamente solo vino, infatti la maggior parte

rimaneva aperta solo pochi mesi da Ottobre, dopo la vendemmia e vinificazione, sino ad

esaurimento e prosciugamento delle botti.

Da ricordi tramandatoci sappiamo che nei primi decenni del „900 ben nove erano le

osterie aperte contemporaneamente in paese; infatti partendo dall‟incrocio con la strada

provinciale Brebbia/Monvalle, salendo per la via Lago già alla prima curva ed alla

prima casa ci si poteva dissetare, sino a poco tempo fa si poteva leggere ancora sulla

facciata, sebbene sbiadita, l‟indicazione dell‟osteria.

Si doveva poi raggiungere il termine della via Lago per trovare il secondo punto di

ristoro “alla Croseta”; mentre le altre erano dislocate: all‟inizio della via Masserano,

quella del “Leura”; all‟inizio della via Monteggia “ul Tabachin” e proseguendo per la

stessa via “l‟Oropa” che in seguito assorbì “ul Tabachin”, prendendone anche il nome;

più avanti il “Circolo Cooperativa”; scendendo dalla Piazza verso la Chiesa si trovava

subito un‟osteria rimasta aperta sino ai primi anni ‟60, ultimamente detta “dell‟Oliva”;

più avanti all‟interno di un cortile si trovava l‟osteria “degli Americani”; l‟ultima di

queste osterie si trovava di fronte alla cappelletta di via Monteggia, prima della discesa

per Brugusciolo.

L‟andare all‟osteria era l‟unico svago del paese per la popolazione maschile adulta ed

anche se non vi era un vero e proprio divieto, la sola entrata in osteria di un ragazzo o di

una donna era sicuramente mal vista.

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Il clou delle presenze era sicuramente la domenica pomeriggio, oltre a bere si poteva

giocare a carte (i giochi preferiti erano: scopa, briscola e tresette) e a “morra”

quest‟ultimo gioco però provocava enormi discussioni che sfociavano in molti casi in

rissa, specialmente se i partecipanti avevano già bevuto in abbondanza, tanto che le

autorità ne proibirono la pratica in luoghi pubblici,

Come abbiamo detto il vino che si vendeva nelle nostre osterie era in prevalenza di

produzione propria quindi ognuno di questi poteva avere un sapore diverso a secondo

del produttore, ma una caratteristica comune a tutti era la bassa gradazione alcolica

dello stesso, che non consentiva una lunga conservazione, infatti verso la primavera

sulla superficie del vino conservato in damigiane o botti non era raro il formarsi di una

specie di muffa “faa ul fior”, primo segnale di una prossima trasformazione dello stesso

in aceto.

La bassa gradazione alcolica consentiva di poterne bere anche in quantità elevata senza

gravi danni per la salute, infatti un vecchio detto diceva che “bisogna beven una

brenta18

per ciapàa la cioca”.

Il vino nella cultura popolare aveva un ruolo di primo piano nell‟alimentazione

giornaliera, oltre che piacevole al palato era ritenuto molto energetico, infatti lo si

prescriveva agli ammalati, e anche disinfettante, perciò veniva aggiunto all‟acqua da

bere; acqua che nella quasi totalità proveniva da pozzi pochi profondi e quindi

facilmente inquinati.

Il vino veniva consumato da tutti i componenti della famiglia, per donne e bambini con

aggiunta di acqua, puro per gli uomini, servendosi per la mescita non di bicchieri ma

della “tazina” (scodella).

Per questo motivo si destinava buona parte del terreno coltivabile alla coltivazione

dell‟uva piuttosto che ad altre produzioni.

Nel corso dell‟ottocento la coltivazione della vite ha subito un gravissimo danno, e non

solo la nostra zona, ma l‟intera Europa ha rischiato di rimanere per sempre priva della

sua produzione vitivinicola.

La causa di ciò è stato un minuscolo insetto la “filossera”.

Dopo la scoperta dell‟America si iniziò a importare in Europa varie e nuove qualità di

piante alimentari che si mostraro utilissime, tipo la patata, il pomodoro, il mais, ecc., ma

con loro purtroppo entrarono clandestinamente anche molte varietà di parassiti ed insetti

che si svilupparono molto velocemente anche a causa della quasi inesistente lotta

antiparassitaria e della mancanza totale di insetticidi.

18

Brenta = misura di capacità per liquidi = 75,55 litri

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Inoltre si organizzavano speciali viaggi alla ricerca delle più svariate qualità di piante,

tanto che era diventata una moda particolarmente apprezzata il poter mostrare nel

proprio giardino le più strane piante provenienti da paesi lontani.

I Re di Francia non vollero essere da meno e spedirono il loro giardiniere, Jean Robin,

alla ricerca di nuove piante esotiche, fra le tante importate, una che porta il suo nome

“Robinia”, si diffuse tanto rapidamente anche a causa delle sue caratteristiche, di veloce

crescita e di essere ottima legna da ardere, tale da divenire in breve tempo la varietà più

diffusa in Europa.

La filossera trovò facile presa sulla vite, ne attaccava le radici e ne procurava

l‟essicamento della pianta nel giro di poco tempo.

Fu una vera calamità tanto che il Governo dovette intervenire con sovvenzioni ai

contadini che avevano subito una tale sventura.

Con Decreto Legislativo n°19192 del 15 Ott. 1856 anche al Comune di Bogno venne

assegnato un indennizzo, da dividersi fra i coltivatori, di £. 1912,80 per gli anni 1854 –

1855 ”quale compenso in causa di fallito prodotto delle uve”.

Si pose rimedio a tale disastro importando dall‟America pianticelle di vite, che

risultavano immuni all‟attacco della filossera, ed innestandovi le varietà di vite

nostrane.

Tale calamità in Europa perdurò per oltre 50 anni e fu debellata solo quando

praticamenta la coltivazione vitivinicola fu rinnovata completamente

Alcune osterie rimanevano aperte tutto l‟anno, oltre al vino di propria produzione

offrivano ai propri clienti vino che importavano dal meridione d‟Italia in special modo

dalla zona di Trani nelle Puglie, tanto che in alcuni paesi e specie in Milano in nome

Trani divenne sinonimo di osteria; questo tipo di vino aveva una gradazione alcolica

decisamente superiore a quello prodotto nella nostra zona e ciò portava a grosse

ubriacature a quelle persone che non volevano perdere le abitudini di berne in quantità.

In conclusione spero di non aver soddisfatto appieno tutte le voglie di sapere e di

conoscenza sul Nostro paese, ma di averne semplicemente stimolato la curiosità per far

si che ognuno di noi sia invogliato a ricordare e riportare ciò che è di loro competenza,

perché è con l‟insieme di tante piccole cose e ricordi che si può risalire alla storia di un

paese pur piccolo come il nostro, cioè la Nostra Storia.

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APPENDICE

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Appendice 1

Archivio della Curia Arcivescovile di Milano

Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia

--------------------------------------------------------------------------------------------------

----

Vol.2 q.15:

1567 ÷ 1574 - Elenco del clero e osservazioni sui disordini morali

nella pieve f.5r

Questo elenco del clero, con le seguenti interessanti osservazioni, e' stato

scritto dal vicario Contorbia, come dice l'annotazione archivistica alla riga 2. Si

può collocare tra il 1567 e il 1574, periodo del prevosto Gentile Besozzi.

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f.5r

Pieve di Brebia et Lugiuno

[nota archivistica] scrittura del Contorbia

Il Reverendo preposto di Lugiuno non ha cherico che lo servi all'altare

Messer pre Nico Besozzo canonico di Brebia pontatore della collegiata

| 5

Messer pre Giovan Jacomo Besozzo canonico di Monà pontatore in quella

collegiata

Messer pre Filippo Crivelli vice rettore di Tarnà pontatore alle congregazioni

Il Reverendo messer pre Gentile preposito di Brebia pontatore a funerali

Messer pre Giovan Jacomo canonico di Monà

messer pre Alluiggi Rettore di Cocho atti ad esser notari nella

|10

messer pre Ettore Besozzo pieve di Brebia et Lugiuno

Messer pre Battista Asconini Rettore in Mombello

Messer pre Giovanni Antonio Comabio

Messer pre Antonio Feretto canonico di Brebia

Messer pre Francesco Carnagho mastri di choro

|15

Messer pre Giorgio Bazzo mastri delle cerimonie ambrosiane

Messer pre Battista Asconini di Mombello a tutte le feste e funerali

Messer pre Aluigi Rettore di Cocho

Messer pre Francesco Carnagho per leggere et insegnar a cherici

Messer pre Battista di Mombello per repettere le lettioni

|20

Il prevosto di Brebia per substituto in licentiar per andar a Milano

Messer Pietro Antonio Besozzo depositario delli terzi et d'ogni altro per la pieve di

Brebia

Messer Giovan Battista Besozzo di Lugiuno per depositario ut supra nella pieve

Niuno si trovi hora atto a parrochiale

- confessori nella pieve di Brebia:

|25

Il preposto di Brebia

pre Aluiggi di Cocho

pre Ettore Besozzo

pre Giovanni Antonio rettore di Comabio

pre Bartolomeo rettore di Cardana

|30

pre Bartolomeo cu.... di Cardana

pre Bernardino di Bardello

- confessori nella pieve di Lugiuno:

Il prevosto di Lugiuno

Il Carnagho soprascripto

capellano di Mombello

5,7 - pontatore=puntatore, il religioso che annotava i presenti e gli assenti nelle

riunioni e cerimonie religiose.

21 - terzi: le terze parti delle prebende dei canonici non residenti, che per

disposizione di S.Carlo dovevano essere versate al capitolo.

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f.5v

- capelle titulari vaccante con carico di cura nella Pieve di Brebia, et gli huomini

paghino il sacerdote:

chiesa di santo Quirico Parrochiale di Tarnà vacante

Chiesa di santa Margarita di Cazagho

Santo Hippolito e Cassiano di Comero

Santo Vito di Bogno

| 5

Santo Cosmo e Damiano di Osmà

Santo Martino di Bregano

- chiese alpestre nella pieve di Brebia .... di £ 35 l'anno le 2 prime in tutto, né si sa

chi li havesse in titulo:

Santo Michele di Malgesso

Santo Paolo di Brebia

|10

Santo Nazaro di Turro

- Canonicato già di messer Francesco Bianco nella pieve di Lugiuno vacante, cesso

per messer Giovanni Andrea Castilione, di £ 30 l'anno, usurpato dalli Padri di santa

Caterina del Sasso da anni 9 in qua

- atti ad intrar nella canonica:

Messer pre Andrea Gabardo di Cocho

Messer pre Alessandro Ferreto di Bogno

|15

Per impiegar in cure hora non vi si trovi persona nelle soprascripte pieve atto.

Le paghe delli Rettori d'ambi le pieve nei funerali sono diverse: altri di ss.10 per

volta, altri ss.4 et ss.5, altri niente, se ben li dolenti si trovino in modo.

Nella pieve di Brebia non vi è uso di quarta per non esservi frati; |20

quella di

Lugiuno vi è l'uso della quarta nei funerali con li Padri di santa Caterina del Sasso.

In ambi le pieve di Brebia et Lugiuno si pesca, si macina, si stendeno bugade, si

secchi il grano nelle feste indifferent... et alle volte si careggi. Il medemo usasi nella

pieve d' |25

Angera et Arona, et li marescharli ferrino li cavalli, et alle vendemie si

portino le uve a casa.

Le feste di voto è consuetudine ?iudarsi nel ?plicio del stato li sacerdoti che si

troverano la maggior parte il resto lo ...... il clero

-------

24 - si careggi: si fanno trasporti

25 - marescarli: maniscalchi

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f.6r

Le communità d'ambi le pieve di Brebia e Ludegiuno, quando li essecutori della

Camera reggia o d'altro li venghino per essequir contra loro per debiti camerali, vano a

primo volo a pignorare li massari delle chiese mandati dalle communità, se ben li | 5

massari per il lor havere hanno pagato, il che porta grandissimo preiuditio al clero; saria

bene inhibire che si stessero, il che si puotria fare con un publico edito, o vero a ciascun

curato darli provisione di usarle alle occorrenze.

Gli medici osservano la bolla di Nostro Signore quando visitano li infermi.

- di Besozzo inconfessi dui anni sono:

|10

Il signor Alessandro Besozzo concubinario

Polissena sua concubina

Jacomo del Torcio

sua moglie (consenzienti)

Marcellina già concubina del detto Besozzo, |15

quale per non essersi partita di casa

di quello non si vol confessar per la mormoratione.

Antonio Maria Ronchino per inimicitia seben egli è stato l'offendente per un anno

(tutti di Besozzo)

La volpe di Cocho publica meretrice inconfessa per detta causa.

|20

Il preposito di Brebia fu della prepositura sua provisto dal Illustrissimo alli 14

marzo 1567 per una cessione fattali da pre Pietro Martignono come si vede dalla stato

de' sacerdoti.

Il preposito di Lugiuno è stato provisto a Roma da Paolo 4/1555 per una

ressignatione fattali da messer Lionardo suo fratello ultimo preposito di quella |25

(dies

deest culpa dicti prepositi qui diem illius ommissit)

La vita cristiana pocco si essercita dal clero per colpa delli figliuoli che non venghino

alle feste quantunque pregati siano.

In Besozzo si sol predicare tanto et non altrove in dette pieve.

---------------------------

9 - bolla: dopo 3 visite il medico doveva controllare che il malato si fosse

confessato e comunicato

21 - il prevosto precedente, Pietro Martignoni, era stato condannato alle galere

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Appendice 2

Archivio della Curia Arcivescovile di Milano

Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia ------------------------------------------------------------------------------------------------------

Vol.13 q.14:

>1574 - Nota degli annuali che si facevano a Brebbia ed ora

si fanno a Besozzo f.2r

1567÷1572 - Elenco dei canonici residenti nella canonica di Brebbia f.3r

Elenco dei canonici assenti f.3v

Sottoscrizioni di mano di vari canonici f.4r

Nota dei conti delli terzi scossi per me Gentil Besozzo

da 1567 a 1571 f.7r

Nota dei canonici assenti dalla pieve o dalla canonica f.9r

-o-

Il quinterno e' datato tra il 1567 e il 1572 dal Palestra, evidentemente in base ai

periodi in carica dei vari canonici elencati, tuttavia gli elenchi di decime e di annuali

nei primi 2 fogli sono posteriori al 1574. La scrittura e' di mani diverse.

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f.2r

Besozzo

Anualli che si faceuano nella chiesa collegiata

di Brebbia et adesso si fanno nella chiesa di Bes.o

per il medemo cap^lo trasferto à Besozzo

5 Adi 28 di genaro Anualle per d'no Regnerio Preuosto

Adi 20 di Marzo Annualle per D.pre Andrea Besozzo

Adi 28 d'Aprile Annualle per D.Beltramo

Adi 5 de Maggio Annualle per D.filipo de Corte

Adi 10 de Maggio Annuale per D.Giouanina Besozzo

10 Adi 11 de Maggio An^le per D. Paulino Besozzo

Adi 16 de Maggio An^le per D.Giouanni del vezza di Brebia

Adi 26 de Maggio Annuale per D. Bernardino can.co

Adi 3 de Giunio Annualle per D. Arnaldo di Brebbia

Adi 18 de Giunio Annualle per D. Ubaldo Preuosto

15 Adi 3 de lulio Annualle per D. X^poforo di Cardana

Adi 17 de lulio Annuale per D. pre Jacomo de Cadreza

Adi 30 Agosto Annualle per D. Madalena Besozza

Adi 14 de 7^bre Annualle per D. Guido Preuosto

Adi 19 de 7^bre Annualle per D. Giouanni de Jntragna

20 Adi 1 de 8^bre Annualle per D. Alberto Preuosto de Cocho

Adi 5 8^bre Annualle per D. pre Andrea de Brebbia

Adi 23 de 8^bre Annualle per D. Pietro Ant.o da Brebbia

Adi 2 de 9^bre Annualle per D. Giouanni de Gauira

Adi 12 de 9^bre Annualle per D. lafrancho rastello de Bes.o

25 Adi 15 de 9^bre annualle per D. Aldrico de Boscha

Adi 22 de 9^bre annualle per D. pre Giouanni

-o-

2 - il titolo ci permette di datare questa nota a dopo il 1574.

18 - Guido: risulta un Guido prevosto di Brebbia nel 1323.

20 - "Alberto prevosto di Cocquio"= risulta un Alberto prevosto di Brebbia nel 1208;

forse e' questo (naturalmente sarà stato un Besozzi!)

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f.2v

Adi 24 9^bre vn Annualle del quale non si puo ueder il

nome per la uechiaia della scritura

Adi 27 9^bre Annuale per D. Andr. preuosto

Adi 3 x^bre annuale per D. lanfranco preuosto

5 Adi 17 x^bre annuale per D. leonardo Bessozo

Adi 20 x^bre Annualle per Adam Besozzo

-o-

4 - Lanfranco: risulta un Lanfranco prevosto di Brebbia nel 1152.

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f.3r

Bona resid.ae

Residentes in Canonica

Brebie

R. D. Gentilis Besutius Prepositus

5 eius Prebenda est in loco Triui

saghi est redditus ------------------------ y 80

R. D. Preb^r Petrus Antonius Ferettus

Canonicus. eius Prebenda est

in loco bonij, est redditus -------------- m.a 12

10 et brete .3. de uino et pagha scuti

set' de Pensione al sig.r Gio: Tanello y 41 ss 6

Ferarese con uno agrauio de dar

una refectione al Capitolo de Bre=

bia et a tutti gli homini de Bonio

15 cio e uno per casa

R. d. Preb^r Bernardus Ferettus Cano.us

eius Prebenda è Decima Malgessij

est redditus ------------------------------- y 45

super qbus fit Pensio scutor. sex

20 R.do D'no Don Paulo santello man=

tuano --------------------------------------

R. D. Preb^r Georgius Batius Can^icus

eius Prebenda est in loco Bregani

est redditus modior. quindecim m.a 15

25 super qbus fit pensio librar. 40 y 40

D'no Eurialo Glusiano scriptor Archi=

uij -----------------------------------------

-o-

La questione della "residenza" era importante a quell'epoca perché il Concilio di

Trento aveva imposto l'obbligo della residenza in sede per tutti i titolari di benefici

(curati, canonici, cappellani ecc.) mentre invece prima spesso il religioso non risiedeva,

godendo però la prebenda.

E' interessante l'elenco delle "prebende", l'allusione alle "pensioni" (subaffitti delle

prebende?) e inoltre il fatto che ci sono dichiarazioni di pugno dei vari canonici, il che

ci permette di identificare la loro scrittura.

6 ecc. - y=abv.di lire

9 - m(odi)a

11,19,25 - pensione=?

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76

f.3v

R. D. Preb^r Nicho Besutius Canonicus

eius prebenda e^ in loco Bonij est

redditus modior. duodecim et brentar. m.a 1

.3. uini super quibus fit prandium br. 3

5 unum Capitulo Brebie et uni pro

qualib^ familia supras^pti loci bonij

R. D. Petrus Maria de Tognetis de Brebia

Canonicus et Custos eius Prebenda

est in loco Cardane eius redditus

10 est librar. ------------------------------- y 28

Can^i Absentes

R. D'nus Luduicus Besutius

R. D. Antonius Castrobesutius

R. D. Theodorus Castrobesutius

15 R. D. Preb^r Hector besutius

D'nus Constantius Besutius

D'nus Ambrosius Besutius

Jo: Maria Besutius de Cocho dictus il ciola

R. D. Preb^r Antoninus de Tognetis

20 R. D. Fran.cus

Clapis Can^icus in Ecc^a s.ti Ambrosij M^li

R. D. Fran.cus

Argenteus seminarij Clericus

-o-

Tra i canonici assenti troviamo Gio.Maria Besozzi di Cocquio detto "il ciolo" (che

tra l'altro era sposato con figli) e inoltre notiamo che spicca massiccio il gruppo dei

Besozzi, che evidentemente non si degnavano di stare in un posto decaduto come

Brebbia.

18 - Gio.Maria Besozzi detto "il ciola": e' citato nello stato d'anime del 1576 al n.72 di

Cocquio, con moglie e tre figli, però il soprannome "ciollo" non e' suo, ma di

M.Francesco Besozzi. Tra l'altro, la noncuranza con cui, qui e altrove, si cita il

soprannome "ciollo/ciola", fa supporre che non avesse connotazione ingiuriosa o

ridicola; a meno che non fosse un soprannome "familiare", quindi tramandato di

padre in figlio.

20 - addirittura un canonico di S.Ambrogio di Milano!

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77

f.4r

Canonicatus tres vacant, qui sunt redditus

librar. octo pro singulo ------------- y 8

Mazaconicatus

R. D. Preb^r Petrus de Tognetis

5 Mazaconicus

Cimiarcha

Jacet in dicta Ecc^a Capella s.te Margarite

quam possidet R. D^nus luduicus Besutius

predictus

10 Jo Gentil Besozzo affermo essere stato affittato

per M.pre Pietro Martignono come di sop^

et ne rogat. M. Gio: Pietro luino hora

affitato per me mozia dodeci et cara duoi

vino et lib^ sedeci et cosi affermo per la

15 verita

Jo prette pietro ant.o ferretto can:

co ressidente nella

ss.ta can:

ca dico cauare li frutti ss.

ti della prebenda

dil mio can:to

con il carico como di sopra et

per fede mi sono sottoscritto di mia mano per

20 Ego p^br Bernardinus Cas ut supra affirmo ut supra et

subscribo

Ego Preb^r Georgius Batius affirmo ut supra

-o-

5,6 - mazzaconico (insegnante) e cimiliarca (custode delle reliquie): due cariche

antichissime nel capitolo di Brebbia.

10,16,20,22 - le dichiarazioni sono scritte dai vari interessati.

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78

f.7r

Adi 17 marzo 1572

Hauuto dal s.' Gio: Ambrosio besozzo

di bardello in due partite

v.di

21 per un ------------------- J 123 ss 16

5 Jtem da q^lli di malgesi per il 3.o

del Can.to

del Caculo per l'

anno 1572 v.di

6 J 35 ss 8

---------------

J 159 ss 4

---------------------------------------------------------------------------------------

La spesa delli ss.ti

10 Denari per me fata

Dato alli maestri cio e M.ro

Pietro di cure di lugano

p^nte M.ro

Thomaso della

caldana di accordio v.di

15 21 br^ due vino per far

rebocar' et inbianchir'

vna naue della chiesa

con le br^ due vino p'tiato v.di

2 J 135 ss 16

Jt. per calzina per me data in

20 particolar adaquata J 8

Jt. alli lauoratori J 4 ss --

---------------

J 147 ss 16

-o-

Questa pagina fa parte della "Nota dei conti delli terzi scossi per me Gentil Besozzo

da 1567 a 1571"; si tratta di note spese interessanti. I "terzi" significano "le terze parti"

delle varie decime, assegnate ai singoli canonici; quelli non residenti, per decreto di

S.Carlo, furono obbligati a versare alla plebana un terzo della prebenda.

4 - v.di

= scudi; lo scudo corrente era lo scudo d'oro di Carlo V, del valore di Lire

imperiali 5 e 3/5; qui però e' calcolato £.5 e soldi 18.

13 - Mastro Tommaso della Caldana: e' citato nello stato d'anime del 1576 al n.11 di

Caldana; nello stato del 1577 e' detto "muratore". Compare inoltre in alcuni atti

notarili conservati all'ASMI.

15 - br(ente)

19 - calzina=calcina

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79

f.7v

10 [1574] 1573 per il 3.o

del Can.to

del bracho per

la x.ma

de inarsio per me

scossi J 36 J 36 ss

Li q~lli Denari sono stati spesi

15 in andare a Mil^o per ordine

del Capitulo tre volte et

dare a procuratori nella

causa contra M. Polidoro

Horighono per Deffender la x.ma

-o-

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80

f.9r

y^hs

Notta delli Canonici et altri Beneficiati

Absenti dalla Plebe di Brebbia

prima: m. Fran.co

Argenteo

5 M. Jacobo Pedrino

M. Prete Bernardo Feretto

M. Theodoro Besozo

M. Fran:co

Clapis

M. Jacomo Boniperto

10 M. Gio: Maria Besozo da Coco

M. Ant:o Maria besozzo capellano di s:

ta maria di besozzo

M. prospero colona Cappell:o titulare della Nontiatione della Vergine di

besozo

Absenti dalla Canonica sono gli infras:ti Cioe

M. Prete Hector Besozo

15 Jl s.r Ludouico Besozo. Canonico et Capelano della Capella

di s.ta Margaritta in detta Canonica

M. Prete Antonino Tognetto

M. Pietro Maria Tognetto

M. pre Jo Ant:o besozzo capellano titulare di Carnisio absente dalla

20 diocesi

M. Pietro Ant:o besozzo capell

o di s:

to Ant:

o di besozzo

-o-

12 - Prospero Colonna: sarà poi nominato prevosto da S.Carlo dopo la visita del

1574.

19 - assente dalla diocesi: in realtà stava poco distante, a Caravate (diocesi di Como),

dove era curato, e comunque usurpava la cappellania.

11,12,19,21 - queste righe sono di mano del Contorbia, priore di Besozzo e poi vicario

foraneo della pieve dal 1574.

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Appendice 3

Copia autenticata della fondazione della Parrocchia

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Appendice 4

Specifica delle spese sostenute dal Parroco di Bogno P.te Gioachino Trabattoni per

l'ingrandimento della Chiesa Parrocchiale di Bogno e di varie altre fatture alla med.ma

Chiesa di rimborsarsi dalla med.ma Chiesa e per essa dalla Fabbriceria al sud.to Parroco

come d'intelligenza della stessa Fabbriceria=

L'opera incominciò col giorno 28 Luglio 1846 e terminò col giorno 31 ottobre 1846.

1846

28 luglio alla Fornace di Cabiaglio .. 12 di calce £.2:10 Mil.£ 30

id. a Giò Antonio Tatti per varie condotte di acqua, sabbia pagato. 6 .10

1 Ag. a Vincenzo Beltramini di Azio muratore giornate 3.2/4 a £. 2:5 8 8 9

a Francesco Fondini per giornate 3. 2/4 da manovale a £.1.2 " £ 3 17

8 al med.mo capo mastro Vinc, Beltramini p. g.te 7

assieme al suo fratello muratore " £. 15 10

10 al picapietre di Besozzo per g.te 6 pagato " £. 14

12 al falegname giò Batta Fondini per g.te 2 ".£. 4

16 dal 1 agosto al 16 in cibarie cioè pane e formaggio ai condottieri

di mattoni, sabbia, agli scava sabbia fuori del vino, che si noterà in fine " £. 8 5 6

14 al sud.to capo mastro Vinc. Belt.ni per giornate 5 " £ 11 5

id. ad altri due muratori cioè Eugenio Beltramini e Francesco Vincenti

i Azio pagato per g.te 5 cad.no a £.2 cad.no .".£. 20

15 al falegname sud.to Fondini per assi da esso ceduti alla Chiesa. 7

22 Agosto pagato ai muratori per g.te 18 " £. 37 10

25 alla fornace di calce di Cabiaglio pagato per ... 15 a £. 2.10 al peso " £. 37 10

a Venanzio Binda Toppia consegnato per pagare i manovali come nella sua specifica, essendosi

convenuto coi parrocchiani che giusta la destinazione del sud.to Venanzio Binda agente comunale si

sarebbero prestati nei lavori da manovale, e per altre opere occorrenti, ed avrebbero ricevuto dal

med.mo quella mercede al sabbato, che si saranno meritato giusta la qualità dei lavori, e delle persone

che avranno lavorato,

consegnato il g.no 13 agosto " £. 28 7 6

29 al med.mo Binda Toppia Venanzio da pagare come sopra 24 15

31 a Giovanni Mattione detto Gian per giornate 25 .... dal

principio a questo giorno 18 15

dal 19 al 31 agosto per cibaria come sopra a tutto, meno il vino, speso 8 4

4 settembre pagato ai muratori per g.te 37 delle quale n°12 a £. 2.5 77

5 a Giò Ant.o Tatti per 5 condotte di acqua " £. 1 5

5 al sud.to falegname Fondini per giornate 4 " £ 8

Mil.£. 377 2 9

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retro somma Mil.£. 377 2 9

5 sett.bre al sud.to falegname Fondini per assi da lui

venduti alla Chiesa pagato " £. 4

6 al picapietre di Besozzo per g.te 2.2/4 pagato 6

13 al sud.to falegname Fondini per fattura delle due mezze

lune e porticina per le donne pagato 30

al med.mo falegname Fondini per altre opere a fattura 5

14 a Giò Ant.o Tatti per n° 20 condotte d'acqua a 10 ... cad.no 10

al med.mo per condotte di mattoni dalla fornace 2

17 Dal 30 agosto sinora in cibaria agli uomini condottieri mattoni etc

. e scavatori sabbia in tutto speso 17 8

17 a Venanzio Binda Toppia pel suindicato oggetto consegnato 50

id. al sud.to Binda Toppia pel il suindicato oggetto consegnato 2 10

18 ai muratori due sud.tti per g.te 18 a £. 2 36

id. al sud.to Capo mastro Vin. Belt. per g.te 5 11 5

id. al falegname Fondini per g.te 4.2/4 £. 9

id. al med.mo per altre g.te a £. 1.15 2 12. 6

id. al med.mo per altre g.te 6 a £.1 6

in tutto pagate £. 17 12 6

27 a Gaetano Miglierini per g.te 6 6 12

idem a Baldassare Giubellini per g.te 2 2 8

idem a Fortunato Fondini e Binda David Pietro di Canzio

in tutto giornate 6 ass. 18 5 12 6

30 dal giorno 17 al 30 Sett. per cibaria come sopra in tutto speso 5 14 6

idem alle fornaci di Ispra di calce ... 38 in due volte cioè al 21 e

27 pagato alla med.ma per altri ... 18 in tutto ... 56 in tre

volte pagato 121 10

26 settembre pagato ai muratori sud.ti per g.te 8 a £. 2 16

id. pagato al capo mastro sud.to per giornate 6 a £. 2.5 13 10

idem pagato al falegname sud.to per g.te 6 a £. 2 £. 10

idem al med.mo per altre g.te 6 a £. 1.15 10 10

idem al med.mo per altre g.te 3.2/4 a £. 1 3 10

pagato 24

Il giorno 3 Ottobre 1846 pagato a Baldassare Giubellini per g.te 6 5 8

idem a Giovanni Binda Vanangelo per g.te 6 a ... 18 5 8

idem a Binda Pietro di Canzio per g.te 6 a ... 15 4 10

idem al sud.to falegname Fondini Battista per g.te6 a £. 2 £. 12

idem al sud.to per g.te 6 a £. 1.15 £. 10 10

in tutto 22 10

idem al muratore Binda Eliseo per g.te 6 a £. 1 £. 6

idem al sud.to capo mastro Vincenzo Beltramini per g.te 6 a £.2.5 13 10

idem agli altri due muratori sud.ti per g.te 12 a £. 2 pagato 24

Mil. £. 845 11 3

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Somma retro Mil. £. 845 11 3

Il giorno 3 ottobre pagato a Giò Antonio Tatti per condotta d'acqua

ed altra dalla fornace per condotta quadrelli, in tutto pagato 3 4

idem a Francesco Binda Rossetti per giornate 3 a .... 18 pagato 2 14

idem a Antonio Binda Farè per giornate 2.2 pagato 2 15

5 8bre per cibaria agli uomini pel suindicato oggetto dal g.no 1 al 5 3 15 6

6 ottobre a Binda Eliseo muratore per giornate 1 pagato 1

8 idem a Giò Ant.o Tatti e Sartori Francesco per due condotte

dalla fornace in tutto 2 14

idem a Ferretti Pietro per 3 condotte d'acqua pagato 1 5

idem a Gaetano Migliarini per aiutare a condurre acqua pagato 10

10 idem al sud.to Capo Mastro per giornate 6 a £. 2.5 pagato 13 10

idem agli altri due muratori per g.te 12 a £. 2 pagato 24

idem a Binda Eliseo muratore per g.te ...

questi venne pagato dal Binda Venanzio sud.to idem a

Baldassare Giubbellini per giornate 6 a ... 18 pagato 5 8

Idem al sud.to falegname Fondini Battista per g.te 6 a £ 2 12

Idem al med.mo per altre g.te 6 a £ 1,15 10 10

18 ottobre al sud.to Capo Mastro Vinc. Belt. per g.te 6 a £.2.5 13 10

al suo fratello Eugenio muratore per g.te 4 a £. 2 pagato 8

idem al sud.to falegname Fondini Batta per g.te 2 a £.2 = £. 4

idem al medesimo per altre g.te 2 a £. 1.15 =£.3.10 in tutto pagato 7 10

idem al sud.to manovale Pietro Binda per g.te 6 a ... 15 " 4 10

idem a Francesco Binda Rossetti per g.te 3 non compiute ... 18 2 10

idem a Giubellini Baldassare per g.te 1 pagato 18

21 ottobre al sud.to falegname Batta Fondini per g.te 1 e2/4pagato 2 17 6

23 ottobre a Binda Toppia Eliseo muratore per g.te 5 pagato 4 10

idem al sud.to Binda Pietro manovale per g.te 4 e 3/4 pagato 3 10

il g.no 7 8bre per calce fatta venire dalla Rasa ... 12 a £. 2.12.6 31 10

il g.no 25 ottobre a Giò Antonio Tatti per 7 condotte gerone a..5 cad. 1 15

idem a Giubellini Baldassare per g.te 2 e 1/4 pagato 2 6

idem a Francesco Binda Rossetti per g.te 4 e 2/4 " 4 11

idem a Francesco Giubellini per g.te 3 e 2/4 pagato 3 3

idem a Binda Giovanni Venanzio per g.te 1 pagato 18

idem a Franzetti Alessio per g.te 6 pagato 5 8

dal g.no 18 al 31 Ottobre il sud.to Capo Mastro Vincenzo Belt ha fatto

gionate n°11 a £. 2.5 quindi pagatogli £. 24 15

Ottobre 31 a Binda Francesco Rossetti per g.te 3 pagato 2 14

idem a Baldassare Giubbellini per g.te 2 pagato 1 16

Mil. £. 1059 12 9

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Somma retro di Mil. £. 1059 12 9

31 ottobre a Binda Eliseo muratore per g.te 2 pagato 2

idem a Binda Pietro muratore per g.te 2 " 1 10

Il g.no 18 agosto per vino provveduto dal M.R.S.Coadiutore di Besozzo

Brenta 1 a £. ... pagato al dud.to a mano della Fabbriceria di Bogno 21 5

Riguardo poi a tutto l'altro vino tanto prima del sud.to giorno 18 come dopo .......

il sud.to vino provveduto, fu tutto comprato del mio vino, dandone un boccale al

giorno ai singoli muratori e falegnami, n°3 bicchieri agli uomini di giornata,

ai caratori nella loro condotta ed anche agli scava sabbia, del quale mio vino

tenuto esatta nota dal mio servo Felice Sartori ha rilevato essersene consumato,

compreso anche il vino occorso per il suolo della nuova fabbrica a fianco dell'Altar

Maggiore, Brenta due, staja due .... uno. Diconsi B.te 2 St. 2 ..... 1 che a

Mil. £. 26 come l'ho venduto ad altri formano la somma di 73 15

Il g.no 5 ottobre al fornasajo di Beverina sotto Besozzo

Tanchino Giovanni acconto dei materiali somministrati alla

Chiesa pagato Mil. £. 77 17 6

Il giorno 25 ottobre 1846 dato al med.mo fornasajo altre £. 113

Il g.no 28 febbraro 1847 pagato al med.mo fornasajo a

pieno saldo di tutta la sud,ta somministrazione £. 7

Il g.no 19 novembre 1846 al fabbro ferrajo di Besozzo a conto

delle fatture di ferro, e ferramenta somministrati alla Chiesa

come da sua specifica pagato £. 56 15

a Crescenzio Binda Toppia per vetri alla mezza luna, ed

alle finestre come da specifica pagato 24 10

Il g.no 25 9bre 1846 a Binda Toppia Venanzio per avere egli

speso del proprio di più di quanto a lui consegnato da me come

qui sopra notato nel pagare i lavoratori come da sua specifica

pagato a pieno saldo Mil. £. 36 7 3

Il g.no 10 Dicembre 1846 pagato a Delmenico Giovanni Svizzero

fornasajo in Besozzo per somministrazione di materiali come

da sua specifica Mil. £. 74 5

Il g.no 12 Dicembre 1846 pagato al fabbro ferraio di

Besozzo Giovanni Biganzoli a pieno saldo della sua

specifica di £. 194.3 altre Mil. £. 125

Il g.no 14 Dicembre 1846 pagato al Sig. Natale Passera

della Bozza per somministrazione di assi, ..... ed.altre

come da sua specifica Mil. £. 90

Mil. £ 1762 17 6

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Appendice 5

Comune di Bogno = Mandamento di Gavirate

Dichiaro io sott.o Colombo Giuseppe di professione

pittore domiciliato in Varese di aver fatto in pittura le

seguenti operazioni di restauri a nome e commissione della

Fabbriceria di Bogno alli

I° ai quattro busti intagliati a £. 10 cadauno £. 40

II° all'immagine della Beata Vergine in detta Parrocchia £. 30

III° alla statua di S.Giuseppe – vero capolavoro, altre £. 30

del totale importo di £. 100

E ho ricevuto dalla sudetta Fabbriceria

di Bogno a mano del Sig. Parroco

sud.to D. Gioachino Trabattoni,

l'intiera predetta somma

In fede

Colombo Giuseppe

Pittore

Bogno adì 19 Agosto 1876

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Appendice 6

Dalla Pia Causa Monteggia dal 7 febbraio 1844 pella distribuizione ai poveri di Bogno giusta

l'intenzione del testatore Pio Parroco a mezzo dell'amministratore Sig. Paolo Pirinoli di Besozzo

a tutto il 1847 incluso ho ricevuto la somma in varie volte di mil. £. 1938,10 = della quale

somma al 31 Dicembre 1847 come da mie annotazioni nei singoli mesi di essi anni compreso

l'importo dei medicinali ho distribuito mil. £. 1755.0.3

rimanenza dunque da distribuire ancora mil. £. 183.9.9

1849 10 Maggio dall'amministratore ricevuto " 200

14 Settembre " 200

1850 18 Aprile ricevute dal medesimo " 69

5 Giugno ricevuto, altre 2 Luglio 1850 ricevute altre " 131

1850 27 Agosto " 200

dal 1 Gennaio 1848 in avanti, nulla più avendo ricevuto dall'amministratore

med.mo pella distribuizione rimangono in cassa da distribuire £. 983.9.9

Distribuito dal 1 Gennaio 1848 a tutto febbraio 1848 £. 45.1

in Marzo ed Aprile " 18.17

Maggio e Giugno " 19.8

Luglio ed Agosto " 15.15.6

Settembre ed Ottobre " 17.3

Novembre e Dicembre " 41.6 .

In tutto il 1848 mil. £. 157.10.6

Distribuizione 1848 mil.£. 157.10.6

in tutto l'anno 1849 " 299.15

" " " 1850 " 277.10.9

" 734.16.3

nel 1851 distribuito " 94.15

in tutto il 1852, 1853 " 13.10

843.01.3

1851 in gennaio £. 40.18.3

febbraio " 2.16

marzo " 6.8

aprile " 9. 7.9

maggio " 3. 9

giugno " 14.11.6

luglio " 3.13

Agos, Sett, Ott, Nov, Dic. " 13.11.6

94.15. --

Quindi ricevuto in tutto compresa la

rimanenza al 31 Dicembre 1847 di mil. £. 183.9.9

in totale da distribuire mil. £. 983.9.9

Dal 1 Genn. 1848 a tutto il 1853 - 843.1.3

rimarrebbero da distribuire mil. £. 140.8.6

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96

Appendice 7

Archivio della Curia Arcivescovile di Milano

Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia

--------------------------------------------------------------------------------------------------

------

Vol.6 q.20:

1636 - Relazione dei danni subiti per l'incursione della

Lega antispagnola

Intestazione f.1r

Lettera di accompagnamento del visitatore; Besozzo f.2r

Inarzo e Bernate f.4r

Cazzago f.4v

Ternate f.5v

Comabbio f.6v

Osmate f.7v

Cadrezzate f.8r

Travedona f.8v

Brebbia f.9v

Biandronno f.10r

Bardello f.10v

Gavirate f.11r

Bogno f.11v

Carnisio f.12r S.Andrea f.12v

Cardana, Monvalle f.13r

Ispra, Cocquio, Comerio f.13v

-o- E' la bella copia dell'elenco dei danni subiti dalle chiese della pieve ad opera delle truppe

alleate di Francia, Savoia e Parma durante la Guerra dei Trent’anni; dopo la battaglia di

Tornavento (22 giugno 1636), dall’esito incerto, esse si sparsero a saccheggiare nel Varesotto

fino a metà luglio, e precisamente nelle pievi di Busto, Gallarate, Somma, Mezzana, Arsago,

Angera, Besozzo, Leggiuno e fino a Gemonio nella Valcuvia (diocesi di Como).

Nel vol.19 q.28 c'e' una minuta, con aggiunte e correzioni, e ci sono poi altri frammenti

della stessa relazione nel vol.6. In questa copia si trovano delle annotazioni a margine, prob.

scritte dal Vicario generale, riguardo alle sovvenzioni da concedere, limitate naturalmente allo

stretto necessario per la celebrazione delle funzioni.

Molti parroci riuscirono a salvare parte degli arredi sacri, fuggendo in genere al di là del

lago (Intra, Pallanza, Cannobio) ma anche a Luino o a Lugano. Il più efficiente fu il curato di

Ternate, che salvò quasi tutto e se la cavò solo con la perdita delle provviste, mentre il più

inetto fu il curato di Brebbia, anche a motivo della sua disabilità (era sordo). Il curato di

Biandronno si ritirò a casa sua in Valcuvia conducendo con sé il popolo. A Gavirate invece il

danno fu fatto non dal nemico, ma dalle truppe amiche provenienti da Varese.

Questa relazione e' indirizzata all'arcivescovo; l'inviato che scrive potrebbe essere il

visitatore della 2.a regione mons.Casati.

Questo documento e' già stato trascritto da L.Giampaolo sulla Riv.Soc.Storica Varesina,

luglio 1973.

La scrittura e' larga, rotonda e chiara.

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97

f.1r

Plebis Besutij

Relatione del Danno che hà patito

la seconda Regione, et del stato

nel quale si ritrova di presente

5 per l'Jncursione fatta jn essa

Da francesi. ~ alibi. 1636

-o- 3 - 2.a regione: la Diocesi di Milano era suddivisa in regioni, e la 2.a regione comprendeva le pievi

di Angera, Brebbia/Besozzo, Leggiuno, Travaglia e Cannobio.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

f.2r

Em.mo

et Reu.mo

Sig.re

Per essecutione dell'ordine col quale .V.E. mi comandò di

andare nelle

Pieui della seconda Regione, per uedere, et riferirgli li

danni che le chiese, et Clero di esse hanno patiti dall'

5 incursioni del nemico francese fatta puoco fà in questa

Diocesi, essendomi assicurato che solam.te quelle di

Besozzo,

Leggiuno, et Angera erano soggiaciute à tali incursioni

mi sono transferto ad esse, et hauendole transcorse tutte

à Terra per Terra, le ho ritrouate nel stato che hora

10 son per riferire à V.E. et è il seguente.

Pieue di Besozzo.

Besozzo.

Nella chiesa Prepos.le

Plebana di Besozzo per la uenuta

iui dell'essercito francese che ui dimorò undeci giorni

15 continoui, è seguito l'infr^o danno.

Si sono persi vna Pianeta di Damasco Bianco.

Segli dano Palij di seta n.° 10: Touaglie n.° 10.

scudi dieci Touaglie n.° 10. Pissidi n.° 2.

per rifare il Calici n.° 2. Vn Tabernacolo gestatorio. Tabernacolo gestatorio

-o-

16 - pianeta: veste del sacerdote

17 - palii: drappi per le varie funzioni

19 - tabernacolo gestatorio: adatto al trasporto, nelle processioni.

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98

f.2v

Cera per il ualore di scudi 30.

Rotto il Tabernacolo dell'Altare

Stracciate in Bende le Tapezzarie, cioe.

Pezzi di Corame n.° 4.

5 Leuati li coralli dal collo alla B.V.

Leuato dal Tabernacolo un Padiglione di Tela s.Gallo.

Leuate, et portate uia le canne dell'organo quale

hanno spezzato.

Li Vasi di Rame per seruicio della chiesa, et sacristia

10 in tutto, per il ualore di scudi 400.

Vn quadro di ualore di J 100.

L'altre cose più pretiose, cioe argenti, et paramenti

più pretiosi si sono conseruati.

Nella chiesa Di s.ta Maria jn Besozzo.

15 Auisare li padroni/ Capell.a Jusp'ronato De ss.

ri Besozzi.

Leuati calici n.° 2. con la coppa d'Argento.

Patene n.° 2. Corporali n.° 2.

Touaglie n.° 2. con un camice, et frontali 2.

Vn quadro di valore di J 200.

-o-

4 - corame: cuoio

17 - patena: piattino che si mette sotto al calice

17 - corporale: quadrato di lino su cui si posano le Specie eucaristiche e i vasi

sacri

18 - frontali: veli di tela frangiata per coprire gli altari

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99

f.3r

Nella Chiesa Di S.to

Antonio

Jusp'ronato Gio. Besozzo.

Hanno leuato Touaglie n.° 3.

Palio uno, frontale uno, et sciugatore uno.

5 Nella casa annessa à questa chiesa, la quale è la ressi-

S'auisino li denza del Theol.° di questa collegiata, hanno leuato

Patroni./ vino, grano, Biancaria, et Letti, in tutto per il

ualore de scudi 200.

Nella chiesa Di s.to

Nico jn Besozzo.

10 Vn calice con la Patena; Pianete n.° 3.

Camici n.° 2. Touaglie n.° 6.

Tutti li veli delli calici; seta lib^ 4.

Nella casa Prepositurale hanno leuato tutti li quadri

di ualore di J 400.

15 Brente di uino n.° 360.

Peltro, Rame, Biancaria, maiolica spezzata,

letti, alla somma computato il uino di scudi 1500.

Alli Massari della Prep.ra

, Bestie per il ualore di Δ.ti 350.

A tutto il capitolo, cioe Massa Ressidentiale sono stati

-o-

15 - 1 brenta = litri 75

19 - massa residenziale: beni del capitolo, ossia dei canonici residenti

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100

f.3v

abrugiati cinque massaritij, cioè uno nel luogo di

Osmate, duoi à Cadrezzate, uno in Brebbia, un'altro

in Jnarsi, insieme con tutti li frutti, che à quel tempo

si ritrouano raccolti, cioe frumento, segale, fabe,

5 auena, e simili, che sarà di danno alla detta massa

ressidentiale de Δ.ti 300. d'entrata per l'anno

presente, oltre quello della case abrugiate che si

doueranno reparare, et delli crediti che tiene il

Capitolo contro detti Massari.

10 Perciò si mette in consideratione à S.E. come puotranno

li Titolari, et massime li Capitolari far la ressidenza

et sodisfare alle altre obligationi, non potendo essigere

li frutti come sopra, sendo li Massari, altri abrugiati

altri amalati, altri sacchegiati, et leuate tutte le

15 Bestie, massime douendoseli dar da seminare, et non

dandosi restaranno li Beni inculti, et leuate l'entrate

per gl'anni seguenti.

Per i sodetti rispetti, et per il mancam.to

degl'habiti cho-

rali, la Ressidenza resta sospesa.

20 Besozzo farà fuochi n.° 150: sono statte abrugiate

case n.° 20. frà quali uene sono cinque de nobili, nel

-o-

15 - da seminare: mediamente si doveva metter da parte ¼ del raccolto per la

semina

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101

f.4r

capo della Terra. Le altre case sì del clero, et nobili

come del Popolo tutte sacchegiate, et leuato ogni cosa

fuori che qualche puoco di legname, puoiche quello

non puotero portare seco, et dispensare; lo gettor-

5 no nè Pozzi et lo dispersero alla peggio che seppero.

Jnarsi e Bernate.

Queste Chiese hanno un solo Curato il quale se bene al p.°

auiso che i francesi s'auicinauano alle sud.e Terre, si

sforzò di portare seco sopra le proprie spalle fugendo

10 le cose di mag.r ualore, ad ogni modo per la fretta non

puotè dar in parte al tutto, onde fù necessitato lasciar

l'infr^e, le quali restano preda del nemico.

Nella chiesa d'Jnarsi. Pianete n.° 7. Due di Damasco,

le altre di seta; Palij n.° 3. Camici n.° 2.

15 Touaglie n.° 5. Sciugatori n.° 2.

Jl Padiglione del Tabernacolo, con un Piuiale.

Jl Baldachino per portare il S.mo

Sac.to

agl' infermi.

Una Nauicella per l'incenso.

Trè frontali, vna continenza; sei lib^ di cera inc.a

20 Nella chiesa di Bernate; Touaglie n.° 2.

-o-

16 - piviale: indumento tipo mantello per celebrazioni liturgiche diverse dalla

messa

19 - continenza: velo per proteggere il Ss.mo

quando il sacerdote da' la

benedizione oppure lo porta agli infermi.

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102

f.4v

Vn Camice, vna Pianeta di seta.

Jl velo del crocefisso; lib^ 6. inc.a di cera.

Dalla Casa Parochiale, hanno leuato segale mog. 4.

et altretanti di frumento.

5 Tutta la Biancaria, Vino, Rame, Peltro, et altri

mobili, et utensilij, et doppò la Terra è anche tem-

pestato.

Jl Curato hà d'entrata J 300. l'anno che gli paga-

no gli huomini della Cura, parte in grano et

10 parte in uino, et parte in danari.

Per la metà Per suo solleuamento, questo Curato sup.ca

V.E. à far

della dozina gratia ad' un suo Nipote, per nome Carlo fran.co

Ran-

con che proueda zano, che hà in seminario della Dozena.

il uino per dir Le sud.e Terre hanno patito il fuoco in trè delle mi-

15 la messa et mi gliori Massarie, et faranno frà tutte due fuochi

nistrar i sacram.ti n.° 35.

Cazzago.

Jn questa chiesa sono statti usati termini straordinarij

di Hostilità.

20 Hanno spezzato il vase dell‟acqua Battismale

-o-

2 - 1 libbra (piccola) = gr.327

3 - 1 moggio = 8 staia = litri 146,2

6 - tempestato: grandinato

13 - la "dozzina" e' la retta del seminario, che paga il Curato per suo nipote.

Questo nipote e' citato nell'elenco dei chierici del vol.19 quint.33.

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103

f.5r

se gli diano li uasi e gettatala per terra; portati uia li vasi degl' oglij

degl'ogli sacri, sacri; Aperta una sepoltura, e gettatoui dentro

et una Pisside per un cane che ui è statto uiuo quindeci giorni,

gl'infermi./ spezzate le cassette, et Bussole, e leuate l'elemos.e

5 Portati uia duoi camici, vna Pianeta bianca

vna Pisside, tutti li Purificatori; la coperta

del Battist.° e dell'Altare.

Jl Curato hà conseruato il calice, et una sola Pia-

neta; si può aggiutare questa chiesa con la lic.a

10 di lauorare la festa, et in part.e di pescare, et

aplicare il guadagno ad'essa.

Sono fuori dei danari di questa chiesa da scudi cento inc.a:

hauer il nome procurare con precetti di rescuotergli, altrimente il

de debitori, et metter l'interdetto alla chiesa, sè frà tanto tempo

15 mandargli gli non si pagaranno. questo raccordo è statto datto da

precetti. alcuni Principali della Terra.

questa chiesa è in fabrica, et è in assai buon termine

et quest'anno si sono fatte dal Commune due

campane, et campanile, con spesa effettiua

20 di mille, e cento lire.

Jl Curato è rimasto dannificato nelle cose seguenti.

-o-

4 - bussole: cassapanche

6 - pisside: vaso sacro che contiene le ostie per la comunione

6 - purificatore: fazzoletto di lino 25x40 che serve nella messa per asciugare le

dita, le labbra, il calice e per purificare la patena e il calice

12 - sono fuori: cioè sono in mano a debitori

13 - precetti: ingiunzioni di pagamento

15 - cioè questa notizia e‟ stata data da alcuni notabili del paese

17 - la chiesa di S.Carlo di Cazzago era in fabbrica da più di trent'anni

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104

f.5v

Tutto il uino che haueua in casa, Due cotte,

Vna sottana, et la ueste Parochiale.

Tutta la Biancaria, Due Vacche, et un Vitello.

Tutta la Prouisione cibaria

5 formento st.a 12. et altritanti di legumi.

Abrugiata la casa del Massaro col grano che

ui era dentro del suo fitto, e però non sà con

che uiuere l‟anno seguente.

La sua entrata è de J 300. inc.a in tanti Beni,

10 et Primitia.

La Terra è abrugiata per un quarto

Ternate.

Questa Parochiale è statta anch'essa mal trattata

mà non al pari dell'altre, perche il Curato si

15 ritirò per tempo à Palanza, e portò seco le sup-

pellettili migliori di essa.

Gli hanno però leuato Palij n.° 5.

Vna Pianeta di seta Pauonazza.

Vn Piuiale di Damasco bianco.

20 Due Touaglie dell'Altare, et alcuni corporali.

-o-

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105

f.6r

Jl Tabernacolo gestatorio, Tutta la Cera, et Oglio,

Jl Curato hà perso tutto il mobile di casa, grano, uino,

fieno, et quanto haueua.

Hà d'entrata J 500. inc.a in tanti Beni, et Primitia.

5 Hà bisogno d'un Piuiale rosso, et d'un Tabernacolo

gestatorio.

Si diano scudi Jn questa chiesa al p^nte non si Batteza, perche

dieci da spen- hanno guasto il vaso Battismale, et dispersa

dersi nelle cose l'acqua.

10 piu necess.e con quest'anno questa chiesa sè abbellita più di quello

participat.e del era, et si è incominciata la cinta del Cimiterio.

ver... Jl s.r Gio: Besozzo in chiasc.° giorno di uenerdì è tenuto

far celebrare una messa in questa chiesa, al qual

Procurar che si obligo un pezzo fà non si sodisfa, si puotria ap-

15 sodisfi plicare il decorso per la reparatione delle sud.e cose

Similm.e i sig.

ri Trecchi da Verano membro di questa

Jl Promotore de Cura deuono far celebrare tutti i giorni festiui di

legati pij precetto, et trè feriati per settimana, mancano

faci le sue per trè anni dalla celebrat^ne; Jl curato dimanda

20 dilig.e l'essecutione anco per questi, perche in tal modo

si solleuarebbono uno puoco li sacerdoti uicini, da quali

-o-

20 - l‟esecuzione: giudiziaria, cioè che siano costretti a pagare

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106

f.6v

si farebbono dire le messe mancate, et per questo

effetto si puotrebbono sequestrare i frutti presso gl'

affittuarij de d.i signori, nel medemo luogo di

Varano.

5 Comabio.

Per l'occasione sud.a questa chiesa è statta spogliata de

duoi Palij, vna Pianeta, vn Camice,

Duoi Padiglioni del Battist.°, vna Pisside picciola

per gl'infermi, tutte le Touaglie dell'Altari.

10 J Purificatori, et Candeglieri d'ottone.

L'Jmagine della B.V. spogliata à fatto.

Jl resto della supellet.le

è statta conseruata dal Cur.°

che la portò seco à luino, oue si ritirò.

Dalle case del Cur.° sono statte leuate br^e .18. di uino

15 trè letti, con un matterazzo, Peltro, Rame,

Maiolica, jl tutto per ualore de Δ.ti 50.

Centanara .50. di fieno condotto uia, et Dieci

vanelli di tenuta di br^e 3. e 4. l'uno.

quatro Mogia di grano ch'hauea in casa.

20 Per l'abrugiamento delle case de massari

-o-

17 - 1 centinaio = 100 lib.grosse = kg.76,25

18 - vanelli: tinozze

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107

f.7r

in un partito ha perso mog.a 8. et st.

a 4. segale.

et mog.a 2. formento; in un'altra partita mog.

a 4.

segale, et 2. formento, in un'altra partita mog.a

4. segale, et st.a 4. formento.

5 Due Vacche di prezzo di J 120.

Vn paio de Boui tolti alli Massari di ualuta di J 200.

Vn scrittorio di ualuta de J 125.

Danno Dato Alla Capella, et

Capell.° Della stessa chiesa

10 Di Comabio.

Alla capella hanno leuato una Pianeta di Damaschino

et un camiso con suo Amito, cordone, stola, et Mani-

polo, Due Touaglie tolte giù dagl'Altari.

e la coperta degl'Altari, et Ancona.

15 Al Capellano hanno leuato sei mog.a di segale che

haueua in casa, cinque che gli restaua il Massaro

al quale l'hanno leuato i francesi, et strame per

dieci scudi; sei brente di uino, una cotta,

tutta la Biancaria, tutti gl'Vtensilij di casa.

20 Jl danno che seguirà per non essersi puotuto seminare

il miglio, et coltiuare il già seminato.

-o-

14 - ancona: pala d‟altare

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108

f.7v

et per le messe mancate nel tempo che è statto absente.

Questa Terra hà patito danno dal fuoco per un terzo, et

è de fuochi n.° 50.

Osmate.

5 Sono statte leuate à questa Parochiale, Pianete due di

rasetto di uarij colori, Duoi camisi, vn calice,

vna Pisside, Duoi corporali, Duoi veli da calice.

Si proueda di Duoi veli d'Altare, gli vasi degl'oglij sacri.

un calice con Al Curato è statta tolta tutta la Biancaria,

10 la coppa d'argento. vna Veste, et un Mantello.

Hà d'entrata J 500.

Jn questa Terra che è de fuochi 19. sono abrugiate

quatro case de Massari.

Jl Curato si ritirò à Lugano per 12 giorni,

15 Jl mag.r bisogno che habbia questa cura adesso è

d'un camiso, d'una Pianeta, e dei vasi degl'oglij

sacri, non essendoui in essa alcuna forma di proue-

derui, per la pouertà dei Parochiani, i quali fugen-

-do andorno dispersi per le montagne uicine, lascian-

20 do in preda le loro case, et mobili al nemico.

-o-

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109

f.8r

Cadrezzate.

Questa Parochiale non hà patito molto danno quanto alle

cose della chiesa, perche il curato che hebbe tem-

po di ritirarsi à Canobio, portò seco tutto il meglio

5 di essa.

quei puochi paramenti che per esser uecchi lasciò à

dietro, li hanno fatti in pezzi, et anco spezzato l'

ostiolo del Tabernacolo sopra l'Altare, qual'erà

uoto; furno aperte le sepolture, et spezzate le

10 pietre di esse;

Sono abrugiati duoi terzi, e più di questa Terra

la quale farà fuochi 45.

Jl Curato hà perso tutto il grano che è il mag.r neruo

di tutta la sua entrata; cent.a 40. di fieno.

15 Tutta la Biancaria, et Mobile.

Jl danno in tt.° sarà de Δ.ti 400.

questo Curato è ben nato, et hà buoni talenti, e già

hauea sup.to

.V.E. per il bisogno che hà di assistere alla m^re uecchia, et à duoi suoi fr^elli, et ad'una sorella che

tengono casa

20 in Ml^no, et hora di nouo hum.te

gle né fà instanza

-o-

8 - ostiolo: porticina

10 - le lastre di copertura delle tombe

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110

f.8v

Trauedona.

Sè bene il Curato nel principio di questi romori partendo dalla

Cura per andar à Locarno, oue si ritirò, portò seco tutte

le robbe più pretiose di essa, hà però patito la perdita,

et

5 danno delle seguenti.

Spezzatagli l'inuitriata auanti l'imagine della B.V.

leuandogli dai Deti un'anello d'oro, et duoi d'argen-

-to, e dal collo della medema due fille de coralli,

di peso di on^ 4. et da dosso, vn manto fatto à fiori

10 con li Pizzi d'oro fino, e più leuato l'oro fino dalle

vesti della stessa B.ma

V.

Spogliato il Bambino che hà in braccia d'una uestina

di Brocatello, et anco toltagli la tenda che si

tiraua auanti la d.a s.

ta Jmagine.

15 Due Touaglie all'Altare di s.Rocho.

La Tenda dell'Ancona del med.° Altare.

La coperta del crocefisso di ormesino cremesino

con li pizzi d'oro attorno.

Libre 30. di cera noua.

20 quatro corporali, jl Turibolo, et Nauicella.

-o-

9 - 1 oncia = gr.27,2

17 - ormesino: tela leggera di seta, detta anche "moire" alla francese 20 - turibolo: attrezzo per bruciare l‟incenso, formato da una navicella sospesa a tre

catenelle

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f.9r

Vna Pianeta di Raso giallo.

Vn'altra di veluto nero con lauori d'oro.

Vn Camice frusto, Due Borse degl'oglij santi.

Le frangie d'oro, et seta de duoi Palij.

5 Jn sagrestia, rotto il Vestiario, et Bussola.

Vna continenza di uelo con oro falso.

Al Cur.° sono statte leuate le infr^e robbe.

Brente n.° 6. inc.a di uino rosso, et bianco.

Abrugiata una saletta inferiore, un Lettera, Letto,

10 et Paiazzo.

Stara .10. segale, vna caldara di tenuta d'una brenta.

Molti pezzi di ferro per uso della casa.

Vn' Letto con li cossini.

Vn sacco de Panni per inuerno, qual'era riposto

15 nella sagrestia, con una coperta noua.

questa Terra è de fuochi 72., et hà patito il fuoco

senon in due case, il resto però è stato tutto sac-

chegiato.

L'entrata del Curato è de J 800.

20 questa chiesa è in fabrica, et à quest'hora è fatta

del tutto la capella mag.re;

il resto bisognarà

-o-

5 - vestiario: armadio

9 - lettéra: telaio di legno del letto

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f.9v

aspettare mag.r bonazza di tempo per compirlo.

Nella chiesa di Monate membro di questa Parochiale

hanno portato uia le sac. reliquie, et non altro,

per esser quella chiesa pouera.

5 Jl capellano di Monate haurà patito danno per

mobili rubati in casa circa J 100.

Brebbia.

La Parochiale di Brebbia ha hauto l'infr^o danno.

Gli hanno leuato dai calici due Pissidi

10 Vna pianeta et il Tabernacolo gestatorio, Turibolo, et Nauicella

di caneuazzo bianco Sedelino dell'acqua santa, Palij 3. duoi di

di seta. il velluto, et uno d'ormes.° bianco.

s.r faccio la darà./ quatro Pianete, Duoi veli con frangia d'oro.

Vn velo di Camisi, e tutta la Biancaria della sagrestia.

15 calice, et un Jl Baldachino di velluto con frangie d'oro.

corporale./ li vasi degl'oglij sacri, la lampade.

Jn somma questa chiesa è rimasta spogliata d'

ogni cosa fuorche d'un Pallio.

questi danni si puotranno riparare in parte con

20 far fare che gli debitori della chiesa paghino

-o-

11 - sedelino: secchiello

13 - sig. Faccio: citato anche al f.12r, prob. era il tesoriere della visita

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f.10r

et di già si sono fatti consignare al s.r Preuosto di

Besozzo Vicario foraneo dieci scudi, da un debitore

della chiesa per comprare un calice, et una Pis-

side per gl' infermi.

5 Jl Curato hà perso tutto il suo mobile, grano, et uino,

per il ualore de scudi cento.

Gli sono abrugiati trè sedimi di case dei Massari

della chiesa.

Si ritirò à Jntra, e non portò seco cosa alcuna, è inha-

10 bile à fatto à far cura d'anime per esser sordo,

per il qual rispetto anco è accaduta à questa

chiesa tanta rouina.

è abrugiata la metà della Terra che farà

fuochi 45.

15 Biandronne.

questa Parochiale hà patito puoco danno cioe solam.te

Delle Touaglie dell'Altare et

Se gli crompino Dei vasi degl'oglij sacri, De duoi ueli d'ormesino

li uasi degli ogli con frangie d'oro, e della continenza.

20 sacri./ L'Jmagine della B.V. è restatta spogliata del tutto.

-o-

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114

f.10v

Jl resto della suppellettile si è conseruato per opera del

Curato chel nascose, il quale si ritirò à casa sua

in Valcuuia col suo Popolo che lo seguitò.

Jl Curato hà patito il danno de scudi 25. ò 30. inc.a

5 per il uino, et mobile che gli fù leuato.

questa Terra non hà patito danno alcuno dal fuoco

Bardello.

Magiore è statto il danno di questa, perche essendo

10 statta colta alla sprouista, non hebbe tempo di

dare in parte à cosa alcuna.

Gli furno però leuati gli vasi degl'oglij sacri fatto in Pezzi il ciborio del Battist.°

Tutta la cera che sarà pesata lib^ 15.

15 Camisi 3. con suoi amiti et cordoni.

Duoi corporali, Tutti li Purificatori.

quello che è rimasto, cioe calici, Pissidi è

tutto guasto, perche nel nasconderli, si rup-

pero per far la cosa in fretta.

20 Jl Curato hà patito danno de tutto il suo mobile

-o-

13 - ciborio: coperchio del fonte battesimale

15 - amitto: indumento liturgico di lino che copre il collo e le spalle del

sacerdote

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f.11r

Tutte le cotte, et vesti, Biancaria

Brente 24. di uino, tutto il grano

Abrugiate 3. cassine della chiesa con un

Torchio di valore in tutto di scudi 800.

5 questa Terra farà fuochi 25. et è abrugiata la

metà.

Gauirate.

questa chiesa non hà patito alcun danno da

francesi per la diligenza del Curato che essendo

10 più lontana delle altre, hebbe tempo di tras-

ferire ogni cosa in luogo sicuro.

Ma il danno l'hà patito il proprio Curato nella

Si diano al casa, et nella persona da quelli di Varese, et di

Curato dieci Biumo, il capo de quali fù Carlo Carcano, qual

15 ducatoni./ sotto pretesto di perseguitare i francesi, entrò

hostilm.te

nella casa Parochiale, la quale

spogliorno à fatto di quanto si trouaua dentro,

sì di grano, e uino, come de suppellettile, prouis.e

cibaria, et d'ogn'altra cosa.

20 Dà francesi però, sono rimaste abrugiate in questa

-o-

1 - cotte: tonache

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116

f.11v

Terra case 17. et farà fuochi 130.

Bonnio.

questa Parochiale hà patito il danno d'un Palio et

Si diano alla Touaglie 3. Cotte 2. Vn camise, et sciugatori .5.

5 chiesa J 40. Vn Baldachino per il s.mo

sac.to

per far un bal- Cera lib^ 37.

dachino, et J 40. Sono statte aperte, e spezzate le Pietre delle sepolture

per il curato./ spezzato il Tabernacolo s.a l'Altare, mà non ui

era il s.mo

sacram.to

perche il curato l'haueua

10 consumato il quale anco hauea datto in parte

al rimanente della suppell.le della chiesa.

Jl medemo Curato è statto spogliato di tutto il suo

mobile di casa di uestiti, Biancaria, uino,

grano.

15 L'entrata di lui consiste in J 360. che li sono

datte dal popolo, il quale sarà quasi inhabile

à pagare per un pezzo, per esser statta la Terra

abrugiata per la metà che p.a era fuochi

30. inc.a

-o-

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f.12r

Jl Curato di Brebbia è debitore alla fabrica di questa

che paghi/ chiesa di J 50. lasciateli da una donna che l'

instituì herede con questo carico.

La casa Par^le è in fabrica, ma per questi accidenti

5 non si puotrà ridurre à stato di poterla habitare

sì per l'impotenza degl'huomini, come per essere

statta spogliata di tutto il mobile, onde il curato si

che il popolo è ritirato à casa sua à Laueno discosto 4. miglia

li troui un' da doue uiene ogni giorno alla cura, mà l'inuerno

10 altra casa. non lo puotrà fare così frequentem.te

Carnisio Membro Della Cura Di Cuoco.

A questa chiesa è statto leuato il calice con la

Jl calice Patena, Due Touaglie, Vna cotta.

del refugio l'jnstromento per dare la Pace

15 s.r fassio./ J vasi degli oglij sacri; sei lib. di cera.

Nella casa del Titolare, vino, grano,

Rame, et altra suppellettile alla somma

de scudi cento.

-o-

14 - lo strumento per dare la pace= e' relativo alla cerimonia del "bacio della

pace"

18 - scudi 100= lire 625, una grossa cifra per Carnisio

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f.12v

S.to

Andrea.

A questa chiesa sono statte leuate Touaglie .7.

Camisi .3. la coperta dell'Altare.

vna Pianeta di ormesino uerde.

5 Due cotte;

Jl resto fù conseruato dal curato che lo trasportò

in luogo sicuro.

L'entrata di questo Cur.° è di J 400. che gli paga

il Popolo, del quale son rimaste abrugiate

10 undeci masserie, e prima erano in tt.° fuochi

n.° 40.

A questo Curato .V.E. fece dare quà à Ml^no quatro

scudi di elemosina, e li aplicò anche quell'altra

che il giorno di s.to

Bartol.° si farà quest'anno

15 ad un oratorio membro di d.a Cura, per la perdita

che hà fatto di tutto il suo mobile.

-o-

12 - qua a Milano: sappiamo che la chiesa di S.Andrea fu interdetta dal 1633 al

1636 e in quegli anni il curato era a Milano all'Ospedale Maggiore con una

rendita.

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f.13r

Cardana.

La chiesa Paro^le di Cardana è statta dannegiata dall'

incursioni de francesi nelle seguenti robbe.

Vna Patena, vn Turribolo, e Nauicella.

5 Vn Pallio Pauonazzo di Damasco.

Due Pianete, tutto l'oglio, e cera della chiesa

per il ualore de scudi quatro.

Le altre cose furno conseruate dal curato, trans-

portandole dilà dal lago; la cui entrata è

10 de J 400.

Se gli proueda questa chiesa hà bisogno d'una Patena

della patena./ Jl Curato trà grano uino, et decima non scossa

et mobili dissipatili, hà patito danno di Δ.ti 20.

La Terra è de fuochi 28. et hà hauto il fuoco

15 in una sola masseria

Moalle.

La chiesa non è statta dannegiata in cosa alcuna

mà si bene la casa Parochiale, dalla quale

-o-

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f.13v

è statto leuato tutto il grano, uino, rame, Peltro,

Biancaria, vesti del curato, et ogn'altro mobile.

Jl danno ascenderà alla somma de J 700. et altre

tanto è l'entrata del curato la quale consiste

5 parte in Beni stabili, parte in primicia,

mà quest'anno non si puotrà scuodere, per

essere li Parochiani tutti restati spogliati.

questa Terra farà massericie 18. delle quali

ne sono rimaste abrugiate 4.

10 Jspra.

questa Paro^le non hà patito danno di considerat.e

perche il Curato haueua datto ordine ad'ogni

cosa; solo la casa Parochiale è statta sacche-

giata di tutto quello che si ritrouaua, cioe grano,

15 uino, et vtensilij.

Sono rimaste abrugiate 3. cassine sottoposte à questa

Cura.

A' Cuoco, et Comerio Terre di questa Pieue non è arriuata

la furia del nemico, forsi per esser statte piu lontane

20 dell'altre da tutto il corpo dell'essercito, dal quale

si diffondeuano à depredare.

-o-

18 - e' strano comunque che non siano passati per Cocquio, mentre sono stati a

Gavirate, S.Andrea e Carnisio, e addirittura 3 volte a Gemonio.

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Appendice 8

Onorevole Consiglio

Per la terza volta la Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di Bogno si rivolge a

codesto Onorevole Consiglio comunale di Bogno pregandolo a voler concorrere

a spesa comunale alla spesa della refusione delle tre campane esistenti sulla torre

parrocchiale, la cui necessità è tanto urgente che non ammette ulteriore

dilazione.

La prima campana, cioè la più grossa, che nel 1843 venne rifusa, e rifatta in tre

rubbi meno di metallo della prima, epperò non può accordare in armonia

coll'altre due, e l'orecchio di chicchesia può giudicare del distono scalare nel loro

intiero suono; di più minaccia quasi di cadere dalla torre per di fatti già visitati e

riconosciuti, e massimo la ruota che più non è suscettibile di aggiustature già

varie volte praticate a spesa comunale.

La seconda è pure malfranca per sconnessa inceppatura con ruota assai logora.

La terza poi essendo rotta non può più dar suono.

Da tutto ciò è evidente la continua confusione nel dare i segni per le sacre

funzioni parrocchiali, e quindi il giusto ed insistente lamento generale della

popolazione, e ciò molto più al rammentarsi del già fatto, ed approvato

superiormente progetto, ed incassata la quasi totale relativa somma a carico

comunale fin dal 1846.

Quindi è che la sottoscritta Fabbriceria avendo riguardo anche alle attuali

circostanze finanziarie, per rimediare ad un tanto difetto ed in pari tempo

colmare l'effervescente lamento popolare, colla presente si permette d'invocare

almeno un sussidio da codesto Onorevole Consiglio a carico Comunale, che

valga a sopportare la spesa di rifusione della prima indicata campana la quale

approssimativamente come da osservazione fatta dal fonditore Sig.Felice

Bizzozzero di Varese sarebbe nella misura di It.£. 463.75 ed eccone il modo.

Premesso che detta campana maggiore per dare il suono scalare in armonia

coll'altre due che verrebbero rifuse portante il loro primiero peso, abbisogna che

porti 3 rubbi di più della attuale portante il solo peso di rubbi 50.

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122

Quindi per la rifusione di detta campana, compreso il relativo consumo

abbisognano in metallo 56 che a It.£. 25 importano la somma di It.£.1400.00

per la mano d'opera pei risultanti rubbi 53 a £. 3.75 198.75

ed altri serramenti 80.00

Per giornate N° 10 da falegname a £. 2 20.00

Per corda e catena a servizio del suono 15.00

Totale importo della spesa It. £. 1713.75

Da questa somma però detratto il valore dell'attuale campana in metallo di rubbi

50 che al medesimo prezzo di £. 25 cadauno importa la somma di £. 1250.00

Quando codesto Consiglio voglia assumere la spesa della fusione o

rifusione della campana maggiore che serve anche per tutti i bisogni

comunali non avrebbe a concorrere, anche in via di offerta, che colla somma di

£. 463.75.

Rimanendo così a tutto carico della Chiesa, con quast'altri mezzi di concorrenza

che le saranno possibili, la rifusione delle altre due, e relativa posizione.

Tanto implorano e sperano da codesto Onorevole Consiglio

Bogno il giorno 18 di Novembre 1868

All'Onorevole Consiglio Comunale che si terrà in Bogno nel giorno 26

Novembre 1868

Della Fabbriceria Parrocchiale di Bogno all'appello come entro

Ricavo dei fondi della Chiesa

e piante . . . . . £. 1089.77

273

pari a (mil) £. 1362

dalla compagnia £. 100

in offerta £. 150

campane vecchie di

Rubbi 26-10 . . . . 31 806

2418

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Appendice 9

1748 30 Giugno in Bogno Havendo il Nobile, e Molto Reverendo Signor Canonico Don Carlo Ottavio Cusani del quondam Nobile

Sig. Alessandro habitante nel detto luogo di Bogno Pieve di Brebbia Ducato di Milano di mera sua

volontà costituito un perpetuo Legato di Messa Festiva da celebrarsi nella Parrocchiale di Bogno predetto

doppo la messa Parrocchiale à favore della medesima Comunità mediante l'impiego fatto di lire tremila

Imperiali, quali sono di presente nelle mani del Si. Carlo Colosso di detto luogo di Bogno, sotto l'annuo

interesse da convenirsi tra detto Sig. Colosso, e la detta Comunità alla morte di detto Sig. Canonico

Cusani, e quelle come da pubblici documenti risultano à qualis: Per cui dovendosi la detta comunità

obbligare tanto rispetto al supplimento, quanto alla manutenzione perpetua per detta Messa Festiva

perpetua come sopra costituita da prefato Sig. Canonico, ne potendo la medesima comunità obbligarsi à

quanto resta convenuto tacitamente, stante la minorità che gode, quindi il Console, Comune, ed homini

della medesima communità in adempimento di quanto sopra, ed acciò il detto perpetuo legato sortisca il

suo plenario effetto per farne l'opportuno ricorso al Senato Ecclesiastico, affine d'ottenere da quello la

necessaria dispensa per tale obbligazione dà farsi, convocati, e congregati nella pubblica Piazza di detto

luogo di Bogno, in cui vogliono sempre convocarsi, e congregarsi circa le cose attinenti, e pertinenti alla

loro Comunità, ammesso prieramente il solito segno della campana, e resi tutti avvisati dall'infrascritto

Console, nella qual convocazione, e congregazione v'erano e sono li seguenti, cioè.

Carlo Binda detto de Pedinetti del quondam Bernardino, Console

Pietro Binda detto Davidini quondam Francesco, Sindaco

Pietro Antonio Binda quondam Evangelista altro Sindaco

Francesco Antonio Signorelli figlio di Giò Batta

Vincenzo Biasino del quondam Carlo

Giovanni Nangerone quondam Giò Batta

Bartolomeo Arias Richelme Regente di Casa figlio del quondam Alfiere Pietro

Domenico Marzetta q.m Cristoforo

Stefano Rossetti q.m Pietro Antonio

Carlo Antonio Franzetto q.m Ambroggio

Giò Batta Ferretti detto de Borghi q.m Alessandro

Antonio Binda detto Feraro quondam Giò Pietro

Vitto Mattione figlio di Giò Pietro

Carlo Francesco Luisetti quondam Giò Batta

Rocco Roncaro del quondam Carlo

Francesco Tatto del quondam Carlo Antonio

Giò Angelo Binda del quondam Giaccomo

Carlo Binda detto de Gasperini figlio di Gaspare assente

Giò Pietro Binda detto di Carlo Andrea figlio di Carlo assente

Antonio Rossetti quondam Pietro Antonio

Bartolomeo Binda detto Farè quondam Giò Batta

Stefano Miglierina del quondam Francesco

Giaccinto Cattalano del quondam Giovanni

Giovanni Bajo quondam Andrea

Domenico Binda del quondam Giò Pietro

Pietro Ferretti q.m Giò Batta

Santino Roncaro del quondam Paolo

Francesco Binda detto de Pedinetti del quondam Giovanni

Pietro Binda detto Foppina del quondam Francesco

Carlo Antonio Mattione figlio di Carlo Giò attesa l'assenza di suo padre

Giovanni Binda detto di Vigna quondam Giò Pietro

Francesco Antonio del Micotto del q.m Giò

Giò Binda detto Ferraro del quondam Giò Pietro.

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Tutti unanimi, e concordi, e niuno di loro discorde, nè di volontà indiferente, quali sono due parti delle

tre, e più come hanno a mè sottoscritto Notaro con particolar loro giuramento detto, delli uomini di detta

Communità, che hanno voce, e che habitano in detta Communità di Bogno, quali fanno le suddette, ed

infrascritte cose non tanto à nome loro proprii, e di loro persona rispettivamente propria, ma altresì à

norma, e con promissione di veto di tutti l'altrui assenti, e per qualunque legitima causa impediti, per li

quali come sopra hanno promesso, e promettono di vero, e con la a rinnovazione e certificati da me

infrascritto Notaro per detta promessa.

In esecuzione adunque di detta convocazione hanno li sodetti Console, Comune ed homini determinato,

che vi facci l'opportuno ricorso al Senato Ecclesiastico di Milano per haverne l'opportune lettere patenti,

affine di poter per pubblico instromento obbligarsi per la manutenzione della detta Messa festiva come

sopra costituita dal prefato Sig. Canonico Cusani à favore della medesima Communità, come pure di

mantenere per quella li necessarii Paramenti, cerra, ed altro bisognevole ed altresì l'assistenza del

Sagrestano à quel Sig. Sacerdote sarà eletto dalla detta Communità per la celebrazione di detta Messa

Festiva perpetua dà celebrarsi, immediatamente dopo la morte di detto Sig. Canonico Cusani, con la

riserva, che detta Communità intende averne la medesima piena ed assoluta padronanza d'elegere quel

Sacerdote sarà alla medesima beneviso, ne possa persona veruna in particolare havere ragione d'elegere il

detto Sacerdote, quale habbi à celebrare detta Messa doppo la Messa Parrocchiale per comodo de

(derrezani)è beneficio di quelli, e come più diffusamente s'esprimerà con quelli patti, modi, e forme

nell'istromento da stipularsi dalla predetta Communità con quella solennità saranno espedienti, e

necessarie, riportata sarà tale dispensa à favore della medesima Communità obbligandosi altresì la

medesima à tutte le spese necessarie abbisogheranno farsi sino alla totale definizione, in quorum fidem.

Nota degli uomini intervenuti al presente istromento.

Giovanni Pietro Binda quondam Carlo, Console

Giovanni Binda quondam Francesco, Sindaco

Pietro Binda quondam Francesco, Sindaco

Giò Battista Signorelli quondam Carlo Antonio Cancelliere

Francesco Tatti quondam Carl'Antonio

Stefano Rossetti quondam Pietro Antonio

Camillo Binda quondam Giò Batta

Bartolomeo Arias figlio del Sig. Alfiere quondam Pietro

Rocco Roncari quondam Carlo

Carlo Francesco Luvisetti quondam Giò Batta

Antonio Binda quondam Carlo

Stefano Contino quondam Francesco

Vincenzo Biasino quondam Carlo

Giò Domenico Marzetta quondam Cristoforo

Vitto Mattione figlio di Giò Pietro

Francesco Binda detto de Pedinetti quondam Giovanni

Giò Ferretti detto de Borghi quondam Giò Batta

Giacinto Cattalano quondam Giovanni

Domenico Franzetto quondam Carl'Antonio

Giovanni Nangerone quondam Giò Batta

Stefano Miglierina quondam Francesco

Pietro Binda quondam Giuseppe

Gaspare Binda figlio di Carlo attesta l'assenza di suo padre

Antonio Rossetti quondam Carl'Antonio

Carlo Giuseppe Binda detto Farè di Francesco

Francesco Antonio Signorelli figlio di Giò Batta

Carlo Binda detto de Pedinetti quondam Bernardino

Giò Binda quondam Giò Pietro

Carlo Maria Mascione quondam Alessandro

Francesco delle Donne quondam altro Francesco.

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127

Fatto è che succedendo la morte di detto Sig. Canonico Cusani, debba la detta Communità di Bogno, e sii

tenuta et obbligata immediatamente eleggere un Sacerdote per la celebrazione di detta Messa festiva per

esso costituita, ed alla medesima Communità assegnata, quali resti sempre applicata in suffragio

dell'anima di detto Sig. Canonico Cusani Costituente, et assegnante, e de suoi antenati defunti e giusta la

sua mente d'esso Sig. Canonico, perchè così è.

Tanto è che in qualunque caso volesse detto Sig. Colosso, e suoi sucessori restituire detto capitale delle

dette lire tre mila presso del medesimo impigate, che la detta Communità sii tenuta, et obbligata dentro

dell'anno di detta restituzione quelle impiegare in proprietà idonea per haverne l'interesse pronto di

trimestre in trimestre da pagarsi al Sig. Sacerdote sarà eletto per la celebrazione di detta Messa festiva

assegnata come sopra,ed in caso venisse ritardato tale pagamento, che detta Communità debba pagare la

medesima al prefato Reverendo Sig. Sacerdote quella somma di danaro sarà dovuta al medesimo Sig.

Sacerdote, sino a tanto che havrà scosso l'interesse maturato, come così li detti Consoli ed homini di sopra

nominati anche à nome di tutta la Communità predetta hanno promesso e promettono sotto obbligazione,

perchè così è.

Patto è che in caso della detta Communità non venisse adempita tale celebrazione di detta Messa festiva

come sopra costituita, ed assegnata dal prefato Sig. Canonico, o per mancanza di Sacerdote, ovvero,

perchè quello fosse indisposto, o per qualunque altra via non potesse quella celebrare, che in tal caso, e

non altrimenti il detto Sig. Canonico Cusani intende, e vole, che detta Messa venghi celebrata dal Rev.

Sig. Curato di Bogno pro tempora nel giorno di Sabbato, ed all'altare della Beata Vergine del Santissimo

Rosario nella detta Parrocchiale, con pagarne al medesimo l'intiera elemosina restarà assegnata al Rev.do

Sig. Sacerdote deputato à tale celebrazione, con che detto Sig. Curato avanti principiare la sua Messa

debba recitare una Salve Regina ad alta voce unitamente col Popolo, e ciò sempre sino in perpetuo nel

modo espresso nel presente patto, perchè così è.

Patto è che tutti li Signori Reverendi Curati saranno per tempo come esecutori costituiti dal prefato Sig.

Canonico Cusani colla celebrazione di detta Messa festiva, come pure circa l'impiego de detta Capitale

Somma di lire tre mila in caso venisse quella restituita dal detto Sig. Colosso, e da suoi eredi, e Sucessori

ad effetto che detta Capitale Somma debba sempre restar in sicuro impiego per ricavarne l'interesse da

pagarsi come sopra di Trimestre in Trimestre al Sig. Sacerdote sarà eletto, e deputato per la detta

celebrazione di detta Messa festiva, ed anche affine non venghi ritardato il Suffragio per mancanza di

detta Messa, incaricando li detti Sig.ri Curati saranno per tempo ad invigilare à quanto sopra, e se à caso

venisse tale Capitale delle lire tre mille male impiegato dalla detta Communità, che venisse à perdersi in

tutto, overo in parte che in tal caso debbano li Signori Curati, saranno per tempo obbligare ciò non ostante

la detta Communità à pagare del proprio detta festiva Messa per esso costituita et assegnata in quella

quantità resta come sopra censita tale Messa, e di trimestre in trimestre per commodo del Signor

Sacerdote, come così li detti uomini si obbligano, e promettono, perchè così è.

Questo patto, che la detta Communità sii tenuta à tutte le spese si faranno per tale assegno di detta Messa

festiva, ne possa restar veruna altra persona agravata di spesa veruna, e ciò tanto rispetto à quelle di già

fatte, come da farsi sucessivamente in ogni cosa, e particolarmente al presente Istromento, d'assegno, ed

obbligo e tanto per il Rogito, viaggio, come per l'esplezione, scrittura, e copia autentica da farsi al prefato

Sig. Canonico Cusani, come così s'obbligano, e promettono, perchè così è.

Questo patto, che la detta Communità sii tenuta, ed obbligata far celebrare un officio da morti per l'anima

di detto Sig, Canonico di numero Sei Sacerdoti seguita la sua morte, e ciò perchè dal Sig. Colosso pagasi

annualmente l'interesse lire cento quarant'una cioè lire cento cinque per un Capitale di lire due mille, e

cento e lire trentasei per l'altro Capitale di lire novecento, come così detti uomini promettono durando

tal'interesse in detto Sig. Colosso, e non altrimenti perchè così è.

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Appendice 10

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Appendice 11

La leggenda di San Tommaso in Terra Amara.

(Dal Corriere della Sera del )

Giovanni Maria Visconti come ogni sera stava attraversando le vie cittadine a bordo del suo

cocchio per andare a fare quattro passi nel parco alle spalle del Castello di Porta Giovia.

La serata era calda e nel silenzio dell‟imbrunire il signore di Milano sentì il pianto lancinante di

una donna arrivare fin dentro la sua carrozza.

Giovanni fece cenno al servitore che gli sedeva davanti.

L‟uomo subito scattò in piedi e si sporse fuori dalla carrozza per dire al postiglione di fermarsi.

La carrozza si arrestò dolcemente.

Il Visconti ordinò a uno dei soldati della scorta di andare a vedere chi stesse piangendo un

dolore tanto profondo.

«Si tratta di una giovane donna, mio signore», così disse il militare al suo ritorno, «suo

marito è morto questa mattina per una tragica fatalità.

Ma il suo dolore è acuito dal fatto che il prete che dovrebbe occuparsi della cerimonia funebre si

rifiuta di farlo perché la donna non ha i soldi per sostenere le spese delle esequie».

Giovanni Maria restò pensieroso alcuni istanti. Trovava sconfortante che un rappresentate di

Dio in terra non volesse regalare il conforto cristiano a un povero defunto solo perché la vedova

non aveva un pugno di gioielli da dargli in pegno.

Era un atteggiamento che andava punito.

Dispose che uno dei suoi uomini andasse ad avvisare la donna che le esequie si sarebbero svolte

regolarmente il giorno successivo senza che lei dovesse sborsare una sola moneta.

Poi disse al cocchiere di dirigere la carrozza verso la chiesa di San Tomaso dove si trovava il

prete incriminato.

Il prete di San Tomaso sentì bussare forte alla porta e quasi perse il fiato quando fuori trovò

quattro uomini armati con le insegne dei Visconti che lo attendevano.

Subito dietro vide Giovanni Maria. «Mi dicono che sei un prete avido e che ti rifiuti di svolgere

le tue funzioni se non sei adeguatamente pagato. È vero?».

Il prete chinò il capo in segno di ossequio.

Sapeva di essere in una pessima posizione.

Aveva davanti l‟uomo più potente di Milano, se non dell‟intera Italia, che lo stava accusando di

qualcosa che lui e i suoi colleghi facevano abitualmente e di cui mai nessuno si era lamentato.

«Ovviamente no, mio signore. Evidentemente qualcuno ha erroneamente interpretato qualcosa

che ho detto...».

Giovanni Maria lo interruppe con un gesto imperioso della mano. «Taci!», sentiva montare

dentro una rabbia per quell‟uomo viscido che cercava di giustificare le sue scelte disumane

sfregandosi le mani e abbassando il capo.

«Domani celebrerai le esequie di un pover‟uomo e ti premurerai di coprire tutte le spese con i

tuoi soldi. Quelli che in questi anni hai rubato a tanta povere gente distrutta dal dolore».

Senza dire altro e senza dare possibilità al prete di replicare, il Visconti si voltò per tornare al

suo cocchio.

Gli uomini della scorta spinsero il prete dentro casa sua.

Il giorno successivo verso l‟imbrunire una piccola folla di popolani assisteva a capo chino alla

cerimonia funebre dell‟uomo morto il giorno prima. I

l prete pronunciava brevi frasi in latino il cui significato era ignoto ai più, mentre la moglie del

poverino, meno affranta del giorno precedente, continuava a piangere sul bordo della fossa in

cui era già stata calata la cassa.

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L’incedere di una carrozza cigolante si sovrappose a questi pochi suoni.

Il cocchio si arrestò a pochi metri dalla funzione.

Calò il silenzio.

Una decina di cavalieri armati scortarono Giovanni Maria verso la fossa.

Il Visconti prese posto tra i suoi cittadini stringendo mani e facendo le condoglianze a tutti.

Poi fece cenno al prete di finire la cerimonia.

Poche frasi in latino ancora.

Una benedizione con l‟acqua santa porta da un giovane chierichetto in un secchiello d‟argento e

la cerimonia era terminata.

I becchini cominciarono subito a spalare la terra per coprire la cassa.

Ma due dei soldati del Visconti li fermarono e li allontanarono.

Giovanni Maria fissò con odio il prete.

Poi parlò: «Entra nella bara».

Le sue parole potevano apparire uno scherzo, ma il prete, che lo stava fissando negli occhi, capì

che non era così.

Capì che per lui era finita.

Si guardò intorno sperando che quel gruppetto di persone chiedesse di risparmiarlo, ma la gente

lo fissava indifferente.

Per un attimo gli parve che sul volto della vedova comparisse anche l‟ombra di un sorriso.

Il prete tentò di discolparsi ma fu sufficiente un gesto del Visconti perchè due uomini lo

afferrassero per le braccia e lo spingessero a forza dentro la cassa insieme al morto.

I becchini furono lasciati liberi di compiere il loro dovere e riempirono la fossa mentre le urla

strazianti del prete che implorava pietà venivano smorzate dalla terra che lo stava ricoprendo.

I milanesi da allora cominciarono a chiamare la chiesa di San Tomaso, San Tomaso in Terra

Amara per ricordare quanto amara fu la terra del piccolo cimitero per l‟avido prete.

Con il passare degli anni il nome si storpiò in San Tomaso in Terra Mala e così la chiamiamo

ancora oggi.

Secondo altre leggende invece il nome Terra Mala deriva dal fatto che la chiesa sorgerebbe in

un luogo in cui, in tempi antichi, si usava torturare e uccidere i cristiani.

O nel ricordo di un cruento scontro tra Sant‟Ambrogio e gli ariani che vide restare morti sul

campo molti seguaci del vescovo di Milano.

Per quanto riguarda Giovanni Maria Visconti, più noto per aver dato il via alla costruzione del

Duomo che per aver seppellito preti vivi, fu pugnalato a morte poco tempo dopo, il 16 maggio

1412, sulla soglia della chiesa di San Gottardo.

Evidentemente la pessima reputazione che si era fatto spinse qualcuno a toglierlo di mezzo.

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Appendice 12 INCENDIO A BOGNO 1659

“Testo integrale del documento ritrovato nell'Archivio Parrocchiale.”

Mille seicento cinquantanono adì deciotto genaro notte seguente circa alle otto hore fù

attaccato in più lochi il foco alla casa dei Cochiti di Bogno, e brugiò gran quantità di

strame paglia,asse di assai valore, sette pecore, molta robba per il mangiare bestie e più

di dieci caro di fieno, una (canepa) un superiore, stalla, portico con rottura circa 6000

copi, e per carità essendo venuto alcune donne per agiustare come in fatti agiustarono

col robarli molta biancaria,non pochi danari, e molte altre cose, brugiò una casa a

Cherubino Binda annessa, con tutto il grano di Stefano Catalano, che in quella abitava

con una cassa piena di biancaria di Angiolita Cochita.

Essendosi prima alli 26 9bre 1658 statale posto in un grosso moggio di paglia un palmo

di corda di moschetto con molti zofarghetti in fondo, essendo tutti dui li homini a

Milano cioè Giò Pietro e Alessandro, come parmente erano absente anche adesso, se

bene, per particolare grazzia d'Iddio, e lì cera, e l'altra notte tempo sia sempre venuto a

casa il suddetto Giò Pietro e la prima volta mandato a dimandare da me circa alle tre

hore di notte, nel qual tempo giunse da Milano, andò, essendo oscuro, per pigliareun

poco di paglia per servirsene per ciaro, e s'incontrò nel loco dove era nascosta la corda

accesa, e così la portò avanti a mè, nel stato nel quale la ritrovò.

La seconda volta venne parimente a casa di notte il suddetto Gioò Pietro e sul tardi fatta

diligenza attorno alla casa tutta, ne trovando altro, andò a dormire, e nel primo sonno

sentì un gran fracasso, uscì dal letto, e trovò affogata la casa tutta, si salvò mota robba

per il concorso della gran moltitudine di gente, e buona parte della casa, ne si sa sin hora

il malfattore, havendo adoprato della paglia in cima ad una pertica di attaccare il fuoco

attorno alle cassine, e stalle, ma ad alto solo,benchè descendesse anche il basso.

“Il manoscritto si limita alla pura annotazione del fatto, non fa ipotesi sui motivi che

avrebbero spinto qualcuno ad appiccare il fuoco, nè ci sono altri documenti a chiarire

il mistero su questo antico fatto di cronaca che riporta a momenti non proprio

tranquilli nei rapporti interpersonali fra gli abitanti dei nostri paesi.”