AccademiaItalianaDellaCucina 2011 04 Aprile 226

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N. 226, APRILE 2011 / MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA ISSN 1974-2681 L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI www.accademia1953.it C IVILTÀ DELLA T AVOLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

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n. 226 della rivista Accademia Italiana di Cucina, anno 2011, mese AprileSe vi piace queso numero della rivista acquistatelo oppure sottoscrivete un conveniente abbonamento annuale.

Transcript of AccademiaItalianaDellaCucina 2011 04 Aprile 226

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L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

www.accademia1953.it

CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

S O M M A R I O

CARI ACCADEMICI...

3 Pensare il territorio(Giovanni Ballarini)

EDITORIALE

5 L’Italia s’è desta(Gianni Franceschi)

CULTURA & RICERCA

6 L’ulivo rituale(Giovanna Maria Maj)

8 I musei del cibo(Giancarlo Gonizzi)

10 La frittata di San Marco(Gian Nereo Mazzocco)

11 I sensi nel piatto(Eleonora Cozzella)

13 Combattere i falsi(Maurizio Tognetti)

14 Tutela della tradizione(Donato Pasquariello)

16 Erbe delle Murge(Pietro Scalera)

17 Ristoranti in crisi(Alfredo Pelle)

20 I piaceri di Cavour(Gabriele Gasparro)

22 Dietetica americana(Marino de Medici)

26 Il gusto a scuola(Benedetto Prandi)

27 Transumanze maremmane(Aldo Focacci)

29 Il Barone di ferro(Romolo Ciabatti)

31 Davanti ai fornelli(Giorgia Fieni)

33 Osterie romane(Luciano Imbriani)

34 Lunga storia del caffè(Publio Viola)

36 Tavola e tavolozze(Gigliola Jacomucci)

38 Sapori d’Oriente(Giampaolo Ladu)

39 Le castagne bergamasche(Lucio Piombi)

40 Cremona nel cuore(Carla Bertinelli Spotti)

41 Attualità del Futurismo(Mauro Mazzon)

43 I buffet di Trieste(Giuliano Relja)

I NOSTRI CONVEGNI

18 Formazione in cucina(Tito Trombacco)

BIBLIOTECA NAZIONALEGIUSEPPE DELL’OSSO

24 La scienza in cucina(Lorena Gallina)

SICUREZZA & QUALITÀ

44 L’alcol nei dolci(Gabriele Gasparro)

LE RUBRICHE4 Calendario accademico12 Accademici in primo piano23 Le ricette d’autore45 Notiziario46 In libreria47 Vita dell’Accademia65 Carnet degli Accademici68 Dalle Delegazioni77 International Summary

La copertina: particolare de “La servetta” (1888-89) di Antonio Mancini (1852-1930), Bari, Pinacoteca provinciale “C. Gia-quinto”, collezione Grieco (foto Archivio fotografico della Pinacoteca stessa). L’opera fa parte della mostra “Eroine invisibili”,aperta a Bari fino al 29 maggio.

Questo mese la nostra copertina è dedicata a una figura che appartiene a pieno titolo alla civiltà della tavola. La collaboratrice dome-stica - diremmo oggi - dipinta con incisività da Mancini viene da lui definita “servetta”, con la sintesi scevra da preoccupazioni diclasse propria dell’Ottocento. Sappiamo che un convivio ben organizzato non può prescindere da un livello impeccabile del servizio,oltre che del menu; dunque la nostra simpatia va tutta a questa giovane donna che l’artista dipinge vestita di tutto punto (abito neroe grembiulino bianco) e pronta alla sua imminente mansione. Le ruvide mani della ragazza sono intrecciate dall’impaccio, losguardo, rivolto verso l’alto, sembra preoccupato... che sia la prima cena importante che è chiamata a servire?

L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAÈ STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO,CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DONÀ

DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHIBASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA,

ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE,GIAN LUIGI PONTI, GIÒ PONTI, DINO VILLANI,

EDOARDO VISCONTI DI MODRONE,CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

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XIV ASSEMBLEA DEI DELEGATIXXII CONVEGNO INTERNAZIONALE SULLA CIVILTÀ DELLA TAVOLA

“Formazione di un’identità plurale della cucina in Italia”27-29 maggio 2011 - Hotel “NH Vittorio Veneto”, Roma

Programma

Venerdì 27 maggioArrivo dei partecipanti e sistemazione nell’hotel “NH Vittorio Veneto”, prima categoria, situato in Corso d’Italia 1 - Roma

ore 20.30 Cena di benvenuto di tradizione romana in hotel

Sabato 28 maggioore 8.00 Assemblea ordinaria dei Delegati (I convocazione) in hotelore 8.30 Consulta Accademica (2009-2011) - approvazione conto consuntivo 2010ore 9.30 Assemblea ordinaria dei Delegati (II convocazione) - elezione organi istituzionaliore 11.00 Coffee breakore 11.30 Consulta Accademica (2011-2013) - elezione Consiglio di Presidenzaore 13.00 Colazione di lavoro a buffet in hotelore 16.00 XXII Convegno Internazionale sulla Civiltà della Tavola dedicato

all’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia in hotelore 20.15 Trasferimento in pullman a Palazzo Colonna - Galleria del Cardinale

per la Cena di Gala in onore del Presidenteore 20.30 Cena di gala (cravatta nera o abito scuro)ore 23.30 Termine della cena e rientro in pullman in hotel

Per gli accompagnatori - Sabato 28 maggioA scelta una delle seguenti attività:Visita guidata alla Galleria Borghese (partenza ore 8.30)Fashion tour guidato - Via del Babuino, Via Condotti, Piazza di Spagna (partenza ore 10.00)Visita guidata ai Musei Vaticani e Cappella Sistina (partenza ore 9.00)ore 13.00 Colazione di lavoro a buffet in hotelore 16.00 XXII Convegno Internazionale sulla Civiltà della Tavola dedicato

all’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia in hotel

Domenica 29 maggioore 8.00 Prima colazione in albergo e rilascio delle camere entro le ore 12.00ore 10.00 Consiglio di Presidenza

I moduli di iscrizione e i costi sono disponibili presso i Delegati.La partecipazione è subordinata al pagamento della quota che dovrà essere effettuato contestual-mente alla prenotazione entro e non oltre il 22 aprile 2011.Non sarà possibile effettuare pagamenti all’arrivo.

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Pensare il territorio

C A R I A C C A D E M I C I . . .

DI GIOVANNI BALLARINIPresidente dell’Accademia

“Quanta cucina del territorio vi è ancora

dove i saperi umani localisono stati sovvertiti?”.

C ari Accademici, che non esi-stesse una cucina italiana, masolo cucine regionali che si ri-

chiamavano alle specificità dei terri-tori che formavano l’Italia, fino aparlare di “cucine del campanile”,non solo è acquisito, ma è divenutoun concetto tanto diffuso da averperso quasi di significato. Anche sequesto elemento distintivo della cu-cina dell’Italia tende a diminuire, sisono diffusi alimenti che fanno rife-rimento al territorio e si parla di unacucina a “chilometro zero”, mentre ifrancesi, più intelligentemente, usa-no la dizione più vaga di “cuisine deproximité”. Quale cucina del territo-rio? Di chi lo possiede, lo abita, lolavora o lo pensa?

Possedere un territorio, abitarlo olavorarlo non genera necessariamen-te valori culturali. Acquisire un terri-torio, impiantarvi delle serre dove

con mano d’opera straniera sono col-tivati ortaggi di concezione (geneti-ca) esotica non porta ad alcuna cuci-na del territorio. Lo stesso avvieneper razze locali d’animali allevatecon sistemi industriali e intensivi. Inmodo analogo non è cucina del terri-torio quella più o meno vagamentestagionale o che si limita a proporreun’imitazione di quanto si pensa av-venisse in una regione o in una pro-vincia e in un passato spesso soloimmaginato, se non sognato. Menoche mai è cucina del territorio quellache sempre più frequentemente ve-diamo proporre da cuochi, e perfinoda industrie, sulla base di ricette conuna denominazione più o meno ter-ritoriale, quando non errata (la “par-migiana” non ha niente a che farecon Parma e con la cucina di quelterritorio).

Cucina del territorio significa primadi tutto “pensare il territorio”, in unaconcezione che si collega strettamen-te a un “buono da pensare, buono damangiare”. Pensare il territorio non èsolo storia o geografia, le due grandidirettrici sulle quali si sono sviluppa-te le cucine tradizionali italiane, ma èconoscere, interpretare e vivere,quindi pensare il territorio in tutta lacomplessa diversità della sua evolu-zione spontanea e in conseguenzadegli interventi umani. Pensare il ter-ritorio è dare voce al cibo e chi cuci-na diventa il tramite indispensabileper una cucina nella quale il ciboevoca il territorio.

Pensare il territorio è quindi ben al-tro che possedere il territorio, un’ideadi dominio tipica di una società con-sumistica e di un’industria senz’ani-ma. Pensare il territorio non è la dife-sa, non di rado conflittuale, o la pro-tezione commerciale di un nome ter-ritoriale, come avviene per non po-

che indicazioni geografiche che almassimo fanno riferimento a una ti-pologia di preparazione senza alcunavera relazione con il territorio (un in-saccato “Bologna” o “Modena” o unsugo “alla bolognese” non hanno piùalcun rapporto con un territorio cheforse un tempo ne determinava carat-teristiche rapportate a un ambientenon solo fisico, ma anche umano esociale).

La cucina del territorio è ancheespressione di un ambiente umanoche si è formato nel corso del tem-po, con l’evoluzione anche di tecni-che produttive di coltivazione deivegetali e di allevamento degli ani-mali, spesso in stretto rapporto. Unacerta razza di maiali diviene un ele-mento di un territorio non solo perla sua denominazione, ma in quantoallevata e nutrita con alimenti localie seguendo i cicli del microclima lo-cale. In una stessa regione, peresempio, il microclima della pianuranon è quello della fascia collinare opedemontana o montana. Su questalinea vi è chi ha giustamente parlatodi una cucina del microclima di unterritorio.

Una cucina strumento di conoscen-za del territorio non è solo un’impor-tante dimensione della civiltà dellatavola, ma l’indispensabile mezzo perla difesa e la valorizzazione di un ter-ritorio, che non può più essere solouna superficie fisica da usare, se nonda abusare, ma deve ritornare a esse-re vissuta, anche attraverso una di-mensione sacrale. Sacri erano nelpassato taluni territori e i loro prodot-ti, un concetto che non deve stupire,in quanto il termine “sacro” derivadal latino arcaico “sakros”, che devetornare a significare qualcosa a cui èstata conferita validità e che è al po-sto giusto. Dal territorio giusto origi-

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nano il cibo e la cucina giusta, per-ché pensata bene. Sotto questo pro-filo non sono tanto i chilometri o laprossimità che contano, ma la cultu-ra e la conoscenza che determinanouna vera cucina del territorio, chenon può essere improvvisata e nellaquale è possibile recuperare e valo-rizzare antiche saggezze, anche po-

polari, in una tutela delle tradizioniche è lo scopo fondante della nostraAccademia. Quanta cucina del terri-torio vi è ancora in un’Italia semprepiù cementificata e industrializzata edove i saperi umani locali sono statisovvertiti? Senza cadere nel più neropessimismo, bisogna riconoscereche esistono ancora isole territoriali

più o meno felici, mentre si nota lapersistenza, anzi l’aumento di perso-ne che ritornano al territorio, pen-sandolo con un rispetto sacrale dellesue caratteristiche, e che stannocompiendo un’opera di recupero deisuoi doni.

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APRILE

1-3 aprile - Penisola SorrentinaConvegno a Sorrento “I formaggi italiani, delizia della tavola”Decennale della Delegazione

1-3 aprile - Modica(possibile prolungamento al 5 aprile)Convegno “La dolce contea: pasticceria e cioccolato di Modica dai Grimaldi a oggi”

2 aprile - LussemburgoFesta per i 150 anni dell’Unità d’Italia

8 aprile - CampobassoConvegno “Cafoni, galantuomini e briganti: storia, leggende, tradizioni gastronomiche”

9 aprile - Versilia StoricaConvegno su “La castagna in Alta Versilia”

9-10 aprile - PiacenzaConvegno “La ristorazione di qualità”

16 aprile - Foggia, Gargano,Foggia-LuceraConvegno “I funghi del Gargano”

16 aprile - GelaGiornata di studio dedicata ad Archestrato di Gela

16 aprile - LivornoIX convegno “Il cibo e il mare”. “Garibaldi a tavola e … innamorato”Partecipazione al Tan Trofeo accademico navale

20 aprile - MilanoRiunione del Centro Studi “Franco Marenghi” e dei Centri Studiterritoriali

28 aprile - MilanoPresentazione al Circolo della stampadi Milano del libro “I menu del Quirinale”

29 aprile - FirenzeConvegno “Quando Firenze era capitale: dai pranzi di corte francesiall’Unità d’Italia a tavola”

MAGGIO

6 maggio - Versilia StoricaPremio per il miglior chef dell’istitutoalberghiero di Serravezza (Lucca)

7 maggio - BiellaCinquantenario della Delegazione

20 maggio - La SpeziaConvegno “Unità d’Italia nel Golfo della Spezia: la tradizione a tavola prima e dopo la nascita dell’Arsenale”

27-29 maggio - RomaXIV Assemblea dei DelegatiXXII convegno internazionale sulla civiltà della tavola

GIUGNO

4 giugno - Pisa-ValderaConvegno “150 anni di Unità. L’alimentazione: cultura e storia di un popolo”

9-12 giugno - BudapestConvegno “Specificità e diversità della cucina italiana a 150 anni dall’Unità d’Italia”

11 giugno - VigevanoConvegno “Pepe rosa”

15-18 giugno - SiracusaEscursione e incontro con la Delegazione di Stoccolma

24 giugno - CampobassoConvegno “Il Molise e l’Unità d’Italia:storia, fonti documentarie, arte, musica e gastronomia”

24-26 giugno - IserniaIII edizione del premio “Allium cepa”IV edizione del premio “Molisani all’estero”Decennale della Delegazione

25 giugno - Venezia-MestreVenticinquennale della Delegazione

SETTEMBRE

9-10 settembre - Maremma-PresidiConvegno a Saturnia “Maremma: terra di sapori forti e di briganti”

10-11 settembre - PescaraConvegno “L’acqua: risorsa per l’ambiente ed elemento essenziale per gli alimenti e per la cucina”

15 settembre - UdineConvegno “La cucina friulana dopo l’Unità d’Italia”

17-18 settembre - Staffolo“Verdicchio d’oro”

24 settembre - GoriziaConvegno “La cucina mitteleuropea a Gorizia”

25 settembre - Cento Città del GuercinoQuarantennale della Delegazione

OTTOBRE

1-2 ottobre - PisaConvegno “Sensi e gastronomia”Cinquantenario della Delegazione

20 ottobre - Cena ecumenica “La cucina della frutta”

NOVEMBRE

5 novembre - PratoVenticinquennale della Delegazione

11-13 novembre - Siena-ValdelsaDecennale della Delegazione. Convegno

19 novembre - LodiConvegno “La cucina in televisione”

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2011

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E D I T O R I A L E

L’Italia s’è destaDI GIANNI FRANCESCHI

La cucina “all’italiana” conquistò i palati

di mezzo mondo divenendofinalmente “italiana”.

T anto tuonò che piovve. Per tut-to l’Ottocento la pubblicisticagastronomica rimase nel vago,

con testi come “Il re dei cuochi” o unimprobabile “Imperatore dei cuochi”.Brilla ancor oggi di luce propria l’ul-tracentenario Artusi, il resto è cadutonell’oblio. Nel nuovo secolo Marinettiriuscì a dare alla cucina un’improntapiù nobile, intellettuale, paragonan-do la cultura gastronomica alle altrearti e sollevandola dal ruolo di meranecessità alimentare.

Ma i tempi non erano ancora matu-ri per una concezione unitaria dellacucina. Mentre, talvolta faticosamen-te, si camminava verso un’unità poli-tica e sociale, nella seconda metà del-l’Ottocento la pubblicistica dava vitaa molti libri e ricettari piuttosto ano-nimi nei titoli (Cougnet, Giaquintoecc.). Bisogna arrivare al 1926 perchéun intraprendente giornalista, Um-berto Notari, creasse una rivista chenel titolo racchiudeva una novità eun programma. Infatti si parlava perla prima volta di “cucina italiana”.Quello fu certamente un momento dirottura, un taglio al passato. Ma essofotografava una realtà che non pote-va più essere ignorata. Da quel mo-mento la cucina venne considerata“italiana” a tutti gli effetti anche sedovette superare molte differenze ediffidenze.

La cucina tradizionale resisteva al-l’estero ove gli emigranti portarononelle loro valige di cartone il retaggiodi abitudini consacrate dall’uso econdizionate dalla miseria: pizza, po-modoro e pasta.

Le donne, cui spettava la gestionedella cucina, erano tenacemente ab-barbicate al dialetto, principale ele-mento di conservazione di usi e co-stumi, anche gastronomici.

Dovranno passare molti decenni

prima che oltre i sacri confini dellapatria la nostra cucina conquisti unapropria nobiltà diventando, quella sì,una cucina italiana armonicamentecomposta di tutte le maggiori e con-solidate specialità regionali, non piùarroccate a difesa di antiche tradizio-ni ma generosamente concordi nelformare una reale unità gastronomi-ca, sulla scia dell’unità sociale e poli-tica, quest’ultima più difficile da rag-giungere.

La cucina tradizionale resisteva al-l’estero e aveva come capisaldi le fa-mose “tre P” (pizza, pasta, pomodo-ro), ma qui, attorno agli anni Sessan-ta, accadde uno straordinario cam-biamento di rotta. Numerosi cuochidi primo piano in Italia trasferironoall’estero tutta o in parte la loro atti-vità, proponendo a una fino allora in-consapevole clientela locale piatti di-versi, molto elaborati, tratti comun-que dalla tradizione italiana. Fu cosìche in molti Paesi vennero conosciutiprodotti italiani insospettati come lamozzarella, il tartufo, il parmigianoreggiano, il caciocavallo e così via.Fu un’autentica rivoluzione: questacucina, prima chiamata “all’italiana”poi “italiana“ tout court, conquistò ipalati di mezzo mondo dando unameritata patente di nobiltà a ricetteconsiderate fino ad allora di secondoo terzo rango.

Contemporaneamente, in Italia, siandava sempre più velocementecompletando quel processo d’inte-grazione delle varie cucine regionalio locali, favorito dalle migrazioni in-terne, dalla maggiore velocità dei tra-sporti e dalla sempre più invasivaglobalizzazione.

Ma qui si entra in una differente vi-sione dell’unità gastronomica dellapenisola.

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 6

L’ulivo ritualeDI GIOVANNA MARIA MAJ

Delegata di Isernia

“Il ramoscello simbolo di pace,forza e fecondità, veniva

posto a capo del letto”.

L a religione cattolica, nel fissarele sue ricorrenze, si è spesso so-vrapposta ad antichi rituali pa-

gani, di origine magico-religiosa. LaQuaresima deriva da riti ancestrali le-gati alla morte e alla resurrezione diimportanti divinità: tutti cerimonialiche alla morte contrappongono la vi-ta (si identifica la divinità con il sole ela nuova luce che ritorna dal buio,nell’equinozio di primavera).

Per i cattolici la Quaresima introdu-ce il periodo pasquale che, similmen-te ai 40 giorni di digiuno di Cristo neldeserto, danno inizio a pratiche dipurificazione attraverso la penitenzae l’astinenza. Questo periodo venivasentito e vissuto da tutti, a qualsiasiceto si appartenesse, con assoluta de-vozione e preghiera, perché atto dipurificazione dai peccati.

Oggi ha perduto tutto il suo rigoree i giorni di astinenza si riducono, nelMolise, al mercoledì e al venerdì diogni settimana, e agli ultimi 4 giornidella Settimana santa. La commistio-ne tra sacro e profano, profondamen-te vissuta tra le popolazioni di questiluoghi, si manifestava già dall’imposi-zione delle ceneri, che vedeva i fede-li precipitarsi verso l’altare, per sotto-porsi all’atto penitenziale del “me-mento mori”, perché una radicata su-perstizione voleva eventi luttuosi perl’ultimo malcapitato.

In molti paesi molisani, come in al-tri della penisola, si usava allestire la“pupattola della Quaresima”, abboz-zo di vecchia vestita di panno nero,che ramazzando con un penitente di-giuno i peccati commessi, mostrava,appesi a un cerchio, gli alimenti con-sentiti nei giorni di penitenza: alici,aringa, baccalà, pasta, aglio, da cuo-cersi rigorosamente senza grassi ani-mali. In più, il fuso, la conocchia e lastoppa a indicare la necessaria pa-

zienza per la lunga durata quaresima-le e una patata o cipolla su cui veni-vano conficcate sette penne di gallinacorrispondenti alle sette domenichecomprese nel periodo, in cui si rom-peva il digiuno.

Ogni singola penna si sfilava, a mo’di calendario settimanale, pronun-ciando motti devozionali; l’ultima ve-niva tolta il Sabato santo, a mezzo-giorno, al lungo tripudio delle cam-pane annunzianti la resurrezione diCristo. In molte famiglie la “pupatto-la” pendeva dal camino e la colazio-ne mattutina vedeva il lieve strofinaredi due fette di pane all’aringa appesa,a cui il tepore del fuoco consentiva disprigionare meglio gli effluvi che ser-vivano da companatico, rito familiareche rispettava diritti gerarchici. La li-sca residua doveva essere bruciata.

Consuetudine quaresimale, al paridei riti purificatori della natura e del-lo spirito, era la pulizia dell’ambientedomestico, tirato a lucido in ogni suaparte ma soprattutto nei tegami di ra-me, vanto e ricchezza di ogni fami-glia, appesi ben in mostra, per acco-gliere il sacerdote che benediva le ca-se e al quale, in cambio, venivano of-ferte le immancabili uova per il lorovalore simbolico legato a nuova vita.

L’ulivo benedetto ancor’oggi ricor-da molte ritualità propiziatorie: le fan-ciulle portavano in chiesa interi ramidi ulivo, ornati da mazzolini di violet-te, che, una volta benedetti, erano di-stribuiti sul sagrato con l’implicito au-gurio di un’eterna primavera.

Il ramoscello simbolo di pace, forzae fecondità, veniva posto a capo delletto, e sostituiva quello dell’annoprecedente che, rigorosamente, do-veva essere bruciato nel focolare, ac-compagnato da preghiere. I contadi-ni lo conficcavano nel terreno dell’or-to per preservare il raccolto dalle av-

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C U L T U R A & R I C E R C A

versità. Gli innamorati ottenevanoauspici fausti se, gettando il ramo-scello nel fuoco, questo crepitava, in-fausti se, silente, prendeva fuoco, in-frangendo così il sogno d’amore. Unramoscello d’ulivo benedetto venivaconservato dalla suocera per donarloalla futura nuora.

Sabato santo, a mezzogiorno, allosciogliersi delle campane, credenzepopolari vedevano i contadini semi-nare i ceci perché potessero crescereradi e grossi.

Il futuro sposo faceva recapitare al-la sua amata i tipici monili d’oro, or-nando un agnellino vivo bianchissi-mo, segno di purezza e di fedeltà(virtù che si richiedevano alla fanciul-la), infiocchettato di rosso vivo, comeil proprio amore, annunciandole cosìle prossime nozze. Il dolce messag-gero attraversava le vie cittadine ac-

covacciato su un cesto infiorato,trionfalmente posto sulla testa dellacomare, affinché tutto il paese sapes-se e potesse ammirare la ricchezzadei doni in oro: la “cannacca”, il“pendantif”, le “ceccaglie”, e la “pre-sentosa”, pegno d’amore eterno.

Il dono veniva ricambiato dalla fu-tura sposa con un semplice dolce aforma di cuore detto “pigna”.

Durante la Settimana santa, nell’al-ternarsi delle funzioni religiose dellaPassione, si viveva il fervore dei pre-parativi pasquali, giorni di abbondan-za, di cose nuove, di serenità, di par-tecipazione al rinnovamento dellanatura e dunque alla resurrezione.

Così uova, coratella di agnello,asparagi selvatici, nepitella venivanotutti impiegati nel rito preparatoriodella frittata di Pasqua, piatto della pri-ma colazione pasquale, e delle pastie-

re, dolce tipico di grano o riso, uova,canditi ed essenza di fiori. Piatti di altosignificato devozionale e propiziatorioerano anche la cicoria ricamata, cottain brodo con uova, e l’agnello.

Così l’andirivieni al forno cittadinodelle donne con in testa tavole ricol-me di fiadoni con bietola o cicoria,olive, acciughe e capperi, pasto delVenerdì santo, di pupe e cavallucci(dolci dedicati ai bambini), ornati dauova intere. Piatto forte della vigilia,assieme ai fritti di cacio e ova, il bac-calà: con ceci, con peperoni sottacetoo secchi, con polenta, con susine, “ar-racanato”, arrostito, fritto, a zuppettacon cipolle, alla “trappetara” con ab-bondante olio, in uno scoppiettio disaperi, sapori, profumi e colori, vissu-to in famiglia in un senso di ritrovatapace e serenità.

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Come è noto, la nostra Accademia è tra le istituzioniche possono beneficiare del cinque per mille, indican-do sulla modulistica la volontà del contribuente. Que-sta opzione non rappresenta nessun onere o aggravioper l’Accademico-contribuente: anzi, se essa non venis-se esercitata, il cinque per mille inutilizzato resterebbenelle mani del Fisco. Le motivazioni di questa operazione si possono così sin-tetizzare: dare una mano all’autentica cucina italia-na nel mondo e favorire l’istruzione in Italia di giova-ni cuochi stranieri. Partecipare a questa operazione di finanziamentodell’Accademia è facile. Basta infatti trascrivere nel-l’apposita casella della denuncia dei redditi il codicefiscale dell’Accademia, che è

80109690158

L’Accademico può farlo personalmente oppure comu-nicare questo numero al proprio commercialista.Il diritto per l’Accademia di accedere al cinque permille è stato ufficialmente sancito dall’Agenzia delleentrate con un provvedimento del 20 aprile 2007: que-sto rappresenta un ulteriore riconoscimento della vali-dità della nostra azione in Italia, e soprattutto all’este-ro, per la difesa, la tutela e la valorizzazione della cu-cina italiana nella sua integrità e nella sua qualità.

Questo ennesimo riconoscimento è strettamente colle-gato all’inserimento ufficiale dell’Accademia tra le isti-tuzioni culturali tutelate dalla Repubblica italiana. È opportuno ricordare a tutti gli Accademici e ai no-stri eventuali sostenitori che l’opzione del cinque permille può essere esercitata, sulla modulistica fiscale,fino al 31 luglio prossimo. Si tratta senza dubbio diun diritto e di un’occasione da non perdere.

L’IMPORTANZA DEL CINQUE PER MILLE

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C U L T U R A & R I C E R C A

I musei del ciboDI GIANCARLO GONIZZI

Direttore Biblioteca gastronomica dell’“Academia Barilla” di Parma

Un percorso attraverso i prodotti simbolo

della gastronomia italiana.

C ittà di aristocratiche tradizioniculturali, ricca di monumenti edi preziose opere d’arte, Parma

è anche la capitale del gusto e dellabuona tavola. Così, i gloriosi prodottidella terra parmense - parmigianoreggiano, prosciutto di Parma, salameFelino, conserve di pomodoro - neimusei del cibo trovano un luogo pri-vilegiato di racconto, valorizzazione ecelebrazione. La visita di questa idea-le “via del gusto” parte da Soragna,dal Museo del parmigiano reggiano, ilprimo dei quattro a essere realizzatodalla Provincia di Parma. Ha sede allaCorte Castellazzi, che sorge all’ombradella rocca Meli-Lupi di Soragna.L’antico caseificio, a pianta circolare,è stato costruito intorno al 1848 ed èstato attivo fino al 1977. Nelle vicinan-ze si trova un’area ricca di castelli e diricordi verdiani e non solo: oasi natu-rali e parchi storici, sapori densi e ini-mitabili lungo la Strada del culatello.Al museo sono esposti strumenti e at-trezzi impiegati nella lavorazione del“re dei formaggi”. Oltre 120 oggettidatabili tra Ottocento e prima metàdel Novecento e un centinaio di im-magini, disegni e foto d’epoca illu-

strano l’evoluzione delle tecniche ditrasformazione del latte, le fasi dellastagionatura e della commercializza-zione e il ruolo fondamentale delConsorzio del parmigiano reggiano atutela della qualità. Gourmet, cultoridella buona tavola e semplici visitato-ri possono assaporare, nei locali adia-centi al museo, il parmigiano reggia-no, nelle diverse fasi di stagionatura.

Il circuito di visita prosegue conl’ultimo arrivato, il Museo del pomo-doro, inaugurato nel settembre del2010. Percorrendo la strada che parteda Soragna e attraversa Fontanellato,Pontetaro e Madregolo si arriva aCollecchio. E di qui alla Corte di Gia-rola, sede del museo. “L’oro rosso”ha trovato in provincia di Parma ter-reno fertile, già a partire dalla secon-da metà dell’Ottocento. E il territorionon si è limitato alla coltivazione, si èorientato anche verso la trasforma-zione, tanto da esportare oggi, in tut-to il mondo, i prodotti a base di po-modoro ma anche la tecnologia perl’industria conserviera: sta dunque apieno titolo nel percorso che valoriz-za i prodotti tipici del Parmense. L’al-lestimento, organizzato in sette sezio-

Musei del cibowww.museidelcibo.it

Museo del parmigiano [email protected]

Museo del [email protected]

Museo del salame di [email protected]

Museo del prosciutto e dei salumi di [email protected]

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ni tematiche, parte con il raccontodella storia, delle varietà esistenti,delle proprietà nutritive e delle zonedi produzione. Prosegue con lo svi-luppo dell’industria di trasformazionenella realtà economica di Parma. Sipassa poi all’evoluzione delle tecno-logie con la ricostruzione di una lineadi produzione della conserva di po-modoro con 14 macchine d’epoca. Laquarta sezione affronta la tematicadel prodotto finito e degli imballaggi,nonché il ricchissimo materiale di co-municazione. Si giunge poi allo svi-luppo dell’industria meccanica, aiprotagonisti e ai lavori in fabbrica, al-la Stazione sperimentale dell’industriaconserviera e alimentare, istituita nel1922, e alla Fiera delle conserve ali-mentari, progenitrice dell’attuale Ci-bus. Chiude il percorso la cultura del“mondo pomodoro” con pubblicità,citazioni, dipinti, sculture e ricette.

Da Collecchio si arriva facilmente aFelino e al suo castello che ospita,nelle cantine, il Museo del salame.Costruito nel 1890, ampliato e fortifi-cato con Pier Maria dei Rossi, l’anticomaniero domina la vallata fra i tor-renti Parma e Baganza e oggi ospitaun ristorante di charme. Organizzatoin cinque sezioni, il percorso di visitainizia con le testimonianze storiche

del rapporto tra Felino e il suo pro-dotto-simbolo, senza tralasciare lastoria del famoso maiale nero parmi-giano. La seconda sezione, dedicataalla gastronomia, presenta l’impiegocucinario del salame a Parma. Si pro-segue nella sala grande, dove si trovala sezione relativa alla norcineria e al-la produzione casalinga dell’insacca-to, con un’ampia rassegna di oggettiappartenuti ai norcini. La sala succes-siva racconta la tecnologia di produ-zione, dalle origini al periodo prein-dustriale, fino ai giorni nostri; al cen-tro della sala troneggia una grandemacchina insaccatrice da salami. Unasezione riservata alla commercializza-zione presenta la documentazionerelativa alla vendita del salame di Fe-lino a partire dal Settecento. L’ultimasala è destinata alla visione di un vi-deo con testimonianze dell’anticatecnica di produzione. E i sapori e iprofumi continuano nei ristoranti delterritorio e lungo la Strada del pro-sciutto e dei vini dei colli di cui il mu-seo è tappa.

A chiudere il circuito, il Museo delprosciutto e dei salumi di Parma, si-tuato a Langhirano, nel complesso in-tegralmente restaurato dell’ex ForoBoario, splendida architettura ruraledel 1928, storicamente destinata alla

contrattazione del bestiame. Il per-corso espositivo ricostruisce, da unaparte, il processo di produzione deipregiati prodotti dell’arte “salumaria”parmense dal suino ai salumi, dall’al-tra costituisce una sorta di viaggioideale dall’antica norcineria fino allemetodologie della produzione odier-na. Otto sono le sezioni tematiche,che esibiscono materiali fotografici,documenti storici, macchinari eproiezioni audiovisive dedicate al ter-ritorio, alle razze suine determinantiper la qualità dei prodotti, al sale e alsuo fondamentale ruolo alimentare,storico e politico, alla norcineria e aisuoi gesti antichi, ai numerosi salumidella tradizione parmense, alla straor-dinaria ricchezza gastronomica, allalavorazione del prosciutto e al ruolodel Consorzio del prosciutto di Par-ma nella salvaguardia della qualità.

La visita si conclude nella sala de-gustazione: una vera prosciutteriadove vengono serviti i salumi e i pro-dotti del territorio. Così si chiude ilcircuito dei musei del cibo, un’occa-sione per conoscere la cultura e i sa-peri antichi che hanno dato forma aprodotti simbolo della gastronomiaitaliana, un’esperienza indimenticabi-le, per tutti i sensi e per tutti i gusti.

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La frittata di San MarcoDI GIAN NEREO MAZZOCCO

Accademico di Pordenone

La “fortaja” si mangia all’aperto, quando

la natura si risveglia.

I l termine “fortajada”, e in particola-re la “fortajada” di San Marco aPordenone, evoca la festa, collega-

ta al patrono della città, San Marco,del quale si conosce all’incirca la datadella morte, avvenuta attorno all’anno74 d.C. Vuole la tradizione che eglifosse quel ragazzo che seguì Gesùnell’Orto degli Ulivi. Marco scrisseuno dei quattro evangeli canonici e vitrasferì gli insegnamenti e le memoriedi San Pietro. Ma la festa assume an-che il significato di mangiare all’aper-to, durante la tradizionale scampa-gnata che attualmente trova un’orga-nizzazione curata dal Comune nelparco cittadino di San Valentino, mache originariamente aveva come metala Comina, ampia località verde nonmolto lontana dal centro abitato, ver-so nord. Naturalmente, infine, vieneevocata la “fortaja”, la frittata.

Abbinando la festa con il mangiare

all’aperto, va subito detto che non è ilbanchetto sull’aia delle feste contadi-ne e, tanto meno, quello sontuoso ericco nel parco del castello o nel giar-dino della villa, che consentono diutilizzare le contigue cucine. È ilmangiare all’aperto della gita fuoriporta o, per usare un termine anglo-sassone, ma di derivazione francese,del pic-nic. È lo stesso mangiare all’a-perto di chi è lontano da casa, persvago, ma anche per lavoro, e inten-de consumare il suo pasto a contattocon la natura, immerso nell’ambiente.È il pasto del contadino sui campi,del cacciatore o del pescatore in unmomento di sosta o del gitante. Inquesti casi il cibo deve essere adattoalla circostanza, facilmente trasporta-bile e quindi secco e freddo: pane,salame, formaggio. Facile è il traspor-to della “farsora”, la padella, la legnasi può trovare sul posto, le uova siportano in tasca. Ecco la frittata, de-clinata nei mille modi che la fantasiapuò consentire, ma che mantiene lasua appetibilità e piacevolezza anchese già preparata.

Tuttavia non è solo il pic-nic con lafamiglia o con un ristretto gruppo diamici, che rimane un fatto privato,magistralmente e oniricamente rap-presentato da “Le déjeuner sur l’her-be” di Manet, che possiamo chiamare“fortajada”. E nemmeno quando il pic-nic diventa quasi prassi collettiva, in-dipendentemente dal cibo utilizzato,come accaduto nel nostro Paese nelsecondo dopoguerra con il primo be-nessere, l’inizio della motorizzazionee la voglia di tornare alla natura di chisi stava urbanizzando per seguire ilprocesso di industrializzazione in cor-so. La “fortajada” è evento pubblico,dove importante non è solo il contattocon l’ambiente, ma anche il contattocon gli altri. Risale ai riti propiziatori

collocati all’inizio della primavera,quando la natura si risveglia dopo illetargo invernale e incomincia unanuova stagione di raccolti e di vita.

I Romani celebravano nella stessadata i “Robigalia” - per chiedere aldio Robilus (da ruggine) di risparmia-re gli arnesi del contadino e i cereali -e, prima dell’inizio di maggio, i “Flo-ralia”, festa di Flora dea della prima-vera e della vegetazione. A tale pro-posito va ricordato che nella tradizio-ne popolare un primo momento diriavvicinamento alla natura è previstoa Pasquetta, il Lunedì dell’Angelo. Ilculto cristiano tende a collegare que-sta consuetudine all’apparizione diGesù risorto a due discepoli sulla viadi Emmaus e quindi all’uscita dallacittà, ma è probabile che vi sia in ciòl’innesto di una cultura successiva ariti pre-esistenti. È importante sottoli-neare che un cibo che non devemancare nella ricorrenza è l’uovo,alimento che racchiude l’origine dellavita, unendo perfettamente la prima-vera e la ripresa della natura alla Pa-squa cristiana e alla Resurrezione.

La scelta del cibo, la frittata, si inse-risce in questa logica: sempre uova,ma con una preparazione più elabo-rata, ancorché semplice, che esalta isapori in base agli abbinamenti scelti.Per San Marco erano previste “for-taje” con vari ingredienti, da quellaimmancabile con il salame a quella,altrettanto popolare, con le cipolle, aquella di stagione con le erbe di cam-po, a quella più sofisticata con le“moeche” (granchi in muta) o con lespugnole o spungarole (le morchel-le). Di vera cultura e tradizione con-tadina la “fortaja coi s’ciosi”, le luma-che di primavera uscite dal letargo in-vernale, che si sposano felicementecon uova, ortiche e cipolla.

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DI ELEONORA COZZELLAGiornalista

Una sintesi del testo della conferenza tenuta

in occasionedi una riunione convivialedella Delegazione di Pisa.

C ome sarebbe la nostra vita senon potessimo più assaporareil nostro piatto preferito, o il

piatto che meglio riusciva a nostramadre? I sapori sono importanti, per-ché sono in relazione con la nostrainfanzia. Non solo l’infanzia di ogniindividuo, ma dell’umanità. La naturaci ha fatto questo dono in funzione didifesa, per distinguere gli alimenti dicui nutrirci. E conserviamo una me-moria del gusto. Una memoria ance-strale. “Ho sete di sapere, ho fame diconoscenza, ho divorato quel libro,mastico un po’ di francese, ho digeri-to il concetto, so usare parole dolci”.E gli esempi potrebbero continuare:il linguaggio di tutti i giorni è assolu-tamente alimentare. Ci nutriamo diparole. Perché il cibo e l’atto delmangiare permeano la nostra vitamolto più di quanto abbiamo contez-za. Non solo. Ancor più può caratte-rizzare la nostra condotta. Come sot-tolinea lo psicologo Gérard Apfeldor-fer nel saggio “Mangio dunque so-no”, in molte società è segno di ri-spetto non rifiutare il cibo che ci vie-ne offerto. O addirittura è una presadi posizione l’astenersi dal nutrirsi.

Quindi la bocca è anche porta,strumento di apertura - o chiusuras’intende - che si apre o si chiude almondo e le parole, come i cibi, sonoil nostro sapere. Sapere e sapore van-no un po’ a coincidere. Anche se, adire la verità, l’arte di cucinare gli in-gredienti, così come quella di combi-nare le parole, ossia la cucina e la re-torica, non erano considerate arti su-periori da certi filosofi, ma inferiori, equesto perché molta parte della filo-sofia antica, medievale e poi moder-na si fonda sulla filosofia platonica. EPlatone non amava la gastronomia(né la retorica), per due ordini di mo-tivi. Il primo è che si tratta di un’atti-

vità che finge di rivolgersi al benesse-re ma è in realtà rivolta al piacere enon - come prescriveva lui - al bene.In secondo luogo perché la gastrono-mia è figlia di un senso minore. Se-condo una distinzione platonica (IVsecolo a.C.), ma ancora ben presentein Hegel, i sensi superiori - sensibiliall’arte - sono vista e udito. Quelli in-feriori - che rimangono esclusi dalgodimento artistico - sono tatto, olfat-to, gusto. “Ti pare che un vero filo-sofo possa curarsi di piaceri effimericome quelli del mangiare e del bere?”dice Socrate nel “Fedone”, una delleopere di Platone.

E ancora Kant, quando sistematizzail gusto come giudizio estetico, operauna distinzione fra bello e piacevole,facendo rientrare tutto quanto riguar-da il gusto del palato nel secondo e,apparentemente, democratizzando ilgusto. Operano qui un aspetto epi-stemologico (il senso fisico del gustoè soggettivo e non accresce la cono-scenza) e un aspetto morale (il gustodel cibo produce piacere, il piacere èostacolo alla conoscenza e via di dis-solutezza).

Lo stesso Kant, però, amava parlaredi cucina e, quando era ospite a casadi amici, chiedeva alla padrona di ca-sa come avesse preparato i piatti intavola. Egli addirittura sosteneva che,di ritorno da una giornata di lavoro,non c’era niente di meglio che unabella cenetta ad aspettare un uomo.Così consigliava alle famiglie nobili ealto borghesi di far fare alle figlie pra-tica ai fornelli anziché di uno stru-mento musicale: quando il futuromarito sarebbe tornato stanco e stres-sato per aver curato i suoi affariavrebbe preferito un bel piatto fu-mante a una bella melodia.

Apparentemente Kant ha dato im-portanza alla gastronomia. In realtà

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I sensi nel piatto

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l’ha svalutata: se le donne non aveva-no diritto di voto, non potevano con-cludere contratti e occuparsi di affari,farle concentrare sulla cucina sottin-tendeva considerare quest’ultima co-me un’arte inferiore. E forse quindinon è un caso se quasi tutti i filosofiche si sono occupati del rapporto tracibo e cultura, fino a pochi decennifa, erano donne, come Sor Juana Inésde la Cruz, fino ad arrivare alle ame-ricane Carolyn Korsmayer e JanetMcCracken. Ma ancora oggi, a partealcune eccezioni, ci sono illustri pen-satori che mettono in discussione laportata culturale della cucinaria e de-testano l’importanza assunta dalla fi-gura del cuoco.

Il filosofo spagnolo Fernando Sava-ter, nel suo articolo del 2007 intitolato“L’arte della digestione”, critica la fa-ma dei cuochi e l’eccessiva luce suiconvegni gastronomici e dice che “lagastronomia appartiene all’onestomondo dell’artigianato, non dell’arte.L’effetto più alto di un piatto è saziaregradevolmente la fame ma la vera ar-te comincia dopo”. Il fatto è però chequando si parla di filosofia alta si par-la di estetica, che è lo studio del belloe dell’armonia. E basta risalire all’eti-mologia, “aesthetica”, per arrivare al-la definizione di estetica come dottri-na della conoscenza sensibile. Deisensi. E francamente ritengo che sia-no tutti di pari importanza. Di certolo sono in gastronomia. Se ci fermas-simo a riflettere capiremmo, peresempio, l’importanza delle capacitàtattili. Un caso per tutti: le patatinefritte. Devono solo essere profumatedi olio buono? No, devono anche es-sere asciutte e croccanti fuori e mor-bide dentro. L’udito? Fondamentale.Proviamo a mangiare qualcosa con itappi nelle orecchie: quanto è diver-so addentare una mela verde, unmorso di pane fragrante, una noce.Riconosciamo i cibi e ne godiamo an-che con le orecchie.

Ancora, l’olfatto. Mangiamo con labocca ma valutiamo il cibo con il na-so. Sempre più i cuochi sanno chel’olfatto può influenzare la riuscita diun piatto: anice, vaniglia, cardamomo

rendono più appagante l’esperienzadel pasto. In fondo, la scienza ha di-mostrato che “olfatto e gusto, nel cer-vello, viaggiano per canali preferen-ziali, percorrendo l’ippocampo qualevia maestra per la memoria”, perquesto gli odori possono così prepo-tentemente portarci alla mente un ri-cordo. Dopo l’olfatto, la vista. Maisentito dire mangiare con gli occhi?Basterebbe già questo a far riflettere.E poi l’importanza del modo in cuiuna pietanza viene presentata. Capitadi sentirci attratti dal colore di un ali-mento, dalla luminosa freschezzadell’arancione di un melone, dal ver-de di un’insalata, dal rosso acceso diun pomodoro, dal bianco di unamozzarella. Questi colori ci fanno ve-nire l’acquolina in bocca, ci stimola-no a nutrirci di un certo cibo.

Ogni ingrediente ha una sua speci-fica valenza cromatica che va diretta-mente ad agire sui nostri livelli dienergia, fornendo i necessari principi

nutritivi agli organi corrispondenti. Eprobabilmente il nostro cervello inqualche modo lo sa.

Si diceva prima che parole e saporisono entrambi elementi della nostracultura. Ci nutriamo di parole. E il so-ciologo McLuhan diceva che lo stru-mento scelto per comunicare qualco-sa fa parte della comunicazione stessa(il mezzo è il messaggio). Allo stessomodo il metodo di cottura, i condi-menti, il piatto in cui sistemiamo il ri-sultato della ricetta, sono importantiquanto la scelta degli ingredienti.

Il rispetto per ciò che si cucina siallarga anche a quello per il destina-tario del piatto. I cuochi professioni-sti per i clienti, il cuoco casalingo peri familiari. La grande cucina, infatti, èuna serie infinita di piccole cure, diattenzioni, di dettagli. Che riguarda isensi ma poi, volente o nolente, arri-va all’anima.

ELEONORA COZZELLASee International Summary page 77

ACCADEMICI IN PRIMO PIANOL’Accademica Giuditta Cantoro Muratore, dall’ottobre 2010, è di-ventata presidentessa dell’Associazione nazionale giovani agricoltoridella Regione Puglia.

Silvia Di Batte, della Delegazione di Livorno, è stata nominata pre-sidentessa del Soroptimist di Livorno.

L’Accademico di Livorno Francesco Nicolò è stato nominato presi-dente del Rotary club di Castiglioncello e Colline pisano-livornesi.

Alessandro Signorini, Vice-Delegato della Valdelsa Fiorentina, èstato insignito dell’onorificenza di ufficiale dell’ordine al merito dellaRepubblica italiana.

È stato conferito all’Accademico Luigi Vasoin De Prosperi, dellaDelegazione di Padova, il sovrano ordine di S. Maurizio e Lazzaro,per i suoi studi e scritti risorgimentali.

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DI MAURIZIO TOGNETTIAccademico di Boston

“Per nascondere la non conoscenza

delle ricette originali si presentano piatti

imbastiti a orecchio”.

U na delle recenti cene accade-miche dei soci di Boston miha riproposto l’occasione per

dare spazio alla mia vena polemicain fatto di tradizioni e di sincerità.Come mi è capitato di dire e scriverepiù volte, anche su queste pagine,non riesco a capacitarmi del perché,all’estero ma non solo, ci si ostini achiamare i piatti con un certo nomeper poi somministrare qualche cosadi diverso. O meglio, forse si com-prende bene il perché.

Perché in questo modo si vive del-la rendita di un nome noto a garan-zia di origine e qualità di ciò che sioffre al cliente.

Ebbene, io mi meraviglio, un po-co, che non tutti s’indignino - anchei soci Accademici -, perché mi sentocome raggirato. Qui negli Usa, unmenu ingannevole che si riferisse apiatti americani ben conosciuti, ver-

rebbe subito definito “misleading”(fuorviante) e le varie voci ivi conte-nute “misrepresentation” (rappre-sentazione erronea/falsa).

Cosa diremmo se, andati dal salu-miere e chiesto del parmigiano reg-giano, una volta giunti a casa ci ac-corgessimo che ci ha rifilato un for-maggio di tutt’altra zona, magaribuonissimo, per carità, ma non quel-lo che ci aspettavamo? La cosa si faancor più pesante quando si vive al-l’estero.

Certo, anni di vita in Paesi stranierici hanno insegnato a non chiederespaghetti alla napoletana o peggiotortelli di zucca alla mantovana, maquando ci si trova di fronte a un lo-cale che pretende di preparare piattiitaliani, per giunta regionali e - daqueste parti - desueti, qualche aspet-tativa viene suscitata, così come unpoco di acquolina in bocca; allora siordina, nella speranza di ritrovarsicon un cuoco che almeno faccia cor-rispondere al nome un prodotto tipi-co, anche semplice ma vero. Sareb-be già un grande passo avanti nellacosiddetta ristorazione “italiana” al-l’estero.

Ecco invece quello che succede,come qualche tempo fa è capitatoalla nostra Delegazione, quando ab-biamo visto in menu una “chitarra alvongole” (sic) poi i “garganelli”, indiun “abbacchio alla romana”, volen-do tralasciare, ma non troppo, gliantipasti e il dolce “tirami su”.

I garganelli erano fatti con una pa-sta che non sembrava all’uovo (e diessere impastata con il formaggionon se ne parla) e conditi con unsugo agrodolce di anatra brasata alvino, con aggiunta di ciliegie passi-te, pinoli e cavolo; l’abbacchio con-sisteva in costolette di agnello vaga-mente condite con una salsa verde

con farro e rosmarino; gli spaghettisembravano alla chitarra ma non sipuò accettare che nel condimento,assieme alle vongole, ci fosse il ba-con.

Si dirà: ma è la fantasia del cuocoe il tentativo di far evolvere alcunipiatti modificando qualche cosa po-trebbe essere un lodevole segno dicoraggio e competenza. Ecco, a mioparere, è proprio qui il vero proble-ma, purtroppo: è per nascondereuna certa incompetenza e la non co-noscenza delle ricette originali e del-la loro storia che si presentano piattiimbastiti a orecchio, spacciandoliper colpi di genio dello chef, chestravolgono una ricetta nota renden-dola irriconoscibile.

Allora perché dargli quel nome?Non sarebbe meglio battezzarli conuno nuovo?

Questi menu sono costruiti per gliindigeni - non per gli italiani -, tantoè risaputa la loro quasi completaignoranza in materia e i nomi, inpseudo italiano, più volte orecchiatima in realtà sconosciuti, li attiranocon “la magia delle parole”, cheperò, alla fine, non ha sapore.

Che, al palato, la portata in sé pos-sa poi risultare anche più che accet-tabile, nulla ha a che vedere con lasua presunta e dichiarata origine. Sigiunge persino al paradosso di sentirparagonare piatti “tipici”, consumatisia qui che in Italia, e sostenere chequelli di qui sono migliori. Non sitratta di migliori o no, sono diversidall’originale e necessitano di esserechiamati con un nome nuovo.

A mio parere, solo insistendo suquesto punto potremo continuare adifendere la nostra cucina ed evitareche scivoli inevitabilmente verso ilbanale o il fantasioso.

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Combattere i falsi

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Tutela della tradizioneDI DONATO PASQUARIELLO

Accademico di Roma Appia

Il consumatore, mantenendouna specifica e qualificata

domanda, costituisce una difesa per la vitalità

della tradizione.

N ato e vissuto, sino al compi-mento degli studi, in Campa-nia, avevo più volte sentito af-

fermare, in ambito familiare e traamici e conoscenti, che mozzarelle dibufala di buona tradizione produttivasi potevano trovare, oltre che nel ce-lebrato agro aversano, anche nellacittadina di Cardito, lungo il trattodella strada nazionale “Sannitica” cheda Caserta conduce a Napoli. Purnon escludendo che in detta area ab-bia un tempo trovato specifico svi-luppo una rinomata lavorazione diquesto prodotto, è probabile che ladiffusione di tale credenza possa es-sere stata in qualche modo legata al-l’esistenza in Carditello - località sololinguisticamente vicina a Cardito, chepure annovera una frazione denomi-nata Carditello - di una “Reale indu-stria della pagliara delle bufale”, te-nuta borbonica attiva sin dalla finedel XVIII secolo con un allevamentodi bufale e annesso caseificio di pro-duzione di mozzarelle.

Fatto sta che di recente, tornandoda Napoli verso Caserta, attraversan-do proprio la citata via di collega-mento, mi è d’un tratto sovvenuta l’i-dea di verificare personalmente ilgrado di verità e di attualità di quel-l’antica reminiscenza di senso comu-ne; così mi sono fermato a Cardito eho acquistato presso un esercizio dialimentari in centro delle comunimozzarelle di bufala.

Più volte deluso nelle mie aspettati-ve di consumatore di tale prodotto -reperibile ormai presso numerosi ca-seifici, spesso emergenti, o loro puntivendita, diffusi in quasi tutte le areedella Campania, e non solo - ho po-tuto felicemente assaporare nella cir-costanza, con viva sorpresa, un ali-mento veramente gradevole che miha consentito di riportare alla mente

alcuni tra i più piacevoli momenti gu-stativi dell’infanzia e della prima gio-ventù. Consapevole che a determina-re tale favorevole esito possano avercontribuito inevitabili elementi di ca-sualità, oltre che psicologici legati al-la mitizzazione dei miei ricordi, hotuttavia creduto di avere, nella circo-stanza, una singolare riprova di comeaffermazioni popolari possano con-servare un fondamento di validità.

L’episodio si è rivelato comunquetale da suggerirmi una serie di rifles-sioni, che ritengo utile partecipare,sulla natura di talune tradizioni diprodotto, nelle molteplici loro formedi costituzione, e sulle modalità inbase alle quali esse trovano alimentoe mantenimento nell’ambito di unadeterminata comunità.

Appare indubbio, in primo luogo,che anche la semplice affermazionelocale di un determinato prodotto,dalle inconfondibili caratteristicheapprezzate come tali da una pluralitàdi soggetti, costituisca a tutti gli effettiuna tradizione, degna di tutela perl’accertata capacità di soddisfare leaspettative, anche in termini di sem-plice gusto, di una qualificata plateadi consumatori.

L’insorgere e la definitiva afferma-zione di una tradizione del genere ri-chiedono tutta una serie di circostan-ze favorevoli: caratteristiche e condi-zioni ambientali, disponibilità di ma-terie prime, peculiarità di lavorazioni,professionalità, nonché sviluppo lo-cale di sensibilità gustative tali da tra-sformare un comune alimento inqualcosa di godibile e di irrinunciabi-le. L’apprezzamento di un determina-to prodotto fa sì che i singoli tendanoa reiterarne l’acquisto, confortati dal-la certezza che il suo consumo conti-nui a rivelarsi quotidiano momentodi soddisfazione.

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Per potersi affermare, la tradizionedeve inoltre giovarsi dell’esistenza ditaluni fattori di successo: condivisoriconoscimento della qualità del pro-dotto, facilità di reperimento e conti-nuità dell’offerta, congruità della spe-sa in rapporto al benessere consegui-bile, coerenza con le altre stabili for-me di vita della comunità.

La sua forza, diretta espressione delradicamento e del seguito riconosciu-tole, trae alimento da un processopiuttosto lungo di sperimentazione edi validazione, a compimento delquale ne viene decretata la definitivaassimilazione e la conseguente iscri-zione nella memoria collettiva e nelsenso comune trasmissibile della co-munità.

La domanda collettiva assumeinfatti col tempo un legame cosìintenso con il territorio, divenen-done indiscussa manifestazione,da trascendere quasi la stessa vo-lontà degli individui che hannocontribuito a determinarla. Le tra-dizioni, nel loro complesso, fun-gono così da “anima” di quellospecifico luogo, rappresentando-ne i principali elementi di distin-zione nella considerazione, nonsolo locale, ma anche esterna.

Solo vistosi cambiamenti diparadigma nel locale assetto sociale enel sistema dei valori a esso sotteso -sempre possibili, come purtroppo lastoria insegna - possono avviarne ildecadimento o la definitiva scompar-sa. A conferire, nel caso specifico,contenuti e forme alla tradizione con-corrono indubbiamente condizionisia di domanda che di offerta del pro-dotto, inteso quale comune punto diriferimento e valido banco di provaper il mercato e per tutti i soggettiche a qualunque titolo vi operano.

Nella dimensione temporale, l’of-ferta ha un ruolo indubbiamenteprioritario nella definizione del pro-dotto, nella sua proposizione al mer-cato e nella predisposizione dellecondizioni idonee a favorirne l’affer-mazione.

A questa prima fase segue spessoun delicato processo di adeguamento

e di affinamento sino a quando do-manda e offerta abbiano a converge-re su posizioni di equilibrio tra esi-genze per molti versi contrapposte;non si può poi escludere che proces-si iterativi di aggiustamento possanoverificarsi anche successivamente, almanifestarsi di modificazioni nellecondizioni di domanda o di offerta.

In sostanza la domanda supporta emantiene nel tempo la tradizione: si-no a quando l’offerta esprime un pro-dotto pienamente rispondente alleaspettative, la risposta dei consuma-tori continua a essere ovviamente po-sitiva.

Questi ultimi, in forza delle sensi-bilità sviluppate, rappresentano i ve-

ri custodi della tradizione, in quantotali abilitati a valutare con continuitàla natura e la qualità dell’offerta e at-tenti a rilevare ogni possibile modifi-cazione che possa recare pregiudi-zio a comportamenti largamentesperimentati.

Solo in presenza di derive significa-tive sul piano della qualità, venendoprogressivamente meno le loro cer-tezze, essi tendono a rifiutare il beneproposto dal mercato, con il rischiotutt’altro che remoto di interromper-ne la tradizione produttiva sino a de-cretarne la definitiva cessazione.

La continuità della complessiva do-manda diventa così fattore essenzialeper il mantenimento della tradizionenelle forme in cui essa ha trovato ra-dicamento nella comunità, così comei singoli ne assumono l’insostituibileruolo di presidio.

Questo è probabilmente quantoaccaduto riguardo all’episodio ripor-tato: la comunità, esprimendo emantenendo una specifica e qualifi-cata domanda - quali che ne sianostate l’origine e la successiva affer-mazione -, si è resa garante della co-stanza qualitativa del prodotto neltempo, imponendo di fatto le sue“pretese” agli stessi operatori di mer-cato, condizionandone e limitando-ne di conseguenza i comportamenti.

I produttori, dal canto loro, nonpossono che impegnarsi affinché laloro offerta rimanga costantementeadeguata alle attese dei consumato-ri, evitando rischi di una loro possi-bile delusione.

A maggior ragione l’opera-tore di nuovo accesso al mer-cato si deve muovere conestrema cautela, essendo eglitenuto, pena l ’ immediataemarginazione, a valutare laqualità del suo prodotto inrapporto a quella accettata dalmercato, a organizzare coe-rentemente il processo pro-duttivo e a fissare adeguatecondizioni di vendita.

Qualsiasi innovazione indot-ta dall’evoluzione tecnologicasulla naturale spinta al miglio-

ramento, quando suscettibile di inci-dere sulla qualità del prodotto, va at-tentamente considerata alla luce del-l’impatto che può conseguirne.

Anche il prezzo, quando non giu-stificato da esigenze di costo o di al-lineamento al generale andamentodel mercato, può diventare indubbiofattore di rischio ai fini del manteni-mento dell’atteso livello di domanda.

Essenziale quindi ai fini della vita-lità della tradizione, la domanda vie-ne in definitiva a costituire, oltre cheopportuno riferimento con cui misu-rare scelte e strategie di mercato, an-che una difesa, non facilmente supe-rabile, della qualità del prodottocontro gli inevitabili tentativi che dicontinuo ne minacciano la naturaleintegrità, spesso purtroppo per ra-gioni di mero profitto.

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Erbe delle MurgeDI PIETRO SCALERA

Accademico di Altamura

La tradizione contadina annovera una ricca

esperienza di raccolta e di utilizzo delle piante

del territorio.

L e erbe officinali, che accompa-gnano da sempre l’uomo, la suavita e il suo evolversi, compren-

dono le aromatiche, le medicinali e leessenziali. Numerose fonti storicheattestano che le erbe officinali eranoconosciute fin dall’antichità e ne erafatto uso dalle civiltà precristiane,greche e romane, in campo religioso,sociale e pratico.

Gli uomini preistorici ne scopriro-no presto le proprietà antisettiche ele utilizzarono soprattutto per conser-vare i cibi neutralizzando sapori in-desiderati, mentre gli antichi Egizi, at-tribuendo alle erbe un potere divinoe magico, se ne servivano durante i

riti di imbalsamazione dei corpi deidefunti affinché il loro profumo per-mettesse un contatto spirituale con ledivinità.

I Greci utilizzavano le erbe officina-li per i sacrifici, nei quali la vittimabruciava su roghi profumati di spezie,e tutti gli oggetti sacri erano cosparsie impregnati di queste fragranze.

Nell’antica Roma, dove venivanochiamate “aromatica”, per distinguer-le dai prodotti alimentari quali grano,farina e orzo, le erbe officinali veni-vano utilizzate nella ricca cucina deigrandi imperatori oppure nella crea-zione di oli cosmetici o nelle prescri-zioni mediche come sostanze capacidi portare sollievo e beneficio al ma-lato. Nell’812 Carlo Magno obbligòaddirittura il popolo con un editto - ilCapitolare de villis - a coltivare erbeofficinali. Alcune di queste, come ilrosmarino, la salvia, il timo, erano giàusate dai Romani e dai Greci, e ave-vano un posto d’onore nell’“hortusconclusus” medievale. I monaci siservivano comunemente di questepiante per curare vari disturbi. Peresempio la salvia veniva usata in ca-taplasma contro il mal di denti, il ro-smarino in infuso contro i gonfiori distomaco, la malva per calmare agita-zione e stati ansiosi.

Dopo un periodo di abbandono, aseguito dell’eccesso di sapori cheaveva investito la tavola rinascimen-tale e che aveva portato le popolazio-ni europee alla stanchezza verso leerbe aromatiche, il loro uso ebbenuovamente una grande diffusione,soprattutto in Francia e in Italia, men-tre la raccolta, l’essiccazione e la ma-nipolazione delle erbe officinali con-tinuavano a seguire riti segreti tra-mandati dalle “donne sagge”, spessoperseguitate dalla medicina ufficialee dalla Chiesa.

Antiche erbe officinali e aromati-che, antiche sapienze che si vannoperdendo e che andrebbero rivisitatealla luce delle moderne conoscenzescientifiche. La medicina modernasfrutta infatti rimedi ricavati un tempodalle piante, oggi prodotti sintetica-mente in laboratorio: l’aspirina è underivato dei salicilati contenuti nellacorteccia dei salici e in anni recenti lepiante hanno fornito farmaci antitu-morali preziosissimi. Un patrimonioda rivalutare e, in parte, ancora dascoprire, come varrebbe la pena di ri-scoprire le proprietà curative di erbee aromi ancor oggi comunementeusati in cucina.

Negli ultimi decenni l’erboristeriaha ritrovato la sua giusta collocazionenella prevenzione e cura delle malat-tie. Il tutto nell’assoluta e concretaconsapevolezza che, oggi come ieri,il segreto della salute si trova anchenella natura vegetale.

Il territorio della Murgia, ricco dispazi naturali e con una varietà di eco-sistemi, da sempre rappresenta unasorta di laboratorio per botanici, natu-ralisti, erboristi e ricercatori. D’altraparte la stessa tradizione contadinadelle genti locali può annoverare unaricca esperienza di raccolta, di ricette edi utilizzazione delle molteplici pianteche il territorio ospita e che, in un’otti-ca di moderna multifunzionalità deglioperatori rurali, può trovare in futuronuovi sbocchi e soddisfazioni econo-miche soprattutto nelle realtà più mar-ginali e meno competitive. Nostrocompito principale è quello di accre-scere e diffondere la conoscenza delleprincipali pianti officinali e aromatichepresenti sul territorio e, al tempo stes-so, valorizzare e salvaguardare l’in-comparabile qualità dell’ambiente checaratterizza la nostra Murgia.

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DI ALFREDO PELLEAccademico apuano

Centro Studi “F. Marenghi”

“La ristorazione deve, proprio in questo momento,

accrescere la cultura del cibo e della qualità”.

D a qualche tempo, nella risto-razione, è in atto un coro, unpianto generale. Emergono,

ogni tanto, voci autorevoli e interes-santi che riferiscono quanto i piùesperti opinionisti considerano co-me fondamentale: non si sa comeandrà a finire, quali saranno i nuovivalori, le nuove tendenze, le nuovenecessità.

Nel frattempo calano i consumi, lepresenze si rarefanno, i grandi eventifamiliari (nozze, comunioni, anniver-sari di natura diversa) si sono allonta-nati dai festeggiamenti in ristorante.

Bisogna fare una premessa indi-spensabile per meglio comprendere ilgrandissimo problema che percorretutta la categoria: la ristorazione nonpuò che essere l’espressione della so-cietà della quale fa parte e non può es-sere in controtendenza rispetto all’am-biente che la determina e la sostiene.

Guardiamo, in modo lacunoso eme ne scuso, quali sono le compo-nenti di una crisi che sembra poter-si risolvere solo con cambiamentideterminanti nel modo di gestire laristorazione per la modificata do-manda.

Un’indagine fatta nello scorso an-no dalla Fiepet Confesercenti ha im-pietosamente descritto il mercato del“fuori casa” registrando un importan-te calo delle presenze nella ristora-zione. Del resto, già nel 2009, a con-ferma di un calo generale, dobbiamoricordare come i consumi alimentarierano diminuiti del 3%.

Nella ristorazione si avvertono di-verse difficoltà che sono testimo-nianza di un cambiamento epocaledi usi e costumi. Il pranzo all’italiana,per esempio, era da sempre formatoda quattro “pilastri” essenziali: anti-pasto, primo, secondo, dolce.

È finita un’epoca: al ristorante lacomanda si limita, quasi sempre, adue piatti, ai quali può seguire il dol-ce da “condividere”.

Bisogna anche riconoscere che ilpasto di mezzogiorno è quasi com-pletamente sparito dalla ristorazionedi qualità: i locali “stellati” e quelli dirilievo si rivolgono solo a un pubbli-co della sera, mentre chi resta apertoa mezzogiorno opera su pranzi divalore non superiore ai 30 euro.

Inoltre è entrata nel mondo del“cibo” una serie di locali che hannotolto utenti alla ristorazione: a mez-zogiorno bar che riscaldano piattisurgelati, insalatone, focacce d’ognitipo, oltre alle pizzerie (sono oltre5 milioni le pizze mangiate ognigiorno).

Questo fenomeno innesca diffi-coltà enormi nella gestione generaledelle materie e dei costi. Ripartire,come dicevo prima, su due soli piatti

il costo generale di un locale porta aun aumento difficile da sostenere e,da parte dell’utente, comprendere.

Cosa fare allora? Agire sul livelloqualitativo? Non è di certo conve-niente, perché si crea un circolo vi-zioso che abbassa la qualità genera-le delle materie prime secondo que-sto percorso: se ci si rivolge a pro-dotti di minor prezzo, col cresceredella domanda, per una legge im-mutabile del mercato, i prezzi ten-dono ad aumentare e così si annulla-no gli iniziali vantaggi.

Senza considerare che questo at-teggiamento è controproducentesotto il profilo dell’immagine. L’uni-ca difesa è fare scelte forti che met-tano in luce il territorio, rinunciandoa certi beni per farne conoscere altri.Il che richiede la forza per riadattarei menu educando il consumatore.

In questa ottica la scoperta delmenu a km zero è stata una leva cheha fatto colpo sulla domanda facen-do riscoprire i prodotti stagionali,più economici e, soprattutto, piùcoerenti. Il che allontana i ristoratorida quei semilavorati industriali(grandissima ne è la presenza nellapasticceria) che sono, per loro stes-sa natura, la causa di una grandeomologazione della cucina di mediaportata.

La ristorazione deve, proprio inquesto momento, accrescere la cul-tura del cibo e della qualità, per por-tare il cambiamento del modo dimangiare verso quei valori di grandedignità che ha la cucina italiana.

In questa ottica l’Accademia, dasempre portatrice di valori di qualitànell’alimentazione, deve evidenziareal massimo la sua funzione di rispet-tabile “opinion leader”: ha i meriti, lacapacità e la storia dalla sua.

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Ristoranti in crisi

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DI TITO TROMBACCOAccademico di Bologna dei Bentivoglio

Dal convegno è emersa la necessità di un maggiorcoordinamento tra scuola

e mondo del lavoro.

È giusto ritenere che l’educazio-ne e l’istruzione alimentare egastronomica siano concetti

fondanti nella professione del cuocoe tutela dei principi ispiratori dellaciviltà della tavola. La conoscenza,da parte del cuoco o del giovane chesi avvicina a questa professione, del-le tecniche, degli usi e delle abitudiniche attraverso i secoli hanno deter-minato l’identità italiana della cucina,la consapevolezza di una preparazio-ne e di una capacità professionaleche sapientemente sa distinguere eutilizzare questo o quel prodotto,questa o quella tecnica, quella elabo-razione o quella ricetta, significanotutela di qualità e genuinità.

Essere cuoco vuol dire anche tra-smettere nei piatti la conoscenza delproprio territorio e delle sue materieprime; la capacità di distinguere frail “vero e il falso”, significa aver co-struito le proprie capacità professio-nali attraverso un percorso formati-vo di conoscenza del passato, radi-cato nel presente e consapevole delfuturo.

Partendo da questi presupposti, leDelegazioni unite dell’Emilia e dellaRomagna, tramite i Coordinatori ter-ritoriali Vittorio Brandonisio e GianniCarciofi, i Direttori dei Centri Studiterritoriali Alessandro Cantagalli e Ti-to Trombacco e il Segretario operati-vo Massimo Gelati, su indicazionedel Presidente Giovanni Ballarini,hanno organizzato il primo conve-gno regionale dal titolo: “Quale for-mazione per una cucina di qualità?”.È stata condotta un’indagine cono-scitiva basata sulle risposte riguar-danti due schede: la prima sull’attua-le stato delle scuole alberghiere sta-tali, la seconda relativa all’opinione eal giudizio dei ristoratori sulla scuolae sui diplomati novelli cuochi.

Il convegno, inserito tra le manife-stazioni che l’Accademia ha promos-so in occasione delle celebrazioniper i 150 anni dell’Unità d’Italia, si ètenuto nella grande sala convegnidell’hotel “Mulino Rosso” di Imola.

Il saluto di benvenuto della Dele-gazione di Imola, con la successivalettura del messaggio di apprezza-mento inviato dal ministro delle Poli-tiche agricole e alimentari, ha apertoi lavori alla presenza di oltre 200 Ac-cademici, del Presidente GiovanniBallarini, del Vice-Presidente vicarioSeverino Sani, dei membri emiliano-romagnoli della Consulta nazionale,dei Delegati della regione e di altrearee.

I due Direttori dei Centri Studihanno presentato i risultati delle dueindagini, imperniate sulle rispostefornite dalle 10 scuole alberghiere diStato regionali e da 140 ristoranti, difascia medio-alta, della regione. Ilmoderatore del convegno, il notogiornalista dott. Enzo Vizzari, diret-tore de “Le guide dell’Espresso”, hacondotto nel dibattito i relatori: laprof.ssa Maria Pia Bariggi, il prof.Giuseppe Ciampoli, la prof.ssa Giu-liana Rosetti Cimatti per le scuole al-berghiere, il prof. Marco Dalla Rosaper l’Università di Bologna, l’asses-sore regionale alla Scuola e forma-zione professionale prof. PatrizioBianchi, i maestri Gualtiero Marche-si, Massimo Spigaroli, Paolo Teveri-ni, Gianni D’Amato, Piergiorgio Pari-ni per i ristoratori.

Bella e apprezzata la presenza insala degli allievi del IV anno dell’isti-tuto alberghiero “Artusi” di Riolo Ter-me, in divisa da lavoro, accompa-gnati dalla preside e dagli insegnanti.

Il dibattito ha analizzato, e messoin risalto, le luci e le ombre del siste-ma formativo regionale, e ne è emer-

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Formazione in cucina

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so un quadro preoccupante: infatti,quasi l’80% degli operatori alla risto-razione che hanno risposto, ha ri-scontrato, da parte dei giovani cuochiusciti dagli istituti alberghieri, una de-ludente professionalità, con una pre-parazione di base spesso insufficien-te per il mondo del lavoro.

Alcuni ristoratori hanno addiritturaespresso dubbi sulla utilità di questotipo di scuole. Servono più le capa-cità tecnico-professionali che quelleteoriche; inoltre il più delle voltemanca la spinta di valide e forti moti-vazioni, quando, per converso, af-frontare la professione del cuoco im-pone una passione fuori dal comune,un grande amore e tanto sacrificio,tenendo, inoltre, ben presente la du-rezza del lavoro e la pesantezza degliorari.

Abbiamo una scuola troppo lonta-na dal mondo del lavoro; la scuola,

secondo Gualtiero Marchesi, deve in-segnare le tecniche e indirizzare tuttigli studenti a una coralità di intenti,aiutando il singolo a far emergere leproprie capacità.

Le strutture tipo “Alma”, il centro diformazione internazionale sulla cuci-na italiana di Colorno, di cui Marchesiè rettore, può colmare queste lacune,può essere il completamento idealeper chi ha concluso la scuola alber-ghiera, o per chi vuole arricchire ilproprio bagaglio professionale. I risto-ratori hanno suggerito una formazio-ne continua di aggiornamento da par-te dei docenti di cucina degli istituti.

Da parte loro, i dirigenti scolastici,che nonostante le riconosciute diffi-coltà oggettive cercano di utilizzaresinergie fra i vari istituti e il mondodel lavoro, desiderosi di otteneresempre un cambiamento e un miglio-ramento della loro preparazione e

dei loro metodi di insegnamento, au-spicano, dal mondo del lavoro, unasempre più attiva e fattiva collabora-zione, cercando da parte loro di crea-re opportunità, interessi, scopi e spe-cificità nei loro studenti, spesso pocomotivati e distratti.

A sua volta l’assessore regionale al-la Scuola e alla formazione, PatrizioBianchi, ha suggerito un maggiorcoordinamento tra chi lavora in cuci-na e chi insegna a cucinare, ribaden-do la necessità della presenza di quei“maestri” che sappiano educare e,nello stesso tempo, entusiasmare aun’attività professionale.

Il Presidente Giovanni Ballarini hachiuso il dibattito osservando comeresti ancora senza risposta la doman-da che si facevano già due secoli fain Francia: “È la scuola o la professio-ne che deve insegnare?”.

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I N O S T R I C O N V E G N I

Un’antica storia narra che la donna, prendendo unamela su consiglio di un serpente e dandola all’uomo,inventa la cucina e diviene cuoca, ma l’uomo imme-diatamente la incolpa della scelta e, criticandola, di-viene accademico. Tra donna cuoca e uomo accademico, con di mezzoun serpente, per lungo tempo non è corso buon san-gue. Soltanto nelle società più libere e avanzate, co-me quella degli Etruschi, uomini e donne possono es-sere artefici e critici, cuochi e accademici. D’altra parte l’entrata delle donne nelle accademie èrelativamente recente e pare che la prima accademi-ca sia stata Laura Maria Caterina Bassi Veratti, no-minata socia onoraria, il 27 marzo 1732, dell’Acca-demia delle scienze di Bologna, e nel 1745 nominataaccademica benedettina. Queste nomine tuttavia, anche a Bologna, non in-taccano una certa misoginia, anche cucinaria ogastronomica, come quella espressa, alla fine del1600, dal bolognese Vincenzo Tanara sulle donnein cucina nel suo libro sulla “Economia del cittadi-no in villa”.Tra i fondatori della nostra Accademia non figuranodonne, nonostante che proprio a Milano operasseronumerose scrittrici e gastronome di vaglia, una tratutte la dottoressa Amalia Moretti più nota come Pe-

tronilla (e come dott. Amal per la divulgazione sani-taria). Non sappiamo con precisione quale sia stata la pri-ma donna divenuta nostra Accademica, ma è facileconstatare come la presenza accademica femminilesia in continua ascesa e come ora le donne sianopresenti nella Consulta accademica, nel Collegio deiProbi Viri, nel Centro Studi “Franco Marenghi”, neiCentri Studi territoriali anche come Direttori, nelCoordinamento territoriale, e quali Delegate (15%delle Delegazioni in Italia e 25% all’estero). Una situazione rosea? Sì e no, perché se quanto oraindicato riguarda una presenza femminile moltoqualificata, lo stesso non sempre avviene a livello disingole Delegazioni, che in questo modo si privano diun prezioso apporto culturale e di critica gastrono-mica. Non bisogna infatti dimenticare che in linea di mas-sima sono più le donne che gli uomini ad avere espe-rienza pratica e continuativa, non occasionale, dicucina.Una maggiore presenza femminile in tutte le Delega-zioni non solo è opportuna, ma necessaria anche persuperare un’antica misoginia, uscendo dal dilemmaormai anacronistico di donna-cuoca e uomo-critico.(Giovanni Ballarini)

MISOGINIA ACCADEMICA

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I piaceri di CavourDI GABRIELE GASPARRO

Delegato di Roma

“Frequentava i caffè e i ristoranti dove

la tavola era ricercata”.

G li occhi furbi e scrutatori die-tro le spesse lenti, la frontespaziosa e il largo viso con-

tornato da un sottile filo di barba.Labbra impercettibilmente sorridenti.L’aspetto di uomo calmo e gran co-noscitore dei piaceri che offre la vita,dal gusto della tavola al fascino fem-minile. Non ha l’alterigia del nobile,ma un sussiego non ostentato. Lagentilezza dei modi testimonia l’al-tezza dei natali. È Camillo Benso, deimarchesi di Cavour, conte di Cella-rengo e Isolabella (ma noto comeConte di Cavour), uno dei grandipersonaggi ai quali dobbiamo il no-stro essere italiani in un Paese unito.

Camillo, fin da giovane, coltivò,con la politica e l’economia, la ricercadi tutto ciò che fa piacevole la vita. Infamiglia cominciò ad apprezzare ipiaceri della tavola. Il padre MicheleBenso, in una lettera alla moglie Ade-le de Sellon, scrive: “Nostro figlio hacosì onorato la mensa: grossa scodel-la di zuppa, due belle cotolette, unpiatto di lesso, un beccaccino, riso,patate, fagiolini, uva e caffè. Non c’èstato modo di fargli mangiar altro!”.Ventenne, si recò a Parigi al felicetempo in cui i borghesi si preoccupa-vano di adempiere al comando del reLuigi Filippo: “Borghesi arricchitevi!”.Qui trovava tutto piacevole; la “Villelumière” fu la scuola della monda-nità, dell’arte, dei rapporti per unaraffinata capacità diplomatica. È a Pa-rigi che apprese e raffinò il gusto deipranzi squisiti.

Dal 1848, quando Camillo fu elettodeputato al Parlamento piemontese,la sua carriera fu tutta in ascesa, finoa diventare primo ministro di suamaestà Vittorio Emanuele II. Gli stori-ci lo hanno descritto spesso comeuomo politico totalmente dedicato aidestini della patria, sottacendo il suo

carattere abbastanza libertino, le sueavventure galanti di scapolo impeni-tente che ravvivavano le conversazio-ni degli austeri salotti torinesi. Cavourcertamente fu uno che sapeva godersila vita. Frequentava i caffè e i ristoran-ti in città e nel circondario, dove la ta-vola era ricercata, e spesso ci si riuni-va per discutere di politica, come nel“Caffè Florio”, situato sotto i portici divia Po, a pochi metri da Palazzo Cari-gnano. Molto frequentato da perso-naggi illustri, aristocratici, intellettualie anche da studenti provenienti dallavicina Università. Si racconta che que-sto caffè fosse anche un luogo di pet-tegolezzo, tanto che ogni mattina, co-me si narra, il re Carlo Alberto chiede-va ai suoi collaboratori: “Che si diceoggi da Florio?”. Ricordiamo poi il“Cambio”, il famosissimo ristorante apiazza Carignano, dove il grande sta-tista consumava regolarmente i pasti,sempre a un tavolo personale, cheancora oggi si conserva, orgoglio dellocale che conta più di 250 anni di vi-ta. Si narra che Cavour osservasse illocale dalla finestra del suo ufficio evi si precipitasse non appena vedevache era vuoto e tranquillo.

Altro luogo legato alla vita di Ca-vour a Torino è il “Caffè Bicerin”, inpiazza della Consolata, dove egli sirecava di frequente, soprattutto dopoaver accompagnato i reali a messanell’attiguo santuario della Consolata.Anche in questo piccolo ma suggesti-vo locale storico è ancora conservatoil tavolino a cui si sedeva il conte.

Il capolavoro diplomatico di Ca-vour fu l’ingresso del piccolo Regnodi Sardegna nel concerto delle grandipotenze europee, dopo la guerra diCrimea alla quale parteciparono ibersaglieri dell’esercito sardo. Nelcongresso di Parigi del 1856, intornoal tavolo dei “grandi”, sedeva anche

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Cavour. Anche in questa occasionepassò alla storia l’osservazione mali-gna: “Il congresso si diverte”, comefu a Vienna nel 1815. “Ciò che più misorprende è la loro resistenza a que-sta battaglia di forchette e bottiglie”,ne scrisse la contessa Dahremont.

Nel 1859, dopo il famoso “grido didolore” di Vittorio Emanuele, si con-cludeva la strategia di Cavour ten-dente a provocare l’Austria e a con-durla alla guerra. Il 26 aprile 1859 ar-riva l’ultimatum auspicato e Cavour,uscito dal suo ufficio, incontrandogli amici, risponde con le parole diCesare: “Alea jacta est. Ed ora andia-mo a desinare. Noi abbiamo fatto lastoria”.

Cavour perseguiva il pensiero di fa-re dello Stivale una nazione unica ecosì scriveva in termini gastronomici,nel 1860, al suo amico Costantino Ni-gra, importante pedina per i suoi di-segni diplomatici: “Oltre alle arance(Sicilia), dovremmo prenderci anchei maccheroni (Napoli)”. Il 7 settem-bre, quando Garibaldi entra vittorio-so a Napoli, Cavour, rivolgendosi al-l’ambasciatore piemontese a Parigi,sentenzia: “I maccheroni sono cotti enoi li mangeremo”.

Cavour è padre della patria, ma an-che del Barolo. A Grinzane Cavour, ilpaese di cui fu sindaco e che ne por-ta il nome, c’è ancora il terreno conla vigna da cui ebbe inizio la storia diuno tra i vini più prestigiosi al mon-do. Amava la tavola e il vino, convin-to delle virtù diplomatiche di unbuon pranzo e di un’ottima bottiglia.Quando un suo diplomatico partivain missione per una capitale stranie-ra, si accertava che nel bagaglio cifosse qualche bottiglia di Barolo,quel grande vino piemontese al qua-le Cavour contribuì a dare dignità,producendone lui stesso nelle tenutedi Grinzane, ricorrendo anche a ungrande enologo dell’epoca, il contefrancese Louis Oudart.

In un periodo di politica “disinvol-ta” e d’interesse personale di chi è alpotere, alle proposte di private spe-culazioni, provenienti dall’estero, Ca-vour rispondeva: “I ministri del re di

Sardegna, penetrati dalla gravità delleloro funzioni, ad altro non attendonose non alla cosa pubblica”. Ma algrande piemontese non mancava ilgusto dell’ironia, come per esempioquando invitò a pranzo a casa suaUrbano Rattazzi per servirgli una tro-ta. Il pesce gli era stato inviato da uningegnere, il quale, invece di farnedono a lui, avrebbe dovuto venderloa beneficio dell’Erario, poiché, essen-do stato pescato nei “regi canali”, ap-parteneva allo Stato.

“Una delle due - scrive Cavour ri-volgendosi al Rattazzi - o mangiare latrota o punire l’ingegnere; ma teme-rei, mangiando da solo la trota, di es-sere fulminato alla Camera, perciò hobisogno di avere lei come complicenel mangiare la trota demaniale, in-sieme con altri deputati puritani”.

Però il grande statista si rendevaconto che era necessario spenderebene in pubbliche relazioni i soldidello Stato, quando se ne avevanobuoni risultati.

A Costantino Nigra, ambasciatore aParigi presso Napoleone III, che gliinviava il rendiconto delle spese ef-fettuate in pranzi e buone bottiglieper essere accanto ai salotti della cor-te imperiale, con una nota di scuseper aver superato di 2.648 lire e 50

centesimi il bilancio assegnatoli, ri-spose: “Ho esaminato attentamente ilresoconto e non lo trovo esagerato.Lo Stato riceve da lei maggior servi-zio di quanto lei costa allo Stato”.

Il 17 marzo 1861 è proclamato aTorino, nel Parlamento in PalazzoCarignano, il Regno d’Italia. È il coro-namento del disegno di Cavour. Ma ilmalvagio destino non volle consenti-re al grande statista di proseguire lasua politica, che aveva come obietti-vo finale Roma.

Pochi mesi dopo, il 29 maggio, do-po una giornata fitta d’impegni, Ca-vour cenò, come al solito, con il fra-tello Gustavo e il nipote Ainardo;mangiò di buon appetito discutendodegli affari di famiglia, fumò, comesua abitudine, un sigaro sul terrazzoe fu preso improvvisamente da brivi-di. Rientrò in casa e volle bere unabibita gelata. Cominciò la malattiache lo portò rapidamente alla fine.

L’ultimo pasto del grande gourmetfu una tazza di brodo e un bicchieredi vino. La retorica storica vuole chemorendo pronunciasse frasi enfatichecome “Libera Chiesa in libero Stato”oppure “L’Italia è fatta tutto è salvo”.Scomparve a soli cinquantadue anniun grande uomo e un grande statista.

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AGNOLOTTI ALLA CAVOURPreparare una sfoglia con farina, uova, sale e olio d’oliva. Per il ri-pieno spellare una salsiccia, sminuzzarla e scottarla in un tegameper farle perdere il grasso. Lavare accuratamente del cervello, liberar-lo della pellicola sanguigna che lo ricopre, e insaporirlo a pezzettinicon una grossa noce di burro. Tritare finemente del vitello arrostito e stufato di manzo; trasferire iltrito in una terrina, unirvi la salsiccia sminuzzata, il cervello, le uo-va, noce moscata grattugiata, sale e grana in quantità sufficiente aottenere un impasto compatto. In acqua bollente salata, sbollentaredelle foglie di scarola, scolarle, strizzarle e tritarle finemente, unendo-le al ripieno. Coprire e lasciar riposare. Stendere la pasta con il matterello a sfoglia sottile. Dividere il ripienoin palline distribuendole su una metà della sfoglia, distanziate tre di-ta le une dalle altre. Ricoprire con l’altra metà della sfoglia premendocon le dita intorno ai ripieni e, utilizzando l’apposita rotella, tagliaredegli agnolotti quadrati o rotondi.

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Dietetica americanaDI MARINO DE MEDICI

Accademico della Virginia

“Gli americani non sono in grado di comprendere

la complessità della scienzadella nutrizione”.

Q uale è il futuro delle sceltenutritive o, per dirla in termi-ni più semplici, del cibo che

mangiamo, del dove e come ce loprocuriamo? Il futuro è legato al con-sumo di prodotti stagionali e locali,afferma uno chef che sta facendoscuola negli Stati Uniti, Fabio Traboc-chi, promotore di una sana cucina,quella marchigiana, ancor oggi ispira-ta a quei principi. Quello delle sceltenutritive è un argomento complessoin America, un continente che godedi una strabiliante varietà di cibi, na-turali e prodotti industrialmente, in-clusi quelli provenienti dagli angolipiù remoti del pianeta. Il guaio è chela stragrande maggioranza degli ame-ricani non si preoccupa di otteneredati attendibili sulla qualità di ciò checonsuma avvalendosi dei risultati del-le ricerche condotte da scienziati edesperti nel campo della nutrizione. Ètriste constatarlo, ma quel poco chegli americani conoscono del cibo checonsumano proviene da credenzepopolari e soprattutto dalla pubbli-cità. Un discorso che vale per ungran numero delle società cosiddetteavanzate.

Negli Stati Uniti, due dicasteri -quello dell’Agricoltura (Usda) e quel-lo della Salute e dei servizi umani(Hhs) - pubblicano ogni cinque annile “Dietary guidelines”, ossia le diret-tive dietetiche per gli americani alloscopo di assisterli nelle loro sceltenutritive e tali da limitare le calorie,favorire il giusto peso e ridurre il ri-schio di malattie croniche. Una dietasana è fondamentalmente affidata alconsumo di frutta, verdure e farinaintegrale. Le raccomandazioni dieteti-che sono presentate sotto forma dellanota piramide, alla cui base si trova-no pane e cereali integrali, riso e pa-sta. Al livello superiore e di minor vo-

lume sono la frutta e la verdura. Il li-vello ancora più alto, di gran lungapiù ridotto, include carne, pollame,pesce, uova, latte e formaggi. Il pic-colo cono finale presenta oli, grassi edolciumi, da consumare ovviamentein piccole quantità. La direttiva impe-rante è questa: metà del piatto in ta-vola dovrebbe essere costituita daverdure.

Una domanda sorge spontanea. Co-sa mangiavano gli americani nel pas-sato? La risposta è semplice: primadell’avvento di trasporti interstatali abuon mercato, mangiavano i prodottidel luogo. Le stagioni e il clima deter-minavano quindi la varietà di prodottidisponibili. Negli anni Cinquanta eSessanta, la realizzazione di un siste-ma di arterie stradali continentali e ditrasporti refrigerati favoriva lo svilup-po di supermercati e grandi centri didistribuzione. Le consegne a domici-lio di latte e pane terminavano. Eranata l’era dello “one-stop shopping”.Di pari passo, si sviluppava la tecno-logia di conservazione e immagazzi-namento dei cibi. Ma lo sviluppo de-cisivo nel campo dell’alimentazioneera dato dall’avvento della pubblicità,con la sua mostruosa capacità di con-vincere il consumatore che prodottiin scatola e in confezione - come peresempio le verdure congelate - eranonon soltanto “nuovi” e “convenienti”,ma addirittura più sani. L’acquisto difrutta e verdure non comportava piùuna passeggiata fino al fruttivendololocale. Nei sobborghi poi era fuori di-scussione. Più facile andare in auto alsupermercato, un posto che ben pre-sto diventava familiare. Convenienza,costo, disponibilità sotto lo stesso tet-to. Ma che dire del valore nutritivo ditali prodotti? Nessuno si chiedeva inquale misura il contenuto di nutrientidi un certo prodotto venisse alterato

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C U L T U R A & R I C E R C A

da processi di essiccazione, congela-mento, inscatolamento e immagazzi-namento.

Il discorso comunque è più compli-cato. Il valore nutritivo di un pasto èun fatto parziale. Bisognerebbe inve-ce conoscere gli effetti cumulativi deicibi che ingeriamo, giorno per gior-no, anno per anno. Nel 1826 Brillat-Savarin scriveva: “Ditemi cosa man-giate e vi dirò chi siete”. Nel XXI se-colo non si può dire che comprendia-mo come la somma delle parti nutriti-ve determini la fisiologia che ci tienein vita. Quello che siamo dipende dauno schema assai complesso di inte-razioni. Ecco perché la piramide dellaUsda non può che avere un valore re-lativo per ciascun individuo. Fatto stache gli americani non sono in gradodi comprendere la complessità dellascienza della nutrizione. Per contro,l’industria alimentare ha buon gioconel pubblicizzare i suoi prodotti inomaggio a una dietetica semplificata.

Ma vi è motivo per non disperare.Da qualche tempo negli Stati Unitifioriscono i “farmers’ markets” e spe-ciali mercati agricoli per consumatorisotto l’egida della Community sup-ported agriculture. Probabilmentequesto fenomeno è da attribuirsi allacrescente consapevolezza di molticonsumatori che la frutta e le verdu-re fresche conservano maggiori so-stanze nutrienti, oltre a essere piùgradevoli al palato. Ma c’è dell’altro:nel 2008, le famiglie che coltivavanoun orto erano 36 milioni, di cui 33milioni nel giardino di casa e un mi-lione in appezzamenti della comu-nità. La maggiore coltivazione èquella del pomodoro (86%), seguitadai cetrioli (47%), dai peperoni(46%), da carote, cipolle, fagiolini,insalata e piselli. Certamente gli ame-ricani che coltivano il loro orto nonsanno citare dati scientifici sui van-taggi nutritivi della loro produzione.Per certo, comunque, sanno che i lo-ro pomodori hanno un gusto genui-no e che la loro lattuga è saporita. Èun piccolo ma meritato trionfo deicibi locali e stagionali.

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LE RICETTE D’AUTORE

Vivanda di carcioffi teneriPiglia il carcioffo tenero, lasciandogli mezo dito di longhezza del suogambo, quale scorzato, e tagliate le punte delle foglie, spaccarai permezo il carcioffo, spremerai sugo di limoni nella parti interne, ovesarà diviso, mettendolo così partito in vaso di pietra, ed in questa gui-sa preparata la quantità sufficiente; fra tanto abbi in pronto una pa-della con butiro, un poco di polvere di garofani e di noce moscata,porrari i carcioffi in detta padella, posta sopra fuoco lento, averti nonsi accendi la fiamma nel butiro: quando saranno a perfetta cottura,per ogni dodici carcioffi piglia il rosso di sei ova fresche, stemperatecon un poco di brodo, e sugo di limoni, ed essendo giorno di magro,piglia vin bianco invece di brodo; ed il tutto vuotato in padella, ovesaranno i carcioffi, la tornarai sopra il fuoco, scuotendola legger-mente con mano. Quando saranno a perfezione, li disporrari nelpiatto, ornando l’ala con fette di pane fritte in butiro, tramezzate confette di lingua. Si possono fare tartuffolati con lardo battuto, erbetteodorifere, sale e pepe ammaccato: alla graticola con oglio e butiro.Invecchiati che siano, sono buoni i loro fondi fritti con oglio, o butiro,condito con sale, pepe e sugo di limoni.

BARTOLOMEO STEFANIda “L’arte di ben cucinare” (1662)

Carciofi alla galeottaPrendete carciofi lasciateli solo qualche foglia unita al fondo, divide-teli in quattro mondateli della barba interna, e fateli imbianchire,indi metteteli nella cazzeruola con prezzemolo, cipolette, funghi, sca-logni, il tutto ben tritto, bacelli d’aglio intieri, una fetta di limone, unpoco d’olio, poi passateli, in appresso bagnateli con un bicchiere divino di Sciampagna, e suco di vitello, lasciateli cuocere tanto che lafoglia appena le sostenga per portarli alla bocca, disgrassateli, e legatecon un’essenza leggiera, e servite con sugo di limone, accomodatelinel suo piatto colla foglia rivolta in su. Potete parimenti servire senzalegarla, con la sola salsa chiara al disopra.

BELTRAMO ANTONIO REda “La cuciniera piemontese” (1771)

Carciofi in fritturaDivisi in quarti i Carcioffi, e passati con butirro e spezie, si mettononella pastetta di fior di farina, bianchi d’uova, vino bianco e nocemoscata; si friggono nello strutto, e si servono con prezzemolo d’intor-no, o pure con salsa di cedro candito, aceto rosato, sugo di limone,cannella, e zucchero. Si possono anche friggere passati nell’uova.

VINCENZO CORRADOda “Il cuoco galante” (1786)

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B I B L I O T E C A N A Z I O N A L E G I U S E P P E D E L L ’ O S S O

La scienza in cucina DI LORENA GALLINA

“All’opera artusiana viene riconosciuta

una forza di coesione che ha saputo unire l’Italiain termini sia gastronomici

che linguistici”.

L o scorso 24 febbraio si è tenutaa Milano, presso la sede delTouring club italiano, la confe-

renza stampa di presentazione del-l’ultima edizione de “La scienza in cu-cina e l’arte di mangiar bene” di Pel-legrino Artusi, realizzata dalla BurRizzoli in occasione del centenariodella morte dell’autore. La Bibliotecadell’Accademia era presente all’even-to, durante il quale sono state pre-sentate le iniziative che si svolgeran-no nel corso del 2011 per i cento an-ni di Artusi, considerato a ragione l’u-nificatore del Bel Paese a tavola.

Il Comitato per le celebrazioni ar-tusiane vede in prima linea il comu-ne di Forlimpopoli, città natale del-l’autore, e quello di Firenze, sua cittàd’adozione dove visse per ses-sant’anni, insieme a un nutrito nume-ro di partner istituzionali che hannodato origine a un prestigioso calen-dario di iniziative per onorarne la fi-gura. Le celebrazioni sono iniziateufficialmente il 30 marzo - data dellascomparsa dell’autore - a Firenzecon il convegno “Artusi100. Il secoloartusiano”, che si svolge in quattrosessioni tra Firenze e Forlimpopoli.Anche Casa Artusi, il centro di cultu-ra gastronomica dedicato alla cucinadomestica italiana, che ha sede nellaterra natia dell’Artusi, ha in program-ma numerosi eventi commemorativi,fra i quali un pellegrinaggio a piediche rievoca il cammino dell’autoretra Forlimpopoli e Firenze, con sostenei luoghi più significativi, in cuigiornalisti e gastronomi potrannopartecipare a confronti e dibattiti chetermineranno con una cena artusia-na. Anche le Delegazioni dell’Acca-demia realizzeranno, nel corso del-l’anno, una riunione conviviale artu-siana all’insegna delle ricette tratteda “La scienza in cucina”.

Dopo l’edizione di Piero Campore-si per Einaudi (1970), quella del cen-tenario è la prima fornita di apparatocritico con commento e note, a curadel celebre studioso artusiano Alber-to Capatti, e con una postfazione diMassimo Montanari, storico e docen-te di storia medievale presso l’Ateneodi Bologna. L’edizione di riferimentoadottata per la pubblicazione è quelladel 1911, realizzata a Firenze pressol’autore, R. Bemporad e la Tipografiadi Salvatore Landi, la quindicesima inordine di tempo. L’opera contiene790 ricette e in appendice la “Cucinaper gli stomachi deboli”, “la quale pa-re sia venuta di moda”, chiosa l’auto-re, e “bisognerà quindi dirne due pa-role senza pretendere… né di rinfor-zare, né di appagare questi stomachidi carta”.

Risulta interessante la storia edito-riale dell’opera che, a fronte di deci-ne di edizioni e traduzioni in molte-plici lingue (le prossime versioni sa-ranno in russo e in polacco), non eb-be un successo immediato, con gran-de rammarico dell’autore. La primavolta in cui egli sottopose il volumeall’amico Francesco Trevisan, appas-sionato studioso di Ugo Foscolo, al-tro cavallo di battaglia dell’Artusi, illetterato lo stroncò clamorosamentesentenziando: “Questo è un libro cheavrà poco esito”.

Purtroppo questa fu soltanto la pri-ma delle numerose mortificazioni su-bite dall’Artusi che si vide rifiutare danumerosi editori il suo lavoro: cele-bre la risposta della Ricordi di Mila-no: “Di libri di cucina non ci occupia-mo”. È storia nota che la prima edi-zione dell’opera venne pubblicatanel 1891 in sole mille copie a spesedell’autore presso la tipografia di Sal-vadore Landi a Firenze, che si oc-cupò anche delle quattordici edizioni

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successive. Soltanto il professor Pao-lo Mantegazza, insigne patologo,igienista e antropologo, valuterà po-sitivamente Artusi, suo conterraneo,dedicandogli l’anno ventesimottavodel suo “Almanacco igienico popola-re” (1893) e augurando alla “Scienzain cucina” la gloria di cento edizioni.

Merita una menzione d’onore la“prefatio”, presente fin dalla primaedizione, dai toni marcatamenteumoristici, in linea con l’atmosfera fa-ceta e domestica che pervade l’interomanuale. L’incipit “La cucina è unabricconcella; spesso e volentieri fa di-sperare, ma dà anche piacere” dimo-stra l’intento didascalico dell’Artusi;“per annaspar qualche cosa in cucinabasta la passione, molta attenzione el’avvezzarsi precisi. Inoltre è necessa-rio scegliere sempre materie prime diottima qualità mentre il miglior mae-stro è la pratica sotto un esercente ca-pace”. Una curiosità della prima edi-zione (1891) è invece la dedica, poiscomparsa dalle successive edizioni,ai due gatti di casa che per la primavolta nella storia della gastronomiagodono del privilegio di vedersi de-dicato un ricettario.

All’opera artusiana viene ricono-sciuta una forza di coesione che hasaputo unire l’Italia in termini sia ga-stronomici che linguistici. Il caratterefortemente identitario da sempre rico-nosciuto alla cucina del nostro Paeseha consentito al manuale dell’Artusidi porsi come un testo chiave nellaletteratura italiana. L’opera ha avuto ilmerito di istruire le massaie e i cuochinon soltanto in cucina ma anche nellalingua italiana, dando l’opportunità algrande pubblico di conoscere il patri-monio gastronomico di regioni delloStivale lontane e diverse fra loro.Quarant’anni fa Piero Camporesi an-notava che “La scienza in cucina” hafatto per l’unificazione nazionale piùdi quanto non siano riusciti a fare i“Promessi sposi”. L’opera viene spes-so citata insieme al capolavoro man-zoniano e al “Pinocchio” di Collodi, ilche testimonia non solo la sua famama anche l’indubbio ruolo socialeche essa riveste. Artusi ebbe il merito

di conciliare i contrasti della cucinaregionale italiana, dando spessoreagli aspetti modesti della vita quoti-diana come l’atto del cucinare, for-nendo alla classe borghese una sortadi pacificazione contro i guai dellanascente nazione.

Durante la conferenza stampa è sta-to citato come piatto clou dell’Artusila ricetta 104, ovvero gli spaghetti allarustica, che altro non sono se non ilnostro piatto nazionale per antono-masia. L’autore rivaluta il ruolo deltanto bistrattato soffritto d’aglio, da farsaltare in padella con abbondante

olio e prezzemolo (e basilico se pia-ce); una volta colorito il battuto, si do-vranno buttare in padella pomodori apezzi condendoli con sale e pepe.Una volta cotti, se ne passerà la salsache poi verrà usata per condire glispaghetti, ossia i vermicelli, asciutti.Con questa preparazione l’Artusi dàspessore a una salsa che destina a pa-ste fresche e secche, definendola igie-nica e gustosa perché basata sull’agliofritto, contrario al gusto della cucinafrancese ma molto amato dalla scuolameridionale e provenzale.

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INDIRIZZI DI POSTA ELETTRONICA

Per semplificare e facilitare i contatti con i vari settori dell’Accademia,sono stati istituiti nuovi indirizzi e-mail ai quali inoltrare la posta.

Anche se gli indirizzi utilizzati finora rimarranno comunque validiancora per qualche mese, invitiamo tutti gli Accademici

a servirsi dei nuovi da subito.

e-mail per il Presidente:[email protected]

e-mail per il Segretario generale:[email protected]

e-mail per la Segreteria nazionale e redazione milanese della rivista:

[email protected]

e-mail per la Direzionee redazione romana della rivista:[email protected]

e-mail per la Biblioteca nazionale “Giuseppe Dell’Osso”:[email protected]

Ricordiamo che l’Accademia ha un proprio sito Internet:www.accademia1953.it

da cui è possibile, tra l’altro, consultare e scaricare gli ultimi tre numeri pubblicati di “Civiltà della Tavola” in formato Pdf.

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Il gusto a scuolaDI BENEDETTO PRANDI

Delegato di Latina

Sarebbe auspicabile che la scuola inserisse

nei suoi programmi, fin dalle medie, l’educazione

alimentare e gastronomica.

N ell’ambito della scuola moltesono state le innovazioni, lemodifiche e le trasformazio-

ni nei numerosi rami che la com-pongono ed è specialmente nell’ul-timo ventennio che l’ampia fase diriforme ha consentito a moltissimistudenti di scegliere quelle discipli-ne più congeniali e più confacentialle loro attitudini.

Nella sequenza di trasformazioniche ha dato alla scuola un nuovoaspetto, in linea didattica moderna epiù adeguata ai nostri tempi, è statodimenticato un settore che partico-larmente ci interessa: quello alimen-tare e gastronomico.

Proprio sulla nostra rivista, il di-rettore Gianni Franceschi scrissetempo fa, in un suo articolo: “LoStato attraverso i propri organi cen-trali e periferici ha l’obbligo cultura-le, morale e istituzionale di difende-re e tutelare le tradizioni enogastro-nomiche, i prodotti tipici, la qualitàdei cibi e la garanzia sulla loro origi-ne, la professionalità degli addettialla ristorazione pubblica”.

Ebbene, per un settore tanto rile-vante, come quello alimentare e ga-stronomico, lo Stato, attualmente,pone a disposizione, per un suo ap-profondimento, vari istituti alber-ghieri localizzati un po’ dovunquedal Nord al Sud dell’Italia in cui, sì eno, approda, per ottenere un diplo-ma, una minima parte degli studentiitaliani.

La gastronomia non è fatta soltan-to per coloro che si impegnano a ot-tenere il tanto desiderato pezzo dicarta. La gastronomia è quell’arte incui molti si addentrano per diletto eper manifestare a tutti le doti accan-to ai fornelli.

A un’analisi più approfondita, laschiera degli amanti dell’universo

gastronomico e di coloro che ne so-no attratti sarebbe enormementepiù vasta, con notevole propagazio-ne del settore, se la scuola si ren-desse conto dell’utilità di inserirenei suoi programmi, fin dalle scuolemedie, una materia quale Educazio-ne alimentare e gastronomica.

Il programma didattico darebbe ilmodo di far conoscere tutto ciò checoncerne l’alimentazione e i proble-mi che ne derivano, collegati allamedicina; l’importanza della gastro-nomia; la gastronomia e l’arte di cuiè circondata dall’antichità ai giorninostri; la gastronomia delle varie re-gioni italiane e le loro tradizionisettoriali; la difesa dei prodotti tipi-ci; lo studio approfondito dei moltielementi che compongono le innu-merevoli vivande con i metodi perla realizzazione delle stesse attra-verso prove pratiche nelle strutturedisponibili presso le scuole pubbli-che o con la collaborazione di quel-le private; la conoscenza dei saporie degli odori essenziali per i benefi-ci che apportano alle vivande; noti-zie sull’alimentazione e la gastrono-mia dei Paesi esteri.

E siccome anche l’occhio vuole lasua parte, una porzione del pro-gramma, anche se piccola, è da de-dicare agli strumenti che sono lachiave affinché la gastronomia ven-ga realizzata nelle forme più appro-priate, e, inoltre, all’allestimentodelle tavole, in quanto una tavolaben preparata, per qualsiasi evento,esige comportamenti adeguati daparte di ognuno dei commensali.

In pratica, una o due ore di lezio-ni settimanali in ognuna delle classidi scuola media sarebbe più chesufficiente per dirigere in porto unprogramma tanto rilevante.

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DI ALDO FOCACCIAccademico della Maremma (Grosseto)

“La società pastorale rappresenta ormai

un mondo antico di cui si sta perdendo la memoria”.

L a transumanza è stata un feno-meno di estrema importanzadal punto di vista economico,

sociale, sanitario e quindi politico,rappresentata, nel corso dei secoli,dallo stagionale spostamento dellegreggi dai pascoli estivi, situati neiterritori collinari, a quelli invernalidelle grandi pianure. In Italia è parti-colarmente conosciuta la realtà degliantichi tratturi, imponenti resti deipercorsi delle greggi transumanti chedagli Abruzzi si spostavano fino alTavoliere delle Puglie, con un’incre-dibile massa di animali che sembraarrivasse fino a più di un milione dicapi. Ma grande importanza ha avutoanche la transumanza che viene indi-cata come quella dell’Italia centrale,che vedeva lo spostamento dellegreggi dalle zone collinari del versan-te settentrionale dell’Appennino alconfine con la Toscana.

Il flusso degli animali si dirigeva,passando attraverso il vecchio Statosenese, soprattutto verso la Marem-ma, allora territorio incolto, spopola-to e in gran parte paludoso e malari-co, ma anche verso i pascoli dellaparte settentrionale dello Stato ponti-ficio. Il viaggio di andata (dalla mon-tagna alla Maremma) avveniva a fineestate e non iniziava prima dell’8 disettembre; quello di ritorno, a giugnodell’anno successivo; sia per l’andatache per il ritorno, durava da nove adodici giorni o più, naturalmente apiedi. Venivano percorsi particolariitinerari, chiamati strade dogane, lun-go le quali erano presenti strisce late-rali di terreno incolto, aree di sosta edi controllo fiscale.

Non esiste ormai più traccia di que-ste strade, al contrario di quanto ac-caduto per la rete dei tratturi, ma inmerito sono disponibili ricostruzionisulle carte topografiche.

Gli animali erano soprattutto le pe-core, ma anche le capre e pochi bo-vini, e il tutto era accompagnato daun numeroso personale costituito dasoli uomini, da carriaggi, cavalli emuli con le poche elementari attrez-zature dell’epoca, tra cui però eranoimportanti i secchi per il latte munto,i paioli per cuocere la polenta, le in-dispensabili caldaie per la prepara-zione del formaggio e le padelle do-ve veniva preparata l’acqua cotta.Dopo l’arrivo sui pascoli, la “sorta-ria”, così veniva indicata la società dipiccoli pastori proprietari di greggi, sistabiliva in un accampamento preca-rio: semplici capanne di scarza (can-nucce ricavate dalle piante palustri) odi saggina per gli uomini, e gli stazziper gli animali. La capanna più im-portante, di forma cilindrica con tettoa cono, era il simbolo della vergheria,con al centro un focolare sempre ac-ceso sul quale era la caldaia per lafabbricazione del formaggio e dellaricotta. Ognuno aveva le proprie in-combenze: il vergaro o vergaio, su-pervisore di tutti i lavori e capo indi-scusso di tutto il personale, era lamassima autorità della sortaria, poic’erano, tra gli altri, il buttero, il ca-ciere, i pastori (1 ogni 100 pecore), egli addetti ai cavalli e ai muli. Il butte-ro, personaggio di folcloristica me-moria, era il più stretto collaboratoredel vergaio e si occupava della com-mercializzazione dei prodotti, del-l’approvvigionamento alimentare, fa-ceva da tramite fra il vergaio e il pro-prietario del gregge in casi di neces-sità, era dotato di un cavallo persona-le e sapeva leggere e scrivere.

Ma veniamo alle produzioni legatealla transumanza, le più importantidelle quali erano la lana, il formaggioe la ricotta e quindi la carne, quelladelle pecore di scarto, che veniva av-

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Transumanze maremmane

viata agli spacci di “mala carne” nelLazio e in Romagna, ma soprattuttoquella degli agnelli. La produzioneforse più emblematica della pastori-zia di allora, e senz’altro anche diquella odierna, era la produzione dellatte per il formaggio, o meglio delcacio, secondo la terminologia diquei tempi, e poi della ricotta. Le pe-core venivano munte due volte algiorno e i secchi pieni di latte veniva-no portati alla vergheria per la colatu-ra, cioè una rudimentale filtrazione, equindi il latte veniva immesso nellacaldaia dove, di solito alla sera, sottola sorveglianza del caciere venivascaldato per poi aggiungervi il caglioo la presura. Il caglio, come è bennoto, consiste nel latte poppato dailattonzoli, cagliatosi spontaneamentenello stomaco delle bestiole uccise.

I pastori lo seccavano dentro lostesso stomaco, accanto al fuoco, poilo scioglievano e lo stemperavanocon poca acqua per mescolarlo al lat-te. La presura o presame è una so-stanza salina fortissima contenuta neipetali turchini dei carciofi selvatici,detti anche “scardacci”. Basta racco-glierli, seccarli all’ombra, porli in in-fusione sminuzzati in acqua per alcu-ne ore, quindi colare il tutto con unpanno di trama fina e mescolare il li-quido rossiccio, in precise dosi, al lat-te munto. Successivamente, quandoil latte si era cagliato, il caciere rom-peva la cagliata, raccattava la pastaformaggio, la depositava nelle “casci-ne” poste su tavole e quindi i suoicollaboratori provvedevano, con lapressione delle mani, a portare acompleta fattura la forma del cacio.Le forme venivano quindi salate insuperficie e poi trasferite nella ca-ciaia. Successivamente, portando ilsiero ottenuto con la raccattatura e laspremitura del cacio a ebollizione, siotteneva la ricotta.

Nel Settecento, i caci pecorini deipastori erano di due qualità, freschi osecchi. Tra i primi, famosi il marzoli-no, con la sua caratteristica formaovale e destinato anche all’esporta-zione, e i formaggi freschissimi chia-mati raveggioli, ottenuti senza rom-

pere la cagliata e quindi subito co-perti da foglie di fico o di felci per di-fenderli dalle mosche e dal caldo. Trai formaggi secchi o duri, i migliorierano quelli delle crete senesi, conforme rotonde di corteccia rossa, dipasta molto serrata, tendente al gial-lognolo, di sapore simile al parmigia-no. Formaggi simili e altrettanto fa-mosi vengono ancora oggi prodotti:per esempio per quelli freschi, il mar-zolino del Chianti e per quelli stagio-nati i pecorini di Pienza, in Val d’Or-cia, in provincia di Siena.

I caci freschi venivano conservatinel fieno o nella stoppa; la crosta diquelli secchi veniva unta con un mi-scuglio di olio e cenere e le forme ri-voltate frequentemente.

Gli agnelli maschi venivano abbat-tuti in massa ancora lattanti. Il mo-mento della macellazione era la “ab-bacchiatura”, da cui il termine “ab-bacchio” tanto usato nell’Italia centra-le. La macellazione, utilizzando le zo-ne più fresche e protette dal sole, ve-niva eseguita dal personale della sor-taria; quindi seguiva l’eviscerazione ei visceri toracici, assieme al fegato e

alla milza, costituivano la coratella,con la quale i pastori preparavano ilbuglione, piatto in umido con il qua-le potevano finalmente consumareun pasto a base di carne, con unagrande festa.

La vendita dei prodotti alimentaridell’azienda pastorale dipendeva dal-le esigenze d’approvvigionamentodei paesi della zona e delle città vici-ne alla Maremma. Certo i trasportinon potevano che avvenire con imezzi dell’epoca, a trazione animale;si dovrà arrivare a fine Ottocento perpoter usufruire (in parte) delle nuovestrade ferrate. Parte dei prodotti ali-mentari serviva anche come baratto,merce di scambio o regalo, pure per igabellieri dell’epoca.

La società pastorale rappresenta or-mai un mondo antico di cui si staperdendo la memoria: il latte trasfor-mato in formaggio, la carne degliagnelli e degli animali di riforma epoi la lana erano una grande ricchez-za prodotta con un antico metodoormai scomparso.

ALDO FOCACCISee International Summary page 77

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PREMIATO A PARIGI IL LIBROSULLA GASTRONOMIA MARCHIGIANA

In occasione del “Festival du livre culinaire” che si è tenuto a Parigiin marzo, il libro “Storia dell’alimentazione, della cultura gastrono-mica e dell’arte conviviale nelle Marche”, già vincitore del premio“Orio Vergani”, si è classificato al 2° posto nel “16th gourmandawards - The best cookbooks and wine books of the year”, nella cate-goria relativa ai libri di storia della gastronomia.Ricordiamo che il libro, di cui sono autori il Delegato di MacerataUgo Bellesi e gli storici Ettore Franca e Tommaso Lucchetti, era statopremiato a Staffolo, in occasione del “Verdicchio d’oro”, dal Presi-dente Ballarini, il quale aveva sottolineato, in quella circostanza, che“ricordare è possedere”. Gli autori nell’opera hanno indagato nellastoria complessa della cultura alimentare e conviviale delle Marche,operando una sintesi critica e di ampio respiro, dal mondo antico al-la industrializzazione della cultura del cibo e del vino, guardandoalle tradizioni culturali di un mondo eterogeneo quale quello dellaregione.Viva gioia nello stand delle Marche, allestito all’interno della manife-stazione parigina, e meritata soddisfazione per gli autori.

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C U L T U R A & R I C E R C A

Il Barone di ferro DI ROMOLO CIABATTIAccademico di Lucca

“Introdusse, da abile viticoltore, importanti

tecniche innovativesui vigneti e sui metodi

di vinificazione”.

T ra gli artefici dell’Unità d’Italia,con Cavour, Mazzini e Garibal-di, troviamo anche un eminente

personaggio toscano come il baroneBettino Ricasoli, lo statista che portòla Toscana all’annessione al Regnod’Italia, gonfaloniere negli anni delGranducato, ministro dell’Interno aFirenze nel governo provvisorio Bon-compagni, secondo presidente delConsiglio del Regno d’Italia dopo Ca-vour, dal 1861 al 1862, e ancora suc-cessivamente dal 1866 al 1867.

Ma per un sin-golare collega-mento, il contri-buto di BettinoRicasoli alla cau-sa unitaria nonfu solo di carat-tere politico. So-prannominato ilBarone di ferro,per la sua notaintransigenza, fuinfatti anche ap-passionato viti-coltore nelle ter-re del Castellodel Brolio, nelSenese, legatoalla storia delChianti, che lafamiglia Ricasoli già nel Seicentoesportava a Londra e ad Amsterdam.Storia di un celeberrimo vino che siincrocia con le vicende del Risorgi-mento, come nel caso del Castello diBarolo, una delle culle del nobile vi-no piemontese, il cui nome è legato aGiulia Colbert, marchesa di Barolo,che diede grande impulso alla colti-vazione di vitigni pregiati, chiaman-do tecnici dalla Francia, in questo poiseguita dal conte Camillo Cavour nel-la tenuta di Grinzane.

Il barone Ricasoli, forte della seco-

lare tradizione familiare, introdusse,da abile viticoltore, importanti tecni-che innovative sui vigneti e sui meto-di di vinificazione. A lui si deve lamagica formula del Chianti (7/10 diSangiovese, 2/10 di Canaiolo a baccanera, 1/10 di Malvasia o Trebbiano abacca bianca), regolamentando l’anti-ca pratica del “governo” delle uveper la preparazione del vino, e quelregolamento di produzione fu poitrasformato in disciplinare, che anco-ra oggi, sia pure con qualche modifi-

ca introdotta po-chi anni fa, defi-nisce le percen-tuali di uve di cuideve essere com-posto questo vi-no superbo diorigini antichissi-me, simbolo pereccellenza dellaregione.

Il Chianti infattiera già noto agliEtruschi, cui si at-tribuiscono le pri-me importanti se-lezioni dalle qualisi arrivò poi alSangiovese, lostraordinario viti-

gno rosso che ha avuto come proge-nitrice la Vitis silvestris, presente inToscana da tempi lontani.

Il nome Chianti deriverebbe ap-punto dall’etrusco “clante” (acqua);anche se secondo altra tesi derivereb-be dal latino “clangor” (rumore), co-me il rumore prodotto dai cacciatorinell’omonima zona, ove il vino è lostesso paesaggio. Il primo riconosci-mento ufficiale del Chianti risale a uneditto del 1716 emanato dal granducaCosimo III, che definiva i limiti dellazona di produzione, e si narra che

nella disfida tra senesi e fiorentini perdefinire i confini territoriali, la contra-da del Chianti pervenne a Firenze, ilcui cavaliere era partito al canto di ungalletto nero, tenuto a digiuno, cheperciò cantò per primo.

La Toscana è famosa in Italia e nelmondo proprio per le sue tradizionienologiche, le cui remote origini era-no già attestate nel I secolo d.C. daPlinio il Vecchio. I suoi vini sono pro-dotti in un territorio in gran parte col-linare che consente una coltivazioneestesa della vite, favorita da un climaparticolarmente mite. Un territorioche sembra creato apposta per pro-durre vini di carattere, che hanno fat-to la storia vinicola della regione, gra-zie anche alle antiche casate nobiliaririmaste legate alle tenute avite.

Attualmente, la regione può vanta-re importanti rossi, bianchi e rosati: sicontano 37 Doc, 6 Igp, e 7 grandi viniDocg, tra i quali il Brunello di Mon-talcino (nel 2010 un Brunello è statoincoronato miglior vino rosso al

mondo), il Chianti classico (il mar-chio del Gallo Nero riprende lo stori-co simbolo della Lega del Chianti) e,unico bianco, la Vernaccia di San Gi-mignano, per il quale addirittura unpapa (Martino IV) poteva finire neldantesco girone dei golosi: “Ebbe lasanta Chiesa in le sue braccia: / dalTorso fu, e purga per digiuno / l’an-guilla di Bolsena e la Vernaccia”(“Purgatorio”, canto XXIV).

Ma oltre questi rinomati vini ovun-que conosciuti, uno dei prodotti radi-cati nella cultura contadina toscana,offerto alla tavola degli italiani, è il fa-moso Vin santo, dolce, amabile, sec-co, abboccato, con cinque riconosci-menti Doc. Le origini di questo pre-giato nettare di colore ambrato - il cuinome sembra derivi dalla ricorrenzadi Ognissanti (Vino dei Santi), ma se-condo altra ipotesi deriverebbe dal-l’assonanza col vino dell’isola grecadi Xantos - si farebbero risalire a unConcilio tra vescovi cattolici ortodos-si, tenutosi a Firenze nel 1349, duran-

te il quale venne servito “vino pret-to”, un vino passito molto apprezza-to. In ogni caso la produzione delVin santo è un’arte antica, rimastapressoché intatta nelle precise meto-diche di lavorazione, dalla raccoltadelle uve (tra le migliori prodotte inToscana) all’appassimento secondoantiche tecniche, dalla spremitura al-la fermentazione, dall’affinamento al-l’invecchiamento nei caratteristici“caratelli”, fino all’imbottigliamentodopo almeno tre anni.

Indubbiamente la meritoria operadi Bettino Ricasoli riuscì a dare forteimpulso alla diffusione, in tutto ilPaese, del Chianti e del vino toscano,formidabile fattore di unificazionedella tavola degli italiani, per cui ilbarone è rimasto nella storia dell’U-nità d’Italia non solo come statista ma(per fortuna) anche come viticoltore:Barone di ferro sì, ma anche Baronedel Chianti.

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Pellegrino Artusi e Paolo Mantegazza hanno vissutonel periodo che ruota intorno agli anni in cui si con-cretizzò l’unità d’Italia e hanno partecipato attiva-mente, seppure limitatamente al loro ambito di azio-ne, alla sua unificazione, dispensando in tutto ilPaese i loro preziosi consigli relativi all’igiene, all’e-conomia e persino al buongusto.Pellegrino Artusi, nel suo famoso testo di cucina,compie un’operazione meritevole proponendo ricettetipiche delle diverse regioni ma con l’intento di uniregli italiani anche in questo, partendo cioè dal lorocomune amore per i peccati di gola.Sappiamo che il testo di Artusi non trovò subito uneditore disposto a pubblicarlo: solo dopo molti dinie-ghi, infatti, si materializzò un editore importante chegli chiese tuttavia di rinunciare ai diritti d’autore.Seguirono altre mortificazioni fino a quando un uo-mo di ingegno, il famoso scienziato e antropologoPaolo Mantegazza, dopo aver letto il libro, non co-minciò a promuovere l’opera di Artusi nelle sue con-ferenze. Artusi stesso migliorò le edizioni successive,seguendo anche le tendenze dei tempi sempre più tesial materialismo e al pieno godimento della vita. E secapì che il mondo correva verso il piacere, capì an-

che che bisognava assecondare ma, nello stesso tem-po, temperare questa tendenza con un’alimentazio-ne sana. Secondo Artusi la vita umana persegue dueintenti principali: la continuazione della specie, ac-compagnata da una sempre più mirata e sana nutri-zione e alimentazione.Non fu solo Mantegazza ad apprezzare l’Artusi, in-fatti il poeta Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini),dopo aver letto il libro, gli scrisse: “Alla soddisfazionedi un bisogno va sempre unito un piacere e il piaceredella conservazione si ha nel senso del gusto e quelladella riproduzione nel senso del tatto. Se l’uomo nonappetisse il cibo e non provasse stimoli sessuali, il ge-nere umano finirebbe subito”.L’Artusi si impegnò sempre di più per riabilitare lacucina fino a farne una vera arte, elogiando il me-stiere di cuoco al pari di quello del produttore divino.Le sue ricette rimandano a diverse realtà regionalima piacciono a tutti: cibi regionali assurti nel tempoa vero piacere di livello nazionale. Tanto che, nono-stante le diverse realtà del nostro Paese, la cucina ri-mane ancora oggi un saldo vincolo di unione nellanostra amata Italia. (Elisa Contaldi Iodice)

I PRIMI ESTIMATORI DELL’ARTUSI

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Davanti ai fornelliDI GIORGIA FIENI

Scienze e tecnologie alimentari

La battaglia tra i sessi, nei secoli, è stata combattuta

anche in cucina.

L a prima organizzazione cucina-ria dell’umanità prevedeval’uomo a caccia e la donna a

raccogliere vegetali: sesso diverso,ruoli diversi. Con il tempo, agli uo-mini spettavano sempre più ruoli dipotere e responsabilità mentre ledonne hanno conquistato il ruolo dipadrone della cucina, in quanto de-tentrici del sapere e delle tradizioni.In Emilia Romagna, per esempio,questo potere è stato dato coniandola parola “rezdora/azdora”: è coleiche ha nelle proprie mani l’abilità dipreparare la pasta in casa (sa dosareuova e farina, usa con destrezza ilmatterello e confeziona ravioli e tor-tellini con una precisione quasi ma-niacale) e nessuno può uguagliarla.Nonostante l’attribuzione del termi-ne, però, i dati ci dicono che a Bolo-gna, nel 1850, le cuoche erano soloil 2% del totale degli addetti, salite al10% nel 1857 e al 48% nel 1899.

Se pensiamo alle “alte cucine” delpassato (quelle medievali e rinasci-mentali, per intenderci) esse eranoperò sempre governate da uomini.La storia infatti ci insegna che quan-do un’attività diventa remunerativa,sono i maschi a impadronirsene e acreare “business”. Non a caso il ter-mine “pasto luculliano” deriva pro-prio da questo uomo che sapeva cu-cinare crocchette, cacciagione e ver-dure e la cui fama è passata diretta-mente a noi dall’antica Roma; inoltre,il “manuale di cucina” del tempo eraquello di Apicio, un altro uomo. Sen-za dimenticare che l’appellativo “ga-stronomia” è stato coniato per la pri-ma volta nell’Ottocento da un uomo:Antonin Carême, che ha saputo an-che semplificare la “haute cuisine”.

Una delle prime donne conosciuteper il suo contributo dato al mondodella cucina (anche se molto proba-

bilmente non si è mai avvicinata aifornelli) è Caterina de’ Medici, la cuiimportanza è dovuta al fatto che le siattribuisce spesso il merito di averportato in Francia (a seguito del suomatrimonio con Enrico d’Orléans,avvenuto nel 1533) la cucina italia-na, in particolare quella toscana(con preparazioni quali zuppa di ci-polle, fegato farcito, frittate/crespel-le, salsa colla - quella che prenderà ilnome dal marchese de Béchamel - eanatra con la melangola, quella cheoggi si chiama “canard à l’orange”).Merito che, sebbene le sia attribuitoda molti esperti (come lo stessoCarême), dell’epoca e non, non par-rebbe però corretto, in quanto moltoprobabilmente è stata la fama dellagastronomia della nostra Penisola aessersi fatta conoscere in tutto ilmondo.

Nel 1858 a Graz viene pubblicatoil primo manuale vero scritto da unadonna (Katharina Polt), che più ditrent’anni dopo arriva in Italia, cor-retto dalla maestra di cucina OttiliaVisconti Aparnik, col titolo di “Ma-nuale di cucina per principianti e percuoche già pratiche”. Il secolo vedeperò ancora la cucina scritta a totaleappannaggio degli uomini, comecon Pellegrino Artusi, che, nel 1891,dona visibilità nazionale alla cucinaregionale, patrimonio finora rinchiu-so solo nelle cucine e nell’esperienzadi mamme e nonne.

La prima donna italiana a scrivereun volume di ricette (approntato amo’ di dizionario) è Giulia FerrarisTamburini, con “Come posso man-giar bene?”, del 1900, dedicato aquelle nobili signore che dovevanosaper portare in tavola un semplicepranzo, ma soprattutto sorvegliare laservitù, fare la spesa correttamenteed evitare cibi dannosi per la salute.

Apre la strada ad Ada Boni (nipotedel celebre cuoco fondatore della ri-vista “Il messaggero della cucina”)con “Il talismano della felicità” del1929: da sempre nella sua vita si èdedicata alla ricerca e alla sperimen-tazione in cucina (si dice abbia ap-prontato la sua prima ricetta a solidieci anni), che per lei era un diver-timento, e come tale voleva passarloanche alle sue lettrici, insegnandoloro come poter preparare pranzettigustosi in modo facile e al giustocosto.

Nel 1931 viene pubblicato un vo-lume che entra nella storia della cu-cina mondiale: “The joy of cooking”di Irma S. Rombauer, casalinga delMissouri che sfogava nella cucina ildolore per la recente perdita del ma-rito. Vista l’epoca in cui è stato scrit-to, esso conteneva anche il tratta-mento di animali selvatici, comescoiattoli e opossum, ma, nelle edi-zioni successive, è stato arricchito diricette specchio della cucina ameri-cana e non: pasta, pizza, burritos,cereali, noodles, carne da pascolo,pesci e fagioli.

Gli anni della guerra non ci lascia-no notevoli testimonianze, tranne ilvolume di Petronilla (pseudonimo

usato sul “Corriere della sera” daAmalia Moretti Foggia) del 1939. Iltema è simile a quello del libro diElizabeth David, una signora ingleseche, conscia della scarsità di alimen-ti, aiuta le donne a conoscere e cuci-nare alimenti di Paesi lontani.

Una volta terminata la guerra, eccoche la cucina “ricca” torna a essereprotagonista. Negli anni Sessanta, èuna donna a conquistare l’America:Julia Child, che insegna al popolostatunitense come mettere in tavolala migliore “cuisine française” diretta-mente dalla televisione. Ma anche isuoi libri sono preziosi manuali, adat-ti a tutti i tipi di cuoche, dalle piùesperte alle più pasticcione, grazieanche all’uso di metafore molto sem-plici, al punto che la semplicità diquesta signora verrà poi celebrata nel2005 dalla scrittrice americana JuliePowell, che ne emulerà le gesta in unblog di successo. Contemporanea-mente, in Italia, la cucina regionaletrova la sua paladina in Anna Gosettidella Salda e il suo ricettario.

Gli anni Ottanta sono dedicatiquasi esclusivamente alla figura diGualtiero Marchesi, arrivato allecronache locali per aver inventato la“nouvelle cuisine” all’italiana. Alcu-

ni dei suoi allievi sono diventaticuochi altrettanto di grido, comeCarlo Cracco e Davide Oldani. Neglianni Novanta la protagonista sullascena è Martha Stewart, la quale,come Julia Child, è diventata famosagrazie a uno show televisivo (maanche grazie all’omonima rivista) incui esponeva la sua preparazione incucina e nel bon ton a tavola, mapure nel giardinaggio e nella curadella casa. La sua fama è principal-mente dovuta all’attenzione, quasimaniacale, per i dettagli. Questoprima di essere coinvolta in unoscandalo finanziario.

Negli anni Duemila il nome dichef sulla bocca di tutti è invecequello di un uomo: Ferran Adrià. Cisono poi donne che non sono chefma hanno comunque influenza sulmondo alimentare, come MichelleObama, la first lady che coltiva per-sonalmente un orto alla Casa biancae dà consigli su dieta e ginnasticaper combattere l’obesità dilagantenegli Usa (soprattutto infantile). Op-pure donne che non nascono gastro-nome, ma, sulla spinta di programmitelevisivi di successo, vendono mi-lioni di copie coi loro ricettari.

Questo perché la formula delnuovo millennio è la stessa che ciha insegnato il topolino Remy di“Ratatouille”: chiunque può cucina-re. Gli chef, uomini e donne chesiano (ormai la parità dei sessi è sta-ta raggiunta), continuano infatti aproporre nuove ricette e nuove pre-sentazioni, elaborando elementi diuna tradizione che si apre sempre dipiù al multietnico, ma a fare la diffe-renza, come si vede da internet edalle rubriche di cucina su periodi-ci, quotidiani e televisioni, è la mol-titudine di persone che si avvicina aquesto mondo, cimentandosi conciò che sa fare per renderlo semprespettacolare. La battaglia continuadunque tra i fornelli, nei libri, sullarete e ovunque ci sia la volontà dicontinuare a esplorare un mondopieno di risorse come la cucina.

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L’Accademia ha fatto realizzareun nuovo piatto in silver plate,in formato più grande ed ele-gante, che reca inciso, sul fon-do, il tempietto accademico, iltutto circondato da una coro-na di stelle traforate che inten-dono rappresentare l’universa-lità della nostra Accademia.Questo oggetto simbolico è con-

sigliato come omaggio da consegnare ai ristoratori visitatiche si siano dimostrati particolarmente meritevoli. Per ogniulteriore notizia in merito e per le eventuali richieste i Dele-gati possono rivolgersi alla Segreteria di Milano.([email protected]).

IL NUOVO PIATTO D’ARGENTO DELL’ACCADEMIA

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Osterie romaneDI LUCIANO IMBRIANI

Giornalista

“C’erano le romantiche osterie fuori porta,

oppure quelle nei vicoli più reconditi

del centro storico della città”.

C hi non sente nostalgia per levecchie osterie, vuol dire chenon le ha conosciute da vicino.

Ma non bisogna confondere l’osteria“pura” con quelle involgarite dal vinobattezzato con l’acqua, dal gioco allamorra, dagli straripanti eccessi. Du-rante il suo soggiorno romano, il se-vero Goethe fu assiduo frequentatoredell’“Osteria della Campana” a piazzaMontanara, dove sostava a lungo“senza lamentarsi”, anzi mostrandocompiacimento. Il re Luigi di Baviera,il Ludwig del film di Luchino Visconti,trascorse a Roma ben trenta inverniconsecutivi, andandosene a teatro efrequentando assiduamente le osteriecome un borghese qualsiasi. Lo docu-menta un quadro di Franz Catel dovesi vede l’imperturbabile Ludwig con ilbraccio levato mentre chiama l’osteper ordinargli “‘na fojetta”, l’equiva-lente di circa mezzo litro. Questo reci-

piente prese il nome dal provenzale“folhata” e, quando venne impostol’uso del bollo di vetro per controllareil contenuto, sorse un’infinità di con-testazioni. Quasi tutte sulla strada, leantiche osterie romane erano condot-te da personaggi picareschi. Comel’oste e l’ostessa, in vistoso grembiulee a maniche rimboccate, sempre conle mani infarinate dalle fettuccine fre-sche, distese sulla spianatoia, prontea passare in pentola. In stagione, eraimmancabile il fritto di carciofi allagiudia, oppure l’abbacchio alla cac-ciatora. Insolito ma molto apprezzatoil vitello alla fornara, che prese questonome perché mandato a cuocere daifornai, nei vetusti forni a legna. Dav-vero le osterie romane, specie quelledei rioni Campo Marzio, Testaccio eTrastevere, hanno dato spettacolo inogni epoca, governate da personaggiindimenticabili, agili ed estroversi nelmuoversi intorno ai tavoli, pronti afronteggiare le battute scherzose deiclienti spiritosi e a fare melina intornoai fornelli.

Lo scrittore Brigante Colonna hanarrato l’episodio di quel taverniereche, in un assolato pomeriggio del-l’Ottocento, se ne stava su uno sga-bello davanti alla sua bottega, fuman-do beatamente la pipa, proprio al co-spetto del Ponte Milvio. In quel men-tre, con gran scalpiccio degli zoccolidi molti cavalli, comparve il corteopapale. Tutti i passanti si scoprivanoil capo e s’inginocchiavano davanti alsanto padre che li benediceva. Solol’oste non fece una piega, tra un mor-morio di disapprovazioni. Una guar-dia a cavallo gli si avvicinò minaccio-sa, gridandogli: “Oh tu, bellimbusto,che fai?”. E l’oste, senza scomporsiminimamente, di rimando rispose avoce alta: “Io?... me la fumo!”. Leosterie dell’Italia del Nord non pote-

vano certo competere, come folclore,con quelle della capitale, capeggiatedalla medievale “Hostaria dell’Orso”,nei pressi di Ponte Sant’Angelo, dovela leggenda vuole che abbia sostatoDante Alighieri pellegrino in occasio-ne dell’anno santo. In quello storicolocale, ripristinato anni fa, sicuramen-te passò Michel de Montaigne che nelsuo “Giornale di viaggio in Italia” an-nota, in data 3 novembre 1580:“Scendemmo all’Orso dove restam-mo anche il giorno seguente”. Poiandò a prendere tre belle camere inaffitto, con scuderia e cucina di fron-te a Santa Lucia della Tinta.

Un’altra osteria famosa, e frequenta-ta soprattutto dai “signorini”, figli digente altolocata, era l’“Osteria delGambero Rosso”. Per i men che bor-ghesucci, o giù di lì, c’erano le roman-tiche osterie fuori porta, oppure quellenei vicoli più reconditi del centro stori-co della città, dove, al riparo dai dela-tori, ci si divertiva con le barzellette suipersonaggi politici dell’epoca. Circon-dati dal profumo delle salamelle, gliadulti si concedevano, come aperitivo,un calice di vino nostrano, per lo piùrosso, e ascoltavano canzoni popolarinei locali dotati di orchestrina.

Durante la stagione fredda, ci si riu-niva per giocare a carte, allo scoponescientifico per esempio, un gioco cheinvitava alla calma e al ragionamento,e conferiva all’osteria un qualcosa diaccademico. Si sentiva ripetere in gi-ro, al termine di una mano significati-va, con ammiccante compiacimento,che lo scopone scientifico era lo sva-go preferito dal maestro Mascagni.Difatti, l’autore di “Cavalleria rustica-na” allora al culmine della notorietà,era presidente dell’Accademia d’Italia,dove sedevano personaggi del calibrodi Marconi e Pirandello.

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Lunga storia del caffèDI PUBLIO VIOLA

Delegato di Roma Appia

“Voltaire si vantava di aver bevuto nella vita

50.000 tazzine”.

O riginario dell’Africa (e preci-samente dell’Abissinia), ilcaffè trovò un terreno fertilis-

simo nello Yemen, sembra portato dasoldati etiopi, durante le guerre chequesti condussero nel XIII e nel XIVsecolo. Da qui si diffuse poi progres-sivamente in tutta l’Arabia fino a rag-giungere le città sacre della Mecca edi Medina. I pellegrini cominciaronocosì a conoscere e ad apprezzare ilcaffè e lo portarono nelle loro cittàdiffondendone la conoscenza in tuttoil mondo arabo. Così, se la prima dif-fusione fu dovuta a eventi bellici, lasuccessiva fu dovuta alla devozionereligiosa.

Entrato negli usi e nei costumi ditutto il mondo musulmano, pur es-sendo visto con favore dalla maggio-ranza della popolazione, non tardò acrearsi dei nemici. Fu considerato be-vanda del diavolo, pericolosa per il fi-sico e la psiche, tanto che in Turchia,nel XVI secolo, la vendita venne proi-bita e i cittadini sorpresi a bere il caffèvenivano condotti alla berlina sopraun asino. Anche i politici se ne preoc-cuparono perché la sua assunzioneaguzzava pericolosamente l’ingegnoe scioglieva la lingua, finendo colportare ad agitazioni e tumulti di po-

polo, talché, nel 1511, il governatoredella Mecca, Chair Berg, ordinò lachiusura delle botteghe di caffè e neproibì la vendita.

Purtroppo il governatore non si erareso conto che il suo sultano, il qualeavrebbe dovuto ratificare il provvedi-mento, oltre a essere un estimatoredel caffè, aveva anche interessi com-merciali in proposito. Il divieto quindinon passò e il governatore, oltre a es-sere pubblicamente biasimato, fu de-stituito dalla carica e qualche anno piùtardi fu anche assassinato misteriosa-mente. Probabilmente a questa mortenon furono del tutto estranei gli inte-ressi dei trafficanti del caffè. Tra nemi-ci e sostenitori, il caffè continuò la suamarcia rovesciando addirittura le leg-gi, tanto che in Turchia si pubblicòuna legge nella quale si concedeva al-le donne la facoltà di chiedere e otte-nere il divorzio qualora il marito aves-se rifiutato loro di consumare il caffè.

La nera bevanda restò per moltotempo confinata nel mondo dell’I-slam e solo qualche sporadica noti-zia arrivava in Europa. Il primo chene parlò sembra sia stato il medicoitaliano Prospero Alpino, reduce, nel1585, da un viaggio al Cairo doveaveva veduto una pianta di caffè e

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ne aveva gustato il decotto. Ma lasua diffusione fu ancora una voltadovuta alla guerra e all’espansioneturca nei Balcani.

Durante l’assedio di Vienna, ilcaffè attraversò le linee nemiche egiunse nel mondo cristiano grazie aun viennese, tale Georg Kolschinsky,che riuscì a portare nella propriacittà alcuni sacchi di caffè sottratti aiturchi. Vi è da dire però che, se da unlato il caffè seguì la strada degli eser-citi turchi fino a Vienna, per altre viepiù tranquille, quelle del commercio,aveva già cominciato a penetrare nelmondo occidentale e furono soprat-tutto le città di Amalfi, Salerno e Na-poli a rappresentare i luoghi di transi-to di un prosperoso commercio, chearrivò fino a Marsiglia per poi salirelungo il Rodano e il Reno fino allaGermania e all’Inghilterra. Più tardifurono interessate anche altre cittàitaliane come Genova e Pisa e soprat-tutto Venezia, alla quale spetta ancheil merito di avere aperto, nel 1615, laprima bottega del caffè in Europa.

Varcati i confini dell’Islam per es-sere apprezzato anche dai cristiani,il caffè aveva però un difetto: eraamaro. Si ritiene che sia stato ancorail leggendario viennese Kolschinskya suggerire di addolcirlo con il mie-le, ma altri studiosi sostengono chegià nel 1660 fosse stato un italiano, ilromano Ciro Marulli, ad aver avutoquesta idea.

Dello stesso espediente si servìperò, nel 1669, anche l’ambasciatoredella Sublime porta a Parigi, SolimanAga, per rendere più gradito il caffèalla corte di Luigi XIV e servirseneper sciogliere la lingua ai cortigianionde apprendere se la Franciaavrebbe aiutato la Turchia nelleguerra del Bosforo o sarebbe accor-sa in sostegno dell’Austria. Quandol’astuto Soliman Aga tornò in patriacon le notizie che voleva, lasciòmolti chicchi di caffè e anche la mo-da di assumere quella bevanda sti-molante che il miele aveva reso piùgradevole.

Il centro della produzione dell’or-mai prosperoso commercio restava

però il Medio Oriente, né gli arabimostravano alcuna intenzione di ce-derlo, finché gli olandesi non riusci-rono a impadronirsi di alcune pianti-ne che trasportarono in Indonesiaove si svilupparono rigogliosamente,al punto che l’Arabia perse non soloil suo monopolio, ma anche la posi-zione di maggior produttore. La stra-da intrapresa dagli olandesi fu pocodopo seguita da altri e così, nel 1722,i francesi portarono nell’America cen-trale alcune piantine di caffè e diffu-sero le piantagioni ad Haiti, Cuba,Giamaica, Portorico e Trinidad. An-che i francesi furono però a loro vol-ta giocati, in questo caso da un giova-ne portoghese, Francisco de MeloPalheta, che fece innamorare la mo-glie del governatore francese dellaGuinea ottenendo da lei come pegnod’amore non una ciocca di capelli,ma una piantina di caffè che tra-sportò in Brasile, dove il terreno si di-mostrò talmente fertile da far diventa-re nel tempo questo Paese il maggiorproduttore del mondo.

Oggi la produzione del caffè rap-presenta uno dei più grandi e floridicommerci internazionali, secondo so-lo a quello del petrolio. I più forticonsumatori sono gli svedesi, con 12kg pro capite all’anno, seguiti dagliamericani con 7 kg, mentre gli italia-ni, che tanto sono orgogliosi del lorocaffè espresso, si limitano solo a 5 kg,pari a 800 tazzine.

Anche per gli americani il caffè co-stituisce un orgoglio nazionale, anzipatriottico. Infatti la rivoluzione degli

“yankees” iniziò a Boston, quandovennero rovesciate in mare 12.000libbre di tè, la bevanda preferita dagliinglesi, che da quel momento vennerifiutata e sostituita dal caffè, divenu-to così la bevanda nazionale statuni-tense.

Il successo incontrato dal caffè sideve principalmente alla sua azionestimolante sul sistema nervoso, azio-ne fondamentalmente benefica, manon si deve credere che in Europanon abbia trovato dei nemici.

Tra questi i primi furono alcuni reli-giosi cristiani, i quali videro in questapozione propugnata da Maometto edai suoi fedeli (i quali avevano proi-bito il vino poiché rappresentava ilsangue di Cristo) un’espressione deldemonio. Non mancarono però an-che alcuni medici che additarono ilcaffè quale responsabile di malattierenali, epatiche e nervose, e tra que-sti ricordiamo il medico e poeta fio-rentino Francesco Redi, che nel suo“Bacco in Toscana” affermava: “Beve-rei prima il veleno che un bicchierche fosse pieno dell’amaro e riocaffè”.

Tuttavia, l’uso del caffè continuò aespandersi e trovò illustri estimatori trai quali Voltaire, che si vantava di aver-ne bevuto nella vita 50.000 tazzine.

Un giorno un amico gli disse che ilcaffè era un lento veleno, al che Vol-taire, ormai ottantenne, rispose: “De-ve essere veramente lento se mi haconcesso di giungere in buone con-dizioni a così tarda età”.

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CAFFÈ ALLE MANDORLEIngredienti: quattro tazze grandi di caffè lungo, quattro cucchiai ra-si da tavola di mandorle pestate, 20 gr di burro fresco di panna.Preparazione: in un mortaio schiacciare le mandorle mondate. Pre-parare i quattro caffè lunghi. Fondere il burro in un casseruolino dirame stagnato e farvi dorare le mandorle pestate nel mortaio. Metterele mandorle ancora calde nel caffè caldo e riscaldare ancora il tuttotogliendolo dal fuoco prima della bollitura. Servire in tazze grandi accompagnato da grissini secchi.

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Tavola e tavolozzeDI GIGLIOLA JACOMUCCI

Accademica di Caltagirone

Attraverso la pittura, l’evoluzione della tavola

e dei suoi arredi.

Q uali siano stati nella storia enell’avvicendarsi delle civiltài modi di allestire la mensa ci

viene involontariamente ma fedel-mente documentato dall’arte. Occorretuttavia fare una differenza sostanzia-le tra il periodo anteriore a Giotto equello successivo, distinzione fonda-mentale perché, mentre abbiamo unabuona documentazione iconograficasulla tavola e i suoi arredi dal Medioe-vo in poi, scarse sono le immagini perquanto riguarda i periodi precedenti.Documenti preziosi sono gli affreschipompeiani che rivelano come in epo-ca romana era sicuramente conosciu-to l’uso della tovaglia e della creden-za, mentre assai povero doveva esse-re l’uso di utensili da parte dei com-mensali.

La tavola medievale eredita daquella romana alcuni elementi. Negliaffreschi di Giotto della Cappella de-

gli Scrovegni, sia nelle “Nozze di Ca-na” che ne “L’ultima cena”, si vedecome era apparecchiata una tavolanel Trecento: vi è una tovaglia, deipiatti che sembrano in legno, cosa co-mune all’epoca. Non si comprendebene se i piatti siano individuali, per-ché anzi era frequente che fosserocondivisi da due o più commensali,così come i bicchieri. L’unica posatache si vede in uno dei due affreschi èun coltello, fra l’altro nelle mani di unservitore. Verosimilmente, all’epocaogni commensale portava con sé ilcoltello. Non si vedono cucchiai, an-che se certamente esistevano; ricor-diamo, però, che per mangiare si fa-ceva largo uso delle mani.

Verso la fine del Medioevo il ban-chetto dei nobili diventa più comples-so. Ogni invitato dispone di una cio-tola in ceramica o in legno, di un piat-to piano, un cucchiaio e un boccale

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da condividere con un’altra persona.Panni candidi vengono usati perasciugare le mani dopo il servizio del-l’acquamanile. Come magnificamenteillustrato nelle miniature dei fratelli diLimbourg nel “Convito del duca deBerry” (1416), il coppiere ha la fun-zione, di scegliere il bicchiere più giu-sto per il contenuto e per l’occasione,oltre che mettere le vivande sul tavo-lo. Il trinciante è incaricato del tagliodelle carni.

Sulla tavola, a sinistra, la mostra deipiatti carica di vasellame prezioso ha ilruolo funzionale di credenza ma an-che quello estetico di mobile sul qualesi espongono i tesori della casa. La ta-vola rispecchia fedelmente la gerarchiasociale e il posto d’onore è al centrodel lato lungo o su uno dei lati corti.Questo concetto sarà ribaltato nella ta-vola rinascimentale dove i convitatitroveranno una loro dignità, pur nel ri-spetto della tradizione ritualistica delposto d’onore, anche per la manierapiù elegante di approccio al cibo.

Fra il Quattrocento e il Cinquecentosi affermano le tovaglie bianche (“Ul-tima cena”, Andrea del Castagno,1447) con l’idea che la pulizia e l’igie-ne incoraggino a mangiare stimolan-do l’appetito; elegantissime quelle pe-rugine, con fascia blu lungo i lati epiegatura, che figurano in primo pia-no ne “L’ultima cena” del Ghirlandaio(1480). Interessante notare invecenell’“Ultima cena” di Dierirk Bouts(1468), dove alcuni commensali sonoraffigurati di spalle, come il tovagliolosia condiviso fra due persone. Neltempo esso diventerà individuale eper preservare l’abito sarà posto sulleginocchia. Nel ciclo pittorico di “Na-stagio degli Onesti” di Sandro Botticel-li (1483), è perfettamente rappresenta-to lo spirito dei banchetti gentilizi nelRinascimento, occasione per esprime-re il potere sociale ed economico del-l’aristocrazia: vi è una precisa divisio-ne tra uomini e donne e la simmetricapostazione degli inservienti mostra l’e-sistenza di una vera e propria coreo-grafia nella parata scenica del servizio.La mostra dei piatti, al centro dell’im-magine, segnala la sua importanza co-

me strumento di esibizione di ricchez-za e raffinatezza. Gli invitati del ban-chetto rinascimentale hanno piatti in-dividuali dove si consuma il cibo pre-so dal piatto di portata. Non si mettetutto in tavola come nel Medioevo, male portate sono divise: vi è un serviziodi credenza iniziale con piatti freddidolci e salati. Poi un servizio di cucinacon piatti caldi, infine un servizio dicredenza. Nelle case principesche lacerimonia conviviale è attentamentesupervisionata da uno scalco.

I bicchieri di produzione italiana,nel Cinquecento, sono in vetro, nellatradizionale forma cilindrica, mentrenel Nord Europa compaiono i famosi“romer” con la tipica presa bugnata,che presenziano con eleganza nellenature morte di Pieter Claesz. Da Ve-nezia, capitale dei vetri, si diffonde-ranno in tutta Europa i bicchieri constelo più lungo e coppe allargate(“Natura morta”, Christian Beretz).L’argenteria si evolverà, alla fine delCinquecento e nel Seicento, con ele-menti preziosi anche in oro, come nelcaso della celeberrima saliera di Ben-venuto Cellini (1545) o in quella a for-ma di conchiglia che compare in unanatura morta di Abraham Van Beye-ren (1653). Questo tipo di servizio simodificherà nel tempo e durerà fino atutto il Settecento.

Il termine “posata” deriva dal fattoche la si posava sulla tavola, avendolaportata da casa. Mentre il cucchiaio eil coltello hanno una storia abbastan-za anonima, la forchetta, che abbiamovisto essere stata importata dalla cortedi Bisanzio già nel 1003, fu dimentica-ta fino alla fine del Quattrocento. Daallora essa si diffuse, da Firenze, pri-ma in Francia a opera di Caterina de’Medici quindi in Spagna alla corte diCarlo V. Era tuttavia ancora considera-ta un oggetto di lusso. Nel Seicento sene favorì la diffusione e, come apparenel dipinto “Il pranzo” di Velásquez(1630), venne utilizzata anche dalleclassi meno ricche. Verso la fine delSeicento cambiò il modo di impugna-re il cucchiaio, si passò a usare tre di-ta per reggerlo, invece di stringerlonel palmo della mano, e la sua forma

divenne ovale, con manico sottile, co-me quella di oggi. La punta del coltel-lo diventò rotonda.

Nel Settecento, come si può ammira-re in molti dipinti di William Hogarthe di Jean-François de Troy, ormai l’eti-chetta riteneva inammissibile il contat-to diretto delle mani con il cibo. Lamostra di piatti e vasellame cade in di-suso perché oscurata dalla comparsadei centrotavola, capolavori effimeri dizucchero e pasta di mandorla. Semprenel Settecento le manifatture europeescoprono il segreto della porcellana ci-nese riuscendo a riprodurne l’altissimaqualità sottile e bianca.

Si diffonde pure la posateria ornata,compaiono i servizi da cioccolata, dacaffè e da tè che, in seguito, si diffon-dono anche presso la borghesia. Si co-minciarono così a produrre i cosiddet-ti “servizi”, fabbricati, ieri come oggi,per un numero di 6 o 12 persone(“Servizio da tè”, Jean-Étienne Liotard,1783). Nell’Ottocento, con l’arricchirsidella cucina, si arricchisce anche l’og-gettistica da tavola. Si moltiplicano po-sate destinate a usi specifici, salsiere,porta sale/pepe, porta olio/aceto ebicchieri specifici per ogni bevanda. Sidiffonde l’uso di collocare bicchieri,posate e tovaglioli direttamente sullatavola prima dell’arrivo dei convitati,introducendo un costume che confer-merà la sua praticità nei secoli a veni-re. Il gusto francese impose, in tuttaEuropa, apparecchiature della tavolacomplicatissime.

Con l’affermarsi sociale della bor-ghesia agiata nasce la vera sala dapranzo, dove riunire la famiglia e ac-cogliere gli ospiti, come raffiguratonei luminosi interni dei pittori impres-sionisti. Nel quadro di Mary Ellen Be-st, “Sala da pranzo” (1838), la presen-za sul tavolo di zuppiere e piatti illu-stra con chiarezza didascalica il muta-mento della concezione dell’apparec-chiatura. Si riduce lo sfarzo, in lineacon la nuova cultura borghese ostileall’esibizione della ricchezza, attentapiuttosto alla funzionalità, secondouna concezione che condurrà al raffi-nato design delle tavole di oggi.

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Sapori d’OrienteDI GIAMPAOLO LADU

Delegato di Pisa-Valdera

“Anche un assaggio limitato di questi sapori

rappresenta una straordinariaesperienza umana,

gastronomica, culturale”.

Se è vero che una cosa diventa“buona da mangiare solo quan-do è buona da pensare” e che il

cotto è simbolo di cultura (Felipe Fer-nandez-Armesto, “Storia del cibo”;Claude Lévi-Strauss, “Il crudo e il cot-to”), la conclusione è che il cibo è unmateriale grezzo che serve da suppor-to alla mente collettiva e individualeper organizzare il mondo circostante.In questo senso, si tratta di un fattoculturale, e ancora a Lévi-Strauss sideve la grande intuizione che l’uma-nità cuoce il materiale grezzo offertodalla natura perché la cultura è pro-prio distaccarsi dal materiale naturale.

La cucina è, allora, un fatto di confi-ni più che di centri. Decisivo è circo-scrivere il limite del mangiabile, chederivi da un interdetto alimentare, daun metodo di cottura o da una se-quenza alimentare. Non si deve di-menticare, infatti, che il cibo si basa

su due tipi di apporti: la cucina, comecompetenza a trasformare le materieprime, e il gusto, come competenzanel consumo, da parte dei commen-sali. Entrambe le competenze sono si-stemi - gesti, denominazioni, tempi,sequenze, strumenti - il cui “uso” è li-bero sino all’arbitrarietà. La creatività,dunque, a mio avviso, non c’entracon l’alimentazione, che nei popolidiventa essenzialmente costruzioneidentitaria. Per questa ragione, il cibo,qualunque cibo, diventa un’idea che,assieme ai contenuti nutrizionali, vei-cola messaggi e valori culturali (Mas-simo Montanari, “Il mondo in cucina.Storie, identità, scambi”).

Questa lunga premessa può aiutarea comprendere il mondo gastronomi-co orientale, che troppo superficial-mente, di regola, viene letto comeun’entità indifferenziata, composta avolte di materie prime discutibili senon disgustose. Chi abbia, invece,esperienza di viaggi in Estremo Orien-te e, soprattutto, sappia viaggiare sen-za pregiudizi, sa quanto variegata,spesso raffinatissima, sia la gastrono-mia orientale, o più esattamente quan-to diverse siano le cucine dei vari Pae-si orientali e quanta straordinaria ric-chezza di apporti culturali esprimanole cucine delle diverse etnie.

Singapore, innanzi tutto, il cui slo-gan è “Molte razze, un popolo”: fattodi cinesi (provenienti da diverse regio-ni della Cina e portatori delle quattrograndi “cucine” che la caratterizzano),malesi, indiani, europei ed euroasiati-ci. Non può dunque stupire che Singa-pore proponga un’offerta gastronomi-ca assai vasta: su tutte, quella cinese,in tutte le sue varianti, dall’anatra lac-cata pechinese al maialino laccato diCanton, dai mille piatti a base di pescee crostacei allo strepitoso granchio,piccantissimo, al pepe nero. E se non

si è (troppo) schizzinosi, e si ricerca diun po’ di atmosfera, si può mangiaredai numerosissimi banchetti che offro-no lo “street food”. Se poi si amano igusti forti, si possono scegliere specia-lità malesi e indonesiane, con le infini-te, diverse specie di curry e i dolci abase di cocco. O, in alternativa, la cu-cina indiana, con il pollo “tandoori”, icurry vegetariani tipici dell’India delsud e le spezie piccanti. O, ancora, laspeziata, piccantissima ed eccellente,cucina thailandese. La Thailandia hanella gastronomia uno dei suoi aspettipiù gradevoli. Grande cucina e grandiristoranti, certo, ma se si vuole mette-re un pizzico di esotico nella propriaalimentazione devono essere provati iluoghi frequentati dalla popolazionelocale, a partire, anche qui, dalle ban-carelle alimentari di strada. E conside-rare che la cucina thailandese variaenormemente nelle sue varie regioni.Il riso bollito (“kao”) è alla base delladieta, e accompagna molti alimenti; ilriso fritto è, a sua volta, base e sup-porto di diversi condimenti: dal polloal maiale, dai gamberetti alle verdure,ad accompagnare le diverse portate.Vertice, forse, di piccantezza è il “Tomyam kung”, zuppa di scampi, con ab-bondante uso di lemongrass, che por-ta inevitabilmente alle lacrime ma è diun sapore eccezionale, piatto thai pereccellenza. Occorre, comunque,adottare lo schema mentale thai (lasequenza dei cibi come fatto cultura-le). I pasti costituiscono occasioni so-ciali, da condividere, in un insieme dipiatti che arrivano senza un ordinespecifico. Per chi abbia cultura gastro-nomica, dunque, anche un assaggiolimitato dell’Oriente, come in questocaso specifico, rappresenta unastraordinaria esperienza umana, ga-stronomica, culturale.

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DI LUCIO PIOMBIDelegato di Bergamo

Un lungo e antico procedimento consente di gustare questo frutto

anche fuori stagione.

N otoriamente le valli bergama-sche sono conosciute nelmondo per la loro intensa in-

dustrializzazione nei più svariati cam-pi. Lo sviluppo industriale degli ulti-mi decenni ha certamente miglioratole condizioni di vita dei valligiani, maha inevitabilmente ridotto l’attivitàagricola e i boschi sono stati abban-donati spesso a se stessi. Per nonperdere usi e tradizioni che passanovia via nel dimenticatoio, entriamonel tema. Cosa sono, per esempio, i“biligòcc”? È semplice: sono castagneche hanno però subito un particolaretrattamento. Ne esiste una traccia sto-rica in un atto del 1249 ove si riferi-sce che un contadino (di “Poscan-tum”) sperimentò un procedimentoper poter gustare questo frutto, la cuimaturazione e raccolta avvengono dafine settembre in poi, sino a primave-ra avanzata e alle feste pasquali.

Non possiamo dimenticare infattiche le castagne, “pane dei poveri”,hanno costituito, in tutte le loro lavo-razioni, uno dei principali alimentiper montanari, boscaioli, contadini emandriani: bollite, arrostite (“boro-le”), secche (“mundine”), trasformatein farina. Privilegiando le più saporitee agostane, “ostane”, e le più piccole“nicoline”, i contadini del Bergama-sco (si dice che i primi furono di Po-scante, frazione di Zogno in ValBrembana) misero a punto, fin dalMedioevo, un procedimento che pre-vedeva prima una loro affumicatura,poi una bollitura per circa due ore,per poi lasciarle essiccare all’ariaaperta per una settimana (giorno enotte). Ciò permetteva alle castagnedi poter conservare a lungo il lorogusto e il loro sapore. Ma vediamonei particolari la “ricetta” dei “bi-ligòcc”, che si preparano senza con-servanti o additivi e che hanno un al-

to potere nutritivo. I frutti appenaraccolti vengono affumicati nei “seca-dur”, piccoli edifici a due piani; sulpavimento si prepara il fuoco solocon legna verde di castagno che bru-cia assai lentamente sprigionandomolto fumo; si ottiene l’affumicatura,operazione che si prolunga per bentre settimane. Al primo piano, c’è poiuna fitta griglia di legno di ontano,ove le castagne vengono adagiatefresche e “rimestate” con un rastrelloin legno due volte al giorno; guai sele castagne si bruciano. Ancora so-pra, sotto al tetto, vi sono i finestronidai quali esce il fumo. Si va avanti co-sì per 40 giorni.

Ben affumicate, verso dicembre, lecastagne assumono un aspetto nontroppo accattivante, poiché sono rag-grinzite, di un colore molto scuro, masono assai dolci e soprattutto conser-vano sino all’estate il loro caratteristi-co sapore. Vengono riposte quindi insacchi di iuta e sottoposte a una rapi-da cottura con ebollizione; questa se-conda procedura avviene, però, soloqualche giorno prima della sagra cheè fissata per il giorno di S. Antonioabate e cioè il 17 gennaio. La “reginadel bosco” riacquista, dopo oltre tremesi dalla raccolta, una sua secondagiovinezza e i suoi estimatori giungo-no da tutta la regione.

Esiste una forte concorrenza fradue valli bergamasche, la Val Brem-bana e la Valle del Lujo, che rivendi-cano entrambe di aver per prime trat-tato, secoli fa, questo frutto con ilprocedimento esposto; le due vallisono in competizione anche per or-ganizzare la castagnata più bella. Maciò che conta è che si continui a co-noscere queste tradizioni che servo-no a salvaguardare costumi gastrono-mici e storici locali.

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Le castagne bergamasche

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Cremona nel cuoreDI CARLA BERTINELLI SPOTTI

Accademica di CremonaCentro Studi “F. Marenghi”

Nei libri di Ugo Tognazzi si leggono molte pagine

dedicate alla città e ai suoi piatti tradizionali.

S ono passati ormai vent’anni dal-la morte di Ugo Tognazzi, cheera nato a Cremona il 23 marzo

1922. Grande attore, appassionatogastronomo, Accademico (dalla De-legazione di Roma aveva chiesto iltrasferimento a quella di Lucca dovecontava tanti amici), sempre legato aCremona anche se le esigenze di la-voro lo avevano portato ad abitare al-trove. Lo testimoniano le frasi dialet-tali che spuntavano all’improvviso incerte fortunate trasmissioni televisiveo in alcuni suoi film e i continui riferi-

menti, riportati nei suoi libri di cuci-na, alle tradizioni alimentari di Cre-mona e provincia.

“L’abbuffone”, pubblicato da Rizzo-li nel 1974, non è solo un libro di ri-cette semplici e facilmente realizzabi-li, ma la descrizione di un piatto è oc-casione per evocare un ricordo, e,per converso, una storia di famigliarappresenta il pretesto per spiegarecome si fanno gli gnocchi al gorgon-zola, le polpette o la minestra dellanonna. Nella prefazione Tognazzi co-sì scriveva: “La mia è una cucina d’ar-te… do una importanza fondamenta-le anche alla scenografia che l’ac-compagna, all’atmosfera che la cir-conda, a tutto quel flusso di sensazio-ni piacevoli che ci provengono dallamemoria o dall’ambiente e che inve-stono prepotentemente il piatto chehai davanti, arricchendolo di antichie nuovissimi significati. Come a Prou-st ogni oggetto sussurrava ricordi lon-tani e sepolti, così a me ogni ciborammenta tempi perduti o ritrovati. Ela gallina bollita, per esempio, mi fariandare alla nonna, alle domenichedi Cremona, alla mostarda… Unavolta c’era una nonna, una mamma,una campagna, un orto. Ricreiamoli.Dipende da noi”.

Quattro anni dopo, nel 1978, pub-blica a Milano per l’editore Fabbri unaraccolta di menu, con relative ricette,di pranzi o cene da lui preparati per ilcompleanno dei figli, per amici attorio per ospiti particolari. È “Il rigettario”(così chiamato perché ispirato dallafilosofia del rigetto, cioè del rifiuto ditutto ciò che in gastronomia e nell’ar-te cucinaria “è convenzionale, presta-bilito, codificato”), nel quale si leggo-no molte pagine dedicate a Cremona,al suo clima, ai suoi piatti.

I marubini sono “un piatto cremo-nese che ha allietato la mia infan-

zia… Cremona o cara mi vien da di-re, perché sempre più spesso vado ri-cercando sapori antichi, gusti perdu-ti, memorie dell’infanzia. Questi ma-rubini erano cotti in un gran brodo…un brodo che faceva venire in mentele cucine scure e calde di una volta,le minestre della nonna, della zia o levecchie trattorie di campagna”. Il bol-lito misto è “un culto, un rito… o èsolo vile carne lessata, per accompa-gnare il quale è dovere assoluto com-perare la mostarda di Cremona e cu-cinare due salse, quella di cren ve lainsegna mia madre e quella verde vela insegno io”.

Ne “L’abbuffone” c’è un intero ca-pitolo, “Lingue e pernacchie di tantianni fa”, che ricorda la sua esperien-za allo stabilimento Negroni. “Il lavo-ro mattutino al salumificio era sincro-nizzato con lo sgozzamento di circa500 maiali. Tre ore di sinistro concer-to per animali e coltello. Nel pome-riggio il silenzio. Perché nel pomerig-gio i maiali diventavano salsicce, sa-lami, prosciutti e noi impiegati tramu-tavamo in numeri tutta quella carneinsaccata. Del maiale, è noto, si utiliz-za persino la coda. Il salumificio ven-deva tutto meno la lingua, che venivaofferta in dono a operai e impiegati.Io avevo perciò uno stipendio mensi-le e una lingua settimanale. Mia ma-dre me la faceva lessa, arrosto, inumido, a spezzatino, in agrodolce”.

Poi, avendo disapprovato una di-sposizione del suo capufficio com-mentandola con una sonora pernac-chia, fu licenziato, ma restò semprelegato a Paolo Negroni cui lo univanon solo la comune buona stella (co-me si legge nella dedica che gli scris-se donandogli una copia de “L’ab-buffone”) ma anche l’appartenenzaalla nostra Accademia.

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Attualità del FuturismoDI MAURO MAZZON

Accademico della GarfagnanaVal di Serchio

“Circa ottanta anni fa già si anticipa il sogno in cui l’estro del cuoco

si amalgama con i gusti del cliente”.

O vunque in Italia si sta risco-prendo la cucina futurista,anche grazie a un lento, ma

ormai oggi consolidato, sdogana-mento della rivoluzione futurista,nel suo complesso, dal suo passatopolitico. Alcuni articoli di amici Ac-cademici sono già apparsi su questarivista e anche in seguito alla letturadi essi, ho deciso di inviare questocontributo che rende merito alla “ri-voluzione” della cucina, evidenzian-do le proposte più sorprendenti perlo spirito innovativo che contengo-no, soprattutto in relazione al perio-do estremamente tradizionalista diallora.

Ricorro a un’esposizione per vociin modo da dare un aspetto più ana-litico alla lettura.

“La ricetta e la libertà del cuoco”.La formulazione delle ricette è estre-mamente elastica, in quanto si citanogli ingredienti e, talora, la forma del-la composizione degli elementi sulpiatto, ma si lascia ampia discrezio-nalità al cuoco circa le proporzionitra gli ingredienti, i tempi di cottura,l’alternanza dei piatti previsti dalla“lista vivande”. Questo è avvaloratodal concetto che “il cuoco è comeuno scultore” che crea i suoi “com-plessi plastici”: però soltanto i cuochifuturisti sapranno “liberare la cucinadalle vecchie ossessioni del volumee del peso”. Grazie all’estro creativodel cuoco futurista le composizionisono “ardimentose”, quasi una sfidaalle leggi della fisica, ma sempre sor-prendenti alla vista. Dominano leforme geometriche e le sovrapposi-zioni degli alimenti: ormai anche nelristorante sotto casa lo chef cerca diproporre piatti in forma non banale.

“Preparazione del cibo”. Viene sug-gerita tutta una serie di strumenti chepossano rimuovere la cucina la quale

da “disciplina empirica (come quellapassatista) diventa vera e propriascienza (come quella futurista)”: ozo-nizzatori, centrifughe, elettrolizzatori,distillazione a pressione ordinaria esotto vuoto. Sembra proprio di legge-re la definizione che viene data dellagastronomia molecolare di FerranAdrià o di Ettore Bocchia, che non acaso nel 2003 intitola il suo libro “Ma-nifesto della cucina molecolare italia-na”. Essa trasforma la materia con lamanipolazione chimica e fisica, gra-zie all’azoto liquido e al vuoto spinto:“niente è quel che sembra: l’idea è diprovocare, sorprendere, deliziare -dice Adrià -, non si viene al ristorante«El Bulli» per mangiare, ma per prova-re una esperienza”. Oggi ormai inogni ristorante sono entrati gli abbat-titori di temperatura per surgelazionirapide con estrazione della conden-sa, le campane del sotto vuoto, i sifo-ni per la creazione di spuma dolce osalata, forni a bassa temperatura per“non bollire il bollito”, come affermail modenese Bottura recentementegiudicato a Parigi miglior cuoco del2010 dall’Accademia Internazionaledella Cucina, riconoscimento quasisempre appannaggio dei cugini fran-cesi.

Viene da chiedersi se il Futurismonon avesse ragione anche quandocriticava l’uso della pentola a pres-sione, che sarà pratica, ma snaturaalquanto la struttura della materia.

“Nuova filosofia alimentare”. La or-mai famosa lotta alla pastasciutta,dovuta anche a ragioni economiche,visto il periodo rigorosamente autar-chico, privilegia l’utilizzo del riso cheviene proposto in formulazioni talo-ra talmente innovative da sembrareassurde. Ma la battaglia contro l’este-rofilia passa non solo attraverso l’ita-lianizzazione di tutti i termini concer-

nenti la cucina, ma soprattutto attra-verso l’uso dei prodotti italiani di cuisi esalta la qualità e la supremaziaassoluta nel mondo. Se si leggessel’articolo apparso sulla “Gazzetta delPopolo” in data 24/9/31, ci si po-trebbe confondere con un articolodei nostri tempi quando conferma iltrionfo dei nostri prodotti naturali edella cucina a tutte le latitudini.Sempre sulla “Gazzetta del Popolo”,del 21/1/31, si legge: “La cucina finoad oggi non tenne conto, se non peri dolci, del lato estetico. Il nostro raf-finamento sensibile richiede inveceuno studio completamente artisticodella cucina. Si combattono così lepozzanghere delle salse, i frammentidisordinati di cibo, e soprattutto lamolle e antivirile pastasciutta; rag-giungeremo pranzi ricchi di differen-ti qualità, dove per ognuno sarà stu-diata la vivanda che tenga conto delsesso, del carattere, della professio-ne, della sensibilità”. Circa ottanta

anni prima si anticipa il sogno diuna cucina personalizzata in cui l’e-stro del cuoco si amalgama con i gu-sti e la personalità del cliente.

“Finalmente a tavola”. L’armoniadell’apparecchiatura, la plurisenso-rialità del cibo, che suggerisce l’usodelle mani quando possibile, noi lachiamiamo oggi “finger food”, lorola esaltavano come “piacere tattileprelabiale”. Il pranzo doveva essereaccompagnato dalla sorpresa nellaproposta della “lista vivande”: essapoteva comprendere o no i piattiche sarebbero stati serviti. L’uso diprofumi e della musica aveva il com-pito di completare l’arcobaleno deisensi coinvolti nell’esperienza dellacucina futurista. Altro splendidocontributo a tavola, mai parlare dipolitica.

“Simultaneità dei gusti”. Merita amio avviso una riflessione a parteperché nasconde il messaggio piùesplosivo del Futurismo. Ogni pre-

parazione è libera nel tentativo dicreare accostamenti che sorprenda-no il commensale: non si parla di“cacio e pere” del famoso contadino,ma di accostamenti tra pesce e frut-ta; di verdure e frutta contempora-neamente a formaggio e frutta secca;di carne lavorata e accompagnata dafrutta dolce e piccante; di riso cottocon vino e birra oppure con arance;di antipasti composti da insaccati,sottaceti, formaggio e frutta; di gela-to preparato con vegetali e con pe-peroncino; di piatti caldi e freddicontemporaneamente; di carne ri-piena di verdure (ben undici, comele lettere che compongono il nomedi F.T. Marinetti), condita con miele.Lascio agli amici Accademici il com-pito di riconoscere in quanto dettosopra i piatti ormai entrati nel nostrocostume, “quasi fossero già una tra-dizione”.

MAURO MAZZONSee International Summary page 77

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La collaborazione degli Accademici alla loro rivista, ol-tre che gradita, è indispensabile. Ma occorre che gli Ac-cademici tengano presenti alcune norme essenziali, af-finché i loro scritti, frutto di passione e impegno, trovi-no rapida ed esauriente pubblicazione.

■ Testi degli articoli: è necessario, per quanto possi-bile, che i testi vengano inviati per via elettronica,utilizzando questo indirizzo e-mail: [email protected]

■ Lunghezza dei testi: importante che i testi abbianouna lunghezza compresa tra i 4.500 e i 5.500 caratteri(spazi inclusi): in questo modo si eviteranno tagli fasti-diosi per chi li deve effettuare quanto per chi li subisce.Qualsiasi computer prevede il conteggio delle battute.

■ Schede delle riunioni conviviali: è altrettanto im-portante che nella compilazione delle schede per leriunioni conviviali, per le “Note e commenti” venga ri-

spettato il limite di 10 righe (pari a 600 caratteri,spazi inclusi) onde evitare anche in questo caso tagli emutilazioni. Le schede giunte in Segreteria oltre il limiteregolamentare di 30 giorni verranno cestinate.

■ Si prega inoltre di non inviare relazioni di riunio-ni conviviali tenute al di fuori del territorio dellapropria Delegazione, o di quelle effettuate in casadegli Accademici, o che comunque non si sono svoltenei ristoranti o negli esercizi pubblici, in quanto nonverranno pubblicate.

■ Osservando queste semplici norme si potrà avere laragionevole certezza di una rapida e testuale pubblica-zione, evitando quei dolorosi tagli che sovente vengo-no lamentati.

■ La Direzione della rivista si riserva, ovviamente, i ne-cessari controlli, l’eventuale revisione dei testi e la pos-sibilità di pubblicarli secondo gli spazi disponibili.

ISTRUZIONI PER LA COLLABORAZIONE ALLA RIVISTA

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DI GIULIANO RELJADelegato di Trieste

Il più famoso e frequentato,situato in centro città,

ha iniziato la sua attivitànel 1897.

H anno ben più di cento anniquesti storici e tipici locali, manon li dimostrano. Il loro no-

me deriva da un particolare mobile acredenza con ripiani, atto ad esporre icibi, le bevande, i piatti e gli accessoriper i banchetti, ideato da Pierre Buf-fet, cuoco al seguito del re di FranciaFrancesco I, agli inizi del ’500. Comeè noto, il termine si è successivamen-te esteso ad indicare i rinfreschi contavole imbandite dalle quali gli ospitisi servono da soli. La denominazione“buffet”, a Trieste, è stata introdottanell’800 per designare un particolaretipo di luoghi di ristoro.

La città, principale sbocco sul maredell’Impero austroungarico e sede diintensi traffici portuali e scambi com-merciali, era popolosa, vivace e mo-vimentata. I buffet fiorirono alla finedi quel secolo per rispondere alle esi-genze dei numerosi lavoratori, so-

prattutto portuali, che, costretti ad al-zarsi molto presto al mattino e impe-gnati in attività e occupazioni fatico-se, dopo una frettolosa colazione av-vertivano la necessità di soddisfare iloro appetiti già a metà mattina o invarie ore della giornata. Nacque cosìil termine di “rebechin”, che derivada “ribeccare”, cioè mangiare una se-conda volta, molto usato ancora neldialetto triestino per designare unospuntino.

La tipologia di questi locali era ed èancora oggi caratteristica: un grandebancone per appoggiare i piatti di chimangia in piedi, qualche tavolo,un’ampia vetrina con le preparazionidel giorno in bella vista, le morse coni prosciutti cotto e crudo interi, conl’osso, da tagliare rigorosamente amano a fette belle spesse.

Ma l’elemento più tipico e imman-cabile è la caldaia dei bolliti di maia-le: un grande recipiente riscaldato abagnomaria che contiene, nel lorobrodo di cottura, tutti i possibili taglidi carne di maiale: “porcina” (coppao spalla), la più richiesta perchémorbida e magra al punto giusto,“kaiserfleisch” (carré affumicato),“luganighe” (salsicce) tipo Vienna owurstel e le “cragno” (da Kranji, re-gione della Slovenia), zamponi e co-techini. Le carni, affettate con mae-stria sul tagliere, accompagnate dauna cucchiaiata di senape o da unagrattugiata di “kren” (radice di rafa-no), possono finire in succulenti pa-nini per uno spuntino veloce, o inpiatti variamente composti per unadegustazione più tranquilla e medita-ta. Si accompagnano classicamenteai “capuzi garbi” o crauti, ottenuti dalcavolo cappuccio posto sotto sale,fermentato e poi stufato con cuminoe alloro, di tradizione gastronomicamitteleuropea. Un altro tipico e ri-

chiestissimo contorno sono le “pata-te mastruzade” o “in tecia” alla triesti-na (patate schiacciate e cotte al tega-me con cipolla).

Accanto alla caldaia non mancanomai le tartine di baccalà mantecato equelle di liptauer (dalla città cecoslo-vacca di Liptau), una crema di for-maggio morbido, ricotta, burro, cap-peri tritati e paprika dolce, servita sufette di pane di segale.

In alcuni buffet, con cucine piùampie e attrezzate, si possono degu-stare anche piatti locali più elaboratiquali la “jota”, minestra di patate,crauti e fagioli; gli gnocchi di patate odi pane; le trippe; il gulasch alla trie-stina, i “sardoni” (alici) impanati efritti, uno dei piatti più amati dai trie-stini soprattutto nella stagione estiva.Per accompagnare queste pietanzecosì sapide e robuste la bevanda piùrichiesta, anche per tradizione ederedità austroungarica, è la birra.

Dopo tanti anni i buffet hanno con-servato intatto il loro antico e rusticofascino. Un’atmosfera particolare, fat-ta di odori e sapori forti, dove i clientie i camerieri dialogano e scherzanotra di loro, spesso in dialetto. Nonsfornano, come visto, una cucina die-tetica o per dirla con l’Artusi una “cu-cina per stomachi deboli”, ma conti-nuano ad essere sempre apprezzati eaffollati, soprattutto all’ora del pran-zo. Sono davvero pochi i triestini chenon vi si recano ogni tanto, attiratidai vapori della caldaia e dal pene-trante profumo dei crauti che sidiffondono già per la strada, per unpiccolo rebechin. Quanto meno un“rodoleto” (rotolino) di prosciuttocrudo carsolino o di prosciutto cottoin crosta di pane ancora caldo e fu-mante, accompagnato da un calice dibuon vino o da uno spumeggianteboccale di birra.

C U L T U R A & R I C E R C A

I buffet di Trieste

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L’alcol nei dolci

È bene che i bambini non assuma-no bevande alcoliche, nemmenoin piccolissime quantità. Il loro fi-

sico non può accettare l’immissione dialcol senza provocare fastidi, malesserio danni all’organismo. Del resto è unariluttanza naturale quella che i bambiniprovano quando assumono alimentiche abbiano sentore di alcol: non nesopportano nemmeno l’odore. Genito-ri responsabili fanno attenzione e cer-cano di evitare che i bambini possanoassumere alcol anche nelle pietanzeche lo richiedono in cottura, come peresempio nella carne, o nelle torte. Maquello che nel privato è evitato, già datempo non è più un tabù per l’industriaalimentare. Spesso i dolciumi in com-mercio contengono alcol. Lo zuccherone copre il sapore e la naturale difesadei bambini è ingannata, visto che findall’età più tenera sono attratti da tuttociò che è dolce. Poi c’è la pubblicitàche fa la sua parte influenzando i con-sumatori più giovani, i quali hannoscarso potere di difesa all’incalzare delmessaggio promozionale, che spesso èingannevole e accattivante nello stessotempo. Non è da sottovalutare il rischiodi un precoce contatto con l’alcol.Esperti dell’alimentazione non esitanoa considerare i dolciumi che lo conten-gono l’inizio di una dipendenza. In Au-stria il problema è stato sollevato conscalpore dalla rivista “Konsument”, cheha svolto un’indagine dalla quale è ri-sultato che l’alcol si trovava in due terzidei dolciumi esaminati. E molta pubbli-cità di questi prodotti è esplicitamenteindirizzata a bambini e giovani. In Ita-lia, nei prodotti direttamente indirizzatial consumo giovanile, non possiamodire che si rinvenga l’uso dell’alcol, main molti altri dolciumi, in particolare neimonodose, tipo snack, molto reclamiz-zati negli spot televisivi, ce ne è abbon-dante presenza.

MANGIARE VERDE

Più volte il Ministero delle Politicheagricole ha promosso campagne pro-mozionali per l’aumento del consumodell’ortofrutta. Le organizzazioni deiproduttori hanno fatto notare che loscorso anno ogni nucleo familiare haacquistato circa sette chili di ortofruttain meno rispetto allo stesso periodo del2009 (4 kg di frutta fresca, 3 di verdura)per un taglio di spesa di circa 12 euro.Già nel 2009 la media degli acquisti erain fase calante. Si verifica, dunque, un“sacrificio” dell’ortofrutta nel panieredegli acquisti, in parte compensato, se-condo i dati dell’Osservatorio del Mac-frut di Cesena, dall’aumento delle fami-glie che la comprano. Crescono, quin-di, le famiglie italiane che acquistanofrutta e ortaggi, ma ognuna ne compe-ra meno. Se ne deduce che gli italianimangerebbero più frutta se questa co-stasse un po’ meno. Seguiti dalla Spa-gna, siamo i primi produttori in Europadi ortofrutta, con il 25% del mercato, esesti nel mondo con il 2%, ma convi-viamo con una difficile gestione deiconflitti interni di mercato dovuta all’in-contro tra un’eccessiva offerta (+20%) eun basso consumo (-15%). Non possia-mo nemmeno fare affidamento sull’e-sportazione che soffre della forte con-correnza estera, europea ma soprattut-to asiatica. Basti considerare che la Ci-na ha accresciuto del 50% la sua pro-duzione di frutta nell’arco di un decen-nio, contro il 13% dell’Europa. Si ponecomunque il problema del come spin-gere il consumatore italiano a compra-re frutta e verdura. All’origine dellascarsa convinzione all’acquisto sta lapercezione che bisogna spendere pocoper questi prodotti considerati “conve-nienti”, cioè classi di prodotto di acqui-sto giornaliero. Ancora una volta si tor-na a richiamare la necessità di una cor-

retta “preparazione” del consumatoreper muoversi in modo giusto nel com-plicato mondo del commercio e dellagestione del bilancio familiare. Senzadimenticare i benefici che un giustoconsumo di frutta e verdura portano al-l’organismo se inserite con regolaritànella dieta quotidiana.

LA LUMACA DI BELLEZZA

Apprezzate dai Greci e dai Romani,le lumache hanno rappresentatosempre una vera ghiottoneria, daApicio, che raccomandava di spur-garle nel latte per diversi giorni primadella cottura, fino a oggi. Hannotrionfato fra le delicatezze della cuci-na francese e sono presenti in svaria-tissime ricette nella tradizione popo-lare delle nostre regioni. General-mente in umido o trifolate con o sen-za pomodoro, ottime per i sughi cheaccompagnano la polenta. Sono mol-tissime le specie una volta raccoltenei campi e nelle vigne, ora in alleva-menti razionali. Questa simpatica be-stiolina strisciante nella sua lucentescia ora è divenuta un complementodella bellezza femminile. Sta crescen-do in Europa, e anche in Italia, il con-sumo di creme di bellezza a base dielicina, la bava delle chiocciole Helixaspersa, la specie mediterranea piùcomune. Ha un elemento attivo, l’al-lantoina, che sembra rigeneri la pelleumana, combattendo i radicali liberiche la danneggiano e accelerano iprocessi d’invecchiamento. Questapomata “miracolosa”, prodotta in Ci-le, contiene anche vitamine A, C edE, collagene e acido glicolico, per fa-vorire l’elasticità del tessuto, rimuo-vere le cellule morte e proteggere lapelle dallo stress ambientale.

GABRIELE GASPARRODelegato di Roma

S I C U R E Z Z A & Q U A L I T À

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 45

I TAPPI DI SUGHEROITALIANI CELEBRANO150 ANNI

La storia dei tappi di sugheros’intreccia con le vicende delnostro paese a partire propriodall’Unità d’Italia. Il Diparti-mento di Economia e Sistemiarborei dell’Università degliStudi di Sassari, fa risalire infat-ti agli anni 1860/61 la primaproduzione di tappi in sughe-ro in Sardegna, nella regionedella Gallura. Una produzionesia di tipo artigianale sia indu-striale, destinata quasi total-mente all’esportazione in Spa-gna e Francia. Successivamen-te quest’attività si diffonde an-che in altre regioni d’Italia,tanto che, intorno al 1930, leprovince di Genova e Milanosono già due grossi scali com-merciali, vero e proprio puntodi riferimento per gli scambicon il Nord Italia e l’estero. Se-guono altre province italianeche si attivano a loro volta aprodurre e commercializzaretappi in sughero. Con il passa-re degli anni è comunque laSardegna ad assumere un ruo-lo predominante, tanto che nel1961, esattamente cento annidopo l’avvio della produzione,la sola provincia di Sassariconta circa 800 imprese e 821unità produttive dislocate neicomuni galluresi. Oggi, 150anni dopo, la Sardegna conti-nua ad essere la regione doveviene prodotto il 90% di tutto ilsughero italiano, con un’areadi vegetazione di circa 210.00ettari. Qui 250 aziende (tra in-dustrie e aziende artigiane),per la maggior parte ubicateall’interno del Distretto del Su-ghero di Calangianus e Tem-pio Pausania, trasformano cir-ca il 70% di tutto il sughero de-stinato alla produzione di tap-pi. Grazie alle sue caratteristi-che intrinseche, il sughero è ilmateriale naturale che meglioaiuta il vino a restare vivo e adevolversi nel tempo preservan-done correttamente gusto,charme e raffinatezza.

L’IMPORTANZADI UN CALICE GIUSTO

I calici da degustazione sonoentrati in un’aula universitaria,diventando strumento di di-dattica. Destinato ai laureandiin Enologia del terzo anno, haavuto inizio, presso la Facoltàdi Agraria dell’Università diMilano, il corso “Comunica-zione e linguaggio del vino”.Ogni lezione (4 appuntamen-ti, per 20 ore totali) è sempreaperta dalla degustazione digrandi vini italiani, in calici didiverse forme e dimensioni. Ilcorso, oltre ad approfondirecome cambia la percezionedel vino a seconda delle carat-teristiche del calice, tratta an-che di storia del vino italiano,linguaggio del vino, importan-za della comunicazione, evo-luzione del gusto, tendenzedei mercati, vino e cucina (siacome abbinamenti sia comepresenza della ristorazione ita-liana nel mondo), vino e terri-torio. Un calice sbagliato puòstravolge il gusto di un vino,perché la forma del bicchierecanalizza il vino sulla lingua inun certo modo e ne determinaquindi la prima impressionegenerale. Per ottenere dal vi-no la sua massima espressioneolfattivo-gustativa è importan-te che le sue caratteristiche ela forma del bicchiere siano inarmonia.

LA PRODUZIONEORTOFRUTTICOLALOMBARDA SI ORGANIZZA

È stato presentato a Milano,presso la Regione Lombardia,il nuovo “Distretto della filieraortofrutticola”, che prevedel’aggregazione e la coopera-zione di 23 soggetti operantinel settore ortofrutticolo, piùdue centri universitari di ricer-ca. La nuova iniziativa è statavoluta per promuovere e tute-lare il dinamico e articolatoinsieme delle imprese agrico-le e agroindustriali della filiera

ortofrutticola attive in Lom-bardia. Per questo è stata indi-viduata la formula del “Di-stretto di filiera”, che non solorappresenta l’intero sistemaproduttivo locale, ma è so-prattutto efficace per tutelaree promuovere le produzionidi aziende accomunate daun’identità storica e territoria-le. All’appuntamento milane-se, sono stati illustrati i pro-grammi del Distretto che siprefigge, tra l’altro, di pro-muovere il consumo dei pro-dotti ortofrutticoli oltre adazioni rivolte allo sviluppo eall’innovazione, all’internazio-nalizzazione dei mercati, alleeconomie di scala. Uno deiprincipali punti di forza delconsorzio è la forte integra-zione esistente tra i vari sog-getti della filiera, dalle impre-se a monte della produzioneagricola ai produttori ortofrut-ticoli stessi, a coloro che si oc-cupano di macchinari, acces-sori e impianti, fino agli ope-ratori della logistica e della di-stribuzione. Assistenza, pro-mozione, innovazione e orga-nizzazione sono parole chiaveper il Distretto e tutto ruotaintorno alle necessità del set-tore e dei consorziati, per darloro rappresentatività e garan-zia verso i propri interlocutorie clienti, in Italia e all’estero.

LA VITE MARITATA AD ACERO

Un’azienda vinicola umbra,che già da diversi anni si è po-sta come obiettivo la riscoper-ta di parte dell’enologia tradi-zionale della regione, ha re-centemente presentato il vinoTraibo, frutto del recupero del-le viti arcaiche del TrebbianoSpoletino, un antico vitigno,oggi Doc, recuperato quandorischiava l’estinzione perché ri-tenuto vitigno poco produttivonella sua forma tradizionale,maritata ad acero. Nel corsodella presentazione del Traibo,prodotto con le uve prove-

nienti dal più bel vigneto mari-tato all’acero dell’intera vallespoletana, composto da pianteprefillossere, tra gli 80 e i 100anni, l’azienda ha inoltre illu-strato il progetto di riportare inproduzione questa antica for-ma di vigneto, straordinariaper il valore storico e paesag-gistico. L’uva prodotta da que-ste piante, veri e propri alberi,ha caratteristiche speciali. An-zitutto perché, per selezionenaturale, sono sopravvissutisolo i ceppi migliori, che oggipossiedono apparati radicaliprofondi, che rendono la pian-ta meno soggetta alle oscilla-zioni climatiche. Inoltre, a tremetri di altezza dal suolo, leuve si trovano in condizioniottimali, ben esposte ai raggisolari e protette dall’umiditàdel terreno. Questo permettedi condurre le uve a perfettamaturazione, vendemmiandoalla fine di novembre, ai primisegni di appassimento, ancorain perfetto stato di sanità. Sitratta inoltre di tornare alle ori-gini e recuperare un legamecon il territorio.

MANGIARE SANO È DI MODA

Nell’ambito della “Settimanadella moda” a Milano si è svol-to anche l’evento “Food is fa-shion” che ha promosso un’ali-mentazione sana ed equilibra-ta, con la distribuzione, inprossimità in delle sfilate, diuna selezione di alimenti italia-ni di alta qualità. L’evento haavuto il sostegno del Comunedi Milano con l’obiettivo di sot-tolineare che il concetto di bel-lezza, stile ed eleganza, espres-so dalla moda, vetrina del ma-de in Italy nel mondo, non de-ve essere associato a quello dieccessiva magrezza. Concettoribadito anche in occasione diuna serata a tema su: “Nutra-ceutica-curarsi col cibo”.

a cura diSILVIA DE LORENZO

N O T I Z I A R I O

I N L I B R E R I A

VOLEVO ESSEREUN GRANDE CHEFdi Loredana Limone

Cult Editore, Firenzewww.culteditore.it€ 12,00

Un piccolo volume che si leg-ge velocemente perché le bre-vi storie che accompagnanoogni ricetta intrecciano fanta-sia, freschezza e humor. Le ri-cette in realtà sono meno diventi: iniziano con due aperiti-vi seguiti da tre primi piatti ecinque secondi (tra carne e pe-sce). Dolci, frutta e gelato han-no lo spazio maggiore e le re-lative ricette sono legate a sim-patiche storie di famiglia che ciriportano a preparazioni tradi-zionali (come la pastiera). L’au-trice di questo insolito menugastronomico forse aveva giàsegnato nel cognome (e la ri-cetta del gelato al limone nonpoteva mancare) il suo desti-no: occuparsi di cibo. Invece didiventare un grande chef hapreferito farlo con la penna inmano.

IL GASTRONAUTA VENETOdi Davide Paolini e GiancarloSaran

Edizioni Il Sole 24 Ore Via Patecchio, 2 - Milano€ 19,50

Non è un viaggio nel Venetotout court quello che i due au-tori propongono al lettore, ma

una scelta di sedici itinerarimolto particolari che, trala-sciando le grandi e più notecittà della regione, si insinua-no alla scoperta dei luoghi po-co conosciuti. Una scelta sag-gia, a nostro avviso, dedicata achi vuole scoprire paesaggi,opere d’arte ma soprattutto ilsignificato di un piatto e la sto-ria e il lavoro degli artigianiche spesso, conservando tec-niche antiche, lo valorizzanocon materie prime di qualità. Illettore viene quindi guidato, inmodo molto discreto, perché aparlare sono le immagini, lestorie, le curiosità, i personag-gi, i prodotti, la cucina, le bel-lezze naturali e persino i silen-zi che da esse traspaiono. Ed ècosì che, attraverso la forza e ilfascino di un fiume o tra i co-lori e i boschi di una monta-gna, si crea un dialogo origina-le e unico tra sapori (veri epropri giacimenti del gusto),

profumi e suggestioni che ciinvitano a scoprirli e a cono-scerli da vicino.

LA CUCINA DI AMELIEdi Juliette Nothomb

Edizioni Voland, Romawww.voland.it€ 16,00

Al gusto e all'originalità dellericette rielaborate dall'autriceper l'amata sorella Amélie, siaggiungono aneddoti e ricordid'infanzia, ma soprattutto l'iro-nia di una cuoca esperta cheperò invita subito il lettore, chevolesse cimentarsi nelle prepa-razioni indicate, a sentirsi libe-ro, a far lavorare l'immagina-zione e a divertirsi. Senza tutta-via essere approssimativo, per-ché, avverte, per cucinare benebisogna essere anche un po'perfezionisti, concentrati e pre-cisi. Alla premessa che invita a

sfatare alcuni luoghi comuni,oppure a seguire qualche utileraccomandazione soprattuttonella scelta degli ingredientiche devono essere sempre diqualità, seguono ottanta ricetteinframmezzate da brani di ro-manzi e divagazioni culinarie.

COMINCIANDODA ARCHESTRATOdi Carlo Catanzaro

Fuori commercio

La Delegazione di Messina del-l’Accademia ha pubblicato uninteressante volumetto tutto de-dicato ai pesci dei due mari, ilTirreno e lo Jonio, che bagnanole coste della provincia messi-nese. L’autore ha descritto, indense e gustose pagine, la sto-ria di questi pesci, dalle loro de-nominazioni dialettali al loro ot-timale e tradizionale uso gastro-nomico. Dell’abbondanza edella squisitezza dei prodotti it-tici di Messina, del suo Stretto edella fascia tirrenica della costa,Eolie comprese, già parlava, nelIV secolo a.C., il poeta sicilianoArchestrato di Gela. Autoredell’“Hedypatheia”, uno dei piùantichi testi gastronomici dellaletteratura siculo-greca, citavacozze, aragoste, aguglie, pescespada. Delle diverse specie itti-che trattate dall’AccademicoCarlo Catanzaro vengono anchericordate tecniche di pesca, me-todi di cottura, racconti e storielegati alla marineria locale.

ELENCO DEI DONATORI DELLA BIBLIOTECANAZIONALE “GIUSEPPE DELL’OSSO”

Giuseppe Cristofaro - Delegato di AvezzanoLuciano Garzelli - Vice-Delegato di MonacoDonatella Lippi - Accademica di Firenze PittiCarlo Marsilio - Accademico di PescaraMassimo Pisani - Delegato di Napoli-CapriPaolo Scarcella - Accademico di MessinaCamera di commercio - UdineCasa Artusi - ForlimpopoliBur Rizzoli editore - MilanoDelegazione di Teramo

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

MONTEROSA18 gennaio 2011

Ristorante “Sylchri” dell’al-bergo “Relais du Foyer” dellasocietà Panorama, fondatonel 1998. ●Località Panora-ma 37, Chatillon (Aosta);=0166 511251, fax 0166513598; coperti 120. ●Par-cheggio custodito, sufficien-te; prenotazione consigliabi-le; ferie primi 15 giorni diottobre; giorno di chiusuralunedì. ●Valutazione 7,80;prezzo € 45,00; elegante,accogliente.

Le vivande servite: tris diformaggi valdostani con con-fetture Morandin; lardo di Ar-nad e prosciutti di S. Marcel;degustazione cioccolato Mo-randin; medaglioni di brasatoin salsa di cioccolato; boccon-cini di carne bianca con salsadi cioccolato; mignon di Sa-cher; tris di praline al liquore.

I vini in tavola: Blanc Fri-pon extra dry; Bocoueil diPriod 2003.

Commenti: “Viaggio fanta-stico con il cioccolato” era iltema della serata organizzatadal Simposiarca PiergiorgioBondaz. Una nutrita rappre-sentanza della Delegazione,con la partecipazione di ospi-ti e signore, ha iniziato il viag-gio nel laboratorio del “maî-tre chocolatier” Mauro Mo-randin, titolare dell’omonimapasticceria in Saint Vincent,conosciuto in tutta la Valled’Aosta per la sua specialità,ossia il “panciucco”, tipicopanettone profumato dal Mo-scato Passito di ChambaveDoc, e per la sua abilità nellalavorazione del cioccolato.Una visita guidata dalla si-gnora Barbara Morandin hafatto scoprire sensazioni edemozioni comparando cioc-colati diversi. Nel menu sonostati utilizzati, nelle salse diaccompagnamento alle carni(cotte a regola d’arte), ciocco-lato amaro e al latte. Moltobuona la tradizionale Sacher,preparata seguendo la ricettaclassica. Da evidenziare gli

ottimi cocktail analcolici, ser-viti per la degustazione deicioccolati, e i piatti equilibra-ti, che valorizzavano i sapori.Per finire, la degustazionedelle praline al liquore dovel’abilità del “maestro” ha fattoraggiungere l’apice.

NOVARA10 febbraio 2011

Ristorante “Cravero” diGiampiero Cravero, fondatonel 1984. ●Via Novara 8,Caltignaga (Novara); =0321652696, fax 0321 652697;

coperti 60. ●Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie 1-15 gennaioe 1-20 agosto; giorno dichiusura martedì e domeni-ca sera. ●Valutazione 8;prezzo € 50,00; elegante,tradizionale.

Le vivande servite: aperiti-vo con stuzzichini; gran bolli-to storico e risorgimentalepiemontese articolato in 4portate (spalla, tenerone, te-stina, biancostato e zampinocon insalata di cipolle rosse;cappello da prete, lingua,scaramella e fiocco di puntacon patate bianche lesse; co-techino, falso in fuori, mu-scoletto e gallina con spinacifreschi; lonza arrosto); brodofumante con coda disossata;sette salse d’accompagna-mento (bagnetto verde rusti-co, bagnetto verde ricco, ba-gnetto rosso, salsa al rafano,salsa alla senape, “saossa d’a-

vije”, “cugnà” o mostardad’uva); sorbetto al Campari;friandises; caffè.

I vini in tavola: Franciacor-ta brut (Ferghettina); BarberaMonferrato Doc Agiuiusa2009 (Crivelli); Uva Rara2009 (Barbaglia); Centoundi-ci Colline Novaresi Doc Neb-biolo 2007 (cascina Zoina).

Commenti: In un’ineditacornice, gli Accademici nova-resi e i loro ospiti hanno visi-tato un vero monumento del-la cucina regionale: il granbollito storico e risorgimenta-le piemontese. Un capolavo-ro d’arte cucinaria, codificatodal grande storiografo e ga-stronomo Giovanni Goria edelaborato secondo la regolache vuole sette tagli principa-li, sette ammennicoli, settesalse e vari contorni. Con laregia del Delegato MarioTuccillo, ma, soprattutto, con

l’impareggiabile entusiasmodi due splendidi chef (Giam-piero Cravero e Luca Corra-dini) che hanno unito risorse,capacità e un encomiabilespirito collaborativo, la Dele-gazione novarese ha potutoassaporare - tra la generalesoddisfazione - un’autenticaemozione gastronomica: car-ni piemontesi selezionate aCarrù - patria del bue grasso- cotte con maestria e abbina-te a salse di raffinata prepara-zione. Una realtà che ha fusoqualità, abilità, ricerca filolo-gica delle materie prime perdar vita a un unicum nellasua massima espressione.

ALBENGAE PONENTE LIGURE

31 gennaio 2011

Ristorante “Da Lisetta” di Te-resa Maruca e famiglia, fon-dato nel 1950. ●Via Pie-monte 21, Erli (Savona);=0182 78032, anche fax;coperti 50. ●Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione necessaria; feriemai; giorno di chiusura nes-suno. ●Valutazione 8; prez-zo € 25,00; tradizionale, fa-miliare, accogliente.

Le vivande servite: vitellotonnato; torta verde; cima;insalata russa con le verduredella piana di Albenga; po-lenta bianca della Val Neva;tagliatelle con “u tuccu”; cin-ghiale in umido; “bunettu”tradizionale.

I vini in tavola: Dolcetto diFiano d’Alba Doc 2009 (Del-fino).

Commenti: La prima riunio-ne conviviale dell’anno si èsvolta in un locale storico del-l’entroterra di Albenga, con-dotto con mano sapiente daTeresa Maruca e dalla sua fa-miglia, che propone le solidericette della tradizione locale,tra cui l’introvabile polentabianca di patate con sugo diporri, funghi e nocciole. At-mosfera particolare, resa an-cora più intensa dalla lettura

LIGURIA

PIEMONTE

VALLE D’AOSTA

INDICE

Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria pagina 47

Lombardia 48

Trentino-Alto Adige 50

Veneto 51

Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna 52

Toscana 54

Marche, Umbria 56

Lazio 57

Campania, Puglia 58

Basilicata, Sicilia 59

Sardegna, Europa 61

Nel mondo 63

CARNET DEGLI ACCADEMICI 65

DALLE DELEGAZIONI 68

Ai Delegati: imprescindibili ragioni editoriali rendono necessariomantenere i “Commenti” delle riunioni conviviali in uno spazio li-mitato. La direzione della rivista ha provveduto a tagliare i “Com-menti” che superano il limite, indicato (peraltro da sempre) sulleschede prestampate, di dieci righe dattiloscritte. La decisione è statapresa nella convinzione che le ragioni di fondo che l’hanno determi-nata verranno comprese e applicate.

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

LIGURIA segue

da parte dell’attrice Milli Con-te di alcuni passi del raccontodi Mario Soldati “Il ricordo”,tratto dalla raccolta “I raccontidel maresciallo”. Ospite d’o-nore il maresciallo capo dellastazione dei Carabinieri di Al-benga Fulvio Pelusi, comegraditi ospiti sono stati MariaBetti e altri amici della Dele-gazione di Montecarlo. Unsentimento di sincera convi-vialità ha accompagnato tuttigli Accademici che hanno ap-prezzato i piatti ben preparatidalla cucina. Applausi allecuoche per le emozioni chehanno saputo donare.

RIVIERA DEI FIORI18 febbraio 2011

Ristorante “L’Olio Colto” diIvan Lombardi, fondato nel2010. ●Via Curlo 6, Taggia(Imperia); =0184 42156;coperti 40. ●Parcheggio sco-modo; giorno di chiusuramartedì e mercoledì. ●Valu-tazione 8; prezzo € 60,00;caratteristico.

Le vivande servite: carpac-cio di baccalà con pomodorocuore di bue grattugiato econdito, pinoli tostati e cipol-lotto fresco; zuppa di cipollecon uovo “tiepido”, porri efarinata; frandura con foiespadellato, crema di cavolfio-re caramellata e confettura dicipolle di Tropea al vino ros-so; ravioli croccanti ripieni ditrippa di vitella su panissa diceci, cardo croccante e olio alrosmarino; guanciale di maia-le ripieno con animella di vi-tello, sugo di carne, pan dispezie caldo e marmellata diananas; soufflé al cioccolatocon sorbetto di arancia al pro-fumo di zenzero e gelatina diMoscato rosa alla lavanda.

I vini in tavola: Rossese diDolceacqua “Alta Via”; Passi-to di Vermentino.

Commenti: Alcune tipicitàdel territorio arricchite so-prattutto grazie ad abbina-menti “colti”, qualche voltaprovocatori, sempre piacevo-li. Per ingannare la prima at-tesa, il paté di olive e quellodi pomodoro secco, con unimprobabile tubetto di “oliospalmabile”. Ma la perples-sità iniziale viene subito su-perata con un carpaccio dibaccalà etereo, ancor più de-licato grazie al cuore di buegrattugiato. Decisamente sor-

prendente la zuppa di cipollecon l’uovo intero, in un abbi-namento insolito e raffinato.La frandura, tipica pasta po-vera di patate, viene arricchi-ta con il foie spadellato, inmatrimonio efficace. I ravioli,cotti “a secco” al forno, sor-prendono nel loro letto dipanissa di ceci resa più inte-ressante da pezzettini di car-do croccante. Gustoso ilguanciale, ricco nell’assiemema ingentilito dal pan di spe-zie. Più “tranquillo” il soufflédi chiusura, raffinato dal sor-betto e impreziosito da unagustosa gelatina.

SAVONA21 gennaio 2011

Ristorante “Il Quadrifoglio”di Marco Moraglio, fondatonel 1982. ●Via XXV Aprile29, Carcare (Savona);=019 517289; coperti 40.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie agosto;giorno di chiusura martedì emercoledì. ●Valutazione 8;prezzo € 70,00; familiare.

Le vivande servite: carpac-cio di vitellone con reggianoe tartufo; uovo in camiciacon fonduta e tartufo; risottoal tartufo; pansotti con foiegras, tartufo e burro di Nor-mandia; quaglie ripiene e pa-tate duchessa; Martin sec alBarbera; parfait alle castagne;torta di nocciole.

I vini in tavola: Barbera;Dolcetto; Bonarda; Moscatod’Asti.

Commenti: La riunione con-viviale ha avuto luogo in unlocale accogliente e sobrio,pur nella sua eleganza. Lagestione è rimasta da tempofamiliare e accurata. Gli Ac-cademici hanno avuto mododi apprezzare la cucina tradi-zionale della valle Bormida,riservata nell’occasione al tar-tufo, rivisitata con accuratez-za e misura, sposando in ar-monia la tradizione piemon-tese e quella ligure. Le vivan-de, tutte quante raffinate,hanno rivelato come il gesto-re si prodighi nella ricerca enell’utilizzo di materie primealtamente selezionate, di ori-gine locale, e le combini conmaestria e cura, per presen-tarle con estro e originalità.Unanime apprezzamentohanno riscosso la cortesia, la

cordialità e le premure delgestore e del personale. Acoronare il convivio è inter-venuto, ovviamente, il tar-tufo, che da solo avrebbemeritato il piatto dell’Accade-mia, consegnato al titolare.

TIGULLIO18 febbraio 2011

Ristorante “La Lampara” diMarino Dainese, fondato nel1990. ●Via XX Settembre 12,Lavagna (Genova); =0185395770, anche fax; coperti50. ●Parcheggio incustodito;prenotazione necessaria nelfine settimana; ferie mai;giorno di chiusura lunedì.●Valutazione 7,80; prezzo €35,00; rustico.

Le vivande servite: acciu-ghe al sale; insalata di mare;ripieni di verdure; lasagnettealla vecchia Genova (pesto)o lasagne al ragù; totani ri-pieni; zuppetta di moscardi-ni; crostata con frutta fresca;caffè, grappa, limoncino.

I vini in tavola: Vermenti-no Colli di Luni - Federici2009; Beaujolais Cuvée Pre-mière J. P. Brune 2009; Mo-scato d’Asti.

Commenti: I temerari Acca-demici che - sfidando il tem-porale - hanno saturato “LaLampara”, sono stati premiaticon un’ottima riunione con-viviale incentrata sulla tipicagastronomia del Levante li-gure, realizzata con estremacompetenza e raffinatezzadal patron Marino Dainese.Tra gli antipasti, le verdureripiene hanno gradevolmen-te soddisfatto ma la palmaper la migliore portata è stataunanimemente assegnata al-

le lasagnette al vero pesto al-la genovese. Degni di nota itotani ripieni e la zuppetta dimoscardini mignon. Ottimoil dessert con abbinatoBeaujolais Cuvée Première J.P. Brune 2009, buoni gli altrivini. Servizio solerte, atmo-sfera di autentico spirito ac-cademico. Prima della cenail Delegato ha commemoratola Consultrice Gabriella Ca-stagnola.

ALTO MILANESE25 gennaio 2011

Ristorante “Piaceri & Pastic-ci” di Andrea Croci, fondatonel 2010. ●Via San Michele13, Parabiago (Milano);=0331 553938; coperti 50-70. ●Parcheggio incustodito,scomodo; prenotazione con-sigliabile; ferie 16 agosto-15settembre; giorno di chiusu-ra lunedì, sabato a mezzo-giorno. ●Valutazione 8,10;prezzo € 30,00; elegante,caratteristico.

Le vivande servite: salumidi selvaggina con gnocco frit-to e crostini ai formaggi; pap-pardelle al ragù di cinghialeal Nebbiolo; scottadito d’a-gnello; ganache di cioccolatocolante con rhum.

I vini in tavola: Nebbiolo2009 (cantina Produttori delBarbaresco - Barbaresco); Fa-gher Valdobbiadene Docg

(cantina azienda agricola LeColture - Santo Stefano diValdobbiadene).

Commenti: Per la riunioneconviviale di apertura delnuovo anno accademico laDelegazione ha voluto mette-re alla prova il giovane pa-tron Andrea Croci che ha pre-parato dei piatti ben curati siaper le materie prime sia per lalavorazione. L’affabilità e l’ac-coglienza sono state, fin dalleprime battute della serata, unbiglietto da visita vincenteche ha fatto sentire gli Acca-demici a proprio agio nellasale del ristorante, ricavato inuna vecchia struttura di stori-ca memoria in centro a Para-biago, abilmente ristrutturatae piacevolmente arredata.Dopo aver apprezzato il tavo-lo-buffet con gli antipasti,l’Accademico Giorgio Casottiha voluto chiarire le modalitàdi cucina dello gnocco, indi,seduti a tavola, è stato discus-so il programma di lavoro peril 2011 tenendo conto delleindicazioni della Presidenza.Alla fine della serata è statotributato un meritatissimo ap-plauso al ristorante e sonostati elogiati sia le pappardel-le che l’agnello.

BERGAMO10 febbraio 2011

Ristorante “Colleoni e del-l’Angelo” di Pierangelo Cor-naro, fondato nel 1995.●Piazza Vecchia 7, Berga-mo; =035 232596, fax 035231991; coperti 120. ●Par-cheggio custodito; prenota-zione consigliabile; ferie 15giorni a gennaio; giorno dichiusura lunedì. ●Valutazio-ne 8; prezzo € 55,00; ele-gante, tradizionale.

LOMBARDIA

Quando il vino viaggiava in trenoLa storia del vino è fatta anche di luoghi e di strade, come quelle “fer-rate”, che portavano i nettari italiani sulle tavole italiane e non solo.La “Giornata nazionale delle ferrovie dimenticate 2011”, ha datospazio alla rievocazione di quelle antiche tratte eno-commerciali. Co-me l’antica “Ferrovia del vino” siciliana che da Noto arrivava a Mar-zamemi (Siracusa): da qui, i vini della Val di Noto, tra l’Ottocento e ilNovecento, partivano sui treni per arrivare in tutta Europa.

(dai giornali)

CURIOSITÀ

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 49

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Le vivande servite: crostinidi carne cruda all’albese conpeperoni grigliati e peperon-cini piccanti al cappero, cro-stini di acciuga in trifola fred-da, torta rustica di cipolle elardo di Arnad (7,50); vitellorosato in salsa tonnata, cap-peri e peperoni (7,80); legge-ra zuppa d’orzo alla piemon-tese (7,80); ravioli al “plin” alburro affiorato di valle Susa esalvia (8,90); stracotto di fas-sone piemontese al Nebbioloda Barolo servito con pureadi patate (8); Mont Blanc pie-montese di marroni cuneesi(7,80); caffè.

I vini in tavola: spumante ecocktail analcolico alla frutta(7); Dolcetto d’Alba 2009,azienda agricola Prunotto(8); Moscato naturale d’AstiOlimbauda (7,50).

Commenti: Successo pienodella riunione che ha vistol’ambita presenza del Coordi-natore territoriale GiorgioBarbesti con la sua signora. Èiniziato dal Piemonte unviaggio ideale fra le più signi-ficative cucine regionali. Saràstato l’ambiente particolar-mente affascinante, sarà statoil menu scelto dall’impareg-giabile Segretario che ha pre-disposto anche un dépliantsulla cucina piemontese e isuoi piatti, saranno state leparole particolarmente toc-canti di Bonaventura Gru-melli Pedrocca, Delegatouscente, sarà stata la sceltadei vini molto indovinata del-lo chef-patron PierangeloCornaro, che ha illustrato ipiatti nella loro preparazio-ne, saranno stati gli ospitisimpaticissimi e gli omaggi diLuisella e Mirella, sta di fattoche a mezzanotte passatanessuno se ne voleva andare.

CREMONA10 febbraio 2011

Ristorante “Il Poeta Contadi-no” di Marco Nobile. ●Viaper Bordolano, Casalbuttano(Cremona); =0374 361335,fax 0374 360126; coperti50-60. ●Parcheggio incusto-dito; prenotazione consiglia-bile; ferie 15-30 luglio; gior-no di chiusura lunedì. ●Va-lutazione 7,90; prezzo €

37,00; rustico.

Le vivande servite: terrinadi anatra con uva passa e pi-stacchi di Bronte accompa-

gnata dalla mostarda del“Poeta Contadino”; risottocon quaglietta disossata allapancetta croccante e scalop-pa di fegato grasso al torcio-ne; rollata di faraona con ri-cotta fresca e olive nere;guancialino di manzo brasatoal Barbera con polenta inte-grale; millefoglie alla cremadi torrone con zabaione alnocino.

I vini in tavola: Erbaluce diCaluso (Orsolani); BarberaMontebruna (Braida); Mosca-to d’Asti (Saracco).

Commenti: La cena è statal’occasione per effettuare ilpassaggio della campana trail Delegato uscente, GiorgioFornasari che ha guidato laDelegazione per diversi annicon grande impegno, passio-ne e spirito d’amicizia, equello entrante Marco Petec-chi. Il cuoco ha valorizzato lacucina del territorio, utiliz-zando materie prime di otti-ma qualità e curando anchein modo particolare la pre-sentazione dei piatti. Il menuscelto rispecchia la caratteri-stica di questo ristorante ru-stico che è specializzato nellacucina di animali da cortile.Buono il rapporto qualità/prezzo. Tutti gli Accademicihanno apprezzato l’accura-tezza del servizio.

LECCO5 febbraio 2011

Ristorante “Ricciolo” di Gior-gio Fasoli, fondato nel 1989.●Via Provinciale 165, Man-dello del Lario (Lecco);=0341 732546, anche fax;coperti 35. ●Parcheggio suf-ficiente; prenotazione neces-saria; ferie tre settimane aNatale; giorno di chiusuradomenica sera e lunedì.●Valutazione 7; prezzo €

65,00; elegante.

Le vivande servite: tritticodel lago (trota salmonata ma-rinata all’erba cipollina, lava-rello con avocado e melagra-na, persico in agrodolce); la-sagne di trota e verze; luccio-perca con capperi e olive; tor-tino caldo di cioccolato consalsa di fragole e actinidia.

I vini in tavola: Ribolla gial-la 2009 (Cantarutti Alfieri).

Commenti: Il locale confer-ma la sua caratteristica di ri-

storante elegante, con un li-mitato numero di coperti, im-preziosito da un gradevolegiardino in riva al lago, madenota una flessione sullaqualità dei piatti proposti,tutti imperniati sul pesce diacqua dolce, giudicati privi diquella personalità che li ca-ratterizzava negli anni passa-ti. Simpatica l’idea delle lasa-gne con trota e verze ma sa-rebbe stato meglio se il lorosapore non fosse stato sovra-stato da quello del limoneche, con la verza, non haniente a che fare. Discreto ilgiudizio sull’abbinamento ci-bi-vini, così come quello sul-l’ambiente e sul servizio; nonsoddisfacente il rapportoqualità/prezzo.

LODI18 gennaio 2011

Ristorante “Antica TrattoriaLa Mista” di Cosetta e TinoPorchera, fondato nel 1982.●Piazza Terraverde 10, Cor-te Palasio (Lodi); =037172331; coperti 80. ●Parcheg-gio sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie quasimai; giorno di chiusura lu-nedì. ●Valutazione 7,30;prezzo € 38,00; rustico.

Le vivande servite: merluz-zo in bianco con polenta dicastagne; trippa della tradi-zione; schegge di grana lodi-giano; offelle di Sant’Antonio.

I vini in tavola: Goldmuska-teller 2008 (Kellerei Kaltern);Morellino di Scansano 2008,Podere 414 (Simone Castelli);Moscato 2009 (Saracco).

Commenti: Riunione convi-viale dedicata alla trippa,piatto tradizionale nella festapatronale del 19 gennaio. In-solito per l’occasione, mamolto apprezzato, il baccalàproposto come antipasto, ac-compagnato da un Moscatogiallo ottimo, ma forse trop-po dolce. Interessante la po-lentina di castagne. Inevitabi-li le discussioni sulla trippaalla lodigiana, in brodo dicarne, con numerose verdure(sedano, carote, cipolla, fa-gioli). Si tratta di un piattoche, su una base tradiziona-le, si arricchisce di innumere-voli sfumature, spesso distin-tive delle singole famiglie.Questa è risultata nel com-plesso molto gradevole ed èstata oggetto di numerosi bis,pur se nei commenti qualcu-

no ha osservato un eccessodi carote e la presenza dispezie spurie, tuttavia in usoda tempo immemorabile,quali cannella e chiodo digarofano. Eccellenti il grana36 mesi di provenienza loca-le e le offelle, originarie diSant’Angelo Lodigiano, dedi-cate a Sant’Antonio. Una pia-cevole serata in un locale cheè da tempo tappa imperdibi-le per le serate lodigiane.

LODI18 febbraio 2011

Ristorante dell’agriturismo“San Lucio” di Paola Cam-pagnoli, fondato nel 1996.●Cascina San Lucio 1, LodiVecchio; =0371 752608,anche fax; coperti 60. ●Par-cheggio sufficiente; prenota-zione necessaria; aperto solosu prenotazione. ●Valuta-zione 7,60; prezzo € 40,00;rustico.

Le vivande servite: lonza,salame casalingo, insalatinadi pollo, raspa e melagrana;lasagnette alle verdure; maia-lino da latte al forno con pa-tate; sorbetto al limone; cro-stata di pere e mele cotogne;chiacchiere.

I vini in tavola: Gutturniodei Colli piacentini (Bacchi-ni); Malvasia dolce Goccia(Panizzari, San Colombano).

Commenti: Dopo alcunecene a tema, nelle quali labrava cuoca Francesca si ècimentata con passione in ri-cette storiche, siamo tornativolentieri in questo agrituri-smo alle porte di Lodi, perassaggiare la cucina autenti-ca, espressione del territorio.Semplice ma gustoso l’anti-pasto, con menzione per ladelicata insalatina di pollo,per confezionare la quale èstato dato fondo alla limitata(data la stagione) produzionedell’orto. Molto apprezzateanche le lasagnette con po-modorini freschi, generosa-mente insaporite con burro egrana. Applausi, anche per lapresentazione, al maialino,disossato, ricomposto e cottoalla perfezione (nel forno delpanettiere, date le dimensio-ni). Ottimi sia il gusto che laconsistenza, molto delicata lasteccatura di erbe aromati-che. Da non perdere la cro-stata di friabilissima pastafrolla e abbondante compo-

sta di frutta e le leggerissimechiacchiere, di una sfogliamolto sottile e per niente un-te, che hanno aperto il perio-do di Carnevale.

MANTOVA26 gennaio 2011

Ristorante “La Masseria” diStefano Solci, fondato nel1998. ●Piazza Broletto 8,Mantova; =0376 365303;coperti 150+80 sulla piazza.●Parcheggio inesistente (isolapedonale); prenotazione con-sigliabile; ferie mai; giorno dichiusura giovedì. ●Valutazio-ne 7,38; prezzo € 25-35; am-bienti carichi di storia.

Le vivande servite: stuzzi-cherie in aperitivo; risottomantecato con radicchio ros-so e Lambrusco; pennette ingiallo con salamella manto-vana, zafferano e rosmarino;faraona al forno con ripienodi funghi porcini; crostata dipasta frolla con marmellataalle spezie.

I vini in tavola: Franciacor-ta brut 2010, Ferghettina;Garda Merlot 2009, La Pren-dina; Passito bianco 2009, LaCavalchina.

Commenti: Il ristorante ècondotto da Stefano Solci, fi-glio d’arte, con RaimondoGrillo maître di sala e AurelioMartini in cucina. Menu at-tento alla tradizione conqualche innovazione e con lasignificativa presenza dellafaraona. Il Simposiarca ItaloScaietta e l’Accademico Ren-zo Dall’Ara hanno aiutato a“leggere” storicamente l’am-biente gonzaghesco. Il Dele-gato Giuseppe Pellecchi haintrodotto la presentazionedel libro “La pentola felice”di Maria Rita Bruschi, com-pendio di cent’anni di ricettedell’estremo Sud est manto-vano e lombardo (carbonaradi Po e dintorni). Presentel’autrice, ha illustrato l’operaMarina Di Pellegrini, dominadella più antica libreria man-tovana.

VALLECAMONICA3 febbraio 2011

Ristorante “Hostaria La Cor-te di Bacco” di Marco DiDedda, fondato nel 2007.●Via privata Mottinelli 1/D,Edolo (Brescia); = 0364

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 50

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

72025; coperti 45-50+25 indehors. ●Parcheggio suffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie 15 giorni agennaio e 15 a settembre;giorno di chiusura lunedì.●Valutazione 7,75; prezzo €30,00; accogliente, caratteri-stico.

Le vivande servite: degu-stazione di salumi della Val-grigna; culatello camuno concrostoni di segale e marmel-lata di cipolle al balsamico;bocconcini di lumache al lar-do trentino; timballo al por-ro; crema di patate e baccalàmantecato all’olio extravergi-ne Grimaldi del lago Moro;gnocchetti di ricotta ed erbet-te in crema di silter e anelli dicipolla fritta; bigoli al pestumd’anatra e marzemino camu-no; umido di guancetta di vi-tello con gallinacci e patate alrosmarino; crema leggera algenepy, castagne al mieleFattoria del Sole e ristretto algenepy.

I vini in tavola: ProduttoriBarbaresco dacd del 2006.

Commenti: Il locale, situatonel centro di Edolo, ha ospi-tato dal 1876, per circa un se-colo, una tra le più vecchiecase vinicole della Valle Ca-monica (Mottinelli). L’incon-tro tra gli Accademici è statocordiale; molto suggestiva lacorte esterna, mentre all’in-terno sono state recuperatele vecchie botti, gli antichivolti, la pietra e il legno. Ilmenu, molto ricco, rispec-chiava la cucina della tradi-zione alpina con rivisitazioniche derivano dall’esperienzadello chef Marco. Molto ap-prezzati, tra gli antipasti, iltimballo al porro e il culatellocamuno; tra i primi, gli gnoc-chetti di ricotta ed erbette;l’umido di guanciole e, tra idolci, la crema leggera al ge-nepy su castagne al miele ca-muno, il tutto innaffiato daun buon Barbaresco. Piace-vole serata trascorsa in com-pagnia; ottimo rapporto qua-lità/prezzo.

VARESE24 febbraio 2011

Ristorante “Ma.Ri.Na” di Pi-no Possoni, fondato nel1973. ●Piazza San Grego-rio, Olgiate Olona (Varese);=0331 640463; coperti 42.●Prenotazione necessaria;

ferie agosto; giorno di chiu-sura mercoledì. ●Valutazio-ne 8,50; prezzo € 80,00; ele-gante.

Le vivande servite: gamberimarinati nel limone su sorbet-to di pomodoro e fragola conbalsamico e pepe di Sechuan;capesante crude su crema dirobiola e caprino; aragostinacruda condita con olio e cap-peri con emulsione di pomo-dorini secchi e balsamico; ca-lamaretti allo scalogno conpurè di patate colorato al ne-ro dei calamaretti; pappardel-le ripiene di scorfano insapo-rite con bottarga di tonno ederbette aromatiche; fiori dizucchine dorati ripieni di ric-ciola; gamberi rossi siciliani ecalamaretti “spillo” fritti; sfo-glia con crema pasticciera,sfogliatina di mele con za-baione al Moscato e ciliegiecotte con cioccolato e gelatofiordilatte e panna.

I vini in tavola: ProseccoAndreola Valdobbiadene;Sauvignon blanc Gini Macie-te fumé 2006; Moscato passi-to di Noto Planeta.

Commenti: Il nome del lo-cale è l’anagramma delle ab-breviazioni dei nomi delle tresorelle Marina, Anna e Rita(le prime due si sono stacca-te aprendo un ristorante del-lo stesso genere, il “Trada-te”). I segreti del loro succes-so (dal 1980) si possono rac-chiudere in tre semplici com-binazioni: la conduzione fa-miliare, la scelta altissima deiprodotti di base e le alzatac-ce al mattino per recarsi almercato del pesce di Milanoper trovare i prodotti miglio-ri. Eccezionali l’aragostinacruda e la cappasanta sul for-maggio e impareggiabili i ca-lamaretti sul purè nero: uneffetto cromatico con un gu-sto unico. Prima della descri-zione di tutti i piatti a operadel patron Pino Possoni, laserata è iniziata con un brevecenno storico sul ristoranteda parte del Delegato.

VIGEVANO18 febbraio 2011

Ristorante “Da Giovanni” diGiovanni Toscano, fondatonel 2008. ●Corso Genova 12,Vigevano (Pavia); =038179018; coperti 50. ●Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione neces-

saria; ferie agosto; giorno dichiusura lunedì sera. ●Valu-tazione 7; prezzo € 40,00;familiare, accogliente.

Le vivande servite: insalatadi scampi e piovra con car-ciofi freschi; spaghetti allevongole; salmone al fornocon patate, olive, gamberetti;crostata di frutta fresca.

I vini in tavola: Gewurztra-miner Doc 2009, azienda St.Pauls, Eppan, Sud Tirolo.

Commenti: Gli Accademicihanno trovato, con sorpresa,una lista cibaria dedicata alpesce nel piccolo ristorante ilcui chef e patron, GiovanniToscano, è di origini calabre-si. Gustosa l’insalata di scam-pi; agli spaghetti con le von-gole mancava un pizzico dipeperoncino; molto buono ilsalmone al forno bene ac-compagnato da verdure egamberetti. Due parole sulvino scelto dall’AccademicoPallavicini: un Gewurztrami-ner, un bianco del Sud Tiro-lo, ricco di note aromatiche efloreali ideale per i cibi a ba-se di pesce e degustato conentusiasmo dagli Accademi-ci. Il servizio un poco lentoma preciso e corretto. Esisto-no margini di miglioramento,torneremo per una verifica.

BOLZANO17 febbraio 2011

Ristorante “Der Eggentaler”di Armin Schmieder, fonda-to nel 1990. ●Via Val d’Ega47, Cardano (Bolzano);=0471 365294, anche fax;coperti 120. ●Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie mai; giornodi chiusura lunedì. ●Valuta-zione 7,60; prezzo € 42,00;accogliente.

Le vivande servite: tempu-ra di gamberi su crema di ce-ci e salsina dolce-piccante;tagliolini fatti in casa con ca-lamaretti freschi, polpo e spi-naci; filetto di branzino, ca-pesante gratinate e gambero

nel bicchiere; semifreddo alcroccantino con amarene.

I vini in tavola: Franciacor-ta cuvée (Bellavista); Riesling2009 (Pacherhof); LagreinKretzer 2007 (Unterganzner);Moscato rosa 2006 (AbbaziaMuri-Gries).

Commenti: Lo chef ArminSchmieder pone molta atten-zione alla freschezza e allaqualità dei prodotti che servenel proprio locale. La cucinaoffre raffinati piatti di carnema soprattutto di pesce fre-sco. A Bolzano una cena inte-ramente a base di pesce sem-bra insolita, ma il risultato èstato sicuramente molto sod-disfacente e una gradita sor-presa per molti. Ben serviti,sulla buona crema di ceci, icroccanti gamberi fritti; ottimoe molto apprezzato il connu-bio dei tenerissimi calamarettie polpo con gli spinaci, qualecondimento dei tagliolini; fre-schissimo il filetto di branzinoal forno servito su un delizio-so contorno di patate e carcio-fi, così come originale la pre-sentazione del gamberone allagriglia posto in un bicchierecon una morbida purea di pa-tate sul fondo e gustosa la ca-pasanta gratinata. Buono il se-mifreddo con le amarene sci-roppate. Molto curato il servi-zio. I vini sono stati scelti tra le300 etichette che ha la cantinadel ristorante.

BRESSANONE10 febbraio 2011

Ristorante “Durnwald” dellafamiglia Mayr, fondato nel1959. ●Via Nikolaus Amhof6, Casies (Bolzano); =0474746920, fax 0474 746886;coperti 70+30. ●Parcheggiosufficiente; prenotazionenon necessaria; ferie giugno,novembre; giorno di chiusu-ra lunedì. ●Valutazione7,50; prezzo € 50,00; tradi-zionale.

Le vivande servite: salutodella cucina (tartine conmousse di trota affumicata,“tirtln” di Casies con ricotta espinaci e patate); insalatinadi canederli e speck; carpac-cio di cervo in mantello di gi-nepro; crema di patate e for-maggio grigio; controfilettodi bue della valle di Casies incrosta d’erbe con verdura eschiuma di patate; frittelle dimele con gelato alla vaniglia.

I vini in tavola: Cavalleribrut Docg (FranciacortaMag); Veltliner 2009 Doc(Manni Noessing); Blaubur-gunder Mazzon 2008 Doc(Gottardi); Moscato d’Asti2010 Docg (P. Saracco).

Commenti: Il simposio or-ganizzato dal nuovo Accade-mico Baruchello ha avutoluogo in un angolo incantato(e sperduto) della nostra ter-ra. Il locale offre un’ottimacucina ponendo particolareattenzione alla qualità e allaprovenienza delle materieprime, tutte degli immediatidintorni. Abbiamo apprezza-to così la sapidità della trotapescata nel rio dietro casa esapientemente affumicata; cisiamo entusiasmati al cospet-to dello speck, di qualità ec-cellente e non confrontabilecon quanto si trova sul mer-cato; abbiamo gustato i pro-dotti poveri ma gustosissimidella Val Pusteria, ovvero pa-tate e formaggio grigio, inun’incantevole combinazio-ne; abbiamo trovato correttae saporita la carne e profu-mato il dessert. Qualche inci-dente di percorso (canederlifreddi, qualche porzione dicarpaccio gelata) non ha in-fluenzato la lusinghiera valu-tazione raggiunta con pienomerito dalla brigata di cuci-na. Il più che corretto rap-porto qualità/prezzo va sot-tolineato come una piacevo-le eccezione nel panoramagastronomico sudtirolese.

MERANO8 febbraio 2011

Ristorante “Lacknerstuben”di Armin Gruber, fondatonel 1985. ●Via Weingarner8, Lagundo (Bolzano);=0473 449964; coperti 70.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie variabile;giorno di chiusura domeni-ca sera e lunedì. ●Valutazio-ne 7,50; prezzo € 55,00;tradizionale, accogliente.

Le vivande servite: salmo-ne biologico marinato conpanna cotta di rafano e insa-lata di erbe aromatiche; ta-gliatelle allo zafferano conpetto di faraona, pomodorinisecchi e porro; ravioli ripienidi ricotta con burro fuso e ju-lienne di pomodori; duettodel vitello; pre dessert; varia-zione di dolci.

TRENTINO - ALTO ADIGE

LOMBARDIA segue

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 51

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

I vini in tavola: Pinot bian-co Vorberg (cantina di Terla-no); Pinot nero St. Daniel(cantina Colterenzio).

Commenti: Una bella sco-perta, questo giovane cuoco,che con molta fantasia e pre-cisione propone piatti ele-gantemente preparati. Già lazuppetta di scorzonera erauna sorpresa, vista la pocaconsiderazione che questaverdura ha generalmentenella cucina odierna. Ottimala qualità del salmone mari-nato alla svedese e notevolel’idea della panna cotta al ra-fano, che ha smorzato il gu-sto intenso di questa radice.Buone le tagliatelle anche setroppo cariche di porro. Il vi-tello in due versioni, guanciabrasata e sella cotta a punti-no, era ottimo, ma per alcu-no troppo abbondante. Squi-siti i vari dolci che sono statiserviti a fine cena. Prezzo piùche onesto per la qualità deipiatti. Lo chef Armin Grubere la sua squadra si impegna-no, veramente, per una cuci-na genuina e fantasiosa sen-za eccessi. Se continua cosìgli allori non mancheranno.

TRENTO27 gennaio 2011

Ristorante “Da Pino” di Da-nilo Moresco, fondato nel1983. ●Via Postal 39, SanMichele all’Adige (Trento);=0461 650435; coperti 370.●Parcheggio comodo; preno-tazione consigliabile; giornodi chiusura lunedì. ●Valuta-zione 7,02; prezzo € 50,00;tradizionale, creativa.

Le vivande servite: tortinodi polenta storese con fondu-ta di trentingrana e scaglie ditartufo nero; zuppa di porcinie patate con scaglie di tartufonero; filettino di vitello conscaglie di tartufo nero, patatenocciola e flan di spinaci; car-paccio d’ananas marinato alGrand Marnier con gelato alfrutto della passione; pastic-ceria e biscotteria artigianale.

I vini in tavola: Rotari riser-va Talento Trento Doc; Tra-miner Pojer; Pinot nero istitu-to agrario S. Michele.

Commenti: La tentazione diripetere, con gli amici Acca-demici, la felice esperienza diuna prelibata cena allietatadall’ottimo tartufo nero del

Baldo, ha portato Delegato eTesoriere a ritornare, pochigiorni dopo, presso il risto-rante pizzeria “Da Pino”. Laconviviale ha avuto un inizioaccattivante con l’aperitivoaccompagnato da appetitoseverdurine pastellate e fritte.La cena vera e propria è co-minciata con uno squisitotortino di polenta. Meno sod-disfacente, per motivi diversi,il seguito delle vivande. In-fatti il tartufo nero non vacotto, ma deve essere stem-perato in modo classico, co-me per formare una fonduti-na da stendere come com-pletamento, a mo’ di scalop-pa. Sopra eventualmente sipossono posare le scaglie delgrana. In alcune aree delTrentino si può trovare ilbuon tartufo nero, non sem-pre però viene preparato inmodo adeguato per valoriz-zarne l’aroma. Queste osser-vazioni sono state affabil-mente riferire allo chef checon semplicità le ha accolte.Al cuoco in ogni caso è an-dato l’applauso di tutti.

LEGNAGOBASSO VERONESE E POLESINE OVEST

26 gennaio 2011

Ristorante “Locanda 4 Cia-cole” di Tiziano Scandoglie-ro, fondato nel 2008. ●Piaz-za Vittorio Emanuele 10, Ro-verchiara (Verona); =0442685115; coperti 80. ●Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie 1-10 gennaio e1-15 agosto; chiusura dome-nica e a mezzogiorno. ●Va-lutazione 7,50; prezzo €

50,00; caratteristico.

Le vivande servite: antipa-sto di salumi rari e artigianalid’assoluto pregio; formaggifreschi e stagionati di malga;focacce fatte in casa; costatadi bue grasso alla brace; ver-dure cotte e crude di stagio-ne; sorbetto al mandarino.

I vini in tavola: Proseccocuvée del Fondatore (azien-

da Valdo); Durello “Omo-morto” (azienda GiovanniMenti); Valpolicella classico“Il secco” (azienda Bartani);Moscato d’Asti (azienda Ri-vetti).

Commenti: Il profumo chesi respira entrando nel localeè quello delle salumerie diuna volta, ed è possibile as-saggiare specialità e delizieprovenienti da tutta l’Italia.Anche il locale, da un puntodi vista estetico, è in assolutaarmonia con il cibo servito.La riunione conviviale, orga-nizzata dall’Accademico Ce-sare Bellussi, è stata moltogradita e tutti i piatti servitisono stati valutati molto posi-tivamente. La Delegazione siè ripromessa di rivisitare il lo-cale nel prossimo anno perverificare come continua ilpercorso di ricerca del signorTiziano.

PADOVA10 febbraio 2011

Ristorante “Ai Porteghi” diDiego Critelli, fondato nel1983. ●Via Cesare Battisti105, Padova; =049 660746;coperti 38. ●Parcheggio as-sente (centro storico); preno-tazione consigliabile; feriemai; giorno di chiusura do-menica e lunedì a mezzo-giorno. ●Valutazione 8;prezzo € 45,00; elegante.

Le vivande servite: pro-sciutto crudo con pescetti everdurine fritte; nido di po-lentina gialla con schie fritte;risotto di go; misto grigliatodi capesante, canestrelli, ca-pelonghe; dolce della casa.

I vini in tavola: Pinot bian-co Vignalta.

Commenti: Riunione convi-viale molto ben riuscita perla notevole qualità dei piattiserviti e i piacevoli e dotticommenti dei Siniscalchi Lui-gi e Memo Vasoin De Pro-speri. Piatto al centro dell’at-tenzione il risotto di go. Il go,in italiano ghiozzo, è un pe-sce “piccolo (massimo 25cm), brutto e pieno di spine”ed è anche un pesce “sfortu-nato”, soprattutto perché ri-sulta molto gustoso sia al no-stro palato che a quello di pe-sci più nobili, per la cui cattu-ra si considera la miglioreesca viva. Il risotto che se nericava, delicatissimo e non fa-

cile da eseguire, è un piattodella cucina tradizionale dellemarine della costa adriaticasettentrionale, che merita diessere preservato e protettopoiché testimone delle nostremigliori tradizioni cucinarie.

TREVISO11 febbraio 2011

Ristorante “Nuovo Ranch” diCesarino Maitan e Ada Ro-manetto, fondato nel 1945.●Via 4 Novembre 63, SanNicolò di Ponte di Piave,(Treviso); =0422 747050;coperti 150. ●Parcheggio cu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile; ferie duesettimane in agosto; giornodi chiusura martedì sera emercoledì. ●Valutazione6,30; prezzo € 35,00; tradi-zionale, rustico.

Le vivande servite: verdurefritte e scaglie di grana; cesti-no di radicchio e salsicciacon polenta; lepre in salmì esalsa “peverada”; “poenta eosei come “’na volta”; contor-ni misti (patate al forno, car-ciofi e radicchio di Treviso);frittelle e crostoli.

I vini in tavola: Proseccoazienda agricola Le Colture,Santo Stefano di Valdobbia-dene, Treviso; CabernetFranc, Cantina Molon-Traver-so, Campodipietra, Treviso;Raboso Cecchetto, Tezze diPiave, Treviso; Moscato rosa,azienda agricola Traverso,Prepotto, Udine.

Commenti: Un recupero deipiatti della tradizione, alcunidei quali pressoché scompar-si, concordato tra il Simpo-siarca Sergio Canella e lostaff di Cesarino Maitan per ilsimposio di Carnevale, aper-to anche agli ospiti. Salutatacon enfasi la comparsa del-l’autentica “poenta (bianca) eosei”, un tempo piatto princi-pe dell’oltre Piave. Preludioalla cena, con l’aperitivo inpiedi, stuzzichini di scaglie digrana e verdurine fritte.Quindi, servita in scodelle dipane, la squisita e delicatacrema di zucca e orzo, segui-ta da lepre in salmì avvolta insaporita salsa “peverada” suun letto di morbida polenta.Per concludere, in omaggioal Carnevale, frittelle e crosto-li. In apertura, con il salutoagli ospiti, l’intervento dellaDelegata Teresa Vendramel

Perissinotto per un affettuosoricordo (a cento anni dallanascita e a 10 dalla scompar-sa) dell’Accademico Toni Be-netton, “artista del ferro”, dicui è in corso a Treviso unarassegna di disegni e bozzetti.A concludere la serata la con-segna del guidoncino dell’Ac-cademia ai gestori Cesarino eAda Maitan.

TREVISOALTA MARCA1 marzo 2011

Ristorante “La Baracca” diGuido Foltran e PierantonioGhedin, fondato nel 2002.●Via Schiavona Vecchia 92,Preganziol (Treviso); =0422331818, anche fax; coperti70. ●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie agosto;giorno di chiusura domeni-ca sera e lunedì. ●Valutazio-ne 7,60; prezzo € 60,00; ele-gante, accogliente.

Le vivande servite: schile dilaguna con polentina; “cano-ce”, gamberetti e granseolaall’olio; baccalà alla cappucci-na; moscardini lessi e garuso-li; capesante e canestrelli alforno; risotto con “cape ton-de” (telline a cuore), “peva-rasse” (vongole) e caparozzo-li; zotoli in “tecia” con polen-tina gialla; fritto misto; crosto-li e biscottini della casa.

I vini in tavola: Proseccosur lie (azienda agricola Ca-nello); Soave Doc 2009 (can-tina Marcato).

Commenti: Riunione convi-viale dedicata ai soli Accade-mici per discutere sugli im-pegni pianificati a breve sca-denza e per poter gustarepienamente la cucina di pe-sce del locale, assegnato re-centemente alla Delegazio-ne. Il Simposiarca VitalianoRossi, profondo conoscitoredi pesce, ha fatto predisporreun menu su tutto ciò che il ri-storatore era riuscito a trova-re nella mattinata al mercatodi Venezia. Ne è uscito un in-sieme semplice ma ricco disapori di mare, trattato se-condo la tradizione di in-fluenza veneziana che hasoddisfatto tutti i palati. Unsuccedersi di assaggi di pe-sce freschissimo non ci hafatto rimpiangere quello soli-tamente più gettonato. È sta-ta una piacevole sorpresa

VENETO

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

scoprire questo locale doveil pesce è veramente prota-gonista e dove le vivandesono poche perché realizza-te con quanto si compra almercato del mattino. Il piat-to che ha raccolto gli unani-mi consensi è stato il risotto,praticamente perfetto di cot-tura e sapore. Alla fine i duecuochi, provenienti dallascuola alberghiera, hannoraccolto i meritati consensicon la consegna del guidon-cino firmato da tutti.

VERONA27 gennaio 2011

Ristorante “Cavour” della fa-miglia Marchiori, fondatonel 1950. ●Via Cavour 40,Dossobuono (Verona); =045513038, fax 045 8600595;coperti 100. ●Parcheggio co-modo; prenotazione necessa-ria; ferie dal 30 dicembre al7 gennaio e Ferragosto; gior-no di chiusura mercoledì edomenica sera. ●Valutazio-ne 7,90; prezzo € 50,00; ele-gante, tradizionale.

Le vivande servite: pasta efagioli; lasagnette con fegati-ni; carrello dei bolliti; carrellodei dolci.

I vini in tavola: Valpolicellaclassico 2009 (Allegrini).

Commenti: Gradevole sera-ta dedicata alla riunione an-nuale della Consulta. Il sim-patico quanto professionaletitolare Alberto, che ha eredi-tato assieme al fratello questapiacevolissima realtà fondatadal nonno nei primi anni

Cinquanta del XX secolo, haguidato gli Accademici nelladegustazione di alcuni tra ipiù caratteristici piatti dellaprovincia di Verona. Localeelegante e con un ottimo ser-vizio ai tavoli. Eccellente lacarta dei vini.

MUGGIACAPODISTRIA2 febbraio 2011

Ristorante dell’hotel “LidoMuggia Trieste” di Giorgio eWilma Suraci, fondato nel1956. ●Via Cesare Battisti22, Muggia (Trieste); =040273338; coperti 120. ●Par-cheggio incustodito, sufficien-te; prenotazione non neces-saria; ferie una settimana agennaio dopo le festività euna ad agosto; giorno dichiusura domenica sera e lu-nedì. ●Valutazione 8; prezzo€ 35,00; tradizionale.

Le vivande servite: grissinocasareccio con carré di cin-ghiale, salame nostrano emousse al pecorino romano;raviolo di zucca al salmì dicinghiale e scaglie di parmi-giano; gnocchi tricolore consalsiccia di cinghiale e carcio-fi croccanti; scaloppa di cin-ghiale arrosto con mele eprugne in agrodolce e insala-

tina di cavolo cappuccio; car-paccio di ananas marinato alvin brulé, cialda all’arancia emandorla con gelato alla va-niglia.

I vini in tavola: Lavis Ritrat-ti; Pinot nero Trentino Doc;Humar Cabernet Franc 2009;Conti Duccio Franciacortabrut rosé.

Commenti: Serata con il Ro-tary di Muggia che era, per laDelegazione, anche la ripre-sa dell’attività dopo la pausafestiva. Nell’occasione si è te-nuta anche l’Assemblea deisoci. La cena che è seguita èstata dedicata al cinghiale,animale di cui tutti sappiamopoco. È intervenuto, per que-sto motivo, uno studioso chene ha illustrato le caratteristi-che, sia zoologiche che dellecarni. Buono il livello dellevivande: ottima la scaloppadi cinghiale arrosto con melee prugne, buono l’abbina-mento dei vini, originale ildessert. La serata si è conclu-sa in allegria con la soddisfa-zione di tutti gli Accademici.

PORDENONE4 febbraio 2011

Ristorante dell’agriturismo“Gelindo dei Magredi” diPiero Gelindo Trevisanutto,fondato nel 1962. ●Via Ro-ma 8, Vivaro (Pordenone);=0427 97037; coperti100+100. ●Parcheggio ester-no, comodo; prenotazioneconsigliabile; ferie mai; gior-no di chiusura lunedì. ●Va-lutazione 8; prezzo € 35,00;agriturismo caratteristico.

Le vivande servite: stuzzi-chini freddi con crostonicroccanti e salsine di verdu-re, frittata, fiocchi di frico,berkel con salame di Gelindoe rosa dei Magredi (un insac-cato tipo culatello), ortaggi incomposta; stuzzichini caldicon verdurine croccanti, po-lenta fumante al saracenocon sughetti e pitina con“cao” (panna) e aceto (ossiasalume di carne ovina o ca-prina scottato con panna diaffioramento e aceto); cremadi zucca con ricotta affumica-ta, ciccioli di speck e semi dipapavero; “jota” furlana(zuppa di patate e fagioli con“brovada”); pollastro dei Ma-gredi “a collo nudo” al PiculitNeri con funghi e cipollotti;“gal de semensa” (gallo inumido), contorni cotti e granmisto d’insalate dell’orto; ta-gliere di formaggi (ricotta fre-sca, ricotta “fumada”, asìnodei Tosoni, “formai tal cit”,caprino); torta umida di melecon salsa di mele tiepida; bi-scottini dei Magredi.

I vini in tavola: Brut TerreMagre (Piera Martellozzo -San Quirino); Pinot grigio(Quinta della Luna - San Qui-rino); Friulano (I Magredi -San Quirino); Piculit Neri(Bulfon - Valeriano); Ucelut(Ronco Cliona - Pinzano).

Commenti: Il locale si trovain una vasta pianura alluvio-nale con vegetazione similealla steppa russa. L’agrituri-smo è il cuore di una fattoriadi 15 ettari, con coltivazionibiologiche e allevamenti. Me-nu del territorio in onore degliospiti di Treviso-Alta Marca.Antipasti e stuzzichini di ben-venuto in piedi, per dar mododi visitare una mostra del ter-ritorio allestita per l’occasio-ne. Di alta qualità i salumi, ro-sa dei Magredi in particolare,morbidezza e profumo le no-te salienti. Gradevole la fritta-ta. Speciale la “pitina col cao”.Armonico il servizio dellezuppe: prima la dolce velluta-ta di zucca, con guarnizionedi semi di papavero, poi la ru-stica “jota” caratterizzata dal-l’agro della “brovada” (rapeacide). Pollo al Piculit Neri, vi-tigno autoctono, di gran fattu-ra; riuscita anche la prepara-zione del “gal de semensa”, ri-cetta depositata dalla Delega-zione. Dolci piacevoli. Viniben abbinati, da segnalare ilPinot. Meritato l’applauso allacompagine di cucina guidata

dallo chef Tiziano Trevisanut-to. Lodevole il servizio che èriuscito a non far notare lapresenza di oltre un centinaiodi ospiti.

CARPI-CORREGGIO24 gennaio 2011

Ristorante “Da Giorgio” diMarina Pavesi, fondato nel1920. ●Via G. Rocca 1, Car-pi (Modena); =059 685365;coperti 60. ●Parcheggio sco-modo; ferie agosto; giorno dichiusura martedì. ●Valuta-zione 7,50; prezzo € 25-30.

Le vivande servite: tortelloverde carpigiano; lasagne alforno; bolliti misti; zuppa in-glese.

I vini in tavola: Lambruscomantovano Pjafog.

Commenti: È l’ultimo localestorico di Carpi (la sua fonda-zione risale al 1920). È statogestito fino a poco tempo fadalla famiglia Casarini, conun menu che è rimasto inva-riato fino a oggi anche con lanuova gestione della signoraMarina Pavesi: cappelletti inbrodo, lasagne al forno, bol-liti e arrosti misti con mostar-da, salsa verde e purea di pa-tate. La riunione conviviale èstata gradevole grazie anchealla relazione dell’Accademi-ca Giuseppina Baggio sul pa-ne, mentre si sono raccoltelamentele sulla lasagna unpo’ troppo molliccia e sulservizio del bollito (ma que-sto per colpa dell’elevato nu-mero di commensali che hareso difficoltoso il servizio alcarrello). Merita di essere ri-visitato con un numero ridot-to di Accademici.

CENTOCITTÀ DEL GUERCINO

31 gennaio 2011

Trattoria “Malacappa” diPaolo Gambini. ●Via Mala-cappa 4, Malacappa di Arge-lato (Bologna); =051860407; coperti 90. ●Par-

EMILIA ROMAGNA

FRIULI - VENEZIA GIULIA

VENETO segue

CENA ECUMENICA 2011La cena ecumenica è ormai diventa-ta istituzionale per l’Accademia.Quest’anno, quindi, la riunione con-viviale, che vedrà insieme, alla stessamensa virtuale, gli oltre settemila Ac-cademici in Italia e nel mondo, sisvolgerà il 20 ottobre alle 20,30. I De-

legati cureranno che la cena ecumenica sia accompagnatada una idonea relazione di carattere culturale che illustril’importante tema proposto.

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

cheggio incustodito, insuffi-ciente; prenotazione non ne-cessaria; ferie due settimanea marzo e tre settimane adagosto; giorno di chiusuragiovedì e domenica sera.●Valutazione 6,20; prezzo €30,00; familiare, accogliente.

Le vivande servite: selezio-ne di salumi; tortelloni burroe salvia; tagliatelle al ragù;carni alla griglia; faraona alcartoccio; coniglio arrosto;patate fritte e verdure alla gri-glia; torta di riso; fiordilatte.

I vini in tavola: Prosecco;Lambrusco di Sorbara; San-giovese di Romagna.

Commenti: Malacappa: ungruppo di case adagiate inpancia al Reno, in un’areagolenale protetta da un con-trargine per evitare di andaresotto a ogni piena del fiume.Lì c’è la “Trattoria Malacap-pa” che Paolo Gambini con-duce con la moglie Angela incucina e la figlia Paola in sa-la. Le vivande proposte sonotipiche di un mangiare so-stanzioso e nel solco dellatradizione. Apprezzati il coni-glio arrosto, la torta di riso eil fiordilatte. I vini, diversi daquelli concordati, sono statiritenuti inadeguati. La riunio-ne conviviale ha visto la pre-senza della quasi totalità deisoci che nell’occasione han-no collaborato alla messa apunto del programma perl’anno accademico 2011.

FAENZA21 gennaio 2011

Ristorante “Silverio” di Silve-rio Cineri, fondato nel 2009.●Via Cavour 14, Faenza(Ravenna); =0546 682291;coperti 35. ●Parcheggio co-modo; ferie agosto; giorno dichiusura mercoledì. ●Valu-tazione 7; prezzo € 35,00;accogliente.

Le vivande servite: “e pì”;minestra di fagioli; borlottoricomposto in guazzetto;cannelloni al forno; cannel-lone secco inumidito ai sa-pori; coniglio ripieno e pata-te lesse; coniglio ripieno diviola con giallo invernale;zuppa inglese.

I vini in tavola: SangioveseSuperiore, Notturno 2009,Drei Donà; Albana dolce,Mammolo 2009, Ca’ Pirota.

Commenti: Gli Accademicisi sono ritrovati, per la primariunione dell’anno, in un ac-cogliente e caratteristico lo-cale ricavato in una cantinadove fanno bella mostra i vi-ni più titolati del territorio. Lochef, Silverio Cineri, seguen-do le indicazioni dello ScalcoAlessandro Cantagalli, ha svi-luppato il tema della serata:“La tecnologia in cucina è ve-ra barbarie?”. Ha proposto aogni commensale, per ogniportata, un piatto realizzatoseguendo la ricetta classica euno rivisitato. La sfida ha vi-sto un sostanziale pareggiorelativamente al classico “epì” (ripieno tagliato a fettine)abbinato alla salsa verde oglassato in crema di parmi-giano e al cannellone seccoinumidito con sapori localiche non sfigurava con il piùclassico cannellone ripieno alforno. Tra i piatti presentati,la minestra di fagioli ha meri-tato sicuramente un plausomentre il coniglio ripieno èrisultato più apprezzato ri-spetto a quello con radicchiotrevigiano guarnito con dadi-ni di zucca. Non ha convintola zuppa inglese. Buona lascelta dei vini e molto attentoil servizio.

FERRARA27 gennaio 2011

Ristorante “Alle Candele d’E-dera” di Matteo Tavalazzi eAlice Cazzola, fondato nel2010. ●Via Montebello 79/A,Ferrara; =0532 203062,anche fax; coperti 30. ●Par-cheggio scomodo; prenota-zione consigliabile; giornodi chiusura domenica e lu-nedì. ●Valutazione 7,50;prezzo € 50,00; raffinato.

Le vivande servite: insalatadi faraona alla melagrana;timballo di zucca con cremadi taleggio e pancetta affumi-cata; ravioli di lepre al ristret-to di Chianti; piccione ripie-no di salsa all’uvetta e pinoli;gateau al cioccolato con cuo-re bianco e crema inglese.

I vini in tavola: Proseccoextra dry 2009 (La Tordera);Pinot nero Ruttars 2008(Puiatti); Moscato Passito diSiracusa 2006 (Arseoli).

Commenti: In occasionedell’assemblea annuale laDelegazione ha voluto inco-raggiare una giovane coppia

che ha recentemente rilevatoun elegante ristorante in unadelle strade più belle dellacittà. I Simposiarchi Gian-franco e Riccardo Caniato,padre e figlio, bell’esempiodi continuità accademica fa-miliare, hanno scelto un me-nu orientato all’innovazionepiù che ai piatti della tradi-zione. Lo chef ha raccontatoche al momento sta attraver-sando una fase di transizioneverso una cucina più rispon-dente alla sua spumeggiantepersonalità. È stata ancheuna bella occasione per con-ferire le insegne accademi-che a Paolo Rollo in un’otticadi progressivo ringiovani-mento della Delegazione,che nel 2010 ha compiuto isuoi primi 35 anni di attivitàaccademica.

FORLÌ28 gennaio 2011

Ristorante “Locanda allaMano” di Giovanni Marzo-lini e Lorena Sbaragli, fon-dato nel 2008. ●Via dellaRepubblica 16/B, Forlimpo-poli (Forlì-Cesena); =0543747108; coperti 40. ●Par-cheggio nelle strade adia-centi; prenotazione consi-gliabile; ferie tre settimanein agosto; giorno di chiusu-ra lunedì, a mezzogiornosabato e domenica. ●Valu-tazione 8,30; prezzo €

35,00.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto; crostinocon paté di coniglio; sforma-tino di zucca e rosmarino sul-la fonduta di taleggio; vellu-tata di patate al guancialecroccante e timo; tortelli dipolenta e formaggio monta-sio ai carciofi freschi; rotolodi coniglio farcito con patateprofumate al rosmarino; tortadi pere e zenzero sulla cremainglese; caffè moka.

I vini in tavola: Brut FulvioBeo azienda Ca’ Rugate; Sab-bia gialla Albana secca di Ro-magna, cantina San BiagioVecchio; Torre di CeparanoSangiovese di Romagna Doc,fattoria Zerbina; Le Rane Mal-vasia Passita, azienda agrico-la Luretta.

Commenti: Una piacevolis-sima serata in un locale che,aperto da poco più di dueanni, ha già saputo farsi ap-prezzare per la bravura e la

simpatia dei due titolari Gio-vanni e Lorena, per il caloree l’accoglienza degli arredi eper l’originalità delle propo-ste gastronomiche. Il menuè stato unanimemente moltogradito, con particolare ap-prezzamento per la torta dipere. Ottimi anche i vini conuna Albana secca Sabbiagialla veramente fantastica.Apprezzatissimi anche il ser-vizio e il rapporto qualità/prezzo. Al termine della bel-la serata il sindaco di Forlim-popoli Paolo Zoffoli, graditoospite assieme alla vice-pre-sidentessa di Casa Artusi Lai-la Tentoni, ha presentatoagli Accademici la serie dimanifestazioni che celebre-ranno il centenario dellamorte di Pellegrino Artusi eche vedranno la partecipa-zione delle nostre Delega-zioni.

IMOLA28 gennaio 2011

Ristorante “Osteria e Vini…da Noi” di Dfl srl, fondatonel 2002. ●Via Amendola,63, Imola (Bologna);=0542 24045, anche fax;coperti 55. ●Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie agosto; gior-no di chiusura domenica esabato a pranzo. ●Valuta-zione 8; prezzo € 35,00; ac-cogliente.

Le vivande servite: aperiti-vo con stuzzicheria; tortelliniin brodo; filetto di manzo al-la griglia, con schiacciata dipatate al Brisighello e scalo-gno al balsamico; tris di dol-ci; caffè e liquori.

I vini in tavola: Proseccodi Valdobbiadene Spumanteextra dry Docg (VaraschinMatteo e Figlio snc); Soaveclassico Ca’ Rugate Doc2009 (azienda agricola SanMichele); Centurione San-giovese superiore Doc 2009(azienda agricola StefanoFerrucci).

Commenti: I locali del risto-rante sono stati ricavati daun’ampia cantina (con unastruttura imponente moltoapprezzata dagli Accademici)di un palazzo, proprio alla“vecchia” Porta Bologna diImola. Federico Baldisseri haaccolto e accompagnato gliAccademici al tavolo allestitoper la stuzzicheria e per gli

aperitivi di rito, con un otti-mo Prosecco di Valdobbiade-ne. Una tavola ben preparataha esaltato le curatissimeproposte dello chef. Tutte leportate hanno avuto il pienogradimento; molto apprezza-ti i tortellini in brodo e il filet-to. Il servizio è stato attento epuntuale, buoni la scelta deivini e il rapporto qualità/prezzo.

LUGO DI ROMAGNA25 gennaio 2011

Ristorante “Mazzoni” di Ma-rio e Donatella Mazzoni,fondato nel 1968. ●Via Bar-biana 20, Cotignola (Raven-na); =0545 78332, anchefax; coperti 120+60. ●Par-cheggio sufficiente; prenota-zione consigliabile; ferie duesettimane centrali di agosto;giorno di chiusura merco-ledì. ●Valutazione 7; prezzo€ 30,00; familiare.

Le vivande servite: taglierirustici; passatelli in brodo;grigliata romagnola con pata-te fritte e verdure ai ferri;zuppa inglese; ciambella.

I vini in tavola: Sangiovesedi Romagna superiore, Cere-gio Doc 2009 (fattoria Zerbi-na); Sangiovese di Romagnasuperiore Doc 2009 (fattoriaParadiso); Pignoletto Doc2010 (cantina Chiarli); Alba-na dolce Doc 2009 (cantinaAmalia).

Commenti: Bello ritrovarsinella prima riunione convi-viale del 2011 in un ristoran-te conosciuto per la sua cu-cina tradizionale e appetito-sa. Si parte con un taglierecolmo di affettati e crostiniveramente gustoso, a basedi ingredienti ricchi di sapo-re. Arriva il momento delpiatto tipico della zona, ipassatelli risvegliati da unbrodo squisito. Gustandolicon tutta la calma che serve,si coglie il rigoroso rispettodella tradizione romagnola.Grigliata di carne, generosae abbondante, con rinforzidi patate fritte e verdure allagriglia. La zuppa inglese èfavolosa (insieme ai passa-telli è decisamente il piattomigliore), un assaggio suffi-ciente a soddisfare i palatilasciandoli però desiderosidel bis. Ciambella affogatanell’Albana per chiudereuna serata divertente.

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

PIACENZA26 gennaio 2011

Ristorante “Osteria del Mori-no” di Andrea e Maria Tere-sa Bricchi, fondato nel 2002.●Via Voltone Decca 1, Ron-caglia (Piacenza); =0523504101; coperti 60. ●Par-cheggio incustodito, insuffi-ciente; prenotazione neces-saria; ferie 20 giorni in ago-sto; giorno di chiusura do-menica e sabato a mezzo-giorno. ●Valutazione 7,50;prezzo € 45,00; accogliente,caratteristico.

Le vivande servite: culatel-lo di Zibello servito con ver-dure in agrodolce e tigellemodenesi; risotto al Guttur-nio con fonduta di castelma-gno; anolini di stracotto inbrodo; ganassino di vitellostufato al Barbaresco su purèdi patate; assaggio di tre dol-ci del “Morino”.

I vini in tavola: Cremantd’Alsace rosé (Engel); Barbe-ra d’Asti 2007 (Montebrunadi Braida); Barbaresco Teore-ma 2007 (azienda agricolaMolino); Vin santo di Vigole-no 2003 (azienda agricola Se-senna).

Commenti: La riunioneconviviale ha visto il ritornodella Delegazione all’“Oste-ria del Morino”, che gli Acca-demici piacentini avevanovisitato nell’ormai lontanonovembre 2003 (un annodopo l’apertura), trovando illocale accogliente e di forterichiamo, frequentato da unaclientela prevalentementegiovanile, cui proponevapiatti della tradizione inqualche misura adattati algusto corrente. Negli anni, ilristorante ha confermato evalorizzato le caratteristicheiniziali, migliorando la qua-lità della cucina e della canti-na (come dimostra il votoconseguito, oggi più lusin-ghiero rispetto alla prima vi-sita), continuando a valoriz-zare con cura le tradizioni lo-cali, e abbinando alle ricettedel territorio altre provenien-ti più ampiamente dall’areapadana. Rivolgendosi tuttoraa una clientela prevalente-mente (ma non esclusiva-mente) giovanile, l’“Osteriadel Morino” costituisce unluogo privilegiato per diffon-dere la conoscenza e l’amoredelle tradizioni gastronomi-che piacentine.

PIACENZA10 febbraio 2011

Ristorante “Trattoria SanGiovanni” di Roberto Zanet-ti, fondato nel 2000. ●ViaGaribaldi 49/A, Piacenza;=0523 321029, anche fax;coperti 40. ●Parcheggio in-custodito, insufficiente; pre-notazione consigliabile; ferie20 giorni tra luglio e agosto;giorno di chiusura lunedì amezzogiorno, domenica damaggio a settembre. ●Valu-tazione 7,36; prezzo €

48,00; elegante, accogliente.

Le vivande servite: spumadi lepre tartufata con pureadi pere; panzerotti alla pia-centina su vellutata di funghiporcini della val d’Aveto;“gannasèin” di vitello glassa-to alla Barbona con crema dipatate alla vaniglia; stracchi-no gelato.

I vini in tavola: Spumantemetodo classico Amanar 36mesi Chardonnay (Montesis-sa); Macchiona 2005 (LaStoppa); Malvasia 2009 Don-na Luigia (Torre Fornello);Gutturnio riserva 2007 Bar-bona (Poggiarello); Malvasiafiltrato dolce (Lusenti).

Commenti: In una serata al-lietata dalla presenza del De-legato di Vienna Franco Be-nussi, e di Elisa Gazzi Acca-demica di Londra, la Delega-zione ha visitato la “TrattoriaSan Giovanni”, che proponeuna cucina ispirata ai piattidella tradizione locale, peral-tro rivisitati secondo l’estro ela cultura gastronomica deltitolare, e così rielaborati intermini moderatamente crea-tivi. In quest’ottica, è parsoparticolarmente gradevole il“gannasèin” di vitello glassa-to alla Barbona con crema dipatate alla vaniglia, propostoin abbinamento a uno deimigliori vini della produzio-ne locale: la cantina, infatti,costituisce uno dei punti diforza del ristorante, e ha su-scitato l’interesse e l’apprez-zamento degli Accademici.

REGGIO EMILIA21 febbraio 2011

Ristorante “Canossa” dei fra-telli Calò, nuova gestionedal 1970. ●Via Roma 37,Reggio Emilia; =0522454196; coperti 80. ●Par-cheggio incustodito, suffi-

ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie agosto; giornodi chiusura mercoledì. ●Va-lutazione 7,90; prezzo €

38,00; tradizionale, acco-gliente.

Le vivande servite: scagliedi grana, mortadella a tocchi,salame, scarpazzone; taglia-telle al ragù di prosciutto otortelli o cappelletti in brodo;carrello dei bolliti o degli ar-rosti con salse varie e mostar-da di Cremona; purè di pata-te; carrello dei dessert.

I vini in tavola: Prà di Bos-so, Lambrusco reggiano Doc,Colli di Scandiano e di Ca-nossa (Casali).

Commenti: Il tradizionaleincontro conviviale-assem-blea di febbraio si è tenutoanche quest’anno nella salet-ta del ristorante “Canossa”,con il particolare obiettivo diapprovare le linee guida perla celebrazione del cinquan-tesimo anniversario della De-legazione. La partecipazioneè stata particolarmente nu-merosa con la significativapresenza del 60% degli Acca-demici. Esaurito l’ordine delgiorno, è stato servito il me-nu tradizionale di portate ti-piche della cucina reggiana;prima del dessert è stato con-segnato a uno dei gestori ilvolume “Le buone tavoledella tradizione”, nel quale lacittà di Reggio è rappresenta-ta proprio dal ristorante “Ca-nossa”.

SALSOMAGGIORETERME

20 gennaio 2011

Ristorante “Osteria di For-nio” di Luca Caraffini e Cri-stina Cerbi, fondato nel2006. ●Via Fornio 78, For-nio (Parma); =052460118; coperti 45. ●Par-cheggio incustodito, insuffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie luglio-dicem-bre; giorno di chiusura lu-nedì sera, martedì. ●Valuta-zione 7,50; prezzo € 33,00;tradizionale, rustico.

Le vivande servite: antipa-sti dell’osteria (culatello,strolghino nostrano, cicciola-ta, pancetta e tosone alla gri-glia, frittella di ceci con lardodi Parma, polentina fritta,verdure in agrodolce); mezzemaniche ripiene in brodo;

“pisarè e fasò”; tagliolini alculatello; pasta di salame frit-to al vino bianco (in padella)con purè; sorbetto al limone;gelato alla cannella; semi-freddo allo zabaione concioccolato fuso.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene (Col Vetoraz)millesimato 2009.

Commenti: La Consulta del-la Delegazione si è riunitaper mettere a punto le inizia-tive del nuovo anno accade-mico. Il momento di lavoronon ha mancato di compren-dere la convivialità e di ri-confermare il pregio dellacucina di Luca Caraffini e Cri-stina Cerbi. Si vede la passio-ne nel recupero di piatti unpo’ abbandonati, come lemezze maniche ripiene inbrodo, o nella misurata fanta-sia con la quale vengonopresentati gli antipasti comela frittella di ceci, la pancettaavvoltolata al tosone alla gri-glia, le gocce di aceto balsa-mico sparse con equilibrataparsimonia. La collocazione“di confine” permette piace-voli risultati con i piacentini“pisarè e fasò” e con i piùparmigiani tagliolini al cula-tello. Poi la deliziosa pasta disalame fritto in padella al vi-no bianco, accompagnato dapurè, prosegue un viaggio insapori di cose antiche e tradi-zioni semidimenticate. Fre-schi sorbetti, gelato alla can-nella, semifreddo allo zabaio-ne con cioccolato fuso sonoconferma di qualità e atten-zione alle materie prime.

SALSOMAGGIORETERME

10 febbraio 2011

Ristorante “Il Convento” diRomani Rossitto e SalvatoreInturrisi, fondato nel 2007.●Via Frate Gherardo 11, Fi-denza (Parma); =0524202362; coperti 42. ●Par-cheggio incustodito, insuffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie ancora da sta-bilire; giorno di chiusura lu-nedì. ●Valutazione 7,50;prezzo € 40,00; elegante, inedificio storico.

Le vivande servite: crostinocon alici e Prosecco della ca-sa; gamberi agrumi e miele,sarde a beccafico, impepatedi cozze e vongole; cavatellicon gamberi di nassa, pomo-

dori secchi e broccoletti; spa-da alla palermitana con ci-polla di Tropea caramellata epatate al forno; cassata, can-noli, sorbetti.

I vini in tavola: Prosecco(Valmarone); Inzolia 2010 eNero d’Avola 2009 (ambedueRudinì).

Commenti: La Delegazioneha visitato questo ristoranteche propone una cucina ba-sata sui piatti della tradizionesiciliana. La serata, condottadal Vice-Delegato RobertoTanzi, ha avuto come ospitel’esperto di prodotti alimenta-ri Sergio Gatti, che ha tenutouna relazione sugli aspettidella ristorazione in Europa,commentando la diversifica-zione culturale e di gusto le-gata al modo di alimentarsi edi intendere i fornelli. La sera-ta è proseguita con l’interven-to dell’Accademico Simpo-siarca Angelo Campanini cheha illustrato le caratteristichestorico-architettoniche del lo-cale (facente parte del trecen-tesco convento cistercense diS. Bernardo) e il menu di ma-re dello chef Salvatore Inturri-si, le cui sarde alla beccafico,e un delicatissimo pesce spa-da alla palermitana con cipol-la di Tropea caramellata e pa-tate al forno, hanno convintogli Accademici.

APUANA18 febbraio 2011

Ristorante “Aurora” di Stefa-no Calendi, fondato nel1987. ●Viale A. Vespucci 74,Marina di Carrara (MassaCarrara); =0585 789215;coperti 50+30 in estate.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; giorno di chiu-sura martedì. ●Valutazione6,75; prezzo € 48,00; fami-liare.

Le vivande servite: girellodi vitello affumicato in salsaal balsamico, scorze d’aranciae filetti di olive taggiasche; ri-sotto con julienne di chianina

TOSCANA

EMILIA ROMAGNA segue

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

al Valpolicella e lardo di Co-lonnata al profumo di tartufobianco; toscanella di vitelloneai funghi porcini, flan di spi-naci e mandorle tostate; souf-flé di mele caramellato consalsa alla vaniglia.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene Docg; Valpoli-cella superiore Doc 2008, Val-policella ripasso Doc 2008,Cioto del Soave Docg 2009(tutti e tre di Corte Adami).

Commenti: Serata dedicataa un incontro tra soli Accade-mici, finalizzato all’acquisi-zione di contributi e di ideeper ottimizzare ancor di piùl’azione sul territorio dellaDelegazione. Sono state defi-nite le linee strategiche perl’organizzazione dei festeg-giamenti per i prossimi 50anni della Delegazione conla prima stesura di idee eoperatività. La cena è statainusuale per un locale postosulla battigia di Marina diCarrara: invece di un menudi pesce ne è stato propostouno di terra con alcuni piattiche si sono distinti per la sa-pidità e per la qualità dellamateria prima. Delizioso ildessert che ha riscosso una-nimi consensi. Il locale è unpoco spoglio, ma l’apparec-chiatura e il servizio sono sta-ti di buon livello. Il grandeinconveniente, che si registraspesso nei locali del territo-rio, è sul prezzo: molto ele-vato e, a volte, assolutamentenon giustificato. Alla riunio-ne conviviale ha partecipatoil Coordinatore territorialeFranco Cocco.

EMPOLI9 febbraio 2011

Ristorante “Osteria Fontevi-vo” di Giuseppe Niccolai,fondato nel 2004. ●Via Fon-tevivo 5, San Miniato (Pisa);=0571 419703; coperti 40.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie gennaiodal 10 al 30; giorno di chiu-sura lunedì. ●Valutazione 8;prezzo € 40,00; accogliente.

Le vivande servite: bresao-la di lonza di maiale con mi-sticanza; flan di cardo gobbocon mousse di fegatini allatoscana; maltagliati di farinaai cinque cereali al ragù bian-co di coniglio; ravioli ai cin-que cereali con ripieno di ri-cotta al pomodoro fresco pic-

cantino; filetto di maiale incrosta di erbette con cipollepiccanti stufate e caramellateal miele; torta di mele e perecon gelato al pinolo.

I vini in tavola: VermentinoIgt, Torre del Vajo Igt, Dolcepeccato Igt (tutti della tenutaagricola Torre a Cenaia).

Commenti: Gradevolissimariunione conviviale organiz-zata dal Simposiarca Massi-mo Vincenzini, con un menuinteressante. Valida la sceltadei piatti ideati dallo chefGiuseppe Niccolai e dal suoteam e cucinati con amore.Equilibrati e ben armonizzatii sapori; ottimi il flan di cardoe la torta; gradevoli i vini,ben accostati ai diversi piatti.La serata è stata anche occa-sione per ascoltare un breveexcursus sulla cucina del Me-dioevo con una relazionecondotta dalla nuova Acca-demica Elisabetta Guerrieri.

GARFAGNANAVAL DI SERCHIO8 febbraio 2011

Osteria “Vecchio Mulino” diAndrea Bertucci e C., fonda-ta nel 2000. ●Via VittorioEmanuele 12, Castelnuovodi Garfagnana (Lucca);=0583 62192, anche fax;coperti 30-35. ●Parcheggiopubblico nei pressi; prenota-zione consigliabile; ferie otto-bre/novembre; giorno dichiusura lunedì. ●Valutazio-ne 8; prezzo € 30,00; acco-gliente, rustico, caratteristico.

Le vivande servite: vassoiodi salumi con pani di grano,“formenton” e castagne;“mezzana” con funghi porci-ni; crostini di fegatini; lasa-gne al forno; polenta di “for-menton” otto file con cin-ghiale in umido; assaggi ditre formaggi; castagnaccio ericotta del pastore; pasticce-ria mignon.

I vini in tavola: vini dellaGarfagnana (Camporgiano);vino delle Colline Lucchesi;vini di Montecarlo.

Commenti: Riunione convi-viale particolare organizzatadal Simposiarca Graziano Ci-pollini che si è svolta in oste-ria, in un locale sorto nel1880 ai piedi del duomo, unavera bottega d’altri tempi. Ilmenu si è basato tutto su pro-dotti garfagnini di grandequalità. Appetitosa la salsicciaprofumata con erbe aromati-che e piacevole il prosciutto“Bazzone” leggermente affu-micato, saporito ma non sala-to. Il biroldo è stato veramen-te speciale. Unici i tre tipi dipane da abbinare agli affetta-ti. Equilibrata e molto golosala “mezzana” con i funghi.Eccezionali le lasagne. Piattoghiotto la polenta con cin-ghiale, saporito, tenero, cuci-nato perfettamente dalla ga-stronomia “Martinelli”. Buonii formaggi e l’accostamentodei vini, la cui degustazione,simpaticamente, è avvenutaalla cieca. Poco apprezzato ilcastagnaccio. Ottima la ricot-ta del pastore. Buon rapportoqualità/prezzo. Era presenteil Coordinatore territorialeFranco Cocco.

LUNIGIANA31 gennaio 2011

Ristorante “Abramo”. ●ViaProvinciale 23, località Pon-te Teglia, Mulazzo (MassaCarrara); =0187 439388;coperti 200. ●Parcheggioampio; prenotazione consi-gliabile; ferie variabili; gior-no di chiusura lunedì. ●Va-lutazione 7,50; prezzo €

33,00; elegante, accogliente.

Le vivande servite: morta-della nostrale; filetto di maialestagionato; soppressata; ripie-ni di cipolle; barbotta (torta);torta di farina di castagne conlardo di Colonnata; tortellini

fatti in casa in brodo; coppadi maiale in crosta di erbe conmele rotelle allo zenzero e li-mone; crema di ricotta; frittel-line di mele rotelle.

I vini in tavola: Ciliegiolorosso 2009 Igt Val di Magra(fattoria Conte Picedi Benetti-ni, Ceserano di Fivizzano -MS).

Commenti: La riunione con-viviale di San Geminiano contanti ospiti, in un ristorantespazioso e accogliente, benconosciuto e più volte fre-quentato dalla Delegazione,si è confermata anche questavolta una scelta felice. LaSimposiarca Ragna Engel-bergs, come sempre moltoattenta alle tradizioni e aiprodotti tipici, ha propostoun menu con piatti storicipontremolesi, che ha avutogradimento unanime. Tuttele pietanze hanno avuto ungrande successo; appropriatol’abbinamento del vino, re-centemente premiato in unconcorso internazionale,gentilmente offerto dal pro-duttore conte Picedi Benetti-ni. Una serata gioiosa e golo-sa che ha raccolto approva-zione tra gli Accademici eospiti.

PISA-VALDERA9 febbraio 2011

Trattoria “Paccì” di GessicaRibechini, fondata nel 2006.●Via Roma 5, Buti (Pisa);=0587 722162, anche fax;coperti 50. ●Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; ferieluglio; giorno di chiusuramartedì. ●Valutazione 7,50;prezzo € 35,00; familiare,accogliente.

Le vivande servite: calice dibenvenuto con salatini e fritticon Prosecco La Marca; piat-to con salame e prosciutto,carpaccio di pecorino, crosti-

ni della tradizione, vassoiettodi polenta pasticciata; penneal ragù di coniglio; stringozzial ragù di cinta senese Dop;tagliata di petto d’anatra; trip-pa alla butese; frutta frescacon sciroppi e torta Mimosafatta in casa.

I vini in tavola: Sodi del Pa-retaio, Badia di Morrona; Mi-terre, azienda agricola Cam-po al Noce, Bolgheri.

Commenti: Cena all’insegnadella tradizione, con materieprime di cortile: deliziosi sa-lumi, crostini; eccellenti ragù(soprattutto quello di conigliocosì sapido, così “vero”), trip-pa alla butese, che prevedenella preparazione, per altroverso classica, la presenza diun battuto di carne. Gradevo-li i vini, correttamente abbi-nati; cortese ed efficiente, perquanto familiare, il servizio.Un plauso alla SimposiarcaCristina Martelli. Il Delegato,prima di consegnare, con icomplimenti di tutti, la vetro-fania accademica al titolare,ha annunciato che è in fase diorganizzazione, a giugno, daparte della Delegazione, unconvegno in occasione dei150 di unità d’Italia.

PISTOIA24 gennaio 2011

Ristorante “Toscanelli” dellafamiglia Morosi, fondato nel2010. ●Via Carratica 61, Pi-stoia; =0573 977196, an-che fax; coperti 70. ●Par-cheggio scomodo; prenota-zione consigliabile; ferie 2a-4a settimana di agosto; gior-no di chiusura domenica apranzo e martedì. ●Valuta-zione 7; prezzo € 35,00; fa-miliare.

Le vivande servite: lonzinodi maiale con mela verde, ci-polla di Tropea e olio nuovo;sfogliatina di verdurine distagione e gobbo fritto su let-to di taleggio e julienne dicrudo croccante; sformatinodi cavolo nero con crema dicannellini della Valdichiana;crespella al radicchio Doc diTreviso; mezze maniche alconiglio di fattoria; cinghialedi Maremma in umido conpolentina alla griglia; budinodei Medici; cenci.

I vini in tavola: Spumantebrut da uve Fiano MinutoloAureo, azienda agricola Ve-

GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE

Si ricorda che, come già specificato nelle istruzioni per la col-laborazione alla rivista, non sono e non saranno pubblicatele schede giunte in Segreteria oltre il termine di 30 giorni dal-la data di effettuazione della riunione conviviale.

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 56

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

trere; Rosso di Montepulcia-no Lupaio, azienda Il Fagge-to; Morellino di Scansano,Campo della Laura fattoriaQuerciarossa; Vin santo dellacasa.

Commenti: Piacevole sor-presa questo ristorante di re-cente apertura. La famigliaMorosi, che ha una lunga tra-dizione nella ristorazione, haesordito con un’ottima seriedi antipasti seguiti da un’otti-ma crespella; sufficienti lemezze maniche al sugo diconiglio, ottimo il cinghialecon polenta grigliata; buonoil budino dei Medici, eccezio-nali i cenci. Ottimo l’abbina-mento dei vini scelti dall’Ac-cademico e sommelier Fran-co Fantacci. In sintesi un 7veramente meritato. La serataè stata conclusa dal Consul-tore nazionale e Coordinato-re territoriale Franco Coccoospite della Delegazione.

VALDINIEVOLE11 febbraio 2011

Ristorante “Il Marzocco” diIlenia e Daniele Bandini,fondato nel 2006. ●Via Pao-lo Pucci 44, Larciano Castel-lo (Pistoia); =057 383147;coperti 40. ●Parcheggio in-custodito, scomodo; prenota-zione consigliabile; ferie 3a e4a settimana di gennaio;chiusura lunedì, a cena ladomenica e festivi. ●Valuta-zione 7,40; prezzo € 48,00;tradizionale, accogoliente.

Le vivande servite: aperiti-vo con stuzzichini (tartara,crostini con fagioli, cavolonero, fritti di salvia e cipolle);raviolo di zucca al burro concanditi; farinata di cavolo ne-ro; guancia di vitello brasatacon purè di patate mantecatoall’olio d’oliva; millefogliesbriciolato; frittelle di farinadi castagne con ricotta.

I vini in tavola: Blanc deBlancs pas dosé 2005 (Mon-tellori); Rosso di Montepul-ciano 2009 (Sabazio, La Brac-cesca); Chianti riserva 2006(Da Vinci); Vendemmia tardi-va San Pietrino (Il Poderino).

Commenti: Gli anfitrioniGuido Betti e Andrea Pierac-cini hanno illustrato e fattoassaggiare l’olio 2010 prodot-to dalle loro aziende, rice-vendo l’unanime approvazio-ne dei commensali, da buoni

toscani consumatori assai esi-genti. Il locale si trova nel-l’antico borgo medievale; of-fre un ambiente raccolto egradevole, un fenomenalepanorama, che fa dimentica-re il disagio del parcheggio,un servizio curato. Nel menu,che ha alternato accortamen-te sapori tradizionali ad altriinconsueti, meritano lodeesplicita il brasato e i dessert.Buono il raviolo di zucca; piùdiffuse le riserve sulla farina-ta. Fra i vini, da segnalare ilRosso di Montepulciano.Punto dolente della serata èrisultato il prezzo, a parere dimolti non correlato all’insie-me della prestazione. In con-clusione, il Delegato RobertoDoretti e Andrea Giovanninihanno rievocato la lunga sto-ria del borgo e del castelloche lo domina severamenteda mille anni.

ANCONA12 febbraio 2011

Ristorante “La Torre”, fonda-to nel 1950. ●Via Monteca-rottese 2, Moie di MaiolatiSpontini (Ancona); =0731704872, fax 0731 704952;coperti 70. ●Parcheggio cu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile; ferie ago-sto; giorno di chiusura lu-nedì. ●Valutazione 8; prezzo€ 50,00; tradizionale.

Le vivande servite: crostinimozzarella e alici siciliane;cocktail di crostacei; mazzan-colle in agrodolce; capesantealla maniera dello chef; pac-cheri “do sol” al sugo biancodi molluschi e crostacei; filettidi orata selvaggia al forno conpatate e olive; castagnole.

I vini in tavola: ChampagneG.H. Mumm; Gewurztrami-ner (cantina Strasserhof); Ver-dicchio Doc (casa vinicolaMancinelli); Pecorino Doc(casa vinicola Centanni);Sammeo Passito (azienda vi-nicola Fazi-Battaglia).

Commenti: La tradizionaleriunione conviviale di San

Valentino ha avuto uno svol-gimento particolare: in cuci-na è entrato l’AccademicoConsultore Pietro Aresta chenon solo ha approvvigionatoil pesce (freschissimo), maha scelto il menu e lo ha rea-lizzato in prima persona. Laserata, che ha visto la parte-cipazione di molti Accademi-ci (con la presenza del Dele-gato di Macerata Bellesi edell’Accademico di PesaroRagni), si è svolta in un cli-ma di grande allegria, facili-tato dall’originalità del me-nu. Dopo lo Champagne of-ferto dal Delegato, che haaccompagnato splendidi cro-stini e un delizioso cocktaildi crostacei, il cuoco, noncerto alla prima esperienza,ha espresso il meglio di sé. Ipaccheri si sono esaltati conun ragù bianco di molluschio crostacei delizioso; i filettidi orata selvaggia (pescatapoche ore prima) hanno di-mostrato la validità di una ri-cetta semplice ma perfetta-mente eseguita. I vini sonorisultati ottimi, specie ilGewurztraminer e il Pecori-no, vera sorpresa. Le casta-gnole di Carnevale, acquista-te in una famosa pasticceriadi Jesi, hanno concluso lasplendida serata prima delbrindisi e del ringraziamentocaloroso al cuoco.

GUBBIO25 gennaio 2011

Ristorante “Trattoria SanMartino” di Elio Lepri, fonda-to nel 1947. ●Piazza Giorda-no Bruno 7, Gubbio (Peru-gia); =075 9250458; coperti40+20. ●Parcheggio assenteperché Ztl; prenotazione nonnecessaria; ferie mai; giornodi chiusura martedì. ●Valu-tazione 7,70; prezzo €

30,00; familiare, caratteristi-co con tavoli all’aperto.

Le vivande servite: antipa-sto rustico (coppa, prosciut-to, crescia e bruschetta); po-lenta con puntarelle e salsic-ce ripassata al forno; friccò dipollo; cosciotto d’agnello allo

spiedo pilottato; patate al ro-smarino, insalatina mista;zuppa inglese; tozzetti conVin santo; spiedini di frutta.

I vini in tavola: Grecantedei Colli Martani (cantine Ar-naldo Caprai); Rosso il Pa-drone delle Vigne (cantineTabarrini); Asti Moscato.

Commenti: Tornati, dopoalcuni anni, in questa che èuna delle più vecchie tratto-rie eugubine, gli Accademicihanno gustato un menu tipi-co del territorio. Non moltoassortimento, nessuna cervel-lotica elaborazione ma piattisemplici, di gusto, con pro-dotti genuini: quasi una cuci-na a chilometro zero, con sa-pori decisi e ben definiti,adatti a chi, nella trattoria,vuole mangiare “come a ca-sa”. Tutte le proposte hannotrovato pieno consenso tragli Accademici, con puntemolto alte per il friccò e l’a-gnello, come dimostra la vo-tazione complessiva. Acco-gliente il locale anche se nonmolto grande. Buono, prontoe cortese il servizio. Discretil’abbinamento con i vini e ilrapporto prezzo/qualità.

PERUGIA17 febbraio 2011

“Osteria dell’Olmo”. ●ViaVerdi 8, Ellera (Perugia);=075 5179140; coperti 80.●Parcheggio ampio non cu-stodito; prenotazione gradi-ta. ●Valutazione 7,50; prez-zo € 45,00.

Le vivande servite: sforma-tino di zucchine con salsa tie-pida al taleggio; zuppa di ce-ci e porcini con crostini dipane all’olio di frantoio; ta-gliolini del norcino; meda-glioni di vitello con salsa aicarciofi; patate duchessa;frappe e strufoletti (strufoli almiele); cestini di mandarini.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene; Orvieto clas-sico la Carraia 2009; Montefal-co rosso Madonna Alta 2007;Dulcis Cantine Lungarotti.

Commenti: In un’atmosferadi grande cordialità si è svol-ta la cena di Carnevale concirca 50 tra accademici eospiti. Il Delegato Elmo Man-narino ha rivolto un salutoagli Accademici e un ringra-ziamento al Simposiarca Al-

berti per l’organizzazione.Uno sformatino di zucchinecon salsa di pecorino dolceha aperto la riunione convi-viale; è seguita una saporitazuppa di ceci e porcini cheha offerto la possibilità di ap-prezzare l’ottima fragranza eil gusto dell’olio umbro del-l’ultima annata. Molto ap-prezzati i tagliolini del norci-no, ricetta umbra della cuci-na povera con pomodoro, fa-gioli borlotti e olive. Grandequalità dei dolci classici dellacucina perugina. Efficace ilservizio, preciso e veloce, acura del responsabile di salasig. Antonio Tevaretto; moltoaccurata la presentazionedelle vivande. La cena haavuto un ottimo successo perla qualità delle materie pri-me, dei condimenti e la pre-parazione delle vivande,mettendo in evidenza comela cucina umbra, semplice egenuina, possa raggiungererisultati di rilievo.

SPOLETO6 febbraio 2011

Agriturismo “Il Sovrano” diGloria Ripanti, fondato nel2009. ●Località Castelvecchio3, San’Anatolia di Narco (Pe-rugia); =0743 613385; co-perti 40+20. ●Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie mai; giorno dichiusura mercoledì. ●Valuta-zione 7,90; prezzo € 25,00;rustico.

Le vivande servite: antipa-sto con frittata al tartufo, sa-lumi, pizza rustica, pecorino;pappardelle con sugo di fa-giano; palombe in salmì; tor-tore allo spiedo; insalata fre-sca e verdura di campagna ri-passata; crostata con marmel-lata di fichi e con marmellatadi melone.

I vini in tavola: Morello dellago (Fanini).

Commenti: Non inganni larecente data di apertura del-l’agriturismo “Il Sovrano”: ilgruppo che lo gestisce hauna consolidata esperienza eun’ottima fama che abbiamotestato sull’impegnativo temadella cacciagione. GiuseppeTalegalli, fortunato e bravocacciatore, ha fornito la mate-ria prima con selvatici di otti-ma qualità, raccontandoaneddoti di caccia. Antipasto“leggero” in previsione delle

UMBRIA

MARCHE

TOSCANA segue

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successive portate. Gradevolee insolito l’uso del fagianocon le pappardelle. Perfettele palombe in salmì: la salsadensa e giusta di tutti i saporiaccompagnava splendida-mente i volatili cotti a punti-no. Le tortore allo spiedo, av-volte nel grasso e magro,completavano l’ottima carrel-lata delle carni anche se leg-germente asciutte, colpa dellanostra prolungata attenzionealle palombe. La cuoca Lolita,valida seguace della cucinatradizionale, ha proposto lecrostate di cui una con mar-mellata di melone, unicoslancio di “modernità” in cu-cina, ottime entrambe. Dove-roso il plauso alla signora Lo-lita e al suo staff e i ringrazia-menti al socio Giuseppe.

TERNI19 gennaio 2011

Ristorante “Il Cantico” di Sil-via Andreucci, fondato nel2002. ●Vico Catina 15, Ter-ni; =0744 471180; coperti50. ●Prenotazione consi-gliabile; ferie prima settima-na di gennaio e settimanadi Ferragosto; giorno dichiusura sabato a pranzo edomenica sera. ●Valutazio-ne 7,50; prezzo € 42,00;tradizionale.

Le vivande servite: guancia-le aceto e salvia con i filetti diSan Marzano e crostino aglia-to (6); cappelletti fatti a manocon fonduta di parmigiano etartufo uncinato (7); piccione(spiedino di finti fegatelli dipetto di piccione con prugnee alloro, coscia e petto arro-sto al rosmarino, terrina di fe-gatini e carne di piccione eburro artigianale di Morozzo)(8); moka di mamma Marcel-la (8); torta di mandorle allacaprese (7,50); panpepato(7,50); china “dott. G. Cle-menti” antico elixir.

I vini in tavola: Rosso Co-nero 2007, azienda agricolaVilla Malacari, Offegna (An-cona); Sagrantino “Cingolo”2008, azienda agricola Leo-nucci, Massa Martana.

Commenti: I SimposiarchiGiampiero Benedetti e Mi-chele Vino hanno scelto il te-ma dell’olio nuovo: banchet-to d’assaggio con oli sicilianie umbri a confronto e Miche-le che svela i segreti della de-gustazione. L’effervescente

maître Silvia Andreucci e lochef Massimo Granati ci ri-propongono la loro cucina,di radice regionale con tenta-tivi d’innovazione. Si iniziacon il guanciale aceto e sal-via, uno dei più antichi piattidella cucina povera: il nuovosta purtroppo nell’aggiuntadi abbondanti filetti di pomo-doro San Marzano che hannoammollato il guanciale, risul-tato lesso anziché croccante.Si risale con i cappelletti dibuona fattura, ma legger-mente passati di cottura; siarriva, quindi, al piatto mi-gliore della serata: la terrinadi fegatini e ciccia di piccio-ne da spalmare sul crostino ebuon burro artigianale di Mo-rozzo. Il piatto si avvale inol-tre della coscia e del petto ar-rosto al rosmarino e di unospiedino con carne alternataalle prugne e foglie di alloro.Ottime la moka e la torta dimandorle alla caprese in ab-binamento con l’antico elixirdi china. Complimenti a Mas-simo Granati vincitore dellagara, edizione 2010, del dol-ce tipico del Natale ternano:il panpepato.

TERNI24 febbraio 2011

Trattoria “Tiberina” di Gian-carlo Pistoni, fondata nel1954. ●Via Tiberina 380,Taizzano di Narni (Terni);=0744 735153, fax 0744793114; coperti 80. ●Par-cheggio comodo; prenotazio-ne consigliabile; ferie varia-bili; giorno di chiusura mer-coledì. ●Valutazione 8,50;prezzo € 26,00; tradizionale.

Le vivande servite: bru-schette del cacciatore (all’olio

nuovo, ai fegatini, alla bec-caccia) (7); pappardelle alragù di lepre (8,50); cinghialealla cacciatora (8,50); patatefritte al momento (8,50); co-lombaccio alla taizzanese (8);raponzoli (8); profiterole(7,50); crostata alla marmella-ta di visciole (8).

I vini in tavola: Rosso Cam-pania Ciro Picariello Sum-monte Avellino (uvaggio:Aglianico 40%, Piedirosso30%, Sciascinoso 30%); Bol-gheri Doc Podere Sapaio,Volpolo 2007 (uvaggio: Ca-bernet Sauvignon 70%, Mer-lot 15%, Petit Verdot 15%);Passito di Pantelleria Vinci.

Commenti: I SimposiarchiVincenzo e Filippo Clericò,per la riunione conviviale sul-la cacciagione in cucina, han-no scelto una delle trattoriepiù antiche e famose nei din-torni di Narni. Filippo ha sele-zionato i vini, Vincenzo hacurato il menu, Franco Maro-ni ha progettato la tavola. Riu-nione conviviale tranquilla egodibile, in atmosfera serenae rilassante. Sotto tono le bru-schette, penalizzate dalla se-quenza di presentazione erra-ta. Si sale di livello con le pap-pardelle alla lepre, ottima lapasta, sapido ed equilibrato ilsugo in bianco di lepre. Seguelo spezzatino di cinghiale allacacciatora, con carne morbi-da, armonico l’intingolo. Il co-lombaccio, il cui sistema dicaccia viene illustrato da Vin-cenzo Clericò, è trattato inuna leccarda particolare, allataizzanese, secondo la ricettaoriginale della trattoria; lo ac-compagnano le bianche radi-cette dei raponzoli ammorbi-diti da un non aggressivo ace-to caldo all’acciuga. Buono il

profiterole e ottima la crostataalla marmellata di visciole. Ar-monico l’abbinamento dei vi-ni, in particolare del rossoBolgheri con il cinghiale e ilcolombaccio. Gentili e pre-murosi il servizio e l’acco-glienza dei proprietari, nullada eccepire alla cucina, vistoil menu, e al prezzo praticato.

LATINA16 febbraio 2011

Ristorante “Hosteria He-mingway” di Claudio Gia-netto, fondato nel 2003.●Via Carturan 36/A, Latina;=0773 412065; coperti 40.●Parcheggio incustodito;prenotazione consigliabile;ferie dal 13 al 20 agosto;giorno di chiusura domeni-ca. ●Valutazione 8,03; prez-zo € 35,00; familiare, carat-teristico.

Le vivande servite: antipa-sto di gamberi, arance, primosale, finocchi; zuppetta di ca-lamari e scarola; cannolicchie cannellini, tonnarello all’a-matriciana di mare; rombo,croccante di carciofo e scam-po al vapore; millefoglie aifrutti di bosco; caffè.

I vini in tavola: Chardon-nay Pezze di Ninfa Igt Il Qua-drifoglio, Doganella di NinfaCisterna (LT); Prosecco JeioValdobbiadene Doc Bisol.

Commenti: Ottimo conviviopresso l’“Hosteria He-mingway” del capoluogo. Fragli ospiti presente il prefettodi Latina dott. Antonio D’A-cunto. Il nome del locale vi-sitato rappresenta un puntodi collegamento fra la paludescomparsa e la figura di Er-nest Hemingway, amanteanche della buona cucina.All’inizio della manifestazio-ne il Delegato BenedettoPrandi ha comunicato la no-mina di Tina Raponi a socia eConsultrice della Delegazio-ne al posto del compiantomarito Bruno. Successiva-mente il Simposiarca Vice-Delegato Giangi Chizzoni hatenuto un’interessante rela-zione sulla storia e sulla cuci-na dell’hosteria. L’aspetto ga-stronomico e organizzativodel convivio ha raggiunto li-velli elevati tanto da far meri-tare al locale un’alta valuta-zione. Durante il brindisiconclusivo Annibale Veroni-ca ha sottolineato in partico-lare la purezza dell’acqua mi-nerale offerta ai commensalidurate la cena.

ROMA AURELIA28 gennaio 2011

Ristorante “La Gattabuia” diRodolfo Taito e Aldo Dionisi,fondato nel 2003. ●Via delPorto 1, Roma; =06 584813,anche fax; coperti 110+30in estate. ●Parcheggio nellestrade adiacenti, spesso diffi-coltoso; prenotazione moltoconsigliabile; ferie mai;chiusura a cena in agosto.●Valutazione 8,50; prezzo €36,00; tradizionale, caratte-ristico.

Le vivande servite: frittinidi verdure; filetto di baccalà;primo sale alla griglia; coc-cetto di melanzane con fo-caccia calda; farricello; mez-ze maniche alla gricia; sca-loppine al Cannellino conpuntarelle e carciofo alla giu-dia; tiramisu; caffè.

I vini in tavola: Frascati su-periore Doc 2009, CampoVecchio rosso 2007, Cannelli-no Doc 2006 (tutti della can-tina “Castel De Paolis”).

Commenti: Dopo il salutodel Delegato Giovan BattistaGuerra, ha preso la parola ilVice-Delegato Nicola DelliSanti che ha richiamato l’at-tenzione sulle caratteristiche

LAZIO

“Save the kiwi”Scatta il piano per difendere la produzione. Una rete di controlligestiti dai servizi fitosanitari regionali, procedure standard e mi-sure da mettere in atto, da parte degli agricoltori, polizze assicu-rative garantite da contributi statali. Sono le misure previste daldecreto “salva kiwi”, messo a punto dal Ministero delle PoliticheAgricole per difendere la produzione nazionale - una delle vocipiù importanti della nostra agricoltura - dal “cancro batterico”del kiwi.

(dai giornali)

CURIOSITÀ

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dell’antipasto, eccellente pervarietà e delicatezza e che ri-corda la componente ebraicadella cucina romana tradizio-nale. Successo, altresì, hannoottenuto il farricello (zuppadi farro) e le mezze manichealla gricia, preparazione an-tenata della amatriciana. Lescaloppine cotte con il vinoamabile di Frascati sono sta-te accompagnate da due al-tre preparazioni della piùstretta tradizione: le punta-relle, cioè i gambi più teneridella cicoria catalogna, con-dite con aceto e acciughe sa-late, e i celeberrimi carciofialla giudia, cucinati alla per-fezione. Il tiramisu, a con-clusione dell’eccellente ce-na, ha voluto essere un ri-chiamo alla notorietà di que-sto dessert; il Simposiarca, achiusura del suo intervento,ha infatti ricordato che il ter-mine “tiramisu” figura al se-sto posto tra le parole italia-ne entrate nelle lingue dellaComunità europea. I compli-menti del Delegato e gli ap-plausi calorosi degli Accade-mici hanno ringraziato e sa-lutato, infine, il patron Ro-dolfo Taito e la consorte Co-lomba.

ROMA-CASTELLI5 febbraio 2011

Ristorante “Benito al Bosco”di Benito Morelli. ●Via Meri-ce 96, Velletri (Roma); =069641414. ●Ferie mai; giornodi chiusura martedì. ●Valu-tazione 9,50; prezzo €

50,00.

Le vivande servite: fantasiedi aperitivi e sfiziosità confiori di zucca fritti, borragine,tartine, ricotta, mozzarelle,carciofi fritti, vol-au-vent diformaggi; risotto alle duezucche e provola; fettuccineal ragù di cinghiale; brasatodi manzo con purea di patatee cicoria di campo; cestini difrutta, dolce di castagne ecrêpe alle mele e cannella.

I vini in tavola: bianco dellacasa da Malvasia, Trebbiano,Chardonnay; rosso Terra deiVolsci 2005 da Montepulcia-no, Merlot, Cesanese e San-giovese, azienda Co.Pro.Vi;Moscato di Sicilia Ambar,azienda Florio.

Commenti: Benito Morelli èun pezzo della storia della ri-storazione italiana, nulla vi è

da aggiungere a quanto i cri-tici della gastronomia hannogià detto sul suo ristorante.Dopo il ricco aperitivo, al ta-volo imperiale, la cui mise enplace era stata curata con ele-ganza, gli Accademici hannogoduto l’ottima qualità dei ci-bi, apprezzando la manteca-tura di provola sul riso, le fet-tuccine rigorosamente fatte amano e il brasato marinato alungo nel rosso servito a ta-vola. Molto apprezzati i dolcidella casa, in particolare lamousse di marroni. Il caffè,elegantemente servito, haconcluso la riunione convi-viale che ha visto l’unanimeapprezzamento degli Acca-demici per quanto è stato lo-ro proposto dall’attenta regiadi Roberto, figlio di Benito.

ROMA EUR23 febbraio 2011

Ristorante “Da Flavio al Ve-lavevodetto” di Flavio DeMaio e Lavinia e Alessio An-dreini, fondato nel 1996.●Via Monte Testaccio 97,Roma; =06 5744194, fax06 5746841; coperti 100.●Parcheggio sufficiente; pre-notazione consigliabile; ferie15 agosto e 25 dicembre;giorno di chiusura nessuno.●Valutazione 8,50; prezzo €42,00; caratteristico.

Le vivande servite: aperiti-vo con bruschette e frittinivegetali; cotiche con fagioli;tonnarelli cacio e pepe(amalgamati con olio extra-vergine d’oliva anziché conla sola acqua di cottura);mezze maniche all’amatricia-na; ravioli di ricotta e spinacialla “Velavevodetto” (con su-go di pomodoro ciliegino,basilico, menta romana, timoe origano e mantecati con ri-cotta salata); misto in umido(polpette, involtini e coda al-la vaccinara); polpette frittedi bollito; trippa alla romana;verdure cotte; patate al for-no; tiramisu.

I vini in tavola: Chardon-nay del Lazio Igt e Merlot delLazio Igt (tutti e due dell’a-zienda agricola Casale delGiglio - Le Ferriere, Latina).

Commenti: Il menu, costrui-to con piatti della più autenti-ca cucina romana, è statoproposto con un servizio inu-suale ma adattissimo alla cir-costanza. Gli ospiti hanno

avuto un’ampia opportunitàdi scelta tra i primi piatti piùtipici e una degustazione al-trettanto varia di secondi piat-ti, proposti in tavola su grandivassoi. Nonostante la ricchez-za delle portate, grazie allagenuità e alla freschezza deiprodotti, il menu è risultatonel suo complesso gradevolee digeribilissimo. Basti pensa-re che il maialino dal qualesono state ricavate salsicce,guanciale, prosciutto e coti-che è stato allevato personal-mente da Flavio e le verduresono state coltivate nel suoorto di Cerveteri. Le votazionipiù alte sono andate allemezze maniche all’amatricia-na e agli involtini in umido:perfetti per gusto ed equili-brio di sapori. Singolare maapprezzatissima la propostadei tonnarelli cacio e pepe.Indovinata la scelta dei vini,prodotti da una delle miglioricase vinicole del Lazio, sa-pientemente illustrati dal sig.Fabio Casamassima, uno deiresponsabili dell’azienda agri-cola Casale del Giglio.

VITERBO16 febbraio 2011

Ristorante “La Zaffera” diMeg di Matilde Jacoponi,fondato nel 1984. ●PiazzaSan Carluccio 7, Viterbo;=0761 342714; coperti 200.●Parcheggio incustodito, in-sufficiente, scomodo; preno-tazione consigliabile; feriemai; giorno di chiusura lu-nedì. ●Valutazione 7,70;prezzo € 30,00; elegante,caratteristico.

Le vivande servite: fritti mi-sti; carrellata di salumi di cin-ta senese con bruschette;pappardelle al cinghiale;carré di maiale di cinta sene-se con scamorza e carciofi;bavarese con agrumi.

I vini in tavola: ProseccoContessa Giulia; MorellinoScantianum; Moscato Fiorid’arancio.

Commenti: il Simposiarca eneo Accademico Roberto Ca-poccioni ha portato la Dele-gazione in un ristorante chesi trova in un monastero delXV secolo, nel quartiere me-dievale di S. Pellegrino, e cheprende il nome da un’anforadalla linea corposa e di parti-colare colorazione blu scuro.La peculiarità della splendida

collocazione non è disgiuntada una buona cucina, curatadalla chef e gestrice sig.raMatilde, che ha adottato ilmaiale di cinta senese (peral-tro ampiamente allevato nelViterbese), trattato in ottimafattura. Molto graditi i fritti etra essi le tradizionali frittelledi borragine; ben realizzati lepappardelle e l’insolito dol-ce. Vini adeguati ai cibi e alprezzo, davvero convenien-te. Apparecchiatura raffinata,servizio sollecito e attento.Piacevole serata.

NAPOLI23 febbraio 2011

Ristorante “La Cantinella” diGiorgio Rosolino, fondatonel 1976. ●Via Cuma 72,Napoli; =081 7648684, fax081 7648769; coperti 40.●Parcheggio custodito; pre-notazione consigliabile; feriemai; giorno di chiusura nes-suno. ●Valutazione 8,30;prezzo € 55,00; elegante,accogliente.

Le vivande servite: stuzzi-chino di benvenuto; crudo ecotto di tonno in padella ro-vente su caponatina di ver-durine; gelato all’anice stella-to e riduzione di Aglianico;mezze candele in farcia di ri-cotta di fuscella su soave dipomodoro e pesto di rucola;guancia di vitello cotta a bas-sa temperatura con schiaccia-ta di patate; bietoline al salto;gamberone arrosto e la suasalsa; piccola pasticceria;babà napoletano a tre lievita-zioni.

I vini in tavola: Aglianico.

Commenti: Il Delegato Leo-nardo Bianchi e gli Accade-mici hanno visitato questo ri-storante recentemente rinno-vato, con una gradevole at-mosfera, vicino al mare, il cuichef Agostino Iacobucci ènoto per la capacità di fonde-re sapientemente l’innova-zione con la tradizione. Si ègustato un ottimo crudo-cot-to di tonno; discutibili le

mezze candele, mentre mol-to gradevole la farcia nell’in-terno; ottimo il babà napole-tano a tre lievitazioni. La Se-gretaria Myriam Cimino Fontiha letto “La quadratura delcerchio”, editoriale di GianniFranceschi (pubblicato nellarivista di settembre 2010),che tratta dell’uso e abuso deipiatti diversi dal tradizionale,tessendo l’elogio del piattotondo. Infine ha poi ha ag-giunto: “Meno male che quile pietanze ci sono state servi-te nel piatto tondo che, comeafferma l’autore, è simbolo diperfezione”. La lettura ha ri-scosso grande successo.

ALTAMURA16 febbraio 2011

Ristorante “Tracce” di Giu-seppe Olivieri & C., fondatonel 2007. ●Via Borgo 28,Gravina di Puglia (Bari);=080 3269786; coperti 60.●Parcheggio incustodito;prenotazione consigliabile;ferie luglio; giorno di chiu-sura lunedì. ●Valutazione 8;prezzo € 37,00; rustico, ri-cercato, accogliente.

Le vivande servite: filetto discorfano panato su purea dimelanzane con rucola fritta epomodoro confit; mazzan-colle in pastella avvolte inpasta kataifi; rombo al vapo-re con speck e pepe nero; vi-tello in salsa demi-glace conscamorza affumicata ed erbacipollina; lonza al ginepro;maltagliati con sugo di cicalegreche; tagliata di controfilet-to e funghi cardoncelli fritti;budino soffiato alla vanigliacon “tazzina” di cioccolato alrhum; panna cotta al ciocco-lato su crema inglese; tirami-su della casa; amari e rosolidella casa.

I vini in tavola: Negramarodel Salento Igt “Vecchio So-gno” (tenuta Giustini); Ven-demmia 2007 Pulsano (TA).

Commenti: Il ristorante, ri-cavato all’interno di vecchiecantine scavate nel tufo la-

PUGLIA

CAMPANIA

LAZIO segue

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sciato rigorosamente a vista,è situato nel borgo anticodella caratteristica città dipapa Benedetto XIII, tra isuggestivi vicoli medievali.Grazie a una sapiente illumi-nazione e a originali inter-venti di recupero, il localeoffre al cliente un’atmosferafamiliare e ricercata, degnopreludio a un susseguirsi diportate gustose e creative. Ilmagico connubio mare emonti, graduale e mai forza-to, offre un crescendo di sa-pori e di accostamenti equi-librati e gradevoli. Il giovanepatron, simpatico e disponi-bile, ha contribuito a creareun clima disteso e piacevoletra gli Accademici, che han-no apprezzato la qualità del-le pietanze, l’accostamentodel vino e l’abilità della bri-gata di cucina, riservando alristorante una valutazionepienamente positiva.

BARI24 febbraio 2011

Ristorante “Il Sale” di NicolaDe Girolamo, fondato nel2009. ●Via Marchese diMontrone 50-52, Bari;=080 5228959; coperti 50.●Parcheggio assente; preno-tazione consigliabile; ferieagosto; giorno di chiusuralunedì. ●Valutazione 8,30;prezzo € 40,00-50,00; ele-gante, moderno.

Le vivande servite: degu-stazione di antipasti caldi; ri-sotto ai porcini; calamarata aifrutti di mare; ombrina al for-no con pomodorini e olivetaggiasche; sorbetto al man-darino; dolcetti pugliesi.

Commenti: Il Delegato Ni-cola Sbisà ha voluto organiz-zare una serata dedicata allacucina marinara. La scelta ècaduta su questo interessan-te ristorante di recente aper-tura, che propone nel menuquasi esclusivamente piatti abase di pesce, sebbene conalcune concessioni all’entro-terra, come nel caso dell’otti-mo risotto ai funghi porcini edei più tradizionali spaghetticon le cime di rape. Tutte lealtre vivande servite hannosaputo valorizzare l’ottimaqualità della materia primaittica. La cena è stata prece-duta da una prolusione delDelegato sulla tradizionedella cucina marinara in terradi Bari.

FOGGIA28 gennaio 2011

Ristorante “I Cavalieri” diMichele Cavaliere, fondatonel 2009. ●Via Manzoni 33,Foggia; =0881 722372; co-perti 110. ●Parcheggio incu-stodito, scomodo; prenotazio-ne consigliabile; ferie secon-da e terza settimana di ago-sto; giorno di chiusura mar-tedì. ●Valutazione 7; prezzo€ 30,00; tradizionale.

Le vivande servite: antipastimisti (salumi, formaggi e ver-dure del subappennino dau-no); bruschette; paccheri alragù di cinghiale; laganelle albaccalà; agnello e salsiccia allagriglia; torcinello al forno conpatate; insalata mista; compo-sta di frutta fresca; piccola pa-sticceria con liquori vari.

I vini in tavola: Nero di TroiaIgt e Chardonnay Igt (cantinePrimis, Stornarella, FG).

Commenti: Il menu, concor-dato dal Tesoriere GiovanniPompa col titolare, non hatradito le aspettative degli Ac-cademici, che di questo risto-rante aperto recentementeavevano sentito parlare in ter-mini lusinghieri. È stata ap-prezzata particolarmente lagenuinità degli ingredienti, ingran parte provenienti da al-levamenti e orti a conduzionefamiliare del territorio diSant’Agata di Puglia, terrad’origine del ristoratore. Ipiatti, semplici e schietti, tuttiriconducibili alla tradizionegastronomica locale, sonostati adeguatamente accom-pagnati da un ottimo Nero diTroia. L’unico scompenso èattribuibile alla lentezza delservizio, non giustificata dalnumero dei convitati.

FOGGIA-LUCERA23 febbraio 2011

Ristorante “Osteria fra DueTerre” di G. Tricarico e M.N.Lo Buono, fondato nel 2006.●Via San Lorenzo 4, Troia(Foggia); =0881 977354;coperti 60. ●Parcheggio suf-ficiente; prenotazione consi-gliabile; ferie settembre; gior-no di chiusura martedì.●Valutazione 7; prezzo €

25,00; caratteristico.

Le vivande servite: purea difave con cicorie selvatiche;cavatelli fatti in casa con mi-

sticanza di verdure; coniglioalla cacciatora; pancetta diagnello farcita alla manieradei pastori della transuman-za; patate arrosto; torta diamaretti e mandorle.

I vini in tavola: Variett bian-co 2009, Nero di Troia Exultet2006 Doc (cantine “Le terredel Catapano” - Troia).

Commenti: Accademiciquasi al completo per questavisita a un ristorante ai piedidel subappennino dauno.Prima della cena, il Delegatoha tenuto una breve conver-sazione sulla storia di questaantichissima città. Ben curatoil menu da parte della cuoca,nonché contitolare dell’eser-cizio, che ha raggiunto ilmassimo con l’ottimo coni-glio alla cacciatora.

POLLINOPOLICASTRO

19 febbraio 2011

Ristorante “Panaino” di Pa-naino snc, fondato nel 1963.●Via Rocco Scotellaro 150,Lauria (Potenza); =0973823920, anche fax; coperti100. ●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazione con-sigliabile; ferie mai; giorno dichiusura lunedì. ●Valutazione8; prezzo € 35,00; tradiziona-le, familiare, accogliente.

Le vivande servite: pro-sciutto crudo, capocollo, sa-lame lucano, polentina conpeperoni cruschi, cubettatadi omelette fantasia, tortinodi patate con cicorielle su pu-rea di fagioli, primo sale inpanatura croccante; raviolac-ci di ricotta con porcini; ta-gliolini di castagne con pan-cetta lucana e pecorinoubriaco; arrosto misto diagnello alle erbette, pancetta,salsiccia e provola, galletto altimo; ratatouille di patate,zucchine e peperoni; mascar-pone ai frutti di bosco.

I vini in tavola: Aglianicodel Vulture Igt (cantina socia-le di Venosa, Potenza).

CALTAGIRONE29 gennaio 2011

Ristorante dell’associazione“Pianeta Verde” presso ilbed&breakfast “Rosa deiVenti” di Francesca Giorda-no, fondato nel 1995. ●ViaGelone 53, Caltagirone (Ca-tania); =093 357934; co-perti 20-40. ●Parcheggio cu-stodito; prenotazione consi-gliabile; ferie variabili in au-tunno/inverno. ●Valutazio-ne 8,50; prezzo € 20,00;raffinato, rustico.

Le vivande servite: riso aiprofumi di bosco; cuscus agliantichi sapori; gnocchetti ver-di ai cavolicelli con mandor-le; sfogliatine croccanti concarote, borragine e cardella;frittelle di ceci con erbe dicampo; cestini di pasta frollacon crema di mandorle.

I vini in tavola: Nero d’Avo-la cantine del Nanfro.

Commenti: Dopo l’interes-sante conferenza (aperta alpubblico) del prof. FabioMorreale su “Piante sponta-nee alimentari in Sicilia”, cheha avuto una sala gremita diattenti ascoltatori, la Delega-ta, Simposiarca, ha offertoagli Accademici, per il convi-vio, la cucina biologica della“Rosa dei Venti”. Il menu reci-ta le varie erbe, elaborate conmaestria, servite a tavola condegli sfizi accattivanti: buoniil riso, il cuscus, gli gnocchet-ti; delicate e deliziose le sfo-gliatine e le frittelle, il tuttocoronato dall’ottimo dessert.Il vino si è bene accompa-gnato ai pasti. Svelto e garba-to il servizio. L’AccademicaAdriana Privitera ha decoratol’ingresso, la sala del convivioe la tavola con fiori ed erbe dibosco. Ha fatto onore alla se-rata il Coordinatore della Sici-lia orientale, Mario Ursino.

CALTANISSETTA26 gennaio 2011

Ristorante “San Francesco”di San Francesco catering

srl, fondato nel 2000. ●ViaSignore della Città 16/18,Caltanissetta; =0934 21134;coperti 70+120. ●Parcheggioincustodito, sufficiente; pre-notazione necessaria; feriemai; giorno di chiusura lu-nedì. ●Valutazione 8,50;prezzo € 30,00; elegante,tradizionale, accogliente.

Le vivande servite: canno-lo di tuma e alici; frittella dibaccalà; supplì di ragù di tri-glia e finocchietto; finta ca-pesanta composta da filettidi pesce spada, orata e gam-beri, con un velo di pangrat-tato; calamarata con filetto diorata e gamberi; tortino dispatola alla ricotta e pistac-chio; abbraccio di branzino egambero con ortaggi griglia-ti; crema alla vaniglia confrutti di bosco.

I vini in tavola: Grillo Alta-villa della Corte, Firriato.

Commenti: Piacevole seratae gradito ritorno degli Acca-demici con alcuni ospiti inun accogliente locale che èin continuo divenire e offrepesce freschissimo prove-niente direttamente da Lam-pedusa. Il locale deve il suosuccesso anche alla cordialitàe alla disponibilità dei titolari,Onofrio Iacuzzo e GiuseppeRossi, esperti di buona tavo-la. Bravissimo il giovane chefGiuseppe De Fraia che inter-preta con passione la cucinacreativa, mai banale, del lo-cale. Alcuni commenti degliAccademici testimoniano labuona valutazione per la pia-cevole presentazione deipiatti e il servizio ottimo.Molto buoni gli antipasti e iltortino di spatola. Degno dinota il supplì di ragù di trigliae finocchietto.

CATANIA EST25 febbraio 2011

Ristorante “Bistrot de la Vil-le” di Pica srl, fondato nel2010. ●Via Musumeci 124,Catania; =095 530049.●Parcheggio pubblico, co-modo; prenotazione consi-gliabile; ferie mai; chiusuraa mezzogiorno. ●Valutazio-ne 7,50; prezzo € 35,00; ri-storante con giardino incentro città.

Le vivande servite: crostinicaldi con lardo e con mistodi funghi e provola affumica-

SICILIA

BASILICATA

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ta; taglieri di formaggi serviticon confettura di fichi e mie-le di castagno (ragusano se-mistagionato, pepato fresco,ricotta fresca, tutti siciliani;caciotta e pecorino sardo;fontina piemontese) e di sa-lumi (finocchiona, pancettasteccata e prosciutto di Pra-ga); risotto con taleggio e ra-dicchio; mezzemaniche concarciofi, speck e ragusano;torta tiepida di ricotta e peraalla bella Elena.

I vini in tavola: Rustico Pro-secco di Valdobbiadene di Ni-no Franco; Gewurztraminer diKettmeier; Syrah di Cusuma-no; Marsala Targa Florio.

Commenti: La riunione con-viviale era prevista in un’eno-teca di recente apertura, do-ve la Delegazione avrebbeparlato di vino e abbinamenticon salumi e formaggi. Pur-troppo, per cause di forzamaggiore, si è dovuto dirotta-re tutto, all’ultimo momento,in questo bel ristorante. Nonavendo il tempo materiale diriorganizzare di nuovo il me-nu, si è lasciata la stessa im-postazione studiata per l’eno-teca. In questo nuovo conte-sto, però, i salumi e formaggisi sono rivelati una scelta in-felice sia per la qualità cheper la presentazione, lascian-do un po’ delusi i convitati, acui il sorriso è ritornato sullelabbra al cospetto delle mez-ze maniche con carciofi,speck e ragusano, votate al-l’unanimità come il piatto mi-gliore. Nonostante tutto, laserata, trascorsa nel piacevo-le giardino d’inverno, è riu-scita bene e si è conclusa sor-seggiando un ottimo MarsalaTarga Florio.

CEFALÙ9 gennaio 2011

Ristorante “Lo Spaccio di Co-lombo” di Fabrizio Natae,fondato nel 2009. ●Stradaprovinciale Cefalù-Gibilman-na km 10, Cefalù (Palermo);=0921 423283; coperti50+50. ●Parcheggio pubblico,sufficiente; prenotazione con-sigliabile; ferie gennaio. ●Va-lutazione 8; prezzo € 35,00;familiare, rustico, accogliente.

Le vivande servite: aperitivicon crostini ai formaggi mor-bidi aromatizzati e confetturadi frutta; tortini di verdure;stecche di pere e pecorino;

tartine di polenta con fonti-na; macco di fave con finoc-chietti; pasta con broccolistufati; sella di vitello e invol-tini con patate; semifreddo aifrutti di bosco con tagliata difrutta; salame di cioccolato.

I vini in tavola: Nero d’AvolaBranciforti (Firriato); BiancoInzolia (Baglio di Pianetto).

Commenti: Prima del pran-zo il Delegato, Fabrizio Pisci-tello, e il Vice-Delegato, Sal-vatore Martino, sono interve-nuti sul tema culturale propo-sto: “Gibilmanna: un donodella natura nel Parco delleMadonie”. Entrambi hanno il-lustrato le ragioni dell’incon-tro e rievocato brevementeconsuetudini ed evoluzionedei ritmi di vita negli anni Cin-quanta e Sessanta. Gli avvoca-ti Angelo Agueci e PeppinoPalmeri hanno parlato concompetenza e trasporto dellalocale società contadina e diquella borghese che felice-mente convivevano nel terri-torio. I commensali hannoparticolarmente apprezzatogli aperitivi e gli antipasti non-ché la genuina qualità dei pri-mi piatti e la bontà del desserte dei vini serviti. Fabrizio Na-tale ha svolto il ruolo di Sim-posiarca. Graditi ospiti dellaDelegazione Antonio Ravidà(Delegato di Palermo Mon-dello e Coordinatore per la Si-cilia occidentale) e Lucio Mes-sina (Delegato di Palermo).

MARSALA18 febbraio 2011

Ristorante “I Bucanieri” diAntonino Chirco, fondato nel2005. ●Via Lungomare Me-diterraneo, Trapani; =0923953477; coperti 150. ●Par-cheggio incustodito; prenota-zione consigliabile; ferie mai;giorno di chiusura nessuno.●Valutazione 7,50; prezzo €25,00; tradizionale.

Le vivande servite: bru-schette al pomodoro; for-maggio primo sale alla brace;pomodori secchi ripieni; ca-ponata di carciofi; busiate dipasta fresca con pomodori-no, capperi, ricotta salata, ba-silico e pistacchi di Bronte;“maccu” di fave con finoc-chietto selvatico; grigliata dicarne mista; patate al forno;insalata verde; arance affetta-te; torta di ricotta con man-dorle e cioccolato di Modica.

I vini in tavola: Punta Ettare(cantine Frazzitta).

Commenti: La prima riunio-ne conviviale dell’anno è sta-ta affidata alle cure dell’Acca-demico Felice Parrinello cheha illustrato le vivande consenso dell’humour e doviziadi particolari. La serata è statamolto calda e amichevole,condivisa anche dagli ospiti.La Delegata ha consegnato leinsegne di nuovo Accademi-co ad Antonino Ciulla. Ap-prezzati i nuovi locali del ri-storante, sebbene ancoranon completamente arredati.

MESSINA26 gennaio 2011

Trattoria “Lungomare daMario” di Mario Genovese,fondata nel 1978. ●CorsoVittorio Emanuele 108, Mes-sina; =090 42477; coperti110+70. ●Parcheggio pubbli-co; prenotazione non neces-saria; ferie due settimanenella seconda metà di settem-bre; giorno di chiusura mer-coledì. ●Valutazione 7,60;prezzo € 35,00; tradizionale.

Le vivande servite: antipa-sto della casa (insalata di ma-re, caponatina, melanzanesott’olio, salame, formaggiofresco pepato, fritti di melan-zane e cavolfiore); risotto allapescatora; maccheroncini al-la Norma; pasta e patate; bra-ciolettine di carne alla messi-nese; salsiccia alla griglia; pe-sce stocco alla ghiotta; patati-ne fritte e finocchio all’insala-ta; pera al forno.

I vini in tavola: vino dellacasa.

Commenti: Una folta rap-presentanza della Delegazio-ne ha visitato, dopo altri loca-li vecchi e nuovi la cui voca-zione è la riscoperta e la valo-rizzazione della cultura cuci-naria messinese, questo risto-rante, fondato più di trent’an-ni fa a pochi metri dalla ban-china del molo di fronte allastele della Madonnina delporto. Il locale, a pochi passidal Teatro Vittorio Emanuele,può essere considerato il ri-storante degli artisti, che lofrequentano durante le provee dopo gli spettacoli, cometestimoniato da locandine emanifesti che ne decorano lepareti. La Delegazione hacomplessivamente apprezza-

to la cucina, attribuendo unavalutazione di eccellenza allebraciolettine alla messinese ealla pasta e patate e dimo-strando gradimento per il raf-finato dessert e per il buon vi-no di campagna di sapore de-ciso e dal colore rubino. IlDelegato ha voluto sottoli-neare l’apprezzamento con-segnando a Mario il guidonci-no dell’Accademia.

PALERMO11 febbraio 2011

Ristorante “A Cuccagna” diCarmelo Sammarco, fonda-to nel 1974. ●Via Principedi Granatelli 21/A, Palermo;=091 587267; coperti 120.●Parcheggio scomodo; pre-notazione consigliabile.●Valutazione 8; prezzo €

28,00; tradizionale.

Le vivande servite: antipa-sto tipico siciliano (focaccinacon milza e ricotta, caponatadi melanzane, zucca rossa inagrodolce, sarde a beccafico,panelle, crocchette di patate,frittelle di ricotta fritte); tim-ballini tipici palermitani consarde; broccoli e anelletti alforno; spigola di mare glassa-ta al forno e gamberoni algratin; patate prezzemolate;macedonia di frutta fresca;pastarelle di mandorle diproduzione di propria.

I vini in tavola: Grillo Fleur,casa vinicola Rapitalà; Mo-scato Passito di Pantelleria.

Commenti: Serata ben nu-merosa di Accademici, con-sorti e ospiti. Simposiarcal’Accademico Gaetano Giar-russo, amico del titolare, concui ha presentato il menu.Ottimo e apprezzato l’antipa-sto, come i primi. Trionfo peril pesce: un’ombrina di marefresca di circa otto chili pre-sentata intera e porzionata avista. Ottimo servizio. Ap-plausi allo chef e compli-menti per l’accoglienza al ti-tolare, figlio di uno dei piùantichi maître di Palermo.

PALERMO MONDELLO3 febbraio 2011

Ristorante “Villa Antigone”di Giulio Vicari, fondato nel1995. ●Via Antigone 40, Pa-lermo; =091 454306, fax091 450637; coperti 120.●Parcheggio incustodito,

sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie mai; gior-no di chiusura nessuno.●Valutazione 7,50; prezzo €45,00; tradizionale.

Le vivande servite: fritti dicarciofi e spiedini; sfincione;bavette ai frutti di mare; insa-lata di pesce “Villa Antigone”;parfait di mandorle con cioc-colata calda; mandarini, fi-nocchi.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene; bianco Catar-ratto “Principe di Corleone”(cantina Pollara di Partinico).

Commenti: Prima riunioneconviviale del 2011 per acco-gliere tre nuovi Accademici:Lietta Margiotta Traina, Car-men Tagliavia e Girolamo Cu-simano. Menu semplice macurato e proposto con garbodai proprietari e dal personaledi uno dei ristoranti più ap-prezzati della località balnea-re Mondello-Partanna. Ap-prezzati il cibo e l’accoglienzain un ambiente che ha ricevu-to voti maggiori rispetto aquanto portato in tavola, chepure è stato ben valutato daquasi tutti gli Accademici, iquali comunque si aspettava-no qualcosa di più dal secon-do piatto, che “Villa Antigo-ne” in futuro potrà proporrecon miglior convinzione.Omaggio alle arance con lespremute e ai mandarini pro-fumati della Conca d’Oro.

SIRACUSA28 gennaio 2011

Ristorante “Broadway” di Er-manno Campo, fondato nel2009. ●Via del Porto Grande28, Siracusa; =0931 61698;coperti 90. ●Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; feriemai; giorno di chiusura nes-suno. ●Valutazione 8,22;prezzo € 30,00; elegante,accogliente.

Le vivande servite: torrettadi melanzana, tonno e po-modoro Pachino, gamberonedi Mazara al miele ibleo; ri-sotto con i frutti di mare alprofumo di maggiorana; car-toccio dello Ionio al timo enepitella; patata di Siracusa afunghetto; cannolo di ricottascomposto.

I vini in tavola: bianco“Alcamo” 2009, rosso “Chia-

SICILIA segue

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ramonte” 2008 Igt Sicilia (en-trambi dell’azienda agricolaFirriato di Paceco); Moscatodi Siracusa “Pizia” 2009(azienda Monterosso di Sira-cusa).

Commenti: Il Delegato An-gelo Tamburini, ha dato noti-zie sulle più importanti mani-festazioni del 2011. L’Accade-mico Pino Lombardo, Sim-posiarca del convivio, hapresentato l’interessante ecolta relazione “L’erba in ta-vola”, conquistando l’udito-rio con le attente e puntualiinformazioni scientifiche, ar-ricchite da aneddoti e da an-tichi e gustosi spunti gastro-nomici. L’applauso lungo econvinto ha sottolineato l’e-vidente impegno, unitamen-te alla passione accademica.Di seguito il maître-somme-lier Alessandro Carrubba hapresentato i vini abbinati almenu. Il maestro di cucinaMassimiliano Terrano ha da-to, poi, riferimenti sull’elabo-razione delle portate: ognipietanza, presentata e deco-rata con arte, ha realizzatoun perfetto connubio fra ma-re e profumi e aromi degliIblei, riscuotendo una valu-tazione molto positiva; ec-cellente il servizio, attento,gentile e pronto. Il Delegatoha proceduto alla consegnadel guidoncino e della vetro-fania accademica alla brigatadi cucina e di sala e ha con-cluso il simposio col tradi-zionale tocco della campana.

SIRACUSA20 febbraio 2011

Ristorante “Marea OrtigiaPunta Est” di Luigi Salvoldi,fondato nel 2009. ●Riva Na-zario Sauro 6/7, Siracusa;=0931 461809; coperti 100.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie 15 giornia gennaio; giorno di chiusu-ra lunedì. ●Valutazione8,35; prezzo € 30,00; ele-gante, accogliente.

Le vivande servite: fantasiadi antipasti “Marea”; risottoagli scampi; tonno alla sira-cusana; insalata di aranciarossa di Lentini; tortino di ri-cotta e pistacchi di Bronte.

I vini in tavola: Grillo “Alta-villa della Corte” 2009 Igt Si-cilia e Nero d’Avola Cabernet“Altavilla della Corte” 2007

Igt Sicilia (ambedue dellacantine Firriato, Paceco); Mo-scato “Duca di Castelmonte”Igt Sicilia (cantine Carlo Pel-legrino, Marsala, Trapani).

Commenti: Il pranzo delladomenica è stato celebratofestosamente con la grandefamiglia accademica in occa-sione del simposio di feb-braio. Il Delegato AngeloTamburini ha formulato unbenvenuto e un ringrazia-mento speciale al Vice-Presi-dente Benito Fiore e ai nuoviAccademici Concetta Aloi,Salvatore Matarazzo e Giu-seppe Moscuzza, ai quali so-no state consegnate le inse-gne accademiche. A seguire ilSimposiarca, l’AccademicoEmanuele Romeo, ha presen-tato una breve, colta, interes-sante e molto applaudita rela-zione su “La pesca del tonno.Economia, storia e tradizionedel Sud-Est siciliano”. È statopoi servito il pranzo: una se-quenza di prelibate prepara-zioni gastronomiche dellochef Salvatore Tommasi che èstato infine gratificato, unita-mente al maître FrancescoAliano, regista di un servizioben curato, dalla consegnadel guidoncino accademico edella vetrofania da parte delDelegato che, al tocco dellacampana, ha concluso il sim-posio.

CAGLIARI CASTELLO26 gennaio 2011

Ristorante “Peek a Boo” diGiorgio Blandina, fondatonel 2010. ●Via Pacinotti 4,Cagliari; =070 3495393;coperti 50. ●Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; feriemai; giorno di chiusura nes-suno. ●Valutazione 8,50;prezzo € 45,00; raffinato.

Le vivande servite: cestinet-to di “purpuzza” (trito di car-ne di maiale) con finocchiet-to selvatico; flan di fiore sar-do di Gavoi e purè di pere;lasagnetta con ragù di agnel-lo e fiore sardo di Gavoi; bra-

sato di bue rosso alla birra diMaracalagonis e purè di pata-te allo zafferano; sbriciolatadi bignè alla crema chantilly.

I vini in tavola: Crisaore;Cagnulari in purezza Igt; Iso-la dei Nuraghi (cantina Feudidella Medusa, Pula, Cagliari);Aristeo; Nasco, Malvasia Igt(Feudi della Medusa, Pula,Cagliari).

Commenti: Locale di recen-te fondazione, ricavato all’in-terno del mercato cittadino diSan Benedetto, reso famosodalla descrizione di David H.Lawrence. Il locale è apertodalle prime ore della mattinafino a notte tarda. Il Simpo-siarca Aldo Vanini ha intro-dotto con una breve relazio-ne sui rapporti tra cinema etavola. Ideato dallo chefGiorgio Blandina, il menupresentava ricette innovativebasate su ingredienti del ter-ritorio che sono state moltoapprezzate dai commensali.Eccellente l’accostamento deivini, in perfetta armonia conle vivande e nel rispetto dellaproduzione del territorio.Servizio attento ed efficiente,con ottima scelta di tempi trale varie portate. La serata,molto ben riuscita, ha visto lapresenza di numerosi ospiti esi è conclusa con il positivoesame delle vivande e dei vi-ni serviti.

NUORO27 febbraio 2011

Ristorante “La Rusticana” diLuca e Rosaria Coppioli, fon-dato nel 2009. ●Corso IV No-vembre 12, Sorgono (Nuo-ro); =0784 60364; coperti90. ●Parcheggio incustodito;prenotazione consigliabile;ferie mai; giorno di chiusuragiovedì. ●Valutazione 8;prezzo € 35,00; familiare.

Le vivande servite: fagiolicon cotiche; frittatina di car-ciofi; crostino “marandula” emiele con noci; panzerottocicoria e pecorino; prosciuttocrudo nostrano e salame;crespellina ai porcini su fon-duta di taleggio; strozzapretiagli asparagi selvatici con ri-cotta revisale; tagliata dimanzo “Rusticana” con peco-rino di fossa e tartufo sardo;coniglio in porchetta con pa-tate sabbiose; semifreddo altorroncino; mascarpone allefragole.

I vini in tavola: Antiogu(cantine Fradiles - Atzara);Calamaera (cantine MarioBarracciu - Sorgono); DocRosso (cantine Mandrolisai -Sorgono); Tendura passitodel Mandrolisai.

Commenti: Menhir, nuraghie fonti sacre hanno mostratoagli Accademici lo spettaco-lare paesaggio del Mandroli-sai. La terra ricca di doni del-la natura (porcini, asparagi,verdure d’ogni genere) e diallevamenti di alta qualità siritrova nella cucina della “Ru-sticana”. In un ambiente fa-miliare, Luca e Rosaria, utiliz-zando tutti i prodotti del luo-go, hanno fermato il tempocon il connubio di due terrericche di storia e di gastrono-mia, La Romagna e il Man-drolisai hanno così sposatogli strozzapreti con gli aspara-gi selvatici, “marandula”(guanciale) con le noci e ilmiele, il coniglio e il maiale, iporcini e il taleggio. Tutto le-gato alla cucina di casa, consemplicità e amore per le co-se che si fanno sapendole fa-re. Un servizio professionalecon tempi abbastanza giusti,educato, gentile e sorridente.Vini che esaltano un territo-rio. Una particolare menzioneal Tendura, vino bianco diuve stramature che degna-mente ha accompagnato ildessert a base di torrone diTonara e di crema pasticciera.

ORISTANO12 febbraio 2011

Ristorante “Grekà” di Fran-co e Denise Putzolu, fondatonel 2009. ●Via Marceddi195, Terralba (Oristano);=0783 81761; coperti25+30. ●Parcheggio incusto-dito, sufficiente; prenotazio-ne consigliabile; ferie mai;giorno di chiusura lunedìsera. ●Valutazione 7,50;prezzo € 38,00; elegante.

Le vivande servite: fagottinodi prosciutto di Monte Linnascon mousse di caprini e for-maggi freschi all’aceto balsa-mico e sapa; fragolina artigia-nale al ragù di bue rosso delMontiferru e ricottina mustia;tagliata di vitellone di Bortiga-li cotto alla brace, rucola sel-vatica e carciofi di Sardegna;tortino di pere e limone.

I vini in tavola: Sustanzia,Monica di Sardegna e Majo-

rale riserva Doc (ambeduedella cantina del Bovale).

Commenti: Dopo la visitacon aperitivo alla Cantina delBovale di Terralba, gli Acca-demici si sono recati nel pic-colo ma interessante risto-rante “Grekà”, dove Francoin cucina e Denise in salahanno ottimamente interpre-tato un menu di carne coningredienti a chilometro ze-ro. Il ristorante si distingueper la ricerca e l’uso di otti-me materie prime e Francone fa un uso semplice e raffi-nato, il tutto completato conun’ottima carta dei vini pre-valentemente del territorio.La cucina, soprattutto di car-ne, su prenotazione preparaanche interessanti menu dipesce, rigorosamente fre-schissimo.

BRUXELLES27 gennaio 2011

Ristorante “Filosofia Italia-na” di Pino Rigante, fondatonel 2005. ●Waversesteenweg52, Overijse; =322 7679300;coperti 60. ●Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; ferieagosto; giorno di chiusuramartedì. ●Valutazione 7,44;prezzo € 55,00; accogliente.

Le vivande servite: scagliedi grana padano; taleggio fu-so, speck e insalatina di ruco-la; cozze gratinate; zuppettadi vongole veraci e gamberi;risotto alla zucca con zaffera-no e rosmarino; risotto al ta-leggio e radicchio di Treviso;maialino al forno con patatee rosmarino; puntarelle e car-ciofi saltati; torta della nonna.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene (Zardetto)extra dry Docg; Regolo rossoveronese Igt 2004 (Sartori);Barbaresco Docg La casa incollina 2006; Tanit, Moscatodi Pantelleria Doc (Tascad’Almerita).

BELGIO

SARDEGNA

EUROPA

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Commenti: In tema con lepietanze della serata, l’Acca-demico Carlo Pagliacci ha te-nuto una prolusione sul riso:storia, origini, diffusione nelmondo e soprattutto le ragio-ni della sua affermazione tra ipiatti dell’eccellenza italiana.Il ristorante è situato a pochichilometri da Bruxelles, inzona fiamminga, ed è statouna gradita scoperta. L’arre-do in stile contemporaneo,gradito a un pubblico giova-ne, e le pietanze della tradi-zione pugliese, sono le chia-vi del suo successo. Dopomolti anni di attività si è af-fermato presso una clientelalocale e internazionale. Lepietanze, rigorosamente del-la tradizione gastronomicaitaliana, sono state ben pre-sentate e hanno ricevutol’apprezzamento degli Acca-demici. Il servizio, effettuatodagli stessi gestori, è efficien-te e cortese. Ottimo rapportoqualità/prezzo.

HELSINKI24 febbraio 2011

Ristorante “Rodolfo” di AnttiEronen, Restomen Oy.●Kirkkokatu 5, Helsinki;=09 625024; coperti 80.●Parcheggio incustodito;prenotazione consigliabile;ferie luglio; giorno di chiu-sura domenica. ●Valutazio-ne 6; prezzo € 85,00; acco-gliente.

Le vivande servite: pastafresca con funghi porcini; vi-tello tonnato; bistecca allafiorentina.

I vini in tavola: LacrymaChristi, Ripasso della Valpoli-cella (Zenato).

Commenti: Il ristorante è si-tuato in centro, in un postotranquillo dietro la cattedraledi Helsinki. Dice di essere ilristorante italiano più anticoin città. Ambiente tranquilloe accogliente. Usa nomi tipiciitaliani nel menu che però èspesso molto finlandesizzato.Cucina di medio livello, ser-vizio gentile, antipasti italia-ni, carne buona ma spessovengono utilizzate materieprime non di alta qualità.Può andare bene per il mez-zogiorno ma non per una se-rata. Ha molto da migliorare,specialmente per l’uso di ma-

terie prime e il rapporto qua-lità/prezzo. Vini buoni.

PARIGI9 febbraio 2011

Ristorante “L’Assaggio” diStarhotels. ●33 rue Cambon,Parigi; =00331 44584458.●Parcheggio in place SaintHonoré; prenotazione neces-saria. ●Valutazione 8,21;prezzo € 75,00; elegante ecurato.

Le vivande servite: burratadella Puglia; caponata di me-lanzane alla siciliana e fresel-le; sciliatella, calamari, sena-pe e scorze di limone; risottocon quaglie e tartufo nero;tagliata di filetto di manzo,rucola, parmigiano reggianoe salsina al tartufo nero; minibabà, panna cotta e tiramisu.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene; Verdicchio2004 Castelli di Jesi, Battaglia,Le Moie; Lacryma bianco2009, Mastroberardino; Neb-biolo 2009, Boschi Berri; DonAntonio 2005, Morgante.

Commenti: Serata ben riu-scita in un’atmosfera di vivacordialità tra gli Accademici ealcuni amici. Ristorante ele-gante e accogliente, che pro-pone una cucina ispirata aigrandi classici italiani, rivisi-tati con misura secondo i gu-sti attuali. Perfetta la qualitàdelle vivande, ben rispettati isapori nei vari accostamenti.Vasta ed eccellente la sceltadei vini, tra i quali qualche“gioiello”. Servizio in armo-nia con il tono del ristorante.

AMSTERDAM-LEIDEN29 gennaio 2011

Ristorante “Pianeta Terra”,fondato nel 2000. ●Beuling-straat 7, Amsterdam; =0031020 6261912; coperti 50.●Parcheggio nelle vicinan-ze; prenotazione preferibile.●Valutazione 8; prezzo €

65,00; tradizionale.

Le vivande servite: amusedi burrata, gelatina di pomo-dori e caviale di verdura; ca-pesante gratinate con guan-ciale di cinta senese e pomo-dori secchi; tortelli con radic-

chio rosso e robiola artigiana-le di Roccaverano; stracottodi cinghiale con tortino di se-dano rapa e broccoletti ripas-sati; intermezzo di caprini dimalga; torta di ricotta di pe-cora all’aceto balsamico vec-chio con melagrana fresca.

I vini in tavola: IncrocioManzoni bianco 2009, azien-da agricola bio Pratello; Alba-na di Romagna 2009, Vignadella Rocca, azienda agricolaTre Monti; Altrove rosso2006, azienda agricola bio “IlGiardino”, Vinci; Gocced’Ambra passito 2008, Casad’Ambra, Ischia; Moscato par-zialmente fermentato 2009,azienda agricola bio Lozza.

Commenti: Per la prima riu-nione conviviale dell’anno, laDelegazione, quasi al com-pleto, ha visitato un localeche si distingue per la pre-sentazione moderna dellacucina italiana tradizionale eper una scelta molto attentadelle materie prime. In parti-colare, lo chef e comproprie-tario Fabio Antonini fa uso dialimenti e vini provenienti dapiccole produzioni di qualità.Gli Accademici hanno potutogustare un menu ben bilan-ciato e presentato con gran-de cura. In particolare, l’abbi-namento tra capesante eguanciale e i ravioli ripieni dirobiola e radicchio hannoraccolto il plauso e il tris dicaprini di malga ha suscitatounanime entusiasmo. Anchel’abbinamento dei vini si è ri-velato ben studiato e sonostati apprezzati dei vini parti-colari, come l’Incrocio Man-zoni bianco del Garda bre-sciano e il delizioso Passitodi Ischia, mirabilmente com-binato ai formaggi. Il giudiziocomplessivo è stato pertantopiù che positivo.

UTRECHT5 febbraio 2011

Ristorante “Porto Cervo” diFederico Mocci. ●Grotemarkt3, Almere; =0031 365300723; coperti 120+72.●Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie mai; gior-no di chiusura nessuno.●Valutazione 8; prezzo €

60,00; familiare, accogliente.

Le vivande servite: canno-licchi di nocciola ripieni diformaggio di capra con mar-

mellata di zucca; carpaccio ditonno con battuto freddo dipizzaiola, bottarga di muggi-ne e asparagi di mare; “mal-loreddus” alla campidanese;sorbetto al gusto di mela ver-de e limoncello; stinco d’a-gnello cotto a bassa tempera-tura con Vernaccia di Orista-no e carciofi ripieni di ricottadi pecora e menta; gran des-sert della casa; caffè e mirtofatto in casa.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene superioreDocg extra dry (Borgo Moli-no Veneto); Vermentino diSardegna Doc (Sardus Pater);Lambrusco secco Grasparos-sa di Castelvetro (C. Chiarli);Cabernet Sauvignon (BorgoMolino Veneto); Moscatod’Asti Docg (Albino Rocca);Chambave Moscato Passito(La Crotta di Vegneron, Valled’Aosta).

Commenti: Questa volta ilSimposiarca Massimo Berta-na ha fatto conoscere il risto-rante di Federico Mocci, sar-do trapiantato in Olanda. Lesorprese sono cominciate su-bito, con gli originali canno-licchi, molto graditi, anche sea qualcuno non è piaciuto ildolce come stuzzichino. Otti-mo il carpaccio, con molti in-gredienti, ben assortiti. Il Ver-mentino ci stava bene. I “mal-loreddus” con la salsiccia dasoli erano un pranzo. Un gu-sto che armonizzava con ilLambrusco secco. Dopo unpiatto così ci voleva un sor-betto: questo era gradevolis-simo. Pure dell’agnello po-tremmo dire che era un pastoa sé: cotto come si deve eben abbinato col Cabernet.Dessert molto vari, uniti alloChambave che ha avuto mol-to successo. Federico ha vo-luto dimostrare il suo apprez-zamento per l’Accademia ser-vendo un pranzo della festa,come si usa in Sardegna. At-mosfera italiana, servizio at-tento e corretto, buon rap-porto qualità/prezzo.

LONDRA31 gennaio 2011

Ristorante “Dolada” di Ric-cardo De Prà, fondato nel2009. ●13 Albemarle Street,Londra; =4420 74091011;coperti 70. ●Parcheggio in-custodito; prenotazione ne-

cessaria; giorno di chiusuradomenica. ●Valutazione7,80; prezzo € 55,00; ele-gante.

Le vivande servite: bignè altaleggio; fritto alla veneziana;bruschettine; zuppa d’orzocon pancetta e croccante alparmigiano; orecchiette concime di rapa; guance di cin-ghiale brasate; fagottini alcioccolato con pere e gelatoalla cannella.

I vini in tavola: Dom Domivino spumante extra dry, Pi-not bianco Doc 2009 “VillaCaratti”, Valpolicella RipassoDoc 2007 “Grotta Ninfeo”,Recioto della Valpolicella Doc2007 “Grotta del Nonfeo”(tutti Domenico Fraccaroli).

Commenti: Primo appunta-mento dell’anno ma secondasortita della Delegazione diLondra nell’elegante ristoran-te “Dolada”, questa volta peruna missione speciale: il con-ferimento del diploma di“Buona cucina” allo chef pa-tron Riccardo De Prà, genialecultore della nostra miglioretradizione cucinaria. Il temaconcordato con lo chef: cuci-na d’inverno, la cacciagione.Un menu all’insegna di clas-sici piatti invernali: dagli stu-pendi stuzzichini caldi allazuppa d’orzo delle Dolomiti,al cinghiale di rito, per cele-brare l’ultimo giorno dellastagione venatoria. Una sera-ta molto speciale e perfinoemozionante per l’opportu-nità che ha dato alla Delega-zione di esprimere un caloro-so ringraziamento al Delega-to uscente e Vice-Presidente,Benito Fiore, il vero “fiore al-l’occhiello” della Delegazio-ne per il suo vasto contributodato all’Accademia in 22 annidi attività. È stata anche l’oc-casione per porgere il benve-nuto ufficiale a Maurizio Faz-zari, nuovo Delegato, contanti auguri.

BARCELLONA31 gennaio 2011

Ristorante “0039” di Umber-to e Simone Bufallari, fon-dato nel 2009. ●CalleLaforja 130, Barcellona;=0093 5276914, anche fax;coperti 21. ●Parcheggio cu-stodito, sufficiente; prenota-zione non necessaria; ferie a

SPAGNA

REGNO UNITO

OLANDA

FRANCIA

FINLANDIA

BELGIO segue

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 63

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

metà agosto; giorno di chiu-sura domenica. ●Valutazio-ne 9; prezzo € 40,00; fami-liare.

Le vivande servite: aperiti-vo italiano (bruschette varie,scamorza con guanciale, po-modorini cherry e pesto);spaghetti alle vongole d’A-driatico; tagliata di rucola egrana; millefoglie di cioccola-to e crema.

I vini in tavola: ProseccoValdo, Valdobbiadene supe-riore; Fiulot 2008 Barberad’Asti cantina Prunotto.

Commenti: Cucina italianaaccurata e ben presentata inun locale con cucina a vista.Buone la professionalità el’accoglienza.

ISTANBUL17 gennaio 2011

“Sans Restaurant” di NisoAdato, fondato nel 1992.●Haci Adil Caddesi, 6 aralikNo 1, Levent; =212 2810707;coperti 150. ●Parcheggiosufficiente; prenotazione ne-cessaria; ferie mai; giorno dichiusura nessuno. ●Valuta-zione 8; prezzo € 120,00;elegante.

Le vivande servite: gamberiimpanati nella tonda gentile;bocconcini di salsiccia di Bra;alici farcite; coscette di qua-glia al profumo di liquirizia;medaglioni di astice cotti alvapore con crema di fagioli etartufo bianco; uovo in co-cotte con tartufo bianco ser-vito nello scrigno; risottinocon cardi gobbi di NizzaMonferrato, acciughe e tar-tufo bianco; trancio di bran-zino; macedonia dolce difrutta e verdura con sorbettoal frutto della passione e favedi Tonca.

I vini in tavola: Karma Na-rince 2008 (Chardonnay); Si-gnium 2008; Safir 2008.

Commenti: Lo chef di “LaCiau del Tornavento”, Mauri-lio Garola, e la moglie CeciliaMonte hanno cucinato per lanostra cena. Conosciuti dueanni fa ad Alba, durante ilviaggio della Delegazione so-no giunti a Istanbul per por-tare i loro piatti deliziosi agliamici Accademici.

BUDAPEST24 febbraio 2011

Ristorante “La Bottega dellaFamiglia” di AlessandroManfredini, fondato nel2010. ●Sende Pal. u. 5, Bu-dapest; =36 1 2350290; co-perti 40. ●Parcheggio scomo-do; prenotazione consigliabi-le; ferie mai; giorno di chiu-sura domenica. ●Valutazione6,98; prezzo hf 8.000 (€

32,00); familiare, accogliente.

Le vivande servite: stuzzi-chini della casa; miniparmi-giana di melanzane in spumadelle stesse; fegatini d’oca sal-tati ai funghi con sfizio di risopilaf; guance di manzo all’o-lio d’oliva nuovo con polentataragna; gelato mantecato allacrema con scaglie di ciocco-lato e noci caramellate; stru-del di crêpe alle mele gratina-to con salsa tiepida di ciliegieal profumo di cannella.

I vini in tavola: Prosecco(Mionetto); Bardolino Doc2010 (Cesari); Chianti classi-co riserva 2007 (Leonardo).

Commenti: In una tipica se-rata invernale gli Accademicihanno rivisitato, dopo un an-no dall’apertura, questo risto-rante-degustazione con unmenu scelto dal Simposiarcain linea con il clima esterno. Icommensali hanno potutoconstatare che lo chef Ales-sandro Manfredini, di origineemiliana ma di formazionebergamasca, ha mantenuto isapori e lo standard di qua-lità del cibo come nella visitaprecedente. Particolarmenteapprezzati sono stati le guan-ce di manzo e i dessert, vera-mente notevoli. L’ambiente èfamiliare, accogliente e lumi-noso; il personale gentile, maun po’ discontinuo nel servi-zio. Il clima è più di una buo-na trattoria familiare, da cui ilnome. Il Simposiarca ha rela-zionato i presenti sul tema:“Le acque minerali a tavola”.

MELBOURNE22 febbraio 2011

Ristorante “Sosta Cucina” diMaurizio Santucci, fondatonel 2006. ● 12 Errol Street,North Melbourne; =61393292882, fax 613 93297882;coperti 60. ●Parcheggio incu-stodito; prenotazione consi-gliabile; ferie variabili; giornodi chiusura lunedì. ●Valuta-zione 7,70; prezzo € 70,00;caratteristico.

Le vivande servite: aperiti-vo con stuzzichini (crostinicon paté di fegato, prosciuttoe melone); sardelle “in saor”e baccalà mantecato; “risi ebisi”; anatra col “pien”; bi-gnole al cioccolato.

I vini in tavola: BellussiProsecco di Valdobbiadene;Tamellini Soave classico Doc2009; Sansonina Lugana2008; Zenato Valpolicellaclassico superiore Doc 2007;Tamellini Recioto di SoaveVigna Marogne Docg 2007.

Commenti: Il tema del pri-mo convivio 2011 era “La cu-cina delle Tre Venezie”, e il ti-tolare del ristorante, MaurizioSantucci, ne ha proposto al-cuni piatti tipici. Il Delegatoha descritto il territorio delleTre Venezie e le influenze ga-stronomiche nei secoli, inparticolare quella bizantina aVenezia. Le sardelle al “saor”hanno avuto un buon con-senso, mentre il baccalà man-tecato (anziché lo stoccafisso)ha in parte tradito le aspettati-ve. I “risi e bisi” hanno avutoun discreto consenso, anchese differivano da quanto indi-cato dall’Accademico Gian-carlo Giusti, di origini vero-nesi, che ha fedelmente de-scritto la ricetta originale. L’a-natra aveva un ripieno ecces-sivamente ricco e, presentata

a forma di una rollata affetta-ta, non ha avuto il consensodi tutti. Le bignole al ciocco-lato erano molto unte e unmarcato sapore di olio frittosovrastava quello del ciocco-lato. L’abbinamento dei viniera ben composto. Il servizioè risultato veloce e premuro-so. A fine serata, il titolareMaurizio Santucci ha descrittola scelta dei vini e l’abbina-mento con le vivande, quindiil Delegato gli ha consegnatoil guidoncino accademico.Gradita la presenza dell’Acca-demico onorario AlessandroSorrentino.

RIO DE JANEIRO22 febbraio 2011

Ristorante “Cipriani” del-l’hotel “Copacabana Pala-ce”, fondato nel 1994. ●Ave-nida Atlantica 1702, Copa-cabana; =25487070. ●Par-cheggio custodito; prenota-zione necessaria; giorno dichiusura domenica. ●Valu-tazione 9; prezzo reais230,00 (€ 100,00); raffinato.

Le vivande servite: cremabruciata di fegato grasso conragù di pera; tortino di trigliacon caponata e agretto di po-modoro; tagliolini verdi “Ci-priani” gratinati al prosciutto;duetto di faraona e agnellocon tortino di melanzane;millefoglie con crema mous-seline e salsa vaniglia, caffè epasticceria.

I vini in tavola: Pinot grigioCorte Giara Igt 2009; Bran-caia Ter Maremma Igt 2008.

Commenti: La serata si èsvolta in un ambiente piace-volissimo ed elegante, convista sulla bellissima piscinadell’hotel. Aperitivo e stuzzi-chini sono stati serviti sotto lasupervisione del maître

Hervé. Il servizio cortese eimpeccabile. Il menu propo-sto è stato molto apprezzato,in particolare i tagliolini “Ci-priani”, piatto forte del risto-rante. La Delegata FernandaMaranesi ha intrattenuto gliAccademici con una breveconversazione sulla differen-za tra il fegato grasso dellacucina italiana e il foie gras diquella francese. Lo chef Ni-cola ha poi illustrato l’originedelle pietanze servite. Ottimii vini, in modo particolare ilBrancaia.

SAN PAOLO14 dicembre 2010

Ristorante “Biondi” di BrunoPreviato e Caco Ciocler, fon-dato nel 2010. ●Rua Pedro-so Alvarenga 1026, San Pao-lo; =11 30785273; coperti60. ●Parcheggio custodito;prenotazione consigliabile;ferie Natale e Capodanno;giorno di chiusura domeni-ca. ●Valutazione 9; prezzoreais 180,00 (€ 70,00);d’affari, moderno, con ariacondizionata.

Le vivande servite: tartaredi salmone con carciofini;tortelli di coda alla vaccinaracon scaglie di pecorino ro-mano; carré d’agnello conpatate e funghi; semifreddoal cioccolato e nocciole concrema di caffè.

I vini in tavola: Pinot grigio2009 (Alois Lageder); ChiantiColli Senesi Caspagnolo 2009(Poggio Salvi); Rubesco ros-so di Torgiano 2006 (Lunga-rotti).

Commenti: L’ultima riunio-ne conviviale dell’anno è sta-ta particolarmente sentita daAchille Marco Marmiroli che,dopo aver diretto la Delega-zione per oltre vent’anni, hadeciso di ritirarsi ed è statonominato Delegato onorarioper il suo costante impegnoe la proficua attività. Il nuovoDelegato Gerardo Landulfoha ringraziato Marmiroli e hadato la parola a Sergio Mag-gi, il più anziano degli Acca-demici, e al senatore Edoar-do Pollastri, incaricato diconsegnare un piccolo ricor-do al Delegato uscente, in unmomento di grande emozio-ne. La cena è stata all’altezzadell’occasione. In cucina ilgiovane chef Rodolfo DeSantis, pugliese di Gallipoli,

BRASILE

AUSTRALIA

UNGHERIA

TURCHIA

N E L M O N D O

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 64

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

cresciuto a Milano, con espe-rienza in locali di alto livello.Fra i piatti sono stati moltograditi, per la sorprendentedelicatezza, i tortelli di codaalla vaccinara. Da segnalareanche la cordialità e l’entusia-smo del proprietario BrunoPreviato, che si è sentito mol-to onorato di ricevere unaDelegazione dell’Accademia.

CITTÀ DEL MESSICO19 gennaio 2011

Ristorante “Romina” di Giu-seppe Cesarano e Mario Ma-gaña, fondato nel 2010.●Homero 716 angolo Aristo-teles, Col. Polanco, Città delMessico; coperti 68. ●Par-cheggio custodito, sufficiente;prenotazione consigliabile;ferie 1 gennaio e 25 dicem-bre. ●Valutazione 7,59;prezzo $ 790,00 (€ 50,00);familiare, accogliente.

Le vivande servite: antipa-sto di “Romina” (combinazio-ne di verdure alla griglia, me-lanzane, asparagi alla parmi-giana, funghi e zucchine al-l’aceto balsamico, accompa-gnati da provolone affumica-to); fettuccine all’aragosta,

con olive, capperi, pomodo-rini e un tocco di Prosecco;costolette d’agnello con pata-te a tocchetti; branzino al sa-le; profiteroles ripieni di ge-lato di vaniglia e millefoglie.

I vini in tavola: ProseccoValdo; Morellino di ScansanoDocg 2008; Lugana San Be-nedetto Doc 2009.

Commenti: Molta attenzio-ne da parte di uno dei dueproprietari, nonostante il ser-vizio un po’ carente. Vivandeben presentate e abbastanzaben preparate. Il personaledella cucina ha imparato daun cuoco italiano, padre diGuseppe Cesarano, che ge-stisce il ristorante “La Casad’Italia”, molto buono e benfrequentato. Essendo di nuo-va apertura, il “Romina” nonriesce ancora a servire un nu-mero elevato di persone. Illocale è accogliente, la mag-gior parte degli Accademici èrimasta soddisfatta.

DOHA29 gennaio 2011

Ristorante “Porcini” dell’ho-tel “Ritz-Carlton”, Doha.

=974 44848000. ●Parcheg-gio custodito; prenotazioneconsigliabile; chiusura amezzogiorno. ●Valutazione8; prezzo € 50,00; elegante.

Le vivande servite: carpac-cio di spigola, pomodoro,basilico e spuma di limone;polpo alla griglia, purè ditopinambur, cipolle in agret-to, pomodorini appassiti;straccetti di semolina conragù di agnello e pecorinosemistagionato; brasato dimanzo in crosta, purè di pa-tate affumicate in casa, salsaall’aceto balsamico; tiramisudella casa.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene superioreDoc (Bolla); GewurztraminerDoc (San Michele Appiano);Barbera d’Asti, Camp duRouss Doc (Coppo); Passitodi Pantelleria Nes Doc (Ducadi Castelmonte).

Commenti: Buono ed ele-gante il pranzo preparatodallo chef sardo Alessio Cor-da e organizzato dalla Dele-gata Maria Grazia MattarellaFerrari. Ottimi gli antipasticon il carpaccio di spigolaaccompagnato da una deli-cata spuma di limone e ilpolpo alla griglia cotto alla

perfezione e servito con ori-ginali contorni. Saporito ilragù d’agnello che condivagli straccetti fatti a mano. In-solito e buono il brasato incrosta con le patate affumi-cate in casa. Ottimo il des-sert con il croccantino affo-gato nel caffè liquido sor-montato dalla panna. Èchiamato “our tiramisu” ma,in realtà, è più raffinato del-la versione originale. Ottimii vini offerti dall’ambasciato-re Andrea Ferrari. Atmosferagradevole ed elegante e ser-vizio impeccabile diretto dalmaître italiano Jonatha Ra-maccioni.

SILICON VALLEY2 febbraio 2011

Ristorante “Divino” di Vin-cenzo Cucco. ●968 RalstonAvenue, Belmont; =6506209103. ●Parcheggio co-modo; prenotazione consi-gliabile. ●Valutazione 8,01;prezzo us$ 85,00; familiare,accogliente.

Le vivande servite: salmo-ne marinato all’aneto con in-salatina di finocchi; zuppa dipatate e finferli; risotto con

zucca, gorgonzola e salviafritta; pesce spada panato altimo o costoletta di maiale incrosta di pistacchio alla saba;zeppole fritte.

I vini in tavola: Prosecco;Pinot grigio Jermann 2008;Barbera Filippo Gallino2008.

Commenti: Questo primoincontro conviviale dellanuova Delegazione della Sili-con Valley ha visto la parteci-pazione di tutti i suoi mem-bri. Il solo ospite, il prof. Ro-berto Crea, ha cortesementeillustrato benefici e vantaggidell’uso di integratori dieteti-ci e in particolare di Olive-nol, un prodotto ottenuto dairesidui di produzione dell’o-lio di oliva. La cena ha avutoluogo nella saletta privata delristorante, il che ha permessodi tenere una conversazioneviva e cordiale. Il cibo ha me-ritato un giudizio complessi-vo molto alto con particolareapprezzamento per l’antipa-sto, il secondo piatto di pe-sce e il dessert carnevalesco,preparato dallo chef in basea una ricetta del suo paese.Nel complesso una seratamolto ben riuscita e un otti-mo inizio della nuova Dele-gazione.

STATI UNITI

QATAR

MESSICO

BRASILE segue

La Delegazione di Bergamo e il suo nuovo Delegato hannodeciso di festeggiare il 150° anniversario dell’Unità d’Italiarivivendo, insieme a numerosi Accademici, la spedizionedei Mille e il loro sbarco a Marsala. È stato quindi accoltocon slancio l’invito del Presidente Giovanni Ballarini,quando ha affermato che “la celebrazione si concreta co-me cultura, come autocoscienza e modo di fare signifi-cante”. Chi entra a Bergamo non può esimersi dal notareil cartello che ne segna i confini: nel 1960 è stata infattiinsignita del titolo di “Città dei Mille”. La città orobica puòa pieno titolo fregiarsi di questa qualifica: 150 anni fa, in-fatti, ben 180 giovani bergamaschi, capeggiati da duegrandi patrioti come Francesco Nullo e Gabriele Camozzi,si imbarcarono a Quarto, con altri ragazzi lombardi, esbarcarono a Marsala, ma furono poi raggiunti da altrecentinaia di giovani concittadini che andarono a rimpin-guare le fila garibaldine. I bergamaschi furono il fulcrodei “Cacciatori delle Alpi” e in tanti morirono da eroidando la vita per l’indipendenza del Paese, la difesa deisuoi confini e la conquista della libertà. Erano giovani diogni estrazione sociale: il 40% erano operai, ma molti era-no i professionisti, gli studenti e gli intellettuali; il più gio-vane, un ragazzo di Caprino di soli 13 anni, cadde nellabattaglia di Calatafimi. Gli Accademici bergamaschi han-

no voluto ripercorrere quell’impresa, ma non potevanocerto imbarcarsi a Quarto per sostare e far provviste a Ta-lamone e sbarcare poi a Marsala. Si sono quindi “imbar-cati” a Orio al Serio e sono “sbarcati” in Sicilia dove li at-tendeva l’avvocato Diego Maggio (autore di una pubblica-zione di successo dal titolo “Ragioni e sentimenti nella Si-cilia del vino”) che li ha accompagnati a Erice, all’isola diMothia e a visitare le più famose cantine del Marsala, econ i “Paladini dei vini di Sicilia” hanno inoltre parteci-pato a un “cooking show” dal significativo titolo “L’Unitàd’Italia nasce a tavola dalle Alpi al Lilibeo”. Gli Accademi-ci di Bergamo e di Marsala, riuniti, hanno potuto frater-nizzare prima presso la distilleria del Vice-Delegato Giu-seppe Bianchi, poi, guidati dalla Delegata di Marsala An-tonella Cassata, hanno partecipato a un cordiale incontroconviviale al ristorante “Baglio Oneto”, nel corso del qualeè nata la promessa, da parte degli Accademici di Marsala,di una prossima visita a Bergamo. Concludiamo ricor-dando che già cento anni fa, nell’ambito dei festeggia-menti del cinquantenario della spedizione dei Mille, Ber-gamo ricordava, con un raro documento del 24 aprile1910, i nomi dei suoi giovani patrioti al seguito di Gari-baldi; questo elenco è anche esposto al Museo garibaldinodi Marsala. (Lucio Piombi)

BERGAMO SULLE ORME DEI MILLE

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 65

NUOVI ACCADEMICI

PIEMONTE

BiellaPier Giacomo BorsettiWilmer Broglio

PineroloMarco Francesco Battiglia

LOMBARDIA

LodiClara Rotta

Milano BreraPietro Caliceti

Milano NavigliLeone Pugliese Levi

PaviaMario Granata

VENETO

Treviso-Alta MarcaEmanuele Meneguzzi

VeronaLorenzo Poli

EMILIA ROMAGNA

PiacenzaFabio GermagnoliMario Zurlini

Salsomaggiore TermeArnaldo AiolfiEugenio Manenti

TOSCANA

MugelloEmanuela CafulliAntonella Valcarenghi

Pisa-ValderaMarcello Lanni

Andrea Scasso

LAZIO

Roma EurMassimo MazzolaLucio Ronzio

CAMPANIA

AvellinoCarla De Luca

NapoliGabriella Urich Padula

Napoli-CapriStefano Laux

PUGLIA

AltamuraRosa DecandiaCarmela FrigiolaFerdinando MirizziMaria Bruna MoramarcoVita Maria Antonia MoramarcoMarianna SchiavarielloMaria Severina Vicino

Castel del MonteLuisa FilograssoGiovanni Lomuscio

SICILIA

SiracusaConcetta AloiSalvatore MatarazzoGiuseppe Moscuzza

AUSTRALIA

CanberraRaffaele Iannizzotto

QATAR

DohaNada Abouchacra

Lara AlamiBasma BornoNadia Elarabi SchultzRima HamiyehRania QoussousSaira Soufan

STATI UNITI

San FranciscoStefano BiniMichele BorsettiClaudio TarchiAntonio Tartaglione

SVIZZERA

Svizzera ItalianaAlessandro Del BufaloPiero Gasparini

TRASFERIMENTI

PUGLIA

BrindisiSergio Cagnazzo(dalla Delegazione di Napoli)

PRINCIPATO DI MONACO

MonacoGuido Di Napoli(dalla Delegazione della Suisse Romande)

VARIAZIONE INCARICHI

PIEMONTE

PineroloConsultoreMarco BrighentiAccademicoFranz Vogel

LIGURIA

Albenga e Ponente LigureVice-DelegataMarisa Siffredi

C A R N E T D E G L I A C C A D E M I C I

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 66

ConsultoriPasquale BalzolaImmacolata GrilloAgostino SommarivaRiccardo Tomatis (Segretario)Silvio Torre

GenovaVice-DelegatoMario LombardiConsultoriStefano CazzuloLaura Gambardella (Segretaria)Giovanni Gramatica di Bellagio

LOMBARDIA

BergamoDelegatoLucio PiombiDelegato onorarioBonaventura Grumelli Pedrocca

CremonaVice-DelegatoMarino Giordano RossiniConsultoriCarla Bertinelli SpottiMarco Silvio Bianchi (Segretario)Giorgio FornasariCarlo GambaMarco GambaMarco Leggeri (Tesoriere)Massimiliano Toninelli

VENETO

Venezia-MestreVice-DelegatoMario De FaveriConsultoriCarlo CaoduroPaola Comacchio Dal MasoGianfranco Comelato (Segretario)Anna CortesiMichela Dal BorgoCarmine GuadagnoPietro Schiavon (Tesoriere)Franco Zorzet

VicenzaVice-DelegatiMauro Bolla

Antonio Di LorenzoConsultoriRaffaele CavalliGiandomenico CorteseLuigi CostaGiovanni Marchesini (Tesoriere)Paolo PortinariGiorgio TassottiFranco Zuffellato (Segretario)

FRIULI-VENEZIA GIULIA

GoriziaConsultoreStefano Piccoli

VicenzaDelegatoGiovanni Manfredini

UMBRIA

FolignoVice-DelegataSara Vannini VagagginiConsultoriCarlo Bertuzzi (Tesoriere)Walter CrucianelliGraziella PascucciGiuseppe SilvestriniLuisa Vincenti Mattonelli (Segretaria)

ABRUZZO

PescaraVice-DelegatiAntonio RuscittiGiuliano TorlontanoConsultoriAngelo CichelliGiuseppe Di CroceAnna Maria Iannucci Torlontano(Segretaria)Carlo MarsilioFranco Spagnuolo(Tesoriere)Angelo TuzzatoCesare Zaccaroni

CAMPANIA

CasertaVice-DelegatoAldo Antonio CobianchiConsultori Salvatore Brighel (Segretario)Piergiorgio Caterino (Tesoriere)

Napoli-CapriConsultoreLucio Fino

PUGLIA

Castel del MonteVice-DelegatiGiovanni CampanileMichele DacontoConsultoriIvo BonitoUmberto BussetiMariangela ChieppaMaria Antonietta D’UrsoRoberto Claudio MazzoccaAlfonso Savino (Segretario)Giacomo Vania (Tesoriere)

SICILIA

CaltagironeConsultoreCalogero Scebba

CataniaConsultoreLuigi Calabrese

SARDEGNA

GalluraVice-DelegataMarisa Paulis Mancini

OLANDA

Den Haag-ScheveningenVice-DelegatoLuigi Petrucci

C A R N E T D E G L I A C C A D E M I C I

C IV ILTÀ DELLA TAVOLA 2011 • N . 226 • PAG INA 67

ConsultoreMarco VigilanteDelegato onorarioAlessandro Argentini

REGNO UNITO

LondraDelegato onorarioBenito Fiore

NON SONO PIÙ TRA NOI

LIGURIA

SavonaGiuseppe Robatto

VENETO

TrevisoArturo Bernardi

FRIULI-VENEZIA GIULIA

Muggia-CapodistriaGilberto Benvenuti

ABRUZZO

TeramoAngelo Marozzi

SICILIA

SiracusaTommaso Sessa

FRANCIA

ParigiAntoine Moukheiber

Aggiornamenti a cura diCARMEN SOGA, ILENIA CALLEGARO

e LORENA GALLINA

C A R N E T D E G L I A C C A D E M I C I

BOLOGNA DEI BENTIVOGLIODEPOSITA TRE RICETTE DOC

Sono 32 le ricette tipiche della cucina petroniana depositate ufficial-mente alla Camera di commercio. Le ultime in ordine di tempo sonostate quelle del “friggione” e di due piatti del mangiare povero: il torti-no di patate alla bolognese e l’“armisdo” montanaro.

FRIGGIONE

Ingredienti: 1,5 kg di cipolla gialla tagliata a fette sottili e soffritta nellostrutto, 1 kg di pomodori maturi, freschi e ben sodi, tagliati a pezzi gros-solani, sbollentati, sbucciati e senza semi, 4 etti di pancetta tagliata finee soffritta, un cucchiaio di strutto, una punta di peperoncino, sale.Preparazione: Affettare le cipolle finemente e lasciarle macerare con ilsale e lo zucchero per due ore, versare il tutto in un tegame, aggiunge-re i pomodori tagliuzzati, far cuocere per mezz’ora, unire la pancettagià soffritta e terminare di cuocere facendo restringere il sugo lenta-mente almeno per mezz’ora, così da avere un sugo ridotto e ben sapo-rito. Il friggione è ottimo per accompagnare il gran bollito misto bolo-gnese.

TORTINO DI PATATE

Ingredienti: 1 kg di patate, 2 tazze di besciamella, 300 gr di parmigia-no grattugiato, 100 gr di burro, 1/2 litro di latte, 2 uova, 200 gr dicarne macinata di maiale (oppure 100 gr di pancetta e 100 gr di pro-sciutto cotto), pane grattato, classico ragù bolognese (a piacere).Preparazione: Preparare un buon purè di patate, tendenzialmente so-do; a parte preparare un composto unendo la besciamella, le uova in-tere montate, il parmigiano grattugiato, la carne cotta sminuzzata ola pancetta e il prosciutto cotto ben battuti, preparare inoltre un clas-sico ragù bolognese. Dopo aver imburrato e impanato uno stampo daforno, ricoprire il fondo e le pareti con uno strato di purè, sopra aquesto stendere, sia nelle pareti che sul fondo, la besciamella arricchi-ta, formando così un secondo strato, versare il ragù, e ricoprire il tuttostendendo il rimanente purè, arricchire con fiocchetti di burro e spol-verare con il parmigiano grattugiato. Passare al forno a fuoco mode-rato per circa un’ora, spegnere con la formazione sulla superficie diuna leggera crosta dorata. Servire ben caldo.

ARMISDO MONTANARO

Ingredienti: 300 gr di farina di castagne, 200 gr di farina di patate,200 gr di funghi, 3 uova, 200 gr di pecorino, 2 bicchieri di panna, 50gr di burro, salvia, prezzemolo, 100 gr di pancetta, 100 gr di prosciut-to cotto, 1/2 litro di latte, sale.Preparazione: Mescolare la farina di castagne a quella di patate, ver-sare poco alla volta il latte, impastare con le uova sbattute e salare.Tritare funghi, salvia e prezzemolo, mettere il battuto in una casse-ruola con burro, panna e pecorino tagliato a dadini, cuocere a fuocolento e mescolare finché il pecorino non è fuso. Aggiungere pancetta eprosciutto tagliati a dadini, amalgamare al composto già preparato,versare in una teglia imburrata, mettere al forno, già caldo, a 200°per 30 minuti circa.

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

CUNEO-BRA

IL GRAN BOLLITOA TAVOLA

Gli Accademici della Delega-zione hanno celebrato, prota-gonista un piatto della tradi-zione, il gran bollito, la ricor-renza del centocinquantenariodell’Unità d’Italia. La riunioneconviviale, che si è svolta pres-so la “Foresteria Poderi Einau-di” di Dogliani (Cuneo), unadimora ricca di storia, è stataorganizzata con il competenteapporto del dott. Dino Chia-pella, persona di rara disponi-bilità, già illustre sindaco delcomune di Dogliani, che hacondotto la Delegazione, in-sieme a personalità, amici eAccademici di altre Delegazio-ni, a un’esperienza di grandefascino. Preceduto da un bre-ve approfondimento sulla sto-ria del gran bollito, l’amicodott. Guido Brizio, dirigenteresponsabile del Servizio vete-rinario, con coinvolgente pas-sione, ha illustrato la storicavocazione all’allevamento bo-vino del territorio. Ha inoltresottolineato l’impegno deglioperatori nella ricerca e nelcontrollo della produzione de-gli alimenti animali e della fi-liera, per concludere con unapprofondimento relativo alla

tradizione del bue grasso. Laproprietà, sotto l’attenta dire-zione della signora Paola, ni-pote del secondo Presidentedella Repubblica italiana, fu trale prime acquisizioni volte arecuperare antiche terre ab-bandonate, con la fondazionedell’omonima azienda model-lo a indirizzo vitivinicolo.

GENOVA

VALORIZZAREI PRODOTTI POVERIDELLA CUCINA LIGURE

In occasione della prima riu-nione conviviale dell’anno edel contestuale inizio di man-dato della nuova DelegataPaola Massa, la Delegazioneha ricevuto la gradita visita delPresidente Giovanni Ballarinie del Segretario generale Pao-lo Petroni. Prima della cena digala, organizzata nella cornicedella cinquecentesca Villa Spi-nola, con sale meravigliosa-mente affrescate, i due illustriospiti si sono riuniti con lanuova Delegata, la rinnovataConsulta, il Coordinatore re-gionale per la Liguria PaoloLingua, Enrico Alloero, Diret-tore del Centro Studi territoria-le per la Liguria e il Delegatodi Genova Est Guglielmo Valo-bra, per sottolineare la validità

dei valori fondanti dell’Acca-demia ed evidenziare alcuniimportanti temi sui quali lavo-rare nel prossimo futuro. Altermine dell’incontro, la Dele-gata ha porto il benvenuto uf-ficiale agli illustri ospiti, pre-sentandoli ai numerosi Acca-demici (tra i quali anche il De-legato di Milano, Dino Bettivan der Noot, e l’AccademicaElena Pepe, membro dellaConsulta accademica). Si è poigustato un aperitivo impernia-to su stuzzichini di vario tipo,tra cui spiccavano i tradizionali“frixeu” di erbette in pastella,baccalà dorato taglio mignon,tavellette di pancetta fritta, me-daglioni di cima fritta e carciofidorati, accompagnati da Pro-secco e Corochinato. La cena, a cui erano presentianche i gestori di Villa Spinola,guidati dalla signora Maria Lui-sa Capurro Traverso, titolari diun’impresa familiare che a Ge-nova si occupa di gastronomiae ristorazione fin dal 1901, èstata improntata alla cucina dimare classica. Si è iniziato conun primo piatto di ravioli dipesce padellati con dadini dipescatrice, zucchini e pomo-dorini; per secondo è stata ser-vita una ricciola al forno, ai sa-pori di Liguria, accompagnatada flan monoporzione di car-ciofi e patatine noisette arro-sto. In conclusione un dessertcon la specialità della casa: ca-stagne, mandarini, limoni, pe-

re e ananas gelati e in scorza. Ivini serviti sono stati un PigatoSan Dalmazio e un Rossese deMassaretti, entrambi del Po-nente ligure. Da non dimenti-care il pane di casa nostra, ser-vito caldo. Al termine della ce-na il Presidente, nel suo di-scorso e brindisi conclusivi, haillustrato due delle iniziativeeditoriali legate ai festeggia-menti per i 150 anni dell’Unitàd’Italia: l’edizione di un opu-scolo istituzionale redatto initaliano e inglese la cui funzio-ne è quella di presentare agliinterlocutori la realtà dell’Ac-cademia e le sue finalità (nel-l’occasione una copia è stataconsegnata a ciascuno), e, invia di realizzazione, un volu-me che ripercorrerà la storiad’Italia attraverso i menu servi-ti dai sovrani di casa Savoia edai Presidenti della Repubblicaitaliana ai loro ospiti. L’impe-gno dell’Accademia per questainiziativa è stato apprezzatodal Capo dello Stato, in unalettera già pervenuta alla Presi-denza dell’Accademia, chesarà resa pubblica in occasio-ne dell’annunciato convegnonazionale che si terrà a Romaa maggio. Il Presidente Ballarini, sottoli-neata la finalità culturale dellanostra istituzione - in questodifferente da altre associazionioperanti nel medesimo ambito -,si è soffermato sulla realtà li-gure e ha rilevato la capacitàdella tradizione cucinaria loca-le di rappresentare le caratteri-stiche degli abitanti: “Ricordia-moci che la caratteristica delpopolo ligure è di stare attentoal risparmio e di essere auste-ro, e proprio questo gli ha in-segnato a valutare i prodottipoveri: un patrimonio immen-so che va conservato”. Dopodi lui il Segretario generalePaolo Petroni ha illustrato bre-vemente i nuovi strumentielettronici di supporto e divul-gazione dell’attività accademi-ca, quali Internet e l’attualissi-mo i-Phone, e ha invitato ipresenti a fornire l’indispensa-

LIGURIA

PIEMONTE

Cosa hai voglia di mangiare?Il chiosco te lo legge in faccia

Arriva il chiosco intelligente: un vero e proprio “dispensatore” di cibi “su misura”,per adesso solo un esperimento newyorkese. Il suo segreto sta nel software di gestio-ne, che, attraverso una videocamera, permette di individuare la tipologia umanadel cliente, incrociando i suoi lineamenti con i dati contenuti nel programma,“sfornare” un menu ad hoc per ogni categoria della “varia umanità”, e se il clientesarà abituale, eviterà di proporre sempre lo stesso piatto.

(dai giornali)

CURIOSITÀ

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

bile costante impegno per ag-giornare e migliorare la basedei dati (ristoranti, ricette), lacui qualità incide in modo si-gnificativo sull’immagine del-l’Accademia, soprattutto versol’esterno.A conclusione del suo inter-vento, il Presidente ha volutofare omaggio di un ricordodell’Accademia alla signoraCapurro Traverso, e, inoltre,ha premiato, con una meda-glia riproducente l’effigie diOrio Vergani, Giovanni Gra-matica di Bellagio, la cui ap-partenenza all’Accademia risa-le al 1961, e che nei 50 anni diattività ha ricoperto l’incaricodi Delegato e da diversi anniquello di Consultore nella De-legazione genovese. (PaolaMassa)

SAVONA

CULTURA E AMICIZIA

Gli Accademici si sono ritrova-ti numerosi al ristorante “Lilli-put”, dove sono convenuti ac-compagnati da coniugi e ospi-ti, per attestare che della Dele-gazione apprezzano non sol-tanto la valenza culturale inambito gastronomico, ma an-che l’amicizia che si instauranelle riunioni conviviali. Il tito-lare non ha mancato di atte-nersi in tale circostanza allatradizione gastronomica ligu-re. Le preparazioni, realizzatecon maestria e perizia, hannoincontrato l’unanime favoredegli Accademici, che hannopotuto constatare la stretta os-servanza dei dettami della tra-dizione, coniugati con la corte-sia dei gestori. Il Delegato e ilDelegato onorario hanno coltol’occasione per ringraziare gliAccademici dell’impegno pro-fuso nel corso dell’anno passa-to mediante l’assidua parteci-pazione alle riunioni convivialiche hanno avuto quale temaportante la tradizione gastro-nomica savonese, sia di mareche di terra.

LODI

RISCOPRIRE LALETTERATURA POPOLARE

La piacevolezza della riunioneconviviale all’agriturismo “SanLucio” è stata arricchita, oltreche dalla sapienza cucinariadella signora Francesca, anchedalla brillante conversazionedi un noto studioso del dialet-to lodigiano, che è anche atto-re e regista di lunga esperien-za dedicata in particolare allariscoperta della letteratura po-polare, e non solo, della no-stra terra: Bruno Pezzini. “Dicidialetto - spiega Pezzini - e su-bito dischiudi un mondo dimemorie, di nostalgie, diusanze, di humour antico, oraespressione di una inconteni-bile vena carnascialesca, oraintriso da una sorta di saggez-za rassegnata, una filosofia divita che insegnava a prendereil tutto così come viene, il bel-lo come il brutto di un calen-dario che conosce gli alti ebassi del tempo e della fortu-na”. “El mangià (il cibo) e elbev (la bevanda)” sono dasempre intrecciati con le ope-re e i giorni dell’uomo, e Pez-zini ci ha garbatamente ac-compagnati in una carrellatadi proverbi, modi di dire,espressioni che credevamo diaver dimenticato, in questotempo di babele linguistico-massmediale che a volte ci fascordare perfino chi siamo e aquale cittadinanza, anche ga-stronomica, apparteniamo.“Parla cume te mangi” era unodegli “adagi” dei nostri nonni,sospettosi nemici di bastardenovità sia a tavola sia nel lin-guaggio. Le novità erano viste quasi co-me un tradimento, una viola-zione di quel lessico familiareche scorreva da una genera-zione all’altra tramandando ri-cette e sapori insieme a un pa-trimonio il cui reale valore,

fatto di buonsenso schietto, sicomprende solo quando è irri-mediabilmente perduto. Insottofondo, echeggiano stor-nellate da osteria e da festa incascina, le canzoni che Pezzi-ni ha pazientemente ripescatoe ripropone in un cd di cantipopolari del Lodigiano, dal ti-tolo “La bela filangèra”. Non èstata una semplice “mangiàda”che ha soddisfatto stomaco epalato, ma un simpatico“amarcord” di cultura e risco-perta di quella sapida oralitàche è cibo e parola insieme.(Maria Emilia Moro)

VIGEVANO

NOZZE D’ARGENTODELLA DELEGAZIONE

Sembra solo ieri ma sono tra-scorsi venticinque anni daquella sera in cui alcuni amantidella tradizione cucinaria delnostro territorio, si incontraro-no per la prima riunione con-viviale accademica che sancivala costituzione della Delega-zione, con la consegna dellacampana da parte di Carlo Au-gusto Avone, componente del-la Consulta nazionale e Dele-gato di Imola. Nel ricordo so-no stati anni trascorsi felice-mente grazie al dinamismo eall’entusiasmo degli Accademi-ci. Ma andiamo per ordine.Nella suggestiva chiesa delSantissimo Sacramento, mons.Claudio Baggini, vescovo diVigevano, ha officiato la mes-sa, in particolare per gli Acca-demici defunti, e nell’omeliaha sottolineato la sacralità delcibo espressa nelle sacre scrit-ture. Prima della conclusionedel sacro rito il Delegato Ca-nelli ha letto un preghiera diringraziamento per tutto ciòche ci è stato concesso per nu-trire non solo il corpo ma, so-prattutto, l’anima. Al ristorante dello “SportingClub Selva Alta”, dove si riunìper la prima volta la neonataDelegazione, gli Accademici

hanno accolto il PresidenteBallarini, il Coordinatore delNord-Centro Italia Fossati e ilsindaco di Vigevano Sala. Del-la lista cibaria ricordiamo ladovizia degli stuzzichini, unottimo risotto giallo alla mila-nese servito in grandi vol-au-vent e la torta con la riprodu-zione del logo accademico. Ilnumero 25 è stato lo spuntoper Enrico Carnevale che ha il-lustrato il menu con le ripro-duzioni di monumenti artisticie prodotti enogastronomicidella Lomellina. Nell’interno èstato stampato il menu dellaprima riunione conviviale: ilconfronto tra i due menu testi-monia l’evoluzione culturaledella Delegazione.Del gruppo dei fondatori erapresente Vito Maj che, nelprendere la parola, ha ricorda-to come la prima riunioneconviviale sia stata ricca di en-tusiasmo, un entusiasmo che,anche negli anni successivi, èstato sempre l’elemento trai-nante dell’attività accademica.Il Delegato Canelli ha ricorda-to gli episodi che più hannocaratterizzato la crescita acca-demica e che troveranno mas-simo compimento nel conve-gno “Peperosa”, che per l’im-portanza degli argomenti potràavvalersi del logo ufficiale del-le manifestazioni per i 150 an-ni dell’Unità d’Italia. Ha ringra-ziato poi tutti gli Accademiciper l’impegno e la passioneche hanno contraddistintoventicinque anni di vita acca-demica. Un riconoscimento dell’impor-tanza dell’Accademia nel con-testo cittadino è venuto dalsindaco Sala che ha invitato laDelegazione a collaborare allarealizzazione del progetto“Buon compleanno Italia”, inoccasione delle manifestazionicelebrative. Il Presidente Balla-rini ha manifestato vivo ap-prezzamento per l’attività svol-ta dalla Delegazione in questi25 anni e ha dato notizia chel’Accademia parteciperà allemanifestazioni nazionali con la

LOMBARDIA

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pubblicazione di un volumeche raccoglie i menu di casaSavoia e dei Presidenti dellaRepubblica. (Giovanni Canelli)

PORDENONEE TREVISO-ALTA MARCA

MAGREDI E DOLOMITI FRIULANE

Dopo lo spiedo dello scorsoanno, orchestrato con gusto daTreviso-Alta Marca, tutta la De-legazione di Pordenone ha vo-luto con entusiasmo questonuovo incontro per dare se-guito alla cordiale amicizia.“Magredi e Dolomiti friulane,riscoprire il cielo e la terra”, iltema del convivio d’invernoche ha visto le due compaginiaccademiche riunite. L’eventoè stato un’ottima occasione perpresentare, conoscere meglio epromuovere le produzioni del-la cucina e soprattutto la tipi-cità di questo straordinario ter-ritorio, le Dolomiti friulane, pa-trimonio dell’umanità, e i Ma-gredi, luogo simbolo della De-stra Tagliamento, vasta prateriasassosa formata dagli apportidei fiumi Cellina e Meduna,che qui scompaiono per riaf-fiorare dopo un percorso sot-terraneo. Luogo dell’incontrol’agriturismo “Gelindo dei Ma-gredi”. All’entrata dei locali, al-lestita con la “complicità” deigestori, una mostra dei luoghie delle attività produttive del-l’area. Divisa in due parti, amostrare i luoghi e la loro cul-tura. A destra un’ala riservata aiprodotti enogastronomici, pre-sentati dai produttori, esibiscele preziosità agroalimentari. Lasaletta al lato opposto ha postol’accento sulle peculiarità delleattività artigianali e artistiche:banchi del mosaico, delle col-tellerie, della falegnameria arti-gianale; inoltre, ha dato spazioa libri e ad altri documenti de-scrittivi dell’ambiente e dellasua cultura odierna - simpatici i

volumetti realizzati dalla scuolaelementare di Vivaro - e a unacondensata illustrazione dell’a-rea, descrivendo il percorsodell’acqua: le montagne, i pri-mi ghiaioni dove l’acqua s’ina-bissa, il magredo arido, il gretodei torrenti, il magredo evolu-to, le coltivazioni sostenibili, lerisorgive. Un ricco buffet -stuzzichini freddi e caldi - hapreceduto la presentazione diuna raccolta di immagini difauna e flora del territorio, rea-lizzate da Sergio Vaccher, foto-grafo di assoluta eccellenza,membro dell’Associazione fo-tografi naturalisti italiani e dellaSocietà naturalistica pordeno-nese, che, con le sue opere,mira a far conoscere gli am-bienti della Provincia di Porde-none, con particolare attenzio-ne ai Magredi e alle zone di ri-sorgiva. Mauro Caldana, ap-passionato naturalista, collabo-ratore del Parco naturale Dolo-miti friulane, incaricato dallaProvincia di Pordenone per lacustodia dell’avifauna selvaticaferita, ha commentato la se-quenza fotografica. Tito Pa-squalis, ingegnere idraulico,autore di libri e articoli su temidi carattere geografico-ambien-tale - “Le montagne dei magre-di” (1992), “Le risorgive delVinchiaruzzo” (1993) e unostudio sui terremoti del Friuli -,tra gli artefici della regimenta-zione delle acque, presuppo-sto per lo sviluppo economicodei Magredi, ha descritto lamorfologia dei terreni e la lorogeologia.Il menu, particolare e vario,studiato per proporre alcunespecialità del ristorante e dellazona, ha presentato pietanzeche privilegiano l’utilizzo diprodotti stagionali, con l’obiet-tivo di evidenziare le tipicitàgastronomiche dell’alta pro-vincia di Pordenone. Tipiche etradizionali le minestre, di zuc-ca con ricotta affumicata, cic-cioli di speck e semi di papa-vero e di patate e fagioli con“brovada” (“jota” furlana). Al-trettanto tipici, un tempo solo

per i giorni di festa, gli umidi dipollo, il primo cucinato con unvino tratto da antichi vitigni re-cuperati, il secondo in accordocon una ricetta agostana. Im-possibile ignorare i formaggi,soprattutto l’asìno di origine re-mota, salato in una speciale sa-lamoia e il “formai tal cit” cheveniva confezionato in un reci-piente di pietra, il “cit”, ricom-ponendo con panna vari recu-peri di formaggi freschi e sta-gionati. Dolci preparati con lafrutta locale: erano questi i pae-si delle mele e lo sono tutt’oggi.Ad accompagnare il tutto, vinidel territorio, in particolare gliautoctoni, Piculit Neri e Ucelut,noti solo agli appassionati cul-tori. (Giorgio Viel)

CARPI-CORREGGIO

PANE BIANCOE PANE NERO

In occasione della riunioneconviviale di gennaio, l’Acca-demica Giuseppina Baggio hasvolto un’interessante relazio-ne sul pane, uno dei più im-portanti patrimoni dell’interaumanità, anche se oggi è spes-so presenza scontata sulle no-stre tavole. Questo alimento,come un fratello siamese, haaccompagnato in maniera in-dissolubile lo sviluppo e l’evo-luzione dell’uomo e, spesso, èstato oggetto di momentidrammatici per la pace sociale.Parlare di pane in senso asso-luto o di un pane in particolareè quasi impossibile, perché èun alimento così radicato nelleculture dei popoli che ognipaese vanta ricchezze e tradi-zioni proprie. Il pane, se para-gonato ad altre preparazionicucinarie, è piuttosto sempli-ce, eppure i pensieri, le emo-zioni e il fascino che la fra-granza e il profumo del paneappena sfornato possono evo-care in noi non hanno eguali.Largamente citato nella “Bib-

bia”, gli si riconosce un altovalore rituale, allegorico e ce-lebrativo. Nella religione cri-stiana il pane assume una cen-tralità legata alla metafora delcorpo di Cristo. I pani ecume-nici, nei primi secoli dell’eracristiana, erano molto grandi, aforma di ciambella. Dopo l’XIsecolo divennero più piccoli esoltanto dal XIII secolo il paneeucaristico divenne ostia fattacon farina finissima di granocotta su appositi ferri. “Resteràun mistero dove e quando ger-mogliò la prima spiga di gra-no” dice lo scrittore bosniacoPedrog Matvegevic, nel suo li-bro “Pane nostro”, trasforman-do questo prodotto, apparen-temente umile, in una grandemetafora: un ponte tra diverseciviltà cresciute su sponde op-poste dello stesso mare ma ac-comunate da un retroterra cul-turale identico. Scavi archeolo-gici e antiche iscrizioni ci per-mettono di asserire che il panefu il nutrimento base di Egizi,Greci e Romani. Le prime testi-monianze legate alla panifica-zione si trovano in Egitto: ilprimo tentativo venne fattocon l’orzo che, assieme al mi-glio, è la più antica gramina-cea conosciuta dall’uomo. Nel-le anfore delle piramidi, gli ar-cheologi hanno trovato chic-chi di grano, che gli Egizi attri-buivano alla generosità delladea Iside. Dalle pergamene ri-caviamo ancora preziose infor-mazioni su un’arte così prezio-sa e così lontana: il pane fumolto amato anche dai Greci,a cui va il merito di aver inven-tato impasti sofisticati. Ateneo,scrittore greco vissuto tra il II eil III secolo d. C., dice che al-l’epoca esistevano ben 72 tipo-logie di pane, considerato undono di Pan. E i Romani nonfurono da meno: al tempo diAugusto c’erano ben 129 pani-fici pubblici.Le invasioni barbariche segna-rono uno scontro culturale trala civiltà del grano, della vite edell’ulivo, che dal paganesimosi era prolungata all’ombra del-

EMILIA ROMAGNA

FRIULI-VENEZIA GIULIA

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

la Chiesa di Roma in modo na-turale, e la civiltà incentratasulla carne e sui latticini, piùconsona alla geografia dell’Eu-ropa centro-settentrionale bo-scosa e scarsamente popolata.Per le popolazioni barbariche,l’aratura offendeva la sacralitàdella terra e si credeva che imulini imprigionassero gli spi-riti della natura, così la colturadei cereali trovò rifugio neimonasteri. Durante il Medioe-vo, la mensa dei signori feudaliospitava il pane preparato conla farina raffinata e che prende-va la forma dei taglieri e racco-glieva gli umori delle vivande,mentre i contadini, mangiatoridi polenta, si arrangiavano co-me potevano, e per quantoscuro fosse il loro pane, rima-neva sempre il bene più ambi-to. Per prepararlo utilizzavanoavena, farro, orzo, segale. Trala fine del XVIII secolo e l’ini-zio del XIX, furono sostituiti ivecchi mulini a macine conquelli a cilindro, e nacquero leprime impastatrici meccaniche,preludio alla fabbricazione delpane su scala industriale, desti-nata a perfezionarsi con la sco-perta di nuove cotture e nuovilieviti. Da queste rivoluzionitecnologiche deriva la riduzio-ne della differenza che esistevatra pane nero e pane biancocome distinzione tra le classisociali. Anzi, oggi il pane nero,l’antico pane dei poveri, comenovello liberto romano, si è li-berato dalla schiavitù di taleappellativo. Segale, miglio,avena, mais si sono trasformati

in ingredienti per un cibo, avolte molto costoso, che vienechiamato pane integrale, conproprietà che recano beneficialla salute dell’uomo. (Giusep-pina Baggio)

FAENZA

TECNOLOGIA IN CUCINA

Lo chef Silverio Cineri, pro-prietario dell’omonimo risto-rante, ha ospitato la Delega-zione per la prima volta daquando si è trasferito pressol’accogliente locale realizzatoin una caratteristica cantina nelcentro di Faenza. Il tema dellaserata, “La tecnologia in cucinaè vera barbarie?”, propostodallo Scalco Alessandro Canta-galli, Direttore del Centro StudiRomagna, è stato sviluppatoproponendo alcuni piatti delterritorio realizzati secondo latradizione e altri rivisitati. Vivointeresse ha suscitato la rela-zione del prof. Marco DallaRosa, ordinario di Tecnologiealimentari presso l’Universitàdi Bologna, polo di Cesena.Dopo aver ribadito che la cuci-na non deve essere un qualco-sa di statico bensì in continuaevoluzione nel rispetto dellatradizione, ha evidenziato ilruolo che le tecnologie ali-mentari possono svolgere nel-la realizzazione dei processi diproduzione anche degli ali-menti tradizionali. Ha quindiauspicato una maggiore colla-borazione tra Università e in-

dustria, in modo tale da con-sentire una maggiore fruibilitàe conservabilità di tali prodottimirando alla loro autenticità etipicità. Al termine della seratail Vice-Delegato di Ravenna,Franco Chiarini, ha esposto unprogetto che, attraverso lacompilazione di appositeschede (e quella su Silverio Ci-neri è stata la prima a esserecompletata), si prefigge di rac-cogliere una serie di testimo-nianze relative a quegli uominiche hanno fatto la modernagastronomia in Romagna.

FIRENZE PITTI

LE STRADE NEL PIATTO

La Delegazione, prendendo lospunto da una recente pubbli-cazione della Consultrice Do-natella Lippi, ha organizzatouna riunione conviviale, cheha visto la partecipazione deiDelegati di Prato (GiampieroNigro) e del Mugello (AdrianoBorgioli), unitamente al Coor-dinatore territoriale della To-scana Est (Gianni Limberti).Impossibilitato a partecipare ilDelegato di Firenze, RobertoAriani, ha inviato il suo cordia-le saluto. Ospite e relatore del-la serata, il prof. Giovanni Ci-priani, docente di Storia all’A-teneo fiorentino. La riunioneconviviale è stata organizzatapresso il “Targa Bistrot Fioren-tino” di Gabriele Tarchiani,

che ha saputo assecondarecon la sua esperienza le richie-ste del Simposiarca.Il libro che è stato il filo con-duttore della serata, “Le stradenel piatto. Percorsi storico-ga-stronomici a Firenze” (Accade-mia dell’Iris, Firenze 2010), ri-propone, nell’anno dell’Unitàe del centenario artusiano, lastoria delle strade fiorentine,oggi scomparse, che avevanorapporti col cibo. Prima che inomi di alcune strade cittadinecelebrassero il Risorgimento eil nuovo Stato, infatti, la odo-nomastica si basava sulle atti-vità commerciali o su partico-lari caratteristiche ambientali.A Firenze, per esempio, so-pravvivono corso Tintori o viadell’Arte della lana; sono, inve-ce, sparite dallo stradario viadel Fico o chiasso de’ Bovi. At-traverso una capillare ricercad’archivio, l’autrice ha riper-corso la storia di queste stradee dei loro nomi, corredandociascuna di esse con una ricet-ta. Ne è derivato un percorsostorico-gastronomico nel verosenso della parola, da chiassoPadella a piazza delle Cipolle,da via Piattellina a piazza del-l’Olio: un modo divertente, an-che per le generazioni più gio-vani, per acquistare consape-volezza della storia della cittàe delle sue tradizioni.Il Delegato Manuel Guerra hagiustamente collegato questapubblicazione allo spirito del-l’ultima opera del PresidenteBallarini, “Tradizione e inno-vazione”, in cui si richiama al-l’opportunità di saper acco-gliere il nuovo, senza dimenti-care il nostro passato.Al percorso indicato dal librosi è saputo adattare il patrondel ristorante, che ha propostoun antipasto con pecorino eschiacciata soffice, accompa-gnato da un elegante Francia-corta, seguito da una crespelladi castagne e burrata (per ono-rare piazza de’ Marroni), unminestrone di verza (piazza diVerzaia), in cui le verdure sem-bravano piccole e preziose

TOSCANA

Medvedev fa spesa in Italia Sembra che siano bastati solo pochi giorni in Italia al presidente russo DimitrijMedvedev per innamorarsi dei nostri prodotti. Al suo ritorno dall’ultima visita uffi-ciale nel Bel Paese, i cuochi del Cremlino hanno infatti ordinato una scorta di ace-to balsamico tradizionale di Modena, parmigiano e ben 360 bottiglie di vino, divisetra Pignoletto e Lambrusco.

(dai giornali)

CURIOSITÀ

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

tessere di un mosaico, la guan-cia di bue garofanata (chiassode’ Bovi) e un semifreddo allozabaione d’uova (piazza del-l’Uova). Fedele compagno del-la serata il Chianti Colognoleprodotto e offerto dal marche-se Coda Nunziante, presentealla serata, durante la quale so-no stati presentati tre nuoviAccademici: Ruth SchmidtMarchetti, Maria Luisa ElianaLuisi e Mauro Marchionni. Am-biente essenziale e discreto,ben illuminato, affacciato sul-l’Arno, che è stato la prima“strada” di Firenze. Servizioimpeccabile e silenzioso, pie-tanze di qualità straordinaria emisurate nelle porzioni, sa-pientemente cucinate, così co-me si conviene a un incontroaccademico di alto livello. Perogni pietanza, il ricordo dellastrada e della ricetta, ripercor-ribile nel libro e resa ancor piùgradevole dalle parole delprof. Cipriani. Alla fine un vec-chio brindisi fiorentino. (Ema-nuele Guerra)

LUNIGIANA

LA FESTA DEL PATRONO

Tradizionale riunione culturalee conviviale della Delegazioneper la festa di San Geminiano,patrono della città di Pontre-moli. La ricorrenza, che richia-ma ogni anno molti Accademi-ci e numerosi ospiti, si è pre-sentata in una veste rinnovata.L’aperitivo al “Caffè Bellotti”, inun’accogliente saletta riservata,dava un caldo benvenuto agliAccademici e ai loro ospiti. Poic’era lo spettacolo dell’accen-sione del falò che tutti hannoavuto l’esclusivo piacere di os-servare “in prima fila” dal bal-cone del vescovado. Quest’an-no il falò era particolarmentespettacolare, durevole, sugge-stivo e di buon augurio: un’im-pressione magica, d’altri tempi,ascoltando i cori e le emozionidella gente. Durante la riunio-ne conviviale al ristorante

“Abramo” è stato festeggiatol’ingresso di due nuovi Accade-mici: con Riccardo Boggi, re-sponsabile della cultura nel Co-mune di Aulla, e Giovanni Ta-rantola, vice-presidente dellaFondazione “Città del libro” eassessore alla Cultura nel Co-mune di Mulazzo, la Delegazio-ne si è arricchita di due perso-naggi di spicco. Il DelegatoEzio Tomellini ha poi presenta-to la rinnovata Consulta acca-demica ringraziando i Consul-tori uscenti per la loro lunga efattiva collaborazione e presen-tando anche Ragna Engelbergscome nuova Vice-Delegata. Nelcorso della serata, il ConsultoreGiuseppe Benelli ha svolto unaconversazione ricca di curiositàsulla festa di San Geminiano ela tradizione dei magici falòpontremolesi, riti che ancoraoggi appassionano la gioventùcreando forti legami con la pro-pria terra, legami molto vivi cherichiamano per l’occasionepontremolesi e lunigiani. Fra ipresenti il Coordinatore territo-riale Franco Cocco, il Direttoredel Centro Studi Toscana OvestAlfredo Pelle e gli amici Acca-demici di Empoli, Pisa, La Spe-zia e della Versilia storica. UnSan Geminiano di vera festa traamici.

TERNI

IL TESTAMENTODEL MARCHESE

Sono famosi a Terni i notaiClericò e l’antica passione del-la famiglia per la caccia: Vin-cenzo e Filippo hanno seguitole orme del padre Luciano, Ac-cademico Consultore della De-legazione prematuramentescomparso, ereditandone lapassione venatoria e l’amoreper la cultura della tavola. Am-bedue giovani Accademici,Simposiarchi incaricati dell’or-ganizzazione della riunioneconviviale di febbraio, hanno

proposto il tema della caccia-gione in cucina selezionandoun antico locale della zona, latrattoria “Tiberina” a Taizzanodi Narni, una delle tante poste,una volta, sulle due strade (Ti-berina e Flaminia) che da Ro-ma portavano verso l’alta Um-bria e le Marche. Notai anchein tavola, non potevano chedare lettura di un testamento,quello del marchese de La Gi-raudière che chiedeva al figliodi commemorarlo ogni annogustando una beccaccia, pre-scrivendo nelle sue ultime vo-lontà, con raffinata ghiottone-ria, anche la ricetta per cuci-narla: “Lascio a mio figlio l’edi-zione della «Fisiologia del gu-sto» in due volumi affinchél’immortale opera del Savaringli consigli l’onore, la saggez-za, la grazia e la vera scienzadella vita. Gli domando incambio di celebrare la mia me-moria mangiando ogni annofra il 15 novembre e il 15 di-cembre una beccaccia del pae-se senza tartufi perché il loroprofumo assorbirebbe quellodel volatile e senza lardo perevitare che le fette posate sullacarne impediscano la cotturatutta eguale. Beninteso questabeccaccia sarà cotta allo spie-do e gli «onori» che ne cadran-no durante il rosolamento sa-ranno ricevuti su fettine di pa-ne rese morbide dal burro fre-sco”. (Guido Schiaroli)

TERNI

OLI NUOVIA CONFRONTO

Riunione conviviale dedicataalla degustazione dell’olionuovo: Giampiero Benedetti eMichele Vino hanno voluto ri-prendere il discorso iniziatoqualche anno fa con la Dele-gazione di Spoleto, facendo al-lestire un piccolo banco d’as-saggio nel quale sono statiproposti oli umbri e oli sicilia-ni, questi ultimi provenientidalla provincia di Trapani. Il

“Trappitu Intenso”, da cultivarNocellara del Belice 10%, Ce-rasuola 30% e Biancolilla 60%,brucatura a mano, ciclo conti-nuo a freddo, risulta un oliogiallo oro dai riflessi verdi,fruttato intenso, con aromi dipomodoro verde e carciofo. Il“Nocellara” del Baglio Ingardiadi Paceco Porticalazzo, di pro-venienza da cultivar Nocellarain purezza, brucatura a mano,ciclo continuo a freddo, risultapulito al gusto, con sentori ve-getali nell’aroma. A confrontooli umbri della zona di Terni edello Spoletino, dai cultivartradizionali Moraiolo, Leccinoe Frantoio. Michele Vino haguidato la degustazione dopoaver illustrato le caratteristichedegli oli. (Guido Schiaroli)

LATINA

AGRO PONTINOIERI E OGGI

Per il primo convivio del 2011gli Accademici pontini con iloro ospiti di riguardo, fra iquali il prefetto della provinciadi Latina dott. Antonio D’A-cunto, si sono ritrovati pressol’“Hosteria Hemingway” delcapoluogo. La mente ripercor-re la storia lontana e recentedell’agro pontino, un territoriodove oggi, a causa della boni-fica della palude, sono scom-parsi paesaggi particolari, uo-mini e animali come bufali ecavalli dalla incredibile capa-cità lavorativa. Attualmentedalla macellazione dei bufalisi ricavano carni ottime chevengono utilizzate per la pre-parazione di piatti squisiti; nelcontempo il latte di bufala ser-ve per la preparazione dimozzarelle e formaggi di qua-lità. Ma la bonifica dell’agropontino non ha inciso solo suquesti aspetti; essa ha rappre-sentato per la popolazioneuna rivincita sociale sulle se-colari difficoltà e sulla malaria.

LAZIO

UMBRIA

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La vita è cambiata, eppurenon è trascorso nemmeno unsecolo da quando nella palu-de dominavano pescatorid’acqua dolce, cacciatori, le-gnaioli, carbonai, butteri, ra-nocchiari. Dal punto di vistagastronomico in quel tempo sifaceva uso di prodotti orto-frutticoli del luogo, di animalida cortile e di selvaggina pre-sente numerosa nella palude:anatre, beccacce, quaglie, tor-tore, tordi, ficarole, lepri, istri-ci, tasso e ricci ottimi per lapreparazione del sugo.Oggi i gusti sono cambiati, l’a-limentazione è diventata piùsobria, più delicata e il gastro-nomo spesso è più incline aprivilegiare la digeribilità dellepietanze, l’aspetto estetico deipiatti preparati e la convivialeamicizia basata sull’affinità diidee e sulla reciproca stima.Comunque del passato non sipossono dimenticare la sem-plicità della vita e la presenzadei butteri esperti cavallerizzi;fra questi merita di essere ri-cordato Augusto Imperiali chenel 1890, al servizio della fa-miglia Caetani, sconfisse a Ro-ma Buffalo Bill durante unagara per la doma dei puledri.Forse il ristoratore ClaudioGinnetti, dando al locale il no-me dello scrittore americanoErnest Hemingway (1898-1961), ha voluto volontaria-mente ricordare questo scon-tro fra cavallerizzi del vecchioe nuovo continente. InfattiHemingway, profondo cono-scitore e ammiratore dell’Ita-lia, ebbe come grandi passionil’azione, le belle donne, labuona cucina e l’alcol. A taleproposito ricordo che il famo-so scrittore ha legato il suonome al cocktail Martini He-mingway che si prepara conghiaccio, vermouth, gin e vie-ne servito insieme a un’olivaverde snocciolata e infilzatanello stuzzicadenti. Veniamo ora a parlare delconvivio. All’inizio della mani-festazione il Delegato Bene-detto Prandi, dopo aver salu-

tato gli ospiti, ha comunicatoche la signora Tina Raponi,moglie del compianto Bruno,è stata nominata nello stessotempo Socia e Consultrice del-l’Accademia di Latina. Succes-sivamente il Simposiarca Vice-Delegato Giangi Chizzoni haillustrato la storia del locale eha descritto con dovizia diparticolari il menu della seratae le peculiarità delle pietanzepresentate. La cena è stata dialto profilo e la cucina ha rag-giunto livelli che meritano diessere ricordati; in particolarela cuoca signora Ginnetti si èdimostrata degna delle belleparole dedicate da Hemingwaya chi cucina con arte e passio-ne: “Un cuoco è un pittoreche dipinge con i colori difrutta e verdure la tela di unpiatto”. Il servizio è stato gen-tile e veloce, i vini sono statimolto apprezzati. Il locale ècaratteristico e i quadri cheadornano le pareti richiamanoalla memoria la storia dellapalude pontina e la passionevenatoria di Hemingway; l’u-nico aspetto non ottimaledell’“Hosteria” è la sua limitatacapienza. La serata si è con-clusa con il brindisi. Per que-sto aspetto del cerimoniale ac-cademico, in uno spirito di al-ternanza, è stato nominatol’Accademico Annibale Vero-nica che ha ribadito il valoredel ristorante, già espresso dalSimposiarca, e ha sottolineatola genuinità delle materie pri-me utilizzate in cucina e la pu-rezza dell’acqua minerale.

ROMA AURELIA

CUCINA ROMANAIN “GATTABUIA”

La riunione conviviale di tesse-ramento si è tenuta all’insegnadella più pura tradizione dellacucina romana nel ristorante“La Gattabuia” che, ubicato nelcaratteristico rione Trastevere,conserva tutto il fascino dellaRoma dei papi e dei bulli. Do-

po il saluto del Delegato Gio-van Battista Guerra che hapresentato il programma del-l’anno accademico della Dele-gazione, il Delegato di TelAviv, Ever Cohen, graditoospite della serata, ha illustratoi dettagli della gita in Israeleche la Delegazione effettuerànel prossimo mese di maggio.Ha preso quindi la parola il Vi-ce-Delegato Nicola Delli Santi,Simposiarca della serata, ilquale ha ricordato brevementela storia del ristorante, che ri-sale al 1964 quando, con il no-me di “Ciceruacchio”, fu aper-to da un eccentrico personag-gio americano di nome Re-mington Olmstead nei locali diun antico carcere papalino,per poi cambiare di proprietàe prendere il nome attuale di“La Gattabuia”, termine popo-laresco per indicare il carcere.

NAPOLI-CAPRI

LA PASTA IN SERBIA

Con l’obiettivo di promuoverela tradizione della cucina italia-na e valorizzarne il grande pa-trimonio culturale, l’Istituto ita-liano di cultura di Belgrado,nell’ambito di una serie di ma-nifestazioni per festeggiare i150 anni dell’unità d’Italia, haproposto un evento sull’artecucinaria campana. A tal pro-posito, ha invitato l’AccademicaLejla Mancusi Sorrentino a svol-gere una relazione sulla storiadella pasta fin dalle sue origini.Al termine della conferenza so-no state proposte, in degusta-zione, alcune specialità del pa-stificio di Gragnano (Napoli).

SALERNO

A TUTTO PESCE

Dopo alcuni anni di chiusura,il ristorante “Al Cenacolo” hariaperto con una nuova gestio-

ne e con una ristrutturazioneche ha dato una maggiore lu-minosità al locale. Briosa epiacevole, la serata ha avutocome tema un menu a base dipesce dall’entrée di salmonein tortino all’antipasto di trigliaripiena di mozzarella e limonesu emulsione di patate e fruttidi mare, ai primi piatti (risottocon gamberi rossi, melanzane,ricotta e gocce di pesto allagenovese e spaghettoni tota-no, noci e limoni) ai secondi(filetto di tonno in crosta dinocciole, su tavolozza di acetobalsamico e mela verde e tri-colore di dentice, zucchine egamberi). Delicato il dessert(piccoli cannoli di pasta croc-cante ripieni di ricotta e peracon fonduta al cioccolatto fon-dente e gelato al rhum). Il tut-to innaffiato dai vini DonnaClara, Caracea Falanghina Igt,Terrae 15 Greco di Tufo Igt eNotarius Aglianico Igt. Buonoil servizio. La serata si è con-clusa con la consegna del gui-doncino accademico al cuocoe al proprietario. (RaffaeleMartino)

VALLE D’ITRIA

INCONTROTRA DELEGAZIONI

Le Delegazioni di Valle d’Itria,Brindisi e Manduria si sonoincontrate, per favorire erafforzare i legami accademicidi amicizia e la conoscenzagastronomica territoriale, at-torno ai tavoli del ristorante“Archi del Duca”, a MartinaFranca, caratterizzato da anti-che arcate in pietra con affac-cio sulla villa comunale. Do-po il rituale saluto di acco-glienza da parte della Delega-ta Rosa Lella Motolese, ha in-trattenuto i convenuti il Dele-gato della Penisola SorrentinaSergio Corbino. Ha presentatoun suo libro, vincitore deipremi “Orio Vergani” e “Ver-

PUGLIA

CAMPANIA

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dicchio d’oro” del comune diStaffolo: “Le avventure di uncuoco galante”, con 55 ricetteper conquistare la donna ama-ta. Brillantemente ci ha fattovivere la fantastica storia di unpersonaggio di profonda uma-nità, molto vicino al modo divivere meridionale sempreaperto all’altro.La vita del giovane Otto non èesente da dolori, gioie, grandiamori, fortune professionali.Ognuno, forse, desidererebbeincontrarlo o possedere qual-cuna delle sue qualità. Il ro-manzo, piacevolissimo, è la ri-sultante di una fervida fantasiaabbinata a una grande espe-rienza acquisita nel corso del-la vita sia in qualità di giorna-lista che come esperto storicodelle tradizioni gastronomicheregionali e nazionali. A segui-re il pranzo, apprezzato inogni sua portata, sia nell’ela-borazione che nella presenta-zione dei piatti della tradizio-ne, rivisitati sapientementedalla signora Lucia con i pro-dotti tipici della nostra terra.(Enza Buonfrate)

VULTURE

CENA DI BENEFICENZA

La fondazione nazionale “GigiGhirotti” è un’associazione divolontariato, non ha scopo dilucro ed è finanziata da offertespontanee per assistere i mala-ti terminali. Il Vice-DelegatoDomenico Saraceno è presi-dente della sezione lucana. Inoccasione della “Giornata delsollievo” indetta dalla fonda-zione, il Vice-Delegato, al finedi raccogliere fondi, ha orga-nizzato una cena conviviale alristorante “Novecento” di Melfiche ha visto raccolti non sologli Accademici della Delega-zione, ma anche un folto grup-po di invitati. Nel corso della serata è statopresentato il libro “Senza oc-

chi” dello scrittore lucano Di-no De Angelis, romanzo auto-biografico che narra la sueesperienze di vita. Il comples-so musicale “Welcome to theDjango Quartet” ha allietato lariunione conviviale, nel corsodella quale è stato proposto ilseguente menu: antipasto“Novecento” con salumi e lat-ticini freschi; ravioli di carnein salsa vellutata; strascinaticon funghi e pomodori Pachi-no; capocollo di maiale conerbetta, bieta e patate arrosto;composta di frutta; sfogliatinaai frutti di bosco.Il ricavato delle offerte dellaserata è stato consegnato allasezione di Melfi della fonda-zione “Ghirotti” perché prov-veda all’acquisto di una stru-mentazione portatile che per-metterà a ogni paziente nonautosufficiente di ricevere unbagno caldo nel proprio letto.

REGGIO CALABRIA

IL FRITTOLARO

Nel ristorante “L’Oasi”, alleprime luci dell’alba, è stata si-stemata la caldaia destinata al-la preparazione tipica delmaiale secondo le tradizionidella provincia di Reggio(molto diverse da quelle dellealtre province calabresi), chesi è svolta sotto l’attenta guidadel frittolaro per ben otto ore.Questa è una tradizione con-solidata della provincia, fon-data sull’esperienza secolaredei contadini che da allevatoridivengono macellai e infinechef, conoscitori dei segretidella scelta delle parti delmaiale e dei tempi di cottura.Non esiste una “ricetta”, matutto viene lasciato all’espe-rienza dell’“operatore”, cuitoccherà tutto il merito dellabontà delle frittole (o l’igno-minia, nel caso non abbia as-solto correttamente il suocompito), per cui esiste una

tradizione che viene traman-data “sperimentalmente”. Gra-ve jattura è quella che colpi-sce gli amici quando il frittola-ro anziano decide di abban-donare il campo senza averlasciato un erede: nel nostrocaso, il maestro frittolaro ci hapresentato il nipote, che hagià iniziato la “carriera”. Sare-mo quindi tranquilli per il fu-turo. Occorre ricordare l’uso“sociale” delle frittole, offerteagli amici o ai vicini, che sipremureranno di ricambiare,quando verrà il loro turno diammazzare il maiale (e il tur-no è già programmato). Daqui il detto “Su’ frittuli chi sirrendunu” (“sono frittole chesi restituiscono”), inteso nonsolo nel bene, quando occor-re restituire un favore o unacortesia, ma anche, ironica-mente, soprattutto nel male, achi ci ha fatto uno sgarbo(un’interpretazione contadinadell’occhio per occhio).La Delegazione ha avuto, in-sieme a un folto gruppo diAccademici messinesi (con-vertitisi alle frittole ormai daanni), ancora la fortuna dipartecipare al rito: e gli amicihanno avuto il privilegio di ri-tornare in Sicilia con la “tru-scia” (piatto pieno di cibo, av-volto da un grande tovagliolo,oggi contenitore in alluminio)in modo da consumare tutto ilconsumabile. Dopo un ricchissimo antipa-sto rustico, nel quale faceva lasua comparsa anche la pic-cantissima “nduja” di Vibo Va-lentia, sono stati serviti glispaghetti con le cicciole e imaccheroni al ferretto con ilragù di maiale, arricchito dapolpette, salsiccia, e infine lefrittole e accompagnate daverdure saltate e da insalata diarance. Hanno concluso ilpranzo le “nacatole” tauriano-vesi e il sanguinaccio dolcepreparato secondo la ricettadella nonna della DelegataCettina Princi Lupini, alla qua-le sono andati i ringraziamentidi tutti i convenuti.

CALTAGIRONE

LE PIANTE ALIMENTARIIN SICILIA

Raccogliendo l’invito della De-legazione, il prof. Fabio Mor-reale, docente di Educazioneambientale, in un’affollataconferenza, che si è svoltapresso l’educandato “San Lui-gi” a Caltagirone, ha presenta-to il suo libro “Piante sponta-nee alimentari in Sicilia”. La re-lazione del prof. Morreale èstata presentata dall’Accademi-ca Adriana Privitera, a lui lega-ta da amicizia e stima, che hasottolineato la multiforme atti-vità di Fabio Morreale, il qualeè anche competente guida na-turalistica, presidente e sociofondatore dell’associazione“Natura sicula”, appassionatodi fotografia naturalistica. Fa-bio Morreale nel suo libro,preziosa guida di fitoalimurgia(dal greco “fiton”, pianta, “ali-mos”, che sfama), ha ricordatocome alle piante spontanee siricorreva soprattutto in periodidi carestia per la sopravviven-za della popolazione, bastipensare alle guerre; non è uncaso infatti che durante la se-conda guerra mondiale letruppe statunitensi che sbarca-rono in Sicilia disponessero diun manuale di fitoalimurgia,approntato da una commissio-ne di botanici americani, dautilizzare come prontuario incasi di emergenza alimentare.Il libro ha un taglio scientificoe contiene ottanta schede dipiante alimurgiche ascrivibili a74 generi e 5 famiglie: le com-posite, le liliacee, le crucifere,le rosacee e le labiate. Nel li-bro sono inoltre riportate ricet-te di cucina popolare siciliana,in particolare della zona degliIblei, dell’Etna, dei Nebrodi edelle Madonie.Dopo l’applaudita conferenza,la Delegazione ha continuatola serata presso il bed & break-

SICILIA

CALABRIA

BASILICATA

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

fast “La Rosa dei Venti”, nellecampagne di Caltagirone. Quigli Accademici e i loro ospitisono stati accolti da un am-biente intimo e magnificamen-te decorato con fiori di campo.Ottimo il menu dai sapori anti-chi preparato dalla proprieta-ria, la signora Francesca Gior-dano, con prodotti biologici:riso ai profumi di bosco, gnoc-chetti verdi ai cavolicelli conmandorle, sfogliatine croccanticon carote, borragine e cardel-la, frittelle di ceci con erbe dicampo e, per concludere, cro-stini di pasta frolla con cremadi mandorle e tè verde ai fruttidi Sicilia. La Delegata GaetanaBartoli Gravina, alla fine dellariuscita cena, ha consegnatoalla signora Francesca il gui-doncino dell’Accademia, rico-noscendole l’impegno e l’effi-cienza nella preparazione deipiatti e nella qualità del servi-zio. (Adriana Privitera)

SIRACUSA

IL PRANZO DELLA DOMENICA

La Delegazione si è data ap-puntamento a pranzo, in un ri-storante sul mare, il “MareaOrtigia Punta Est”, quasi ilpontile di un’imbarcazione.L’incontro è stato avviato dalDelegato Angelo Tamburiniche ha dato il benvenuto a trenuovi Accademici: ConcettaAloi, Giuseppe Moscuzza eSalvatore Matarazzo, conse-gnando loro le insegne acca-demiche. Ha preso poi la pa-rola, per un breve saluto, il Vi-ce-Presidente dell’AccademiaBenito Fiore, che si è unito albenvenuto ai nuovi Accademi-ci illustrando la struttura del-l’Accademia e ribadendo cheogni riunione conviviale è oc-casione di interventi culturalilegati al momento, al luogo ealla circostanza e che cultoridella tradizione gastronomicaitaliana si diventa sempre dipiù approfondendo e ricercan-

do. Tamburini ha poi introdot-to l’Accademico Emanuele Ro-meo, Simposiarca, che ha trat-tato il tema: “La pesca del ton-no. Economia, storia e tradi-zione del Sud-Est siciliano”.Un applauso ha sottolineato lacura e la competenza dimo-strate e il Delegato ha ringra-ziato Emanuele Romeo perl’attenta e documentata pre-sentazione che ha spaziatodalle testimonianze archeolo-giche alle tonnare. Ha fatto se-guito il pranzo della domeni-ca: la fantasia “Marea” (assaggidi antipasti di mare gustosi eben confezionati); il risottoagli scampi (eccellente e bencondito); il tonno alla siracusa-na (gustoso, morbido e legge-ro); l’insalata di arancia rossadi Lentini (quasi antico sorbet-to naturale); il tortino di ricottae pistacchi di Bronte (un’emo-zione intensa). L’accurata pre-sentazione delle portate in ta-vola e la semplice ma ben ela-borata confezione degli ingre-dienti del territorio hanno otte-nuto una valutazione accade-mica molto positiva. Il ritualemomento finale ha permessoal maestro di cucina SalvatoreTommasi con la sua brigata eal coordinatore del servizioFrancesco Aliano di dare ri-sposta ad alcuni quesiti. Laconsegna del guidoncino edella vetrofania dell’Accade-mia e il tocco della campanahanno concluso un incontrospeciale. (Angelo Tamburini)

SIRACUSA

CENA DI CARNEVALECON I CENACOLARI

Immergersi nelle tradizioni an-tiche ragusane di Carnevale aIbla non è stato solo una me-tafora, poiché l’ingresso al luo-go conviviale, dopo il viaggio,ha previsto un percorso in di-scesa lungo un’antica scalascavata nei fianchi dei montiIblèi per raggiungere una salacon antiche volte a crociera

dove una grande cucina, concappa monumentale di rame,è la scena in cui i cenacolaridella Confraternita di Ragusacelebrano la loro ritualità con-fezionando le pietanze o rifi-nendone la lunga (talora an-che di 24 ore) preparazione. Èstato emozionante cogliere lacalda e profumata atmosferatipica delle cucine di un tem-po. La Consulta della Delega-zione, guidata dal Delegato, èstata qui accolta dal capo Con-fraternita dei cenacolari dott.Rosario Sortino, che con com-mozione ha ricordato come,all’inaugurazione della sede at-tuale, ebbero la presenza del-l’allora Presidente dell’Accade-mia Giuseppe Dell’Osso. Libe-ramente seduti ai tavoli, si èpoi assistito a una carrellata dirappresentazioni recitate an-che in lingua siciliana da dueattori modicani: un’immersio-ne nei ricordi de “L’antico car-nevale della Contea di Modi-ca” del barone etnoantropolo-go Serafino Amabile Guastella,pubblicato nel 1877. Poi loscambio di doni: Siracusa haproposto il suo Moscato Doc“Don Nuzzo” delle “AnticheCantine Gulino” e la pubblica-zione, curata nel 2009 dallaDelegazione, “Il Moscato di Si-racusa”. La ritualità cenacolareha avviato la sequenza di mo-menti in cucina e a tavola conpresentazione delle portate:una convivialità quasi domesti-ca e profondamente vera sianella ricerca che nella presen-tazione. Il menu ha previsto:aperitivo “vinu cunzatu” (vinocondito con mandarini e can-nella) accompagnato da tartinedi frittatina di ricotta e salsicciasu pane di casa tostato; comeprimi il macco di fave e le ca-serecce al sugo di maiale; persecondo arrosto di maiale concontorno di erbette lessate e“cauliceddi” affogati e, perconcludere in bellezza, il dol-ce, ossia cannoli di ricotta echiacchiere preparate dall’Ac-cademico Francesco Carrac-chia. Il Cerasuolo delle cantine

Cos di Vittoria, a tutto pasto, eil Moscato di Siracusa per ildolce hanno accompagnato leportate. Risalendo, dopo mez-zanotte, le antiche scale, si ètornati alla “contemporaneità”con la consapevolezza di avervissuto momenti di grande in-tensità. (Angelo Tamburini)

CAGLIARI

DA “PERELLA”SENZA FRETTA

Situato a Villasalto, il ristorante“Perella” riceve gli ospiti inun’unica sala rettangolare, cal-da e accogliente, che dà lasensazione di essere in fami-glia: foto alle pareti, vari ricor-di professionali sulle madie,ceste colme dei frutti di stagio-ne (mele cotogne, carrube,mirto, ginepro) e bottiglie coni liquori preparati artigianal-mente (l’unica nota stonata lacontrosoffittatura dorata). Lasala contiene al massimo 30persone e per questa ragionela Delegazione ha dovuto limi-tare l’iniziativa ai soli soci.Il proprietario, il signor PaoloPerella, figlio d’arte, arrivato inquesto piccolo paese del Sar-rabus per amore, preferisce ingenerale che il numero sia in-feriore in quanto ciò gli con-sente di “curare meglio ilcliente” perché, come ripetespesso, “il mio non è un risto-rante, ma un laboratorio di cu-cina nel quale tutto viene pre-parato al momento”. Il pranzosi è protratto fino al pomerig-gio inoltrato, ma anche questofa parte della filosofia di que-sto particolare personaggioche sottolinea spesso: “Quan-do si viene da Perella non bi-sogna avere fretta e, tra unaportata e l’altra, è bene che cisi alzi, si chiacchieri, si rida”.In realtà il clima che si è creatoè stato allegro e gli ospiti si so-no presto allineati ai suoi con-sigli, gratificati da un menu di

SARDEGNA

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qualità, vario e genuino, a co-minciare dal vino biologico,dall’olio extravergine e dal pa-ne caldo a base di farine inte-grali e latte di capra.Quella del signor Perella èuna cucina che coniuga la ter-ritorialità e la stagionalità conprodotti che il suo estro creati-vo rende abbastanza originali.Molto apprezzati e vari gli an-tipasti: olive e pomodori sec-chi, prosciutto e salsiccia, mu-stela di bue rosso, mozzarella,ricotta e “casu axedu” di ca-pra, frittelle di funghi e funghiarrosto; particolari le tagliatel-le di pasta fresca a base diragù, carote e carrube; validi isecondi, sia quelli in umidoche gli arrosti d’agnello e latreccia. Dulcis in fundo, le frit-telle calde a base di ricotta dicapra e patate e, superbo, ilgelato, preparato con i pistac-chi di Bronte, perché, come èstato precisato, “quando il ter-ritorio non offre il massimo,bisogna cercare altrove l’ec-cellenza”. Ottimo il liquore abase di ginepro.Il bilancio della giornata è sta-to positivo in quanto si è riu-sciti, grazie alla SimposiarcaRita Lobina, a coniugare l’a-spetto culturale (con la visitaguidata al mattino al Comples-so museale di Armungia, pae-se natale di Emilio Lussu, chedista pochi chilometri da Villa-salto) con il momento convi-viale del pranzo che, nono-stante le numerose pietanze,ha consentito ai soci di alzarsida tavola leggeri e soddisfatti.

ZURIGO

OTTIMA CUCINAROMANA

Gli Accademici della Delega-zione si sono ritrovati, per laprima volta, in un ristorantegià sperimentato con soddisfa-zione dal socio Silvio Conforti.Si tratta de “Le Scale”, aperto

con nuova gestione dal 2006,dall’ambiente accogliente econ tavoli anche all’aperto,simpaticamente italiano, senzaforzature, e, soprattutto, conuna bella sorpresa: il cuoco,romano di adozione (è origi-nario di Bari), Alessando Lops,che ha cucinato piatti romani,semplici, ben fatti, direi fami-liari con quel tocco di moder-nità nella leggerezza delle cot-ture e nella composizione. Ilmenu: fiori di zucca ripieni dimozzarella fritti, croccanti e fi-lanti, puntarelle e acciughe co-me antipasto; maltagliati all’a-matriciana con il guanciale (!!)e poi fegatini di maiale in retecon cicoria saltata. Il dessert li-bero: un buon tiramisu. Il vi-no, dall’ottima scelta, Marche-se di Villa Marina del 2006.L’entusiasmo e l’impegno diquesto ventisettenne proprie-tario e cuoco, che con la suaaffabile e brava partner lavoracon rispetto della cucina e deisuoi ospiti, meritano di essereincoraggiati e sostenuti, comeormai raro esempio di coeren-za e di amore per l’autenticitàdella nostra spesso strapazzatae stravolta cucina italiana.

NEW YORK SOHO

INIZIANOLE CELEBRAZIONI PER L’UNITÀ D’ITALIA

La Delegazione ha organizza-to al “Madison Jolly” hotel diManhattan il primo di una ric-ca serie di eventi previsti perl’anno in corso, dedicata a ce-lebrare i 150 anni dell’Unitàd’Italia a New York, iniziandocon una cena in omaggio allaricca e variegata cucina sarda.Arie musicali tratte dalle prin-cipali opere della lirica italia-na, eseguite dai cantanti delconservatorio “Vittadini” diPavia, hanno allietato la sera-ta. Alla presenza del consolegenerale d’Italia Francesco

Talò, del console Laura Aghi-larre, del direttore dell’Enitdott. Riccardo Strano, degliAccademici, di imprenditori,uomini di affari di Wall Street,e di intellettuali italo-america-ni, il Delegato Berardo Para-diso, dopo aver invitato tutti acantare l’inno nazionale ita-liano, ha presentato il temadella cena “Vivere con lentez-za”, sul quale si sono alterna-ti, negli interventi, gli Accade-mici e alcuni ospiti. I relatorihanno sottolineato come “l’I-talia sia una e indivisibile”, apartire dalla sua cucina, ac-clamata e riconosciuta in tut-to il mondo, avendo dalla suala ricchezza quasi infinita dialmeno 20 diverse regionidalle tradizioni allo stessotempo antiche e attualissimein termini di qualità nutrizio-nali. “Non a caso lo scorsonovembre - ha fatto notare ilDelegato - l’Unesco, inseren-do la dieta mediterranea tra ibeni immateriali dell’umanità,ha di fatto riconosciuto unprimato, anche di diritto, all’I-talia, che più di qualunque al-tra regione del Mediterraneoadotta un tipo di alimentazio-ne rispettosa dei principi nu-trizionali migliori in termini disalute, di piacere e di qua-lità”. Tornando al tema dellaserata, il Delegato ha fattonotare come anche Garibaldi,che pure ha vissuto una vitaavventurosa, abbia trovato iltempo di saper vivere conlentezza quando, di ritornoda New York dove abitò in-sieme a Meucci nell’attualecasa-museo di Staten Island,nel 1855 andò a vivere a Ca-prera, coltivando vino, olio eallevando capre e bovini. È quindi intervenuto il conso-le, ricordando che, quandoGaribaldi dalla Sicilia risalìverso Nord, si iniziò a tesserela trama anche di una cucinaitaliana attraverso le varie re-gioni. Il console ha sottoli-neato infine il grande lavorodi sistema che l’Italia ha svol-to negli ultimi anni per im-

porre la qualità delle materieprime in cucina e delle tradi-zioni italiane in tutto il mon-do. “È vero - ha aggiunto -che gli americani notano consottile ironia che gli unici almondo che commentanoquello che stanno mangiandosono gli italiani, ma è anchevero che sempre più america-ni, proprio grazie alla mag-giore diffusione della culturadi un «Italian way of life»,hanno capito che «fast food» èsinonimo di «junk food», e chela strada del piacere e dellabellezza, della salute e dellabontà è un’altra, la cui ban-diera è certamente il tricoloreitaliano”. Al Consultore Giorgio Man-delli il compito di presentareun’incantevole e dettagliatarelazione sulla storia dell’i-dentità della cucina italiana,ripercorrendone le date prin-cipali e le pietre miliari chehanno consolidato il branddella cucina italiana nell’ulti-mo secolo e mezzo. Oltre agliinterventi degli Accademici,molto interessanti e ricchi dicuriosità circa la cucina e l’u-nificazione dell’Italia, c’è sta-to anche quello di BrunoContigiani, presidente e fon-datore del movimento “Vive-re con lentezza”, che recente-mente ha ottenuto dal sinda-co Bloomberg la possibilità disottrarre anche solo 500 metridi strada al traffico automobi-listico della Grande Mela perlasciarlo ai pedoni: come adire che se lo può fare NewYork, lo può fare qualsiasi al-tra città del mondo. Su questascia di “slow living” italiano èanche l’iniziativa editorialepromossa dal prof. Sisto Ca-pra, che pubblica da dieci an-ni un periodico dal titolo si-gnificativo: “Il giornale di So-crate al caffè”. Infine il Dele-gato ha salutato e ringraziatoi convenuti, augurando di ri-vederli alla prossima cenadell’Accademia, che verrà de-dicata a un’altra regione ita-liana. (Berardo Paradiso)

STATI UNITI

SVIZZERA

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I N T E R N A T I O N A L S U M M A R Y

Dear Academicians, If there is such athing as an Italian cuisine, rather

than a conglomerate of those individualregional cuisines (specific right downto the parish steeple), it has become sowidespread a concept that it has almostlost all significance. Even if thisdistinctive local element of the cuisinesof Italy is diminishing, there are stillfoods that recall their territory of origin.Today we even speak of “zerokilometer” cuisine, which the Frenchmore intelligently refer to as the cuisineof “proximity”. What does territorialcuisine actually refer to? The peoplewho own the territory, who live on it,who work it or have fond feelingsabout it?Owning, residing or working a piece ofland does not necessarily lead to thegeneration of cultural values. Simplybuying a piece of land and constructinggreenhouses planted with geneticallyaltered crops tended by foreignworkers does not lead to a localcuisine. The same is true for vaguelyseasonal foods or those limited toapproximations or imitations of whatare perceived to be regional orprovincial foods from an idealizedimage of the past. Today chefs andeven the food industry itself are moreinclined than ever to create dishes withlocal or regional names that are oftenmisleading if not erroneous. For

example, “parmigiana” actually hasnothing to do with Parma or its cuisine.Local cuisine means first and foremostthinking locally within a context that isclosely connected with the idea of “If itsounds good to eat it IS good to eat”.Thinking locally doesn’t mean justthinking in terms of history orgeography, the two factors that helpeddevelop Italian culinary traditions, butconsidering a region within the contextof its evolution and the impact ofhuman intervention. Thinking locallyand giving a voice to foods and thosewho prepare them is an indispensiblepart of maintaining territorially specificcuisine. Thinking locally also means somethingvery different from simply owning theland - a typical concept of our soullessindustrial and consumer society.Thinking locally does not mean thesometimes contradictory defense orcommercial protection of a local name,as in the case of many geographicalindications which at most refer to foodsthat have no real relationship with aterritory. Salami or sausage labeled“Bologna” or “Modena”, or “Bolognesesauce” may no longer have anything todo with places whose name they bearbut which perhaps once referred tocertain characteristics or human orsocial environment.Regional cuisine is also an expression

of a human environment that formedover time, and includes the evolutionof animal husbandry or crop cultivationtechniques, often closely associated. A particular breed of pig becomes aregional element not only because ofits name but also in terms of how it israised, what it feeds on, the area’smicroclimate. For example, evenwithin the same region themicroclimate of the plains differs fromthat of the hills, piedmont, ormountains. Thus one can also speak ofa regional or local microclimate.A cuisine that is based on localknowledge and experience is not onlyan important dimension of thecivilization of the table, but also servesas an indispensible means for theprotection and enhancement of aterritory, which can no longer be seenmerely as a surface to use or abuse, butwhich must be nurtured and respectedin almost a sacred way. In the pastsome territories and their productswere considered sacred - a conceptthat is not surprising since the term“sacred” derives from the archaic Latinsakros, meaning having value and animportant social role. The rightterritory produces the right food.Within this context it is not thekilometers or proximity that count butthe culture and knowledge that makeup a true regional cuisine which cannotbe improvised and through which it ispossible to recover and revalue ancientwisdom, including popular lore, byprotecting and safeguarding thetraditions that underlie this Academy’smission. How much true local orregional cuisine still exists in anincreasingly overbuilt andindustrialized Italy where local customshave been subverted? To avoidbecoming overly pessimistic, we mustrecognize that there still happy islandsof local cuisine and at the same timethere is a persistence, and even anincrease in the number of peoplereturning to their roots. With an almostsacred respect for regionalcharacteristics, they are attempting torecover the magic of their gifts.

GIOVANNI BALLARINI

D E A R A C C A D E M I A M E M B E R S . . .see page 3

THINKING LOCALLY

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EDITORIAL

ITALY AWAKENSsee page 5

In 1926 an enterprising Italian journalistopened the discussion of a unitarycuisine by establishing the magazineCucina Italiana. Many decades wouldpass before that cuisine would crossborders and attain noble status bydeveloping into an harmonious cuisinecomposed of all the greatest regionalspecialties combined to form a truegastronomic unity.

THE RITUAL OF THE OLIVE TREE

see page 6

Isernia Delegate Giovanna Maria Majdescribes some typical Molisan Lentencustoms culminating in the preparatoryritual of the rich and abundant Easterluncheon that unites families in peaceand serenity.

THE MUSEUMS OF FOODsee page 8

The glorious foods of Parma -Parmigiano Reggiano cheese, Parma ham, felino salami, tomatorelishes - have a place of honor in thedescriptive and celebratory Museumsof Food. These museums are themodel for a Food Itinerary through theprovince of Parma.

THE FRITTATA OF SAN MARCOsee page 10

The Fortajada, or omelette of SanMarco near the city of Pordenone, ispart of the festival of that city’s patronsaint. As Pordenone AcademicianGian Nero Mazzocco explains, this isan important event in the propitiatoryrite of Spring, a symbol of new life likethe eggs used in its preparation,enriched with salmon, onions andmushrooms.

OUR SENSES ON THE TABLE see page 11

What would life be like if we were nolonger able to savor our favorite dishesor the beloved specialties of ourmothers? Flavors are importantbecause they are tied to ourchildhoods. A synthesis of EleonoraCozzella’s paper presented at aconvivial meeting of the PisaDelegation.

COMBATTING FALSE PRODUCTSsee page 13

Boston Academician Maurizio Tognettiasks why many dishes abroad (andsome at home) continue to be referredto by names that mean something elseentirely. These foods are different fromthe originals and therefore should havedistinct names to avoid confusion anduseless comparisons with the originals.

PROTECTING OUR TRADITIONSsee page 14

Inspired by a childhood memory tiedto the Mozzarella from Cardito, Rome-Appia Academician DonatoPasquariello takes on the subject ofprotecting our traditions.Unfortunately many traditionalproducts are threatened by the profitmotive.

THE HERBS OF MURGIA IN APULIAsee page 16

Officinal herbs include aromatic,medicinal and essential herbs.Altamura Academician Pietro Scaler

explains that many historical sourcesshow that officinal herbs were knownin antiquity and were used in pre-Christian Greece and Rome in religious,medicinal and social practices.

RESTAURANTS IN CRISISsee page 17

For some time now the restaurantbusiness has suffered from hardeconomic times. Apuano AcademicianAlfredo Pelle stresses how the industryshould enhance the culture and qualityof its food in order to bring about achange in eating habits to reflect thehigh level of Italian cuisine.

EDUCATION IN THE KITCHENsee page 18

Education and nutritional-gastronomicinstruction are fundamental in theculinary profession and embrace thefounding principals of the civilizationof the table. Under the auspices of theAcademy Territorial Coordinators andthe Territorial Study Center Directors,the Delegations of Emilia and Romagnajoined forces to organize a regionalconference on Education: TowardsQuality Cuisine.

CAVOUR’S PLEASURESsee page 20

Count Camillo Benso di Cavour wentdown in history not only as aprotagonist of Italian unification. Fromhis youth he was interested in thequality of life issues and he began at anearly age to appreciate the pleasures ofthe table. Rome Delegate GabrieleGasparro briefly describes Cavour’s lifeand oeno-gastronomic tastes.

THE AMERICAN DIETsee page 22

Nutritional choices are part of acomplex debate in America, a

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continent that enjoys an extraordinaryvariety of foods, both natural andprocessed. Unfortunately, explainsVirginia Academician Marino deMedici, the vast majority of Americansignore reliable expert scientific andnutritional data on the quality of thefood they consume.

SCIENCE IN THE KITCHENsee page 24

In February a new edition of PellegrinoArtusi’s Science in the Kitchen and theArt of Eating Well was introduced inMilan by publisher Bur Rizzoli on theoccasion of the centenary of theauthor’s death. The Academy Libraryparticipated in the event, andpresented the Academy’s 2011schedule of events.

TASTE AT SCHOOLsee page 26

Gastronomy is an art that many peopleenjoy as a hobby, but it also representsa collective patrimony. Latina DelegateBenedetto Prandi suggests that just oneor two lessons each week in everymiddle school class would be enoughto educate the palates of our youth andto pass along our nation’s gastronomictraditions.

TRANSHUMANCE IN MAREMMAsee page 27

Transhumance, the seasonalmovement of people and livestock, isan extremely important economic,social, health and politicalphenomenon. Throughout historypopulations have moved their flocksfrom hilly pastures in the summer tothe plains in winter.

THE IRON BARONsee page 29

Viticulture in the land around Castellodel Brolio in Senese was one of Baron

Bettino Ricasoli’s great passions. TheRicasolis, an important family in thehistory of Chianti, were alreadyexporting their wine to London andAmsterdam in the 1600s. LuccaAcademician Romolo Ciabatti explainsthat the Baron is responsible for thatgreat wine’s magic formula.

THE BATTLE OF THE STOVEsee page 31

Throughout history the battle of thesexes was also fought at the stove.After years of male predominance inprofessional kitchens, the trend for thenew millennium is for both men andwomen to continue to develop newrecipes and new creations, expandingon elements of a traditional gastronomythat is increasingly open to multiethniccuisine. The difference will be madeby the increasing numbers of peopleinvolved in the culinary world.

ROMAN INNSsee page 33

Anyone who does not wax nostalgicfor the old country inns hasn’t evereaten in one. Journalist LucianoImbriani insists that we must notconfuse those “real” inns with morepedestrian pubs. Some inns of the pastwere the favorite meeting places ofimportant people who made themfamous.

THE LONG HISTORY OF COFFEEsee page 34

Originally from Africa, more preciselyAbyssinia, coffee found fertile groundin Yemen, presumably brought thereby Ethiopian soldiers during ancient

wars. From there it spread acrossArabia to Mecca, where Muslimpilgrims brought it back to theirrespective cities.

TABLES AND PALETTESsee page 36

Our information on table furnishingand settings throughout history andacross civilizations has come to usthrough art. According to CaltagironeAcademician Gigliola Jacomucci,although we have excellenticonographic documentation on tablefurnishings from the Middle Ages on,we know very little about thepreceding eras.

A TASTE OF THE EASTsee page 38

Oriental cuisine is too often mistakenlyidentified with dubious andquestionable ingredients. Pisa-ValderaDelegate Giampaolo Ladu explains thatAsian food instead is often varied,extremely refined and culturallysignificant.

CHESTNUTS FROM BERGAMOsee page 39

Since the Middle Ages the farmers ofBergamo have prepared chestnuts byfirst smoking them, then boiling themfor two hours and finally allowingthem to dry outside for a week.Bergamo Delegate Lucio Piombidescribes the recipe for preparing thedelicious August ostane and smallernicoline varieties of Bergamochestnuts.

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KEEPING CREMONA IN MY HEART

see page 40

Cremona-born actor and passionategastronome Ugo Tognazzi maintainedhis ties to that city even if his workoften took him elsewhere. As Cremona Academician CarlaBertinelli Spotti demonstrates, theactor’s attachment to his hometown can be found in his continuousreferences to the culinary traditions of the city and province of Cremona in his cookbooks and interviews.

THE MODERNITY OF FUTURISMsee page 41

All over Italy people are rediscoveringthe cuisine of futurism. Mauro Mazzon,Academician from Garfagnana Val diSerchio pays homage to this culinary“revolution” by pointing out somedishes that were surprisingly innovativefor such a traditional period.

TranslatorsNICOLA LEA FURLAN

DONALD J. CLARKSummarized

FEDERICA GUERCIOTTI

I N T E R N A T I O N A L S U M M A R Y

APRILE 2011 / N. 226

DIRETTORE

GIOVANNI BALLARINI

DIRETTORE RESPONSABILE

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VICEDIRETTORE E DIRETTORE ARTISTICO

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SEGRETERIA DI REDAZIONE

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COORDINAMENTO REDAZIONALE

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IMPAGINAZIONE

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IN QUESTO NUMERO SCRITTI E RICETTE DICarla Bertinelli Spotti, Romolo Ciabatti, Elisa Contaldi Iodice, Vincenzo Corrado,Eleonora Cozzella, Silvia De Lorenzo,

Marino de Medici, Giorgia Fieni, Aldo Focacci,Lorena Gallina, Gabriele Gasparro, GiancarloGonizzi, Luciano Imbriani, Gigliola Jacomucci,

Giampaolo Ladu, Giovanna Maria Maj, Gian Nereo Mazzocco, Mauro Mazzon,

Donato Pasquariello, Alfredo Pelle, Lucio Piombi, Benedetto Prandi, BeltramoAntonio Re, Giuliano Relja, Pietro Scalera,

Bartolomeo Stefani, Maurizio Tognetti, Tito Trombacco, Publio Viola.

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CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

NEWS see page 44

Special and unusual news about eventsin the food world such as fairs, shows,competitions, prizes, conventions etc.“News” is a section detailing specialhappenings connected with the world ofgood eating and drinking andsummarises interesting articles from thegastronomic press.

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