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SYSTEMICA; DIVENIRE NON BASTA: È NECESSARIO DIS-VENIRE. L'EVOLUZIONE [=DIVENIRE] È COMPLETA (=funziona) CON IL DIS-VENIRE. CONOSCERE SE STESSI ANCHE NEL MOVIMENTO DEL "REDITUS" E NON SOLTANTO DELL' "EXODUS".

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IL NODO DI SALOMONE UN SIMBOLO NEI MILLENNI

Non si è certi del momento né del luogo in cui il Nodo di Salomone comparve per la prima volta, ma secondo gli studi iniziati nel 1998 dal professor Umberto Sansoni e tuttora in atto ad opera di vari studiosi, s’è potuto stabilire che probabilmente ebbe origine nella Preistoria e certamente sorse contemporaneamente in diverse parti del Mondo, dove assunse sempre un significato profondo e vitale, dalle connotazioni sacre. La più antica figurazione del Nodo di Salomone finora conosciuta risale a circa 6.500 anni fa, ed è stata trovata in Romania, nelle vicinanze di Bucarest. Il motivo ornamentale occupa completamente la parte interna di una ciotola in terracotta dipinta a grafite ed è delineato chiaramente, dimostrando d’essere stato eseguito in base ad un calcolato progetto grafico. Secondo Marija Gimbutas, che l’ha studiato in relazione agli altri simboli con cui è associato, si tratta di un’immagine che ha un significato altamente sacrale e che rimanda al culto della “Grande Madre”.

Fondo di piatto della cultura di Karanovo VI, area del basso corso del Danubio, metà del V mill. a.C. (rilievo rielaborato da Gimbutas, 1997).

L’arte celtica, che basò la maggior parte della propria estetica decorativa sul nodo e l’intreccio, fu sicuramente quella che vi diede il massimo risalto e poi, quando il mondo gallico fu conquistato dalle legioni romane, dal I secolo d.C., il Nodo di Salomone fu diffusamente utilizzato per ornare i mosaici pavimentali delle ricche ville gentilizie, delle terme e dei templi sacri, un po’ in tutte le province dell’impero.

Particolare del manto musivo policromo, Museo “Paolo Orsi”, Siracusa (foto R. Porcaro).

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Nel III secolo, poi, dall’ambito romano passò gradualmente a quello paleocristiano, e quindi il suo utilizzo raggiunse il culmine attorno al IV secolo d.C., quando il simbolo fu nello stesso tempo pagano, ebraico e paleocristiano. La sua forma più semplice è costituita da due anelli schiacciati e sovrapposti ortogonalmente, uno verticale e l’altro orizzontale, intrecciati tra loro nella parte centrale, in modo da formare una sorta di croce con due ellissi, le cui estremità sono arrotondate. Col tempo poi, da questa figura elementare sono andate evolvendosi altre forme più elaborate e complesse che, pur mantenendo sempre lo stesso schema di base, a volte sono state completate da alcuni elementi decorativi, o aggiunti altri anelli. Con l’editto dell’imperatore Costantino, del 313, il Cristianesimo fu riconosciuto ufficialmente, anche se già da molto tempo prima era presente e solido nell’impero, e nonostante il paganesimo ebbe forza e autorità almeno fino all’editto di Teodosio del 380. Durante il IV secolo dell’Era Cristiana, si assistette proprio a questo lungo processo di graduale compenetrazione e reciproco influsso, fino all’affermazione del Cristianesimo e al sostanziale mutamento dell’impero, travolto dalla decadenza morale e dalle costanti guerre, ormai insostenibili. I nuovi fondamenti teologici cristiani, quindi, s’inserirono gradualmente in un mondo che era profondamente romanizzato, e negli aspetti esteriori, da quelli artistici sino ai liturgici, s’assistette ad una sorta di rivisitazione complessiva dello stesso simbolismo, col mantenimento degli ideali civili della società latina. In Aquileia, pochi anni dopo l’editto di Costantino, il vescovo Teodosio fondò la prima chiesa e poi, più ancora della Roma dei primi papi o della Milano di sant’Ambrogio, poco alla volta la città divenne il centro principale d’emanazione della Fede Cristiana e di diffusione dei nuovi moduli d’arte. La sua basilica, quindi, ha una grande importanza nel definire i caratteri dei motivi iconografici paleocristiani. Gli splendidi mosaici pavimentali che ornano le sue ville e la bellissima basilica, opera di una delle più grandi scuole musive dell’epoca tardo-antica, sono considerati tra i migliori del tempo. In questi bellissimi pavimenti, il Nodo di Salomone è presente ovunque, e in alcuni casi è addirittura ripetuto in modo quasi incalzante, fino a comporre delle vere e proprie “nodiadi”. L’esempio più illustre e straordinario è proprio nei tappeti musivi della basilica teodoriana, che originariamente occupavano circa 1500 metri quadrati, e ancora oggi sono considerati i più grandi in assoluto, giunti fino a noi dall’età romana. Il Nodo di Salomone, in questi mosaici, è il motivo di gran lunga più ripetuto: ben 270 volte, stimando in più di 50 quelli mancanti nelle parti perse. Si tratta di un’eccezionale nodiade dove le immagini rappresentate esprimono i temi fondamentali della nuova dottrina ed hanno un importante valore didattico-pastorale.

Dettaglio di un tappeto musivo della Basilica Paleocristiana di Aquileia.

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Dal IV al VII secolo, il Nodo di Salomone fu tra i motivi ornamentali più comuni e duraturi: soprattutto nei tappeti musivi delle basiliche, ma anche in altri luoghi sacri, come gli oratori e i monasteri, oltre che nelle grandi ville. Assieme all’ambito cristiano, il simbolo si manifestò anche in quello ebraico, nelle sinagoghe della Diaspora e, seppure in modo meno appariscente, presto cominciò a comparire nel repertorio degli intrecci senza fine dell’Islam. L’ebraismo trovò confacente il simbolo alle sue austere concezioni religiose e tutto lascia supporre che esso sia stato proposto come simbolo d’unione, d’alleanza fra Dio e il popolo eletto, fra la legge e il fedele, un significato che fu attribuito anche al “sigillo di Salomone”, o “stella di Davide”, di più tarda adozione. Il Nodo, dopo la fase tardo-antica, sembra essere stato estromesso a lungo dalla simbologia ebraica, ma ricomparirà significativamente nelle miniature ebraiche del tardo Medioevo, sulle lapidi funebri del XVII secolo e nelle sinagoghe del XIX secolo.

Portale d’entrata della sinagoga di Trieste, 1910 (foto U. Sansoni). L’associazione tra il nome di Salomone e questo motivo ornamentale, probabilmente, si realizzò tra la fine dell’epoca antica e l’inizio del Medioevo, quando la figura del re biblico godeva di grande prestigio e la semplice connotazione salomonica attribuiva un valore indiscusso al simbolo o all’oggetto così qualificato. Il motivo per il quale il Nodo è stato associato al nome del re Salomone, quindi, va ricercato nel leggendario ed estremo equilibrio attribuito al sovrano biblico, il quale ricevette direttamente da Dio, di là dei suoi meriti personali, il dono della più grande saggezza mai posseduta da un uomo. Per questo, egli fu il personaggio che più d’ogni altro divenne emblema del discernimento, della giustizia e dell’equanimità. La forma del motivo ornamentale in questione, infatti, suggerisce molto bene questo senso d’equilibrio e di giusta distribuzione, suddivise egualmente tra gli elementi che lo compongono e che sono saldamente uniti tra loro. Il Nodo di Salomone nelle sue varie forme fu tra i motivi comuni nel mosaico basilicale bizantino. In alcuni casi, in Giordania e Israele, i Nodi assunsero valore di croce, mentre nella basilica della Natività a Betlemme vi è un pavimento con Nodi alternati ad altri simboli, un chiaro corredo simbolico al Cristo nel luogo della sua nascita. Nelle chiese, in epoca alto-medievale, le lastre marmoree che dividevano la navata dal presbiterio, chiamate "plutei", erano decorate con elementi ornamentali che racchiudevano un significato “colto”, ma che allo stesso tempo doveva risultare comprensibile ai fedeli di diverse estrazioni sociali, e queste decorazioni

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comprendevano croci, rosette, palme, fiori, foglie, grappoli d’uva, uccelli e, soprattutto, intrecci, con una preponderanza di Nodi di Salomone.

Pluteo, Museo dell’Altomedioevo, Roma (rilievo V. Damioli). Allo stesso modo, il Nodo era presente sui diversi elementi architettonici, sulle colonne, sui capitelli, sui piastrini, sugli architravi e sugli archivolti, o sulle vere da pozzo, ma si riprodusse anche su innumerevoli codici miniati, sulle guarnizioni dei cinturoni, sulle armi e sulle fibule femminili, sui pendagli e sugli anelli principeschi, sulle stele commemorative e sulle crocette aure funebri, sui reliquiari e perfino sulla leggendaria lancia di Longino, l’arma-reliquia più prestigiosa della storia della cristianità, che si ritiene abbia trafitto il costato di Cristo e contiene un chiodo della santa croce.

Croce-pendaglio in argento di età vichinga (rilievo V. Damioli). Museo archeologico di Göteborg (Svezia).

Collare vichingo (rilievo V. Damioli).

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Uno straordinario esempio d’epoca romanica è quello della Rotonda di San Tomé (XI secolo), ad Almeno San Salvatore, in provincia di Bergamo, che per la sua rara pianta circolare e la sobria decorazione è un autentico gioiello dell’architettura sacra dell’epoca. Il Nodo di Salomone, il più antico esempio di Nodo dagli anelli ogivali, in questo caso è scolpito in bassorilievo nella lunetta del portale laterale, e come tale è il simbolo del passaggio dal profano dell’esterno al sacro dell’interno ecclesiale. Per i contesti in cui si trova collocato nella tradizione ebraico-cristiana, fin dai primi esempi il suo significato sembra esprimere simbolicamente ciò che la struttura ad anelli incatenati mostra esplicitamente: legame ed unione armonica fra il divino e l’umano, alleanza e accordo tra Dio e gli uomini, equilibrio, ciclicità e perfino eternità, ma rappresenta anche l’amore che l’Altissimo manifesta per le sue creature. Gli anelli che lo compongono, normalmente sono uguali, ma spesso differiscono nel colore o nella decorazione, a sottolineare un legame tra diversi e, in particolare, fra gli opposti principi. Tra alti e bassi, il simbolo attraversa tutto il Medioevo e poi nel Rinascimento è presente anche nella più elevata cultura figurativa italiana. Con Giotto, Piero della Francesca, Raffaello, Leonardo, e molti altri maestri, il Nodo di Salomone acquista un ruolo sempre più prestigioso. In particolare, la sua frequente presenza sulle opere con le immagini della Madonna con Gesù Bambino, sembra confermare il suo valore come simbolo mariano. Nella bellissima tavola della “Vergine con Bambino”, dipinta da Giotto e conservata presso la National Gallery di Washington, il capo della Madonna è adornato con una preziosa aureola costellata da dodici Nodi di Salomone quadrupli, uno semplice ed altri multipli. Altri Nodi dall’aspetto prezioso decorano il velo e la veste della Vergine, oltre al manto di Gesù Bambino.

Vergine con Bambino, Giotto National Gallery di Washington Numerosissimi sono gli esempi di questo particolare accostamento, ma probabilmente il più illustre è quello sulla “Pala di Urbino” dipinta da Piero della Francesca, conservata presso il Museo di Brera a Milano. Si tratta dell’ultima opera dipinta dal grande maestro, e forse quella più “alta”. In tutta la scena descritta sono presenti numerosi richiami simbolici: il corallo rosso che pende dal collo del Gesù Bambino, la croce di

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cristallo nelle mani di san Francesco, le gemme e le perle indossate dagli angeli e, in particolare, la grande conchiglia da cui pende un uovo, che sovrasta la Madonna assisa in trono. Ai piedi di Maria, sul tappeto, si apprezza una serie continua di Nodi di Salomone dorati, alternati a stelle ottagonali anch’esse intrecciate.

“Pala di Urbino”, Piero della Francesca, Museo di Brera, Milano Il Nodo di Salomone fu adottato dai crociati, ma allo stesso tempo lo fu anche da parte araba. Fin dal sorgere dell’Islam, begli esempi furono decorati in numerose moschee e edifici importanti, come nell’Alhambra di Granada e nell’Alcazar di Siviglia, dove il Nodo è presente in piccoli e marginali inserti nel decoro parietale, dispersi nel trionfo assoluto dei motivi sinuosi ad intreccio, tipici dell’arte iconoclasta islamica. Il simbolo, però, assunse particolare valore in contesti diversi, che comprendono una varietà di oggetti in metallo smaltato, come le fibbie di cintura di bronzo dorato e smaltato, o un pendaglio in oro e smalto del XIV secolo, oppure le numerose armi cesellate, ma l’esempio più interessante è costituito da un elmo da parata del XV secolo (Metropolitan Museum, New York), che forse fu dell’ultimo sultano di Granada. Numerosi sono anche gli anelli e i gioielli, i contenitori e il vasellame, i codici miniati, le maioliche e le ceramiche, i tessuti e i tappeti, dove il Nodo di Salomone trova ospitalità e particolare risalto.

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Oltre che nelle tre grandi religioni monoteiste, il simbolo è presente pure nel Buddismo, nell’Induismo, nelle religioni animiste, nelle culture americane precedenti alla colonizzazione e in quelle africane, facendo pensare ad un vero e proprio “simbolo universale”, altamente espressivo e adatto a rappresentare l’unione tra popoli di culture diverse. La presenza del Nodo di Salomone in Africa sembra avere origini antiche ed autoctone, che probabilmente affondano le proprie radici negli atavici archetipi simbolici comuni a tutta l’umanità. La sua storia, però, mostra anche le caratteristiche di una provenienza poli-culturale, allo stesso modo di tanti altri elementi iconografici che, arrivando da percorsi diversi, si sono ripetutamente incontrati e sovrapposti, portando ogni volta a delle nuove risoluzioni estetiche. Così s’individua l’influenza del cristianesimo europeo, che con i missionari portoghesi diede origine ad una nuova cultura meticcia. Prima ancora, però, l’Islam era arrivato in molte parti del continente, lasciando tracce profonde nelle diverse culture che aveva incontrato. Il mondo copto tuttavia, che attraverso il Sahara fece da ponte tra le civiltà del Mediterraneo e il resto dell’Africa, forse fu il primo a diffondere l’enigmatico simbolo su tutto il continente. In una miniatura etiope del XI secolo, che è una rara rappresentazione del re Salomone in esplicita associazione con il nostro Nodo, il sovrano è seduto, mentre sta impugnando la spada, ma non è chiaro se la sta sguainando o riponendo nel fodero, sul quale sono decorati due Nodi di Salomone classici alternati a croci greche.

Il Re Salomone. Disegno da miniatura del XI sec.. Ms. 105, f. 127. Collezione A. d’Abbadie, Bibliothèque Nationale, Paris

La Telab, cui aspirano i saggi etiopi che compilano le scritture talismaniche, non è altro che la Conoscenza del re Salomone, il quale la ricevette direttamente da Dio. Queste scritture, principalmente, consistono nei libri con preghiere, formule, sigilli, caratteri e calcoli necessari a realizzare i talismani, e nei rotoli di preghiera per curare e proteggere, composti in base alle necessità personali. L’esempio tratto da un rotolo del XVIII o XIX secolo, s’accompagna al testo di una preghiera usata dalle persone prossime a morire per eludere i demoni e le fiamme dell’Inferno. Il fedele, sdraiato ai piedi della Madonna, sostiene un rosario da preghiera che s’inserisce in uno dei riquadri della fascia ornamentale, tra quattro Nodi di Salomone chiusi.

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Rotolo di preghiera etiope del XVIII o XIX secolo Il diffusissimo Nodo di Salomone, rappresentato innumerevoli volte sulle architetture di fango degli Hausa che vivono nel Niger, presso le popolazioni locali è inteso come “l’impronta del leone”, ed è usato nella campitura dei frontoni come simbolo di potenza. Secondo la tradizione, il Nodo è derivato dai motivi ricamati dei vestiti da cerimonia maschili ed è indicato anche come “il nome di Allah”, e in generale ricorda l’Islam, che in quelle terre è la religione ufficiale. Il Nodo di Salomone, nelle sue innumerevoli variazioni e con i tanti nomi che lo designano, si trova presente in modo diffuso e tuttora vitale in molte regioni del Mondo. La sua presenza, già consistente nelle forme più semplici, si moltiplica e si amplifica nelle parentele con gli intrecci, anche molto complessi, che a volte prendono origine ed enfasi da esso stesso. Le interpretazioni che gli artisti delle diverse culture ne hanno dato e continuano a dare, pur nelle personali e soggettive elaborazioni, ci dimostrano convincentemente della sua capacità di sopravvivenza e ci restituiscono chiaramente l’immagine della sua persistente valenza carica di sacralità, tanto che, emblematicamente, nel fonte battesimale di La Trinité, a Caen, in Francia (fine del XIX secolo), esso è stato scelto quale simbolo di Dio.

Settembre 2012 Riccardo Scotti

Bibliografia essenziale: - Umberto Sansoni. IL NODO DI SALOMONE: Simbolo e Archetipo d’Alleanza, Electa, Milano,1998 - L. Fratti, U. Sansoni, R. Scotti. IL NODO DI SALOMONE: Un simbolo nei millenni, Ananke, Torino, 2010 In Internet: - “Nodo di Salomone” - “Solomon’s Knot” - “Noeud de Salomon” - “Salomon-Knoten” - “Nudo de Salomón”

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