ABRAMO E LA FEDE DEL POPOLO DI ISRAELE di Mario … · to l'arco della storia dell'Antico...
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ABRAMO E LA FEDE DEL POPOLO DI ISRAELE
di Mario Cimosa, s.d.b.
l. Introduzione
Una riflessione sulla fede biblica conduce necessariamente alla scoperta nella Bibbia di un Dio vivente, come Presenza attiva e salvifica nella storia: e la fede appare come adesione totale dell'uomo a Dio. Se percorriamo infatti tutta la storia biblica dell'Antico e del Nuovo Testamento, sia dal punto di vista linguistico-letterario che esperienziale, arriviamo alla conclusione che <<la nozione di fede è fondamentalmente identica nell'ATe nel NT: "credere" comprende l'adesione integrale dell'uomo a Dio che rivela e che salva»1.
La prima erede di questa fede biblica sarà Maria di N azaret, la Madre di Gesù, colei che Elisabetta acclamerà: <<beata te che hai creduto!». Questa esclamazione che ricorre moltissime volte nell'Enciclica (cf. RM n. 12, 13, 14, 15, 16, 18, 26, 29, 33, 36) esprime la totale <<obbedienza della fede» di Maria, <<è quasi una chiave che ci schiude l'intima realtà di Maria>> (n. 19).
In questo intervento vorrei mostrare, fermandomi solo all'A T, com'è vero quello che nota la RM e che cioè questo cammino di fede non appartiene solo alla storia di Maria,
1 J. ALFARO, Fides in terminologia biblica, in Gregorianum, 42 (1961) p. 504.
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ma è della storia di tutto il popolo di Dio, di tutti quelli che prendono parte allo stesso itinerario di fede (cf. n. 5). Maria vive dell'esperienza di fede del suo popolo vissuta lungo tutto l'arco della storia dell'Antico Testamento e tramandata di generazione in generazione. Anzi è questa eredità di fede del popolo dell'Antica Alleanza che Maria riceve facendo fare a questa fede un passo ancora in avanti e mostrando come in lei veramente si realizza globalmente tutta l'Antica Alleanza, a sua volta superata da una fede piena e definitiva. Al n. 36 la Redemptoris Mater afferma che
<< nel suo trasporto Maria confessa di essersi trovata nel cuore stesso ~i questa pienezza di Cristo. È consapevole che in lei si compte la promessa fatta ai padri e, prima di tutto, "ad Abramo e alla su~ dis_cendenza per sempre": che dunque in lei, come madre dt Cnsto, converge tutta l'economia salvifica, nella quale "di generazione in generazione" si manifesta colui che come Dio dell'Alleanza, "si ricorda della sua misericordia",; (RM 36).
È una citazione dal << Cantico del Magnificat » dove Maria stessa riconosce che Dio è fedele alle sue promesse e realizza in Lei quello che ha promesso ad Abramo, si riconosce quindi come il compimento della fede stessa di Abramo, come l'erede naturale di questa generazione di credenti che nasce dal seme di Abramo.
È quanto mostrerò, in modo più analitico e più biblico, nel mio intervento. L'esperienza di fede di Abramo è in certo senso paradigmatica per il popolo d'Israele, ed è anche il punto di partenza del suo itinerario di fede, perciò Abramo è chiamato <<il padre dei credenti ». Ma <<padre >> proprio nel senso generativo della parola, avendo generato una discendenza di credenti che attraverso i secoli arriverà fino a Maria. Conviene forse ricordare che lo scopo della storia per Israele è proprio il fatto, che un giorno la benedezione di Abramo si sarebbe diffusa su tutte le << generazioni della terra>> e questo spingeva Israele ad avere lo sguardo rivolto sempre verso il futuro. Naturalmente partirò da Abramo e
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attraverso la vocazione di Mosè e la costituzione del popolo mostrerò come Israele è chiamato a conservare il deposito della fede e a svilupparlo specie nei momenti più critici della sua storia, dal momento della liberazione dall'Egitto in poi. La storia di Israele è infatti la storia della sua fedeltà e delle sue infedeltà. Il vertice nell'A T di questa esperienza è la proclamazione del kerigma profetico che trova particolarmente in «Isaia, il profeta della fede>> l'esempio più significativo, perché unisce i vari aspetti in una ricca sintesi, portando al vertice, nell' AT, la linea iniziata da Abramo. E assieme all'affermazione riassuntiva di Abacuc: «il giusto vivrà per la sua fede>> (Ab 2,4) ne è la massima realizzazione. Inoltre sia la fiducia che « i poveri di Iahvè >> pongono nella preghiera alloro Signore, sia la ricerca di Dio espressa drammaticamente nel povero ma credente Giobbe sono magnifiche espressioni di quella fede che condurrà Maria alla fine del suo cammino interiore di << serva del Signore >>, di <<donna di fede >>, come diranno altri relatori, a riassumere in sé tutte le aspirazioni degli << anawim o poveri del Signore >> e Gesù ad accettare la volontà del Padre suo anche di fronte alla morte.
2. Abramo, il padre dei credenti
Nella Redemptoris Mater la fede di Maria viene paragonata più volte alla fede di Abramo <<nostro padre nella fede>> (Rm 4,12; cf n. 14 e n. 26). Mentre la fede di Abramo è l'inizio dell'Antica Alleanza quella di Maria lo è della nuova. Così il cammino di fede di Maria dal momento dell'annunciazione ha sorprendenti analogie con la fede di Abramo, con i suoi ritmi, le sue difficoltà.
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<<Credere vuol dire "abbandonarsi" alla verità stessa della Parola del Dio vivo, sapendo e riconoscendo umilmente "quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie" (Rm 11,33) » (RM 14).
Senza voler fare qui una lezione di scienza biblica mi pare sia indispensabile ricordare che sulla storia di Abramo ha proiettato la sua luce la fede del popolo d'Israele a mano a mano che maturava e si perfezionava storicamente. Questi diversi momenti di maturazione hanno avuto una attualizzazione, guidata da Dio, prima orale, poi riassunta in scritti tra il X e il V secolo a.C.: di qui la necessità di rileggere la vita di Abramo attraverso le complementari tradizioni iahvista, elohista e sacerdotale. Questo introduce anche a una lettura cristiana dell'Antico Testamento, perché è ovvio che l'ultima interpretazione della vita e della fede di Abramo si trova in realtà negli scritti di Giovanni e nelle lettere paoline di Romani, Galati e Ebrei. In modo riassuntivo potremmo dire che lo iahvista presenta<< Abramo come l'amico di Dio>>, l'elohista <<Abramo l'uomo giusto>>, il sacerdotale <<Abramo profondamente solidale con il suo popolo >> 2 • Sono tre aspetti complementari della personalità di questo patriarca che fanno di lui un gigante della fede e un esempio tipico della fede d'Israele.
Prenderò rapidamente in esame i capitoli chiave della vita di Abramo che sono: Gen 12, 15, 17, 22.
2.1 Genesi 12
Questo capitolo è molto importante per capire l'atteggiamento di fede di Abramo e quella che potremmo chiamare la sua opzione fondamentale. Dio gli domanda tutto con un crescendo verso quello che più costa ed è più caro: paese, parenti, casa del padre. La risposta è nei fatti: << Abram partÌ, come gli aveva ordinato il Signore >>. Abramo aderisce in modo incondizionato alla Parola di Dio. Perché la fede non è una semplice adesione della mente, un si razionale al co-
2 B. MARCONCINI, Abramo, un uomo che si fida di Dio, in Un Dio che libera, a cura di M. CIMOSA e F. MosETTO, Torino 1982, pp. 67-77.
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mando divino, ma la fede autentica è un ascoltare e prendere sul serio la volontà di Dio che salva. È mettere in pratica, obbedire senza ragionare, alle esigenze divine andando dove Dio, giorno per giorno, momento per momento conduce.
« La risposta di Abramo ... è adesione cosciente alla presenza attiva di Dio che si rivela {accettazione sicura, perché Dio è stabile), inserimento fiducioso nel piano salvifico (appoggiofiducia e speranza, perché Dio è fedele) e impegno totale di vita (esperienza religiosa attiva - obbedienza di fede perché Dio è Signore) »J.
2.2 Genesi 15
Dio si lega con un giuramento solenne con Abramo. Passa attraverso gli animali squartati sotto il simbolo del « forno fumante >> e della «fiaccola ardente ». Dio fa la sua promessa ( berit ): «In quel giorno il Signore fece una promessa ad Abram. Gli disse: Io prometto di dare a te e ai tuoi discendenti questa terra che si estende dal fiume confinante con l'Egitto sino al grande fiume, l'Eufrate>> (Gen 15,18). Alla luce di questa tradizione che fa di Abramo l'uomo della promessa e dell'ubbidienza la tradizione elohista cerca di presentare agli uomini del suo tempo (VIII sec.) in costante tentazione di tradimento religioso il modello dell'uomo timorato di Dio. Dio promette ad Abramo una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Il v. 6 riassume con particolare efficacia l'atteggiamento di Abramo.« Abram ebbe fiducia nel Signore e per questo il Signore lo considerò giusto ». Letteralmente il testo dice «credette » con il verbo 'aman all'hifil che è la forma causativa seguito da be e il nome della persona. Da questo verbo in ebraico derivano le parole Amen, verità, fedeltà.
3 F. FESTORAZZI, «Eccoci salvi» (Ger 7,10). La fede dei due Testamenti come esperienza salvifica, in Concilium, 10 (1967) p. 61.
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« Abramo messo di fn~nte a una promessa strabiliante ma senza indizi concreti, non ha infatti ancora un figlio e non sa proprio come lo potrà avere, decide di dare ugualmente credito alla parola di Dio e si fida di lui. Abramo appare qui l'uomo del rischio, l'uomo che gioca l'intera esistenza sul "suo" Dio. Questa sua fede-fiducia in Dio contro ogni plausibile apparenza, diviene la "sua" giustizia, il suo titolo di merito, la sua carta di identità davanti a Iahvè. Israele è avvertito su chi debba costruire la propria fede ,, 4•
Questo brano indica l'inserimento incondizionato di Abramo nel piano di salvezza di Dio, sia come sicurezza fiduciosa nella presenza attiva di Dio, sia come rinuncia a qualsiasi appoggio umano: l'alleanza con Dio è l'unica via di salvezza e Abramo vive in modo totalitario questa alleanza5.
2.3 Genesi 17
Appartiene alla tradizione sacerdotale e ci racconta il suo modo di vedere l'alleanza di Dio con Israele. Il contenuto è lo stesso delle altre tradizioni: dono della terra, discendenza numerosa, particolare rapporto con Dio. In più c'è il cambiamento del nome: «Il tuo nome non sarà più Ab ram, ma ~bramo, perché io ti stabilisco come padre di molti popoh ». Mentre Abram significa «padre eccelso», Abraham significa «padre di moltitudini ». Il nome stesso è quindi da ora portatore della promessa di una numerosa discendenza, che qui si ripete per la quarta volta (cf 12,2; 13,16; 15,5). Il programma che Iahvè gli indica è questo: «Io sono il Dio onnipotente. Ubbidisci a me e agisci giustamente» (17,1).
È un cammino di vita relazionato a Dio. Non si tratta
. 4 A. FANULI, Abramo, Giacobbe, Mosè e Giosuè, in Spiritualità dell'An
tzco Testamento, Bologna 1987, p. 335 .
. 5 Cf. F. FESTORAZZI, «Eccoci salvi» ... , p. 62; A. GELIN, La foi dans l'An
czen Testament, in Lumière et Vie, 22 (1955) pp. 10-12.
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più di lasciare una terra per un'altra ma un modo d~ vivere per un altro. L'espressione« a.gisci giustam.:nte » altn lo traducono «sii integro » o megho ancora «su c?mplet~ ».' a~partieni a Dio incondizionatamente, senza nserve. E. Il ~~,scorso legato all'esperienza di Abramo della radtcahta dell'adesione a Dio. L'altro elemento di questo racconto è l'insistenza sulla circoncisione che dopo l'esilio diventerà il segno distintivo dell'appartenenza a Isra:le e~ Iahvè. La circoncisione fa di Abramo un uomo ben msento nel suo popolo.
2.4 Genesi 22
Nel sacrificio di !sacco la giustizia di Abramo si rivela come disponibilità a perdersi totalmente in Dio. Il senso del racconto è indicato nel v. l.« Qualche tempo dopo Dio mise alla prova (nissah) Abramo», Dio lo mette alla prova, gli chiede di rinunciare al suo futuro, di restituirgli ciò che gli aveva dato. Per fargli capire che quel che aveva ricevuto era un puro dono e che egli viveva solo perché Dio lo manteneva in vita. !sacco è la sintesi delle promesse di Dio: in lui è racchiuso tutto quello che Dio aveva detto di voler fare per la salvezza. Rinunciare ad !sacco si-gnifica rinunciare alla salvezza. Siamo al limite: Dio ti promette una continua assistenza e poi ti lascia solo nel cammino della vita. Non solo non ti aiuta nella prova ma è lui stesso che ti prova. Tutto questo Abramo proprio non se l'aspet~ava. Dio. s~~br~ strappare alla storia quella salvezza a cu1 ha dato mtzto: e un'esperienza di fede grandissima. Abramo obbedendo a Dio deve dar prova che per lui non esiste valore, nemmeno l'amore per il proprio figlio, l'unico, che possa sostituire Dio e la sua volontà.
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Scrive molto ben Von Rad:
«Il racconto del "sacrificio di !sacco" al di là di tutte le tentazioni che Abramo ha sino allora incontrato, penetra nell'am-
bito delle supreme esperienze dì ~ede: giacchè J?io stesso ~i leva come nemico dell'opera da lui stesso compmta fra glt uo: mini, e tanto profondamente si nasconde, che per l'uomo ct;t ha rivolto la sua promessa non se~bra restare se non la s.olttudine priva di Dio. Nella sua stona Israele ha fatto. e~pene~ze di tal fatta, e in questo racconto ne fa conoscere t nsultatt: sappia Israele che sìtu~zÌ?nÌ siffatte, Ìfl: eu! _Dio ~embr~ intollerabilmente contraddtrst, sono tentazwm m cui Iahve mette a prova la sua fede »6•
È l'esperienza del popolo di Israele dunque quella simboleggiata in Abramo.
2.5 A bramo: itinerario dì un cammino verso Dio
Le diverse tradizioni presentano Abramo come un essere realmente storico, un uomo in carne e ossa, nel quale si sono scoperte e progettate alcune dimensioni che trascendono ogni comune mortale. La sua figura si ingrandisc~ quanto più la si semplifica fino a ridur la a un concetto ~~ ''fede »,
come il Battista che sarà ridotto a un concetto dt «voce».
La storia di Abramo è la storia della elezione divina e della risposta di fede dell'uomo per trasformarsi nella stori.a idealizzata di un popolo, del popolo di Dio. L'epopea stanca di un uomo concreto si presenta come la storia modello di ogni credente. Non è la biografia di un eroe, come. non lo sono i Vangeli di Cristo. Per Abramo, come per ogm persona, la parola di Dio irrompe nella vita all'ii?pr?vviso, opera una rottura e mostra un ideale straordmano. Abramo aderisce con gioia e fiducia. Il ritardo nella realizzazione della promessa spinge Abramo a cercare il figlio dalla schiava. Ma Dio rinnova la sua promessa e Abramo aderisce nuovamente e con maggiore entusiasmo. L'incontro con Dio.t:asforma sempre. Ecco il cambiamento del nome. In ogm mcontro con Dio c'è sempre il momento dell'oscurità, della
6 G. VoN RAD, Teologia dell'Antico Testamento, l, Brescia 1972, p. 206.
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prova: essa manifesta quel che noi veramente siamo. Abramo con la prova del figlio si riafferma amico di Dio, riconosce il cammino già fatto, si fida unicamente di lui. La figura di questo patriarca è il tipo perfetto di quel che significa credere in Dio: incontrarsi con Lui nella propria esistenza, sperimentare la sua fedeltà e il suo potere di salvezza, ascoltare tutto quello che egli vuole per seguire le sue esigenze fino a sacrificare quel che c'è di più caro sull'altare del servizio e dell'amore.
La migliore conclusione di questo primo momento sorgivo della fede del popolo la suggerisce Paolo. Anche lui, come noi, guardò ad Abramo con occhi limpidi per constatare che quello che giustifica agli occhi di Dio non sono le opere della legge (Gen 15,6; Gal 1,3-5). E tutta l'argomentazione che suggerisce ai Galati la ripete sintetizzata ai Romani (Rom 4,2). I cristiani non devono mai dimenticare che non sono le opere, anche buone, numerose e grandiose che giustificano agli occhi di Dio, bensì la fede che ci pone come veri servi con gli occhi rivolti alla mano del padrone. Le opere sono solo il frutto di questa fede, le linee che Dio va scrivendo con quelli che si abbandonano completamente, per mezzo della fede, a lui. Il contrario è il fariseismo, illegalismo. Infatti sappiamo che la lettera uccide ma è lo Spirito che dà vita: «Abramo credette e questo lo giustificò».
Per Paolo la fede del cristiano è la fede di Abramo. Con essa si entra nella benedizione promessa al patriarca perché «in Cristo Gesù la benedizione di Abramo è passata alle genti» (Gal 3,14). È la stessa fede di Maria che « ... nell'annunciazione ... abbandonandosi tutta a Dio mediante "l'obbedienza della fede" ... rispose all'angelo: "Eccomi, sono la serva del Signore" ... » (RM 26).
3. La fede del popolo di Dio
L'esperienza di fede di Abramo, esperienza personale ma
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non limitata a lui comincia a trasformarsi in esperienza religiosa collettiva all'epoca dell'esodo dall'Egitto diventando esperienza di fede di tutto il popolo d'Israele.
Di per sé, lo stesso fatto della liberazione dalla schiavitù egiziana attraverso la mediazione di Mosè esige tanta fede negli Ebrei. Il c. 14 dell'Esodo poi mostra più di ogni altro il cammino di fede del popolo.
« 11Dissero a Mosè:- Forse non c'erano tombe a sufficienza in Egitto per condurci a morire nel deserto? Perché ci hai portati fuori dell'Egitto? 12Quando eravamo ancora là, ti dicemmo di !asciarci in pace. Potevamo anche continuare a servire gli Egiziani! Era meglio per noi essere schiavi che morire nel deserto!>> (14,11-12).
In questi versetti Israele appare come un popolo incredulo che ha completamente dimenticato il suo Dio che qui non viene neppure nominato. Invece il plurale sottolineato dal «noi », che ricorre nel testo ebraico ben sette volte, l'Egitto e gli Egiziani che ricorre cinque volte sottolineano l'atteggiamento egoistico del popolo che pensa a se stesso e che si dimentica del suo Dio che lo sta conducendo verso la libertà. Ma né Iahvè, né Mosè rimproverano al popolo la sua mancanza di fede perché il popolo incredulo non ha ancora fatto una vera esperienza di questo Dio che libera. Ma al popolo che trema per la paura Mosè rivolge una parola rassicurante e profetica insieme. Se l'Egitto è lì con la sua imponenza e fa paura, fra poco non ci sarà più. Sulla scena c'è l'invisibile ma dominante presenza di Dio. Solo da lui bisogna attendere la salvezza. Mosè appare qui come l'uomo della fede, di una fede che bisogna accogliere per raggiungere quello che essa intravede. Le parole di incoraggiamento di Mosè che seguono sono la sua risposta al lamento del popolo e usano per tre volte il verbo «vedere>>. Israele «vedrà>> quello che Dio sta per fare a vantaggio del suo popolo.
« Mosè rispose: -N o n temete! Abbiate coraggio e vedrete quel che oggi il Signore farà per salvarvi. Questi Egiziani che voi vedete quest'oggi, non li vedrete mai più. 1411 Signore stesso
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combatterà al vostro posto. Voi dovrete stare tranquilli >> ( 14, 13-14).
Il popolo vedrà dunque la salvezza, non vedrà più i suoi oppressori, gli Egiziani. Dio infatti gratuitamente combatterà per il popolo senza chiederne collaborazione. L'inizio della fede è così, un dono gratuito di Dio. Nel segno spettacolare che Iahvè compie conducendo le tribù dall'altra parte del «mare dei giunchi >>, Israele vede la mano potente di Dio e nel suo cuore nasce la fede. Il c. 14 si conclude con le parole:
<< 3°Così quel giorno il Signore salvò Israele dalla minaccia degli Egiziani. Gli Israeliti videro i cadaveri degli Egiziani sulla riva del mare 31e riconobbero la potenza con cui il Signore era intervenuto contro l'Egitto. Per questo il popolo fu preso da timore per quel che il Signore aveva fatto ed ebbe fiducia in lui e nel suo servo Mosè >> (14,30-31).
«Gli Israeliti videro i cadaveri degli Egiziani ... >>: ecco il fatto, l'esperienza impressionante che Israele vede. <<Così quel giorno il Signore salvò Israele ... »: ecco il significato del fatto, l'intervento salvifico di Dio a favore del popolo. La conclusione è una sola: la fede in questo Dio che salva. Gli Ebrei che vedono Dio all'azione in loro favore diventano gli Ebrei che lo temono e che credono in Lui. È sempre così per noi, lo fu per Abramo, lo è stato per Maria di Nazaret: quando si scopre Dio, quando si è disposti ad accogliere la sua <<rivelazione » che si manifesta anche nei modi più semplici non si può fare a meno di aderire a lui e di credergli con tutta l'esistenza.
<<Basta una sola esperienza bruciante di Dio per imparare a vederlo sempre al proprio fianco. La fede è questo: è esperienza costante sempre nuova e sempre sconvolgente di lui che è là ad ogni angolo della tua strada, della tua vita e non puoi farne più a meno. Perché lui è il senso e la salvezza della tua vita ,7,
7 A. FANULI, Dio in strada con l'uomo. Sulle orme dell'Esodo, Milano 1977, p. 127.
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E per Israele questa fede si esprime in un inno di lode gioiosa al Signore, in un inno di ringraziamento come « Magnificat del popolo di Israele ». Prima gli Ebrei credevano di non poter sfuggire all'Egitto così potente. Ora invece sono liberi. E non per una promessa fatta da Mosè: essi stessi hanno visto e vissuto. Dio non si è accontentato di dire che egli è il liberatore degli oppressi. L'ha mostrato con i fatti. «Cantate al Signore! Ha ottenuto una vittoria strepitosa, cavallo e cavaliere, li ha gettati in mare!>> (15,21). Mentre i cadaveri degli Egiziani giacciono sulla riva del mare, gli Ebrei guidati da Mosè e da Miriam, sua sorella, cantano sulla spiaggia un canto di vittoria a Iahvè, il primo grande canto di lode della Bibbia che verrà poi ripreso e riletto in mille altre occasioni della storia del popolo s.
Potrei concludere questo punto con le parole della lettera agli Ebrei: <<Per fede, gli Ebrei attraversarono il mar Rosso come se fosse terra asciutta. Anche gli Egiziani tentarono di fare la stessa cosa, ma furono travolti dall'acqua>> (Ebr 11,29). .
Ma questa esperienza pasquale, nella linea della fede di Abramo, inizia quell'itinerario di fede del popolo d'Israele che dovrà essere una risposta all'alleanza del Sinai a quell'impegno reciproco da parte di Dio e del popolo ad' essere fedeli al patto. <<Se il popolo è fedele ai dettami divini Dio concederà la terra e la discendenza, e si renderà in ogni ~od? garante della prosperità del suo popolo>>. Tutta la ston~ d~ Israele sar~ una verifica di questo principio deuterono~lsttco. Il compito dei profeti consisterà proprio nel denunc~are e condan?are l'infedeltà del popolo con pochi spiragli d1. apertura e d1 speranza. Tra la parola di Dio sempre fedele e ~~ peccato del popolo che viene sempre meno alla sua fede ch1 prevarrà? Ma qui dobbiamo lasciare la parola ai profeti.
8 Cf. Y. SAOUT, Il messaggio dell'Esodo, Roma 1980.
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4. La fede dei profeti
La fede profetica ha certamente due aspetti fondamentali: la fede in Dio dello stesso profeta e la fede in Dio di chi riceve il messaggio attraverso quel portaparola di Dio che è il profeta. Alcune volte il profeta attraversa una vera crisi prima di lanciarsi all'avventura a cui Dio lo chiama, basti pensare alla vocazione di Geremia e alle sue cosidette << confessioni ». A sua volta il profeta che parla al popolo è solo uno strumento umano della verità della parola di Dio: Dio ha manifestato la sua volontà per mezzo della parola dell'uomo-profeta. La fede nella verità del messaggio divino è messa in rilievo in quel magnifico brano di Am 3,8:
<< Quando il leone ruggisce chi può non aver paura? Quando Dio, il Signore, parla chi può evitare di trasmettere il suo messaggio?».
Il compito del profeta è anche quello di purificare la fede del popolo di Dio continuamente inquinata e compromessa dalla tentazione dell'idolatria e del sincretismo.
Ricordiamo Osea, il profeta dell'amore di Dio che mostra come la fedeltà dello sposo (Dio) alla sua sposa (Israele) si esprime in quel messaggio di consolazione che Dio rivolge al suo popolo:
<< 211sraele, ti farò mia sposa, e io sarò giusto e fedele. Ti dimostrerò il mio amore e la mia tenerezza. Sarai mia per sempre. 22Manterrò la mia promessa e ti farò mia sposa. Così tu saprai che io sono il Signore >>.
Il «sarai mia per sempre>> riassume mediante la 'emunah (fedeltà) tutta, la dote che lo sposo presenta alla sposa. È un termine che ha il senso dell'«amen >>che conferma la verità di quello che viene proclamato. La fede di Osea è la fede nell'azione di Dio che ha il suo punto di partenza nell'amore per Israele che si cristallizzerà in una piena conoscenza di Dio da parte del popolo.
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Amos e soprattutto Geremia presentano la fede come un'esperienza di legame profondo con Dio.
Ma è il profeta Isaia che pone altamente in rilievo la fede in Dio. Prima della minaccia della coalizione siro-efraimita contro Gerusalemme il profeta condanna, per esempio, l'attegiamento negativo nei riguardi di Dio del re Acaz. Il profeta Isaia gli fa visita e gli parla a nome di Dio, lo invita a sperare. È Dio che fa i re e non l'Assiria, e così annuncia la prossima fine di Samaria. Il profeta esige da lui una cosa sola: la fede in Dio e non nell'Assiria. Il discendente di Davide deve «credere » e verrà salvato con la sua fede, non per calcolo politico. C'è una sfumatura difficile da rendere nell'uso del verbo ebraico he'emin che ricorre puntualmente in questi contesti, come abbiamo detto a proposito di Abramo. La radice 'aman indica solidità, fermezza: l'uomo si affida a Dio, come Abramo che <<credette al Signore che glielo accreditò a giustizia» (Gn 15,6). Il testo ebraico al v. 9 del c. 7 ha due volte, in forma diversa, la radice 'aman: essere fermo, credere. È possibile tradurlo: «se non mi crederete, vi farò ricredere » per conservare anche in italiano due volte la stessa radice. Solo la fede in Dio, quindi non la fiducia negli uomini salverà il regno.
Dio però non viene meno alla sua promessa -e rivolge al re, mediante il profeta, l'annuncio del segno dell'Emmanuele. Lo scopo di questo primo intervento del profeta è la preparazione del cuore del re, attraverso l'incoraggiamento, a dar fede alla parola di Dio.
Isaia è sempre stato il profeta della fiducia esclusiva in Dio. Fiducia nella fedeltà di Dio alle sue promesse, fiducia nella dinastia davidica; fiducia in Sion e in Gerusalemme, intimamente legate alla speranza della salvezza 9 •
Il testo di Ab 2,4b: «Il giusto vivrà per la sua fede » infine è la sintesi più grande della fede del popolo nella letteratura
9 Cf. M. CIMOSA, Isaia, l'evangelista dell'Emmanuele Napoli 1983 pp 68-80.176-179. , ' .
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profetica. È la fede-fedeltà in Dio che permetterà al giusto di sopravvivere, non solo nel senso fisico di sopravvivenza ad ogni tipo di catastrofe terrena o cosmica ma nel senso teologico di salvezza e che può conseguire soltanto chi ha fede in Dio. La formulazione paolina deve alla tradizione lo sviluppo teologico del significato di fede-fedeltà come si incontra in Abacuc.
L'esperienza di fede nell'A T, come ho spesso ricordato in questa mia relazione, si stende dall'esperienza di Abramo fino alla proclamazione del kerigma profetico: da Isaia ad Abacuc. Qualche autore vede un nesso tra la fede di Abacuc e la dottrina isaiana sulla fede. La storia d'Israele è la storia delle sue fedeltà e delle sue infedeltà a Iahvè che sono poi l'espressione dell'intero suo atteggiamento di vita che sgorga dalla fede. La fede sembra essere il fondamento della fedeltà, mentre la fedeltà è l'esplicitazione concreta della fede.
Tutto il messaggio di Abacuc ha il centro proprio in questo versetto. Il profeta che impersona tutto il popolo d'Israele a un certo punto della storia del suo popolo si sente in pericolo perché si accorge che l'empietà e la malvagità imperversano dappertutto. Allora disperato si rivolge a Dio e si lamenta della situazione nella quale vede il trionfo degli empi e l'insuccesso dei buoni. Allora Dio gli risponde che sta per mandare i babilonesi dei quali si servirà per punire gli empi. Ma il profeta non si rassegna e supplica Dio con maggiore insistenza. Allora riceve una risposta, quella che abbiamo letta in 2,4: è un invito ad avere pazienza perché alla fine l'empio morirà e il giusto invece sopravvivrà 1o.
La fede profetica proclama che la conoscenza del Signore riempirà tutta terra come l'acqua riempie il mare (Is 11,9). La teologia di Gerusalemme come centro della pace di Dio è tenuta presente anche dal Tritoisaia (Is 56-66), descritta con immagini che plasmano il miracolo della trasformazione di
10 M. CIMOSA, «Il giusto vivrà per la sua fede (Ab 2,4)», in Parola, Spirito e Vita, 17 (1988).
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questa speranza in una realtà in mezzo agli uomini. Nella stessa linea esprime la sua fede il profeta Sofonia che dopo aver annunciato le disgrazie che si abbatteranno sopra Gerusalemme ribelle annuncia: «In quel giorno trasformerò i popoli, renderò pure le loro labbra: così potranno rivolgere le loro preghiere a me, il Signore, e onorarmi tutti insieme>> (Sof 3,9).
Geremia esprime la sua fede in una trasformazione completa dell'uomo attraverso l'immagine del« cuore nuovo>> e dello «spirito nuovo >>, lo stesso farà Ezechiele tra gli esiliati di Babilonia. Dio stabilirà un «nuovo patto >>, cambiando le disposizioni più interne dell'uomo. Il Deuteroisaia, verso la fine dell'esilio dice: «Quel che avevo predetto è già accaduto; ora annunzio cose nuove. Prima che accadano ve le faccio conoscere>> (Is 42,9). Tutto l'uomo partecipa di questa trasformazione e di questa novità. Il Messia avrà come cintura la giustizia e la fedeltà ('emunah) (Is 11,5) 11 •
Ma ormai la fede di Israele, alimentata dalla parola di Dio, che vive nel messaggio dei profeti e nelle figure emergenti della storia della salvezza, è approdata alla duplice fedeltà che costituisce l'approdo totale: fedeltà al messaggio definitivo di Dio e verifica nella storia e nella vita, poiché tale parola è creatrice di dottrina e di vita 12 •
5. La fede dei «poveri di Iahvè »
Un approfondimento particolare riceve il tema della fede nell'esperienza di vita dei «poveri di Iahvè >>. Il «povero>> è il cliente di Dio. Una povertà, espressione di potere d'accoglienza da parte di Dio, apertura a Dio, disponibilità verso Dio, umiltà davanti a lui. Faccio allora qualche riflessione
11 Cf. G.CANELLAS, «El justo vivira por su fe» (Hab 2,4). Experiencia de fe: afianzamzento, in Biblia y fe, 11,31 (1985) p. 46.
12 G. L. BoscHI, La fede d'Israele, in Un Dio che libera, p. 89.
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sulla fede dei poveri di Iahvè come emerge dai Salmi, alcuni in particolare e dalla conclusione della drammatica esperienza di Giobbe.
5.1 I «poveri di Iahvè » nei Salmi
<<Perché il Signore ama il suo popolo, assicura ai poveri splendida vittoria>>. È il popolo degli oppressi che ha posto in Dio tutta la sua fiducia e che Dio ama più di qualsiasi altra cosa come ci ricorda questo v. 4 del Sal. 149. Bisognerebbe rileggere tutto il salterio per accorgersi di come questi poveri, che hanno posto la loro fede solo in Iahvè, sono da lui amati. Facciamo solo qualche esempio.
Una situazione particolare è alla base del Sal 34: un 'ani/povero ha ricevuto un favore dal Signore e vuole esprimergli tutta la sua gratitudine: << Se un povero grida,il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angustie>>. È la lezione che il salmista dà a tutto il popolo di cui fa parte e con cui si sente solidale invitandolo a ringraziare, con lui il Signore perché la fede in Dio ripaga sempre abbondantemente. Seguono nel salmo una serie di sette parallelismi tutti sinomini o meglio termini che sviluppano il tema dell'essere << 'ani/povero del Signore>>. Il <<povero>> è <<l'uomo che teme il Signore>> (v. 8.10); è <<l'uomo che in lui si rifugia>> (v. 9); <<che cerca il Signore>> (v. 11); <<il suo fedele>> (v. 10); <<il giusto>> ( 16.20.22); <<chi ha il cuore affranto>>, e <<chi ha perso ogni speranza>> (v. 19); e infine <<il povero>> è <<il servo del Signore>> (v. 23). È tutta la religione dell' AT con un timore impregnato di confidenza che si esprime nell'atteggiamento spirituale iscritto nella parola chiave anawim. Niente di strano che la prima beatitudine di Gesù Cristo, anzi la sola vera beatitudine, sarà chiarita da tutte quelle che seguono: <<Beati i poveri in spirito ... >>, o come meglio traduce la TILC 13
: <<Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio ... >>.
13 TILC = Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente.
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Il Sal 37 dà una lezione di saggezza a un uomo impaziente che si lamenta della lentezza di Dio: «Spera nel Signore, non ti agitare ... >> (v. 7). Forse la lezione è per un giovane a cui un anziano, che conosce le abitudini di Dio nel governare il mondo, raccomanda la pazienza perché <<I poveri possederanno la terra e godranno benessere e pace>> (v. 11). L'ottimismo robusto della fede si rifugia nel domani sicuro; questi <<poveri >> trovano forse il loro destino pesante, la loro situazione violenta, ma la loro situazione non è di carattere sociologico ma ha un sapore religioso; si tratta di << coloro che sono sottomessi al Signore, a lui obbediscono >>, anche qui il gioco dei parallelismi è assai istruttivo: gli anawim sono <<chi spera nel Signore ... >> (v. 9); <<i giusti>> (v. 17 e passim);<< chi è benedetto dal Signore>> (v. 22); i suoi fedeli (has· sidim v. 28); <<l'uomo buono>> e <<il ~iusto >> (v. 37); <<quelli che in lui si sono rifugiati>> (v. 40). E il vocabolario dell'alleanza, della giustizia e della povertà che qui confluisce per indicare questa folla vivace dei membri del popolo di Dio animati da un unico spirito.
Anche l'arante del Sal25 che vive in una situazione difficile esprime tutta la sua fiducia nel Signore: << Onestà e franchezza mi accompagnino, perché io spero in te, Signore>>. È la sua ultima parola, ma è anche il programma di tutto il gruppo a cui egli appartiene e che egli evoca per trovare in esso un sostegno alla sua fede. Gli anawim del v. 9 sono quelli che fanno professione di fede e di sottomissione a Dio; gli stessi che << osservano il suo patto e i suoi comandamenti>> (v. 10); <<l'uomo che ha fede in lui>> (v. 12); <<che crede in lui>> (v. 14); <<che spera in lui>> (v. 3).
Sono esempi. Ma si potrebbe continuare ancora con tanti altri 14• Con quel magnifico salmo <<di fiducia>> che è il Sal 27, per esempio. Esso inizia con una fiducia trionfante: <<Il Signore è mia luce ... mia salvezza ... >>, prosegue con una fiducia fortificante perché non si tratta di ottimismo beato e in-
14 Cf. A. GELIN, Les pauvres que Dieu aime, Paris 1967, pp. 38-42.
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genuo; egli è in lotta contro i nemici che si accaniscono contro di lui, ma fa leva non sulla propria forza bensì su un suo solo desiderio: l'unione con Dio. Essere ospite di Dio, vivere nella sua casa. Ed ecco quelle belle immagini concrete proprie della lingua ebraica: il baluardo, il tremare, la carne straziata, l'inciampare, lo schierarsi dell'esercito nemico, il divampare della battaglia, l'abitare nella casa di Dio, ecc. Ma la guerra continua ed egli ha continuamente bisogno dell'aiuto di Dio finché, e il salmo si conclude con quella fiducia serena della speranza escatologica: « Sono certo: godrò tra i viventi la bontà del Signore. Spera nel Signore, sii forte e coraggioso, spera nel Signore» (v. 13-14) 15•
5.2 La fede di Giobbe
La domanda fondamentale che Giobbe pone a Dio durante la sua terribile esperienza di dolore si trova in Gb 10,18: «Perché mi hai fatto venire alla luce? Avrei voluto morire prima di nascere! Nessuno mi avrebbe visto!». È la domanda di un credente che fa un'esperienza che sembra smentire la sua fede. Ma egli è un credente in ogni istante della sua storia drammatica. Anche nell'abisso più profondo della desolazione Giobbe non può abbandonare la sua fede. Egli è cosciente che l'uomo con il suo mistero non è all'origine di se stesso. È solo Dio che « ha nelle sue mani la vita di ogni essere vivente e lo spirito di ogni uomo ... Se Dio distrugge, nessuno può ricostruire; se imprigiona qualcuno, nessuno può liberarlo » (12,10.14).
Anche nelle più grandi sofferenze Giobbe non perde mai il contatto con la sua fede. Pregando e sperando, Giobbe prende coscienza che la giustizia di Dio è un mistero, che le categorie nelle quali l'uomo cerca di imprigionarla non la fanno comprendere; i teologi del suo tempo gli rimprovera-
15 Cf. N. QuEssoN, Il messaggio dei Salmi, I, Roma 1979, pp.72-78.
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no: «tu, invece, sei irriverente, sei uno scandalo per chi vuoi pregare» (15,4); invece Giobbe rispetto ai suoi amici sembra l'unico capace di arrivare a Dio stesso, al di là di ogni rappresentazione e di ogni immagine, vivendone la dimensione trascendente. Egli è convinto che l'uomo non può mai considerarsi puro davanti al suo Creatore. Giobbe viene a trovarsi tra un duplice mistero: la trascendenza di Dio e la miseria umana. La sua fede, integra e purificata, pone fine all'inesauribile dibattito. Giobbe non arriva a una conclusione a forza di ragionamento, ma per l'intensità del sentimento religioso che egli vive. E il poema arriva a una soluzione religiosa ... : l'uomo deve sottomettersi a Dio nella confidenza, persistere nella fede finché il suo spirito non raggiunge la tranquillità:
« 21o so che puoi tutto. Niente ti è impossibile. 3Tu avevi chiesto: 'Chi è cost~i che nella sua ignoranza mette in dubbio le mie decisioni?'. E vero, ho parlato di cose che non capivo, di cose al di sopra di me, che non conoscevo ... Quindi ritiro le mie accuse e mi pento, mi cospargo di polvere e di cenere per la vergogna,, ( 42,2-3.6).
Questo silenzio, questo dolore, quest'abbandono totale, questo «ricorso assoluto», è l'atteggiamento fondamentale del povero 16•
Durante la sua esperienza di dolore Giobbe parla con Dio, e tenta in tutti i modi di capire. Forse Dio lo ha dimenticato o è cambiato? Le parole di Giobbe e i suoi sentimenti sono un alternarsi di sentimenti contradditori. Ora sembra lasciarsi andare, rassegnato e stanco, ora tenta di far ragionare Dio. Ora sembra sfidare Dio. Ma ci si accorge facilmente che al fondo di tutto c'è un filo, ostinato e costante: la fiducia in Dio: «<n cielo c'è chi mi difende, il mio testimone è lassù. I miei amici mi deridono, ma i miei occhi nel pianto sono rivolti a Dio» (16,19-20). È la fede di Giobbe: una fede a cui non è permesso rifugiarsi in costruzioni filosofiche
16 Cf. A. GELrN, Les pauvres ... , pp. 55-57.
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astratte e rassicuranti, ma che è costretta ad accettare la sfida dei fatti. Giobbe si pone alla ricerca di Dio non partendo
dalle formule create dalla tradizione, ma partendo dal suo mondo pieno di dolore 17•
« Quando Giobbe si trova faccia a faccia con il suo Creatore deve mettere tutto da parte e abbandonarsi nudo e senza risorse alla sua misericordia e alla sua bontà. Ma questa fede piena e completa ne esce gratificata. Non per i meriti di Giobbe ma perché Giobbe è a Dio prezioso. Dio viene allora alla sua ricerca» 18•
6. Conclusione
Se ripercorriamo allora in sintesi il lungo cammino fàtto per descrivere la storia dell'esperienza di fede del popolo di Israele da Abramo a Giobbe ci accorgiamo che la fede appare sempre come un'adesione totale e vitale al Dio vivo, Signore della storia e Salvatore degli uomini. La vita di Abramo, del popolo di Israele, dei profeti dei «poveri di Iahvè »,
di Giobbe appare intessuta di episodi che richiedono il rinnovo continuo di adesione a Dio: ognuno di essi è come una nuova vocazione e forma un'espressione particolare di fede, un approfondimento, una maturazione progressiva.
Nell'A T ogni singolo avvenimento è oggetto di fede. Dio ha parlato ad Abramo. Senza questa parola di Dio, Abramo non sarebbe nulla nella storia. Se vi è un Abramo, è perché Dio gli ha parlato. La parola di Dio è stata una chiamata che lo ha impegnato totalmente, nella profondità del suo cuore. Ma Dio ha parlato ad Abramo attendendo da lui una risposta e questa risposta dell'uomo è la fede.
17 Cf. B. MAGGJONI, Giobbe e Qohelet. La contestazione sapienziale nella Bibbia, Assisi 1979, pp. 55-57.
18 R. A. F. MAcKENZIE, 7be Purpose ofthe Yahve's Speeches in the Book of Job, in Biblica, 40 (1959) p. 442.
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Dio ha parlato ad Abramo e poi a tutto il suo popolo per mezzo di Mosè per far nascere la fede e la fede non può nascere se non dalla parola data e ricevuta. Perché l'esistenza di Israele riposi sulla fede e questa esistenza è fondata sulla parola di Dio.
Dio ha parlato ad Abramo e al suo popolo: la storia e la fede d'Israele sono fondate su quest'affermazione fondamentale.
La linea storica del divenire di Israele è tracciata da questo momento iniziale ma anche dai fatti successivi, dalle vicende dell'Esodo e dell'Alleanza. I due periodi, quello patriarcale e quello esodale hanno inciso profondamente sulla fede di Israele e il ricordo è stato fissato in formule tipiche di professione di fede:
«lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di !sacco, il Dio di Giacobbe>> (Es 3,6.15); <<lo sono il Signore Dio tuo, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù>> (Es 20,2).
Poi verranno i profeti, gli educatori della fede del popolo di Dio, gli evangelisti della parola che salva, ma che esige una risposta di fede, ossia, un inserimento totale nel mistero della salvezza, un rapporto personale con il Dio vivente che viene a salvare ma che esige un'accettazione fiduciosa della parola, una certezza della salvezza (quella messianica, che viene da Dio e non dagli uomini!), un'obbedienza assoluta alla linea indicata dal profeta. Diranno i profeti che entrare in comunione con Dio significa partecipare a una storia che è la storia stessa di Dio. La partecipazione dell'uomo a questo piano di Dio è anzitutto la fede, perciò Isaia che è il profeta del piano di Dio è anche il profeta della fede 19•
Abbiamo poi visto come la linea mistica che accompagna Israele lungo la sua storia e si esprime in modo anonimo nei Salmi, di cui abbiamo offerto degli esempi, si ricollega a
19 Cf. F. FESTORAZZI, «Eccoci salvi» ... , p. 63.
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grandi nomi come Geremia e Giobbe, è la linea della spiritualità dei «poveri del Signore », una linea che raggiunge l'umile Maria di Nazaret che, alle soglie della Nuova Alleanza, riassume in sé tutta la profondità spirituale dell'Antica. La poverd. spirituale così estesa che è una sfumatura della fede, abbandono, confidenza, gioia, è molto vicina all'umiltà e si riassume in un atteggiamento di attesa religiosa. La beatitudine dei poveri di Matteo che ha di mira questa disposizione fondamentale. Povertà di spirito che è così vicina alla fede e di cui Maria di Nazaret e Maria del Magnificat sarà un esempio meraviglioso.
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