LA TEOLOGIA POLITICA DELL'ANTICO TESTAMENTO

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l Giugno 1981 069. Teologia politica deii'A.T. 1 LA TEOLOGIA POLITICA DELL'ANTICO TESTAMENTO di GIANFRANCO RAVASI Se l'analisi dei nessi tra religione e politica è da sempre uno dei terreni p accidentati su cui si avventura il teologo, la ricerca è ancor p avventuro sa e rischiosa se si penetra in quello sconfinato arco· baleno storico-letterario-teologico che è l'Antico Testamento, la cui mappa occupa almeno un millennio e mezzo di storia. E' per questo che, se da un lato è sterminato il materiale dedicato alla moderna « teol ogia politica>> o a quella della «rivoluzione>> o << liberazi one>> o anche alla << teologia nera ,, (l) o, se si vuole, all'ambito neotesta- mentario (Jeremias, Cullmann, Hengel, Brandon, Belo, ecc.), scarsi e settorial i (Esodo, profezia) e persino sbrigati vi (2) sono, dall'al tro l ato, gli stud i consacrati alla teologia politica dell'A.T. (3). 1. Il credo storico di Israele. Eppure il prob lema è non solo ma anche stimolato dalla stessa qual ità della Rivelazione biblica. Il ItlUsulmano, invocando i << 99 bellissimi nomi>> di Allah, ne esalta sopr attutto la trascendenza, il suo «essere totalmente Altro >>, tanto che il peccato radicale per l'Islam è <<l'associazionismo>> (<< shirk >>), cioè l'attribuzione a Dio di azioni umane. L'ebreo, invece, pur confessando l'alterità somma di Dio, ne cel ebra anche l'<< incarnazione>>: la linea verticale si intreccia con l'orizzontale, la sfera divina entra in collisione con quella umana e non per u na esplosione ma per un incontro. E' per questo che, (l) Tra gli autori più rilevanti ricordiamo J. B. Metz, G. Gutlerrez, J. Comblln, H. Assmann, L. Botr, J. H. Cone , H. Cox. Vedi AA.VV., La teologia contemporanea, Mariettl, Torino 1980, pp. 536·640 <con bibliografia ). (2) Ad esempio, J. P. MIRANDA, Marx e la Bibbia, Cittadella, Assisi 1974, e M . CLÉVENOT, Letture materialiste della Bibbia, Boria, Roma 1977. (3) E' difflclle fare una rassegna bibliografica anche il problema è spes· so affrontato da molti studi ma sempre in modo collaterale. Per ora indichiamo solo H. CAZELLES, Bible et polttique, In « Rechercbes de Sclence Religleuse 11, 59, 1971, pp. 497·530; W. ZIMMERLI, La mondanità dell'A.T., J aca Book, Milano 1973; AA.VV., Esperienze di base, luoghi di creatività evangelica, Boria, Roma 1977, pp. 59-196; A. RIZZI, Letture attuali della Bibbia, Boria, Roma 1978, pp. 99·250; G. FOHRER, Strutture teologiche dell'A.T., Paideia, Brescia 1980, pp. 240·289. -435-

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LA TEOLOGIA POLITICA DELL'ANTICO TESTAMENTO

di GIANFRANCO RAVASI

Se l'analisi dei nessi tra religione e politica è da sempre uno dei terreni più accidentati su cui si avventura il teologo, la ricerca è ancor più avventurosa e rischiosa se si penetra in quello sconfinato arco· baleno storico-letterario-teologico che è l'Antico Testamento, la cui mappa occupa almeno un millennio e mezzo di storia. E' per questo che, se da un lato è sterminato il materiale dedicato alla moderna « teologia politica>> o a quella della «rivoluzione>> o << liberazione>> o anche alla << teologia nera ,, (l) o, se si vuole, all'ambito neotesta­mentario (Jeremias, Cullmann, Hengel, Brandon, Belo, ecc.), scarsi e settoriali (Esodo, profezia) e persino sbrigativi (2) sono, dall'altro lato, gli studi consacrati alla teologia politica dell'A.T. (3).

1. Il credo storico di Israele.

Eppure il problema è non solo legittim:~.to ma anche stimolato dalla stessa qualità della Rivelazione biblica. Il ItlUsulmano, invocando i << 99 bellissimi nomi>> di Allah, ne esalta soprattutto la trascendenza, il suo «essere totalmente Altro >>, tanto che il peccato radicale per l'Islam è <<l'associazionismo>> (<< shirk >>), cioè l'attribuzione a Dio di azioni umane. L'ebreo, invece, pur confessando l'alterità somma di Dio, ne celebra anche l'<< incarnazione>>: la linea verticale si intreccia con l'orizzontale, la sfera divina entra in collisione con quella umana e non per una esplosione ma per un incontro. E' per questo che,

(l) Tra gli autori più rilevanti ricordiamo J . B. Metz, G. Gutlerrez, J. Comblln, H. Assmann, L. Botr, J. H. Cone, H. Cox. Vedi AA.VV., La teologia contemporanea, Mariettl, Torino 1980, pp. 536·640 <con bibliografia).

(2) Ad esempio, J. P. MIRANDA, Marx e la Bibbia, Cittadella, Assisi 1974, e M . CLÉVENOT, Letture materialiste della Bibbia, Boria, Roma 1977.

(3) E ' difflclle fare una rassegna bibliografica anche ~erché il problema è spes· so affrontato da molti studi ma sempre in modo collaterale. Per ora indichiamo solo H. CAZELLES, Bible et polttique, In « Rechercbes de Sclence Religleuse 11, 59, 1971, pp. 497·530; W. ZIMMERLI, La mondanità dell'A.T., J aca Book, Milano 1973; AA.VV., Esperienze di base, luoghi di creatività evangelica, Boria, Roma 1977, pp. 59-196; A. RIZZI, Letture attuali della Bibbia, Boria, Roma 1978, pp. 99·250; G. FOHRER, Strutture teologiche dell'A.T., Paideia, Brescia 1980, pp. 240·289.

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aprendo la Bibbia, non ci si incontra con una collezione di tesi teo­logiche o di intuizioni solo mistiche, ma con rumori di guerre, con giochi politici, col brusio della vita quotidiana, con la storia di un popolo. Emblematico a questo proposito è il Credo di Israele, dalle primordiali « schegge » di fede come la « confessione » di Maria in Es 15,21, sino alle più articolate professioni di Dt 26,5-9, di Gs 24,2-13 e alla variante cultuale del Sal 136, il «Gr ande Hallel » che chiudeva la celebrazione pasquale ( 4).

Il tes to più illuminante è Giosuè 24 che contiene quasi in un mi­crocosmo il Pantateuco, cioè i primi cinque grandi libri della Bibbia. La cornice spaziale del testo è Sichem, il centro in cui le dodici tribù ritrovavano la loro unità nazionale, la cornice temporale è l'ingresso nella terra di Canaan, vertice dell'esodo e simbolo della libertà. Gli articoli di fede scanditi dall'Io per sonale di Dio compr endono tre «doni» storici offerti da Jahwè ad Israele: la vocazione dei Patriarchi (vv. 2-3), la libertà nell'esodo dall'Egitto (vv. 5-7), la terra promessa (vv. 8-13). Contro i misticismi evanescenti e acosmici, contro le alie­nazioni apocalittiche la Bibbia è un appello continuo alla « storia della salvezza»: è la storia il luogo privilegiato della Rivelazione, e il profeta è colui che sa decifrare, in questa apparente nomenclatura di eventi neutri o persino assurdi che è la storia, il disegno di Dio, il suo pro­getto salvifico, la sua parola.

Le culture orientali extrabiblich e hanno preferito come categoria teologica quella spaziale, più statico, più percettibile, oggettivabile e controllabile (il tempio, spazio sacro). La Bibbia è, invece, una religione << storica » e non naturistico ed è incline a ved ere d inamicamente e in progressione lo svelarsi di Dio. Il testo di 2 Sam 7 è indicativo. Al desiderio di Davide di possedere un tempio n ella capitale appena costituita, Gerusalemme, così da collocare in un'area sacra del proprio territorio anche la divinità, il profeta Natan con­trappone la scelta inattesa di Dio. La presenza di Dio non è da cercare nel perimetro di un tempio, ma n ella realtà che più inerisce all'uomo, il tempo. Alla casa materiale che Davide vuole p rogettare per il suo Dio si sostituisce la casa-casato davidica fatta di pietre vive e storiche: « Te il Signore farà grande poiché una casa fa rà a te il Signore» (v. 11).

Proprio per questa sua incarnazione la Bibbia è per il creden te al tempo s tesso parola di Dio permanente e involucro variabile e contin­gente, è escatologia e storia frammis te inestricabilmente. E' indispen­sabile, allora, registrare e catalogare i modelli e i dati politici biblici, essendo la Rivelazione non astratta e assiomatica ma « incarnata>>. Ma questo movimento rivolto al passato e compiuto dalla filologia, dalla

(4) SI veda soprattutto G. voN R Ao, Teologia dell'A.T., vol. I, Paldela, Brescia 1972. Critiche sono state avanzate all 'ipotesi di un proto·Credo coordinatore dell'In· tero Pentateuco (das kleine geschlchtltche Credo) da C. H. W. Brekelinans, C. Car­mlchael, N. Lohflnk, ecc. C!r. anche R. RENDTORFF, La concezione della rivelazione nell'antico Israele, In Rivelazione come storia, Dehonlane, Bologna 1969, pp. 67·69.

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storiografia e dall'esegesi biblica deve essere integrato dal vaglio di un'ermeneutica che sappia cogliere il messaggio «eterno » sotto le incrostazioni delle coordinate storiche contingenti. Il materiale politico della Bibbia è, in particolare, il settore che più postula questo pro­cesso di interpretazione e di « demitizzazione», essendo il più incar­nato e il più vincolato a un quadro superabile.

2. La carta geopolitica dell'Antico Testamento.

Il diagramma che ora offriamo della storia di Israele è fonda­mentale per cogliere la trama della Rivelazione biblica e dovrà fare quasi da fondale all'intera nostra ricerca.

Conquistata la Palestina attraverso una lenta infiltrazione e non attraverso un «blitz>> fulmineo, come sembra a prima vista emergere dalla ricostruzione epica e panisraelitica del libro di Giosuè, gli Ebrei attraversano tre fasi di organizzazione politica (5).

lnnanzitullo danno origine ad una confederazione tribale (almeno stando all'ipotesi « anfizionica >> avanzata da M. Noth) con un centro cultuale a Sichem e CJ>n ampie autonomie regionali. La struttura politica è rappresentata soprattutto dai « giudici >>: alcuni sono semplicemente alti burocrati destinati alla gestione delle singole tribù con poteri variabili; altri sono giudici « cari­smatici>> e « salvatori della patria>> (equivalente del « dittatore>> romano), in carica per periodi limitati e di crisi con poteri eccezionali anche su coalizioni di tribù (vedi Debora, Gedeone, Sansone) (6).

La seconda fase è rappresentata dall'ingresso in Israele dell'istituto mo­narchico il cui esordio è presentato da una narrazione « filomonarchica >> (l Sam 9,1-10,16; ll,1-15; 13-14) e da una antitetica narrazione antimonarchica (l Sa m 8,1-22; 10,18-25 ; 12; 15). E' la nascita dello Stato nazionale ebraico che diviene realtà soprattutto con Davide e Salomone. Si tratta però di un'unità politica fragile e per certi versi artificiosa, osteggiata probabilmente dal potere sacerdotale rappresentato da Samuele: dopo due sole generazioni lo Stato unitario si sfascia nella scissione di Sichem (931 a. C.) tra Regno di Israele (dieci tribù settentrionali, con capitale successjva a Samaria) e Regno di Giuda (due tribù meridionali con capitale a Gerusalemme). Il primo regno sarà spaz­zato via dalla superpotenza assira nel 721 a. C.; il secondo si chiuderà con la distruzione di Gerusal emme operata dalle '!rmate babilonesi di Nabucodo­nosor nel 586 a. C.

Si apre così la terza fase che con alterne vicende vede Israele, dopo l 'esilio babilonese durato sino al 531 a. C., ridotto a una provincia dei vari imperi che

(5) Sono molte anche In Italiano le storie d'Israele. Oltre all'orma! superato G. RrccrO"ITr , Storla d'Israele, SEI, Torino 1960', ricordiamo le varie Storle d'Israele di M. NOTH (Paidela, Brescia 1975), di S. HERRMANN (Querinlana, Brescia 1977), di G. FoHRER (Paideia, Brescia 1980) e la riedlzlone di C. ScHEDL, Storia dell'A.T., Paoline, Roma 1981' (4 voli.). Indispensabile è anche R. DE Vwx, Le tstttuztont dell'A.T., Ma­rietti, Torino 1964.

(6) C!r. J. A. SOGGIN, Das Kontgtum tn Israel, Vandenhoeck und Ruprecht, Ber­Un 1967, pp. 6 ss.

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frattanto si succedono sullo scacchiere orientale (Persia, Ellenismo siro, Ro­mani). Il governo interno di tipo teocratico, organizzato da Esdra e Neemia, gestisce senza apertura il suo mandato. Un bagliore contro il potere siro sarà la famosa rivoluzione partigiana maccabaica (Il sec. a. C.) ben presto ingrigita in una scialba e inetta monarchia (gli Asmonei) che sarà liquidata da un idumeo, Erode, figlio di un loro primo ministro. La superpotenza mondiale è ormai Roma e n~l 70 d. C. io Stato ebraico sarà definitivamente eliminato dalla mappa politica internazionale.

Come si può intuire da questa essenziale panoramica storica, Israele non ha una concezione privilegiata o costante dello Stato, ma si affida a una complessa pluralità di modelli politici. Anzi, la per­manenza di una vivace vita municipale (i villaggi) e regionale (le tribù) fa pensare che le istituzioni centrali non penetrarono mai in profondità né esaurirono i sistemi politici ebraici (7).

Nella Bibbia l'accento sarà posto soprattutto sulla comunità reli­giosa che conserverà la coesione dello Stato spesso sostituendosi ad esso. •Perciò anche l'ideologia monarchica è marginale, non solo perché essa è stata osteggiata dalla corrente deuteronomistica (si veda la reticenza in Dt 17,14-20 e l 'opposizione nei libri dei Re) e dal profetismo (ad es. Os 7,3-7; 8,4-10; 10,15; 13,9-11), ma anche perché Israele non ha mai accettato il principio della monarchia assoluta: il re è solo luogo­tenente di Dio (l Cr 17,14; 28,5; 2 Cr 9,8) che resta l'unico, vero sovrano ('Es 15,18; l Sam 8,7; Is 6,5). In questa pluralità di modelli politici possiamo identificare anche una pluralità di vie per il consenso ai fini della legittimazione del potere. Sulla falsariga di M. Weber po­tremmo distinguere una forma "carismatica>> testimoniata dai giudici maggiori, di cui si è già parlato. Anche il sovrano era parzialmente eletto per consacrazione divina (Is 11) e per adozione filiale divina (Sal 2; 110). ·Più "laico>> è invece il consenso di tipo "burocratico>>, attestato per i giudici minori e per i vari funzionari scelti in base alle loro competenze e al loro statuto sociale. Infine si può accedere al potere per consenso "tradizionale>>: in questa linea si deve collo­care la quasi totalità della legislazione ebraica che diventa normativa sulla base del diritto consuetudinario.

3. Il «filo rosso ,, dell'Esodo.

L'evento-chiave della liberazione dalla schiavitù faraonica è come la radice viva da cui nasce l'albero ramificato della storia ebraica. Esso non è solo memoria di un dato rilevante della trama storica di Israele, è soprattutto un evento che può rinnovarsi tutte le volte che I sraele è schiavo, nomade, pellegrino ed esule e al suo orizzonte si profila il

(7) Cfr., in particolare, R. DE VAux, Le tstltuztont dell'A.T., ctt.

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dono della libertà. M. Noth, isolando nella Bibbia il ritornello quasi antifonale « Jahwè ci ba fatti uscire dall'Egitto», lo ha definito <<la confessione di fede originaria d'Israele» (8).

Nella terminologia veterotestamentaria liberazione-salvezza-reden­zione divengono allora termini equivalenti. Il Signore si rivela proprio con un gesto di giustizia salvifica, con un intervento di liberazione (Es 3,7-9; 6,6-7) nei confronti di un popolo oppresso (9); egli è l'unico Dio in quanto è l'unico liberatore (Os 13,4; Is 43,10-12; 45,5-8,21); la sua giustizia implica amore attivo e liberatore; egli regna in quanto eser­cita la giustizia (Sal 9,4-9.16-18); la sua natura è squisitamente etica e diventa difesa del povero e lotta contro ogni oppressore (Dt 10,17-18; Am 4,1-3; Is 5; Mi 3,9-12; Is 5; Ger 22,13-19; Ez 34,15-28, ecc.). L'espe­rienza esodica permette ad Israele di approfondire il concetto di libertà e di schiavitù. La Pasqua, artificiosamente inserita nel contesto della liberazione notturna dell'esodo (.Es 12-13), è appunto l'espressione di una comunità libera anche politicamente. Il sabato ritorna puntual­mente con questo messaggio: << Ricorda che sei stato schiavo in terra d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti fece uscire di là con mano forte e con braccio teso: per questo il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il sabato» (Dt 5,15). Il culto idolatrico era la naturale conseguenza in Oriente della schiavitù politica di una nazione vinta, costretta appunto ad adorare la divinità dello Stato vittorioso. La libertà è, perciò, il germe del culto genuino al Dio del cielo e della terra. I binomi schia­vitù-idolatria e libertà-fede sono inscindibili. Israele entra nella storia come un popolo liberato e incarna un messaggio e un'esigenza di libertà. Benché piccolo, ha la vocazione storica di essere fermento di libertà. E' per questo che gli <<oracoli contro le nazioni » dei profeti contengono aspre critiche contro la loro volontà di potenza e di so­praffazione. E' per questo che la <<Magna Charta » del Sinai, il Decalogo, intreccia religiosità e giustizia in modo inestricabile, così che ogni at­tentato contro l'uomo lo è anche contro Dio e questa sarà una delle tesi costanti del messaggio profetico. E ' per questo che amore e giustizia hanno una dimensione teologale e non c'è conoscenza di Dio senza amore per l'uomo, come si può dedurre da una vera e propria costel­lazione di testi biblici (10).

La figura di Dio che campeggia al centro dell'intero tracciato delle pagine bibliche è ben disegnata da Lev 26,12: <<Io sono il Signore vostro Dio che vi ha fatti uscire dalla terra d'Egitto, dalla schiavitù; ho spezzato il giogo e vi ho fatti camminare a testa alta». Sia pure

(8) M. NoTH, Storia dt Israele, Paideia, Brescia 1975, p. 141. (9) Per Il libro dell 'Esodo cfr. G. RAVASI, L'Esodo, Querlnlana, Brescia 1980. (10) Cfr. Gen 18, 19; 2 Sam 8,15; 1 Re 10,9; Is 9,6; 43,23-24; 58,2.6-10; Ger 4,2;

6,18·21; 7,4·7.11·15.21·22; 9,23; 22,3-5.13-16; Ez 18,5.19.27; 33,14-19; Os 2,21; 4,1-2; 6,4-6; 8,13; 10,12; 12,7; Am 5,7-17.21-27; Sal 33,5; 89,15; 97,2; 119,21; Pr 1,3; 2,9; 21,3; ecc.

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con le opportune e ovvie diversificazioni possiamo perciò isolare nella Bibbia un « filo rosso» o un «principio-speranza », come aveva fatto il filosofo E. Bloch. Questo filo percorre ed articola l'intero arco sto­rico e teologico della Bibbia ( 11). Ora per riportare alla luce questo filo che serpeggia nel testo sacro è necessario scavare sotto la con­cretezza della vita politica e della storia ebraica.

E questa operazione può essere condotta sulla base di due metodologie. La prima, più corretta scientificamente, è quella « diacronica », orientata a seguire l'evoluzione delle strutture politiche e teologiche secondo la sequenza storica sopra disegnata. N o i invece, dati i limiti di questa ricerca, ci orientiamo maggiormente verso una verifica « sincronica », che cerchi di identificare le principali stmtture di pensiero, i sistemi che emergono dal dato biblico glo­balmente assunto senza seguire, se non in senso lato, l'intero itinerario sto­riogenico.

4. Il modello teocratlco.

Anche senza una sofisticata strumentazione tecnica si può subito rilevare, attraverso una prima lettura della Bibbia, un dato tipica­mente orientale: il contesto politico biblico dominante sembra essere di stampo teocratico. Basterebbe solo scorrere la massa di testi legi­slativi raccolti nel Pentateuco per confermare questa impressione: al Sinai, cuore dell'esperienza religiosa di Israele, si cerca di ricondurre la carta costituzionale dello Stato ebraico, l'intero complesso dei codici e la ramificata normativa del diritto consuetudinario ebraico. Come prova documentaria considerevole si potrebbe al riguardo allegare un grosso blocco narrativo dovuto alla storiografia sacerdotale, fiorita nel­l'epoca postesilica (dalla fine del VI sec. a. C. in poi).

l. Iniziamo con una breve analisi del primo prodotto, il libro delle Cronache (12), uno schizzo globale della storia ebraica parallelo a quello « deuteronomistico » dei libri di Samuele e dei Re. In esso politica e fede sono intimamente intrecciate. Lo sono a tal punto che nella figura teologica del capostipite della monarchia giudaica, Davide, si cancellano accuratamente tutti i limiti, dalla sua guerriglia parti­giana all'adulterio con Betsabea, dall'assassinio di Uria ai suoi drammi familiari e alle sue vendette postume. Anche del successore Salomone, divenuto nella tradizione sapienziale l'emblema del perfetto sapiente e del perfetto monarca, si tacciono gli intrighi per l'accessione al trono,

(11) ctr. G. FERRETTI - F. FESTORAZZI, Blbbla e speranza. Dtalogo sull'Interpreta· zlone blbltca dl E . Bloch, in AA. VV., Chiesa per li mondo, vol. II, Dehonlane, Bo· 1ogna 1974, pp. 611-661; I. MANCINI, Bloch teologo, In «Aut-Aut», nn. 173·174, 1979, pp. 107-124.

(12) Cfr. L. RANDELLINI, Il ltbro delle Cronache, Marlettl, Torino 1966, e S. VIR· GULIN, Llbrl delle Cronache, Pao1!ne, Roma 1975.

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i matrimoni misti senili, le difficoltà politiche causate dalla sua rigida gestione fiscale. Se qualcuno o una parte di Israele si sottrae alla sfera canonica della ''città di Dio» giudaica, piomba automaticamente sotto l'anatema e lo squallore socio-economico: è il caso del giudizio costante che il libro scaglia contro il regno del Nord (cfr. 2 Cr 10,19). La tesi teologica della retribuzione, per cui delitto e castigo e giustizia e premio sono già intimamente connessi nell'arco della storia (un dogma della teologia classica), deve essere sempre sperimentabile an­che a livello politico, magari anche in contrasto con l'evidenza storica (l Cr 22,13; 28,9; 2 Cr 15,2). Non si esita allora a manipolare la storia per non intaccare il principio teologico, come nel caso clamoroso del re Manasse (cfr. 2 Re 21 e 2 Cr 33).

Nella prospettiva politica delle Cronache il primo oggetto di ogni programma di governo è sempre la politica cultuale: l Cronache ci offre un saggio di abilità rubricaria e di ingegneria edilizia nella de­scrizione della costruzione del Tempio (l Cr 22-29, per la progettazione sotto Davide, e 2 Cr 2-7, per l'esecuzione sotto Salomone). La gestione politica di Davide è sostanzialmente legata alla complessa organizza­zione del culto (leviti, sacerdoti, cantori, portinai ... ). La concezione teocratica dello Stato è messa sulle labbra persino di una straniera, la regina di Saba, che ne loda l'attuazione in Israele (2 Cr 9,8; vedi invece l Re 10,9). E quando Giuda crollerà, le Cronache, distaccandosi dalle motivazioni più sfumate e complete di 2 Re, prepareranno per quella fine un'epigrafe esclusivamente teologica (2 Cr 36,13-16).

2. Un altro prodotto significativo della storiografia sacerdotale sono i due libri di Esdra e Neemia ( 13) che delineano le vicende della co­munità postesilica ritornata al focolare nazionale eli Palestina in se­guito all'editto di Ciro del 538 a. C. e animata più tardi (seconda metà del V sec.) dalle presenze decisive eli Esdra e Neemia. Come per il Cronista anche per queste opere l'impegno politico fondamentale è la ricostruzione del Tempio, consacrato nel 515 a. C., a cui si aggiunge la siepe difen<;iva ma anche autarchica delle mura di Gerusalemme, simbolo di una cortina ben più rigida di quella materiale, la segrega­zione razziale.

Si riliuta qualsiasi compromesso con i coloni trasferiti in Israele al tempo della distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi, accrescendo così attriti e ostilità che sono visti con una punta di vittimismo. Si istituisce un registro genealogico (Ne 7,5; Esd 8,3), ci si conta. Tutti quelli che non sono affidabili o non iscritti al « partito » della razza pura ebraica sono buttati fuori (Esd 2,59-63; Ne 7,62-65). Ma l'ansia e la certezza di essere i soli veri credenti che da soli possono gestire la sola politica giusta e che soli rappre­sentano la vera comunità d'Israele li spingono più innanzi. Ecco allora la legi-

{13) Cfr. G. DANIELI, Esdra e Neemfa, Paoline, Roma 1972.

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slazione sui matrimoni misti e sui figli nati da tali matrimoni. Se Neemia è ancora contenuto (10,31; 13,25), Esdra, giurista intransigente, non tollera esita­zioni. La « Commissione dei 110 » (83 laici e 27 sacerdoti) esegue implacabil­mente la cernita: « Tutti quelli che avevano sposato donne straniere dovettero rimandare le donne insieme con i figli che avevano avuti da esse » (Esd 10,44). Il Giudaismo del ghetto e dei « farisei » (letteralmente « i separati ») vedeva qui i suoi natali.

La cittadella dei puri, chiusa al resto del mondo, sogno degli integralisti di tutti i tempi, ignorerà l'ondata di cosmopolitismo che intanto attraversava il mondo con l'Ellenismo, disprezzerà tutto ciò che non è ebreo; l'autorità del clero e dei dottori della legge non tol­lererà ecumenismi o informazioni culturali non censurate. Sarà questo auto-sequestro a far sorgere l'accusa antisemita di « odiurn hurnani generis ». In questa luce riusciamo a immaginare la gioia di Paolo quando sentirà che <<i rinchiusi nel carcere della Legge» (Gal 3,23) sono stati liberati dal Cristo <<nostra pace che ha fatto dei due un popolo solo abbattendo il muro di separazione che era frammezzo » (Ef 2,14). Certo, questo modello politico è comprensibile in un pe­riodo di panico e di emergenza come quello attraversato da Israele in quei momenti. E possiamo anche riconoscere alcuni valori perma­nenti recuperabili, attraverso un'opportuna ermeneutica, da queste pagine e da questa impostazione politica: preservazione delle culture nazionali, tutela del patrimonio religioso contro forme nebulose di sincretismo, disinteresse, impegno e buona fede di questi capi che abbandonano cariche comode e prestigiose (Neemia era coppiere del re di Persia: 1,11) per offrire il loro servizio al nuovo Stato. E so­prattutto v'è l 'ansia per un progetto ideale di governo, un rnessianismo quotidiano, una speranza che genera ottimismo. «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza! »: queste parole di Neemia · (8,10) sono il miglior commento a questo sogno idillico-rnessianico.

Purtroppo però questa visione lascia sfumare la più costante strut­tura dell'antropologia biblica: l'uomo libero, e quindi non sempre in linea con progetti ideali, non è molto rispettato da questa imposta­zione levitico-sacerdotale. Anzi, l'irruzione divina nel contingente è mol­tiplicata con progressione geometrica. L'uomo è quasi schiacciato dal peso della Gloria divina che, come un « Deus ex machina », irrompe, aggiusta, trasforma, conclude, ingigantisce o isterilisce le imprese urna· ne (ad es. 2 Cr 13,13-20; 14,8-14; 20,1-30). Le vittorie, le conquiste, i successi sono esclusivamente frutto di preghiera; al timido gesto del­l'uomo si giustappone subito il potente braccio di Dio che offre i risultati come su un vassoio al piccolo uomo stordito e orante. La progressività della Rivelazione mostrerà la relatività di una tale con­cezione della politica e farà balenare altre possibilità.

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3. Nella linea della proposta « sacerdotale » possiamo collocare anche i due libri del Maccabei (14) che testimoniano la reazione rab· biosa, anche se giustificata, all'ellenizzazione forzata introdotta da Antioco IV Epifane (175-164 a . C.) nei territori della sua provincia sira costituitasi in seguito alla spartizione dell'impero di Alessandro Magno. Il movimento partigiano che prende il nome dall'appellativo di uno dei suoi eroi, Giuda Maccabeo ( << il martello »), ha come motto pro· grammatico quello riferito da l Mac 2,21-22: «Ci guardi il Signore dall'abbandonare la Legge e le tradizioni; non ascolteremo gli ordini del ·re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra». I fra­telli Giuda, Gionata e Simone attraverso la tattica della « guerra santa » cercheranno di salvaguardare il «centralismo» di questo motto, il cul­to dei padri (l Mac 2,19), la Legge (2,50-64}, le pratiche e le osservanze giudaiche (2,21; 3,21). In realtà non rifuggiranno anche da altre stra­tegie come l'intrigo (nelle successioni degli oppressori seleucidi) o l'alleanza diplomatica con Sparta e con Roma, ma l'idealismo della narrazione fa sì che emerga solo la fedeltà totale e letterale alla Legge.

l Maccabei circoncidono forzatamente tutti i t·esidenti dei territori occupati (l Mac 2,46), mentre tutti coloro che non condividono l 'impostazione troppo rigida della politica maccabaica o si mostrano inclini a cercare una piattaforma di dialogo con l 'Ellenismo sono subito liquidati come «malfattori, arroganti, disertori, peccatori, pestiferi, prevaricatori ».

Come è ovvio, anche questa esperienza richiede un'opportuna in­terpretazione e liberazione dai suoi condizionamenti storici. Certo, ogni « normalizzazione » religiosa e politica è illegittima, ma non si può rea­gire ad essa con un integralismo di segno opposto. Il valore delle culture nazionali, delle minoranze etniche, la testimonianza personale sono indubbiamente elementi permanenti dell'eredità maccabaica, ma la via da essi adottata non salvaguarda, come si vedrà, molti dati fondamentali della visione biblica e, tra l'altro, sarà destinata allo sbocco reazionario del fariseismo intertestamentario e al fallimento politico con la dinastia degli Asmonei.

4. Alla proposta integralista è stato spesso ricondotto anche il massimo profeta-poeta di Israele, Isaia, soprattutto a causa del famoso principio enunciato nel «libro dell'Emmanuele >> durante un colloquio tra il re Acaz e il profeta: « Se non crederete, non avrete stabilità » (Is 7,9) . E' l'anno 734 a. C. La Siria (Aramei), avendo la prospettiva certa di essere ingoiata dal colosso assiro, gioca la sua ultima carta cercando di coinvolgere il regno settentrionale d'Israele in una coali-

(14) Cfr. A. PENNA, I libri det Maccabet, Marlettl, Torino 1953; M. LACONI, Primo e Secondo Libro dei Maccabei, Gregoriana, Padova 1960; A. SISTI, I Maccabei, Pao­lina, Roma, I vol. 1968, II vol. 1969.

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zione anti-assira. Per avere le spalle protette si intavolano trattative col r e meridionale, Acaz di Giuda. A Gerusalemme si fronteggiano due partiti, l'uno filo-assiro, l'altro favorevole all'asse Damasco-Samaria. Il re si schiera col primo. Le truppe dell'asse devono perciò prima neutralizzare Giuda per sferrare l'attacco all'Assiria. Le armate alleate si avviano così contro Gerusalemme gettando il panico tra i politici di Giuda (7,2). A questo punto al sovrano di Gerusalemme si presenta il profeta che avanza una proposta alternativa : <<Sta' tranquillo, non abbatterti, non temerei» (7,4). Molti interpreti, soprattu tto in passato, hanno parlato a questo proposito del " quietismo , di Isaia, confermato dal principio sopra enunciato. Quel principio, infatti, si basava sulla forza della fede come testimonia anche un'assonanza, irriproducibile nelle nostre lingue, t r a << cr edere , e << sussistere ». Isaia, allora, non lancerebbe forse un appello alla dissoluzione della politica nella fede conducendo Israele a un fideismo politico?

Ma per giudicare la portata della proposta isaiana, bisogna consi­derare il reale valore dei termini usati. Essi non sono nient'altro che \ il caratteristico appello alla <<guerra santa»: "Voi oggi siete prossimi a dar battaglia ai vostri nemici; il vostro cuore non venga meno perché il Signore cammina con voi per combattere con voi!, (Dt 20,3-4). Isaia, quindi, fa una reale proposta politica, collegata al mondo orien­tale, cioè quella dell'impegno nazionale senza il ricorso ad alleanze. Le manovre dell'attivismo politico alla fine snervano l'identità nazionale, il richiamo agli ideali religiosi e culturali nazionali può forgiare nuove energie e offrire persino risultati inattesi. L'ottica non è quietista o fideista, ma si concretizza in una posizione di r igorosa neutralità.

Questa posizione di Isaia sarà confermata a più riprese durante il suo ministero profetico e per capirne la relatività (tipica di ogni proposta politica contingente) b asterà ricordare che Geremia sosterrà appassionatamente la tesi dell'alleanza con la potenza straniera b abilonese. D urante una fase politica­mente più favorevole a causa di travagli interni dell'Assiria (705-701 a. C.) I saia si rivelerà u gualmente disfattista n ei confronti di trattative diplomatiche con l'Egitto. La testimonianza brillante di questo atteggiamento è racchiusa nel c. 18, scritto in occasione dell'arrivo a Gerusalemme di una delegazione di diplomatici egiziani e piombato come una doccia fredda sugli en tusiasmi nazion ali di Giuda. La stessa reazione scettica è formalizzata da tre oracoli d el c. 30 in cui alla frenesia dei sogni militaristici del trattato con l'Egitto, Isaia contrappone « la calma, la conversione, l 'abbandono confidente» (30,15), proprio come nel c. 7 e secondo gli ideali della guerra santa. Nella stessa linea procede anch e l 'oracolo di Is 31,1-3 il cui tema è sempre la denuncia del trattato egiziano attraverso l'opposizione << uomo·Dio >>, « carne-spirito »: gli ideali di Giuda sono più forti, anch e politicamente, dei giochi diplomatici e militari.

Al di là del valore del suggerimento politico di Isaia, superabile nella dinamica della storia della salvezza, c'è però un interessante

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corollario da considerare. La Bibbia, soprattutto attraverso l'affresco della << tradizione jahvista » presente nei cc. 1·11 della Genesi, disegna molto realisticamente la dissociazione a livello storico tra il progetto ideale divino e quello alternativo che l'uomo vuole attuare. Ora, anche Israele, come l'umanità intera, subisce continuamente nel suo interno l 'irruzione di tendenze negative non coerenti con la volontà radicale di giustizia di Dio. Isaia con la sua proposta, pur concreta, fa anche esplodere l'incompatibilità costante tra « popolo di Dio » (nella fede e nella giustizia del progetto di Dio) e «popolo d'Oriente», legato ai meccanismi socio-politici e militari del progetto umano. Certo, l'iden· tificazione tra i due popoli è sperata dal credente come sbocco esca­tologico della storia, è ricercata nell'ansia quotidiana di giustizia, ma non è soluzione sistematica per l'oggi. Altrimenti si ignora la condi­zione storica dell'uomo che comporta una situazione cronica di limi­tatezza e di peccato che nasce dalla radice pur mirabile della libertà. Un panspiritualismo fideistico che ignora l'autentica realtà dell'uomo è alla fine un ideale poco biblico. ·

Se la comunità credente non può rifugiarsi in un'oasi religiosa, lontana dall'agitazione del mondo ( « non prego perché tu li ritiri dal mondo [ . .. ] ma come tu mi hai mandato nel mondo anch'io li ho inviati nel mondo»: Gv 17,15-18), non può neppure pensare di scomu­nicare, annientare o ignorare un mondo che Dio ama e vuole salvare attraverso la sua parola e la missione del Cristo « luce del mondo » (Gv 3,16-17; 8,12; 9,5), anche se spesso il mondo liberamente si sottrae a questa salvezza («il mondo posto nel maligno»; l Gv 5,19) . Perciò, se è vero che non bisogna giungere ad una esasperazione dualistica tra fede e politica, l'autonomia della fede e della politica e la loro diversificazione di vie e di fini devono essere salvaguardate da ogni tentativo integralistico. E' ciò che possiamo ora scoprire più diretta­mente attraverso l'analisi di un altro modello politico biblico.

5. Il modello « laico "·

Come abbiamo notato, la struttura politica biblica s1 e spesso orientata verso l'autarchia sacrale: la critica al sistema monarchico fatta da Samuele (l Sa m 8) si basa sulla sua qualità « laica» della rega­lità. D'altra parte, come si vede nei rapporti tra Saul e Samuele (l Sam 13,8-14), il re tenterà di escludere l'autonomia del sacerdote attribuen­dosi anche il primato cultuale. Tuttavia Israele non giungerà mai all'immanentismo politico caratteristico del culto imperiale orientale e romano (cfr., ad es., Dan 3; 9,27; 11,31; 12,11 ).

1. Possia~o però rintracciare chiaramente nella Bibbia un pro­cesso di precisazione dei due settori. Innanzitutto esiste un consistente

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filone ideologico che reclama la desacralizzazione della politica e la depoliticlzzazione della religione. Una prima e ancor timida teorizza­zione della separazione tra « Chiesa » e « Stato » è imposta dal crollo della dinastia davidica nel 586 a. C . . Ezechiele introduce nel suo ritratto ideale e utopico della Gerusalemme del futuro una prima distinzione t ra palazzo e tempio (15). Ma sarà soprattu tto il proto-Zaccaria (cc. 1-9), che si muove nell'area ideologica ezechieliana, a codificare questa distinzione. Nei cc. 3-4 e 6,9-14 del suo libro profetico egli non esita a proporre per la comunità post-esilica due «messia» (cioè due «con­sacrati ») e due corone, Giosuè, sommo sacerdote, e il politico Zoro­babele. L'operazione di depoliticizzazione della religione, già suggerita dalla normativa sull'estraneità dei !eviti alla gestione politica di un territorio in Israele (la tribù di Levi non ha una regione propria e quindi un'attività politica), raggiungerà, dopo alterne vicende, il suo vertice nel tardo Giudaismo quando il sommo sacerdote sarà dipinto in un appassionato affresco del Siracide solo come l'uomo del culto (Sir 45,6-26: Aronne e Pinhas; c. SO: Simone) .

2. Ma l'operazione è visibile soprattutto nel processo ermeneut\co a cui è sottoposta una delle categorie più rilevanti della religione di Israele, quella di alleanza ( << berit >>). All'inizio essa, secondo l'opinione di molti studiosi (16), è la sacralizzazione di uno schema diplomatico laico di origine ittita e mesopotamica attraverso il quale il Gran Re, sulla base della precedente collaborazione politica ( << il prologo sto­rico >>) , stabilisce un nuovo patto bilaterale col suo vassallo, assicu­rando assisten za e r icevendo la promessa di fedeltà. Dopo l'elencazione della carta dei diritti-doveri e delle maledizioni-benedizioni in caso di violazione-osservanza, il protocollo siglato è affidato alla garanzia di una divinità comune. In caso di violazione si istruisce una vertenza giudiziaria (il << rtb >> di cui la letteratura profetica offre parecchi esem­pi, come in I s 1 e Mi 6). L'applicazione di questo schema politico ai rapporti religiosi tra Israele e Jahwè comporta il rischio della diviniz­zazione dell'intero apparato legislativo ebraico (si veda la polemica antinomista di Paolo e quella antifarisaica di Gesù) . Questa imposta­zione non può perciò esprimere pienamente l'esperienza religiosa che ha esigenze di libertà e di grazia. Si cerca allora di semplificare la dimensione politica dello schema di alleanza esaltando la dimensione dell'adesione gioiosa e libera del fedele al suo Dio. Questo è già Vl S l­

bile nella pericope di Gs 24 ove Giosuè, la voce profetica di Dio,

(15) Cfr. B. L ANG, K etn Aufstand in Jerusalem. Dte Polttik des Propheten Ezekie!, Kohlhammer, Stuttgart 1978. Cfr. anche G. SAvocA, Un profeta interroga la storta. Ezechiele e la teologia della storta, Herder, Roma 1976.

(16) Per tutti cfr. G. E . MENDENHALL, Le forme del patto nella tradizione i srae­ltta, !n AA.VV., Per una teologia del Patto nell'A.T., Mar!ettl, Torino 1972, pp. 75-119. Contrario invece è E. KuTscH, Berit, !n E. JENNI - C. WESTERM/INN, Dtztonarto teologico dell'A.T. , vol. I, Mar!etti, Torino 1978, coli. 295-306.

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esige nna risposta libera e personale al Gran Re col quale Israele sta per stipulare un'alleanza. Essa è espressa col verbo « 'abad », «aderire nel servizio "• scandito per quattordici volte, simbolo della perfezione: « noi serviremo il Signore! ».

Un'ulteriore purificazione della categoria << alleanza » dalla dimen­sione · politica sarà perfezionata dalla profezia che con Osea la orien­terà non più verso il contratto diplomatico ma verso il legame d'amore nuziale. Al rapporto tra due forze che si coalizzano nel reciproco ri­spetto si sostituisce la tenera relazione d'amore tra due fidanzati che si cercano nella gioia e nell'intimità (Os 2; Is 54; Ez 16; Cantico; ecc.). A questa rilettura di tipo psicologico, nata dall'esperienza tragica del matrimonio fallito del profeta Osea, succederà nel profetismo esilico quella ancor meno politica della trasformazione << ontologica » del << cuo­l'e », cioè della coscienza dell'uomo, ad opera dell'irruzione in esso dello Spirito del Signore. Alle tavole di pietra del diritto sinaitico subentrano quelle di carne della << nuova alleanza » cantata da Ger 31,31-34 e da Ez 36,25-27.

3. Nell'ambito veterotestamentario è possibile assistere anche ad un altro interessante processo evolutivo, quello della decanonizzazione del sovrano. La sua opera non è più di natura sua perfetta, ma può essere sottoposta a critica legittima e a verifica. Sarà soprattutto il movimento profetico a farsi carico di questa opposizione. Pensiamo alla parabola che il profeta Natan lancia, nel silenzio ipocrita dei sud­diti, contro Davide adultero e assassino (2 Sam 12). Pensiamo al profeta Elia che irrompe come una tempesta sul regno di Acab (IX sec. a. C.) e alla sua parola che colpisce con veemenza soprattutto in un clamoroso caso di ingiustizia e di arroganza del potere, quello dell'esproprio del terreno del contadino Nabot e della sua eliminazione con metodi <<puliti » (l Re 21). Pensiamo ad Amos che, come vedremo, è un simbolo altissimo della condanna delle ingiustizie ovunque esse si annidino, anche sotto la copertura sacrale del manto dell'investitura regale. Pensiamo ad Isaia che, pur essendo di estrazione aristocratica, prende posizioni di esplicito distacco e polemica nei confronti della monarchia (cfr. ad es. Is l; 3,12-15; 5), diversamente da quanto faceva la << claque » dei profeti di professione e di corte, veri << violini » del regime (2 Re 11). << Guai a voi che assolvete per regali un colpevole e private del suo diritto un innocente! » (Is 5,23). Anzi, Isaia attaccherà persino, come si è visto nei cc. 30-31, la politica del suo pupillo Ezechia, in cui aveva sperato, dimostrando così che nessuna politica è quasi sacralmente assistita, ma che piuttosto richiede, come ogni altra scelta umana, attenta verifica sulla base della Parola di Dio e della coscien­za. Geremia lancerà pesanti accuse contro il re Joakim (22,13-17) e sarà un sistematico contestatore non solo della politica religiosa, ma della stessa politica estera filo-egiziana degli ultimi re di Giuda.

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4. Alla base di questa impostazione esiste evidentemente una demitizzazione della politica. Come è noto, in Oriente nel giorno della incoronazione veniva proclamato un « protocollo regale » nel quale si dichiarava la filiazione divina del re, normale in una visione religiosa immanentistica. Ci sono raffigurazioni egiziane ed ugaritiche in cui i principi sono rappresentati mentre succhiano il latte dal seno della dea madre. Israele, pur accettando questo modulo (Sal 2,7: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato >>), lo sottopone a una forte riduzione: il sovrano resta solo figlio adottivo di Dio. La stessa unzione regale comprendeva l'irruzione dello <<spirito » ( « ruah ») divino nell'eletto col dono della « giustizia » ( « sedeq-mishpat »), qualità di tipo teolo­logico. La critica profetica e la continua polemica della storiografia deuteronomistica contro la monarchia (Sam e Re) rivelano che questi doni non pongono automaticamente il sovrano in un'area sacrale, ma sono condizionati dalla sua fedeltà etica personale. Anzi, quello « spi­rito» che Is 11 descrive effuso sul sovrano, Gioele (c. 3) lo vedrà sparso nell'intero popolo dell'alleanza in una pentecoste comunitaria (cfr. At 2). Gli stessi salmi regali (2; 89; 110) riceveranno un'ermeneu­tica sempre più spiritualistica e « messianica ».

S. Ma c'è, infine, un importante settore letterario, teologico e sto­rico dell'A.T. che, sia pure in forma primitiva, propugna l'autonomia della politica e delle scienze antropologiche dall'ambito sacrale. Si tratta della letteratura sapienziale che forse vede i natali in Israele nell'epoca liberale ed «ecumenica » del regno salomonico (X sec. a. C.). La « laicità » celebra qui la sua più consis tente affermazione in una forma di primordiale « umanesimo integrale». Formazione tecnica, istruzione professionale, cultura, economia, politica, persino galateo, etichetta di corte e « savoir faire » sono le componenti di questa nuova « Weltanschauung » biblica che non ignora però anche i problemi etici e filosofici fondamentali.

a ) La sapienza produce anche una classe di politici, burocrati, diplomatici, funzionari di professione, gli scribi (vedi Sir 39,1-11 ) che, dopo la catastrofe del 586, si dedicheranno all'attività intellettuale e teologica. Anzi, Davide, su suggerimento del suo onnipoten te ministro Joab, aveva introdotto tra i suoi consiglieri persino una donna-scriba (2 Sam 14,2-20) , mentre il modello politico salomonlco sembra elabo· rato proprio da questa classe particolarmente aperta e « laica » ( l Re 3,11-12.16-28; 5,9-14; 10,1-9; 11,1-8). Degli scribi è possibile ricostruire una sintesi di teoria politica sulla base del libro dei Proverbi, una collezione antologica di riflessioni sapienziali appartenenti ad epoche differenti. Essa riflette sostanzialmente i moduli tradizionali dell'Orien­te antico. Innanzitutto rispetto incondizionato del monarca (19,12; 20,2), essendo l'assolutismo un dato ovvio nel mondo orien tale (più di trenta proverbi parlano del re). Ma la consulenza che lo scriba offre

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al sovrano suggerisce equità, giustizia, lotta a lla corruzione, impegno per i poveri, selezione dei collaboratori, programmazione, commissioni qualificate di esperti e di tecnici (11,14; 15,2; 20,18; 24,6). Cinque pro­verbi (28,12.28; 29,2.8.16) riguardano la politica interna più specifica, ma, data la loro genericità ottimistica, hanno solo il valore di dichiara­zioni programmatiche (17).

b) In questa linea si proseguirà per secoli, sino al II sec. a. C. quando un rappresentante conservatore ma illuminato della classe sapienziale scribale, il Siracide, ribadirà questa secolarltà moderata della Bibbia. Egli, infatti, non è certo un progressista esasperato come alcuni intellettuali ebrei alessandrini affascinati dalla cultura greca e dalla ricerca scientifica del Museon di Alessandria di Egitto. Anzi, egli esalta con entusiasmo la tradizione sacrale di Israele (cc. 44-50), ma il suo spirito di ebr eo liberale (sul modello dei successivi Filone e Giuseppe Flavio o degli stessi traduttori della Bibbia in greco, i Settanta) lo spinge a un dialogo più ecumenico con la cultura profana e con l'atmosfera illuministica che }',Ebraismo della Diaspora comin­ciava a sperimentare attorno a sé e a respirare (si legga, come esem­plificazione, il paragrafo dedicato in 38,1-8 alla medicina e alla farma­ceutica). Anche la sua teoria politica è improntata al modello della « polis » greca. Certo, nel saggio sul potere raccolto nel c. 10 egli ribadisce la necessità della glorificazione e del rispetto nei confronti dei detentori del potere a causa della gravità delle loro responsabilità. Ma l'assolutismo è temperato dalle prime avvisaglie democratiche: co­mincia ad apparire l'<< ekklesia », l'assemblea che non è solo liturgica (50,13.20) e sinagogale (33,19) ma anche struttura politica con funzioni giuridiche (7,7; 41,18; 42,11) e amministrative (15,5; 21,7; 38,33).

c) Il clima di laicità e di moderazione del Siracide emerge anche in un altro e più sofisticato prodotto della Diaspora alessandrina, il libro della Sapienza, da collocare cronologicamente quasi alle soglie dell'epoca neotestamentaria. Menzioniamo solo un.dato: la celebrazione della tolleranza di Dio nei confronti dei tradizionali nemici di Dio, gli Egiziani e i Cananei (cc . . 11-12), che egli, pur potendo, non ha an­nientato. Questo atteggiamento divino deve diventare anche una prassi da seguire per Israele. Il fanatico integrismo della strage santa (il famoso << herem ») deve sparire e lasciare lo spazio a una più plurali­stica e misericordiosa civiltà delle relazioni internazionali. << Tu, o Si­gnore, hai infat1li compassione di tutti perché tutto tu puoi, non

l (17) Per la letteratura sapienzlale In genere, si vedano la sintesi di G. voN RAD,

La sapienza di Israele, Mariettl, Torino 1975, e quella di F. FESTORAZZI, Riflessione saplenziale, In Dizionario Teologico Interdisciplinare, Marlettl, Torino 1977, vol. III, pp. 88-102. Fondamentale è anche H. H. SCHMID, Wesen und Gescllicnte der Welslleit, Topelmann, Berltn 1966. Per Il libro del Proverbi cfr. G. BERNINI, Proverbi, Paoli­ne, Roma 1978.

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guardi ai peccati degli uom1m m vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato» (Sap 11,23-24).

d) E la letteratura sapienziale rivela anche una sorpresa, quella dell'« eterodossia "• segnata da una ricerca spesso contestatrice e ardita, frutto di voci intellettualmente molto geniali attente a registrare il :'agaglio di assurdo che l'uomo si tira dietro dal suo apparire sulla fac..:-ia della terra. Citiamo solo il libretto bruciante e « scandaloso » di 0L'helet, « il Presidente d'assemblea», l'Ecclesiaste. Sotto la scorza ironica del suo messaggio poetico si nasconde un'ansia autentica che scruta la vita terrena, identica per lo stolto e il sapiente. Essa si rivela come una realtà intrisa di miseria, di infinito nulla, di vento, di vanità assurda, di « hebel >>, secondo il vocabolo prediletto dall'A. (1,2 e 12,8, ai due estremi del libro). Siamo infinitamente lontani ora dall'ottimismo sacrale con cui l'Israele del passato contemplava la vita della nazione e quella degli uomini. Di fronte all'enigma del vivere che ha come foce la morte e il nulla (c. 3) è inutile inebriarsi di speranze teocratiche. L'esperienza di Salomone, uomo di Stato e di cultura, è ritenuta totalmente fallimentare (1,12; 2,13), l'oppressione del debole è la più normale e tragica costante della società ( 4,1) che è come una giungla in cui impazza la bestialità umana (3,16-22), la economia è dominata dall'egoismo insaziabile (4,4-8), i mutamenti di regime deludono subito ogni illusione di riforma (4,13-16), la rapacità delle gerarchie politiche non deve stupire perché il potere si regge su una piramide di furti che sale, in progressione, fino al vertice che è il re (5,7-8). Mai come in Qohelet la politica subisce un ridimensiona­mento così radicale e una riduzione a fenomeno incomprensibile e discutibile.

6. Il modello dell'Impegno militante.

Contro lo strapotere degli automatismi economiCI, strutturali e dell'esecutivo è naturale che sorga in tutti i popoli un fronte impegnato nella difesa dei diritti e della giustizia.

Nel mondo moderno questa funzione di autonomia critica è attuata nel­l'ambito della militanza partitica o sindacale o nell'adesione ad altre istituzioni democratiche di pressione e di difesa del cittadino. Talora, davanti al logora­mento di tali forme, divenute esse stesse automatismi, si escogitano altri fronti di aggregazione e di impegno militante. Gramsci e Galbraith pensavano, ad esempio, alla funzione decisiva del 'intellettuale, antenna più sensibile e spre­giudicata dell 'autonomia di giudizio e della libe~tà. Sia pure con ovvie diversità storico-sociali, anche la storia biblica offre esempi di impegno politico mili­tante e di critica alle istituzioni.

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Ora, se volessimo applicare in modo un po' sbrigativo gli schemi di M. Weber (18), dovremmo dire che, dopo l'epoca puritana e sobria di Davide si inaugurerà con Salomone una società « capitalistica » pii1 permissiva. Essa ebbe la sua più esplosiva manifestazione nell'VIII sec. a. C. nel regno del Nord. Lo Stato però conteneva in sé i germi della futura dissoluzione, era già pronto ad essere divorato «come una focaccia non ancora rivoltata», secondo l'espressione di un pro­feta contemporaneo, Osea (7,8). Ma l'atmosfera era comunque quella dello splendore, soprattutto col re Geroboamo II (786-746 a. C.), erede del boom economico avviato da Acab, uno dei suoi predecessori, profondamente avversato dal profeta Elia. L'espansione economica in una fase di decadenza genera spesso un «ethos» consumistico e per­missivo che diventa progressivamente una specie di pseudo-etica: gli squilibri sociali e le macroscopiche ingiustizie vengono così inquadrati nell'ideologia del capitalismo latifondista imperante. E' a questo punto che sorge la voce critica e impegnata del piofetismo.

Amos (19) attacca impietosamente questa società opulenta e la sua etica. La sua parola si rivolge brutalmente contro le oscene nobil­donne dell'alta società, pasciute ed eccitate come «vacche»: la scena descritta in Am 4,1-3 sprizza tutta la nausea di questo lavoratore della steppa («pecoraio>>: 1,1, e «raccoglitore di sicomori»: 7,14) per la dolce vita dell'aristocrazia d i Samaria. La sua parola tenta di demo­lire le lussuose residenze degli alti burocrati statali in cui « sono accumulate violenza e rapina» (3,10). La casa di città e quella di campagna, i saloni tappezzati di avorio, gli splendidi divani damascati, mentre i poveri sono venduti sul mercato di Samaria per il prezzo di un paio di sandali, sono sistematicamente denunciati senza diplo­mazie e falsi moralismi, ma con una genu ina ansia di giustizia (Am 3,11-15). Amos si trasforma, così, in un emblema luminoso di impegno militante per la difesa del povero; senza questo impegno non avrebbe senso neppure l'attività religiosa, come insegnerà costantemente il « kerygma » profetico (Am 4,4-5; 5,21-27; l Sam 15,22-23; Os 6,6; 8,13; I s 1,10 ss.; Sal 50,9-13; ecc.).

Geremia, invece, è l'esempio di un'opzione che oseremmo definire, sia pure impropriamente, partitica. Davanti ai condizionamenti politici che riescono a creare consensi massificati e irrazionali di stampo na­zionalistico il profeta si schiera all'opposizione seguendo una mino·

(18) Cfr. M. WEBER, L'etica protestante e !o spirito de! capitalismo, Sansonl, Fi ­renze 1965.

(19) Per la teologia pro!etica, oltre a G. voN RAD, Teologia dell'A.T., cit., vol. Il, si vedano: H. GuNKEL, I profeti, Sansonl, Firenze 1967; G. TounN, Amos profeta della giustizia, Claudlana, Torino 1972; G. RAVASI, I Profeti, Ancora, Milano 1975; R. KzLIAN, I profeti et interpellano, Querinlana, Brescia 1977, pp. 33-46; L.-J. RoN· DELEUX, Isaia e il profettsmo, Gribaudi, Torino 1977; G. TouRN, La voce dei profeti, Claudiana, Torino 1977'; A. MAILLOT - A. LELIÈVR.E, Attualità di Michea, Paidela, Bre­scia 1978; N. M. Loss, Amos, Paoline, Roma 1979.

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ranza esigua e perseguitata. La « razza padrona », formata da sovrani inetti, da politicanti venali e ottusi, da fanatici integralisti, sottopone il profeta a sistematica persecuzione emarginandolo e calpestandolo. Ma il profeta permane coerente nella sua posizione: contro l'opinione pub­blica dominante che esalta l'autonomia totale o la politica filo-egiziana, Geremia annuncia l'ora cruciale del regno di Giuda e la necessità di un accordo con Babilonia, attirandosi così la fama di disfattista e di tra­ditore della patria (8,11.23; 9,20; le sue celebri «confessioni » ne sono una drammatica testimonianza autobiografica). E la rovina piomberà puntualmente su Giuda con la distruzione di Gerusalemme e la de­portazione « lungo i fiumi di Babilonia ». Il filo-babilonismo del profeta è quindi una scelta politica (cc. 37 ss.), ma è anche una militanza e un'opinione che può divergere da quella ufficiale delle istituzioni reli· giose. Questo dato ci permette anche di documentare l'evoluzione delle concrete opzioni politiche nella diversità delle situazioni storiche anche da parte dello stesso movimento profetico.

1. Riflessioni finali.

In conclusione offriamo alcuni spunti sintetici emergenti dal di· scorso finora condotto. Naturalmente il ventaglio delle questioni è più variegato e complesso : pensiamo, ad esempio, all'impostazione di radicale rifiuto dell'impegno politico da parte della tradizione apoca­littica che, divaricando la s toria dall'escatologia, vede nell '<< eone» pre· sente solo il segno del maligno. Ogni ten tativo di coinvolgimento in questa area destinata alla conflagrazione finale significa peccato e scelta demoniaca (20). Ecco, comunque, alcune direttrici generali di lettura del fenomeno politico veterotestamentario.

l. Relatività e permanenza della politica. - L'Antico Testamento non canonizza nessun modello, sistema o partito politico, anzi lo spet­tro ricco di sfumature che abbiamo delineato conferma la sostanziale relatività delle opzioni politiche. Esse possono valere in una deter­minata congiuntura e decadere in un'altra, sostituite da altre che in un modo più fedele incarnino il servizio per l'uomo e per la fede. Alla relatività dei modelli concreti, nei quali però si può forse s tabilire una certa gerarchia di maggiore validità, corrisponde contemporaneamente un filo ininterrotto che appare sotto ogni scelta politica contingente. Esso si articola nei valori fondamentali dell'uomo biblico: la libertà, la giustizia, la speranza. L'A.T., perciò, in campo politico n.on offre se non formule generali; l'applicazione politica concreta è affidata a lla ricerca libera e laboriosa e al rischio del credente e della comunità.

(20) Cfr. D. HERviEU·LÉGER, Messtanisme, mlllénarisme et utopie, In << :etudes Théologlques et Rel!gleuses », 49, 1974, pp. 299·316; W. ScHMITHALS1 L'apocalìttlca, Querinlana, Brescia 1976; K. KocH, Difficoltà dell'apocal!ttica, Paldela, Brescia 1977.

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z. L'autonomia della fede e della politica. - Pur avendo come oggetto comune l'uomo esistente e pur essendo per questo motivo profondamente intrecciate, fede e politica si rivelano anche nell'A.T. autonome. E questo è verificabile a più livelli. Anzitutto nel rifiuto di una politica che pretenda di essere salvezza assoluta: come nessuna ragione di fede deve essere la normativa unica dello Stato che vive nelle contraddizioni e nella relatività del presente ancora imperfetto, così nessuna ragione di Stato può imbavagliare le coscienze. La ten­tazione integrista, fideistica o politica, pur a ttraversando lo sfondo socio-politico dell'A.T., è, come abbiamo dimostrato, sufficientemente esorcizzata. L'autonomia della politica dalla fede comporta il rifiuto della dogmatizzazione o dell'assolutizzazione delle forme politiche. Pur­ché si orienti verso gli ideali fondamentali della giustizia, nessuna struttura politica è fuori considerazione, come nessuna è perfetta o canonica quasi per diritto divino, cosa che avverrebbe nel caso di una identificazione tra fede e politica. A questo si deve aggiungere anche il principio dell'autonomia del singolo che deve essere libero di auto­determinarsi secondo coscienza nelle varie scelte politiche, come te­stimonia Geremia.

3. La libertà e la giustizia. - Il richiamo che abbiamo fatto all'E­sodo come struttura portante della «teologia politica, dell'A.T. è deci­sivo. Scegliere la libertà interiore ed escatologica che l'even to salvifico contiene e riattualizza, significa anche scegliere la giustizia, la libertà e la promozione dell'uomo. Il discorso puramente spiritualistico non ha senso per l'A.T. e l'esodo che è liberazione lo conferma: proprio perché la fede postula la libertà, il cr edente non deve lasciarsi ricat­tare dall'oppressione o soggiacere ai condizionament i sociali. Nella mi­sura in cui vi soggiace egli denuncia la sua poca fede: esemplare è in questo senso il tema della tentazione e della nostalgia della schiavitù sviluppato dalla teologia dell'Esodo e visto come il peccato per eccel­lenza del deser to (Es 16,3.7-9; 17,3; Num 14,2-3; 20,3-4; Dt 1,27-28).

4. La speranza. - La progressività del discorso biblico rivela che l 'incerto cammino presente, attraverso sentieri dei quali non è ancora visibile la convergenza, ha una meta qualitativamente diversa dai pro­getti politici e sociali formulati sulla terra, anche se non indipendente da essi. Se si considerano come meta definitiva i progett i politici e s torici, si ha allora il peccato " originale» di « hybris » (Is 14; Ez 28; cfr. Gen 3), generatore solo di fratture, di squilibri e di oppressione. <<Siamo forestieri come tutti i nostri padri» (l Cr 29,15; cfr. Dt 16,5): l'idea della vita come pellegrinaggio ridimensiona fortemente la vicen­da politica impedendole di totalizzarsi o di assolutizzarsi. Ogni forma nos talgica o statica non è biblica. Ulisse, s t rappato dalla sua patria, anela a ritornarci anche solo per contemplare il fumo che si leva dai

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camini del suo villaggio (cfr. Odissea 1,58). La sua patria è un « ritor­no», un «prima». Abramo, invece, è pellegrino sulla terra verso una patria che è un <<poi», un <<avanti >>. La sua << polis >> è soprattutto <<fu­tura e permanente >> (cfr. Eb 13,14). L'uomo biblico è perciò sempre in marcia, in superamento, in perfezionamento, con esigenze sempre più radicali ed esaltanti, proteso verso il progetto messianico.

S. La comunità. - La prospettiva politica biblica dell'A.T. è pro­fondamente ancorata alla solidarietà, all'accoglienza (vedi la legisla­zione sull'ospitalità). alla comunione. Il senso comunitario familiare, tribale, naziona le deve pervadere la politica che ne è l'espressione più reale e sperimentale. L'amore e l'ardore dei profeti per la loro comu­nità nazionale, la struttura comunitaria giuridica e morale ( << amerai il prossimo come te stesso>>: Lev 19,18), la stessa apertura universalisti­ca che faticosamente si fa strada nelle pagine bibliche (Gen 12,3; 18,18; 22,18; 28,14; I s. 19,16-25; 56,1-8; 66,18-21; Ez 29,13-16; Ciro <<messia,, per il Deutero-Isaia; Giona; Gl 3,1-5; Ag 2,7; Mal 1,11; Tb 13) sono un appello a trasfondere questi valori nella realtà politica concreta. Re­cuperare la << prossimità >> contro la concezione privatistica prevalente e riscoprire il valore del << qahal >> (l'« ekklesia >>, cioè l'<< assemblea>>) anche a livello sociopolitico, potrebbe essere un ideale profondamente biblico da vivere anche nelle nostre coordinate culturali.

6. L'ermeneutica cristiana deii'A.T. - La profezia, come si è visto, è per eccellenza l'interpretazione teologica della storia: attraverso il profeta si individua nel groviglio di contraddizioni del presente il pro­getto che Dio sta attuando nella storia e che è proteso verso la pie­nezza. In questa ·prospettiva la profezia ci ha aiutati a distinguere una relatività e una permanenza del messaggio politico biblico: :relatività nei modelli specifici, permanenza nel richiamo alla politica della liber­tà e della giustizia. Ma proprio perché l'A.T. è progetto, esso si rivela come dinamico e si apre sul Nuovo Testamento in cui la pienezza di­venta realtà nel Cristo. Una pienezza ugualmente dinamica perché se « il Regno di Dio è in mezzo a voi, (Le 11 ,20), è altrettanto vero che << il Regno di Dio è vicino» (Mc 1,15) e stiamo ancora attendendo che <<Dio sia tutto in tutti>> (l Cor 15,28). Il cristiano legge, perciò, la pro­posta politica fondamentale dell'A.T. alla luce di questa pienezza. Non la elimina considerandola superata, ma la illumina col messaggio cri· stiano. Il dialogo tra Dio e l'uomo ha come Parola finale il Cristo, che è però comprensibile in tutto il suo splendore solo attraverso il pazien­te ascolto della rivelazione veterotestamentaria. Il nostro itinerario nell'A.T. è perciò la premessa indispensabile per capire l'annuncio di Cristo sull'uomo e su Dio. Ma, parallelamente, Cristo sarà, secondo l'immagine un po' barocca ma suggestiva di Claudel, la << lettera capi­tale, la rubrica » che sigilla la parola deWAntica Alleanza.

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