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DIceMBRe 2010 22 Quaderni dell’Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri D IoceSI DI P aDova Abita la terra e vivi con fede Ritiri spirituali per il presbiterio Anno pastorale 2010-2011

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DIceMBRe 2010

22

Quaderni dell’Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri

D I o c e S I D I P a D o v a

Abita la terra e vivi con fede

Ritiri spirituali per il presbiterio

Anno pastorale 2010-2011

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DIoceSI DI PaDova

Abita la terra e vivi con fede

Ritiri spirituali per il presbiterio

Anno pastorale 2010-2011

contributi di

Giampaolo Dianincelestino corsato

Giuseppe ToffanelloMarcello Milani

Sergio De Marchi

Quaderni dell’Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri

D I o c e S I D I P a D o v a

n. 22 – DIceMBRe 2010

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Presentazione

Abita la terra e vivi con fede, questo è stato il tema delle settimane presbite-rali a Borca di cadore. Quello che si è vissuto nelle settimane ha bisogno diessere radicato e sviluppato nella spiritualità presbiterale, per questo è natala proposta che nei ritiri spirituali si continui la riflessione e questo sussidiooffra ulteriori piste di meditazione.Questo tema si colloca in continuità con il cammino nei ritiri spirituali degliultimi anni: la costante è un invito a rivisitare come preti le dimensioni ele-mentari della vita. abbiamo iniziato riflettendo sul tempo, abbiamo fattoattenzione alle relazioni primarie: essere figli, fratelli, padri e madri, uomo edonna. La finalità che guidava il percorso era di cercare l’unità di vita tral’essere uomo, credente e prete.La scelta è un cedimento ad una moda ecologica o ad un umanesimo ottimi-sta o una adesione più profonda allo stile di Gesù cristo? ci sembra pro-prio che l’esigenza di seguire l’esempio di Gesù cristo sia il motivo fon-dante della scelta. Basterebbe prendere sul serio il mistero dell’Incarnazionecome viene presentato dalla Scrittura: “Il verbo si fece carne…” (Gv 1,14);“non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assu-mendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2, 6-7).Se poi contempliamo il suo agire e il suo parlare come vengono narrati neivangeli vi scorgiamo un sentire appassionato di Gesù nei confronti dellavita degli uomini e dell’intero creato.

Il contributo di don Sergio De Marchi si colloca cronologicamente all’ulti-mo posto, ma offre la motivazione e la chiave di lettura di tutto il discorso.viene sottolineato un aspetto che non sempre è rilevato: Gesù vede la vitacome dono e benedizione del Padre. Testimonia il Padre che vuole sempreil bene delle sue creature; della sua volontà ci si può fidare, anche se si deveattraversare la sofferenza e la morte. Lo sguardo di Gesù sulla realtà è posi-tivo, ma non è ingenuo: pur riconoscendo gli aspetti del male, è capace divedere anche tutto il bene esistente, frutto del Padre “che sempre opera”. Labenedizione che il Padre ha pronunciato sui progenitori non è mai stata riti-rata.

con questo radicamento cristiano ripercorriamo alcune modalità paradig-matiche dell’abitare la terra con fede, presenti nella storia della salvezza.attraverso questo cammino comprendiamo come l’abitare la terra con fede

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sia stato un cammino mai compiuto, nella ricerca costante di orientamenti,nella complessità anche di un mondo molto più semplice del nostro.

Don Giampaolo Dianin nel suo contributo, partendo dalle prime pagine del-la Scrittura, offre subito il collegamento tra la teologia della creazione e lavisione della terra che troviamo in Gesù. Sono aperte varie piste di rifles-sione che si concludono con riferimenti puntuali anche alla spiritualità pre-sbiterale, in modo particolare nella sezione riguardante la trama delle rela-zioni.

Don celestino corsato presenta la drammaticità dell’abitare nel deserto. Laterrà può essere quella delle erbe amare, quella delle cipolle, la terra arida,la terra promessa. Si compie un passaggio non immediato, non lineare dallaschiavitù al servizio, nell’acquisizione della libertà. Dio si fa compagno diviaggio di un popolo nomade, peregrinante verso la terra promessa.

Un’ampia riflessione su che cosa significhi abitare una terra promessa looffre don Giuseppe Toffanello, con la sua consueta capacità di partire daparabole della nostra vita odierna per capire l’attualità della Scrittura scrittaper il nostro insegnamento. anche abitare la terra promessa non è semplice:le situazioni varie richiedono atteggiamenti e risposte adeguati. ereditare daDio la terra è avere il proprio posto e un proprio compito. e nella terra dovescorre latte e miele, il frutto matura col sudore della fronte.

Don Marcello Milani riflette sull’esperienza dell’abitare la terra “in esilio”.La deportazione, che fu la più terribile esperienza per Israele, divenne unodei fattori più fruttuosi per la sua vita e lo sviluppo della sua identità. Inquella situazione, nella tensione al ritorno e la prospettiva dell’integrazione,scopre la propria vocazione missionaria, nasce il culto della Parola. Puòessere proprio l’esilio il paradigma del cristiano nel suo abitare la terra.

Il percorso è complesso, come è complessa la vita e come è complessaanche la scelta e lo stile di inserirsi e di dar continuità al misterodell’Incarnazione. non si tratta di una radicalità come linea retta, mauna fedeltà, perseveranza, che accettano la fatica del discernimento deisegni dei tempi, della ricerca di come dare attualità alla parola delvangelo. Questa è la direzione: non arriveremo, troveremo inciampi, speri-menteremo ritardi, incoerenze, ma tenere la strada è evangelico.

don Giuseppe Zanon

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non è sempre facile pensare che la terra nellaquale nasciamo, viviamo e moriamo abbia i trattidel giardino in eden. È vero che molte volteviaggiando per il mondo scopriamo veri e propriangoli di paradiso dove ci piacerebbe sostare alungo; ma è anche vero che molte altre volte fac-ciamo i conti con un pianeta malato e deturpatodalle scelte dell’uomo. altre volte quel paradisosi trasforma in un inferno quando le calamità na-turali seminano danni e vittime. e poi c’è l’uomoche non sempre coltiva e custodisce la terra ma lasfrutta e la rovina. Le parole che Dio pronunciaad adamo ed eva sulla fatica del lavoro e i doloridel parto sono emblematiche di una realtà chespesso mette in ombra le prime parole sulla bel-lezza e bontà delle cose create. Lo stesso termine «terra» che, secondo le paroledel salmo, siamo chiamati ad abitare con gli oc-chi del credente, ha una varietà di significati. Ter-ra può essere la natura meravigliosa ma anche in-quinata e il lavoro a cui tutti siamo chiamati; puòessere l’opposto di cielo e quindi sinonimo direalismo e concretezza contro ogni fuga spiritua-lista. Terra può richiamare la vita che nasce ap-punto dalla terra ma è anche luogo della decaden-za e del sepolcro. Terra è dono e anche compito.Terra rimanda a tante forme di ingiustizia se pen-siamo ai paesi poveri. Terra ci richiama anche

Giampaolo Dianin

Ampiezza del termine terra

Abitare nel giardino in Eden

di don Giampaolo Dianin

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Per quanto riguarda il primo aspetto, possiamocomprendere la distinzione tra colui che ha creatodal nulla tutte le cose e l’opera della creazione seleggiamo i racconti della Genesi mettendoli inparallelo con il pensiero religioso dei popoliorientali, confinanti con la terra di Israele. Questileggono tutta la realtà del mondo con la lented’ingrandimento del mito e del rito1. Il mito è unaforma di pensiero nella quale un popolo proiettala propria esperienza della vita, quella cosmica,sociale, sessuale e religiosa. I miti sono storie di-vine che costituiscono un mondo di archetipi dicui la natura, l’uomo e la società non sono chedelle imitazioni imperfette. Tuttavia il cosmo e lastoria, avendo uno stretto rapporto con tali arche-tipi, vengono situati in un clima di sacralità.Mentre i miti dell’antico oriente sacralizzano leesperienze di questo mondo rinviando agli arche-tipi divini, i riti cercano di stabilire un legame trala terra e il mondo degli dei. certi riti sono la rap-presentazione dell’azione divina raccontata nelmito corrispondente. Se guardiamo all’esperienza biblica emerge subi-to una frattura con questo retroterra religioso e ri-tuale. La causa di tale diversità è la fede in Dio. Ilmonoteismo mette in ombra i miti relativi al co-smo, alla natura e alla sessualità e provoca il di-vieto di compiere riti simili a quelli dei popoli vi-cini a Israele. Se la vicenda di adamo ed eva puòessere paragonata ai miti dell’oriente, c’è un ele-mento che la differenzia e la rende originale ed èil fatto che la narrazione di adamo ed eva non èuna storia divina né un archetipo che sta fuoridella storia, ma è un’esperienza umana che si svi-luppa «al principio». Possiamo affermare che perla Bibbia la creazione, la natura, l’uomo e la don-

Giampaolo Dianin

a. La distinzione tra il Creatore e il creato

Il monoteismo e l’originalità del testo biblico

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Abita la terra e vivi con fede22

l’umiltà di chi sta con i piedi aderenti alla realtàdi se stesso e delle cose. Riflettere sulla terra come giardino posto in edenda abitare con fede chiede al credente di partiredalle origini, dalla creazione come dono di Dioprezioso e buono e dalle consegne che Dio, inquel momento, fa all’uomo perché la sua vita siafelice. Ma non si tratta di parlare di qualcosa cheè successo in un tempo lontano perchè la creazio-ne avviene in cristo ed è evento di ogni istante fi-no al giorno dell’escaton. Un filo lega cristo alleorigini e alla fine. Partiremo da alcune riflessionisulla creazione che la teologia ci invita a com-prendere alla luce di cristo per raccontare le con-segne che Dio ha fatto e continua a fare agli uo-mini, cittadini ma anche ospiti e pellegrini diquesta terra.

1. Per una teologia della creazione

Il tema teologico del mondo come «creazione» èmolto ampio e non intendiamo affrontarlo in tuttala sua ampiezza; ci soffermiamo solo su tre aspet-ti: anzitutto siamo chiamati a porre una linea diconfine tra Dio e il mondo, tra l’alterità e trascen-denza di Dio da una parte e la realtà fragile e se-gnata dal limite dell’esperienza umana. In questocontesto, la polarità creatore e creatura è basila-re. In secondo luogo la creazione rappresenta l’e-vento fondante, lo scenario nel quale si realizzal’opera della salvezza realizzata in cristo e giàcontenuta come promessa nello svolgersi stessodella creazione. Infine i testi biblici sulla creazio-ne cercano di rispondere alle domande fonda-mentali dell’uomo sul male e sul dolore presentinel mondo liberando Dio, se così si può dire, dal-la responsabilità per la condizione spesso infelicedell’uomo.

Il percorso dellameditazione

Il tema teologico della creazione

1 P. GReLoT, La coppia umana nella sacra Scrittura, pp. 9-21.

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legame tra Dio e la creazione e quindi anche coldivenire della storia dobbiamo fare un passo ulte-riore e leggere l’opera della creazione in riferi-mento all’alleanza e in definitiva a Gesù cristo,secondo passaggio della nostra riflessione.

La fede cristiana afferma che tutta la creazione vaguardata e compresa alla luce di cristo e dellaPasqua. La creazione non è solo il presuppostodell’incarnazione ma è posta da Dio in vista delladonazione del Figlio. essa rappresenta lo scena-rio dell’evento per eccellenza che è la venuta delFiglio. Il nuovo Testamento non parte solo dalla crea-zione per arrivare a cristo (At 17,16-31) ma parteanche da cristo per rileggere la creazione. Loesprime in modo preciso l’inno cristologico dellalettera ai colossesi: «egli (cristo) è il primogeni-to di tutta la creazione perché in lui furono createtutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili equelle invisibili» (Col 1,15-16). L’esegesi spiegache tutto è stato creato nel cristo, dal cristo e peril cristo. In cristo tutti noi siamo stati pensati escelti «prima della creazione del mondo» (Ef3,5.9) e siamo stati predestinati ad essere figliadottivi. La volontà di Dio già prima della crea-zione era di ricapitolare in cristo tutte le cose (Ef1,10). La creazione in cristo dice l’unità del disegno di-vino che fin dall’origine pensa al mondo e all’uo-mo in cristo non solo in vista del superamentodel peccato dell’uomo. Questo disegno divino ciporta a dire che il senso pieno della creazione ci èdato nel Figlio e nel piano divino di renderci figlinel Figlio e di ricapitolare tutto in cristo. È possi-bile pensare che il cristo non sia venuto anzituttoa causa del peccato ma perché lui è il vero ada-mo di cui l’adamo terrestre è figura e anticipa-zione. a ragione il Battista osa dire: «colui che

Giampaolo Dianin

b. La creazionein Cristo

L’unità del disegno divino

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na sono realtà del mondo creato e si distinguonodal creatore benché mantengano un legame stret-to con colui che le ha messe in essere. Possiamodire, in termini generali, che tutto quello che ri-guarda l’esperienza terrena viene riconosciuto co-me distinto da Dio. Un primo passo di quella cheoggi chiamiamo «secolarizzazione» rispetto aduna vera e propria «sacralizzazione» del mondoche avviene nelle religioni vicine a Israele. Tutta-via nella Scrittura non mancano alcune ambiva-lenze che ci portano a dire che parlare di secola-rizzazione sia piuttosto azzardato: pensiamo al te-ma della sessualità e alle innumerevoli norme chela caratterizzano o alla teocrazia che porta a rifiu-tare la monarchia in nome della signoria di Dio;ma la prospettiva generale rimane quella che evi-denzia la distinzione tra Dio e il mondo. Gesù li-bererà il campo da queste ambivalenze sia nelcampo della sessualità e dei cibi, sia in quello delpotere politico. La tradizione cristiana afferma che Dio è altro dalmondo e il mondo proviene liberamente e gratui-tamente da Dio. niente è necessario o dovuto matutto è dono e frutto della libertà divina. Il mondocreato è radicalmente diverso da Dio benché pro-venga totalmente da lui. Il termine «dal nulla»,che specifica l’atto della creazione, sta ad indica-re proprio la derivazione e la dipendenza dellecose create dal creatore. Proprio questa radicaledifferenza dell’uomo da Dio è condizione perchési possa parlare anche di una relazione tra i duefino alla stessa comunione. ciò che distingue esepara è anche la condizione stessa della relazio-ne. Questo schema che abbiamo descritto, propriodella nostra tradizione religiosa, sottolinea forte-mente la distinzione tra Dio e la creazione ri-schiando di far pensare l’opera di Dio sulla falsa-riga della produzione delle cose. Per cogliere il

La creazionedal nulla

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I verbi «dominare, custodire, conservare» che usaGenesi indicano il senso dell’agire umano. egli èil custode del giardino, lo deve coltivare promuo-vendone la crescita, arricchendolo senza snaturar-lo. Si colloca qui il grande tema del rapporto tranatura e cultura che appartiene al concetto stessodi creazione e anche l’altro tema della libertà chesi presta a molteplici «ambiguità» quando l’uomova oltre quei limiti che comunque non è facile de-limitare. Parlare di creazione, quindi, non è solosvolgere una riflessione di tipo «protologico» marecuperare insieme l’azione di Dio e quella del-l’uomo visto che la prima si apre alla seconda eviceversa. Il rapporto tra Dio, il cosmo e l’uomo ci riporta altema dell’alleanza. La dipendenza dell’uomo daDio e i limiti della sua libertà trovano uno spaziodi comprensione nuova nella chiamata dell’uomoad entrare in relazione e in alleanza con Dio.chiamato fin dall’inizio ad essere in relazione colsuo creatore l’uomo realizza questo rapportoquando risponde alla chiamata di Dio. Questa re-lazione è il fondamento di ogni altra relazione,compresa quella con la natura ed è la base dell’a-gire stesso dell’uomo nei confronti del creato3. I vangeli fanno più volte notare che tutte le cosecreate sono buone (Mt 7,14-23) anzi il creatostesso è epifania della bontà di Dio (Mc 12,24-27). Il nodo sta nel fatto che il mondo è il luogodella libertà e delle scelte umane e queste non so-lo si sono sviluppate contro l’uomo stesso ma an-che contro la creazione (Rom 8,19-23). La crea-zione ci appare segnata dal male e dal peccato maquesto non è né la prima né l’ultima parola. ciòche è originario non è il peccato dell’uomo ma

Giampaolo Dianin

Dominare e custodire

Alleanza

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viene dopo di me era prima di me» (Gv 1,15).L’incarnazione fa parte integrante dell’atto crea-tore perché Dio creando ha già davanti a sé lachiamata rivolta a ciascuno di noi di diventare fi-gli nel Figlio.al centro del cosmo sta quindi la Pasqua di Gesùnon solo come remissione dei peccati ma anchecome verità e vita del mondo e dell’uomo. Tuttala realtà è raggiunta dall’evento pasquale e il me-diatore della salvezza è anche mediatore dellacreazione2. Il creato è la grammatica grazie allaquale Dio scrive la pagina centrale dell’intera co-smologia come della storia umana che è l’incar-nazione del Figlio e la nostra predestinazione adessere figli nel Figlio.

Un terzo passaggio ci porta a guardare alla crea-zione come al luogo dell’agire libero dell’uomoche, fin dall’inizio, si esprime anche come prete-sa di autonomia e rifiuto di Dio. Dio non è il re-sponsabile del male presente nel mondo, affermala Bibbia, ma lo è l’uomo che usa male della sualibertà e del fatto di essere stato creato di poco in-feriore a Dio. Ma se questo è il risultato reale del-le scelte dell’uomo, la volontà di Dio aveva ed haben altri obiettivi per l’agire dell’uomo.Il concetto di creazione ci fa guardare al mondocome ad un sistema aperto a sempre nuove realiz-zazioni affidate all’uomo da Dio stesso. L’attocreatore contiene il rinvio alla responsabilità del-l’uomo chiamato, in quanto partner di Dio, a svi-luppare la realtà della natura e del cosmo che ri-mangono aperti a sempre nuove evoluzioni. Ilcreato è possibilità aperta affidata alla responsa-bilità dell’uomo.

c. La creazionecome luogodell’agire dell’uomo

2 F.G. BRaMBILLa, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia2005, pp. 299-300.

3 G. PIana, L’agire morale tra ricerca di senso e definizione nor-mativa, cittadella, assisi 2001, pp. 146-151

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tica che rimane costantemente presente in tuttoquesto è quella tra il già e il non ancora, cioè l’o-rizzonte escatologico. L’atteggiamento del cre-dente verso le realtà secolari, afferma ancoraBonhöffer, è quello della responsabilità che signi-fica rispondere di qualcosa a qualcuno, in questocaso al dono di Dio, alla chiamata ad entrare inrelazione con lui e poi con la stessa realtà creataper abitarla, coltivarla, svilupparla e realizzarnele innumerevoli potenzialità. La laicità quindi si qualifica soprattutto come unmetodo, un modo di guardare e vivere la realtàche ci riguarda tutti come persone a prescinderedalla scelta di vita che uno ha scelto. ogni prete econsacrato è chiamato in questo senso ad esserelaico come ogni laico è chiamato ad essere sacer-dote, cioè ponte tra il cielo e la terra a partire dal-la propria vita. La fede cristiana è radicalmentelaicale e senza questa dimensione essa rischia ditrasformarsi in un fattore di evasione e la chiesasi troverebbe emarginata dai luoghi della vita,delle persone e della società.

2. Con gli occhi del Figlio

Leggendo i vangeli possiamo riconoscere cheGesù vive un atteggiamento di grande positività epace nei confronti della creazione. Tutta la suapredicazione è intrisa di simbologia terrena. Pernarrare la storia del Regno ricorre alle figure delfico, del granello di senapa, al lievito e alla figuradel pastore, alla zizzania e al grano buono, ai gi-gli e alla chioccia. Gesù mangia e beve senza far-si troppi problemi e nella sua esistenza ci apparecome profondamente amante della terra pur es-sendone altrettanto libero.cosa significa abitare il mondo con gli occhi del-la fede? Il pensiero corre alle parole di Gesù:

Giampaolo Dianin

Laicità

Gesù usa molteimmagini terrene

Con gli occhidella fede

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l’amore di Dio per l’uomo che crea il mondo el’uomo per proporre un’alleanza ed entrare in co-munione con lui. Ma in questo stesso atto d’amo-re è inscritta la possibilità di una risposta negativada parte dell’uomo.

Per la nostra riflessioneGuardare alla terra e alla creazione da credenti cichiede anzitutto di riconoscerne il carattere «se-colare», il suo costituire cioè un ordine di cose di-stinte da Dio e penultime. nello stesso tempo ilfatto che la creazione abbia in cristo il suo princi-pio e il suo compimento ce ne fa cogliere la rile-vanza in ordine alla nostra esistenza di credenti. Ilsuo essere poi realtà aperta e affidata alla respon-sabilità dell’uomo ci provoca a interrogarci sulnostro agire. Possiamo parlare anche per il pretedi una dimensione «laicale» che caratterizza lasua esistenza in quanto membro della famigliaumana e cittadino di questa terra. Scrive Bonhöffer: «In cristo la realtà di Dio è en-trata dentro la realtà del mondo, così non esisteelemento cristiano se non nel mondano, non esi-ste soprannaturale se non nel naturale, non esistesacro se non nel profano, non esiste alcunché diconforme alla rivelazione se non nel razionale»4.Si tratta, afferma il teologo luterano, non di nega-re la distinzione tra Dio e il mondo, fra la grazia ela natura, ma di imparare a vivere «mondanamen-te» abitando le realtà secolari (l’ambiente natura-le, il lavoro, la politica, l’economia…) con tuttele sue leggi e dinamiche, certi che ogni realtà puòdiventare luogo di incontro col Signore; non èquestione di ridurre la fede ad una dimensioneorizzontale ma di ripensare al grande mistero del-la creazione alla luce dell’incarnazione. La dialet-

Il carattere«secolare»della creazione

Riscoprire il «mondano»

4 D. BonhöFFeR, Etica, Queriniana, Brescia 1995, p. 38.

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mondo? I modi con cui Dio nutre e veste ognunodi noi rimangono in parte misteriosi e anche quisi colloca l’esperienza della fede come fiducianella provvidenza del Signore per le sue amatecreature. Il credente è anche colui che «proclamale cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»(Sal 78,2), che crede che Dio continua a nutrire evestire ciò che ha creato. «che cos’è l’uomo per-ché te ne curi, un figlio d’uomo perchè tu lo visi-ti?» (Sal 8). Dio non è solo madre che genera macontinua la sua opera nel custodire e prendersicura della creazione e dell’uomo.Un altro aspetto merita di essere sottolineato del-le parole di Gesù: «Di tutte queste cose si occu-pano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sache ne avete bisogno. cercate prima il Regno e lasua giustizia, e tutte queste cose vi saranno datein aggiunta» (Mt 6,32-33). I pagani, ma tra loropotrebbero esserci anche molti cristiani, si inte-ressano del mondo occupandolo e sfruttandoloperché possa dare tutto quello che può all’uomo.Il credente vive con libertà, leggerezza e fiduciasenza che questo stile diventi passività o abban-dono ingenuo alla provvidenza. cercare prima lagiustizia significa agire con quella sapienza di chiha colto il senso della vita e le priorità dell’esi-stenza.

Per la nostra riflessioneLo sguardo di Gesù, il suo invito a fidarsi dellaprovvidenza e a non essere come i pagani provo-cano anche noi preti a interrogarci sul nostro rap-porto con le cose materiali. La povertà del preteha delle caratteristiche che la distinguono daquella dei religiosi. Un prete vive nel mondo, abi-ta una casa, ha bisogno di un mezzo di trasporto,deve prendersi cura di se stesso, del cibo e delvestito. Possiamo abitare questa terra con l’ansia di chi si

Giampaolo Dianin

Pagani o cristiani?

La fiducia nellaprovvidenza

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«non preoccupatevi per la vostra vita, di quelloche mangerete o berrete; né per il vostro corpo, diquello che indosserete; la vita non vale forse piùdel cibo e il corpo più del vestito? Guardate gliuccelli del cielo, non seminano e non mietono, néraccolgono nei granai, eppure il Padre vostro ce-leste li nutre […] osservate come crescono i giglidel campo: non faticano e non filano» (Mt 6,25-27). Guardare alla terra con gli occhi di Gesù ècertamente la prospettiva che anche il cristiano èchiamato a far propria.Gesù invita anzitutto a guardare e osservare. an-che nel momento della creazione, dopo la Parolae l’accadere della creazione, Dio posa il suosguardo sulle cose create e ne riconosce la bellez-za e bontà. Il creato non è una mera materialitàma un organismo vivo, bello e buono. Il nostroprimo modo di vivere il mondo da credenti èguardarlo e saperci meravigliare. Lo sguardo delcredente è quello del bambino per il quale nulla èscontato ma che scopre le esperienze fondamen-tali della vita e le vive come coinvolgenti e sem-pre nuove. La meraviglia genera gratitudine e ildesiderio di lodare e di benedire. Prima di ogniriflessione e domanda e prima di ogni azione del-l’uomo il creato è dono da ammirare e di cui co-gliere tutta la preziosità. Gesù afferma poi che il Padre nutre gli uccelli eveste i gigli del campo al punto che neanche Sa-lomone vestiva come loro. Lo stupore genera ladomanda e questa porta al creatore che nutre eveste la sua opera con amorevole cura donando atutto bellezza e bontà. Il mondo non è solo un do-no ma un dono del Padre celeste che cura e nutre.I due verbi usati, nutrire e vestire, mettono l’ac-cento su aspetti essenziali per la vita e per la di-gnità di ogni essere vivente. Quante volte, difronte al dolore e alla malattia, arriviamo ad ac-cusare Dio che «permetterebbe» tanto male nel

Guardare e osservare

Nutrire e vestire

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La prima relazione è quella tra l’uomo e la donna.«non è bene che l’uomo sia solo» è affermazioneche riguarda tutti, anche coloro che per vocazionescelgono la via del celibato. L’uomo non può vi-vere senza relazioni e Dio stesso vuole romperequesta solitudine e dargli un aiuto simile. Il termi-ne «aiuto» esprime qualcosa di indispensabile persuperare la solitudine, qualcosa di cui non si puòfare a meno e la relazione non è esperienza opzio-nale. La donna non sarà una specie di assistentedell’uomo ma la forza e l’appoggio di cui non po-trà fare a meno. Il termine «simile» dice non solocomplementarietà o somiglianza ma esprime alte-rità e quindi reciprocità. Possiamo tradurre questeparole in diversi modi: «aiuto simile» dice parità eaffinità; «aiuto che gli stia davanti» dice confron-to e riconoscimento; «aiuto contro» dice diversitàe conflittualità; «aiuto adeguato» dice qualcosache solo il tempo permetterà di scoprire in tutta lasua pienezza. Dio così si mette all’opera in maniera quasi inge-nua. Perché non plasma subito la donna? Perchéforma prima le altre creature? Dio è un abile pe-dagogo: fa in modo che adamo arrivi da solo ascoprire il valore della donna rispetto a tutto il re-sto. non basta che Dio desideri il bene dell’uomo,è importante che anche l’uomo prenda coscienzache questo è il suo bene. e così Dio accompagnalentamente adamo a diventare consapevole diquesto. Gli fa dare il nome a tutti gli esseri viven-ti, in modo che capisca di essere signore del crea-to, ma nessun essere della natura risponde alle sueattese. adamo sperimenta la delusione («nontrovò un aiuto che gli fosse simile») e solo graziea questa frustrazione riesce ad apprezzare la don-na che, a questo punto, non può più essere confu-sa con gli altri esseri di cui si sente signore. Il tor-pore di adamo è un sonno speciale connesso alleazioni straordinarie di Dio. adamo rimane passi-

Giampaolo Dianin

a. La relazioneuomo donna

La pedagogiadi Dio

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preoccupa del futuro a tal punto da accumularecose e beni in abbondanza. Possiamo coltivareuna sobrietà che senza diventare sciatteria e catti-vo gusto protegga e salvaguardi la dignità dell’e-sistenza e anche quella bellezza che sta alla basedi una giusta relazione con se stessi e con gli al-tri. Possiamo certamente coltivare la libertà dallecose nella consapevolezza di ciò che rimane prio-ritario per chi ha abbracciato la causa del regno. La fede richiama l’esperienza della fiducia ed èdifficile che chi non ha fiducia nella provvidenzae nel fatto che Dio si occupa di noi, possa poi vi-vere un vero abbandono fiducioso e un’autenticaesperienza di fede. verificarci sul nostro rapportocon le cose materiali è un percorso importanteanche per capire quanto noi siamo uomini di fedee di Dio. come non riconoscere in noi alcunetracce di paganesimo?

3. Dentro una trama di relazioni

Se noi leggiamo i racconti che descrivono quellache è stata chiamata l’esperienza dell’eden pos-siamo notare un aspetto fondamentale che sono lerelazioni: anzitutto quella con Dio, perché l’uo-mo viene creato a immagine e somiglianza diDio; poi quella tra l’uomo e la donna segnata dal-la ricerca di un «aiuto simile» e infine quella colcreato che Dio affida all’uomo perché lo custodi-sca. Sono le relazioni fondamentali dell’uomoche subito appaiono anche segnate dall’esperien-za del peccato la quale chiama in gioco un’altrafondamentale relazione: quella dell’uomo con sestesso. Le relazioni sono essenziali, rappresenta-no la gioia ma anche la fatica della vita. Già ab-biamo toccato la relazione con Dio cercando diguardare le cose con gli occhi del Figlio, ora cisoffermiamo sulle altre.

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La seconda relazione è quella con il mondo e lanatura. Le prospettive dei due racconti dellacreazione si completano a vicenda. L’uomo, inGenesi 1,1-2,4, è l’apice e il coronamento dellacreazione; è «signore» della casa che per lui èstata preparata. egli è signore ma rimane un es-sere creato, non è dunque né un Dio né un og-getto. L’uomo è creatura di Dio, partecipa delsoffio vitale che Dio stesso gli comunica. La suaesistenza e la sua felicità dipendono dal ricono-scere per se stesso la condizione di creatura. Ilmomento della creazione dell’uomo è solenne,preceduto da una decisione da parte di Dio. Lagrandezza dell’uomo sta nell’essere «immaginee somiglianza» di Dio e, come tale, egli parteci-pa della signoria di Dio. La somiglianza con Diosi manifesta anche nella partecipazione alla for-za creativa di Dio, espressa in forma solenne nelcomando di abitare la terra e di procreare. L’uo-mo e la donna dovranno continuare l’opera crea-trice di Dio e il testo biblico esprime il sensodell’attività umana. «Dio li benedisse e disse lo-ro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite laterra; soggiogatela e dominate sui pesci del ma-re e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vi-vente, che striscia sulla terra”». Il lavoro del-l’uomo, che è imitazione dell’opera di Dio, èdefinito come un dominare, soggiogare e riem-pire (Gen 1,28). Secondo Genesi 2 l’uomo non è posto nel mondocome spettatore, perché il mondo non è ancora unarealtà compiuta (Gen 2,4-6). Lavorare non è un ca-stigo ma un portare a compimento l’opera di Dio.Sappiamo che nel mondo greco il lavoro manualeera degli schiavi mentre nella Bibbia il lavoro ma-nuale riceve la sua dignità da un esplicito comandodi Dio che viene, egli stesso, descritto come unagricoltore, un vasaio, un pastore. coltivare e cu-stodire ricorda anche che l’uomo non ha un potere

Giampaolo Dianin

b. La relazione con il mondoe la natura

Il lavoro

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Abita la terra e vivi con fede22

vo ed estraneo all’azione di Dio; non è lui a fab-bricarsi la donna a propria misura o secondo i pro-pri desideri. non gli è dato nemmeno di vedereDio all’opera; quella creatura è veramente altro dasé, non sarà mai sua proprietà anzi gli resterà sem-pre un po’ misteriosa.Una certa tradizione ebraica ha visto nel riferi-mento alla costola una sottolineatura dell’inferio-rità della donna. Il termine sela non dice, però,che la donna sia un pezzo dell’uomo come se eglifosse stato diviso in due metà che poi si devonoricongiungere, ma indica che la donna è fatta dellastessa materia dell’uomo, entrambi hanno la stes-sa natura, hanno in comune la stessa vita e se lapossono donare. Si tratta, quindi, di un forte mes-saggio di parità. Dio, poi, rinchiude la carne la suoposto e l’uomo rimane mancante di qualcosa e, daquel momento, desideroso e pieno di nostalgia perl’altra. L’immagine suggerisce l’ineluttabilità e laforza dell’attrazione uomo-donna.Dopo aver plasmato la donna, Dio stesso la con-duce all’uomo per evidenziare ancora il dono. Iltesto biblico va oltre la logica della conquista edella seduzione per ricordare che l’altro rimanedono di Dio e che amare è accogliere questo do-no. a questo punto adamo esce dalla sua solitudi-ne e prende la parola per entrare in dialogo con ladonna. La prima parola che l’uomo pronuncia nel-la Bibbia è dedicata a lei; potremmo dire che è laprima dichiarazione d’amore, il riconoscimentoche l’altra appartiene alla stessa realtà creaturale,è di fronte ed è anche diversa. Questa diversità ap-pare subito nell’esperienza della corporeità. Diquesto primo incontro tra un uomo e una donna,come di tutti quelli della storia dell’umanità, Diorimane regista e insieme testimone silenzioso5.

La parità

L’incontro

5 G. DIanIn, Matrimonio, sessualità, fecondità. Corso di moralefamiliare, eMP, Padova 20082, pp. 153-158.

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La terza relazione è quella con se stessi, con l’es-sere creati a immagine e somiglianza di Dio maanche col fatto di essere segnati dalla fragilità edal peccato. Secondo alcuni esegeti Genesi3,1-24 è il testo da cui si dovrebbe partire perleggere l’intero quadro della creazione6. Da unaparte, infatti, l’autore biblico prende atto della si-tuazione di divisione che l’uomo vive e che vieneraccontata nel capitolo terzo, dall’altra c’è il so-gno di Dio descritto nei racconti dei primi duecapitoli e che il peccato dell’uomo ha infrantosenza comunque distruggere. Il passaggio dall’i-deale alla realtà è legato a una scelta dell’uomo.Genesi 3 è il racconto del peccato e della rovinadel progetto di Dio. Tra l’uomo e la donna si in-tromette il serpente, un estraneo che stravolge larealtà dei fatti e delle cose. La creatura vede, siconvince, prende, mangia, coinvolge il partner. Siaprono i loro occhi e hanno la visione realisticadella propria condizione, una volta rotti i contatticon Dio.Il peccato assume i tratti della disobbedienza,della superbia e arroganza dell’uomo che non ac-cetta di rimanere nel suo posto di creatura. nasceun sentimento di paura mai provato prima e il bi-sogno di nascondersi. Dio cerca l’uomo e tenta difargli prendere coscienza della sua realtà. adamotenta di scaricare la responsabilità dell’accadutosu Dio, ma Dio lo riporta alla sua responsabilità.anche tra adamo ed eva la relazione si deturpa:la nudità fa problema, hanno bisogno di coprirsi,si accusano reciprocamente. Il castigo sottolinea la condizione reale dell’uo-mo, così come tutti la sperimentano. Il compito dicoltivare la terra diventa fatica e tribolazione, e

Giampaolo Dianin

c. La relazionecon se stessi

Il peccato

La condizionereale dell’uomo

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Abita la terra e vivi con fede22

arbitrario e dispotico. Il contadino non sfrutta solola terra, ma la custodisce e protegge. Il lavoro è segno della grandezza dell’uomo per-ché è dominando la terra che l’uomo dimostra diessere il «vice gerente» di Dio. Inoltre con il la-voro l’uomo porta a maturazione se stesso cosic-ché il lavoro non solo è un segno dell’esserecreato a immagine di Dio ma anche mezzo la rea-lizza. Poiché realizza alcune caratteristiche del-l’uomo, il lavoro è anche fonte di gioia. Il lavoroquindi non è solo una necessità, ma diventa an-che un dovere religioso e una obbedienza a Dio.nell’attività creatrice dell’uomo, Dio introduceun calmiere, il sabato, che gli fa ricordare la suacondizione di creatura e il primato della relazionecon Dio. Il sabato è il tempo del riposo, della fe-sta, della gratuità, del gioco, che pure sono di-mensioni fondamentali dell’esperienza umana.Per Israele il sabato è memoria della liberazione,segno della consacrazione del popolo a Dio, ri-chiamo del riposo della creazione e anticipo esca-tologico. Il sabato diventa così una realtà da di-fendere contro la mentalità dei ricchi che nonhanno tempo da perdere perché devono sempreguadagnare e contro la legge che ne fa un doveree non un dono e una gioia.Gesù assume e porta a compimento la visioneebraica del riposo non senza qualche polemicaperché non si va contro Dio quando si cerca il be-ne dell’uomo. Gesù entra in contrasto con i fari-sei in nome della libertà cristiana e del primatodell’uomo («Il sabato è per l’uomo… Il Figliodell’uomo è Signore del sabato», Mc 2,27-28).Per Gesù non è questione solo di adattamenti nédi eccezioni, ma è il principio che va cambiato, èil modo di porsi di fronte ad una legge. Per Gesùla signoria di Dio si manifesta nella salvezza del-l’uomo. con i suoi gesti e le sue parole Gesù nonviola il sabato ma lo compie.

Il sabato

6 G. caPPeLLeTTo, Genesi (capitoli 1-11), eMP, Padova 2000, pp.121-136.

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potrebbe essere abbastanza facile vivere, in altrimomenti più faticosi può trasformarsi in una ve-ra croce. Portiamo un tesoro in vasi di creta esiamo consapevoli che la questione affettiva esessuale rimane sempre aperta nella vita di ognipersona, anche di quella consacrata. Il contestosociale rende oggi molto più facili gli incontri e icontatti e chiede molta più saggezza e anche unabuona dose di ascetica. Ma non possiamo affron-tare questo tema solo guardando i possibili ri-schi, perché la relazione con l’universo femmini-le è una grande e ineludubile opportunità chepuò aiutare il prete, diventare un importante luo-go di confronto e un decisivo luogo di ulterioreumanizzazione. La seconda relazione ci porta a riflettere sul la-voro. Quella del prete, si dice, è una missione enoi sappiamo bene che non è un lavoro a ore.non facciamo i preti ma siamo preti e lo siamosempre e in ogni luogo e tempo. Ma la nostra èanche una vita di lavoro che fa i conti con alcunequestioni importanti: la competenza, la profes-sionalità, la dedizione e l’attenzione doverosaagli spazi di riposo. anche noi preti a volte vi-viamo male il lavoro, come un dovere necessa-rio, come fatica, come costante conflittualità e locontrapponiamo al tempo libero dove invecepossiamo essere noi stessi. Il lavoro, ci insegnala Scrittura, non è un castigo ma un segno dellagrandezza dell’uomo a cui Dio ha affidato la ter-ra. È imitazione di Dio come l’amore, anche sespesso è pesantezza e al suo interno si annidano igermi della conflittualità, dell’ingiustizia, del-l’oppressione. Il lavoro non è tempo tolto allamia vita, ma è tempo della mia vita, luogo in cuiinvesto le mie capacità, la mia competenza eprofessionalità. col mio lavoro io rendo un ser-vizio agli altri e costruisco questa terra che il Si-gnore ci ha affidato perché la abitiamo.

Giampaolo Dianin

b. La relazionecon il lavoro

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Abita la terra e vivi con fede22

quello di trasmettere la vita diventa fonte di ten-sione e di dolore. Il peccato si è insinuato nellefibre più profonde dell’uomo e dei suoi rapporti,compreso quello con il creato. Il progetto di Dioresta intatto, tuttavia il peccato ha introdotto nellavita tendenze che la turbano e la minacciano.Sembra quasi una legge del contrappasso: l’uomoha rifiutato la sovranità di Dio e diventa schiavodelle cose e dei suoi bisogni. La fatica è segno diun disordine e di una rivolta. La vita diventa an-che lotta, noia, fatica, monotonia e il lavoro pre-sta il fianco anche all’egoismo, alla violenza, allaribellione. Ma Dio non abbandona la sua creatura e gli pro-cura delle tuniche di pelle. Il commento è amaro:l’uomo ha voluto diventare Dio e alla fine ha fat-to del male a se stesso, per questo non c’è più po-sto per lui nel guardino in eden. Il seguito dellastoria è il dipanarsi delle conseguenze del pecca-to e dell’azione di recupero da parte di Dio, cheaveva promesso il Salvatore (Gen 3,15) e preparala sua venuta.

Per la nostra riflessione La prima relazione che abbiamo analizzato,quella tra uomo e donna, provoca ogni essereumano perché anche per gli sposati la relazionecon l’altro sesso non si riduce a quella col pro-prio partner. e anche per un prete la relazionecon la donna è importante per la propria vita.non è un tema semplice da trattare perché lascelta celibataria se da una parte apre la possibi-lità di vivere una enorme ricchezza di relazioni,dall’altra chiede al prete di vivere la libertà daogni forma di esclusività. L’equilibrio non è faci-le e chiama in gioco la nostra appartenenza al Si-gnore, la maturità umana, la capacità di vivererelazioni autentiche ma anche di saper abitare lasolitudine. ciò che in certi momenti della vita

a. La relazionetra il prete e la donna

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L’esodo “biblico” è percepito nella coscienza de-gli ebrei ed è narrato nelle Scritture come eventodi liberazione e fondativo del “popolo di Dio”.Liberazione dalla situazione sub-umana di schia-vitù per una libertà che l’uomo è chiamato a ge-stire e a riempire: liberato e libero di scegliere…per servire Dio in piena libertà.Rimane paradigma per molti esodi “esistenziali”di popoli che escono dalla propria terra nativa,costretti dalla fame/carestia/sottonutrizione o dal-le dittature che espellono o dalle catastrofi natu-rali dai terremoti/vulcani/alluvioni. e paradigmaanche per l’esodo di ogni essere umano, pretecompreso: tempo lungo e cammino tribolato, se-gnato da paure, rabbia, rassegnazione; dramma disofferenza… e di speranza, di pericoli e di nostal-gia dei tempi passati.

a. Uscita dall’Egitto: il popolo, da oppresso da-gli egiziani a liberato per mano di Dio sottola guida di Mosé; dopo il passaggio del Maresale a Dio il cantico di Mosè, ripreso dalla so-rella Miriam e da tutte le donne; tutto il popo-lo acclama: «Il Signore regni in eterno».

b. Abitare nel deserto: è Dio che risponde allenecessità del popolo: acqua, cibo, protezionee vittoria sui nemici.

celestino corsato

L’esodo biblicoparadigma esistenziale

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Abita la terra e vivi con fede22

Il giardino dell’eden ci chiede anche di soffer-marci sul tema del limite, della fragilità e del pec-cato. La condizione umana, e anche quella delprete, è segnata dalla costante tentazione di allon-tanarsi da Dio e di seguire altre strade. Possiamoanche noi preti abitare la terra, le relazioni e ilnostro lavoro non con lo stile della creatura, macon l’arroganza di sentirci noi il centro di tutto.Sarebbe fuori luogo se noi dimenticassimo questapagina della Scrittura che la vita di ogni giornonon smette di ricordarci. al termine di questo percorso tornano alla mentele parole del testamento di Paolo vI che nonsmettono mai di commuoverci e di farci gustarela dignità e grandezza di questa esperienza terre-na che il Signore ci ha donato di vivere. ScrivePapa Montini: «chiudo gli occhi su questa terra,dolorosa, drammatica e magnifica, chiamandoancora una volta su di essa la divina bontà». ec-colo lo sguardo del credente nell’abitare questaterra dolorosa, drammatica e magnifica.

c. La relazionecon il limite

Abitare nel deserto

di don Celestino Corsato

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buire a mostrare al mondo la grandezza e losplendore dei dominatori. Gli ostacoli e le oppo-sizioni si moltiplicano sulla via dell’esodo e dellalibertà: il faraone si oppone e impedisce di parti-re, il popolo perde la fiducia in una rapida libera-zione, Mosè stesso è contestato e preso dallosconforto.In terra di potentati e dominatori che schiavizza-no, gli ebrei gridano a colui che è «il Signore», equesti presta il suo ascolto: «ho udito il gri-do……». È un Dio che non solo ha orecchieaperte, ma si coinvolge, sta dalla parte degli op-pressi, si mostra compassionevole: vuole cambia-re le amarezze di coloro che sono sfigurati nellaloro umanità, portandoli alla libertà: «chi seminanel pianto, mieterà con giubilo»; «venite a me voitutti che siete affaticati… e io vi darò ristoro».

non è infrequente trovarsi dentro situazioni nonvolute, segnate da costrizioni o da contingenzedolorose, che comportano ferite, limiti, assurdità.La sofferenza prende il sopravvento. L’esistenzaentra in un “travaglio” che non sembra avere esitipositivi, come avviene nel parto. anche le difeseinteriori di reattività si squagliano. non ci si ri-bella più. Si è persa la dignità. Si vede nero per ilfuturo. Si subisce. Le erbe amare non sono finite:le lacrime, comprese quelle del “prossimo” e delpopolo, accompagnano la quotidianità.Vivere con fede significa leggere le situazioni al-la luce della rivelazione, della Scrittura, dove an-che il negativo diventa, ad es. nella crocifissione,un elemento prezioso di salvezza perché esso èabitato dall’amore di cristo. ed è la carità chenobilita e rende altamente qualificata la lentaagonia, alla quale è stato sottoposto MassimilianoKolbe ad auschwitz.Le erbe amare richiamano a un impegno di rifles-sione, di cambiamento interiore, di riscoperta del-

celestino corsato

“Gridare” a Dio

Vivere con fedein terra ostile

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Abita la terra e vivi con fede22

c. Il monte Sinai: il roveto ardente (Es 19), il de-calogo dell’alleanza (Es 20-23), istruzioni percostruire il santuario (Es 25-31), il vitello d’o-ro (Es 32-34), costruzione del santuario (Es35-40).

San Paolo si impegna a dimenticare il passato(uscire dalle proprie sicurezze ancorate alle tradi-zioni passate), per correre verso la meta futura.

1. La terra delle erbe amare

all’origine, la terra d’egitto fu desiderata dagliebrei – segnati da fame e carestia – come luogodi sopravvivenza, dove entrare da stranieri e ac-camparvisi per lavorare; anzi per vivere poi nellaprosperità di una terra di «vacche grasse»; fu per-cepita come terra benedetta, una protezione delSignore. Il figlio di Giacobbe, Giuseppe, vendutodai fratelli ai mercanti, diventa, dopo varie peri-pezie, “provvidenza” proprio per la famiglia tri-bale-patriarcale, che abitava precedentementeuna terra divenuta improduttiva.nel tempo, a partire dal tornante di un nuovo fa-raone che non conosceva Giuseppe, l’egitto è di-ventato terra di amarezze, di lacrime, di oppres-sione. a che prezzo si deve conquistare il panequotidiano per sé e per la famiglia! non solo colsudore della fronte, ma anche subendo le umilia-zioni proprie di chi è ridotto in schiavitù. La terraospitale si è trasformata, per volontà del potere,in terra ostile: gli ebrei sono trattati solo comemanodopera, braccia a servizio della potenza egi-ziana; considerati un pericolo a motivo della cre-scita di numero; nemici potenziali in terra altrui,ma utili per impastare acqua e paglia e fabbricaremattoni col fango a ritmi forsennati e così contri-

Da terra provvidente a terra di amarezze

Da terra ospitale a terra ostile

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ta di difficoltà, mentre viene scambiata la terrapromessa con la terra di schiavitù che è l’egitto.Per un prete le cipolle sono il suo immobilismoculturale e spirituale, incapace di leggere e inter-pretare la storia presente e la modernità che ven-gono giudicate negativamente, non avendo fidu-cia in quello Spirito che, precedendo i nostri pas-si, semina ancora primavera, spinge in avanti, an-ticipa i traguardi. ancorato alle tradizioni del suopassato, non sa intravedere il positivo della sto-ria, non sa gettare l’àncora (amen) “in alto” fi-dandosi delle “promesse” di Dio, di quel Dio cheè di parola e sa mantenere fede-fedeltà a ciò cheha promesso. Maria ha creduto che si sarebberocompiute le parole divine. vale la pena fidarsi diDio, anche oggi, dove il cristo, che ha riconcilia-to a Dio tutta l’umanità, continua la sua opera disalvezza. Dio porta in avanti le sue alleanze,mantiene la parola data, spinge verso la nuovaterra promessa: «ascoltiamo la voce del Signore:egli ci guida alla terra promessa». In ascolto dellavoce del Signore per camminare secondo i pre-cetti che il Signore ci ha messi dinanzi.

3. La terra arida

Il popolo si trova a camminare da nomade, in undeserto che nasconde insidie. non può mai ag-grapparsi a un pezzo di terra arida per farne ungiardino: manca l’acqua; il sole fa terra bruciata;il deserto si allarga; non è possibile vivere da se-dentari. Se la terra d’egitto era divenuta inospita-le e ostile, la strada del deserto si presenta lungae piena di pericoli, travagliata e tribolata. La fugada una vita da schiavi rischia di approdare a unamorte certa. e per questo il popolo mormora ripe-tutamente, si scoraggia e s’arrabbia.

celestino corsato

Tentazione di immobilismoculturale e spirituale

Il deserto: terra di insidie

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Abita la terra e vivi con fede22

la dignità di ogni essere umano per denunciare lecause che permettono ad alcuni di ridurre l’uomoa pura macchina animale, a renderlo schiavo, atogliergli ogni progettualità, a impedirgli crescitae promozione umana nella libertà, a spegnergli ilfuturo. Il presbitero conosce la fragilità del suocorpo e del suo spirito, ma sa di poter contare sulgrido orante che giunge al cuore di Dio, sul vin-colo di amore che lo lega a colui che egli consi-dera il suo solo «Signore». cfr. il Magnificat.Sono sempre attuali le parole di Giobbe: «Se daDio accettiamo il bene, perché non dovremmoaccettare anche il male?».

2. La terra delle cipolle

Pur essendo stati affrancati dalla schiavitù, perintervento di Dio, con la restituzione di libertà edignità umana, gli ebrei divenuti popolo si stan-cano della fatica e responsabilità di gestire la li-bertà e sognano e implorano di ritornare al suoloegiziano, terra di cipolle “garantite”!È la nostalgia del passato (rassicurante), la pauradel presente (faticoso), la negazione del futuro(ignoto) [sindrome di Peter Pan, dei bamboccioni,di chi non vuole crescere]. Le cipolle, oggetto deldesiderio, garantiscono il ventre, che così diventaal centro dell’interesse, un idolo!: si restringe l’o-rizzonte ai valori economici, si percepisce il biso-gno corporale, ci si accontenta di soddisfare la fa-me, si resta in un orizzonte temporale e terreno,non ci si fida più di Dio (nonostante i moltepliciprodigi e interventi a favore). Si preferisce la con-dizione di sottomissione e di inferiorità umana allafatica e durezza del vivere nel deserto. ora, agliocchi del popolo di Israele, la terra delle erbe ama-re si trasforma in deserto con la sua strada lastrica-

Terra di cipollegarantite:nostalgia del passato,paura del presente,negazione del futuro

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na, e sarà raggiunto progressivamente (mai defi-nitivamente: «Secondo la promessa del Signore,noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova neiquali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, ca-rissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’es-sere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio,in pace. La magnanimità del Signore nostro giu-dicatela come salvezza»: 2Pt 3,13-14).

5. Passaggio: dalla schiavitù al servizio

L’esodo è passaggio pasquale: Dio “passa oltre”e non distrugge (come l’angelo); il popolo “passaattraverso” il mare e non viene distrutto, anzi su-pera l’impossibile; Dio e popolo “passano insie-me”, il primo per essere il Dio alleato, l’altro perdiventare il popolo di Dio.Pasqua/passaggio di liberazione e di libertà, eperciò di umanità: promossi a uomini liberi perservire liberamente Dio. La storia della salvezzaincrocia l’uomo e lo promuove, lo ricrea. Libera-to e libero, il popolo cresce gradualmente e impa-ra a servire il Dio unico, il vivente, nel culto(centrale è la pasqua) e nella alleanza, nel santua-rio e nella vita quotidiana, nel canto e nella fati-ca, sempre nel dialogo tra Dio e l’uomo. Israelecammina con un Dio che che ha posto la sua di-mora nella tenda (mobile) costruita in mezzo alletende del popolo. La casa della divinità è tra gliuomini. La presenza di Dio (la nube) è garantita aprotezione e guida del “suo” popolo, il quale ri-conosce il Signore come “suo” sovrano. È sem-pre dietro l’angolo la tentazione di farsi sedurreda altri idoli, dalla voce di altri “signori” e sovra-ni, che pretendono di essere unici e assoluti. (Maarriva il pentimento del popolo, che sperimenta ilperdono del Signore, che rinnova di continuo lasua alleanza).

celestino corsato

e del “promesso”

Vita pasquale

A “servizio”

Non farsi sedurre

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Abita la terra e vivi con fede22

Terra di tentazione e di peccati, di ribellione e dipresunzione, di arbitrio e di inganni: qui apparein tutta evidenza la voglia di idoli (vitello d’oro[simbolo di Baal], più visibile e più vicino) in so-stituzione del Dio vivente (troppo lontano e piùscomodo!), lo stato febbrile di un malcontentodiffuso per arrestare il cammino di libertà e perun ritorno alla terra ostile e schiavizzante, la pro-sperità economica come simbolo di potenza alter-nativa e rivale di Dio.eppure il deserto è anche terra di silenzioprofondo, di ascolto interiore, di rivelazione, diincontro con Dio, di Parola detta e di risposta at-tesa. Dio si comunica agli uomini come ad amici,alleati. Dio si stringe con vincoli di amore al po-polo liberato, diventa il suo Dio, che protegge,nutre e disseta (manna, quaglie, acqua dolce),guarisce e salva e perdona (il serpente di bronzo),accompagna (la nube luminosa… e ristoratrice;arca della legge e dell’alleanza). Il popolo diven-ta un interlocutore con cui dialogare, stringere al-leanza…

4. La terra promessa

Una meta lunga 40 anni (stagione di una vita!),tra speranza e miraggio, tra desiderio precoce efrustrazione. Gli ebrei si mostrano impazienti diarrivare, ma devono “attendere” come la seminadell’agricoltore, come la gestazione di una parto-riente, come l’amore che non brucia le tappe… ele ali!: pazienza, gradualità, perseveranza. Si vaverso una terra «dove scorrono latte e miele» (Es3), e perciò con uno sguardo lungimirante di spe-ranza e di operosità. È il fine che sostiene le fati-che. ed esso è sempre al di là dei traguardi rag-giunti, delle tappe intermedie, delle conquiste pe-nultime. Il fine rimane “promesso”: ci si avvici-

Il deserto: terra di incontro con Dio

Terra promessa

Terra delle promesse

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dersi quotidianamente per l’alleanza, a non la-sciare indietro nessuno. Una voce, quella di Dio,che ci viene dalle Scritture e dalle circostanzequotidiane della storia in cui si nascondono gliappelli del Signore alla conversione e alla carità.Egli ci guida alla terra promessa: rimane Lui il“pastore supremo” che guida il “suo” popolo conla nube luminosa… «non con la spada conquista-rono la terra, né fu il loro braccio a salvarli, ma iltuo braccio e la tua destra» (Sal 43). Sei tu che cisalvi, Signore: celebriamo il tuo nome per sem-pre.Grandi cose ha compiuto e compie il Signore(cf. il Magnificat): “ricordare” il passato (il Si-gnore “ha compiuto”); “riconoscere” la presenzadel Signore (anche oggi, “compie”: memoriale).La notte dell’esodo: della crisi, della stanchezza,della sfiducia, del sonno, del male; ma anche del-la liberazione (con i fianchi cinti…).«nell’esodo pasquale (Tu, o Signore) affrontastiil nemico, per liberare gli uomini»: un combat-tente che ha vinto – per noi – sia il peccato che lamorte per “far passare” da morte a vita chi speranel suo nome, chi attende con la lampada accesala sua venuta per le nozze eterne.

celestino corsato

Il Signore ci guida

Grandi cose“compie” oggi

La notte

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ogni scelta parte dalla condizione previa di li-bertà: ogni giorno chiamati a scegliere in libertàdi seguire i passi “dietro” a Gesù, “da” liberati esalvati e perdonati, da discepoli e ministri delvangelo (in virtù della grazia ricevuta), da apo-stoli di carità e compassione (a immagine diDio), da preti della comunità e per la comunità (ilSignore ha loro affidato la “sua” famiglia), da fe-deli e coerenti alla legge dell’alleanza, da servito-ri e presidenti nell’azione liturgica di tutto il po-polo di Dio. contando su Dio, compagno di viag-gio attraverso tutte le tappe di terra (ostile, stra-niera, schiavizzante; arida) e di mare (insormon-tabile e nemico). chiamati, non a dominare ma aservire Dio e il popolo: «Pascete il gregge di Dioche vi è affidato, sorvegliandolo non perché co-stretti ma volentieri, come piace a Dio; non pervergognoso interesse, ma con animo generoso;non come padroni delle persone a voi affidate,ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,2-3).anche il prete è in continuo movimento, peregri-nando assieme e accanto alle persone, per condi-viderne le consolazioni e le tribolazioni, le spe-ranze e le angosce. In situazione di precarietà e diinsicurezza, la storia procede con la presenza diDio («sarò con voi fino alla fine») continuamente“trasportata” [la tenda; l’arca] là dove portano ipassi del popolo e dell’uomo. anche Dio si fa no-made nel deserto, peregrinante “con il popolo”fino alla meta («Sarò con voi tutti i giorni fino al-la fine…»). come il prete: in cammino con la co-munità, e a servizio di essa orientando alla patriadefinitiva. Fin d’ora ben stabili («amen»), se siconfida nel Signore.

ascoltiamo la voce del Signore: in ascolto, “in-sieme” (prete e comunità), di Dio che parla invi-tando ad avanzare con lo sguardo fisso in avanti(orizzonte di speranza e di progettualità), a deci-

Seguire i passidi Gesù

Servire Dio e il popolo

Nomadi e peregrinanticon il popolo

In ascolto delSignore

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1. Erediteranno la terra

Una delle sofferenze che ascolto con più pena è lasofferenza per le ‘ingiustizie’ nella spartizionedell’eredità. Ricordo una signora che si è arrab-biata con me, tanto tempo fa. aveva seguito i ge-nitori anziani, se n’era presa carico quasi da sola.Gli ultimi anni erano stati particolarmente duri.alla morte della madre suo fratello aveva ricevutouna porzione di terra e di casa ‘ingiusta’. I dettaglinon li ricordo, anche perché le persone che soffro-no molto non raccontano solo i fatti, ma anche leloro interpretazioni. «vedo che si è sentita trattataingiustamente», le ho detto dopo che si era sfoga-ta. Lei si è alzata arrabbiata: «non sono io che mison sentita trattare ingiustamente. Lui è stato dav-vero ingiusto». Io non sono un esperto di eredità: a me l’eredità èarrivata in modo assolutamente gratuito e immeri-tato; non ho contribuito per niente al bene econo-mico della mia famiglia, che anzi mi ha mantenu-to finché sono entrato a servizio della diocesi.non sono in grado di capire la portata reale di sol-di, terreni e case nelle eredità, perché della portatareale fanno parte anche i significati che ogni figlioo figlia dà a quello che riceve o non riceve, o aquello che ha messo di suo nel bene della fami-glia. Non sempre esiste una spartizione ‘ideale’,che renda tutti contenti di quello che hanno rice-

Giuseppe Toffanello

Non sempreesiste una spartizionegiusta dell’ere dità

Abitare la terra promessa

di don Giuseppe Toffanello

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rifiuta di vendere ad acab la sua vigna e cheviene ucciso da Gezabele con la menzognavien letto nella messa quotidiana verso la metàdi giugno, e cioè più o meno nell’anniversariodella mia ordinazione a prete. Un anno questotesto ci è capitato proprio nell’incontro tracompagni di classe. Uno di noi ha commenta-to che nabot poteva anche cedere di fronte al-la violenza del re. cederei anch’io, credo, inuna situazione del genere. Ma forse devo capi-re il valore simbolico della eredità: «Mi guardiil Signore dal cederti l’eredità dei miei padri»,dice nabot (1Re 21,3). Quel ‘mi guardi’ inebraico è: «È profano!». ‘Profanare’ è una pa-rola forte nella Bibbia, è niente meno che ildelitto che ha fatto il popolo quando ha diso-norato il nome di Dio (cf. ez 20,39). cedere‘l’eredità dei miei padri’ è ‘profano’. La terra èdi Dio, non la si svende per soldi, per guada-gno (acab ha promesso denaro, o scambio).La terra ereditata da Dio è un compito, unamissione. non è intercambiabile. Se per fame,per debiti, per disgrazia una terra passa a qual-cun altro, al cinquantesimo anno deve tornarealla famiglia cui la sorte (cioè Dio) l’ha asse-gnata. non si paga la terra di un altro ebreo,quando questo è costretto a venderla, se ne pa-ga solo il valore, perché poi Dio tornerà ad as-segnare la terra alla famiglia cui l’ha destina-ta. Perché quella famiglia ha un compito nellastoria della salvezza, un compito suo, irrinun-ciabile.

2. Dove scorre latte e miele

Già alla creazione Dio ha dato la terra da custodi-re e da lavorare. Ogni angolo del mondo deve

Giuseppe Toffanello

Ereditare daDio la terra è avere un propriocompito

La terra dove scorre latte e mielecome frutto dellavoro umano

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vuto. Sento molto vere per me le parole di Gesùall’uomo che gli chiedeva di intervenire presso ilfratello per l’eredità: «chi mi ha costituito giudiceo mediatore in mezzo a voi?». Io non sono neanche quella persona saggia che,secondo Paolo, deve pur esserci tra i ‘fratelli’, uncristiano cioè capace di portare pace tra cristianiin conflitto: «Sicché non vi sarebbe nessuna per-sona saggia tra voi, che possa fare da arbitro trafratello e fratello? anzi, un fratello viene chiama-to in giudizio dal fratello, e per di più davanti anon credenti!» (1Cor 6,5-6). Quello che riesco acapire invece è quanto le persone ‘soffrono’,quanto si sentono ferite. Il loro soffrire mi fa pro-prio pena. Quel soffrire forse potrei un po’ lenire.Ma la donna, che tanti anni fa si è arrabbiata conme, pensava che non le credessi, dato che insiste-vo su quello che lei provava. nella Bibbia ho contato ben 58 versetti in cui laparola ‘terra’ è collegata all’eredità, mentre soloin 19 versetti è collegata alla promessa: la terra‘promessa’ è terra ereditata, ricevuta da Dio. a. Ereditare da Dio la terra comporta natural-

mente la gioia di essere suo popolo particola-re, quello che lui sceglie come erede. ereditarela terra vuol dire avere il proprio posto: a cia-scuno Dio assegna un posto, un posto che è ri-servato proprio a lui. Giosuè tira a sorte perassegnare le terre alle varie tribù, ma nel mon-do ebraico tirare a sorte non era ricorrere alcaso: era affidare al verdetto del Signore. eraun’invocazione, un gesto di fiducia in Dio. at-traverso la ‘sorte’ (144 versetti nella Bibbia) èDio stesso a dire qual è il posto più adatto aciascuno. Là dove uno è posto, quella è la ter-ra buona per lo sviluppo della sua vita.

b. Ma ereditare vuol dire anche avere un propriocompito nella storia della salvezza, un compitoassegnato da Lui. L’episodio di nabot che si

Ereditare da Dio la terraè avere il proprio posto

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va un rikshò in bicicletta, ma si era rovinato legambe e non poteva più pedalare con forza suffi-ciente. Il prete pensava di procurargli una di quel-le piccole botteghe di legno che lì a Benares co-steggiavano la strada. Un minuscolo negozio co-me tanti altri. Sarebbero bastati 200 dollari. «nonli do a lui», mi diceva, «li tengo io e glieli do ma-no a mano che servono». Mi spiegava che ci sipoteva fidare solo delle donne, delle mamme difamiglia che avevano a cuore i loro figli; i padriinvece, quando avevano un po’ di denaro, lo con-sumavano subito bevendo e andando a donne:godevano la fortuna di oggi, tutta, senza pensareal domani.

3. Col sudore della tua fronte

entro in una comunità di suore. Sono davanti allatelevisione. «ahi!», sento. Un paio di suore parteci-pano con i loro commenti alla sfortuna di una gio-catrice. È uno di quei giochi serali in cui, se nonsbaglio, conta molto la fortuna, più che l’abilità.chissà quanta gente ‘partecipa’ emotivamente co-me queste due suore! I giocatori televisivi raccon-tano sempre qualcosa di sé, per cui i telespettatorisono coinvolti, ‘partecipano’ alle loro emozioni, al-le loro speranze. Forse in quelle suore (e in moltitelespettatori) si risvegliano echi di antiche favoledell’infanzia, in cui ragazze povere diventano prin-cipesse, in cui eventi propizi permettono che alla fi-ne ‘vivessero felici e contenti per tutta la vita’ per-sone vittime di destini infelici. Ma forse la trepida-zione per i ‘giochi’ della fortuna può essere favori-ta anche da una mentalità diffusa, che cioè in moltesituazioni della vita si tratta di fortuna (o, per i più,di sfortuna). È un problema anche dei Salmi: i furbi, gli empi,

Giuseppe Toffanello

Esposti al gioco della fortuna?

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avere la presenza degli umani, e cioè di qualcunoche è ‘immagine’ di Dio, suo rappresentante(‘oikonomos’ direbbe la tradizione cristianaorientale). «Mio fratello considera i profitti dell’azienda co-me utili personali. ho dovuto ricordargli che no-stro padre invece si prendeva uno stipendio permantenere la famiglia, ma gli utili dell’azienda liinvestiva per lo sviluppo dell’azienda stessa».che esempio splendido di padre! L’azienda perlui è un compito, una missione: va coltivata conpassione. Ma forse uno dei due figli ha accanto asé ‘amici’ che lo vogliono ricco, splendido; o luisi vuole ricco, splendido, e gli va bene considera-re suoi gli utili dell’azienda.In ben 22 versetti della Bibbia, tutti dell’anticoTestamento, la parola ‘terra’ compare assieme a‘latte e miele’: una terra dove scorre latte e mielel’ha promessa Jhwh a Mosè dal roveto. La pro-messa vien ripetuta in numeri e in Deuteronomioe ricordata dai profeti della nuova alleanza, Ge-remia ed ezechiele. eppure i testi biblici che rac-contano della terra promessa danno per scontatoche la terra va lavorata: «il Signore aprirà per te ilsuo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua ter-ra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto illavoro delle tue mani: presterai a molte nazioni,mentre tu non domanderai prestiti» (Dt 28,12).La terra in cui scorrono latte e miele è la terra do-ve il lavoro delle mani è fruttuoso. Poter lavorarecon frutto è il vero ‘latte e miele’: dà la gioia diesser creatore come Dio, di essere un amministra-tore fedele che dà il cibo a suo tempo al resto del-la servitù, di ‘prestare a molte nazioni’. Se il la-voro è solo mezzo, e non anche frutto della terra,la terra è impoverita di un frutto importante, di-venta ‘s-fruttata’ e alla lunga inaridisce. Quando sono stato in India, parecchi anni fa, unprete indiano mi ha parlato di un uomo che porta-

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«Perché?» mi chiede. «Ti ha creato così male chenon è capace neanche lui di farti migliorare», glirispondo sorridendo. «non ho detto questo. Ècolpa mia, non sua», replica. «Bravo, difendilo!»,insisto. La Bibbia è piena di un Dio che il megliodi sé lo dà proprio là dove c’è fatica, insuccesso,perfino peccato. Perfino i no detti a Dio rendonoLui più che mai creatore! Ogni situazione umanaè terra in cui Dio può dar frutto. ogni infernoumano è un abisso da cui si può levare l’invoca-zione umana, e un fuoco divino che rinnova. nonè detto che esista davvero una psiche ‘migliore’della mia, più disponibile all’azione di Dio; néuna storia; né una famiglia; né una comunità; néun superiore… È buono, sicuramente, il desiderio di guarire, ma-turare, vivere meglio, ma se è ‘preghiera’ che siinnalza dalla mia terra, non ‘legge’ o ‘dogma’ chemi sono imposti da altre terre. La mia eredità psi-cologica (carattere, storia, famiglia…) può diven-tare terra preziosa e feconda, se imparo ad amar-la, rispettarla, custodirla, lavorarla. Forse mi èdato perfino di riscattarla nella mia stessa esisten-za terrena: o meglio, di lasciarla riscattare da co-lui che a questa terra mi ha consegnato. certo, al-l’uscita dall’eden il Signore ha consegnato uomoe donna alla tribolazione e al sudore, ma questonon significa che li ha anche abbandonati. anzi.‘La testa del serpente che attenta al tuo calcagnotu la calpesterai’ (cf Gen 3,15).

4. Percorri la terra in lungo e in largo

Molti anni fa sono stato in Sardegna con un viag-gio organizzato. La guida ci faceva notare i ‘con-fini’ fatti con le pietre nel mezzo di grandi prati.era stato il regno d’Italia a porli, ci diceva. Prima

Giuseppe Toffanello

se la amo e custodiscocome Sua

Il pastore e il contadino:il problema dei confini

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prosperano, i giusti invece sono sfruttati e impo-veriscono. L’empio dice in cuor suo che Dio nonc’è, non vede, non interviene. Fare il proprio la-voro con onestà, affrontando i sacrifici, seminan-do con pazienza, preparando un avvenire miglio-re per i propri figli e i figli dei figli… affascinaoggi meno di una volta. Molti di quelli che hannosuccesso hanno contato sulla fortuna piuttostoche sul lavoro onesto e paziente: la sapienza bi-blica ricorda che la fortuna non supererà la terzao quarta generazione, ma questo non allarma granche. Il guaio comunque è meno la prosperità deifortunati, quanto il ‘lamentarsi’ degli sfortunati. Iquarant’anni di deserto nella Bibbia sono pieni di‘mormorazioni’: comprensibili, attuali, ma sterili.La mormorazione toglie energie e rende sterile laterra.Molti ‘sfortunati’ invece han saputo vivere la lorosorte facendone un tesoro. La terra che mi è dataè benedetta da Dio. Il nostro vescovo diceva, aBorca, che la terra che ci è data da abitare è an-che la nostra umanità e l’umanità degli altri: e in-tendeva umanità anche in senso esistenziale. Pen-so a persone che si scoraggiano di fronte alla pro-pria storia, alla propria psiche, ai propri insucces-si, alla famiglia che hanno, al lavoro toccato lo-ro… Già è difficile e dolorante la loro umanità!Ma il diabolos, il divisore, suggerisce loro chesarebbe stata più salutare, più sana, più salvifica,più normale, più fruttuosa… un’altra storia,un’altra psiche, un’altra famiglia, un altro lavoro.Come se il Signore lavorasse molto meglio incerte storie, in certe strutture psicologiche, incerte famiglie, in certe attività. Ma questo non èbiblico.«eh sì, con te il Signore è proprio handicappato»,dico ad un giovane. Mi guarda stupito. È sfidu-ciato perché non ha ancora superato un problema,e gli pare di essere sempre allo stesso punto.

Il lamento degli sfortunatioscura la presenza del Signore

Ogni situazioneumana è terrain cui Dio può dar frutto

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pascoli aperti, ed eventualmente le insegue se siperdono per troppo spazio. e così, mentre la fa-miglia di Gesù cercherebbe di tenerlo, il suo pae-se lo vorrebbe medico che cura se stesso, e Pietrostesso vorrebbe trattenere il guaritore tra la pro-pria gente…, Gesù ‘deve’ andare anche altrove,per tutta la terra promessa, ed anche oltre, ad an-nunciare il Regno, ad incontrare la ‘vedova di Sa-repta’ e naaman ‘il siro’. ecco allora, ad esem-pio, che i benedettini possiedono in comune deimonasteri, e delle terre che bonificano, dissoda-no, coltivano, mentre i francescani percorrono ilmondo. ci sono vari modi di abitare la terra chesi aprono al cristiano: sposato o celibe, poeta li-turgo o giullare ramingo, monaco o pastore. Laterra promessa è la stessa, ma offre opportunità diospitalità diversa.

5. Beati i miti perché erediteranno la terra

«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra»(Mt 5,5). Lo sguardo luminoso di Cristo vede laterra una eredità promessa ai miti: a questosguardo profondo è stato educato dalla preghieradel suo popolo. Il Salmo 37 che ha accompagnatole settimane sinodali di quest’anno, ripete questapromessa in varie sfumature: i giusti (v. 29), chesono perseguitati e privati della terra dai prepo-tenti e che forse son tentati di invidiare gli empiche prosperano (v. 1), possono continuare a spe-rare nel Signore (v, 9), sono i poveri che contanosu di lui (v. 11), e che da lui son benedetti (v. 22):essi avranno in eredità la terra. È una verità ‘nascosta’ questa beatitudine checristo rivela sul monte, dopo aver ‘visto le folle’di poveri, perseguitati, afflitti. Quelli che hannolasciato tutto per seguirlo riceveranno cento voltetanto, già in questa vita, in ‘case… e campi’ (Mc

Giuseppe Toffanello

Solo il mite savivere la terracome eredità

Il mite si protegge dalle ruberie

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non esistevano, perché i pastori si spostavano li-beramente sulle distese di prati. I pastori hannobisogno di tanto spazio per le loro pecore. «allo-ra il Signore disse ad abram, dopo che Lot si eraseparato da lui: “alza gli occhi e, dal luogo dovetu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e ilmezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. Tuttala terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua di-scendenza per sempre. Renderò la tua discenden-za come la polvere della terra: se uno può contarela polvere della terra, potrà contare anche i tuoidiscendenti. Àlzati, percorri la terra in lungo e inlargo, perché io la darò a te”. Poi abram si spostòcon le sue tende e andò a stabilirsi alle Querce diMamre, che sono ad ebron, e vi costruì un altareal Signore» (Gen 13,14-18). La terra Dio non lapromette ad abramo solo per la sua discendenza,ma anche per lui stesso. Lo ripeterà anche piùavanti: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscireda Ur dei caldei per darti in possesso questa ter-ra» (Gen 15,7). nell’esistenza terrena di abramo la terra promes-sa è una terra buona da ‘percorrere in lungo e inlargo’. egli continua a spostarsi dove c’è vegeta-zione buona: punti stabili sulla terra sono solo glialtari per i sacrifici e le feste, le fonti per bere, ele tombe per i propri cari. Per i remoti discenden-ti di abramo che coltivano la terra invece c’è bi-sogno di confini: chi semina deve proteggere ilcampo, tenerne lontani animali e stranieri chepossono saccheggiare; deve poter contare su unaterra che in qualche modo sia ‘sua’. Il pastore habisogno di non aver confini, il contadino devepoter porre dei confini. ci sono modi diversi dunque di abitare la terra:l’amata è ‘giardino chiuso’ (Ct 4,12), vite fecon-da nell’intimità della casa con i figli come virgul-ti d’olivo intorno alla mensa (Sal 128,3), mentreil pastore conosce le pecore per nome, le guida ai

Diverse vocazioni comemodi diversi di abitare laterra promessa

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posseduta dai malvagi. La Chiesa sa che non èuna benedizione di Dio possedere la terra impo-nendosi. Quando i potenti hanno restituito allechiese terre, beni, case che erano stati loro tolti,non è sempre stato una benedizione. e oggi pa-ghiamo abbondantemente le terre che abbiamo ri-vendicato come proprietà di Dio: i ‘beni di Dio’ci hanno tolto il bene delle persone.Ma, in cambio invece, quante persone hanno tro-vato nuove risorse di vita, nuovi orizzonti, altreterre, proprio perché han lasciato perdere le in-giustizie subite, facendo tesoro di altre eredità ri-cevute: ingegno, bontà, industriosità, coraggio.hanno rinunciato ad inseguire ‘la’ terra cui ave-vano diritto ed hanno ricevuto il centuplo, insie-me a prove non piccole (o forse proprio attraver-so le prove?). «a chi vuole portarti in tribunale etoglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. ese uno ti costringerà ad accompagnarlo per unmiglio, tu con lui fanne due» (Mt 5,40-41). Di-fendere i diritti umani è una grande conquista,anche cristiana. Ma affidare tutto ai tribunali, allerivendicazioni, alle lotte è un’altra cosa: nonsempre basta ad abitare davvero la terra in pace.

6. Perché custodisse e lavorasse

«Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdottonella terra in cui stai per entrare per prendernepossesso e avrà scacciato davanti a te molte na-zioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli amorrei, i cananei,i Perizziti, gli evei e i Gebusei, sette nazioni piùgrandi e più potenti di te, quando il Signore, tuoDio, le avrà messe in tuo potere e tu le avraisconfitte, tu le voterai allo sterminio. con essenon stringerai alcuna alleanza e nei loro confrontinon avrai pietà […]. Il Signore si è legato a voi e

Giuseppe Toffanello

La terra porta le traccedella violenza

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10,30). eppure i discepoli saranno anche perse-guitati! e derubati. Gesù stesso invita a ‘guardar-si’, a proteggersi: «Guardatevi dagli scribi, cheamano passeggiare in lunghe vesti, ricevere salutinelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe ei primi posti nei banchetti. Divorano le case dellevedove…» (Mc 12,38-40). È solo da Dio che imiti avranno in eredità la terra, perché solo lui as-segna ad ogni cosa il suo posto. Lui fa sorgerel’aurora «perché afferri la terra per i lembi e nescuota via i malvagi». Solo Dio conosce «qual èla strada dove abita la luce e dove dimorano le te-nebre» e può ‘ricondurle dentro i loro confini, in-segnando loro la via di casa’ (Gb 38,12-20).Giobbe vive davvero nelle tenebre, esiste davve-ro il tempo in cui i malvagi possiedono la terra,ma anche le tenebre hanno da Dio il loro confine.Lui conosce per quale strada ricondurle a casa. elo farà. e ricondurrà a casa la luce.«Richiamate alla memoria quei primi giorni: do-po aver ricevuto la luce di cristo, avete dovutosopportare una lotta grande e penosa, ora espostipubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facen-dovi solidali con coloro che venivano trattati inquesto modo. Infatti avete preso parte alle soffe-renze dei carcerati e avete accettato con gioia diessere derubati delle vostre sostanze, sapendo dipossedere beni migliori e duraturi. non abbando-nate dunque la vostra franchezza, alla quale è ri-servata una grande ricompensa. avete solo biso-gno di perseveranza, perché, fatta la volontà diDio, otteniate ciò che vi è stato promesso» (Eb10,32-36). Si può venir ‘derubati delle propriesostanze, sapendo di possedere beni migliori eduraturi’: quello che è stato promesso sarà otte-nuto. Lo sguardo luminoso di cristo che contempla laterra abitata dai miti la chiesa lo custodisce conamore e fiducia anche nei tempi in cui la terra è

Ma le persecuzioninon tolgono a chi crede la vera eredità

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Solo così la terra diventa terra abitabile, promes-sa, nell’umile e paziente servizio di umanizzazio-ne di quello che ci è consegnato: terra feconda otribolata. Una terra su cui si vantano diritti nonpuò essere terra promessa; una terra di cui si di-venta ‘oikonomoi’, custodi diventa promessa dibene per tutti.

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vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tuttigli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tuttii popoli –, ma perché il Signore vi ama» (Dt 7,1-8). Sette nazioni votate allo sterminio, perché gliebrei non siano trascinati all’idolatria! Senzapietà! a me fan pietà invece. La terra promessa è anche luogo di odi, di ingiu-stizie. Per questo la terra resta pur sempre solo‘promessa’. anche quando già vi si abita, magarida molto tempo. Qualcuno conserva antichi ran-cori per una ‘ingiustizia’ che la sua famiglia hasubito generazioni prima: anche quando se ne èperso il ricordo preciso, se ne possono conservaretracce nella sensibilità, nei riti, nel modo di pen-sare, ecc. Quanto sangue grida dai solchi dellaterra. Sangue di abele. Sangue di cristo. Ma an-che il sangue di caino è caro a Dio. e il sangue dichi ha crocifisso il Figlio. non v’è pace assolutae definitiva nella terra promessa. La terra pro-messa, per essere terra dove scorre latte e miele,ha bisogno di conversione, di penitenza, di pietà,di rispetto e affetto per chi vi ha versato il san-gue.ci sono popolazioni della terra che ‘sacrificano’agli spiriti che abitano in una casa, perché non di-sturbino chi vi si insedia. Magari si costruisce lo-ro una piccola casa all’esterno. noi vediamo inquesti rituali solo superstizione, ma non vi si na-sconde anche l’umile riconoscimento che chia-mare ‘proprio’ il pezzo di terra su cui si abita èsolo una convenzione provvisoria? ci è dato inprestito, in consegna, non solo da Dio, ma ancheda altre creature che ne sono state allontanate,spesso con la violenza, spesso senza pace. e allo-ra forse è buona la intuizione del piccolo princi-pe, quando incontra l’astronomo che ‘possiede’ lestelle che scopre. «È utile ai miei vulcani, ed èutile al mio fiore che io li possegga. Ma tu nonsei utile alle stelle…» (Il piccolo principe, 13).

Per questo siamo solooikonómoidella terra,perché sia‘promessa’ per tutti

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L’esodo implica un lungo cammino dalla schia-vitù verso la terra della libertà, che esige capacitàdi adattamento e di ricerca, di scoperta e solida-rietà tra i membri, nella prospettiva della speran-za. L’esilio costituì invece il fatto più drammati-co per il popolo di Dio: la deportazione soprattut-to delle persone emergenti, accompagnata damolte uccisioni e segnata da divisioni all’interno.Perciò il ritorno (nel 538 a.c.) fu celebrato comenuovo esodo e nuova creazione (cf. Is 40-55; ez34 e 36). alcuni testi che cercano di leggere e in-terpretare l’evento sono, oltre a 1-2 Samuele e 1-2 Re, i libri dei profeti Isaia (cc. 40-55), Geremiaed ezechiele e di esdra e neemia. alla luce del-l’esilio che si susseguì in varie tappe, tra il 597 eil 580 circa a.c, possiamo leggere anche la Dia-spora che seguì al 70 d.c. Lo stesso cristianesimovi attinse per delineare la prospettiva di vita delcredente. esodo ed esilio sono divenuti per Israele eventiparadigmatici nel senso che anche chi non haavuto dislocazioni deve comprendersi e immagi-narsi dislocato e in attesa di un rimpatrio. Segna-rono tutta la Bibbia e furono elementi portanti perla riflessione di Israele sulla propria identità. Lapiù terribile delle esperienze divenne allora unodei fattori più fruttuosi per la sua vita, tanto da ri-tenersi che è a partire da questo momento - checoincide con l’intervento massiccio di elementibabilonesi - che comincia la vera storia dell’e-

Marcello Milani

L’Esilio da dramma aparadigma dirinnovamento

Abitare in “esilio”

di don Marcello Milani

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immediato. I più attenti sentirono allora il biso-gno di ripensare gli aspetti della vita religiosa,cercando nuovi riferimenti: dal tema dell’allean-za e della responsabilità personale in una societàmolteplice fino alla figura del re (il messia) e del-lo stesso profeta. La crisi stimolò la riflessione.Un apporto notevole fu dato dal gruppo sacerdo-tale, attorno al quale maturò la forma ultima dellaTorah, dal movimento deuteronomista e da alcuniprofeti. La vita di Israele si svolse tra integrazio-ne e tensione.esempi di tensione sono percepibili nei profetiIsaia ed ezechiele, che affrontano le continueobiezioni degli interlocutori. Geremia ebbe con-flitti con i profeti “di pace”, che assicuravano unritorno imminente, e con l’ambiente dei deportati,allorché, subito dopo la deportazione, scrisse la“Lettera agli esiliati” (Ger 29), un testo fonda-mentale, una specie di charta magna sui rapporticon il mondo nuovo di non ebrei. La lettera feceinfuriare i deportati del partito nazionalista cherisposero in modo polemico (Ger 29,24-32). Il profeta esorta gli esuli a riprendere la vita norma-le (vv.4-7), affermando che l’esilio non sarà breve,come sostenevano i falsi profeti anania (Ger 27-28) e Semaia (Ger 29,26-30), ma neppure definiti-vo. Mentre quelli facevano semplici predizioni,Geremia offre motivazioni e analizza la situazione.così toglie illusioni e dà speranza. Perciò, vita, la-voro e famiglia, che sono i beni quotidiani, devonocontinuare, guardando alla vita individuale e aquella del popolo: «moltiplicatevi, non diminuite».ogni figlio che nascerà in Babilonia sarà un atto difiducia nel futuro. anzi, esorta a pregare per gliabitanti della terra nella quale sono deportati, quin-di anche per i nemici (v.7). La convivenza e la lealtà verso le popolazioni cheabitano la stessa terra, con l’accettazione dellanuova situazione, permetteranno una vita buona.

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Tensione

Integrazione

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braismo stesso, in quanto si formano gli scrittiveterotestamentari, e si costruisce l’immagine diun ebraismo talmente importante da porsi addirit-tura come normativo per la tradizione successiva,soprattutto dal lato religioso. Infatti, è assodatoche l’antico Testamento nella sua forma attualefinale è un prodotto e una risposta all’esilio babi-lonese, nel senso della formazione di un corpo diletteratura religiosa di riferimento (canone), fon-damentale per la forma del “giudaismo”, però as-sumendo una varietà di audaci articolazioni di fe-de. esso si riconosce nella Torah, con le leggi e iprecetti che regolano tutta la vita di Israele e lasua pretesa storiografica, e nell’istituzione dellasinagoga.Una riflessione su questa fase della storia, che di-venta “condizione di vita”, resta utile anche ainostri giorni.

1. La condizione di esilio tra estraneità e soli-darietà: una nuova identità

L’impatto con un mondo diverso creava un inevi-tabile smarrimento culturale, sociale e religioso. Ideportati - essenzialmente gli abitanti di Gerusa-lemme (2Re 25,11), la classe dirigente, politica-mente ed economicamente, la classe dei ricchi, icui beni vennero suddivisi tra quanti erano rima-sti in patria - vivevano in quella nuova terra da“stranieri”, senza patria, come gli antichi patriar-chi. affrontarono la situazione in diversi modi. In al-cuni prevaleva rabbia e nostalgia della patria (cf.Sal 137); erano dominati dal timore di defezionireligiose dovute alla seduzione delle nuove divi-nità e preoccupati di una fedeltà alla tradizione.altri si illudevano nella speranza di un ritorno

Diverse reazioni all’Esilio: traintegrazione e tensione

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2. Una comunità in diaspora con vocazionemissionaria universale

L’Israele dell’esilio, per la prima volta nella sto-ria del popolo ebraico, trova la coesione sulla ba-se della professione religiosa. ciò comportò unrafforzamento di forme organizzative decentrate,con strutture basate sulla parentela: clan e fami-glia; consiglio degli anziani, importanza dei sa-cerdoti e dei profeti. Questo stato di cose indebolìla forza degli esiliati verso l’esterno, costretti adifendersi dalla cultura maggioritaria. Ma com-portò una forte coesione interna ai singoli gruppie tra i gruppi come difesa della propria identità. Ilquotidiano convivere e confronto con genti di al-tre culture e religioni, rispetto alle quali gli ebreierano in minoranza, diventò una sfida costanteche portò a oscillare continuamente tra prospetti-ve teologiche universalistiche o particolaristiche.

Se l’identità fu intesa come differenziazione daglialtri, ne risultò però rinnovata. I pagani restanodiversi, ma sono anche oggetto dell’annunciodella salvezza. Perciò la missione del Servo - lostesso Israele deportato ma fedele - non è relegataa una funzione interna, ma estesa a tutti i popoli:«Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti lamia salvezza fino all’estremità della terra» (Is49,6). Israele riconosce il valore dell’“altro”mentre scopre una vocazione missionaria e la di-mensione universale anche religiosa. Lo stessoSignore non può essere solo il Dio di Israele – ilDio tribale – ma viene riconosciuto come l’unicoDio di tutti (Is 45), Padre di tutto ciò che ha crea-to, di ogni opera delle sue mani (Is 64,7). Il contatto quotidiano con coloro che erano consi-derati nemici, induce i deportati, come affermaGeremia, a considerarli come alleati che condivi-dono la medesima terra e gli stessi problemi:

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Tra tendenzeparticolaristichee universalità

Differenziazionee annuncio della salvezza a tutti

Da nemici ad alleati

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essa è condizionata dalla pace e dal benessere ditutto il nuovo paese. In altre parole, in quel mo-mento, la salvezza di Israele è legata a quella diBabilonia. Il principio politico è pratico, non uni-versale; non di meno, rivela un atteggiamento li-bero da acrimonia e positivo verso le altre cultu-re, compresa Babilonia, la conquistatrice. Il con-siglio del profeta, del resto, si accorda con la si-tuazione dei figli di Giacobbe scesi in egitto: an-che allora la salvezza del popolo dalla carestia fulegata all’abbondanza del paese che li ospitava.La prosperità dello Stato ridonda in bene dei cit-tadini. È «una spiritualità ben diversa da quellaespressa dal Salmo 137, benché esso coincidanella speranza. In questo modo gli esiliati si tra-sformano in intercessori a favore dei pagani, co-me lo fu in alcuni momenti Mosè, in favore delfaraone e del suo popolo. Benché il motivo dellasupplica sia ancora interessato, ha qualcosa diesemplare: quanto meno non vi trionfano né ran-core di vendetta né risentimento» (L. alonsoSchökel, Profeti). L’integrazione portò gli esiliati a inserirsi nellestrutture sociali ed economiche babilonesi. Rico-nosciuti dal punto di vista giuridico, possedetteromezzi economici per condurre una vita normale.alcuni di loro riescono a fare carriera, ricoprendoincarichi ad alto livello: Sesbassar, Zorobabele,neemia, esdra. esempi tardivi risaltano dalla fi-gura e dal libro di Daniele (i giovani scelti per es-sere a servizio della corte; ma siamo già in perio-do ellenista, 170 circa a.c.), dalla figura di ester(tra presenza e conflitto) e dal libro della Sapien-za (integrazione tra cultura greca dominante emondo giudaico, con riflessioni teologiche e mo-rali: la “virtù” e l’ambiente stoico; l’autore mira apreparare i giovani ebrei di famiglie “borghesi”che intendono inserirsi nella burocrazia dello sta-to).

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spettiva che sembra far eco alla situazione esilica,asserisce: «Io (il Signore) non parlai né diedi or-dini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padriquando li feci uscire dalla terra d’egitto, ma ordi-nai loro: “ascoltate la mia voce e io sarò il vostroDio e voi sarete il mio popolo…”. Ma essi nonascoltarono» (7,22-24, cf. Sal 95 e 81). È il ritor-no alle origini! Il senso originario del culto nonconsiste in riti sacrificali, ma nell’ascolto e nelfar memoria, nel ritrovare l’essenziale tipico, per-ché Dio possa operare nel cuore dell’uomo. così, nella “Lettera agli esiliati”, il profeta insistesull’invito alla preghiera per cercare e trovareDio. non sarà in un tempio e nel culto rituale uf-ficiale, ma nell’interiorità di una relazione perso-nale, nella profondità del cuore: là Dio si farà tro-vare (Ger 29,14-15). È la promessa della nuovaalleanza nella «tavola del cuore» e della cono-scenza universale del Signore (Ger 31,31-34; ez36,25-27).Fa eco ai profeti il salmista, per il quale il verosacrificio è un “cuore contrito e umiliato”, solle-citato dal nuovo spirito e dal cuore nuovo che ge-nera nuove personalità – una nuova creazione(Sal 51,12-14.18-19). In una comunità dai legamipiù allentati acquistano valore le coscienze e isoggetti fedeli alle proprie scelte (cf Ab 2,4).Simbolo del nuovo Israele è il Servo del Signoredi Isaia, «non ribelle», che «offre le sue spalle aiflagellatori»; egli dà l’esempio di uno «che cam-mina nelle tenebre e non nella luce, ma confidanel nome di Jhwh e si affida al suo Dio» (50,10). Un ulteriore esempio ci viene dall’incontro delprofeta ezechiele con gli anziani di Gerusalem-me tra le due deportazioni (Ez 8-11; 14,1-11 e20). Si confrontano e scontrano due teologie op-poste. Gli anziani si aggrappano ancora alla terra.Ma là Giuda è idolatra come gli altri popoli (cfEz 20); allora saranno come i popoli in esilio. Il

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Il cuore nuovoe l’esempio del Servo

Comunità fondata sulla Parola,

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«cercate il benessere del paese in cui vi ho fattodeportare, e pregate per esso il Signore, perchédal benessere suo dipende il vostro» (Ger 29,7).non avviene lo scontro delle culture, tanto sban-dierato anche nel nostro tempo, ma un incontrocon l’effetto di un reciproco scambio, di una sol-lecitazione e fecondazione vicendevole. La stessaBibbia, sia a livello di Pentateuco che di movi-menti sapienziali, attinge a piene mani dalle cul-ture che incontra, a partire dalla stessa Babilonia.In questo senso l’esperienza di Israele diventa pa-radigmatica per la chiesa cristiana primitiva e re-sta valida per quella attuale. Più che nell’organiz-zazione, tutto si concentra nell’essenzialità dellaParola e nelle feste, in ambito cultuale, e nella ri-flessione sapienziale.

3. Il culto dal sacrificio alla Parola

I profeti (amos e osea, Isaia e Michea, Geremiaed ezechiele) avevano espresso giudizi negativisulla situazione socio-religiosa del popolo, mi-nacciando il giudizio di Dio come castigo per lecolpe commesse. non erano stati creduti neppurequanto certe loro parole si erano avverate. ora i“profeti di castigo” iniziano ad essere consideraticome autentica “Parola di Dio” che può indicaresu quali strade riprendere il cammino. Si fa sem-pre più strada l’idea che l’ascolto della Paroladel Signore in ambito cultuale (mancando il tem-pio non è più possibile fare i sacrifici) è fonda-mentale perché non si ripetano simili catastrofi. Èquesta una delle radici dalla quale si svilupperà ilculto sinagogale. Di conseguenza, emerge l’esigenza di una reli-giosità personale, che valorizza il cuore o – comediremmo oggi – la coscienza. Già nel discorso sultempio, il profeta Geremia (7,1-8,3), in una pro-

I profeti: centralità della Parola e culto nell’ascolto

Religiosità personale, “nel cuore”

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stano come ideale, ma nel contempo vengono re-lativizzate. D’altra parte, la memoria aiuta a ri-pensare la storia e a recuperare le figure dei pa-triarchi nomadi e il cammino dell’esodo. Parti-colarità e universalità si intrecciano in continua-zione. Perciò, abramo, Padre di Israele, è coluinel quale “si diranno benedette” (cei), o “sarannobenedette” tutte le genti (Gen 12,1-3, testo grecoo LXX). L’“amico di Dio” per eccellenza divieneil “padre di tutti i credenti” (cf. Gal 3,8-10).

4. La religiosità familiare, la sapienza e le pro-messe

nella ricerca dei nuclei portanti della fede chevalorizza la persona, Israele in esilio accentuòl’ambito familiare. non potendo esprimere in for-ma adatta la religiosità ufficiale, fu coltivata inmodo particolare la religiosità familiare talmenteintegrata nella religione jahvista da potersi assu-mere la responsabilità della sua sopravvivenza. Inessa acquista ancora valore l’«Io» della persona.L’esperienza dell’esilio ha fatto capire che erastata infranta la relazione Dio-popolo (aspetto co-munitario), ma non quella Jhwh-singolo credente(aspetto personale). In questa riflessione la fami-glia non è solo il luogo in cui vivere la propria fe-de; ma si rivedono alcuni punti e modalità espres-sive. così, si ricupera in positivo il rapporto creatura-creatore e si esprime fiducia nel Signore capacedi aiutare e soccorrere ogni persona. Si ricorre asingole persone come i patriarchi (es. abramo, ilprimo Padre, migrante da Ur dei caldei, dove oragli ebrei sono in esilio!), per trovare fondamentoalla speranza, si trasformano in “riti domestici”,cerimonie in passato appartenenti al culto ufficia-

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Religiosità familiare: nuove modalitàespressive

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profeta si collega al tema della terra per smantel-larla. egli comprende, con straordinaria chiaro-veggenza, che l’unica cosa possibile non era lacostruzione di uno stato, ma di una specie dichiesa, che sapeva vivere e trovare le motivazionidella sua esistenza nella Parola (cf. Ne 8). Inquesta linea, il codice di Santità nel Pentateuco èposto nell’esodo, fuori della terra; e fuori dellaterra muore Mosè, che tutti considerano un buonebreo. anche là si poteva vivere da buoni ebrei,costruire una comunità fedele basata su nuovestrutture più personali e comunitarie. Lo stesso intento si apprende dal profeta Isaia do-po l’esilio. appartiene alla comunità colui che os-serva la legge e il diritto, chi pratica la giustizia.allora anche gli stranieri, che hanno aderito alSignore per servirlo e per amare il suo nome, Dioli condurrà sul suo monte santo e li colmerà digioia sul suo monte santo (Is 56,1-8). È una con-cezione religiosa spirituale e universale, al puntoche il profeta estende l’invito al banchetto ancheagli animali, come era agli inizi (Gen 1,30): «voitutte, bestie dei campi, venite a mangiare; voi tut-te, bestie della foresta, venite» (Is 58,9). È il prin-cipio a cui si appella lo stesso Pietro per ammet-tere al battesimo i pagani della casa di cornelio:«Sto rendendomi conto che Dio non fa preferen-za di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica lagiustizia, a qualunque nazione appartenga. Que-sta è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israe-le, annunciando la pace per mezzo di Gesù cri-sto: questi è il Signore di tutti» (At 10,34-36). ne risulta un popolo che ricerca la propria iden-tità nei nuclei che lo potranno mantenere in vita,oltre la terra: La Torah-Parola. È una identitàaperta, orientata a una dimensione universale. Èla sfida alla fede che deve rinnovarsi e mettere insecondo piano cose che sembravano assolute eassodate. così Gerusalemme, terra e tempio re-

e ulteriore recupero dell’universalità

Conclusione: identità aperta,nuclei essenziali, intrecciodi particolaritàe universalità

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“crogiolo” dove si attua uno scambio fecondo, siformano nuove identità, non solo contro o diver-se, ma anche condivise. Il “dialogo” non è senzasofferenza e ferite, non manca di durezza, ma lalenta integrazione porta a soluzioni molteplici e alinguaggi nuovi. Molti autori della Diaspora sa-ranno i grandi interlocutori dei diversi mondi, ba-bilonese, persiano e greco, al quale vogliono da-re, ma dal quale sanno anche attingere a pienemani. La traduzione in greco della Bibbia ebraica- la LXX - costituì uno degli eventi culturali piùsignificativi del postesilio. In questo senso il fattodrammatico dell’esilio si tramuta in evento dina-mico e fruttuoso, il più ricco e fecondo della sto-ria dell’ebraismo. non a caso, è in questo periodoche Israele scopre la sua vocazione missionaria, emolti di quelli che verranno poi chiamati “prose-liti” saranno l’elemento di unione con il cristiane-simo e il suo movimento missionario.nella medesima direzione vanno le promessemediante le quali i profeti aiutano la comunità atraghettare verso nuove attese e segni di speran-za: il ritorno dall’esilio, ma ricostruendo anzituttola nuova comunità, con l’ideale del Messianismocome attesa di un nuovo dono di Dio, futuro. nelle promesse è inserita anche l’attesa di un do-no di Dio che dia solidità all’agire umano, di persé inconsistente. Perciò non può mai venire menoun atteggiamento di invocazione (Sal 90,16-17).È la Parola di Dio che dura per sempre (Is 40,7-8); essa realizza i suoi progetti servendosi anchedegli uomini, compresa la sofferenza, come quel-la del Servo umiliato (Is 55,9-11; 53,10). La situazione è accompagnata da un nuovo profe-tismo, che vive il dramma di essere “intercesso-re” come Mosè “sulla breccia”, mediatore tra Dioe il suo popolo, affronta le tensioni e mette in di-scussione i proverbi a cui tutti sembrano rasse-gnati, come i peccati o le situazioni irrisolvibili (i

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Promesse: progetti a lungo termine, e attesa di un dono

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le, quali la circoncisione (cf. Gn 17) e diverseusanze alimentari (cf. Dt 14; Lv 11 circa i cibipuri e impuri), la santificazione del sabato (cf.Gn 2,1-4a; Es 20,8-11) e la celebrazione della pa-squa (cf. Es 12,1-14). Questo fa sì che in età esilica le famiglie diven-nero le vere depositarie della teologia ufficialedell’esodo continuando a esserne un veicolo im-portante anche quando, ricostruito il tempio, di-venne nuovamente possibile celebrare la festa dimazzot-pasqua come festa di pellegrinaggio. Lafesta domestica diventa luogo di trasmissionepersonale della fede celebrata insieme, esperien-za ripensata e rivissuta nel memoriale, comunica-zione di storia e valori lentamente condivisi e nongarantiti in mezzo al brusio di tante voci e propo-ste. Diventava anche luogo per assumere valoricondivisi con gli abitanti della medesima terra,straniera e nello stesso tempo propria.accanto a ciò dobbiamo considerare il valoredella sapienza, che si propone come metodo edu-cativo, in particolare nella figura del maestro cheeduca al discernimento. nel periodo esilico e po-stelisico si svilupperà in modo consistente, sia ri-prendendo e rileggendo l’antica sapienza di Pro-verbi, che rimprovera e mette in guardia soprat-tutto quanti rifiutano di pensare (Prov 1,20-33),sia con la produzione di nuove opere critiche cheritornano sui grandi problemi umani: Giobbe e ilvolto di Dio nel dolore, e Qohelet, una voce fuoridel coro; Siracide e Sapienza che pongono a con-fronto e in dialogo cultura ebraica e greca, senzaeludere le loro domande o trascurare le loro sco-perte. È un ambiente che si interroga con corag-gio e creatività con altre esperienze religiose,culturali e morali, sapendo ragionare, argomenta-re, raccogliere per rilanciare anche la propria. La condivisione della medesima storia, dellostesso territorio e dei comuni problemi diventa il

Trasmissionepersonale nel brusio di tante voci, condivisione di valori con tutti

La sapienza: educare al discernimento, identità “con”

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un luogo come “ospite” non residente, e in movi-mento (pellegrinaggio) alla ricerca di una patriavera. È la condizione di abramo e di quanti non abita-no una terra propria. Significa vivere in condizio-ne di minoranza, in mezzo a culture molteplici ea voci diverse con cui ci si deve confrontare ognigiorno. così vive il cristiano. Disperso in mezzoagli altri, pone la sua casa-tenda accanto alle altre(par-oikos), distinto ma anche legato in solida-rietà, in una terra condivisa. e in quanto ospite“ospitato”, impara a divenire “ospitante”. Paolo assume il linguaggio del cittadino romano.Per l’apostolo “la nostra cittadinanza è nei cieli”e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesùcristo (Fil 3,20). Ma come il cristo nella sua in-carnazione ha condiviso la storia degli uomini,così noi condividiamo questa terra con responsa-bilità, consapevoli di non essere abitanti definiti-vi e tuttavia amanti di questa terra, perché «i cielisono i cieli del Signore, ma la terra l’ha data ai fi-gli dell’uomo» (Sal 115,16). ci poniamo comelavoratori disponibili al progetto di Dio, in attesae speranza, sapendo fare piani a lungo termine,impegnandosi senza attendersi subito il frutto, maseminando per il regno dei cieli (cf. 1Cor 3,1-17:immagine del vero apostolo e predicatore: servosubordinato, amministratore, strumento di cuiDio si serve). non ci sentiamo padroni della terrané faccendieri che la sfruttano per il proprio tor-naconto, ma solo usufruttuari di un bene, manda-tari di un compito in un territorio che Dio ci affi-da, come avvenne sin dall’inizio della creazione,e con una responsabilità da condividere con ogniessere vivente (cf. Gen 1,26-30). La terra dunque ci è data come abitazione tempo-ranea, però con l’opportunità di realizzare la di-gnità del vangelo nella città di tutti. È questo ilcomportamento degno del Vangelo, che in greco

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Filippesi: Cittadinanzanei cieli

“Politeuomai”,con lealtà critica e responsabilità

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padri mangiano l’uva acerba e gli effetti si pro-lungano sui figli). Le promesse insegnano ad ac-cettare i tempi lunghi e non solo l’esigenza di unprodotto immediato (anche se oggi sembra valeresempre più il “tutto e subito”), sanno rischiare suprogetti a lungo termine il cui effetto si potrà ve-dere solo in futuro. È investire sulle persone più che sulle cose, sullaricerca più che sul consumo immediato (comeabramo in cerca di una patria per sé e il suo po-polo, che trascorre tutta la vita come “esplorato-re” della terra che sarà dei suoi discendenti), sullecoscienze da educare più che sui riti, che purepossono avere un grande significato coinvolgen-te, e sulla responsabilità prima che sull’apparire.

5. L’Esilio paradigma del cristiano nell’abitarela terra

Da luogo di maledizione l’esilio si è trasformatoper il giudaismo in occasione di rinnovamento.La prospettiva cristiana riprende il simbolo e lorielabora descrivendo la condizione del credentecome vita in Esilio. Già nella Seconda lettera aicorinzi Paolo, unendo il simbolo dell’esodo conquello dell’esilio, parla di vita in esilio lontanodal Signore finché siamo nel corpo, la nostra ten-da, in attesa di rivestirci di una abitazione celeste,eterna, dove ciò che è mortale venga assorbitodalla vita (5,1-10). Due testi possono essere utili al nostro discorso,la Lettera dello stesso Paolo ai Filippesi e la Pri-ma Lettera di Pietro. Quest’ultima, una specie diomelia battesimale, descrive il cristiano come“straniero e pellegrino” (pároikos, parepídēmos,2,11, citazione di Sal 39,13, cf anche 1,1.17). Idue termini definiscono una persona che vive in

Vita cristiana“in Esilio”

Stranieri e pellegrini

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dente e una chiesa possono rendere a ogni so-cietà, con libertà e coraggio, al di là della discus-sione se si operi in maggioranza o minoranza?Sembra essere lo stile vicino alle parabole del lie-vito e del sale più che all’ideale dei “regni cristia-ni”. L’impegno etico supera l’aspetto puramente pe-nale. La “sottomissione” (Rm 13,1.5) non è dovu-ta alla paura dell’ira, al giudizio punitivo delleautorità che hanno la spada per punire i malfatto-ri, ma nasce da una scelta religiosa, a immaginedel cristo «obbediente» fino alla morte e mortedi croce (Fil 2,8; Eb 5,8), in sottomissione al pia-no di Dio, per «compiere ogni giustizia» (Mt3,15). Lo sguardo al cielo, cioè a Dio e a cristo,non è fuga dal mondo, ma il riferimento per il no-stro agire religioso e morale e per la presa di co-scienza della nostra umanità. e la comunità cri-stiana di riferimento non è il rifugio intimistico,dove si sta bene insieme, ma l’ambiente di con-fronto per comprendere e vivere il vangelo conconsapevolezza e fare comune esperienza di vitacristiana e di crescita umana. Resta il primo am-bito o cerchio in cui si fa prova di “dialogo”, co-me indicava il papa Paolo vI nell’enciclica Ec-clesiam suam, per imparare a dialogare fruttuosa-mente con gli altri cerchi più ampi della fede edella società. allora Paolo può parlare insieme di cittadinanzanel cielo, come riferimento ultimo, e definire icristiani “concittadini dei santi” (Ef 2,19), piena-mente attivi, tutti, nell’unica comunità, che com-prende ebrei e pagani, partecipi della medesimacittadinanza, resi vicini dal sangue di cristo(2,13). Ma li considera anche “cittadini” a pienotitolo, che assumono il vangelo per animare ilmondo con lealtà e creatività, e misurano in talmodo la propria fedeltà a Dio, agli uomini e allaterra. Si tratta di una cosciente partecipazione alla

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Scelta religiosa:lealtà di frontealla legge, oltre la legge

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suona politeueomai, «comportarsi o agire da cit-tadini» (Fil 1,27), cioè liberi e coscienti dei pro-pri diritti e doveri e della propria dignità, protesiverso tutto ciò che è vero e buono, apprezzabiledavanti a Dio e agli uomini (4,8: in questo passoPaolo attinge dal linguaggio stoico oltre che bi-blico). Questa condizione impegna il credente auna riflessione sul vangelo e sulle realtà umane,per un agire nel mondo che sia “ragionevole” eutile per tutti. Del resto, nella Lettera ai Romani Paolo insistesulla lealtà critica, che sa anche opporsi, senzaconformarsi al “mondo”. ciò non significa sepa-rarsi. Diversamente dalla critica aspra contro ilpotere romano, ravvisato come diabolico nell’a-pocalisse, Paolo resta cittadino romano consape-vole e orienta a «fare il bene» inteso come assun-zione morale della responsabilità civile del cri-stiano in tutti gli aspetti della società in cui vive(Rm 13,1-10). Rendere a ciascuno ciò che è do-vuto, è dare a Dio e a cesare senza confusione(cf. Lc 20,25). Ritorna per altro verso l’atteggia-mento di Geremia nella «lettera agli esiliati».Il cristiano vive insieme la condizione del cittadi-no e dello straniero, solidale ma teso a ciò che è“oltre”, nello stile dei profeti, per creare comu-nità vivibili, cercando di condividere, per quantopossibile, dei valori comuni, compresa la fede; inogni caso, operando per il bene comune. È il«modo meraviglioso e, a detta di tutti, paradossa-le di essere cittadini», come ricorda il testo di ADiogneto (5,4): «abitano ciascuno la propria pa-tria, ma come stranieri residenti (pároikoi); a tut-to partecipano come cittadini (hos polítai) e a tut-to assistono passivamente come stranieri (xénoi).ogni terra straniera è per loro patria, e ogni patriaterra straniera… obbediscono alle leggi stabilite,eppure con la loro vita superano le leggi» (Ivi5,5.10). non è forse questo il servizio che un cre-

a Diogneto: Cittadini e stranieri

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1. Parole della terra

Insieme alla parola ‘mamma’, ‘papà’ è una delleprime che più spesso un bambino di questo mon-do impara a dire. Una delle prime parole median-te le quali inizia ad esprime il suo legame con lavita e, segnatamente, con l’uomo che, assieme aduna donna, gliene ha fatto dono e se ne prendecura. È questo nome, che sa così tanto di terra, diquanto accade di continuo e ovunque sulla facciadella terra, il nome che Gesù vede come il mi-gliore e più adatto per parlare di Dio. Per dire chiegli è, per nominarlo e rivolgersi a lui, per invo-carlo e benedirlo, per immaginarne e esprimerne isentimenti più profondi; quelli che Dio prova neisuoi confronti - il Figlio - e verso ciascuno deglialtri suoi figli e figlie. Dai racconti evangelici, del resto, risulta evidenteche Gesù non si è mai impegnato ad elaborare al-cuna sofisticata teoria, filosofica o teologica, conla quale abbia cercato dapprima di verificare lapossibilità di nominare Dio e abbia poi tentato diindividuare le parole e le definizioni che megliosi prestassero a farlo, perché particolarmente ido-nee a salvaguardarne la trascendenza o la com-pleta differenza rispetto al mondo e a qualsiasirealtà creata. Definizioni o espressioni sul generedi alcune diventate per noi classiche, quali «ilmotore immobile», per citarne una antica, oppu-

Sergio De Marchi

Una parolaumana per dire Dio

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vita sociale che assume un impegno responsabilee ragionevole, e opera in una condizione di li-bertà vissuta e consapevole, prima che rivendica-ta. Senza pretendere di avere soluzioni per tutto,ma accettando il confronto (e qualche fallimento)– con una tensione: la consapevolezza del limitedi ogni soluzione e istituzione umana e l’intelli-genza di imparare dalle scoperte che ogni uomova facendo, per diventare più esperti anche inumanità.

Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi

di don Sergio De Marchi

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parlare di Dio e di annunciarne il regno. Sono lapreoccupata ricerca di una pecora o di una mone-ta rispettivamente perdute da un pastore o da unadonna, e la compassione che muove un padre acorrere incontro ad un figlio perduto, a gettargli-si al collo e ad abbracciarlo, che Gesù richiamaai suoi uditori per rappresentare al vivo, alla loroimmaginazione, che cosa Dio sente e fa per chisi è smarrito (Lc 15). ed è invitandoli ad osser-vare ciò che succede ai corvi, ai gigli e all’erbadel campo che li porta ad avvertire quanto piùessi stiano a cuore a Dio e dunque quale fiduciapossano nutrire per la propria vita e per il pro-prio corpo. Poiché, certo, «la vita vale più del ci-bo e il corpo più del vestito», ma soprattutto per-ché, comunque, il Padre sa che, per vivere, essihanno bisogno sia del cibo che del vestito (Lc12,22-32).

Torniamo daccapo a sottolinearlo. non è elabo-rando un rarefatto quadro teorico che sospendaqualsiasi rimando a ciò che succede nel mondo enell’ambiente familiare, naturale, religioso, so-ciale, economico o politico dei suoi interlocutoriche Gesù parla loro di Dio e, annunciando l’av-vento del suo regno, ne fa loro sperimentare lasignoria. La constatazione di questo aspetto peculiare del-la sua figura ci introduce a coglierne uno piùglobale e comprensivo. Gesù appare essere nonsolo un uomo del suo tempo e della sua cultu-ra, ma anche un uomo la cui esperienza si ali-menta di uno sguardo, sul mondo e sullarealtà che lo circonda, penetrante e riflessivo.avvertito della disparità dello stato sociale di«quelli che vestono abiti di lusso» e «stanno neipalazzi dei re» (Mt 11,4), o che indossano «vesti-ti di porpora e di lino finissimo» e «ogni giorno»possono darsi «a lauti banchetti» (Lc 16,19), ri-

Sergio De Marchi

Gesù un uomodel suo tempo, la cui esperienza si alimenta di uno sguardoriflessivo sul mondo

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re, per citarne una moderna, «il totalmente altro». Gesù è un israelita, la tradizione religiosa nellaquale è cresciuto gli ha trasmesso un senso moltoforte della santità e della trascendenza divina -Dio è il Santo (Os 11,9), il tre volte Santo (Is6,3)1 -, eppure non teme di insegnare a quanti l’a-scoltano che Dio è appunto «il Padre», quel Pa-dre del quale essi possono avvertire le autentichedisposizioni verso di loro riferendosi, ad esem-pio, al gesto così umano con il quale essi danno«cose buone» ai loro figli (Mt 7,11). Il Padre dainvocare affinché il suo regno venga presto, ma acui non avere paura di domandare anche «il panequotidiano», necessario per la loro vita in terra(Lc 11,3). anzi, Gesù non solo non teme di chiamare Dioricorrendo abitualmente ad una parola tanto fa-miliare e di uso comune com’è il termine Padre,ma lo chiama persino «l’agricoltore»: «il Padremio è l’agricoltore» (Gv 15,1). Un altro nomeche, ben lontano dal giudicare inadatto perchévalutato eccessivamente compromesso da riso-nanze e immagini terrene, egli considera appro-priato e in grado di condurre a pensare bene dilui, capace cioè di aprire la via a comprenderequal è la cura che Dio pone nel coltivare il lega-me che congiunge i discepoli a Gesù, tralci inne-stati sulla vite. I riferimenti a situazioni, a circostanze e avveni-menti particolari e concreti, propri delle condi-zioni di vita degli uomini e delle donne che Gesùincontra sono peraltro costanti nel suo modo di

Il tre volte Santo è Padre

Agricoltore

Esperienzeumane per dire Dio

1 «La rappresentazione della santità di Dio non si lascia fissare inun ambito o nell’altro. essa serve piuttosto a dare l’espressioneadeguata alla unicità di Dio nei confronti del mondo profano» (R.Rendtorff). va poi tenuto presente che «lo sperimentare il santo co-me il “totalmente altro” si fonda su una concezione del profano checorrisponde alla mentalità moderna» (h.-P. Müller).

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scussioni in atto circa la risurrezione dei morti(Mc 12,18-27), il ripudio della donna da partedel marito (Mc 10,1-11), l’identità davidica delmessia (Mt 22,41-46), il primo dei comandamen-ti (Mc 12,35-37), il giuramento (Mt 23,16-22).

2. Sim-patia per la vita

Radicato nel suo tempo e nella sua terra, neglistessi ambienti di vita delle persone che incon-tra, è qui che Gesù attinge le parole, le imma-gini, i riferimenti grazie ai quali adempie2 allamissione che riconosce essergli stata affidatadal Padre. Di sicuro non banale o improvvisato,ma neppure dettato dal mero bisogno di trovaredegli espedienti che gli permettano di comunica-re con maggiore facilità, questo suo modo diesprimersi lascia trasparire in lui un sentireappassionato nei confronti della vita degli uo-mini e dell’intero mondo creato.Un sentire che nasce da una attenzione pienadi sim-patia per tutto quanto Dio ha creato.Rivolta da Gesù ai bambini, ai ragazzi che gioca-no sulla piazza o ai braccianti che là al mattinoaspettano d’essere assunti, a una donna che ma-cina il grano o impasta la farina, ad una samari-tana che attinge dell’acqua ad un pozzo, o a unpubblicano intento a riscuotere le imposte, ma ri-volta anche al mutare delle stagioni e del tempo,alla semina e al raccolto, al fulmine e al soffiaredel vento, ai buoi, agli asini, alle serpi, alle peco-re e ai lupi.Un sentire appassionato che, oltre a scaturireda una attenzione piena di sim-patia per ciascuna

Sergio De Marchi

Il sentire appassionato di Gesù nei confrontidella vita

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spetto alla condizione del servo che, rientrato dapascolare il gregge o da arare, non siede a tavolabensì prepara il pasto per il padrone, attendendoche egli abbia mangiato e bevuto, e soltanto do-po può a sua volta mangiare e bere (Lc 17,7-9);oppure rispetto allo stato sociale dello schiavoche, a differenza del figlio, «non resta per sem-pre nella casa» (Gv 8,35). Lo sguardo di un uo-mo consapevole della dignità dell’operaio e delsuo diritto al salario (Lc 10,7), della difficile si-tuazione economica - e non solo economica -sperimentata da coloro che sono costretti a chie-de del denaro a prestito (Lc 6,34) o hanno con-tratto dei debiti (Mt 19,23,31), di quello che suc-cede nei tribunali (Lc 12,58-58), dei contrastiche si vengono talora a creare tra fratelli (Lc12,13) o delle ingiustizie che un figlio può com-piere nei confronti dei suoi stessi genitori - «“Seuno dichiara al padre o alla madre: ciò con cuidovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, nongli consentite di fare più nulla per il padre o lamadre» (Mc 7,11-12).non solo. Tutt’altro che estraneo alle vicende delsuo tempo, Gesù manifesta di conoscere benequali siano le conseguenze che derivano dall’oc-cupazione straniera - il tributo che Israele devepagare in quanto sottoposto al dominio romano(Mc 12,13-17), la tragica fine toccata a «quei ga-lilei il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere in-sieme a quello dei loro sacrifici» (Lc 13,1), l’e-sercizio da parte della dinastia erodiana di unasovranità limitata e condizionata al beneplacito eall’investitura dell’occupante (Lc 19,12). Da giu-deo del suo tempo, poi, oltre a frequentare la si-nagoga e il tempio, ad osservare le festività litur-giche stabilite dal culto ebraico e le norme dellaLegge, dimostra non soltanto di conoscere la sto-ria del suo popolo e le sue Scritture ma prendeanche personalmente posizione in merito alle di- 2 Sul piano dell’espressione discorsiva.

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grande è la tua fede! avvenga per te come deside-ri» (Mt 15,28); «chi di voi se ha un amico e amezzanotte va da lui a dirgli: “amico, prestamitre pani”» (Lc 11,5); «Un samaritano […] passan-dogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli sifece vicino» (Lc 10,33-34).D’altra parte, mentre coglie tutto questo, que-sto ‘elementare della vita’, Gesù ha netta lapercezione che esso importa anche a Dio. anzi,a lui più che a ogni altro - «Quanto più il Padrevostro!» (Mt 7,11). Il dolore e la gioia di una ma-dre nel dare alla luce un figlio, il bene incompa-rabile rappresentato dalla vita di ogni uomo odonna per il semplice fatto di essere la vita di unuomo o di una donna, il loro vicendevole amore,la loro dedizione ai figli che hanno generato, lapresenza di amici fedeli sui quali poter contare, lafede nella prova, la consolazione e il sollievo dipoter riabbracciare una persona cara che si erasmarrita, il soccorso recato ad uno sconosciutoaggredito lungo la via. alla luce dell’esperienzadi Dio che Gesù ha, egli avverte che su ciascunadi queste di queste situazioni dell’esistenza – e suogni altra che sia loro analoga – il Padre continuaa posare compiaciuto quello stesso suo sguardoche, «da principio» (Mt 19,4), posò sull’operadelle sue mani, allorché «vide che era cosa moltobuona» (Gn 1,25). Gesù sente che in ognuna di queste situazioni,in specie nelle relazioni interpersonali in cui es-se affondano le loro radici, è serbata l’anticabenedizione che Dio non ha mai smesso di pro-nunciare sui suoi figli e che segretamente, con-sapevoli o meno che ne siano, sostiene e inco-raggia la loro fiducia nei confronti della loroesistenza nel mondo. e apre l’uomo e la donna adamarsi l’un l’altro, a donare la vita, a prendersenecura e farla crescere. Spinge un samaritano a pro-digarsi in favore di un estraneo. Sollecita un padre,

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L’elementaredella vita importa anche a Dio

Dio non ha maismesso di pro-nunciare la suaantica benedi-zione

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creatura, rivela d’essere il frutto di un cuore3

che si è lasciato a lungo interrogare e abitaredalle persone incontrate e dalle situazioni vis-sute. E ha cercato di comprendere il senso dicui le une e le altre sono custodi. Afferrando,da un primo lato, la loro verità ‘elementare’.ossia portando in piena luce quei tratti e aspettidella vita che si possono appunto denominare‘elementari’: perché comuni all’esperienza di vitadelle donne e degli uomini della terra e, insieme epiù ancora, perché fanno vivere la loro vita: lanutrono e la orientano, donandole significato, gu-sto, forza, luce, conforto, pace. È quell’‘elementare della vita’, proprio della no-stra comune condizione umana, che non sfuggeallo sguardo di Gesù e risuona in non poche dellesue affermazioni: «La donna, quando partorisce,è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma quan-do ha dato alla luce il bambino, non si ricorda piùdella sofferenza, per la gioia che è venuto almondo un uomo» (Gv 16,21); «La vita vale piùdel cibo e il corpo più del vestito» (Lc 12,23);«anche se uno è nell’abbondanza la sua vita nondipende da ciò che possiede» (Lc 12,15); «Un uo-mo vale ben più di una pecora!» (Mt 12,12); «chidi voi, al figlio che gli chiede un pane, darà unapietra?» (Mt 7,9); «L’uomo lascerà suo padre esua madre e si unirà a sua moglie e i due divente-ranno una carne sola. Per questo non sono piùdue, ma una carne sola» (Mc 10,7-8); «Donna,

Un cuore che si è lasciato interrogare

L’elementaredella vita

3 Il termine ‘cuore’ ricorre spesso nelle parole di Gesù, riferito siaalla sua persona (Mt 11,29) sia a quella dell’uomo in genere (Mc6,52; 7,15-16; Mt 5,8; 13,13-15; 18,36; 22,37; Lc 6,45; 8,15;24,25.31.45; Gv 12,39-40). Tanto nell’antico che nel nuovo Te-stamento, ‘cuore’ indica sentimento, ma, assai più di frequente ein maniera precisa «indica l’organo della conoscenza, e con essaunita la volontà, i suoi progetti le sue decisioni la sua mentalità, lacoscienza e la obbedienza consapevole e sincera» (h.w. wolff).

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rigione per il figlio epilettico, ad un tempo implo-randolo per se stesso: «credo; aiuta la mia incre-dulità», (Mc 9,24), l’immagine esemplare di unadi queste situazioni in cui accade appunto che sisia invasi dall’oscurità e si percepisca tutta la fa-tica di continuare a credere che la vita sulla terrarappresenti davvero il dono primo e benedettoche Dio dà alle sue creature e dà, in particolare, acoloro che ha fatto a sua somiglianza. I lunghianni di malattia del figlio hanno minato e corrosola fiducia nella vita che l’ha spinto a generarlo, ehanno altresì indebolito la sua fede nel Dio cheIsraele conosce e invoca come il Dio della vita(Nu 27,16; 2Mac 14,46), colui che ne è la sorgen-te (Sl 35,10) e la ama (Sap 11,26). Ma lo sguardo e il sentire di Gesù non sono quellidi un ingenuo, anche per una seconda decisiva ra-gione: egli stesso ha pagato a caro prezzo lapropria fede nel Padre (cf. 1Co 7,23; 1Pt 1,18-19). ha imparato a condividere lo sguardo di Diosulla vita degli uomini e delle donne che abitanola terra, riconoscendo a sua volta che essa è unavita benedetta - che essa è fin dall’origine deside-rata e voluta da Dio come «buona», «molto buo-na», ed è da lui amata (Sap 11,26) -, attraverso lasua «carne» (Gv 1,14). La storia di Gesù, che pure rappresenta la vicen-da di un uomo che con le sue libere scelte non èmai venuto meno alla sua comunione con il Pa-dre, risulta portare, tra l’altro, i segni di quella fa-tica che è connaturale al vivere di ciascuno. Unafatica dalla quale egli appare non essersi mai di-spensato e che, secondo l’autore della Letteraagli Ebrei, gli ha domandato di apprendere «l’ob-bedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8). Di impa-rare cioè a vivere la propria esistenza di uomo-Fi-glio riponendo la sua fiducia nel Padre: e di farloanche passando attraverso la prova alla quale so-no esposti tutti quelli ai quali è diventato fratello

Sergio De Marchi

Gesù ha pagatoa caro prezzola propria fedenel Padre

Imparò l’obbedienzadalle cose che patì

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anziché a respingere un figlio sconsiderato che siera perduto, a restituirgli intatta la sua dignità fi-gliale. Trae dalle viscere di una madre l’invocazio-ne d’aiuto per la propria bambina ammalata.

ciò che abbiamo definito come il sentire appas-sionato di Gesù - che nasce da una attenzionepiena di sim-patia per tutto quanto Dio ha creatoed è frutto di un cuore che si è lasciato a lungointerrogare e abitare dalle persone incontrate edalle situazioni vissute - non è il sentimento in-genuo di uno sprovveduto. La compassione checosì di frequente i vangeli narrano aver preso Ge-sù di fronte a chi egli vedeva ferito nel corpo enell’anima svela in lui i recessi di un cuore che siè lasciato raggiungere, toccare, coinvolgere dallasofferenza dell’altro, dal suo grido e dalle do-mande che, tacite o espresse, questo grido portain sé. La fede che Gesù ha nella benedizione semprepronunciata da Dio su ciascun uomo e donna esulla loro esistenza nel mondo, quella benedizio-ne che egli riconosce da loro testimoniata e con-fessata soprattutto nelle tante buone relazioni divicendevole prossimità delle quali in innumere-voli situazioni si dimostrano capaci - le tantebuone relazioni di prossimità e di dono che fannoumana la loro esistenza e rendono abitabile la ter-ra -, non gli impedisce di vedere il buio che puòinvadere la loro anima e attentare alla loro fidu-cia/fede nella benedizione stessa e nel Dio che lapronuncia. Quando si è attanagliati dal dolore delcorpo malato, o gravati dal peso del proprio pec-cato, o lacerati dall’alienazione dello spirito, op-pure soli e impotenti davanti alla sofferenza o al-la perdita di una persona cara, o quando ci si tro-va a patire la violenza e la prevaricazione. Forse non è improprio ravvisare nell’episodioevangelico del padre che implora da Gesù la gua-

Sim-patia perquanto Dio ha creato non è sentimento ingenuo

La fatica del credere

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ga messa una macina da mulino e sia gettato nelmare» (Mc 9,42). Le parole assai dure che Gesùsi dimostra capace di pronunciare in merito a si-tuazioni e comportamenti tornano a confermareche la sua percezione della realtà non è riportabi-le alla visione che potrebbe averne un ingenuo,ed è anzi lucidamente segnata dalla consapevo-lezza del male che le persone sono anche in gra-do di compiere. Sapere che gli uomini riesconoanche ad essere cattivi e ad agire male, tutta-via, non offusca i suoi occhi trasformandolo inun profeta sempre intento alla denuncia e allacondanna. C’è molto di più e di differente nelmondo.c’è molto altro che Gesù guarda ammirato, e sucui attira l’attenzione dei discepoli – e non solodi loro. ci sono i bambini, ai quali «appartiene ilregno di Dio» (Mc 10,13-16). c’è una vedova po-vera che nel tesoro del tempio «ha gettato più ditutti» (Lc 21,2). ci sono «i poveri» (Lc 6,20) e«quelli che sono nel pianto», «i miti», «quelli chehanno fame e sete della giustizia» o che sono«perseguitati per la giustizia», «i misericordiosi»,«i puri di cuore», «gli operatori di pace» (Mt 5,3-11). c’è un pagano, ascoltando il quale Gesù nonpuò trattenersi dal manifestare il suo stupore: «InIsraele non ho trovato nessuno con una fede cosìgrande!» (Mt 8,10). c’è una donna addolorata peril proprio peccato, della quale Gesù dice che èperdonata «perché ha molto amato», e che eglicongeda assicurandole: «La tua fede ti ha salvata;va’ in pace!» (Lc 7,36-50). La parola di Gesù - che sa anche farsi esigente ecritica, o mettere precise condizioni a chi lo vuo-le seguire (Mc 8,34) -, in queste e in altre situa-zioni analoghe si limita, grata e autorevole, aconferire piena visibilità a ciò che già c’è, giàsuccede, ed è donato di constatare a chiunquenon voglia chiudere gli occhi: la condizione dei

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Consapevolezzadel male e visione positiva

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condividendone «il sangue e la carne» (Eb 2,14)4. Fidarsi del Padre - da un lato dando credito al suoaffetto e alla sua parola, senza cedere alla sugge-stione demoniaca che vorrebbe spingerlo a chie-dere a Dio di dimostrare la sua paternità verso dilui, dall’altro rendendogli testimonianza presso isuoi fratelli e le sue sorelle attraverso l’esclusivadedizione di sé (cf. Mt 4,3-10; 27,39-43) - è l’esi-to di un cammino che Gesù ha percorso provandoegli stesso che «la carne è debole» (Mc 14,38 par.Mt 26,41); dunque non senza impegno, confron-tandosi con la tentazione, passando per la valleoscura della «paura» e dell’«angoscia» (Mc14,33)5. Il suo sguardo, che riconosce nella vitaun dono e una benedizione, scaturisce dalleprofondità dell’anima di un uomo e Figlio che hapianto per la perdita di un amico e che, all’avvici-narsi della sua «ora», si dichiarerà «triste fino allamorte» (Mc 14,34; cf. Gv 12,27).

3. Fiducia nella vita e fede nel Padre

«chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli checredono in me è molto meglio per lui che gli ven-

Fidarsi del padre

4 «carne e sangue» è una comune descrizione della condizioneumana. L’ordine di successione dei due termini è inconsueto nelnuovo Testamento. La precedenza riservata al sangue «potrebbeessere tesa a evocare le sofferenze associate alla condizione uma-na. entrambi i termini, in ogni caso, possono indicare la debolezzae la fragilità del genere umano» (h.w. attridge).

5 ciò che Ebrei esprime dicendo che «durante i giorni della sua vi-ta terrena offrì preghiere e suppliche con un forte grido e lacrime»(5,7ab). L’esperienza terrena di Gesù che può corrispondere alladrammatica descrizione del v. 7 è descritta da Mc 14,33 al Getse-mani. Ma il testo più vicino all’espressione di Eb 5,7 potrebbe es-sere anche Gv 12,27: «che devo dire: Padre, salvami da quest’o-ra?».

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Il vangelo, il lieto annuncio di Gesù è incentratosul Dio e Padre che si fa vicino ai suoi figli comecolui che, avendo a cuore la loro vita, desideraunicamente prendersene cura. È a tale desiderio,a cui Dio, «dal principio», non è mai venuto me-no, che Gesù si sente chiamato a rende una ine-quivocabile testimonianza con ciascuna delle pa-role e azioni del suo ministero (Lc 4,16-21). La fiducia/fede che apre di continuo ogni uomo edonna alla vita e alle sue buone promesse, quellafiducia/fede senza della quale non potrebberoabitare la terra né vivere insieme, né potrebberodel resto accogliere l’annuncio di Gesù, non na-sce da un autoinganno della loro mente con ilquale si provano a nascondere i lati oscuri di unaesistenza altrimenti insopportabile. Tramite cia-scuna delle parole che egli pronuncia e dei gestiche opera in nome e con la potenza di Dio, Gesùmostra e assicura che al suo inizio e a suo perma-nente fondamento sta l’instancabile dedizione delPadre al loro bene. cosicché il credito che essidanno alla vita – donando, generando, dedicando-si, perdonando, edificando, amando, patendo, ac-cogliendosi – è in pari tempo il credito che dannoal «Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt11,25; cf. Gen 1,1). ne siano o meno consapevo-li, è fiducia, è fede riposta nel Dio creatore dellavita. Si tratta dunque di un credere che nasce dal dono,sempre primo e preveniente, del Padre. Ma è in-separabilmente, inestricabilmente, un credereche, pure se reso possibile dal dono, si esercita inun atto sempre personalissimo e libero - «La tuafede». Un atto così legato alla libertà personale,che ci si può anche rifiutare di porre, sebbene da-vanti alla evidenza più eclatante - «e si meravi-gliava della loro incredulità» (Mc 6,6).a partire dalla sua singolare e unica esperienza dicredente, Gesù apre il cammino (Eb 12,2) a quan-

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Fede ripostanel Dio creatore della vita

Dono del Padree atto personalissimo

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bambini a cui il Regno appartiene semplicementeperché sono bambini, l’enormità del gesto di unavedova, la fede di due ‘lontani’, la beatitudine diuomini e donne umili, puri di cuore, dediti alleopere della giustizia, della misericordia, della pa-ce. Da dove può avere origine tutto questo bene,questa vita buona e benedetta, se non dall’a-zione del Padre che «opera sempre» (Gv 5,17):e, in corrispondenza ad essa, se non dalla fidu-cia che, nascosta o manifesta che sia, portafrutto ovunque, nell’esistenza di innumerevolipersone, le più diverse e non di rado insospet-tate? È la fiducia con cui i bambini si dischiudo-no, tramite chi li ama, alla vita, e una vedova dàtutto, due ‘lontani’ implorano un rabbi di nazaret,tanta gente patisce, conduce una esistenza umile,si spende in favore di altri e di ciò che rende pos-sibile abitare il mondo.In più di una occasione, Gesù non esita a nomi-nare questa fiducia chiamandola fede. Una fe-de che, in grazia delle sue parole e azioni, di-viene in modo compiuto e consapevole fede nelDio e Padre che ora, mediante Gesù stesso, èdato incontrare e sperimentare come il Dio cheregna solo salvando, guarendo, perdonando,incoraggiando, sollevando. Eppure una fedeche già è presente, tangibile in molti di coloroche l’incontrano. Persone spesso anonime, de-scritte nel momento in cui Gesù riconosce in lorodegli autentici, se non addirittura straordinari,credenti: «coraggio, figlia, la tua fede ti ha guari-ta» (Mt 9,22), «va’, la tua fede ti ha salvato» (Mc10,52), «abbi di nuovo la vista! La tua fede ti hasalvato» (Lc 18,42) – laddove invece, in manieraquasi paradossale, sono i discepoli ad essere nondi rado rimproverati come gente dalla fede debo-le o esigua (Mt 8,26; 16,8; 17,20) o ad essere per-sino apostrofati come increduli (Mc 16,14).

L’azione del Padre che opera sempre

Fiducia e fede

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tutti e di ciascuno. Potendo così esserne testimo-ni consapevoli: perché sovente e nelle circostanzepiù disparate queste già sono le opere compiute ele relazioni vissute di non poche persone. oppu-re, qualora non lo fossero, potendolo diventare.come accadde un giorno ad uomo di nome Zac-cheo, che «cercava di vedere chi era Gesù»: e fuda lui liberato dall’oscurità che per tanto tempol’aveva tenuto prigioniero, e introdotto ad unanuova e fino ad allora inimmaginata esperienzadella vita - «Do la metà di ciò che possiedo ai po-veri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattrovolte tanto» (Lc 19,8).

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ti lo accolgono e credono in lui conducendoli ariconoscere che Dio non ha altro volto se nonquello del suo Dio e Padre. Le cui intenzioni e icui sentimenti verso di loro sono le intenzioni e isentimenti che essi possono vedere di volta involta testimoniati dalla guarigione di Bartimeo,dalla risurrezione della figlioletta di Giairo, dallamisericordia e dal perdono sperimentati da Levi,dall’amicizia con cui Gesù ha ricambiato l’ospi-talità e l’amicizia di Lazzaro e delle sue sorelle,dalla sua gioia piena di gratitudine per l’acco-glienza del Regno da parte dei piccoli, dalla suacompassione per le folle stanche e smarrite che locercano, e da ogni suo altro gesto, sentimento, at-teggiamento o parola. così, in grazia dell’incontro con Gesù, chi acco-glie la sua testimonianza come l’autentica e ine-guagliabile manifestazione del volto di Dio vienecondotto a ‘toccare con mano’ che da lui, il Padre- che con tutta sicurezza Gesù chiama «il buono»,il solo buono (Mt 19,17), - può soltanto derivareil dono di una vita buona e benedetta, da lui fe-delmente amata e instancabilmente curata. e vie-ne altresì condotto a riconoscere che all’originedella fiducia/fede con cui abita la terra - quella fi-ducia/fede senza della quale non potrebbe darecredito alla vita e alle sue promesse: e amare ecercare e spendersi, né potrebbe dischiudersi alvangelo – non vi è altri che lui, «il buono». IlDio al quale ci si può dunque consegnare senzaalcuna riserva, in completa fiducia, sempre. D’altro canto, le donne e gli uomini che attra-verso Gesù, grazie alla sua vita - e, da ultimo,alla sua morte e risurrezione - hanno final-mente il dono di vedere il Padre (Gv 14,9), pos-sono in pari tempo ravvisare quali sono le au-tentiche relazioni e le sole opere che davveroconsentono loro di vivere, come singoli e insie-me, facendo della terra una casa ospitale, di

L’incontro con Gesù porta a consegnarsisenza riservasempre al Padre

Chi ha vedutoil Padre in Gesù, conosce le relazioni e le opere che fanno dellaterra una casaospitale

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Presentazione 3

abitare nel giardino in edendi don Giampaolo Dianin 7

abitare nel desertodi don Celestino Corsato 27

abitare la terra promessadi don Giuseppe Toffanello 37

abitare in “esilio”di don Marcello Milani 51

Il verbo si fece carne ed abitò tra noidi don Sergio De Marchi 67

INDICE

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Sussidi reperibili sul sito www.istitutosluca.it

Incontri vicariali

Incontro vicariale residenziale 2009Coordinare: stile di vita nella comunità cristiana

Giornata di incontro sul “bene comune” 2009Il discernimento comunitario

Incontro dei consigli pastorali parrocchiali 2008Il dono e il compito di consigliare nella Chiesa

Incontro vicariale residenziale 2008Cristiani per il bene comune

Incontro residenziale vicariale 2007Lo Spirito Santo e noi…

Tre giorni vicariale 2006 - Dove abiti?Unire fede e vita: la formazione nella comunità cristiana e in famiglia

Tre giorni vicariale 2005 - che cercate?Unire fede e vita:la formazione nella comunità cristiana

Tre giorni vicariale 2003 - Presbiteri in ascoltoPrima parte: vivere e comunicare la fede oggiSeconda parte: schede

Tre giorni vicariale 2002 - Presbiteri per la comunione in vicariatoPrima parte: finalità, metodologia, percorsoSeconda parte: schede

Settimane di sinodalità presbiterale

Il presbitero uomo e credente (Borca di cadore, autunno 2001)

“Con voi… per voi”. Verso l’unità di vita (Borca di cadore 2004)

Abita la terra e vivi con fede (Borca di cadore 2010)

Quaderni dell’Istituto San Luca

1. Narrare la fede, Padova, dicembre 2002.

2. Presbiteri in ascolto per vivere e comunicare la fede oggi, Padova,giugno 2003.

3. In comunione fraterna con i sacerdoti anziani e malati - Nuovo sta-tuto dell’EdasPadova, agosto 2003.

4. «Con voi per voi»: verso un’unità di vitaPadova, giugno 2004.

5. Verso un’unità di vita. Diario di un camminoPadova, settembre 2005.

6. “Non ho tempo”. Vivere con serenità il tempoPadova, ottobre 2005.

7. “Lasciare il tempo a Dio”Padova, novembre 2005.

8. “Nel giorno del Signore radunatevi”Padova, gennaio 2006.

9. “Il tempo della fragilità”Padova, aprile 2006.

10. “Essere figli”Padova, ottobre 2006.

Page 45: Abita la terra e vivi con fede - Istituto San Luca quaderno SL 2010.pdf · leggono tutta la realtà del mondo con la lente dZingrandimento del mito e del rito 1. Il mito è una forma

Quaderni dell’Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri

D I o c e S I D I P a D o v a

11. “Essere fratelli”Padova, gennaio 2007.

12. “Essere preti oggi”Padova, marzo 2007.

13. “La catechesi nella nostra diocesi”Padova, luglio 2007.

14. Speranze e fatiche... la preparazione al Convegno presbiterale di AsiagoPadova, ottobre 2007.

15. “Essere padre e madre” spiritualità presbiteralePadova, novembre 2007.

16. “Le comunità cristiane e i musulmani”Padova, settembre 2008.

17. “La reciprocità tra uomo e donna”Padova, ottobre 2008.

18. “Mi rivolgo a voi”Padova, novembre 2008.

19. “Servitori della Parola”Padova, gennaio 2009.

20. “Il dono dell’anzianità”Padova, settembre 2009.

21. “Presbiteri in relazione nell’anno sacerdotale”Padova, dicembre 2009.

SUPPLEMENTO REDAZIONALE A COR CORDIS n 7 - 2010Periodico del Seminario Vescovile di Padova, via del Seminario 29 - 35122 Padova.

Direttore responsabile Antonio Barbierato. Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 55 del 28-11-1951spediz. in abb. postal e art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - filiale di Padova.

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