Un dio abita dentro ciascuno di noi - HUB Campus

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© Mondadori Education 1 Seneca Un dio abita dentro ciascuno di noi (Epistulae ad Lucilium, 41,1-5) L’epistola 41, l’ultima del IV libro, affronta un tema caro a Seneca, più volte accennato nei Dialogi e ricorrente nelle Epistulae ad Lucilium: quello del deus internus. Il motivo, che ha ampi riscontri nelle dottrine filosofiche dell’antichità, in Seneca si inquadra, dal punto di vista teorico, nella prospettiva tutta stoica del lògos universale, principio divino generatore dell’universo e «ragione» immanente nel mondo: l’uomo, e in particolare il vir bonus che vive secondo virtù e saggezza, guardando dentro di sé si scopre parte di quel lògos, si scopre egli stesso dio. Seneca LuciLio Suo SaLutem [1] Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam mentem, quam stultum est optare cum possis a te impetrare. Non sunt ad caelum elevandae manus nec exorandus aedituus ut nos ad aurem simulacri, quasi magis exaudiri possimus, admittat: prope est a te deus, tecum est, intus est. [2] Ita dico, Lucilii: sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos; hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo 1 Facis … est: quam … impetrare: «che è sciocco desiderare quando puoi ottenerla da te»; l’antecedente del relativo quam è bona mens, è la saggezza in quanto «buona salute dello spirito»; optare indica il «desi- derare» qualcosa, facendone ogget- to di preghiera agli dèi. • aedituus: il sostantivo (da aedes, «tempio») indica «il guardiano del tempio», che poteva far entrare o allontana- re i fedeli. • ut nos … admittat: «per- ché ci faccia avvicinare all’orecchio della statua del dio, come se potes- simo più facilmente essere ascolta- ti»; exaudiri ha qui entrambi i signi- ficati di «essere ascoltati» e «essere esauditi». 2 Ita … deus: hic … tractat: «questo (ovvero lo spirito divino) si com- porta con noi a seconda di come è stato trattato da noi»; prout è in correlazione con ita («a seconda di come … così»). • an … exsurgere?:

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Un dio abita dentro ciascuno di noi(Epistulae ad Lucilium, 41,1-5)

L’epistola 41, l’ultima del IV libro, affronta un tema caro a Seneca, più volte accennato nei Dialogi e ricorrente nelle Epistulae ad Lucilium: quello del deus internus. Il motivo, che ha ampi riscontri nelle dottrine filosofiche dell’antichità, in Seneca si inquadra, dal punto di vista teorico, nella prospettiva tutta stoica del lògos universale, principio divino generatore dell’universo e «ragione» immanente nel mondo: l’uomo, e in particolare il vir bonus che vive secondo virtù e saggezza, guardando dentro di sé si scopre parte di quel lògos, si scopre egli stesso dio.

Seneca LuciLio Suo SaLutem

[1] Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam mentem, quam stultum est optare cum possis a te impetrare. Non sunt ad caelum elevandae manus nec exorandus aedituus ut nos ad aurem simulacri, quasi magis exaudiri possimus, admittat: prope est a te deus, tecum est, intus est. [2] Ita dico, Lucilii: sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos; hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo

1 Facis … est: quam … impetrare: «che è sciocco desiderare quando puoi ottenerla da te»; l’antecedente del relativo quam è bona mens, è la saggezza in quanto «buona salute dello spirito»; optare indica il «desi-derare» qualcosa, facendone ogget-to di preghiera agli dèi. • aedituus:

il sostantivo (da aedes, «tempio») indica «il guardiano del tempio», che poteva far entrare o allontana-re i fedeli. • ut nos … admittat: «per-ché ci faccia avvicinare all’orecchio della statua del dio, come se potes-simo più facilmente essere ascolta-ti»; exaudiri ha qui entrambi i signi-

ficati di «essere ascoltati» e «essere esauditi». 2 Ita … deus: hic … tractat: «questo (ovvero lo spirito divino) si com-porta con noi a seconda di come è stato trattato da noi»; prout è in correlazione con ita («a seconda di come … così»). • an … exsurgere?:

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nemo est: an potest aliquis supra fortunam nisi ab illo adiutus exsurgere? Ille dat consilia magnifica et erecta. In unoquoque virorum bonorum

(quis deus incertum est) habitat deus.

[3] Si tibi occurrerit vetustis arboribus et solitam altitudinem egressis frequens lucus et conspectum caeli <densitate> ramorum aliorum alios protegentium summovens, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae in aperto tam densae atque continuae fidem tibi numinis faciet. Si quis specus saxis penitus exesis montem suspenderit, non manu factus, sed naturalibus causis in tantam laxitatem excavatus, animum tuum quadam religionis suspicione percutiet. Magnorum fluminum capita veneramur; subita ex abdito vasti amnis eruptio aras habet; coluntur aquarum calentium fontes, et stagna quaedam vel opacitas vel immensa altitudo sacravit. [4] Si hominem videris interritum periculis, intactum cupiditatibus, inter adversa felicem, in mediis tempestatibus placidum, ex superiore loco homines videntem, ex aequo deos, non subibit te veneratio eius? non dices: «ista res maior est altiorque quam ut credi similis huic in quo est corpusculo possit?». [5] Vis isto divina descendit; animum excellentem, moderatum, omnia tamquam minora transeuntem, quidquid timemus

«o forse qualcuno può, senza il suo aiuto, elevarsi al di sopra della for-tuna?». • Ille … erecta: «Egli dà con-sigli nobili ed elevati», cioè «ispira grandi ed eroiche imprese»; erec-tus, nell’accezione traslata di «eroi-co», «nobile», compare solo qui in riferimento ad azioni. • In unoquo-que … deus: «In ciascun uomo vir-tuoso “(quale dio non si sa) abita un dio”»; citazione di un verso di Virgi-lio (Eneide, 8, v. 352).3 Si tibi … sacravit: Si tibi … faciet: ordina Si lucus frequens arboribus vetustis et egressis solitam altitu-dinem et summovens conspectum caeli densitate ramorum protegen-tium aliorum alios («che impedisce la vista del cielo per l’addensarsi dei rami che si coprono l’un l’al-tro») tibi occurerit, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae tam densae atque continuae in aperto tibi faciet fidem numinis; arboribus è ablativo di abbondanza in dipendenza da frequens (qui nel senso di «fitto, folto»), aggettivo di lucus, cui si riferisce anche il par-ticipio summovens («che allontana, che impedisce»); il participio egres-sis (da egredior) è usato con valore transitivo («che superano»); densi-tate è un’integrazione congetturale, indispensabile a colmare la lacuna

nel testo (manca infatti, nel testo tràdito, un termine che regga il ge-nitivo ramorum); secretum, neutro sostantivato dell’aggettivo secretus, ha qui il significato di «solitudine»; admiratio è costruito con il genitivo oggettivo umbrae («la meraviglia destata da…»); in aperto (neutro sostantivato da apertus) significa «in aperta campagna»; l’espressio-ne fidem … faciet (+ genitivo) ha il senso di «attestare, assicurare». • Si quis … percutiet: «Se un antro dalle rupi profondamente scavate, fatto non dalla mano dell’uomo, ma scavato in una voragine così ampia (in tantam laxitatem) per cause naturali, terrà come sospeso un monte, colpirà il tuo animo per il presentimento (suspicione) di un religioso mistero»; quis è aggettivo indefinito, concordato con specus; saxis … exesis (da exedo, «corrode-re, scavare») può essere inteso sia come ablativo assoluto sia come ablativo strumentale; suspenderit (futuro anteriore, usato per la leg-ge dell’anteriorità) vale «tenere sospeso», detto dell’antro, che for-ma come un arco su cui poggia la sommità del monte. • capita: riferi-to a fiumi, ha il senso di «sorgente, origine». • subita … sacravit: «l’im-provviso scaturire di un vasto corso

d’acqua dalle profondità della terra riceve il suo culto (lett.: riceve alta-ri)»; ex abdito è neutro sostantivato dell’aggettivo abditus (lett.: «da un luogo nascosto», quindi «dalle pro-fondità della terra»). • aquarum … fontes: le «sorgenti di acqua calda» (calentium è participio presente di caleo, in funzione aggettivale) sono ovviamente le fonti termali. • et sta-gna … sacravit: «e alcuni laghi o la cupezza delle acque o la smisurata profondità li rese sacri». 4 Si hominem … possit?»: Si ho-minem … eius?: adversa è neutro plurale sostantivato; il participio videntem regge entrambi i comple-menti oggetti homines e deos; eius è genitivo oggettivo in dipendenza da veneratio. • non dices … possit?: «non dirai: “questo è un essere troppo grande e troppo alto per po-ter essere creduto simile a questo misero corpo nel quale si trova”?»; maior … altiorque quam ut … possit è la classica costruzione che espri-me l’idea di sproporzione.5 Vis … interest: Vis … descendit: «Una forza divina è discesa in lui»; isto è avverbio di moto a luogo (lett.: «là»). • animum … agitat: ordi-na caelestis potentia agitat animum excellentem, moderatum, transeun-tem omnia tamquam minora (lett.:

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optamusque ridentem, caeles-tis potentia agitat. Non potest res tanta sine adminiculo numinis stare; itaque maiore sui parte illic est unde descendit. Quemadmodum radii solis contingunt quidem terram sed ibi sunt unde mittuntur, sic animus magnus ac sacer et in hoc demissus, ut propius [quidem] divina nossemus, conversatur quidem nobiscum sed haeret origini suae; illinc pendet, illuc spectat ac nititur, nostris tamquam melior interest.

«come se minori, di minore impor-tanza»), ridentem quidquid timemus optamusque. • Non potest … descen-dit: «Un essere così grande non può mantenersi saldo (stare) senza il sostegno della divinità; dunque per la parte più nobile di sé è là da dove è disceso»; adminiculum (propria-mente, in senso concreto, «palo») ha il senso di «sostegno, appoggio»; stare vale «stare in piedi, reggersi in piedi», quindi «mantenersi sal-do»; maiore sui parte è ablativo di limitazione in dipendenza da est:

l’espressione indica qui l’anima del saggio. • Quemadmodum … origini suae: «Come i raggi del sole tocca-no, è vero, la terra, ma si trovano là, da dove sono inviati, così l’ani-ma grande e divina e inviata sulla terra (demissus) per questo, perché potessimo conoscere più da vicino le cose divine, dimora (conversatur) sì con noi, ma resta congiunta (hae-ret) alla sua origine»; in hoc è com-plemento di fine, prolettico rispetto alla successiva proposizione finale ut … nossemus (= novissemus); il

quidem all’interno di essa è espunto a ragione dagli editori, in quanto si tratta di un’infiltrazione penetrata nel testo per la vicinanza degli altri due quidem (contingunt quidem e conversatur quidem, entrambi con valore limitativo); divina è neutro plurale sostantivato. • illinc … inte-rest: «da essa (lett.: da lì) dipende, ad essa mira e anela, partecipa alle nostre faccende come un essere su-periore»; nostris è pronome neutro.

Guida alla lettura

LINGUA E STILE Il linguaggio dell’interiorità e il tema del deus internus Il tema del deus internus si modella, dandogli esso stesso forma, sul lin-guaggio senecano dell’interiorità; da qui l’uso innovativo e peculiarissimo di preposizioni e

avverbi che denotano la dimensione psichi-ca, interiore (intra, in), dotati in Seneca di una pregnanza semantica mai attestata prima. Il dio è intus Sul finire del paragrafo 1, la fra-se prope est a te deus, tecum est, intus est affer-ma la presenza di dio all’interno dell’uomo:

scansione in tre membri

→ interiorità (intus)

il dio non solo è vicino all’uomo e gli sta accanto, ma soprattutto è dentro di lui→ vicinanza (prope) →

→ concomitanza (tecum)

anafora di est → marca l’affermazione

allitterazione in t → ribadisce il concetto

Il dio è intra nos L’idea è ripresa all’inizio del paragrafo successivo nella sententia, for-temente allitterante, sacer intra nos spiritus

sedet: intra nos prosegue sulla linea dell’inte-riorizzazione del linguaggio, già annunciata dall’uso peculiare di intus (il latino classico si

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sarebbe espresso usando il più generico in nobis); la preposizione intra, spesso unita a pronomi personali, si specializza in Seneca a designare non più o non tanto la dimensio-ne spaziale, quanto piuttosto quella interio-re, psichica (in questo senso intra si oppone a extra, nella coppia polare dentro / fuori, dall’animo umano). Una citazione da Virgilio Alla fine del pa-ragrafo Seneca torna a ribadire il concetto, utilizzando un verso virgiliano: in unoquoque virorum bonorum (quis deus incertum est) ha-bitat deus. In Virgilio, il verso (Eneide 8, v. 352) appartiene alla descrizione che Evandro fa a Enea dei luoghi dove sorgerà la futura Roma, e in particolare di un bosco che ricopriva il Campidoglio, che gli abitanti del luogo crede-vano abitato da una divinità: «“Questo bosco” disse “questo colle dalla cima frondosa (qual dio non si sa) certo lo abita un dio”»; Seneca interiorizza la citazione virgiliana, adattando-la a significare la dimora del dio nel cuore de-gli uomini virtuosi.

TEMI E MOTIVILa tradizione mistico-religiosa e la filosofia platonica Il motivo del deus internus affonda le proprie radici nella sfera mistico-religiosa, e si lega in primo luogo alla sconvolgente esperienza del divino nei culti orgiastici e mi-sterici, nonché nell’invasamento profetico (in particolare nel culto di Dioniso e di Apollo). La filosofia si appropria di questa tradizione e la utilizza per definire l’essenza dell’anima; per Platone (Timeo, 90) l’anima, la parte più divina dell’uomo, si identifica con il dàimon, principio di natura divina che è stato infuso dal dio come una sorta di ‘genio tutelare’. La dottrina stoica Lo stoicismo introdu-ce, all’interno del motivo e della definizione dell’anima umana, un significativo sposta-mento d’ottica; mentre la dottrina platonica aveva infatti messo l’accento su una generica natura divina dell’anima, gli stoici riconosco-

no in essa la manifestazione più alta del lògos immanente nel mondo, la divinità che è diffu-sa in ogni creazione, animata e non. L’anima è essa stessa dio, poiché viene riconosciuta come una sua emanazione diretta, come par-te di lui; l’uomo non deve innalzare templi agli dèi, ma ‘coltivare’ il vero dio che è dentro di lui, nel suo spirito e nella sua mente. Teologia e morale vengono così a coincidere: praticare la vera religione equivale a praticare la virtù.La posizione di Seneca: fra platonismo e stoicismo, senza originalità Dal punto di vi-sta dei contenuti, l’epistola di Seneca mostra il proprio debito dottrinale nei confronti della tradizione platonico-stoica, e non rivela tratti di spiccata originalità. Se, nei paragrafi inizia-li, l’immagine del sacer spiritus che alberga all’interno dell’uomo (e in particolare del bo-nus vir, l’uomo saggio e virtuoso), consiglian-dolo e indirizzandone le azioni in qualità di observator e custos, rimanda alla concezione del demone platonico, l’idea più propriamen-te stoica dell’anima come emanazione del lògos universale compare al paragrafo 5, nel paragone con i raggi del sole che irradiano la terra pur restando in cielo: allo stesso modo l’anima del saggio, che partecipa della forza divina discesa in lui, dimora solo fisicamen-te sulla terra, ma spiritualmente in cielo, da dove proviene, e verso questo suo principio tende continuamente. Questa forza divina (vis divina o caelestis potentia) discesa nel sag-gio si esprime in un animo superiore, equili-brato, indifferente a tutto ciò che è umano e mortale, libero da timori e desideri (animum excellentem, moderatum, omnia … transeun-tem, quidquid … ridentem): in una parola, nella virtù.La presenza del dio nella natura… Al para-grafo 3 Seneca elenca una serie di luoghi o spettacoli naturali in grado di ispirare nell’uo-mo un senso di religioso timore e il presen-timento della presenza divina: boschi, che suscitano venerazione per l’antichità e l’al-

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tezza degli alberi e l’ombra fittissima che li avvolge; spelonche scavate nei fianchi delle montagne; fiumi e sorgenti. L’elenco di que-ste manifestazioni della natura, tradizional-mente associate a culti o miti (sia i boschi che i corsi d’acqua erano spesso nell’antichità og-getto di culto, e venivano consacrati a varie divinità), sottintende in Seneca l’opposizione tra due diversi tipi di sentimento religioso: la religio cui allude il filosofo è non solo e non tanto il «timore superstizioso» provocato dal mistero e dalla suggestione di quei luoghi, quanto la vera e propria consapevolezza del-la presenza divina nella natura. Nel proemio delle Naturales quaestiones Seneca chiarisce appunto come la contemplazione della natu-ra guidi alla scoperta del principio divino im-manente nel mondo, permetta di risalire al dio (par. 3: «Pertanto rendo grazie alla natura quando ho la possibilità di contemplarla non da quella parte per la quale si mostra a tutti,

ma quando sono entrato nei suoi recessi più reconditi, quando imparo a conoscere quale sia la vera sostanza dell’universo, chi ne sia l’autore e il custode, che cosa sia dio»).… e nel saggio Lo stesso sentimento – ar-gomenta Seneca – dovrà destare la visione dell’uomo saggio, di cui al paragrafo 4 sono riassunte le caratteristiche: l’incrollabilità di-nanzi al pericolo e alle avversità (interritum periculis … inter adversa felicem, in mediis tem-pestatibus placidum), l’indifferenza a piaceri e passioni (intactum cupiditatibus), la supe-riorità rispetto agli uomini (ex superiore loco homines videntem), l’uguaglianza dinanzi agli dèi (ex aequo deos). Come di fronte allo spet-tacolo della natura, così anche di fronte allo ‘spettacolo’ del saggio e di queste sue quali-tà così eccezionali (troppo grandi per essere contenute nel suo misero corpusculum), si ot-tiene dunque la certezza della presenza del dio in lui.