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Mensile di cultura religiosa e popolare Mensile di cultura religiosa e popolare www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1 Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Novembre 2008 / n. 11 Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata. www.frateindovino.eu - [email protected] Abbonnement - Poste - Taxe Perçu È sempre da presuntuosi voler dare il voto alla scuola. Dunque, più che sulle forme organizzative e sui percorsi del sistema sco- lastico nazionale di cui oggi molto si parla, vale la pena ragionare su quale ne sia lo scopo e come si raggiunga. Gli uomini, fin dalla fonda- zione del mondo hanno avu- to il problema di trasmettere il sapere via via accumulato dalle generazioni. Gli anima- li hanno l’istinto, per cui per- fino l’amore diventa un fat- to automatico: scatta solo in certi periodi dell’anno. Ma l’uomo è anche un ani- male. Per certe funzioni bio- logiche, che condivide con tutte le creature. I suoi biso- gni materiali sono comunque indisginguibili da quelli spiri- tuali. Tant’è che sono i valo- ri a stabilire la gerarchia del- le necessità fisiche, da soddi- sfare secondo esigenze detta- te dalla cultura, in ogni comu- nità. Il primo studio da farsi - ha scritto Simone Weil, grandissima pensatrice, mor- ta giovane più di sessanta an- ni fa - è quello dei bisogni che sono per la vita dell’anima l’e- quivalente dei bisogni di nu- trimento, di sonno, di calore, per la vita del corpo. Primo fra tutti è il bisogno di radicamento, di sentirsi par- te di una comunità viva, che ha accumulato grazie alla fa- tica e all’intelligenza degli antenati un patrimonio di co- noscenza, una storia di even- ti, una memoria di personag- gi, una capacità di stabilire dei rapporti tra la terra e il cielo, l’esperienza di leggi naturali ed eterne. Tutto que- sto forma la bellezza del mon- do, ed è precisamente l’obiet- tivo dell’educazione e dell’i- struzione in ogni società sta- bile, cioè intesa a realizzare il bene comune. Non so quanto questa finalità ideale sia accolta nei program- mi ministeriali e praticata nel presente dentro alle aule sco- lastiche. Si consideri che poi tutto passa attraverso la figu- ra degli insegnanti, a loro vol- ta formati in certe scuole e università. Per cui va a finire che è questione di fortuna, se si incontrano o meno dei buoni docenti, che avvertano la grande e non quantificabi- le responsabilità di plasmare i discenti. Gli istituti scolastici dovrebbero guadagnarsi la lo- ro buona fama costituendo un complesso di formatori invi- diati dai concorrenti, siano pubblici o privati. continua a pagina 2 *docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia La situazione finanziaria dall’Oriente all’Occidente è in grave e perdurante difficoltà. Negli USA si assiste alla caduta dei giganti, che produce un pauroso effetto domino. Nelle borse si continua a sentir parlare di giorni neri e di tracolli. Dove stanno andando i nostri risparmi? di Ulderico Bernardi* Intervista, servizi e approfondimenti alle pagine 3, 4 e 5 C on la brutta stagione, nel- la quale stiamo entrando, con le notti lunghissime e gelide, le piogge prolungate e le ne- vicate, la loro già precaria situazio- ne peggiorerà ulteriormente. Si sta parlando dei senza casa e senza di- mora. La categoria ormai non com- prende più soltanto i barboni. La “povertà di strada” si è fatta ades- so più variegata. Dai singolari, non di rado coloriti, personaggi quasi... per vocazione orientatisi a campa- re alla giornata dove e come possi- bile, in adesione alla propria indo- le, la categoria si è spinta ad ab- bracciare altre figure, “sbandati” nostrani oppure immigrati. Quale consistenza numerica ha questo “popolo”, in Italia e in Europa? Qual è, nel dettaglio, la sua esi- stenza? Nel tentativo di dare rispo- ste esaurienti a questi interrogativi nel vecchio continente nel 2010 si svolgerà l’anno degli homeless. Nel nostro Paese, tra infinite dif- ficoltà, sta procedendo il censimen- to generale di quelli che un tempo erano denominati “vagabondi”. Conducono l’operazione il Ministero del Welfare, l’Istat, la Caritas, la federazione che rag- gruppa le circa 70 associazioni di diversa connotazione che si occu- pano da tempo formalmente e in- formalmente dei privi di tetto e di residenza stabile. Mettendo a frut- to gli elementi nelle loro mani que- sti organismi hanno sin d’ora mes- so a punto un quadro approssima- tivo della realtà. In Italia attualmente gli homeless oscillano tra i 70mila e i 100mi- la; circa l’82% sono maschi, il 18% sono femmine. La loro età spazia dall’adolescenza alla vec- chiaia; prevalgono (30,9%) quel- li tra i 28 e i 37 anni; sono parec- chi (23,1%) pure quelli fra i 38 e i 47 anni; il 16% hanno dai 48 ai 57 anni; il 15,5% contano me- no di 27 anni; l’8,7% vanno dai 58 ai 64 anni; gli ultrasessanta- cinquenni costituiscono il 5,8% del totale. Tra gli homeless non mancano i laureati (3,9%); più del 17% hanno un diploma di scuola media superiore; il 34% cir- ca hanno ottenuto la licenza me- dia; gli altri, se non sono analfa- beti, poco ci manca. Nella mas- sa, come numero, immigrati e ita- liani si equivalgono, o quasi, ne- gli anni che stanno correndo; in passato il rapporto, ovviamente, era diverso, nel senso che clo- chards e “barboni” erano quasi tutti indigenti. servizio a pagina 5 Il popolo della strada Dove vanno i nostri soldi PIÙ IMPORTANTE I poeti e il futuro dell’italiano Geo De Ròbure a pagina 15 di Mario Collarini CANZONI Il “Signore delle Cime” ha 50 anni Magda Bonetti 15 ALI/TAGLIA Come sarà il nuovo decollo? Claudio Bonvecchio 6 STATI UNITI Casa Bianca, lo sprint finale Claudio Todeschini 7 EDUCAZIONE Il bambino quando è iperattivo Bruno del Frate 9 LA PROMOZIONE Ennesima riforma della scuola: che non sia solo forma

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Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Ottobre 2007 / n. 10Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Agosto 2007 / n. 8Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Luglio 2007 / n. 7www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Novembre 2008 / n. 11

Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.

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Èsempre da presuntuosivoler dare il voto allascuola. Dunque, più

che sulle forme organizzativee sui percorsi del sistema sco-lastico nazionale di cui oggimolto si parla, vale la penaragionare su quale ne sia loscopo e come si raggiunga.Gli uomini, fin dalla fonda-zione del mondo hanno avu-to il problema di trasmettereil sapere via via accumulatodalle generazioni. Gli anima-li hanno l’istinto, per cui per-fino l’amore diventa un fat-to automatico: scatta solo incerti periodi dell’anno. Ma l’uomo è anche un ani-male. Per certe funzioni bio-logiche, che condivide contutte le creature. I suoi biso-gni materiali sono comunqueindisginguibili da quelli spiri-tuali. Tant’è che sono i valo-ri a stabilire la gerarchia del-le necessità fisiche, da soddi-

sfare secondo esigenze detta-te dalla cultura, in ogni comu-nità. Il primo studio da farsi- ha scritto Simone Weil,grandissima pensatrice, mor-ta giovane più di sessanta an-ni fa - è quello dei bisogni chesono per la vita dell’anima l’e-quivalente dei bisogni di nu-trimento, di sonno, di calore,per la vita del corpo. Primo fra tutti è il bisogno diradicamento, di sentirsi par-te di una comunità viva, cheha accumulato grazie alla fa-tica e all’intelligenza degliantenati un patrimonio di co-noscenza, una storia di even-ti, una memoria di personag-gi, una capacità di stabiliredei rapporti tra la terra e ilcielo, l’esperienza di legginaturali ed eterne. Tutto que-sto forma la bellezza del mon-do, ed è precisamente l’obiet-tivo dell’educazione e dell’i-struzione in ogni società sta-

bile, cioè intesa a realizzare ilbene comune. Non so quanto questa finalitàideale sia accolta nei program-mi ministeriali e praticata nelpresente dentro alle aule sco-lastiche. Si consideri che poitutto passa attraverso la figu-ra degli insegnanti, a loro vol-ta formati in certe scuole euniversità. Per cui va a finireche è questione di fortuna, sesi incontrano o meno deibuoni docenti, che avvertanola grande e non quantificabi-le responsabilità di plasmare idiscenti. Gli istituti scolasticidovrebbero guadagnarsi la lo-ro buona fama costituendo uncomplesso di formatori invi-diati dai concorrenti, sianopubblici o privati.

➣ continua a pagina 2*docente di sociologia dei processi

culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia

La situazione finanziaria dall’Oriente all’Occidente è in grave e perdurante difficoltà. Negli USA si assiste alla caduta dei giganti,

che produce un pauroso effetto domino. Nelle borse si continua a sentir parlare di giorni neri e di tracolli. Dove stanno andando i nostri risparmi?

di Ulderico Bernardi*

Intervista, servizi e approfondimenti alle pagine 3, 4 e 5

Con la brutta stagione, nel-la quale stiamo entrando,con le notti lunghissime e

gelide, le piogge prolungate e le ne-vicate, la loro già precaria situazio-ne peggiorerà ulteriormente. Si staparlando dei senza casa e senza di-mora. La categoria ormai non com-prende più soltanto i barboni. La“povertà di strada” si è fatta ades-so più variegata. Dai singolari, nondi rado coloriti, personaggi quasi...per vocazione orientatisi a campa-re alla giornata dove e come possi-bile, in adesione alla propria indo-le, la categoria si è spinta ad ab-bracciare altre figure, “sbandati”nostrani oppure immigrati. Qualeconsistenza numerica ha questo“popolo”, in Italia e in Europa?Qual è, nel dettaglio, la sua esi-stenza? Nel tentativo di dare rispo-ste esaurienti a questi interrogativinel vecchio continente nel 2010 sisvolgerà l’anno degli homeless.Nel nostro Paese, tra infinite dif-ficoltà, sta procedendo il censimen-to generale di quelli che un tempoerano denominati “vagabondi”.Conducono l’operazione ilMinistero del Welfare, l’Istat, laCaritas, la federazione che rag-gruppa le circa 70 associazioni didiversa connotazione che si occu-pano da tempo formalmente e in-formalmente dei privi di tetto e diresidenza stabile. Mettendo a frut-to gli elementi nelle loro mani que-sti organismi hanno sin d’ora mes-so a punto un quadro approssima-tivo della realtà.In Italia attualmente gli homelessoscillano tra i 70mila e i 100mi-la; circa l’82% sono maschi, il18% sono femmine. La loro etàspazia dall’adolescenza alla vec-chiaia; prevalgono (30,9%) quel-li tra i 28 e i 37 anni; sono parec-chi (23,1%) pure quelli fra i 38e i 47 anni; il 16% hanno dai 48ai 57 anni; il 15,5% contano me-no di 27 anni; l’8,7% vanno dai58 ai 64 anni; gli ultrasessanta-cinquenni costituiscono il 5,8%del totale. Tra gli homeless nonmancano i laureati (3,9%); piùdel 17% hanno un diploma discuola media superiore; il 34% cir-ca hanno ottenuto la licenza me-dia; gli altri, se non sono analfa-beti, poco ci manca. Nella mas-sa, come numero, immigrati e ita-liani si equivalgono, o quasi, ne-gli anni che stanno correndo; inpassato il rapporto, ovviamente,era diverso, nel senso che clo-chards e “barboni” erano quasitutti indigenti.

➣ servizio a pagina 5

Il popolodella strada

Dove vanno i nostri soldi

PIÙ IMPORTANTE

I poeti e il futurodell’italiano

Geo De Ròbure a pagina 15

di Mario Collarini

CANZONI

Il “Signoredelle Cime”ha 50 anniMagda Bonetti

15

ALI/TAGLIA

Come saràil nuovodecollo?Claudio Bonvecchio

6STATI UNITI

Casa Bianca,lo sprintfinaleClaudio Todeschini

7EDUCAZIONE

Il bambinoquando èiperattivoBruno del Frate

9

LA PROMOZIONEEnnesima riforma della scuola: che non sia solo forma

2 / Novembre 2008

Cos’ha fatto di male?Cos’ha fatto di cosìtanto male da dover vi-

vere (vivere?) scappando, at-torniato da quattro angeli cu-stodi armati che giorno dopogiorno gli fanno compagnia ol-tre a proteggerlo? E non ha an-cora trent’anni. Cos’ha fatto dicosì pericoloso e cattivo da do-ver subire gli strali di un certoEmilio Fede, sì, quel direttoredel tg di una rete che dovreb-be (per legge, ma la leggedov’è?) starsene sul satellite eche invece senza contraddito-rio alcuno lo spernacchia van-tandosi : “Io non mi sono mai la-mentato di dover vivere sottoscorta”? Parola d’onore, io l’hovisto Fede scortato. Arrivava aBergamo (probabilmente daMilano) seguito da due auto-mobili con tanto di lampeg-giante in funzione per andarea tagliarsi i capelli da un par-rucchiere di grido della città.Poveretto, che vita!Per Roberto Saviano l’esisten-za è un pochino più complica-ta, ammettiamolo. Il suo erro-re, l’errore che lo ha condan-nato a una vita in fuga, lonta-

no da amici parenti e fidanza-ta, senza un casa (perché nes-suno è così pazzo da affittarglie-la) è stato quello di scrivere unlibro. Un libro in cui raccontanient’altro che la verità. La ve-rità su una realtà di questa tri-ste e un po’ sporca penisola: c’èun gruppo dipotere, i casale-si di Casal diPrincipe pro-vincia di Ca-serta, che gesti-sce affari, drogae crimini allar-gando i confini,e di molto. Daquelle partiquesti pseudoimprenditoripadroni dellavita e dellamorte del Casertano usanotutti i mezzi legali e illegali pergestire il territorio. E fuori di lìgli imprenditori puliti, pu-litissimi, del nord si avvalgonodei loro servizi per svariati in-terventi. Per esempio trovareun posto per smaltire rifiuti tos-sici, per esempio recuperaremanodopera a basso costo per

abiti griffati e borsette degli sti-listi più di grido che poi verran-no venduti a costi esorbitanti. Il giovane Saviano raccontaepisodi che in fondo tutti cono-scono o di cui tutti hanno sen-tito parlare. Racconta, descrive,pubblica. Sarebbe andato tutto

liscio, per lui,se fosse finita lì.Se Gomorranon avesseavuto un segui-to inimmagina-bile. Invece illibro vende, epoi stravende,scala le classifi-che nazionali epoi viene tra-dotto in mezzomondo. Nonsolo, Gomorra

diventa un film, un film di suc-cesso che rappresenterà l’Italiaagli Oscar. Tutto questo clamo-re obbliga tutti a smettere dichiudere gli occhi: nessuno piùpuò far finta di nulla, nessuno,dai politici alle forze dell’ordi-ne, dall’ultimo degli abitantidella Campania agli insegnan-ti della zona, può continuare a

ficcare la testa sotto la sabbia.I casalesi sono nel mirino, arri-vano arresti, pentimenti, tito-loni sui giornali: gli imprendi-tori del malaffare sono smasche-rati davanti all’opinione pubbli-ca. È questo il guaio di RobertoSaviano: i suoi occhi sono di-ventati gli occhi di tanti, di tan-tissimi, spalancati su quel mon-do fino a ieri silenzioso e nasco-sto. E quel mondo gliel’ha giu-rata. Senza appello. Sono arri-vati a minacciarlo perfino suuna rete nazionale. A Matrix,Canale 5, una parente diSandokan-Schiavone che lavo-ra in una scuola ha urlato al mi-crofono dell’intervistatrice:“Ma che gli abbiamo fatto (sottin-teso noi casalesi) a quello? Gli ab-biamo ammazzato il fratello? Gliabbiamo stuprato la fidanzata?”.Un messaggio che non ha biso-gno di esperti decodificatori peressere interpretato. È così cheun ragazzo diventa “l’uomo piùsolo del mondo”. È così che ungiovane che ha solo il coraggiodi raccontare la verità diventaun eroe. C’è qualcosa di marcioin questo Paese.

Diletta Rocca

Condannato a una vita in fuga

Gli abolizionisti hanno puntato non soltan-to sulla ormai superata attualità e utilità del-la lingua degli antichi Romani, ma anchesulla natura “aristocratica” della medesima:“Svigorire il latino è il modo più semplice perrendere tutti uguali”. Affermazione che co-stantemente ha trovato da parte dei fauto-ri del latino la seguente replica: “Tutti ugua-li, certamente, ma nell’ignoranza!”. E questonon tanto per la non padronanza di un cer-to modo di comunicare, di un certo strumen-to per conoscere, quanto piuttosto per la nonassimilazione, nell’abbandono del latino, ditutto un retroterra di basilare importanza.“In altri Paesi avanzati - ha spiegato AttilioOliva - si è provveduto da tempo a riconsi-derare quali discipline e competenze debbanoritenersi indispensabili nella scuola dell’obbli-go. Per le lingue classiche si è preferito, in ge-

nere, riservare l’insegnamento a chi manife-sta un autentico e motivato interesse. In talmodo il latino e il greco antico hanno assun-to il carattere di materie specialistiche in am-bito letterario e sono state rimpiazzate con lostudio obbligatorio oppure opzionale delle lin-gue straniere moderne”.Il leader della “Treelle” ha ricordato la pro-posta, da tempo avanzata da qualcuno, diuna materia del tutto nuova che, sacrifican-do le strutture strettamente linguistiche, va-lorizzi quella cultura latina e greca che co-stituisce l’humus delle nostre radici. Ma au-torevoli studiosi si sono fatti subito avan-ti a far presente che “il latino è in se stessouna grande scuola di formazione: non è sol-tanto il ‘rosa rosae’, ma specialmente una di-sciplina mentale. È anche un grande eserciziodi mnemotecnica”.

Ufficialmente da noi il 41% degli alun-ni delle scuole medie superiori stu-dia il latino. Il dato si colloca al pri-

mo posto nel mondo. Altrove, quasi ovun-que, negli istituti di istruzione oltre il livel-lo basilare, l’accostamento alle lingue clas-siche antiche è opzionale; e così la percen-tuale di coloro che la abbracciano è abbastan-za bassa: oscilla tra l’1 e il 15%, con l’ecce-zione della Francia, dove essa arriva al 19%.La realtà italiana che sta al di là dei nume-ri, però, non consente di pavoneggiarci. Duedomande ci mettono alle corde. Come vie-ne insegnato, da noi, il latino? Come vienestudiato? Lasciamo perdere - per la molte-plicità dei fattori che andrebbero presi inconsiderazione - la risposta al primo inter-rogativo. Per sbloccare il secondo quesitopuò bastare un’altra cifra: il 39% degli stu-denti dei nostri licei con il latino tra gli in-segnamenti obbligatori arriva sulla soglia de-gli esami di maturità con “debiti” conosciti-vi proprio nella lingua di Cicerone, Tacitoe Giulio Cesare. Soltanto la matematica nemette in crisi di più (i “carenti” in essa, almomento del rendiconto, risultano il 51%).Pure greco classico e lingue straniere in ge-nere lasciano il segno (esponendo al “rosso”rispettivamente il 37 e il 27% degli alunni). A rimettere in orbita la questione del lati-no nelle nostre scuole - questione che, traalti e bassi di attenzione, si trascina daglianni ’50-’60 in qua - è stata l’Associazione“Treelle” che, sotto la guida dell’ex impren-ditore Attilio Oliva, attivamente si sta pro-digando con precise proposte per migliora-re il panorama dell’istruzione pubblica nelnostro Paese. Questo sodalizio ha condot-to una ricerca intitolata “Latino perché, la-tino per chi?”, condensandone i risultati inun volume posto al centro di un convegnoorganizzato in un’università di Roma.

CONTROLUCE Roberto Saviano autore di Gomorra

Il latino c’è ma quanti lo studiano?UNA LINGUA CON ENORMI POTENZIALITÀ FORMATIVE MA… ENZO DOSSICO

➣ dalla prima

Purtroppo sono più spesso ilcaso, le regole sindacali operfino le raccomandazioni,

a mettere in cattedra maestri eprofessori. E una volta fatta, nonci sarà praticamente più la pos-sibilità di rivedere la scelta. Daquando in testa alle persone si èposto il concetto che i diritti ven-gono comunque prima dei dove-ri tutto si è fatto più difficile.Immiserendo il ruolo della co-scienza. In questo scenario gene-rale di precarietà delle relazioniumane, dove l’individualismo lafa da padrone e anzi viene fattocoincidere con il progresso, ogniriforma della scuola è per forzadestinata a rimanere solo parzial-mente soddisfacente. Il ritorno al maestro unico: buo-na cosa per rafforzare il senso diaffetto e la consuetudine al dia-logo nella delicata età formativa.Nulla vieta che si allarghi la cer-chia docente con portatori di co-noscenze specifiche: dalla religio-ne, al computer, all’inglese. Il grembiule scolastico: buona co-sa per rafforzare il senso di appar-tenenza a una comunità. Peccatoci si limiti a quest’aspetto. Nellescuole anglosassoni, per esempio,oltre alla divisa, si sollecita lo spi-rito di comunità con una largapratica sportiva nella scuola, e inaltre forme che spingono allacompetizione e alla comparazio-ne. Tornerà utile per ridare allaparola Patria il suo valore, nelconfronto fecondo con ogni altraPatria del mondo. Il voto di condotta, che premia ladedizione ai doveri e punisce lamancanza di rispetto verso la per-sona umana, è forse la più saggiatra le misure ora proposte dallanuova ministra della PubblicaIstruzione. Per tornare a SimoneWeil, la quale considera la puni-zione un bisogno vitale dell’ani-ma umana, ciò che conta è forni-re ai giovani la consapevolezzache il provvedimento punitivo vaconsiderato un’educazione sup-plementare ad essere maggior-mente devoti al pubblico bene.Vale per il bullo o il vandalo mi-norenne, come per il cittadinoadulto. Sempre che si consideril’età evolutiva come il cuore del-la formazione, da cui verrà a di-pendere il comportamento nellealtre fasi del ciclo vitale. C’è un interesse che si colloca aldi sopra di ogni altro: realizzareil benessere comunitario attraver-so l’educazione al rispetto dellapersona umana in quanto tale.Uomo, donna, bianco, nero, oc-cidentale, orientale, abile e diver-samente abile, adulto e fanciul-lo. Nessuno nasce formato. La de-licatezza del compito (dovere)che tocca agli educatori, dentroalla famiglia e nelle istituzioni,dalla Chiesa, allo Stato, alle as-sociazioni di ogni genere che for-mano la rete intermedia della so-cialità, è grande e investe ciascu-no.

La promozionepiù importante

di Ulderico Bernardi

Autore di un libro di denuncia che scala

le classifiche di vendita e dal quale è tratto anche

un film in corsa perl’Oscar, il giovane Saviano

è costretto alla scorta e alla solitudine.

Frate Indovino - Perugia

Periodico mensile di cultura popolare e religiosa della Provincia Umbra dei Frati Minori Cappuccini.Direttore responsabile: Mario Collarini. Direttore tecnico-amministrativo: Tarcisio Calvitti. RegistrazioneTribunale di Perugia n. 257 - 58 N. 11 B. Prov. T.I. 1-7-’58. Spedizione in abbonamento postale artico-lo 2 comma 20/c legge 662/96 - filiale di Perugia. Conto corr. postale 4069 intestato a: “Frate Indovino” Via Severina 2 - Casella Postale - 06124 Perugia.

Produzione letteraria riservata. Vietato il plagio e qualsiasi riproduzione in qualsiasi lingua. N. dep. 1185 Edizioni Frate Indo-vino. Direzione, Redazione, Amministrazione e uff. abbonamenti: Via Marco Polo, 1bis - 06125 Perugia, tel.075.5069350 - 075.5069351 - fax 075.5051533, tutti i giorni lavorativi in orario di ufficio (dalle ore 08.00 al-le 12.30 e dalle ore 15.00 alle 18.30) escluso il venerdì pomeriggio e il sabato. Ogni cambiamento di domici-lio deve essere segnalato allegando contestualmente l’indirizzo apposto sull’etichetta dell’ultimo numero rice-vuto. L’abbonamento può essere disdetto in qualsiasi momento, rivolgendosi all’ufficio abbonamenti, per let-tera o telefonicamente. I manoscritti e le fotografie anche se non pubblicati non vengono restituiti.

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3 / Novembre 2008

Azioni Documenti che rappresentano l’unitàdi misura della partecipazione del so-cio alla società e, pertanto, anche l’in-sieme di diritti e doveri legati allo sta-tus di socio. Ogni azione ha un valorenominale e un valore di mercato.

Capitalizzazione di un titoloÈ il valore che si ottiene moltiplican-do il prezzo di mercato del titolo peril numero totale dei titoli della spe-cie emessi. Sommando la capitalizza-zione di tutti i titoli del listino si ot-tiene la capitalizzazione del mercato(o di borsa).

Dividendo La quota di utili di una società pagataai propri soci in ragione delle rispettivequote o azioni da ciascuno possedute.

Dow Jones Indice azionario della borsa americana cheriunisce i 30 titoli capofila di settore.

Fondi ComuniUna forma per investire i propri rispar-mi, in base alla quale si affida una de-terminata somma a una società di ge-stione del risparmio che svolge profes-sionalmente l’attività di intermediazio-ne mobiliare. Si dice “comune” perchéconcorrono a formarlo molti risparmia-tori e di “investimento” perché le som-me raccolte devono essere investite. Lapartecipazione al fondo avviene attra-verso le quote, in base alle quali ven-gono ripartiti i guadagni.

Indice La grandezza rappresentativa dei prez-zi dei titoli quotati in Borsa. Permette

di valutare l’andamento del mercato.Esempi di indici di Borsa in Italia so-no l’S&P/Mib, il Mib30, il Mibtel, ilMidex e il Numtel.

L’indice dei prezzi al consumoÈ un paniere di beni e servizi, come ge-neri alimentari, abbigliamento, spesemediche, ritenuti validi indicatoridel costo della vita. La sua variazioneè utilizzata come indicatore del tassodi inflazione.

ObbligazioneUna singola frazione del prestito con-tratto da un’azienda direttamente conil mercato. All’emissione, l’azienda de-bitrice definisce il tasso al quale il pre-stito è regolato, la periodicità del paga-mento degli interessi, la data di scaden-za e rimborso, il valore delle quote.

Portafoglio Un insieme di azioni, obbligazioni e al-tri strumenti di investimento, quale adesempio un fondo comune. Si parla diportafoglio di un fondo per indicare ititoli su cui investe e di portafoglio delrisparmiatore con riferimento agli stru-menti finanziari in cui ha allocato ilproprio patrimonio.

Titoli di Stato Sono delle obbligazioni emesse dalloStato che riceve un prestito, per un cer-to periodo, da chi acquista il titolo. Allascadenza del titolo lo Stato rimborsa,oltre al capitale, anche un interesse. Gliinteressi possono essere corrisposti an-che durante la vita del titolo sotto for-ma di cedole.

pagina a cura diLaura Di Teodoro

Piccolo vocabolario minimo quotidiano“ spesso incomprensibiliPer muoversi fra termini

su Piazza AffariIndici che salgono e scendo-

no. Flussi di denaro che quo-tidianamente scuotono l’e-

conomia mondiale. Se da unaparte il mondo della borsa rap-presenta per molti una profes-sione, una “piazza” in cui inve-stire i propri risparmi o far cre-scere la notorietà e la ricchez-za della propria impresa, per al-tri le piazze finanziarie, le azio-ni, i titoli, i fondi comuni, re-stano luoghi e termini scono-sciuti. Eppure quelle “strane si-gle” (Mib30, Mibtel, S&P/Mibecc) sono espressione di unmercato che ogni giorno muovepiù soldi del Pil di un Paese, co-me spiega Andrea Beltratti, pro-rettore per l’Area Upper Gra-duate all’Università Bocconi diMilano e docente di finanza.

AZIONI, BASE DELLA RICCHEZZA PATRIMONIALEPartiamo dalla base, cercando dicapire e spiegare cos’è la borsa, nelsuo insieme.La borsa altro non è che unmercato dove si scambiano ti-toli rappresentativi di quote dicapitali di un’azienda che pro-ducono a loro volta dei reddi-ti. Non è una cosa astratta o sle-gata dal mondo economico per-ché la borsa incide ed è parteintegrante delle imprese.Un’azione infatti dà diritto apartecipare alla distribuzionedei profitti dell’azienda e rap-presenta lo strumento attraver-so cui si suddividono i rischinell’impiego del capitale.

Parliamo di azioni, quindi: si com-prano, si vendono. Ma cosa sono

queste amiche e nemiche dell’in-vestitore?Sono la base della ricchezza pa-trimoniale, titoli rappresentati-vi di una quota della proprietàdi una società. Il loro andamen-to, crescente o decrescente, èdirettamente collegato con leprospettive di crescita o menodell’impresa e la conseguentedomanda e offerta: se si prospet-ta un futuro difficile l’investito-re tende a vendere, se al con-trario le previsioni sono buonela domanda cresce.

Quanto contano l’esperienza e laconoscenza per chi si addentra nelmondo dei mercati e della finanza?La borsa è un mercato estrema-mente tecnico, nel quale unaprofonda conoscenza specialisti-ca è fondamentale. Anche perchi compie operazioni base, unminimo di esperienza serve sem-pre. Ci si può affidare a libri, adarticoli e confrontandosi con gliaddetti ai lavori. Per muoversinella giungla della borsa, è ne-cessario seguire alcuni puntichiave: diversificare il portafo-glio e quindi gli investimenti;non investire quote elevate nel-lo stesso titolo; essere sicuri cheil capitale investito comprendaesclusivamente denaro che nondebba poi essere utilizzato a bre-ve scadenza; riservarsi una cer-ta liquidità disponibile per potercogliere le occasioni per acqui-stare titoli convenienti determi-nati da periodi di calo generaliz-zato di tutta la borsa. Inoltre èopportuno ricordare che in bor-sa non esistono solo operazionicomplesse, è possibile, volendo,investire in modo semplice.

Per esempio, come? Acquistando fondi comuni,cioè strumenti finanziari cheraccolgono il denaro dei rispar-miatori, destinandolo a investi-menti in azioni, obbligazioni, ti-toli di Stato o in una combina-zione di titoli per opera di So-cietà di Gestione del Risparmio.Una seconda soluzione potreb-be essere quella di costruire por-tafogli diversificati, riducendocosì il rischio di subire perditea causa della perdita del singo-lo titolo.

COME SI È SCATENATOLO TSUNAMI DALL’AMERICA ALL’ASIACome si è arrivati all’attuale situa-zione di crisi partita come uno tsu-nami dagli Stati Uniti?I motivi sono due: da una par-te si è verificata una crisi del si-stema finanziario degli StatiUniti che ha avuto pesanti ri-cadute anche in Asia e in Eu-ropa. È una situazione grave chesegna un momento di cambia-mento importante della situa-zione economica. Dall’altra parte si è verificato unrallentamento economico, ter-mometro di una preoccupazio-ne che era nell’aria. Oggi piùche mai è forte il timore che, afronte del fallimento delle ban-che, possa verificarsi una crisidei consumi e quindi un impat-to negativo sul commercio in-ternazionale che sarà ribaltatosu tutta la rete mondiale, cau-sando una pesante recessione.

Ergo quell’effetto domino di cuispesso si sente parlare…Esatto. Tutto è interconnesso.

Quando si parla di borsa e in-vestimenti, non esistono confi-ni. Il capitale finanziario è mo-bile e in quanto tale tocca Paesivicini e lontani.

Tra i fattori della crisi finanzia-ria ha inciso sicuramente la crisidei mutui. Ci può spiegare cosaè successo?La crisi dei mutui in America èstata determinata dalla conces-sione di mutui a persone chenon avevano la certezza di pa-gare le rate future perché in dif-ficoltà economica, senza un la-voro stabile. A causa dei man-cati pagamenti, risolti in proce-dure di insolvenze, i titoli deri-vati sui mutui sono scesi comeprezzi, innescando una crisi diliquidità delle banche esposte euna perdita di prezzo dei fondiche avevano investito in queltipo di strumento finanziario.

GLI ITALIANI PIÙ ABITUATI DEGLI USAA INVESTIRE IN BORSAQuanto incide la borsa nella vitaquotidiana degli italiani?Gli italiani, rispetto agli ameri-cani, non sono un popolo abi-tuato a investire in borsa. Daquesto punto di vista siamo piùimmuni alle ripercussioni diquesto ciclo economico: se leazioni vanno bene si producecapitale, se vanno male ci sonodelle perdite ma non dei crolli.

Perché crollano le borse?Le borse crollano per la pauradell’ignoto. Non è solo questio-ne di mancanza di informazio-ni. La borsa, come è facile im-maginare, funziona in base a va-

lutazioni fondate sulla raziona-lità, ma nei momenti di gran-de svolta sono invece i compor-tamenti irrazionali a predomi-nare, comportamenti che spin-gono a vendite in massa deipacchetti azionari e dunque al“crollo”.

Guardando alla situazione attuale,l’Italia deve preoccuparsi di even-tuali conseguenze sui mercati?Come ha detto il governatoredella Banca d’Italia Draghi, lenostre banche finora non sonoparticolarmente esposte allacrisi finanziaria e ad oggi non siregistra nessuna significativacontrazione del credito. Dicia-mo che in linea generale possia-mo stare tranquilli.

Facciamo un passo indietro, comeè cambiata la borsa dai tempi del-l’asta a chiamata? Ormai la maggior parte delletransazioni avviene per via te-lematica, è questa la trasforma-zione più evidente degli ultimidecenni. Le sale affollate di tra-ders (chi compra e vende stru-menti finanziari) esistono anco-ra, ma più che altro per quan-to riguarda il mercato delle ma-terie prime.

Intervista con il professor Andrea Beltratti,docente di Finanza alla Bocconi di Milano

servizio di Laura di TeodoroFinestra con vista

4 / Novembre 2008

Nelle cronache e nei commen-ti riguardanti la crisi econo-mico-finanziaria che a parti-

re dall’estate del 2007 ha investito informe via via più accentuate gli StatiUniti d’America, con pesanti ripercus-sioni in gran parte del mondo, si sonofrequentemente letti e si continua a

leggere riferimenti al “disastro” che al dilà dell’Oceano Atlantico si verificò nel1929. Studiosi ed esperti a più ripresehanno messo in guardia dai facili ac-costamenti delle due vicende, segna-lando le profonde diversità, sotto tut-ti gli aspetti, tra quell’epoca e la no-stra. Un’occhiata agli eventi di settan-

tanove anni or sono però - così, tantoper soddisfare una naturale curiositàimmaginabile negli alieni dal ripren-dere tra le mani libri di storia o saggiredatti da specialisti - può tornare inte-ressante. Il “giovedì nero” alla Borsa diNew York capitò il 24 ottobre. Segna-li di allarme già erano affiorati il 23 ot-

tobre; il crollo fragoroso delle quota-zioni delle azioni andò avanti sino algiorno 29 ottobre. I cedimenti prose-guirono pure dopo, mentre il patatràcfinanziario si trasformava in recessio-ne e depressione ad ampio raggio met-tendo in ginocchio l’intera Confede-razione USA, e non quella soltanto.

Perché negli USA il crack del 1929

Dove ebbe origine il disastro americano“

Nelle elezioni presidenziali del1932 gli americani in grandemaggioranza preferirono al repub-

blicano Herbert Clark Hoover il demo-cratico Franklin Delano Roosevelt (1882-1945). E questi - che fu confermato nel1936 e poi, caso unico nella storia ameri-cana, fu rieletto pure nel 1940 e nel 1944- con il suo “New Deal” procurò la pienarinascita agli Stati Uniti. Sostenuto da untrust di cervelli, egli varò una serie di pro-getti. Nei suoi primi cento giorni alla Ca-sa Bianca varò la ristrutturazione del si-stema bancario, deliberò una svalutazio-ne del dollaro, introdusse una profondariforma agricola (con restrizioni produtti-ve compensate da sostegni governativi),avviò imponenti lavori pubblici (con lacostruzione di centrali elettriche, com-plessi industriali e ogni genere di infra-

strutture). Con il “National Recovery Act”(successivamente dichiarato incostituzio-nale dalla Corte Suprema, quando peròaveva già avuto forti effetti) introdussemisure a tutela delle aziende, (combatten-do la concorrenza sleale), degli operai, del-l’occupazione. In breve volger di tempodeliberò numerosi altri provvedimenti, co-me l’abolizione del proibizionismo (del-l’alcool), in vigore dal 1919, la revisionetotale della tassazione, il riconoscimentodei diritti sindacali, l’istituzione di un mo-derno sistema previdenziale. Nelle sue ini-ziative dovette vedersela con una dura op-posizione. Ma ebbe il pieno appoggio del-le classi popolari. Franklin Delano Roo-sevelt fu anche l’inquilino della Casa Bian-ca che portò decisamente gli Stati Uniti aduscire dall’isolazionismo e ad aprirsi almondo, in particolare all’Europa.

Sicuramente gli esperti e gli studiosi han-no mille ragioni quando esortano a nonassimilare la crisi del 1929 con quella na-ta dai mutui immobiliari americani, cri-si che dalla metà dello scorso anno ha re-so volatili i mercati finanziari di tutto ilmondo e indotto gli economisti a parla-re di deflazione, di recessione, di depres-sione, di congiuntura negativa, e così via,a livello globale. Non possono però ne-gare che nell’attuale “crisi”, nelle formeconnesse alla nostra era, si sono presen-tate questioni che si erano fatte sentireanche circa ottantanni or sono, nei ter-mini configurati dalle situazioni di allo-ra. Chi sarà e quando si affaccerà che co-sa farà il …nuovo Franklin DelanoRoosevelt? Anche in questo inizio del ter-zo Millennio scatterà un New Deal nonsolo americano, ma globale? (A.Cons.)

Aspettando un New Deal… globale

Il tremendo colpo arrivò re-pentino in un momento diottimismo diffuso e di grandi

euforie. Herbert Clark Hoover(1874-1964), eletto alla CasaBianca nel 1928 dopo essere sta-to a lungo ministro del commer-cio, esponente di spicco dei Re-pubblicani, nei giorni del suo in-sediamento aveva dichiarato:“Siamo ormai vicini alla vittoriasulla povertà”. Tutto preso dal-l’efficientismo produttivo, il Pae-se nel suo complesso sembravapiù forte dei fermenti e dei gravifenomeni che da tempo si agi-tavano al suo interno (dallo svi-luppo delle organizzazioni ultra-reazionarie allo strapotere deipotentati, dalla corruzione am-ministrativa al gangsterismo, etanto altro). Semplificando mol-to le cose, si può dire che unadelle “passioni” più diffuse in tut-ti gli strati sociali era la corsa aititoli di Wall Street, vissuta co-me tensione verso l’arricchimen-to. Nei salotti un tempo regnodi poeti e di artisti spiccavanoinvece gli improvvisati “esperti”in operazioni finanziarie. Gliagenti di cambio dei 75 mila uf-fici allora esistenti sul territoriocon capitale Washington eranocostretti a fare salti mortali peraderire agli ordini di acquisti diazioni da parte non solo di im-prenditori ma anche, e soprat-tutto, di gente comune, dispo-sta a impegnare ogni risparmioin titoli in vertiginosa ascesa.

E LE AZIONI DIVENNERO CARTA SENZA VALOREC’era la gara, insomma, ad es-sere soci della “ditta per l’impor-tazione dei somari dalla Sardegna”e della “Compagnia per la fab-bricazione del sapone con olio dibanano” (due esempi per spie-gare che nel far man bassa diazioni non si stava a sottilizzaresul dove si metteva il propriodanaro). Il bollettino quotidia-no delle quotazioni - diffuso at-traverso la radio e i giornali -era l’informazione più attesa epiù puntigliosamente scrutata.All’improvviso - appunto a par-tire dal 23 ottobre del 1929 -l’entusiasmo cessò. Nessuno lodisse: ma a quel punto le azio-ni avevano ormai raggiunto unprezzo che non aveva più alcuncredibile rapporto con il capi-tale (con il valore) reale delleindustrie alle quali quei titoli fa-cevano capo. Scoppiò l’ora del-le vendite frenetiche, per incas-sare soldi. In un battibaleno -con l’afflosciamento dei prezziper l’eccesso di offerta - “pezzidi carta” pagati oltre 60.000 dol-lari non venivano accettati, danessuno, neppure a un dollaro.

Moltissimi di coloro che eranodiventati in breve milionari omiliardari “virtuali” si ritrovaro-no a chiedere la carità di un pa-sto caldo in un centro di assi-stenza ai poveri. E parecchi fu-rono pure i gesti tragici, dispe-rati. La catena dei suicidi si al-lungò sempre più.Con i massmedia di allora nelmondo si tardò a percepireesattamente la catastrofe eco-nomica che si stava concretiz-zando negli Stati Uniti. In Ita-lia il “Corriere della sera” liquidòil “giovedì nero” di Wall Street- senza ovviamente chiamarlotale - in un trafiletto con frasigeneriche infilato su una colon-na sotto la notizia di un “Ag-

guato di briganti bulgari” e sopraquella di uno “Scontro ferrovia-rio in Baviera”. L’attenzione del-la redazione del giornale di viaSolferino a Milano, era focaliz-zata sull’imminente annualeanniversario della “marcia suRoma” compiuta nel 1922 dal-le “camicie nere” di Benito Mus-solini e sul fidanzamento diUmberto di Savoia con MariaJosé. Tornando ad occuparsi diquanto stava accadendo a NewYork il 26 ottobre il più presti-gioso quotidiano italiano, sot-to un titolo drammatico - ma insesta pagina e in un corpo nongrosso: “Scene di panico nelleBorse americane” -, stampò que-ste parole rassicuranti: “Gli am-

bienti finanziari di New York in-sistono nel sostenere che non vi èalcuna ragione per considerare lasituazione con pessimismo”. Manegli ultimi giorni del mese (diottobre) il quadro arrivò, final-mente, in prima pagina anchesul “Corriere della sera” con i to-ni traumatizzanti e le tinte fo-sche che meritava.

MA IN ITALIA SI CERCÒDI MINIMIZZAREIl regime fascista, ovviamente,si preoccupò di minimizzare. Il6 novembre sul “Popolo d’Italia”il fratello del duce, ArnaldoMussolini, arrivò a scrivere:“L’Europa può approfittare diquesta sosta e meditare una siste-

mazione più aderente ai propri in-teressi e non sotto la pressione delcapitale nordamericano”. E l’economista Giorgio Mortaratentò di rassicurare i pessimisticon la seguente frase: “Ci salve-ranno le parche abitudini e la re-sistenza alle privazioni che sonocaratteristiche salutari del nostropopolo”. Dal canto suo il gover-no di Roma annunciò misurecontro le possibili difficoltà. Se, come beffardamente os-servò qualcuno, gli americanicon il “giovedì nero” passarono“dalla fame di azioni alla fame dipane”, neppure gli europei eb-bero, dopo quel giorno, tempipropizi e sereni.Perché negli Stati Uniti si arrivòal crack? Stando ai giudizi deglistorici - giudizi qui estremamen-te sintetizzati - il “disastro” fu de-terminato dalla iperproduzionedei prodotti agricoli - con tuttoil peso che essi allora avevanosull’economia in generale -), dal-la gara sfrenata nelle speculazio-ni borsistiche, dalla mancanza diqualsiasi controllo dei pubblicipoteri sul “mercato” (nella piùmoderna accezione del termine)e sul movimento dei capitali, diquelli bancari in particolare.Nell’impatto con tutti questi fat-tori fallirono piccoli e medi im-prenditori e coltivatori agricoli,andarono in fumo i risparmi digente di tutte le categorie, lestesse banche - in notevole nu-mero - si trovarono in tilt. Pre-cipitò la produzione di beni eservizi in generale (in tre annil’indice scese da quota 120 aquota 57), i disoccupati dai 7 mi-lioni rilevati nel 1931 salironoai 12 milioni del 1933, le cam-pagne si spopolarono.

ARTURO CONSOLI

5 / Novembre 2008

Da New York negli ultimitempi arrivano notiziesconcertanti: il fallimen-

to di importanti istituzioni finan-ziarie, l’andamento altalenantedegli indici di borsa, l’aumentodella disoccupazione… Nel girodi poche settimane sono caduteuna serie di “docce fredde” suWall Street che rischiano di in-nescare reazioni a catena versola recessione dell’economia ame-ricana e non solo. È l’inizio del-la fine dei bei tempi di uno Sta-to dove è normale spendere piùdi quanto si guadagni senzapreoccuparsi più di tanto?

da New YorkClaudio Todeschini

All’improvviso l’America si èrisvegliata nel bel mezzo dell’in-cubo della recessione. Per tan-ti anni gli americani hanno dor-mito sonni tranquilli sognandoguadagni facili in borsa, com-pravendite di case con guadagnia due cifre percentuali, cresci-ta economica illimitata e spesesempre al di sopra delle propriepossibilità. Dietro questo sognoc’era la parola magica che pia-ce tanto agli americani: credi-to. Una parola che nel linguag-gio quotidiano viene declinatapiacevolmente in moltepliciforme: carta di credito, acquisticon pagamenti rateizzati, lea-sing di autovetture, finanzia-menti a tassi agevolati per l’ac-quisto della casa, rifinanzia-menti di altri finanziamenti, fi-nanziamenti esotici… ecc.Ma prima o poi il sogno finiscee con esso finiscono anche i fi-nanziamenti agevolati. Alla fi-ne viene sempre il momento dipagare il conto, di saldare il de-bito. E con il pagamento delconto arriva anche il saldo de-gli interessi. Questo dettaglio,apparentemente quasi irrilevan-te per l’americano medio, se l’e-rano dimenticato in molti. Il so-gno di ricchezza diventa in bre-ve tempo arroganza, la speran-za di fare soldi diventa quasi undiritto irrevocabile per l’avidocittadino il quale si improvvisainvestitore professionista e co-mincia a fare investimenti irre-sponsabili e scellerati. Chi sicompra una casa che non puòpermettersi (tanto ci si finanziaa trent’anni), chi decide di farstudiare i propri figli accenden-do un nuovo mutuo ipotecandola casa di proprietà, chi pensabene di darsi alla bella vita tan-to, male che vada, basterà ven-dere la casa o accedere al credi-to per far fronte a tutti i debitiaccumulati. Tutti sognavano.Anche il Segretario del Tesoro,Henry Paulson, era un sognato-re tant’è che nel corso del 2008a più riprese ha dichiarato che“non ci sono dubbi che le cose stia-no andando meglio… il peggio èprobabilmente passato” (dichiara-zione rilasciata il 6 maggio) eancora “quello americano è un si-stema bancario sicuro, un sistemabancario solido. I nostri tecnicistanno gestendo la situazione.Questa è una crisi gestibile” (20luglio). E anche lui, sognatorecome la maggior parte degli

vare il sistema bancario america-no?”. Vista dall’esterno questacrisi potrebbe sembrare unacome tante altre, salvo che pergli effetti collaterali. Per citaresolo un esempio, circa il 57%del debito pubblico americanoè detenuto da Stati esteri, il chevuol dire che se gli USA van-no a fondo anche il resto delmondo gli andrà dietro. Ma nonsolo! La bilancia commercialeUSA è in negativo per circa il5.3% del Prodotto Interno Lor-do, il che significa che lo Statoconsuma più di quanto produ-

ce. In altre parole gli Stati Uniticonsumano merce prodotta aldi fuori dei propri confini (lamaggior parte in Asia) ed unarecessione manderebbe in crisianche gli Stati fornitori. Negli ultimi mesi il GovernoFederale, in seguito a vari falli-menti di grandi banche comeLehman Brothers e WashingtonMutual e dopo aver valutatotutte le possibili correlazioni e ri-percussioni che un “default”(fallimento) di altre istituzionifinanziarie in crisi potrebbeavere sul sistema economico

americano, si è attivato perinfondere sicurezza e liquiditànel sistema al fine di stabilizza-re il mercato del credito. In undiscorso indirizzato alla nazione,Paulson ha spiegato quali sonostate le cause di debolezza del si-stema finanziario americano.La mancanza di liquidità di al-cuni investimenti che hannoprogressivamente perso valore acausa della caduta del mercatoimmobiliare hanno affossato ibilanci delle banche. Per dirla inaltre parole, la causa di questotracollo borsistico è di nuovo,direttamente o indirettamente,legata alla speculazione immo-biliare ed ai mutui sub-prime. Iguadagni delle speculazioni im-mobiliari di qualche anno fa so-no riemersi come bubboni tra icrediti inesigibili nei bilanci del-le banche americane, le qualinel frattempo hanno cercato dicoprire i rischi legati a questimutui assicurandosi mediantevari strumenti finanziari (i fa-mosi derivati di cui si è tantosentito parlare), rigirando così lapatata bollente ad altri enti spe-cializzati in coperture finanzia-rie. Questi enti a loro volta han-no creato pacchetti di investi-menti per i fondi comuni, basa-ti su strumenti derivati, confe-zionati sui mutui sub-prime chea loro volta hanno girato la me-la avvelenata al mercato borsi-stico e cioè alla fine a noi rispar-miatori. Mi sono domandatospesso se dietro questo schemanon ci fosse l’intenzione di im-brogliare i risparmiatori. Non mistupirei se anche in America esi-stessero quelli che da noi sonostati definiti i furbetti del muret-to, meglio conosciuti dall’altraparte dell’Oceano Atlantico co-me i furbetti della Strada delMuro (traduzione italiana di“Wall Street”).

americani, si è risvegliato unabella mattina nella più grave cri-si bancaria americana, escla-mando di fronte al parlamentoche “se lo stanziamento di 700 mi-liardi di dollari al fondo anticrisinon venisse approvato, che il cie-lo ci aiuti” (18 settembre).Ed al brusco risveglio, tuttiquesti sognatori se la sono pu-re presa a male e con grande in-dignazione hanno esclamato“ma come, sono finiti i soldi faci-li? La banca che faceva i mutui èfallita? Il contribuente deve sbor-sare 700 milardi di dollari per sal-

Il grande GELOsui GIGANTI

C’è chi fa parte degli homeless da10 anni (circa il 18%), c’è chivi si è aggregato da meno di un

anno (circa il 16%); il gruppo più nume-roso vive sulla strada da due o tre anni(33%); il 21,2% non ha casa da 4/6 an-ni, il 12,7% da 7/9 anni.Perché gli homeless attuali sono diventa-ti tali? Per la mancanza di un reddito re-golare sufficiente (ad una vita ...norma-le), in conseguenza di una prolungata di-soccupazione (43,4%); per delusioni af-fettive o gravi difficoltà nei rapporti inter-personali (il 37,1%); sull’onda di un sem-pre più marcato alcoolismo (il 27,6%); peril mancato reinserimento nella società do-po un lungo periodo in carcere (il 21,3%);a causa della dipendenza dalla droga (il14,3%), per il fallimento nell’attività inprecedenza svolta (il 12,7%: in questogruppo sono compresi pure ex titolari diaziende o negozi). I motivi della “scelta”molto spesso sono più di uno, si intreccia-no, si sovrappongono; ecco perché le per-centuali... variano rispetto al totale esat-to.E quando, oltre che con quelli economici,di sopravvivenza quotidiana, gli homelesssi trovano alle prese pure con problemi disalute, che cosa fanno? Circa il 13% ten-ta di rientrare in famiglia; il 24% bussa al-

le porte di amici; il 38,7% si affida alle as-sociazioni di volontariato, che magari giàconoscono; gli altri restano... allo sban-do. Ci sono “senza casa e senza dimo-ra” che devono affrontare questioni giudi-ziarie, vertenze, cause matrimoniali (nonsono pochi i separati tra gli homeless). Perdar loro una mano gratuitamente si è for-mata una organizzazione di giovani avvo-cati; nell’arco di un anno questi legali fi-lantropi hanno sbrigato poco meno di mil-le cause.Dormitori pubblici, mense di carità, cen-tri di accoglienza, punti di ascolto forma-no la rete di riferimento di buona parte dei“più poveri tra i nuovi poveri” che stan-no crescendo nella moderna società.Accanto agli homeless che vi bazzicanoabitualmente esistono quelli che preferisco-no starne alla larga, procurandosi da man-giare questuando oppure frugando nei ce-stini dei rifiuti e dormendo nelle stazioni,sulle panchine dei parchi, in rifugi costrui-ti con lamiere e cartoni in vecchi edifici ab-bandonati. Per alcuni l’automobile è l’a-bitazione “viaggiante”; sulle quattro ruo-te costoro si spostano continuamente allaricerca delle condizioni più favorevoli peril soddisfacimento delle minime necessitàdel loro tran tran esistenziale.Allorché si renderà disponibile il quadro de-

finitivo, sicuro, dei clochard o “barboni”o degli homeless in Europa, l’Italia rischia,ancora una volta, di apparirvi nel peggio-re dei modi. Si sa pure adesso che a fron-te dei “nostri” 70/100 mila, Germania eSpagna ne contano soltanto 20mila ciascu-na. Sarà interessante conoscere che cosanei diversi contesti si sta facendo per an-dare incontro e contenere il fenomeno de-stinato ad accentuarsi nel futuro.Negli Stati Uniti la crisi finanziaria che haprovocato tante apprensioni - con ripercus-sioni a livello internazionale - da più di unanno a questa parte, ha causato anche unforte aumento del già rilevante numero dihomeless là esistenti. Quest’anno - supe-rando un record che era stato toccato ap-pena nel 1994 - hanno raggiunto quota 27milioni e mezzo i cittadini sostenuti con lospeciale programma dei buoni pasto distri-buiti alle mense pubbliche. E a fine dicem-bre essi potrebbero risultare addirittura 29milioni. Nei dormitori pubblici di NewYork si sono contate normalmente ogni not-te circa 36mila presenze. Lo stesso gover-no di Washington ha valutato in 600mila(con un milione e mezzo di bambini) il nu-mero delle famiglie trovatesi repentinamen-te senza una casa nella Confederazione.

Mario Collarini

Il popolo della strada

Il crollo delle borse e il rallentamento dell’economia hanno riesumato lo spettro della recessione mondiale. Il sistema

bancario americano è a rischio di collasso. E i nostri risparmi?“ “

➣ dalla prima

6 / Novembre 2008

Il caso Alitalia - di cui tuttiabbiamo vissuto con unacerta apprensione, il dram-

matico tormentone - è un re-bus nostrano. Tutto è bene quelche finisce bene, sia pure tra-sformandosi in una stucchevo-le telenovela che ha urtato mol-ti cittadini dello Stivale. Questocaso è una cartina di tornasoledel malcostume tutto italianodi gestire l’economia, i rappor-ti sindacali e la politica comeun fatto privato. Sì, perché inquesto “affare” le responsabilitàsono - e non da oggi - equamen-te distribuite tra i Consigli diAmministrazione che si sonosusseguiti, le varie sigle sinda-cali e i Governi che della exCompagnia Aerea sono stati idiretti referenti. Ma vediamo inmaniera più dettagliata come sisono svolti i fatti, per capire unpo’ meglio l’epilogo. Partiamodagli inizi. Quando l’Alitalia è sorta - nellontano 1947 - rappresentava ilfiore all’occhiello di un paeseche stava, lentamente, risorgen-do dalla catastrofe bellica. Inquesta direzione, si deve legge-re il suo consolidamento comeuna delle più importanti Com-pagnie di bandiera europee:l’aumento delle proprie rotte,l’utilizzo di aerei modernissimie la conquista, negli anniSessanta, del record di un mi-lione di passeggeri. Questo an-damento positivo continuerà fi-no agli anni Novanta. In questi anni, i passeggeri chesi serviranno dell’Alitalia arrive-ranno a quasi venti milioni.

Sino ad un certo punto,dunque, l’Alitalia è statauno splendido biglietto

da visita dell’Italia: per immagi-ne, stile, precisione, regolarità eservizio. Poi, è iniziata la deca-denza: in concomitanza con lesempre più aggrovigliate situa-zioni internazionali, con l’am-pliarsi della concorrenza e conil progressivo degrado della po-litica interna italiana. In realtà,la decadenza coincide con ilmomento in cui si è iniziato apensare l’Alitalia non comeuna azienda prestigiosa in cui imigliori ambivano ad entrare,ma come un “carrozzone” stata-le da utilizzare come parcheggioper politici (o manager) decot-ti, come cassa di compensazio-ne finanziaria per iniziative nonaltrimenti fattibili e come unagigantesca macchina di assun-zioni. Al nessun interesse per lacompetitività sui mercati veni-va poi unita la colpevole con-vinzione che comunque lo Sta-to potesse ripianare i debiti chesi stavano accumulando.

Con la deregulation aerea (la li-beralizzazione delle compagnieaeree) il degrado si è trasforma-to in tracollo. E il tracollo in unacorsa inarrestabile verso il bara-tro ultimo che ha visto l’Alitalia“macinare” un passivo giornalie-ro di uno o due milioni di euro. Qualsiasi avveduto amministra-tore avrebbe dato l’altolà.Qualsiasi intelligente politico (ivari ministri di competenza)avrebbe dovuto assumere i prov-vedimenti del caso per evitarequesta “morte annunciata”. Nullaè stato fatto. I governi che si so-no succeduti - sia di destra chedi sinistra - hanno accuratamen-te evitato di affrontare (e risol-vere) questa difficile situazione,continuando, con estrema disin-voltura, a nominare i propri“manager” (si fa per dire) neiConsigli di Amministrazione ea considerare la Compagnia co-me una vacca da mungere siaper le assunzioni… pilotate cheper le laute prebende da elargi-re. Così si è giunti ad avere20.000 unità di personale e unamontagna di debiti.

Eil ruolo dei sindacati? Eb-bene costoro - sia quelliconfederali che quelli au-

tonomi (seppur con responsabi-lità differenziate) - hanno datoil loro contributo a questo sfa-scio, alimentando un corporati-vismo sfrenato e una pratica ri-cattatoria nei confronti dei poli-tici. Politici che, per il quieto vi-vere (e per continuare a fare iloro interessi), non esitavano -a loro volta - ad accettare quel-lo che nessun’altra Compagniaaerea avrebbe mai accettato. Unsolo banale e quotidiano esem-pio basta a far capire l’andazzodella gestione Alitalia. Un quo-tidiano nazionale ha riportatoche una bottiglia di coca colaformato famiglia da utilizzare peril comfort dei passeggeri venivaa costare la cifra favolosa di 40euro. Immaginiamoci come do-veva essere tutto il resto. Eppu-re, nessuno ha mai aperto boc-ca. Perché?

Quando poi si è giunti afine corsa ecco tutti la-mentarsi, disperarsi e

invocare ogni sorta di tutela.Ma al colpevole silenzio sulpassato hanno continuano persettimane ad associare la con-vinzione che la pacchia doves-se continuare: senza fare alcundoloroso e necessario sacrifi-cio. Anzi, esultando per il fal-limento delle trattative nellasperanza che qualche Provvi-denza facesse il miracolo e tut-to ricominciasse da capo: co-me prima. Non sarà e non de-ve essere così.Come si può dedurre diventadifficile attribuire colpe in quan-to tutti sono colpevoli verso ilcontribuente che ha pagato perquesti errori: e continua a farlo.

Naturalmente, nell’orapresente, a ben pocoservono i processi ed è

inutile farli. Adesso, prioritario èsalvare davvero l’azienda Alita-lia garantendo - il più possibile -i posti di lavoro dei dipendenti.Ma poi qualche conto lo si dovràpur fare. Poi bisognerà chiedereragione alla classe politica dellesue responsabilità, evitando che

casi simili si ripetano in futuro.Così come bisognerà agire affin-ché i sindacati smettano di es-sere potenti corporazioni con-servatrici volte a difendere i lo-ro iscritti contro tutto e tutti mapensino all’interesse del Paese eal ruolo che devono svolgere.Certo, ai cittadini resta l’ama-rezza di vedere come un fiore al-l’occhiello sia appassito così mi-seramente da finire nella spaz-zatura e come l’immagine delnostro Paese continui in unainarrestabile discesa volta a gua-dagnarsi il primato di prima (for-se) potenza del Terzo Mondo.Ma anche a questo, oramai, sia-mo abituati.

Claudio BonvecchioDocente di Filosofia delle Scienze

Sociali all’Università di Varese

Alitalia, tutti colpevoliverso il contribuente

Dopo lo sfascio della Compagnia di bandiera come sarà il nuovo decollo?

“Finis Austriae”; “Austria deleta”:nei titoli usarono persino il la-tino i giornali ai primi di no-

vembre del 1918 per annunciare la vitto-ria dell’Italia contro l’impero imperniato suVienna nel primo conflitto mondiale.Neppure nei testi delle cronache venneroposti freni all’enfasi. Una testata presti-giosa stampò: “L’Italia dilaga; dopo Trento eTrieste, Feltre, Belluno, Asiago; e ancoraFiume, Zara, Pola, Sebenico, Capodistria,Pirano. Un’ebrezza di tricolori, inni e cuoriesultanti. Tutta l’Italia, d’un sol grido, o ter-re, vi saluta redente”. Gabriele D’Annunzioin un suo Canto inserì pure il seguenteverso: “Patria, patria: questa sola parola ètutto il cielo”. Nelle città e nei paesi attra-versati da cortei dominati da squilli ditromba senza fine, sulle saracinesche ab-bassate di non pochi negozi comparverocartelli di inusitato tenore: “Chiuso peresultanza nazionale”. Emblema sonoro diquello straordinario momento diventò “Laleggenda del Piave”, canzone composta digetto nella serata del 23 giugno (1918) daGiovanni Gaeta, un impiegato postale chepensava soprattutto alle sette note e chenell’intento di evitare il licenziamento“per scarso rendimento” aveva scelto lopseudonimo E.A.Mario. Si era fatto le os-sa mettendo sul pentagramma motivi nel-lo stile napoletano. In ambito patriotticosi era già fatto largo con la “Canzone ditrincea”, comprendente un ritornello sul-le bocche di tutti i militari: “E le stellette chenoi portiamo son disciplina di noi soldà”.Con gli austro-ungarici le ostilità cessaro-no il 4 novembre (a coronamento della

controffensiva partita il 24 ottobre dalMonte Grappa e dal Piave); con la Ger-mania l’armistizio venne siglato l’11 no-vembre. Quattro anni innanzi, quando l’as-sassinio (il 28 giugno 1914) a Sarajevo del-l’arciduca Francesco Ferdinando (erede altrono di Vienna) e della moglie Sofia vonHohenburg aveva fatto da scintilla alla de-flagrazione dei fortissimi contrasti (percontrapposti interessi) già palesi neiBalcani, “polveriera d’Europa”, l’Italia ave-va scelto la neutralità. Contro l’interven-to (nel conflitto avviatosi a luglio del1914) erano Giovanni Giolitti e la mag-gioranza dei parlamentari liberali, i socia-listi e i cattolici. A favore della mobilita-zione (nel tentativo appunto di conquista-re le terre “irredente”) stavano invece, ol-tre agli irredentisti, i nazionalisti, buonaparte del movimento studentesco, gli in-tellettuali, vasti settori dell’imprenditoria-lità e gli ambienti vicini alla Corona. Il go-verno, trattando in segreto con le forzedell’Intesa, nel 1915 (ad aprile) si era giàgarantito l’acquisizione, a operazioni ulti-mate, del Trentino, dell’Istria, dellaDalmazia e di altre aree. Pressioni di piaz-za e politiche, evoluzioni degli eventi por-tarono Roma a maggio (del 1915) a dichia-rare guerra a Vienna e ad agosto ad incro-ciare le armi con la Germania. Inutili fu-rono gli appelli del Papa Benedetto XV al-la rinuncia all’entrata in azione. All’iniziodel 1917, con l’intervento anche degliStati Uniti a fianco degli alleati che fron-teggiavano Austria e Germania le vicen-de ebbero la svolta decisiva.Nel novembre del 1918, passati i giorni

dell’euforia per il trionfo conseguito,l’Italia - al pari di tutti gli altri Paesi coin-volti direttamente in quella che è entra-ta nella storia come “la grande guerra”(nel senso della partecipazione per la pri-ma volta di forze di più continenti) - sitrovò a guardarsi le ferite. A parte i pro-blemi politico-sociali in sospeso (prelu-dio dei tempi difficili che sarebbero poivenuti), dovette contare, da sola, circa700mila morti. Il conflitto nel suo com-plesso causò oltre otto milioni di vittime.Con il massiccio impiego di quelle che pu-re allora venivano chiamate - nell’acce-zione in linea con le condizioni dell’epo-ca - nuove tecnologie e strategie (avia-zione e sottomarini, carri armati e armichimiche), insieme ai militari finirononella catastrofe le popolazioni civili (co-me mai in precedenza era accaduto nel-la storia). Spaventose dunque furono leconseguenze di quei circa quattro anni dibattaglie. Aveva colto nel segnoBenedetto XV il I° agosto del 1917 quan-do aveva detto: “Siamo animati da una dol-ce speranza: di vedere terminare al più pre-sto questa lotta tremenda, la quale ogni gior-no più appare una inutile strage”.Sono passati novant’anni, dalla finedella “grande guerra”. Il 4 novembre - cheun tempo vedeva grandi manifestazionipatriottiche con in prima fila gli ex com-battenti e reduci, ad un certo punto fat-ti tutti “Cavalieri di Vittorio Veneto” - nonè più festa nazionale civile. La ricorren-za viene ricordata in una delle domeni-che ad essa vicine.

Adolfo Celli

La Grande Guerra, un’inutile strage

7 / Novembre 2008

Gli Stati Uniti votanoper scegliere il cinqua-taseiesimo Presidente

degli Stati Uniti d’America.Repubblicani o Democratici,chiunque sia ad aggiudicarsi laresidenza alla Casa Bianca sitroverà di fronte a una listamolto lunga di temi da affron-tare: dal rilancio dell’economiaalla guerra in Iraq…

Con le elezioni presidenziali al-le porte, il grande circo dei me-dia americani si sta scatenandoin una interminabile sequenza diinterviste, servizi, pools (proie-zioni) e quant’altro. Ma la do-manda fondamentale è una so-la: chi sarà il prossimo inquilinodella Casa Bianca? Un afro-ame-ricano dall’aria intellettuale, ma-gro come non lo è la maggiorparte degli americani e dal nomeun po’ bizzarro che ricorda tan-to quello del leader di Al-Qaida,oppure un anziano senatore ve-terano del Vietnam sempre pron-to a raccontare storie sulla suaprigionia nei campi Viet Cong,sulla cui aspettativa di vita si èscritto di tutto e di più?

HILLARY, LA CANDIDATACHE FACEVA PAURAQuale che sia l’outcome (il ri-sultato) delle presidenziali USAdel 2008, il futuro della politi-ca americana non sarà più lostesso. Il forte desiderio di cam-biamento del popolo america-no ha modificato per sempre iparametri e gli assiomi del po-tere della prima potenza econo-mica mondiale. Barack Obamarimarrà nella storia come il pri-mo afro-americano ad esserestato candidato alla presidenzaUSA da uno dei maggiori par-titi americani. È quasi commo-vente constatare come i princi-

pi di uguaglianza che AbramoLincoln difese a costo della pro-pria vita siano stati finalmenteaccettati ed assimilati dalla so-cietà americana, seppur con duesecoli di ritardo. Ma l’aspettorazziale non è l’unica manifesta-zione della profonda volontà dicambiamento che pervade lanazione. Durante la corsa per la nominadel partito democratico, unadonna, Hillary Clinton, ha vin-to più primarie e delegati diqualsiasi altro candidato donnanella storia americana racco-gliendo consensi e supporto intutto il Paese come non si eramai visto prima. Da ricordareche fino a non tantissimo tem-po fa (1920) le donne non ave-vano diritto al voto negli StatiUniti. Il messaggio lanciatodurante la campagna elettora-le è stato forte e chiaro: l’Ame-rica vuole un cambiamento e lovuole netto, radicale e comple-tamente distaccato dal passato(anche se, per dirla tutta,Hillary Clinton qualche legamecon il passato forse ce l’aveva -vedere Bill Clinton). E questomessaggio è stato gridato tal-mente forte che il partito Re-pubblicano, notoriamente con-

servatore ed avverso al progres-sismo, si è addirittura deciso nelcandidare una giovane governa-trice, Sarah Palin, per la caricadi vicepresidente accanto aMcCaine. I più maligni hannoaffermato che questa non sia al-tro che una mossa piuttosto gof-fa e senza stile architettata daiRepubblicani per controbilan-ciare in un unico canditato ilpotere della coppia democrati-ca formata da Barak Obama eHillary Clinton. Quale che siail motivo dietro la scelta dellagiovane governatrice dello sta-to dell’Alaska, è interessanteconstatare che i anche i repub-blicani, conservatori e paladinidello status quo, abbiano rico-nosciuto ed accettato la volontàdi cambiamento, cercando diaccontentare l’elettorato man-dando in campo un candidatototalmente slegato dal vecchioestablishment politico.

I PROBLEMI SUL TAPPETOE LE IPOTESI DI SOLUZIONENonostante la volontà di cam-biamento, testimoniata dai can-didati alla presidenza, lo scena-rio su cui si svolgono le elezio-ni è rimasto pressocché immu-tato: l’eterna lotta al potere tra

democratici e repubblicani,combattuta fino all’ultimo conogni mezzo e strategia. All’ordi-ne del giorno dei due partiti cisono molti temi roventi: rilan-cio di un’economia stagnante, ilfree-trade o libero scambio dibeni all’interno di un’economiaormai globalizzata, il tema del-l’energia e più in particolare delpetrolio da cui dipende forte-mente l’economia americanaed infine il servizio sanitario,spina nel fianco della nazionepiù potente del mondo.L’approccio democratico relati-vamente agli aspetti economi-ci è orientato a favorire i cetimedio bassi, impoveriti dal ca-ro vita e dal crollo del mercatoimmobiliare e dalla crisi finan-ziaria dei mutui subprime. I de-mocratici prevedono misureprotezionistiche che, nel caso incui Obama venisse eletto, sa-rebbero introdotte per rilancia-re il settore manifatturiero USAda tempo ridotto allo stremodalla delocalizzazione della pro-duzione in Messico, India ed inCina. Sul fronte energia il pro-gamma prevede piani ambizio-si per rilanciare gli investi-menti in energie rinnovabiliche possano ridurre il fabbiso-

gno di petrolio importato daiPaesi Arabi da cui dipende for-temente l’economia americana.Come e fino a quale punto que-sto rilancio sia possibile non èstato chiarito (certi dettaglivanno lasciati per ovvie ragio-ni al dopo elezione). I democra-tici si battono anche per l’esten-sione del servizio sanitario aicirca 47 milioni di americaninon coperti da assicurazionemedica, attraverso un program-ma che dovrebbe trasformareprogressivamente il servizio sa-nitario americano da privato aduna sorta di servizio pubblico.Dall’altra parte dello schiera-mento i repubblicani battonoinvece i temi caldi del momen-to con il solito liberismo e “la-sciar fare”. È previsto un pianodi rilancio dell’economia me-diante una riduzione del getti-to fiscale (che poterà con sé l’i-nevitabile ulteriore impoveri-mento delle casse dello StatoFederale), nessuna limitazionealla globalizzazione che vienevista invece come un opportu-nità piuttosto che come unaminaccia alla crescita,investimenti di lungo terminein energie pulite con ricerca,però, nel breve periodo di altrigiacimenti in suolo americanoper l’estrazione di petrolio perrendersi più indipendenti daiPaesi Arabi. Per quanto riguar-da la salute non sono previstigrandi cambiamenti. Il pro-gramma infatti è quello di la-sciare agli americani la scelta ela libertà di come gestire la pro-pria salute senza che lo Stato sifaccia carico di un servizio me-dico publico.Programmi e slogan a parte,l’America si sta preparando avivere quello che Sergio Leoneavrebbe titolato il “duello difuoco” tra Obama e McCaineche, come due pistoleri a ca-vallo, si contendono la supre-mazia di una cittadina polve-rosa e arida persa da qualcheparte nel Far West… con laconsapevolezza che cittadinadopo cittadina, duello dopoduello, il più veloce ed il piùspietato avrà la meglio miran-do al cuore (e certe volte alportafoglio) degli americani.

56?CHI SARÀIL NUMERO

da New York, Claudio Todeschini

La Casa Bianca, meglio conosciuta come The White House,è la residenza ufficiale ed ufficio principale del Presidente de-

gli Stati Uniti d’America. La residenza, situata al 1600 di Penn-sylvania Avenue a Washington D.C., fu costruita tra il 1792ed il 1800 e da allora è stata la residenza di tutti i PresidentiAmericani. La Casa Bianca ha ospitato personaggi illustri apartire da George Washington, primo Presidente degli StatiUniti, Abramo Lincoln che condusse la nazione durante la san-guinosa Guerra Civile Americana, uno dei periodi più neri del-

la storia USA, Franklin Delano Roosevelt, l’unico Presidente adaver servito la Nazione per più di due legislature durante lagrande depressione degli anni trenta e poi durante la secondaGuerra Mondiale e Kennedy, meglio conosciuto come JFK, as-sassinato a Dallas nel 1963 in circostanze tuttora non chiare.Molte speranze sono riposte sul futuro inquilino della CasaBianca il quale, ci auguriamo, non dimentichi mai che è ospi-te del popolo americano il quale gentilmente pagherà l’affittodella tanto ambita residenza!

La Casa Bianca ed i suoi inquilini

?

8 / Novembre 2008

“Èuno schifo, un mer-cato di bestiame,umiliante per le don-

ne!”. Questo il commento delgrande fotografo Oliviero To-scani all’edizione 2008 di “MissItalia”, che, tra l’altro, ha fattoflop, cioè ha visto diminuire dimolto il numero dei telespetta-tori, cosa di cui personalmentesono strafelice perché mi illu-do significhi che gli italiani co-minciano a maturare… A par-te il fatto che trovo questo“mercato” umiliante anche pergli uomini, Toscani ha infattiragione da vendere. Oltretutto,“Miss Italia” coincide singolar-mente con la stagione in cui unpo’ dovunque, nel Bel Paese, siorganizzano le mostre zootecni-che, in cui i mandriani di ritor-no dall’alpeggio estivo metto-no in mostra, appunto, le lorobestie, cui la “villeggiatura” suipascoli alti ha restituito una for-ma smagliante. Anche alle vac-che, alle manzette e alle fattri-ci i giurati misurano le varieparti anatomiche, confrontanopregi e difetti e alla fine giun-gono alla proclamazione della“regina”, proprio come fanno

Nonna Emilia è una pic-cola grande donna na-ta nel 1905. Dunque

ha 103 anni, un secolo abbon-dante portato in saggezza e le-tizia. “Sono venuta alla Casa diRiposo - dice - quando ho capitoche non riuscivo più a fare tuttoda sola, a tenere anche la casa co-me si deve. E ci sono venuta vo-lentieri, perché i figli e i nipoti han-no la loro vita da fare, devono la-vorare, viaggiare, muoversi, nonpossono essere sempre al serviziodei nonni. Mi sono trovata subitobene perché questa è proprio co-me una grande famiglia. Pensi chele infermiere e le assistenti, quan-do è ora di andare a letto, vengo-no ad augurarmi la buonanottecon un bacio!”.Del resto non de-ve essere difficilevoler bene a Non-na Emilia, estro-versa ed arguta,sempre pronta adire una buonaparola a tutti, unagrande forza d’a-nimo dietro l’ap-parenza fragile eminuta.“Ho sempre lavo-rato tanto - dice ricordando lasua lunga vita - mi sono sposa-ta giovanissima ed ho avuto quat-tro figli, di cui uno scomparso52enne, la mia sofferenza più for-te… Anche mia figlia ha subitouna lunga malattia e l’amputazio-ne di un piede, mentre mio ma-rito è stato per anni a letto mala-to. Ho accudito mio suocero, cheè stato per tanto tempo in casacon noi… Insomma il lavoro e lefatiche non mi sono mancate, nétantomeno le preoccupazioni ed idolori. Io poi ho sempre avuto uncaratterino un po’ pepato, ho do-vuto lavorare molto anche su mestessa per correggermi un po’.Però la fiducia nella vita non miè mai venuta meno: quando di-

speravo di cavarmela e la forzad’animo andava a zero, me laprendevo anche con il Signore econ la Madonna e dicevo loro: voilo vedete che sto facendo tuttoquello che posso, cercate di muo-vervi un po’ anche voi! E loro simuovevano, sicuro che si muove-vano, devo proprio riconoscereche nei momenti più duri il loroaiuto non mi è mai mancato”.Emilia Valenti ricorda lucida-mente e racconta con vivacità,non smettendo mai di sorride-re. Ascoltandola vengono inmente le parole del PiccoloPrincipe di Saint-Exupery aproposito dell’intelligenza delcuore: “non si vede bene che congli occhi del cuore”. È questo il suosegreto, l’elisir di lunga vita?

Sicuramente guar-dando la serenità,la compostezza, ladignità e la pa-zienza di questi an-ziani, con i qualistiamo perdendo ilcontatto, abbiamotutti molto da im-parare, special-mente la lezionedel tempo. “Guar-di, io penso che an-

che a vivere bisogna imparare,proprio una specie di scuola, conle sue lezioni e i suoi compiti.Voglio dire che bisogna imparare,giorno dopo giorno, a smussare glispigoli del proprio carattere, ad es-sere attenti a chi ti sta vicino percapirne i gusti e le necessità, a tol-lerare i loro difetti, a valorizzarei loro lati migliori, a non portarerancore per i torti subiti, a non da-re peso alle piccole cose di tutti igiorni che possono diventare gros-se e pesanti e rovinare i rapportitra le persone… Ecco, quando siè imparato tutto questo, allora sipuò vivere bene. E risvegliarsi con-tenti ogni mattina, ringraziando laProvvidenza per ogni nuovo gior-no che ci concede”.

quelli di “Miss Italia”. Con ladifferenza che le vacche, finitala festa, se ne tornano tranquil-lamente nella stalla a fare il lo-ro dovere, e ci risparmiano lescene dei genitori delle concor-renti che, tra le lacrime, alle lo-ro “povere” rampolle tanto pro-vate dalle “fatiche” del concor-so, mandano messaggi melensidel tipo “Sei la nostra principessa,ci manchi tanto!”.C’è poi un’altra differenza dasottolineare: tra le fila delle vac-che delle fiere zootecniche c’èuna maggior varietà, di età, diproduttività, di taglie, mentre leaspiranti miss sono tutte ugua-li: una specie di Barbie pneuma-tico - macilente, come le ha de-finite Laura Rodotà, nel sensoche sono magrissime eccetto lequattro curve pneumatiche neipunti soliti, identiche a quelleche vediamo in tv ogni giornoad ogni ora: omologate dallamoda e dal piccolo schermo,hanno tutte le stesse bocche, lostesso modo di camminare, divestirsi, di parlare, probabil-mente anche di pensare, alpunto che ha fatto scalpore ilcaso di Miss Emilia, discrimina-

ta - ha detto - a causa della suataglia, la 44. Ma la somiglian-za più fastidiosa, quella che piùdi tutte suscita l’indignazione ditante donne perché vanificaogni tentativo ed ogni sforzo diautentica emancipazione fem-minile, è che le concorrenti sisottopongono volentieri e vo-lontariamente al giudizio ditanti maschi che le vedono so-lo come “oggetti” e le valutanosulla base di schemi e di cano-ni stabiliti a loro uso e consu-mo, dimostrando che l’idea del-la donna come “soggetto” è an-cora lontana le mille miglia dal-la loro testa. Il maschilismo piùvieto e più bieco, insomma, lostesso che vige purtroppo anchea tanti altri livelli della nostrasocietà, ma che nel concorso diSalsomaggiore viene eretto nonsolo a sistema ma anche a for-ma di spettacolo. Con uno deipresidenti di Giuria, Andy Gar-cia, che è stato pagato dalla Rai,cioè da tutti noi, la modica ci-fra di 150.000 euro. Scusate, ma a me viene il vol-tastomaco. E continuo a prefe-rire le bestie vere delle fiere zoo-tecniche delle mie valli.

La piccola grandelezione di Emilia

Tra le mie montagne, per le feste d’estate,usa ancora accendere grandi falò sui crina-li o nelle radure: i fuochi di S. Giovanni, delSacro Cuore, di S. Rocco, dell’Assunta cheabbiamo acceso anche nei mesi scorsi e chehanno attirato anche i turisti che vengonodalle grandi città, abituati, penso, a spetta-coli ed a feste ben più sofisticati. Si vede cheil fascino primordiale del fuoco ha conqui-stato anche loro. Ma chissà se hanno capi-to fino in fondo ciò che i falò rappresenta-no per noi montanari: la gioia dei bimbi cherincorrono le faville, il ricordo dei vecchi chenon ci sono più, il calore dell’amicizia e del-l’amore, la voglia e la gioia di vivere nono-stante tutto, il desiderio di esorcizzare il fred-do e la solitudine dell’inverno che verrà, lasperanza e la promessa di ritrovarci ancoraa cantare insieme…

Il fascino dei falò

GISELDA BRUNI

C’è un’altra cosa che tanti turisti non capisco-no: il fatto che riescono a rovinare le vacanzee la vita di tante persone con la loro mania del-la musica - ma sarebbe meglio dire rumore -sempre e dovunque. Mi riferisco alla “disco-techizzazione” sia delle nostre spiagge che del-le nostre valli alpine, che consiste nel riempiredi tump - tump ossessivo ogni possibile angolodi silenzio, di quiete e di riposo. Ogni fine set-timana è un bombardamento di decibel.Un fracasso omniinvasivo che ti perseguita dap-pertutto, al sole e all’ombra, sul bagnasciugadei nostri mari e tra i ghiaioni e le foreste del-le montagne. A me questo tump - tump sem-bra rappresentare una forma di totalitarismo:cos’altro è, infatti, il voler imporre a tutti, vo-lenti o nolenti, la stessa “musica” - pardon, lostesso fracasso -, così come gli stessi abiti, glistessi comportamenti, le stesse opinioni?

La “discotechizzazione”“

L’idea è venuta al sindaco di Delcambre, nel-la Louisiana (U.S.A.): sferrare una vera e pro-pria guerra ai “baggy pants”, cioè ai pantalo-ni “cascanti”, così di moda anche da noi alpunto che ci vediamo spesso intorno ragaz-zi e ragazze che mostrano le mutande (e spes-so anche parte del loro contenuto!). La guer-ra è cominciata all’inizio dell’estate appenatrascorsa ed ha consistito nel punire conun’ammenda di 500 dollari, oppure con seimesi di galera, quanti se ne andavano in gi-ro sfoggiando pantaloni troppo calati. Unconsigliere della Georgia ora prepara una leg-ge contro l’esposizione pubblica di bianche-ria intima sia maschile che femminile: que-sto look trasandato fa sembrare i ragazzi de-gli spacciatori e perciò mina anche la sicu-rezza… Esagerato? Può darsi, ma quando nonbastano il buongusto ed il buonsenso…

Mutatis mutandis“

Stiamo perdendo il contatto con il mondodegli anziani, che sonouna cattedra di vita pertutti: con la lezione delfare senza la presunzione

di insegnare

Miss Italia ha fatto flop

La fiera del melenso

9 / Novembre 2008

Per i giornalisti parlare del “carobebè” ormai è un dovere: si fannocalcoli di quanto costa avere un

figlio, dalla culla all’università (200.000euro, dicono, roba da nababbi), ci si in-terroga e si interrogano le famiglie, spe-cialmente quelle numerose: “Ma comefate?”. Va controcorrente un interes-sante manuale di Giorgia Cozza, “Bebèa costo zero” (Ed. Il Leone Verde) prez-zo 18 euro che per una volta sposta ilmirino su tutte quelle spese inutili opoco utili che pesano sul portafoglio

dei neogenitori e che potrebbero esse-re facilmente evitate. Con una corret-ta informazione, documentata e parti-colareggiata, ci si rende conto che ciuc-cio, salviettine umidificate e vasche peril bagnetto sono voci su cui una fami-glia potrebbe tranquillamente rispar-miare senza togliere nulla al benesseredel bambino, anzi. Siamo infatti “vitti-me” del mercato, ci ricorda il libro, etendiamo ad acquistare cose che nonservono, ma costano eccome. A partel’iniziale investimento sul libro (18 eu-

ro non è pochissimo), la guida può por-tare al risparmio di qualche migliaio dieuro sul totale delle spese relative a unbebè, ma soprattutto aiuta a riportarel’evento nascita alla sua naturalità e al-la sua semplicità. I genitori “numerosi”vi troveranno non poche conferme aipropri modi di fare (non a caso l’autri-ce è a sua volta mamma di tre bambi-ni) e qualche spunto interessante, maper le coppie alle prese con il primo fi-glio ci sono tantissime buone idee, unaserie di testimonianze rassicuranti e un

indirizzario che può costituire una buo-na traccia di ricerca. Si tratta di un li-bro da premiare e da regalare perchécontribuisce a sfatare il mito del figlio“lusso per pochi” e per una volta nonvede nel figlio un problema, un costo.Una volta si diceva che “ogni bambinonasce con il suo fagottino” e le famigliehanno imparato con l’esperienza cheè davvero così. Avere bambini può di-ventare una magnifica avventura, oc-corre viverla con lo spirito giusto maalla fine davvero “non ha prezzo”.

Sotto l’argento vivopuò esserci un disturbo

Il bambino non è “un lusso per pochi”“

In Gran Bretagna la Federazione cal-cio ha vietato la pubblicazione dei ri-sultati e delle classifiche per tutti i

campionati dove giocano bambini sottogli 11 anni: “Devono poter migliorare i fon-damentali del football senza sentire la pres-sione di vincere”, ha detto un portavocenell’annunciare la storica decisione.Basta risultati, primi e ultimi, calcoli estrategie, giocare a pallone tornerà ad es-sere semplicemente giocare al pallone. Che sarà mai?, direte voi. Forse non ave-te bambini in età, forse i vostri continua-no a tirare calci alla palla per strada, machi ha avuto modo di frequentare l’am-biente sa benissimo che cosa può signi-ficare togliere l’ansia di vincere ai nostriragazzini. A iniziare dai genitori, che for-se smetteranno di infuriarsi sui gradini deicampetti, smetteranno di gridare “ucci-dilo” verso il ragazzino atterrato con unfallo, non daranno più del “venduto” al-l’arbitro, ma si siederanno tranquilli, ap-plaudendo anche il bel goal dell’avver-sario. Troppa tensione si è creata intor-no ai bambini, che già molte mamme opapà vedono con un contratto miliona-rio in mano, lanciati nel bel mondo del-

la tv e delle veline. Troppa ansia, trop-pa competizione, che porta ad escludere“le schiappe”, perché non producono vit-toria a nove anni, non portano la societàin vetta alla classifica e in cima alle pre-ferenze di sponsor e di iscrizioni. La nostra squadretta di calcio quest’annoha chiuso i battenti: si allenavano su uncampo di terra che quando pioveva si tra-sformava in un mare di fango dove i ra-gazzini si buttavano e sguazzavano conuna gioia selvaggia. Erano sempre nellazona bassa della classifica e molte voltehanno preso delle sonore bastonate, 5 azero, 6 a 1. Ma quando qualcuno facevagol era una festa. E si volevano bene:quando mio figlio, in allenamento, riusci-va a infilare il pallone in rete lo portava-no in trionfo, lui che non è mai stato, di-ciamo, un campione.

Quest’anno i “bravi” sono stati pre-si dalle squadre più forti, come igiocatori veri, i professionisti.

Fanno due allenamenti alla settimana ela trasferta. Ma due degli ex compagni dimio figlio oggi non giocheranno, sono ri-masti fuori rosa, proprio come quelli ve-

ri. Solo che loro non guadagnano migliaiadi euro e hanno 12 anni, erano lì per gio-care. Un verbo che male si coniuga conquesto modo di vedere il calcio.Forse se anche da noi non ci fosse unaclassifica, la squadretta del nostro orato-rio sarebbe ancora in vita. Ci giochereb-bero ancora tutti i ragazzini della zona,senza dovere farsi chilometri per raggiun-gere gli allenamenti. Oggi avrebbero gio-cato ancora tutti insieme, scarsi e bravi,e si sarebbero divertiti. Magari avrebbe-ro fatto anche goal. E invece no, la logi-ca del vince il più forte ha avuto il so-pravvento. Ecco perché ci sembra unagran bella notizia che proprio dalla GranBretagna, il paese che manda prima ascuola i suoi bambini (anche a 4 anni),dove test ed esami sono più numerosi econtinui, ci sia un segno di rispetto ver-so la libertà dei bambini ad essere bam-bini, senza le pressioni del mondo degliadulti, le ansie di prestazione, il carico diresponsabilità. Un segno di rispetto chepassa attraverso il rispetto di quanto ibambini hanno di più proprio, il gioco.E speriamo che faccia scuola…

Regina Florio

E l’Inghilterra abolisce l’ansia del risultato

Fino a non molto tempo fac’erano i bambini e lebambine “con l’argento vi-

vo addosso”; e non si andava ol-tre nel qualificare i loro com-portamenti. Adesso invece si dàper scontato che tra gli espo-nenti dell’infanzia e della fan-ciullezza, eufemisticamente de-finibili “vivaci”, non pochi po-trebbero essere affetti daA.D.H.D., ovvero dalla “sindro-me da iperattività e deficit di at-tenzione”. La malattia, ricono-sciuta dall’Organizzazione Mon-diale della Sanità, è stata segna-lata - come al solito - anzituttonegli Stati Uniti, dove ne sonostati pure codificati i sintomi piùevidenti, identificati in questitermini: irrequietezza e distra-zioni continue, impulsività, in-capacità di concentrazione nel-l’assolvimento di un determina-to impegno, impazienza, rilut-tanza verso le regole, tendenzaall’isolamento e al mutismo.Nella confederazione che fa ca-po a Washington abbastanza ra-pidamente sono stati accertaticirca 750 mila casi di A.D.H.D..Ovviamente è subito partita laterapia a base di psicofarmaci,sostanzialmente riconducibili adue tipi di confezioni. Varcandol’Atlantico, le notizie sulle pos-sibili cause della “ingestibilità” ditanti frugoletti e ragazzini han-no creato fermento anche nelvecchio continente. L’Italia, difronte al nuovo problema, unavolta tanto si è mossa con i pie-di di piombo. Visti i loro effet-ti collaterali - incidenza sul pe-so corporeo, sonnolenza, rallen-tamento nella crescita, depres-sione - fino allo scorso anno, danoi, è stata proibita la venditadelle medicine specificamenteanti-A.D.H.D. (chi le voleva,doveva andarsene a prenderleall’estero). Dal marzo del 2007si è poi autorizzata la vendita pu-re dalle nostre parti delle pillo-le in parola, ma solo nell’ambi-to di un percorso ben preciso. Inpratica: in presenza dei circa ot-tantamila casi di A.D.H.D. dia-gnosticati finora nel nostroPaese sono stati varati 112 cen-tri qualificati per l’intervento e52 di questi sono stati resi im-mediatamente operativi.Soltanto attraverso siffatti cen-tri viene attuata la cura, cercan-do comunque di ridurre al mi-nimo l’impiego dei farmaci e diagire piuttosto attraverso la psi-coterapia personalizzata. In que-sta maniera, finora, appena po-co più di trecento bambini e

bambine con l’A.D.H.D. accer-tata sono stati autorizzati ad as-sumere le pillole, nelle dosi ap-propriate; e i loro nomi sono sta-ti tutti iscritti in un registro isti-tuito a livello nazionale. Per glialtri il trattamento procede con“sedute” (di psicoterapia) dal co-sto - tanto per stare… nelle no-stre abitudini - assai vario: si pas-sa dai 25 euro normalmente pa-gati in Sicilia ai 150 euro, il piùdelle volte, sborsati inLombardia.I servizi radiotelevisivi e gli ar-ticoli sui giornali dedicati al-l’A.D.H.D. nei mesi più recen-ti hanno portato ad un sensibi-le aumento delle richieste di vi-sita e controlli per i propri figliritenuti “troppo inquieti” da par-te delle famiglie. Gli esperti pre-vedono però che - alla luce deicriteri applicati nel portareavanti gli accertamenti sulle sin-gole situazioni - il numero dei“soggetti” trattati con farmaci re-

sterà contenuto: entro il 2010non si dovrebbe andare oltre i1500-2000 bambini e bambineannotati sul registro nazionaledell’A.D.H.D. e quindi trattaticon le medicine ampiamenteutilizzate invece in altri Paesi.Come era facile immaginare, so-no fiorite discussioni e contrap-posizioni sulle scelte operate.Mentre alcuni plaudono allaprudenza applicata, altri vor-rebbero maggior libertà di opzio-ni circa l’uso o meno delle pil-lole con controindicazioni.Sono nate associazioni di geni-tori di bambini e bambine consospetta oppure accertata “sin-drome di iperattività e deficit di at-tenzione”. Le consuete rilevazio-ni hanno consentito di appura-re che il male si manifesta piùnei maschi (90% dei casi) chenelle femmine (10%); che l’ipe-rattività da sola è presente solonel 3% dei casi mentre il defi-cit di attenzione ha la prevalen-

za unicamente nel 9% dei sog-getti; in breve, l’A.D.H.D. simanifesta quasi sempre (88%dei casi) in forma “combinata”. Negli ambienti sanitari nonmanca chi vorrebbe freni anco-ra più rigorosi di quelli già orastabiliti, in Italia, al ricorso aglipsicofarmaci. Due ricercatoriimpegnati in una università diRoma, con uno studio (pubbli-cato sulle pagine dell’AmericanJournal of Medical Genetics)hanno dimostrato che certeforme di A.D.H.D. possonotranquillamente essere curatecon prodotti che non hanno as-solutamente effetti collaterali.Da più parti si sono levati invi-ti ai genitori ad essere moltocauti nel ritenere in preda allasindrome dell’iperattività i loropargoli ed a fare, invece, loro, igenitori stessi, un “esame di co-scienza” sui propri comporta-menti nei confronti dei rispet-tivi figli. Certi atteggiamenti nei

piccoli, insomma, potrebberoanche essere la conseguenza dicompiti non completamente enon adeguatamente svolti daadulti con addosso il ruolo di ge-nitori e di educatori. Il più del-le volte… l’A.D.H.D. esige pre-venzione anziché cura. E anchenella terapia un docente dell’u-niversità di Modena, ErmannoTaracchini, ha trovato assai piùefficaci delle pillole i “metodi so-cio-educativi” dettati dalla “peda-gogia antropoevolutiva”: metodibasati sul dialogo (per capire afondo le radici dell’iperatti-vità), su un’attività (che condu-ca alla metodica disciplina deimovimenti e degli atteggia-menti) e sull’integrazione (ossiasull’inserimento del soggetto“troppo irrequieto” in un conte-sto umano e ambientale che loaiuti - o lo costringa - a tenersia bada).

Bruno del Frate

REGINA FLORIO

10 / Novembre 2008

I SE GNI DEI TEM PI

do da 12 a 37 milioni di persone, cioè il 72% della popolazione. La Repubblica Democratica del Congo è un caso emblematico, se si considera che si tratta di una delle regioni della ter-ra con le maggiori risorse naturali. Il rapporto della Fao indica chiaramente che per ridurre il numero di sottoalimentati è fon-damentale lo sviluppo rurale, almeno nei Paesi nei quali la situazione è peggiore. “Nonostante ciò, i Paesi donatori hanno ridotto in modo consistente gli aiuti al settore agricolo. Nel 1984 i Paesi donatori hanno versato quasi otto miliardi di dollari per il sostegno dei programmi agricoli, ma nel 2002 la cifra si è ridotta a circa tre miliardi. Inoltre i Paesi del Nord del mon-do adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l’esportazione dei loro prodotti. E’ un pò come dire che si individua l’agricoltu-ra come il motore principale per la ripresa dei Paesi sottosvilup-pati, ma poi questo motore lo si frena in tutti i modi”. “Basterebbero 30 miliardi di dollari per sfamare tutti”, di-chiara la FAO. Vi basta sapere che la guerra in Iraq è costata sinora ben 560 miliardi fuori bilancio della Difesa? Sarebbero ba-stati per salvare tutte le banche americane o per sfamare per vent’anni tutti gli abitanti della Terra. A scelta!

Fao si riferiscono al trien-nio 2001-2003: le persone sottoalimentate sono anco-ra 854 milioni. Tra queste 820 milioni vivono nei paesi in via di sviluppo, 25 milioni nei Paesi in transizione e 9 milioni nei Paesi industrializzati. Il rapporto sottolinea che ci sono alcuni dati confortan-ti e riguardano i Paesi in via di sviluppo, nei quali il numero di sottoalimentati si è ridotto del 3% rispet-to al 1990, e potrebbe di-mezzarsi entro il 2015. Ma a fronte di queste buone notizie si evidenzia un divario sempre più ampio con i Paesi più poveri, nei quali le cifre parlano di un aumento netto della povertà. E’ esemplare il caso dell’Africa sub-saharia-na: la Fao stima che entro il 2015 il 30% di sottoa-limentati sarà concentrato in quella regione..Nell’Africa sub-sahariana il numero di persone sot-toalimentate è passato da 169 milioni nel 1990-92 a 206,2 milioni nel 2001-03. Tra le cause di questo in-cremento l’Aids, le guerre e le catastrofi naturali, in particolare nel Burundi, in Eritrea, in Liberia, in Sier-ra Leone e nella Repubbli-ca democratica del Congo. E’ proprio questo il Paese per cui si registrano le maggiori preoccupazioni della Fao poiché, a cau-sa anche della guerra del 1998-2002, il numero di affamati è triplicato passan-

NAZZARENO CAPODICASA

Immaginiamo per magia di poter dimezzare la quantità di alimenti necessari per nutrire gli umani. Si risparmierebbe un’enormità di acqua, di suolo, d’energia, di prodotti chimici (con la collegata contaminazione di suoli e di falde idriche) e naturali. Insomma tutto quanto è utilizzato per coltivare e “lavorare” il cibo. E ci sarebbe tutto lo spazio per nutrire più che a suf-ficienza gli attuali 854 milioni di affamati. Bene: da tempo sappiamo dello spreco rappresentato dall’ipernutrizione di un miliardo di persone. Sappiamo pure della competizione cibo-mangime-agrocarburante. Secondo una ricerca sulla crisi alimentare, “la destinazione della produzione agricola di cereali nel 2007 è stata di 1.009 milioni di tonnellate per il consumo umano, 765 milioni di tonnellate per il consumo animale e 364 milioni di tonnellate per altri fini, fra cui 90 milioni di tonnellate per gli agrocarburan-ti”. Ma non basta. La nostra Europa sta diven-tando esattamente come gli Stati Uniti: obesa. Con un’incredibile e spaventosa scia di vittime causate da tumori, deficienze renali, diabete e patologie cardiache. Entro breve, il numero di morti per problemi legati al peso e alle malattie alimentari supererà quello imputabile all’alcool o al tabagismo. Anche nel vecchio continente dovremo fare i conti con uno dei peggiori pa-radossi americani: nonostante i grandi passi in avanti compiuti dalla medicina, l’aspettativa di vita delle prossime generazioni sarà decisamente inferiore rispetto a quella odierna. E non c’e’ solamente il latte cinese. Frutta e verdura sono contaminate, i dolci sono intrisi di grassi nocivi, le bibite gassate vengono addol-cite con sostanze volutamente iperglicemiche, ci sono hamburger che contengono la carne di 400 vacche differenti. Fantascienza? Paranoia? Niente di tutto questo. Solo una realtà comprovata da numerosi studi scientifici documentati e scon-volgenti: un viaggio nella nostra alimentazione quotidiana, alla scoperta delle manipolazioni e dei raggiri, che partono da produttori agricoli, allevatori, aziende farmaceutiche, ricercatori, pub-blicitari e che finiscono diritti nei nostri piatti. E’ ora di sostituire l’inciviltà dello spreco con la civiltà della sobrietà alimentare!

N.Cap

Se mangiassimomeno e meglio...

L’obiettivo di dimez-zare il numero di persone che soffro-

no la fame entro il 2015 è lontano, sempre più lonta-no, praticamente irraggiun-gibile. Il Rapporto annuale sullo Stato di Insicurezza Alimentare nel mondo, dif-fuso lo scorso mese dalla Fao, lo ammette senza giri di parole. “In dieci anni, in pratica, non è stato fatto alcun progresso verso l’obiettivo di dimezzare il numero di sottoali-mentati nel mondo”. In alcune zone del pianeta, soprattut-to in Africa, la situazione non solo non è migliorata, ma è in progressivo peggio-ramento.Al mondo ci sono 854 milioni di persone che sof-frono la fame e il numero non è mai diminuito dal 1990-92. Fare riferimento a questa data è importante. Nel 1996, infatti, oltre 180 capi di Stato e di Governo si erano riuniti a Roma per il Vertice mondiale sull’alimentazione, firman-do solennemente una Di-chiarazione, con la quale si impegnavano a dimezzare il numero degli affamati en-tro il 2015 e portarlo a 412 milioni. Per onorare l’impegno preso al Vertice si sarebbe dovuto ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l’anno da allora sino al 2015. Ma la tendenza attuale è, al contrario, di un aumento al ritmo di quattro milioni l’anno.Le ultime rilevazioni della

Nessun progresso verso l’obiettivo di dimezzare il numero dei

sottoalimentati nel mondo.

La tendenza attuale è, al contrario, di

un aumento di quattro milioni

di affamati l’anno.

30 miliardi di dollari,per 900.000 di malnutriti

11 / Novembre 2008

Il PANE quotidiano,farlo in casa si può

“Dacci oggi il no-stro pane quo-tidiano...”, è,

come tutti sanno, un passo tratto dal Padre Nostro che Gesù stesso, come è scritto sui Vangeli di Luca e di Matteo, ha voluto trasmet-terci direttamente. È la preghiera che il Figlio di Dio recita ai suoi dodici apostoli, quando questi gli chiedono di insegnare loro a pregare. Naturalmente il Maestro non intende sol-tanto il pane nel significato letterale del termine, ma an-che e soprattutto lo intende in senso figurato: quel pane spirituale che deve nutrire il buon cristiano ogni giorno che gli è dato vivere.In questa sede però abbia-mo tirato in causa questo celebre passo evangelico per trattare del pane solo, diciamo così, nella sua con-cretezza di alimento base di molte popolazioni della terra. D’altronde, la doppia natura di Cristo, divina e umana al contempo, rende possibile interpretare cor-rettamente questo passo in tutt’e due i sensi, che poi, a ben vedere, si integrano. Non di solo pane vive l’uomo, ma neppure, aggiungiamo noi, di solo spirito. Oggi si fa un gran parlare dell’aumento dei costi della vita: si va dagli interessi sui mutui variabili per la casa, alle bollette, ai generi di consumo in generale e, in particolare (per ciò che ci interessa qui prendere in esame) del pane. Un alimento base che, insieme alla pasta, ha subìto, in questi ultimi tempi, rincari, talora ingiustificati, di un

certo peso specialmente nei grandi insediamenti urbani come ad esempio Roma e Milano.Abbiamo voluto accostarci a questa problematica con molta cautela, stando ai fatti che vengono riportati dai media, senza voler per questo incolpare nessuno, né, tanto meno, prendercela con la categoria dei panifi-catori o degli altri operatori della cosiddetta filiera, che, nella maggior parte dei casi, hanno senz’altro dei validi motivi dalla loro per giu-stificare i rincari. Il prezzo della farina è aumentato, e l’aumento risulta tuttora stabile (nonostante i ce-reali ultimamente abbiano registrano un decremento del 30 per cento) e in for-za di questo rincaro sono aumentati i suoi derivati:

pane, pasta, pizza, dolci da forno ecc.. Non fa una pie-ga, anche se c’è da notare che mentre l’aumento della

pasta industriale è stato, ri-spetto all’anno scorso, del 4,5 per cento circa, quello del pane invece ha segnato un incremento medio del 7,5 sempre in percentuale.

NOVITA’ Edizioni Frate Indovino

L’ Erbario inedito Veneto, svela i segreti delle piante medicinali ed è corredato da tantissime immagini a

colori, dei vegetali presi in esame, eseguite con la tecnica ad acquerello, rappresenta un primo manuale di medicina popolare o meglio uno dei primi prontuari farmaceutici in dotazione dei medici dell’epoca.

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Il prezzo al dettaglio del pane comune (acqua, farina di grano tenero, lievito e additivi in minime quanti-tà), presso i più disparati punti vendita, sul territorio nazionale, oscilla da 1,70 euro a 2,70 euro al chilo. Vediamo invece ora quanto costerebbe più o meno un chilo di pane comune per chi volesse farselo in casa da sé, magari utilizzando la macchina del pane.Il costo della farina di tipo 0 è all’incirca di 50 cen-tesimi il chilogrammo alla vendita al dettaglio, mentre all’ingrosso è intorno ai 25 centesimi circa. Per fare un chilo di pane servono grosso modo 600 grammi di farina e 400 di acqua. L’acqua, almeno per il mo-mento, rappresenta un costo talmente irrisorio che nean-

che vale la pena calcolarlo, e il sale marino grosso può essere quantizzato intorno a un centesimo per chilo; mentre la quantità del lie-vito di birra può incidere mediamente per circa 10, 15 centesimi per ogni chilo; se poi dalla pasta madre si ricava il lievito naturale la spesa è di molto inferiore. A questi costi, infine, va aggiunto quello dell’energia: gas, elettricità o legna, a secondo dei metodi di cot-tura impiegati. Insomma, se facciamo due conti la con-venienza c’è, eccome. Ma veniamo alla macchina del pane, la quale costi-tuisce, secondo noi, un ottimo rimedio, vuoi per il risparmio che si ottiene dopo l’ammortamento del dispositivo, che avviene in tempi relativamente brevi in una famiglia media italiana, sia per la possibilità di controllare la qualità degli ingredienti e, insieme, per evitare l’aggiunta di additivi chimici quantomeno non ne-cessari. Oggi se ne trovano in commercio di vari tipi, il loro prezzo oscilla dai 30 (in offerta speciale) agli 80 euro, dipende dalla marca e da chi li commercia. Tutte le macchine prese in esame sono in grado di sfornare pani da un minimo di 400 grammi a un massimo di un chilo. Il tempo di cottura varia dalle tre ore e mezza per una cottura normale, alle due ore per una cottura ra-pida. Inoltre, la macchina del pane consente di fare dolci da forno, marmellate e, infi-ne, impastare e far lievitare la pasta per la pizza che poi si dovrà cuocere a parte in un forno o su una piastra. C’è anche chi sostiene che si possa, con il programma delle marmellate, cucinare an-che la polenta, ma nessuna indicazione proviene in que-sto senso dalle aziende che le fabbricano, almeno per quanto ci è dato sapere.

La macchina del pane, in vendita a prezzi

relativamente modici, può aiutare le famiglie a risparmiare e a migliorare la qualità di prodotti come il pane, i dolci da forno, le

marmellate e la pizza.

12 / Novembre 2008

Il più delle volte si sottova-luta il problema, eppure i danni che può pro vo ca re

al no stro or ga ni smo l’ecces -sivo ru mo re è uno degli aspetti negativi dell’odierna società, da prendere in seria considerazione. Va detto, innanzitutto, che i forti ru mo ri sono mal tol- le ra ti dalle no stro apparato uditivo e non è cer ta men te un luo go co mu ne il fatto che il ru mo re fac cia di ven -ta re sor di. In fat ti i suo ni molto forti cre a no dan ni so prat tut to alla “co clea”, la strut tu ra a for ma di chioc cio la che si tro va al centro del l’orec chio. Esiste un mec ca ni smo na tu ra le di pro te zio ne che è l’azio ne di un mu sco lo in ter no al- l’orec chio stes so il quale si con trae quan do il ru mo re è forte, am mor tiz zan do i suoni e bloc can do par zial men te la tra smis sio ne. Ma quel lo del- l’orec chio non è un si ste ma che può sop por ta re : più si spo sta in alto la so glia del l’udi bi li tà e, in pra ti ca, meno si sen te. Secondo al- cu ne re cen ti ri cer che il fatto di di ve ni re len ta men te sor di o, co mun que, di sen ti re molto meno non è, come si ac cen na va pri ma, l’unico dan no che l’in qui na men to acustico in flig ge al no stro or- ga ni smo. I forti ru mo ri pos- so no, in fat ti, creare dan ni al si ste ma neu ro ve ge ta ti vo e, di con se guen za, pro ble mi alla re spi ra zio ne, la cir co la zio ne e anche alla di ge stio ne. Inoltre vi ve re in un am- bien te rumoroso porta an che difficoltà nel dormire bene, specialmente durante il ripo-

can do, appunto, le sindromi già dette. Ma le vi bra zio ni pro dot te dal ru mo re pos so no in ter fe ri re an che con il cuo- re e la cir co la zio ne. Suo ni mol to for ti pro vo ca no un re strin gi men to dei vasi san- gui gni (va so co stri zio ne) che pos so no, di con se guen za, di stur ba re l’ir ro ra zio ne del san gue in al cu ni or ga ni. I ru mo ri forti e le vi bra zio ni da essi provocati, pos so no an che in ter fe ri re con il bat ti to car di a co e cre a re ul- te rio ri osta co li a chi sof fre di un cat ti vo fun zio na men to del le co ro na rie. Disturbi sul l’umo re e sul l’at ten zio ne sono sta ti ri ve la ti su alcune per so ne, così come in di vi dui sot to po sti a ru mo ri ec ces si vi hanno ma ni fe sta to dif fi col tà nel la vi sio ne sia diur na che not tur na. Dob bia mo, quin di,

so notturno. Può, inoltre, comportare pure altri di -sturbi, come la dif fi col tà di con cen tra zio ne, la ten sio ne mu sco la re ed ad di rit tu ra pro ble mi alla ti roi de. Ma ve dia mo come mai. At- tra ver so il si ste ma nervoso, gli ef fet ti degli ec ces si vi stimoli acu sti ci rag giun go no mol ti organi e ap pa ra ti tra cui, prin ci pal men te, la vi sta, il si ste ma ner vo so neu ro ve ge ta ti vo, quel lo car- dio va sco la re e l ’ap pa ra to di ge ren te. In que st’ul ti mo caso, ad esem pio, pos so no com pa ri re dif fi col tà di di- ge stio ne, cram pi e co li ti. Esi ste, in fat ti, la pos si bi li tà di un dan no pro vo ca to dal le vi bra zio ni so no re che col pi sce la mu sco la tu ra li scia di sto ma co ed in te sti no i quali si con trag go no pro vo -

ri cor da re che i “ber sa gli” di intensi suoni pro lun ga ti, ol-tre un certo lasso di tempo, non sono sol tan to i no stri tim pa ni bensì tut to il no stro or ga ni smo e le sue fun zio ni vitali. Ricordarci sempre che quan do l’equilibrio psicofisi-co viene a mo di fi car si, anche a cau sa di ru mo ri troppo for ti e pro lun ga ti, vi sono delle con se guen ze nocive. Per que sto, soprattutto chi passa gran parte della sua vita in luoghi inondati da rilevante impatto acu sti co, deve tenere ben pre sen ti qua li sono i ri schi ai qua li va in con tro sia la sua salute, sia quella degli altri e indurre ad ap-portare i giusti rimedi. Dai tappi per le orecchie a nor-ma sui luoghi di lavoro, alla coibentazione acustica delle abitazioni ecc..

Alimentitaroccati,all’insegna

del tricoloreNon ci sono solo i cinesi a coprire metà del globo di prodotti contraffatti e pericolosi. Dai capi d’abbi-gliamento, ai giocattoli, al latte alla melanina. All’estero è falso più di un prodotto alimentare col marchio ita-liano su quattro. E’ quanto ha stimato Sergio Marini, presidente della Coldiretti. Che ha offerto un’esposizio-ne completa che porta alla luce il fenomeno crescente della pirateria agroalimenta-re internazionale, utilizzan-do impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette, che si richiamano all’Italia, per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la produzione nazionale. Una vera galleria degli orrori, con cento falsi ali-mentari d’autore, che vanno dal Chianti californiano alla Fontina svedese, dalla Ricot-ta australiana alla Mortadella Bologna fatta con il tacchi-no, ad inquietanti imitazioni di gorgonzola, soppressata calabrese, salame toscano, Asiago, pomodori San Mar-zano e addirittura polenta ‘spacciata’ come italiana. Dai nostri concittadini che vivo-no negli Stati Uniti arrivano sempre più frequenti segna-lazioni di prodotti italiani contraffatti. Dal parmigiano reggiano “made in Argentina” al prosciutto “San Daniele”, da una specie di gorgonzola prodotto in New Jersey per arrivare a prodotti di lusso contraffatti. Occhiali e oro-logi firmati Prada e Armani venduti nelle bancarelle a 10-15 dollari. Ma che ne sarebbe di un italiano che aprisse una bancarella accan-to a queste e cominciasse a vendere software Microsoft fa-sullo? Quanto ci metterebbe uno sceriffo ad arrestarlo?

BRUNO DEL FRATE

ERASMO

Quando nel 1908 il Ministro provinciale dei Cappuccini dell’Umbria, padre Giulio da Perugia, con il consenso di tutta la Provincia, chiese ai Superiori Generali dell’Ordi-ne “una Missione Vera estera, fuori d’Europa, preferibilmen-te in America e, se possibile in Brasile”, i suoi confratelli, nel tempo, avevano già segna-to con la loro opera missio-naria, talvolta spinta fino al martirio, l’Europa, il Medio e l’estremo Oriente, l’Africa, l’America Latina e in partico-lare il Brasile. Sull’onda di questo anelito

missionario mai sopito, il 30 giugno 1909, salparono per l’Amazzonia brasiliana, dal porto di Napoli, i primi quattro missionari umbri, giungendo a Manaus il gior-no 26 del mese successivo. Costoro rispondevano al nome di padre Domenico Anderlini, padre Agatangelo Mirti da Spoleto, padre Er-menegildo Ponti da Foligno, fra Martino Galletta da Ce-glie Messapico. Ebbe inizio così l’evange-lizzazione in quelle remote terre affascinanti, ma nello stesso tempo, soprattutto

per chi come loro veniva da lontano, irte di insidie d’ogni tipo, alle quali si ag-giungeva, come aggravante, la penuria dei mezzi. Eppure la determinazione ed il corag-gio di questi primi quattro missionari aprì il solco agli altri missionari umbri che nel giro di un secolo si sono avvicendati con amore e passione lungo le rive del più grande fiume del mon-do, tra le foreste più folte della terra, all’estremo lembo del Brasile, al confine con il Perù e la Colombia, nell’Alto Solimões. Manaus, S. Paulo

de Olivença, Benjamin Co-stant, Tabatinga, Amaturà, S. Antonio do Iça, Tonantins, Belém e Atalaia, questi i centri dove hanno operato e continuano ad operare i frati missionari di quella che oggi è diventata la Vice Provincia dei Cappuccini umbri. L’Almanacco di Frate Indovi-no del 2009, vuole nelle sue belle pagine, raccontare la storia di questi intrepidi mis-sionari, rendendogli omaggio a cent’anni di distanza dal loro arrivo in Amazzonia e a tutti gli altri che si sono succeduti fino ad oggi.

Cento anni in Amazzonia FRATEMARCO

Si sente parlare sempre più spesso di inquinamento acustico, come se non bastassero quelli dell’aria, delle acque, dei terreni e, infine, quello luminoso. Infatti, in molte cit tà ita lia ne il ru mo re che si è co stret ti a sop por ta re su pe ra ab bon dan te men te in decibel (l’unità di misura del suono), sia di gior no che di notte, i li mi ti sopportabili dal nostro organismo per non essere

costretto in uno stato di fastidiosa sofferenza, fino al punto di ammalarsi seriamente.

Copertina del nuovo Calendario.

13 / Novembre 2008

Far quadrare il bilancioAvete qualche problema a far qua-drare il bilancio familiare e diffi-coltà ad arrivare alla fine del mese? La conclusione della vicenda Alita-lia ci offre lo spunto per risolvere al meglio ogni ostacolo. Dividiamo il nostro bilancio in due società: una buona, dove mettiamo tutte le entrate provenienti dal nostro lavoro. Nell’altra, quella cattiva, mettiamo invece mutuo, bollette, spese per la macchina e quant’al-tro esce dal nostro borsello. Basta tenersi la prima ed amministrarla ed accollare la seconda allo Stato e il gioco è fatto. Semplice, no?Alta fi nanzaCrolli a catena tra i colossi della finanza statunitense. Ma non erano loro che valutavano nazioni, multi-nazionali, banche e grandi aziende? E politici e giornalisti economici, ministri e capi di governo che

pendevano dalle loro sentenze. Come tutti i pronosticatori del futuro, gli economisti le sbagliano quasi tutte. Salvo ad essere insu-perabili a spiegarti perché hanno sbagliato. Fanno venire in mente i venditori dei numeri al lotto. Ma se capissero qualcosa di futuro in economia, non avrebbero bisogno di lavorare per campare!AliprofDopo un mese di polemiche, accu-se, ultimatum, scadenze, manifesta-zioni, assemblee e grida, si è con-clusa la vicenda Alitalia. Tutti più o meno soddisfatti. Così appare la vicenda al momento. “Garanzie a pioggia”, per tutti o quasi. A

quale prezzo non è ancora dato a sapersi. C’è chi ha ipotizzato un costo pari al “risparmio” ottenuto con il licenziamento di 90 mila in-segnanti pubblici. I quali, vedendo un aereo Alitalia, potranno dire con orgoglio che vola con i suoi soldi. Una bella soddisfazione, am-mettiamolo!Tutti “lodati”E’ preannunciato un altro lodo. Dopo il primo, che ha preso il nome del Ministro della Giustizia e che prevede l’immunità per le più alte cariche dello Stato, ne è preannunciato un secondo per rendere immuni da processi anche i ministri della Repubblica. Non

serve insomma la magistratura, ba-sta il giudizio del popolo sovrano. Se li hanno eletti, diventano per legge immuni da ogni peccato. So bene che è una provocazione, ma circa duemila anni fa, il popolo sovrano, tra Gesù e Barabba, scel-se quest’ultimo!Cultura e TVLeggo dalle cronache che manche-ranno ben 8 miliardi di euro nel bilancio dell’istruzione pubblica. E che un mezzo per contenere i costi, oltre alla riduzione del per-sonale (si parla di parecchie decine di migliaia di unità) e delle ore di lezione, si chiuderanno le aule nei piccoli centri. “Non consentirebbero l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a sti-molarne le capacità di apprendimento”. Vero, perché sprecare soldi per il sapere? Saper leggere o far di con-to non serve per guardare la TV!

Non solo il perdono è in disuso ai nostri giorni. E’ anche sem-pre più raro sentire la parola

“scusa”. La diciamo solo quando non ci costa niente. Giusto per sembrare educati. E un attimo dopo ce ne siamo già dimenticati. Come se chie-dere «scusa» ci facesse male dentro. Siamo quasi convinti che non si fa, non è da uomini. E neanche da donne, se è per questo. Perché chi sbaglia paga e noi non vogliamo avere debiti con nessuno. Il mondo ci vuole aggressivi, sicuri di noi, infallibili. Gli errori non sono previsti nella nostra vita. E, comun-que, siamo certi, sono colpa degli altri. Chi si scusa è un debole, qualcuno che non ha il coraggio delle proprie azioni. Un indeciso. Si può chiedere perdono o scusa solo per ruffianeria, per ottenere qualcosa e mettersi la maschera della persona accomodante. Dentro di noi non siamo disposti ad ammettere nessuna colpa. Siamo un indulto che cammina su due gambe. Pronti ad autoassolverci su tutto e tutti. Avvocati difensori della nostra vita che vincono i processi con formula piena.

Le scuse sono roba da pavidi, da gente senza personalità. Noi abbia-mo sempre ragione, persino quan-do abbiamo torto. Ma per chiedere “scusa” ci vuole coraggio. Quello di accettare e vincere la paura di sbagliare, di essere fallibile. Una pa-rola che può cambiare un rapporto umano. Per farsi perdonare ci vuole nobiltà d’animo, la capacità di non

abbassare gli occhi, di arrossire senza nascondere un briciolo di ver-gogna. Chi chiede scusa non è mai un perdente, ma uno consapevole che la partita con la vita non ha un risultato scontato. Gli altri sono gli arroganti che ti guardano dall’alto in basso e protestano con l’ar-bitro anche dopo averti steso platealmente in area. Sono quelli sicuri di sé, pieni di risorse, pronti a tutto e disposti a niente. Quelli che sono pronti a scusarsi solo con se stessi ed anche in questo caso fanno una fatica bestiale.Per chiudere cito un mai dimenticato detto di un mio insegnante: “Si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un barile di aceto!”.

Si può essere belli “come il Sole” o come “un Dio”, che poi sarebbe la stessa cosa per ché Apollo, dio della bel lez za, era anche

il dio del sole. Un bam bi no so li ta men te è bello “come un an- ge lo”, mentre una donna sor ri den te ed ele gan te è “bella come una sposa”, poi ché si sa che nel gior- no del matrimonio “tutte le spose sono belle”. Quando si è gio va ni si pos sie de “la bel lez za del- l’asi no”, esi la ran te stor pia tu ra del fran ce se “la beauté de l’âge”, in cui “âge” (età) s’è tra mu ta ta in “âne” (asino). La sag gez za popolare ve ne ta am mo ni sce però che “co la be les sa sola no se vive”; i ge no ve si più pra-tici dicono “bel les sa no fa buggì a pu gnat ta” (non fa bollir la pen to la). In più bisogna ri cor dar si sempre che “la bellezza è come un fiore, che nasce e presto muo re”; basarsi solo su quella nella vita può dar adito a de lu sio ni, dato che “la bellezza ha belle foglie e frut ti amari” e se non è unita ad altre doti, come la bontà e la saggezza, è “casa senz’uscio, nave senza vento, fonte senz’ac qua, vino svanito”. Ma poiché “anche l’oc chio vuole la sua parte”, e in fon do “non è bello ciò che è bel lo, ma è bello ciò che piace”, investiamo annualmente mi lio ni

d’euro in prodotti di bel lez za, seguendo il celebre detto di Helena Rubinstein “Non esistono donne brutte, ma solo donne pigre”, con cet to rie la bo ra to da Marcello Marchesi in: “Non ti buttar giù se non sei una bellezza, aiutati che Dior ti aiuta”. Il maggior in ve sti men to pare vada nelle tinture per capelli, soprattutto in quelle schia ren ti, ed è un retaggio antico; il fatto di non esser bionda e di carnagione chiara (“a donna bianca bel lez za non manca”; “occhio nero e capel biondo la più bella son del mondo”) nell’antichità era spesso ar go -men to di consolazione e giu sti fi ca zio ne; già nel Cantico dei Cantici (1,4) la pro ta go ni sta afferma: “sono bruna ma bella”, e ancora oggi s’usa dire, riprendendo il ti to lo d’un vecchio film ormai di ve nu to proverbio “gli uo mi ni preferiscono le bionde ma sposano le brune”: e ciò è logico, dato che qua si tutte le bionde sono ex brune. Al contrario si può esser brutti come “il demonio, il pec ca to, la fame, un rospo, uno scorfano, una cozza, una stre ga”. Se il nostro aspetto non è esteticamente dei mi glio ri non dobbiamo pre oc -cu par ci; tutti sanno che le orec chie a sventola non fanno as so mi glia re a Dumbo ma sono “sim- bo lo d‘intelligenza”, men tre per gli uomini l’esser to tal men te calvi è indubbio “segno di virilità”.

Di una fem mi na pe lo sa come una scimmia si dice “donna pe lo sa, donna vir tuo sa”; se ha i mustacchi “donna baffuta sem pre piaciuta”; se è ir ri me dial men te brutta “ha dei be gli occhi e vuol bene alla mamma” e se gli occhi sono storti si tratta di “stra bi smo di Venere” Se una persona è pic ci na d’altezza “nella botte piccola ci sta il vino buono” e se ha le mani gelate come soglio-le Findus “mani fred de, cuore caldo”; a questo pro po si to Pitigrilli così com men ta va: “Mano fredda, cuore cal do. Anche in francese si dice così; anche in russo, anche in arabo. Questo dimostra che l’imbecillità è universale”.

Gli spilli di Erasmo

MITÌ VIGLIERO

La bellezza nei modi di dire

Chiedere scusa? Giammai!

14 / Novembre 2008

“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavora-re nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stes-so. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?”. Dicono: “L’ultimo”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli” (Mt 21,28-32).Di questa parabola si può fare una prima lettura: non chi dice “Signore, Signore” è vero discepolo, ma chi concretamente fa la volontà di Dio. È il fare che conta, non l’obbedienza apparente, l’entusiasmo facile e incon-cludente. Per capire che cosa signifi-chi per Matteo il verbo fare, bisogna leggere il grande affresco del giudizio (25, 31-46). Due i tratti principali: l’universalità (fratello di Gesù è qual-siasi bisognoso) e la concretezza del prendersi cura dei bisognosi di ogni genere, anche stranieri (“ero stranie-ro e mi avete ospitato”). Ma questa prima lettura non ci porta ancora al centro della parabola, costituito dalla sorprendente affermazione: “Vi garan-tisco che i pubblicani e le prostitute entreranno prima di voi nel regno di Dio”. Qui le parole di Gesù si fanno dirette, passano al voi e coinvolgono i suoi interlocutori e noi stessi. È chia-ro che Gesù non intende porre un principio, come se volesse affermare che tutti i peccatori, per il fatto stesso di esserlo, entreranno nel Regno e che, al contrario, nessun giusto po-trà entrare. Più semplicemente, Gesù constata una situazione di fatto, che però continua a ripetersi e che, in ogni caso, deve farci fare un esame di coscienza. Ecco la situazione: Gesù ha incontrato uomini giusti e praticanti e lo hanno rifiutato, e ha incontrato uomini della strada e lo hanno ac-colto. Di fronte a questa situazione possibile, i cristiani devono riflettere e comprendere che anch’essi, per primi, hanno bisogno di conversione e di perdono. È bene che ciascun cristiano (e anche la comunità) si ponga una domanda: come è possibile che tanti credenti, di fronte a proposte evan-geliche concrete, si tirino indietro e ostacolino proprio quei tentativi che dovrebbero essere loro stessi a susci-tare? Così, per fare un esempio, c’è chi crede nella carità evangelica, nella fratellanza cristiana, ma poi, inspie-gabilmente, sostiene concezioni che sono l’opposto. Oppure, ci possono essere cristiani impegnati che, tuttavia, ostacolano ogni concreta iniziativa tesa a rendere la vita della comuni-tà cristiana più attenta ai bisognosi. Tutto questo succede. Ha ragione il Vangelo: la conversione è anche per i giusti, non solo per i contemporanei di Gesù.

I peccatorivi passanoavanti nel regno di Dio

La favola di Petit

Il duo è espressione per indicare combinazione di persone o di elementi che realizzano qual-cosa di buono e famoso. Nell’uso che ora ne

facciamo, il duo non è associazione di persone di eccezione, ma abbinamento di regole o precetti che compendiano tutto il bene morale che l’uomo può fare o è chiamato a fare: cioè la norma dell’amore di Dio e del prossimo.Con altro paragone di sapore geometrico, il triangolo non ha sussistenza se non è formato da tre lati che fuori metafora sono Dio, l’uomo e il suo prossimo. Se Dio non sta alla base l’uomo non capisce se stesso e stravolge il senso del suo rapporto con i suoi simili al punto che si può parlare di Homo homini lupus, cioè l’istinto di sbranarsi a vicenda.Se c’è Dio, e io scopro d’essere fatto a sua im-magine, come ogni appartenente alla mia specie, l’equilibrio tra questi tre lati forma un triangolo senza difetti, al quale solo l’umana fragilità può

togliere qualcosa di perfezione. Ama Dio sopra tutte le cose mi fa vivere nella continua contemplazione di qualcosa di talmente grande da far scordare tutti gli aspetti magri e insoddisfacenti della esistenza umana e dà la carica per vivere con forza, gioia e speranza che altrimenti non sarebbe possibile avere.Amare il prossimo come se stessi ricorda prima di tutto il rispetto e la fiducia che devo avere nel principale bene che possiedo che è la mia propria esistenza, mentre il dimenticarlo porta alla noia, allo scoraggiamento fino al suicidio. Questo amore vero verso di sé, che scopriamo nell’esistenza di Dio, come acqua nata per scorrere, dilaga poi verso l’altro simile a me.Si rincorrono così le immagini del duo, del triangolo e, secondo l’ultimo aspetto del cerchio che girando si chiude completando se stesso. Non c’è altra cosa che faccia sentire l’uomo meglio realizzato.

Nel duo, il tutto TEOBALDO RICCI

Viveva a Courmayeur un ciabattino in una pic-cola casetta fuori dell’abitato ai piedi del monte Chetif. Attendeva tutto il giorno al

suo lavoro e a fi anco aveva il suo fi glioletto Petit, gracile e infermo alle gambe. Solo la domenica Amant, così si chiamava il cia-battino, lasciava il fi glio, ripone-va gli arnesi e partiva prima che le stelle impal l idissero nel cielo verso la montagna. Il suo prediletto era il Monte Bianco, di neve, dove le nuvole spesso ne coprivano la vet-ta allo sguardo. Egli andava su per i sentieri a lui noti, traversava ghiaccio e neve, solo al cospetto della Natura e andava su sempre più in alto verso quella vetta magnifi ca avvolta nel manto ovattato delle nubi. Lassù, lui lo sapeva, vi abitavano gli angeli di Dio, e di lì loro guardavano il mondo circostante e le creature che lo abitava-no. Amant ogni volta saliva di più, ma la cima era così distante e le sue forze così poche che doveva tornare a sera alla sua casetta col suo desiderio inappagato. Eppure gli angeli lo avrebbero ascoltato. A loro egli voleva chiedere la guarigione del suo Petit e solo essi così vicino a Dio potevano inter-cedere in favore del piccolo malato. Tornava a casa portando cartoccetti di aria della sua bella montagna e la faceva respirare a Petit che riacqui-

stava il colorito e batteva le mani felice. A Petit il babbo raccontava la bellezza di quei luoghi e degli angeli che l’abitavano. Petit lo ascoltava silenzioso e quando il babbo aveva terminato il suo racconto lo pregava di portarlo con lui. Ma Amant diceva no

e i giorni pas-savano uguali. Finché un giorno, commosso dalla insistenza del fi -glio, costruì una seggiola e issa-tala sulle spalle vi fece sedere il fi glio e insieme partirono. Stupito Petit guardava la na-tura circostante e non si stancava mai di chiedere spiegazioni al

babbo che felice gli rispondeva. Finché, giunti in un piano, Amant si fermò a riposare e pose in terra Petit. Petit si guardò intorno, poi disse al padre: “Babbo io vado su” e così dicendo miracolosamente prese a camminare. Mosse dei passi verso la mon-tagna. Amant si alzò, lo raggiunse e lo prese per mano e insieme ripresero a salire. Le nuvole bian-che si abbassarono e avvolsero i due. Non tornarono più giù. Mai più. C’è chi dice che sia-no morti. E c’è chi dice che essi stiano insieme agli angeli a cantare le glorie di Dio e della montagna. Ma queste sono voci. Nel punto dove Petit guarì sorge adesso la chiesa di Nôtre-Dame de la Guérison.

Luciano Regini

Nôtre-Dame de la Guérison è il celebre santuario terapeutico situato nel comune di Courmayeur in Valle d’Aosta. Incastonato nella roc-cia, è posto sotto il ghiacciaio della Brenva e sulla strada della Val Veny. La chiesa, consacrata alla Vergine Maria nel 1868 dal vescovo Jans, conserva la statua della Vierge du Berrie, tanto amata dai fedeli che si rivolgono a lei per ottenere la grazia della guarigione per sé o

per i loro cari, essendosi verificate in questi luoghi mistici numerose guarigioni sin dal ‘600. Nôtre-Dame de la Guérison è uno dei santuari più frequentati della Valle d’Aosta. Anche papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI durante le loro vacanze a Les Combes vi si sono recati più volte. La fiaba che pubblichiamo qui di seguito è dedicata a questo santuario.

15 / Novembre 2008

Confesso che pure essendo aperta-mente progressista in politica,mi ritengo conservatore critico

per quanto riguarda la questione dei dia-letti. Certo, la questione è non pococomplessa e andrebbe analizzata co-struendole accanto un profilo storicodella fortuna e sfortuna degli idiomi dia-lettali almeno a partire dalla metà delNovecento: diciamo dall’avvento, neiprimi anni Cinquanta del Novecento,della televisione pubblica. Come è no-to, quest’ultima è stata non a torto giu-dicata responsabile dell’affievolimento edella potenziale estinzione degli idiomitradizionali via via che l’avvicendarsidelle generazioni staccava la spina del-la memoria che li teneva legati ai com-portamenti comunicativi della tradizio-ne dei gruppi locali. Si è trattato di untema la cui enorme portata non era sfug-gita a quel grande osservatore che fu Pa-solini. Da un lato, il vantaggio di esserecompresi da tutti all’interno di un terri-torio nazionale tradizionalmente con-trassegnato dalla pratica della frantu-mazione e del particolarismo; dall’altrola cancellazione progressiva delle iden-tità linguistiche locali, che stavano per-dendo energia e fondamento man manoche la lingua nazionale si andava impo-nendo come modello penetrato, grazie alvideo, nelle case di tutti.Più tardi, poi, si è assistito al colpo di gra-zia, inferto non più dal video-audio ca-

pillare e insinuante ma dal modello eco-nomico impostosi via via che il proces-so di globalizzazione uniformava, appiat-tiva, mortificava le differenze in nome diuna planetarietà del denaro e delle mer-ci che veniva e viene ferocemente pro-pagandata come scenario della vera fe-licità: ognuno di noi è virtualmenteovunque, è “felice” grazie agli stessi con-sumi di ciascuno, e così via. In questosenso è la stessa lingua italiana a esseredivenuta un dialetto della periferia del-l’impero: uno dei tanti dialetti che risul-tano essere non altro che cascami mne-monici di identità locali che sembranonon esistere più come centri generatoridi poteri economici e di influssi plane-tari. La lingua americana (statunitense,per meglio dire), invasiva, indiscreta,spesso sguaiata, a molti incomprensibi-le, è diventata la lingua dell’Impero mon-diale e purtroppo, in molti casi, la linguadelle bombe. Andrea Zanzotto, che è cer-tamente uno dei vertici della poesia ita-liana e del pensiero critico, ha scritto pa-gine insuperabili attorno a questi temi,affermando esplicitamente, senza le le-ve del paradosso, di scrivere in una lin-gua che morirà. Quale cultura delle dif-ferenze, infatti, può continuare a viveree a fruttare nel momento in cui la pene-trazione delle merci, sostenuta dalla mac-china televisiva dei profitti pubblicitari,è uguale ovunque, dalla metropoli al luo-go periferico più sconosciuto?

Poteva non costituirsi una forma (o piùforme, per meglio dire) di reazione a que-sta impressionante dittatura? Tutto ciòè inevitabilmente avvenuto, e non sem-pre per fortuna nostra. Ma il fenomenoè complesso e sarà il caso di vederne bre-vemente almeno due aspetti. Primo: nelmomento in cui il recupero degli idio-mi dialettali locali viene riattivato, ciòè quasi sempre il risultato della decisio-ne di una élite che intende, attraversoil recupero delle tradizioni e di quella lin-guistica in particolare, stimolare gliaspetti anche negativi ed esclusivi del-le identità; spesso si tratta di feroci iden-tità, fondate sulla logica novecentescaamico/nemico che esclude mediazioni enegoziati tra l’interno e l’esterno delgruppo. La Lega Nord si è servita di que-sto progetto per rendere più visibile (eudibile) il proprio assalto alle differen-ze etnolinguistiche, per costruire consen-si attorno a un compatto e feroce spiri-to di appartenenza, che intendeva arroc-carsi sui propri privilegi proprio quandola globalizzazione spalmava su una super-ficie planetaria i propri miti e modelli.Difesa del particolare e contemporanea-mente sfruttamento del diverso in vistadella competizione globale. Non è for-se un paradosso allarmante?I poeti, che mi sono simpatici per il lo-ro tentativo di mantenere in vita i con-tatti profondi con la verità delle emo-zioni e dell’analisi esistenziale, nono-

stante la loro crescente povertà com-merciale, i poeti, dicevo, sono stati inquesti anni i custodi delle differenze. Parecchi di loro sono tornati al dialet-to delle madri, hanno dimostrato che,cambiando il linguaggio e riducendoloa pensiero unico, molti valori interni al-l’identità del soggetto, non più espres-si, erano destinati a cadere. Poiché è illinguaggio che forma i soggetti e le so-cietà, la caduta di quel linguaggio de-termina il rischio di scomparsa di valo-ri come la tenerezza, il gioco, la gratuità,la solidarietà, e soprattutto la memoria.Tornare a parlare in dialetto potrebbecosì diventare un atto di accusa politi-co non trascurabile contro la dittaturadell’omologazione. Purché però, si ba-di, si disponga degli strumenti dialetti-ci e critico-politici per fondare questoprogetto di rinascita entro un campo didiscussione adulta, responsabile, non lo-calistica. Anche in questo, il riferimen-to a Zanzotto ci rincuora e ci educa: di-mostrazione che non esiste un grandepoeta che non sia cosciente del propriomandato storico di intellettuale; anchese egli è favorito dalla sua parlata vene-ta, che è incomparabilmente flessibile,soave, carica di tradizioni illustri. Infattinon si può dire che ogni idioma possafunzionare come tale quando sia adibi-to in poesia. Ma su questo punto lasciola questione ai linguisti.

Geo De Ròbure

La lingua italiana pare avviata a diventare un dialetto alla periferia dell’impero globale

I poeti custodi delle differenze

“ICori alpini? Stanno mo-rendo tutti, anzi, sonogià morti senza saperlo,

perché non hanno più alcuna fun-zione culturale né sociale”. Pa-role decisamente scioccanti,soprattutto se a pronunciarequesta sorta di epitaffio crude-le è Bepi De Marzi, proprio lui,l’autore di quel “Signore delleCime” che compose mezzo se-colo fa per ricordare un amicomorto in montagna e che dacinquant’anni a questa parte sicanta in tutto il mondo. DeMarzi è autore di tanti altricanti che costituiscono da de-cenni la parte preponderantedel repertorio dei Cori alpini edi montagna.In occasione dell’anniversariodel mezzo secolo per il suo can-to più famoso, ad un convegnosulla figura femminile nei cantidi montagna, il Maestro vicen-tino ha guidato i presenti in unasorta di “viaggio” tra i canti da luicomposti. Canti in cui le donnec’entrano poco o niente, a co-minciare dalla prassi esecutivache prevede solo voci virili.“Il vero canto popolare femmini-le - ha spiegato - era quello del-le mondine, delle filandere, delledonne che cantavano in chiesa.L’equivoco risale a 50 anni fa,quando i Cori credevano di can-

tare la montagna… Poi si è ca-pito che il canto di montagna nonè mai esistito, che la melodia de-gli Alpini non esiste, che la mon-tagna è stata musicata dalla cittàe dai dischi Odeon, che l’organiz-zazione corale maschile era un’in-venzione trentina degli anni’20… Da allora si è preferito

chiamare più onestamente que-st’espressione corale diffusa “co-ralità di ispirazione popolare”.La rappresentazione della monta-gna, in questo genere di canti,oscilla sempre tra il dramma e l’i-dillio, a volte indulge alla retori-ca, ma di montagna “vera” ce n’èben poca. Si tratta di espressioni

irreali, di confezioni poetico-mu-sicali - ha risposto De Marzi -di una lettura trasfigurata e turi-stica che spesso disegna quadriidilliaci mentre la vita in monta-gna è sempre stata drammatica econtinua ad esserlo. Si fa, insom-ma, una specie di memoria deitempi ‘d’antan’ addomesticata, a

volte persino offensiva della me-moria stessa”.Eppure sono ancora tanti iCori del Nord Italia che con-tinuano a riproporre con suc-cesso questo repertorio. “Sì, mail destino dei Cori di questo tipoè ormai segnato, perché in questogenere di canto non si rileva alcu-na ideologia, alcuna intenzionaleprovocazione, alcuna consapevo-le lettura di quanto si propone…I concerti diventano delle rivela-zioni caotiche di tanti temi, per lopiù leggeri, in continua contrad-dizione tra loro. E poi c’è l’età deicoristi, che esprime soprattuttorassegnazione e sottomissione op-portunistica al potere di turno. Ilfuturo del canto non sono i Corialpini, ma la polivocalità in cuiil ruolo delle donne è imprescin-dibile: se in Italia non ci siamo an-cora arrivati - ha affermato ilMaestro - è perché la cultura mu-sicale generale rimane bassissima,gli altri Paesi ci battono tutti per-ché i loro cittadini imparano a leg-gere la musica fin dalle elementa-ri. La salvezza dei nostri Cori - haconcluso Bepi De Marzi - puòvenire solo da una riduzione de-gli organici e dalla loro articolazio-ne interna in piccoli gruppi specia-listici. E poi bisognerà curare la ri-cerca di temi nuovi”.

Magda Bonetti

“Signore delle Cime” compie 50 anniIntervista con l’autore, Bepi di Marzi

ALP, SPECIALE GRANDI MONTAGNE è una straordinaria finestrastampata che fa alzare lo sguardo in alta quota. Precisamente a “Quota 4000”.

E lo fa con un numero dedicato a Vittorio Sella, fotografo che… inventò la montagna. Il bimestrale edito dalla Vivalda nel numero di luglio-agosto

ha aperto con un omaggio a un cantore della montagna: Mario Rigoni Stern.

16 / Novembre 2008

E’ necessario che l’uomo si avvicini sempre più al bene e si adoperi per preservare la propria mente dalla malvagità. La mente di colui che compie buone azioni di malavoglia, infatti, si diletta nel male.

BuddhaE’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una discreta fortuna ha bisogno d’una moglie.

Jane AustenE’ meglio ingannarsi sul conto dei propri amici, che ingannare i propri amici.

Johann Wolfgang Goethe

L’1 novembre il Sole sorge mediamente alle ore 6,43 e tramonta alle 17,04.Il 15, sorge me dia men te alle ore 7,00 e tramonta alle 16,49.Il 30, sorge mediamente alle ore 7,19 e tramonta alle 16,39.

Questo numero è andato in stampa il 12 ottobre del 2008.

Richiedere a: E.F.I. - via Marco Polo, 1bis

06125 Perugia Tel. 075.506.93.42 - Fax 075.505.15.33

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Nei campiSi pro gram ma no le rotazioni delle colture. Si pre pa ra no i terreni per la se mi na del gra no che termina entro la fine del mese. Si continua la rac col ta del mais.Negli orti Attenzione alle gelate. Nei frut- te ti si interrano nuo ve piante: il ter re no sia ben asciutto e le fosse pro fon de, controllare la qua li tà del terriccio. Si se mi na no agli, carote, piselli, bie to le, fave, ra va nel li, spi na ci e tutti que gli ortaggi che du ran te l’inverno de vo no svi lup pa re le ra di ci. Si tra pian ta no le ci pol le, i ca vo li e le lat tu ghe. Si pian- ta no i carducci di car cio fo. Si rin cal za no sedani, cardi e car-ciofaglie. Si rac col go no carote,

cavoli e bar ba bie to le. Mentre talee di salvia,

ro sma ri no, ori ga no e eventuali altre piante aro ma ti che pos so no es se re poste a di mo ra in terreni protetti da op por tu ne ser re, at ten zio ne a utilizzare par ti di pian te as so lu ta men te sane. Nei terrazzi e giardiniE’ tempo di costruire dei ripari o mettere al sicuro le piante meno re si sten ti al freddo. Gli ultimi bulbi van no tolti e posti anch’essi al riparo, in luogo asciutto, possibilmente co per ti di stame e sabbia. Stendere sulla terra inumidita, un po’ di con ci me organico. In cantina Il mosto deve fermentare nella cal ma e nel silenzio, ed essere cir con da to da un lieve tepore. Si appresta il primo travaso, pos si bil men te a luna calante.

Testi a cura di fratemarco

Arista di maialeIngredienti per 4 per so ne: 800 gr. di arista di maiale, 2 rametti di Rosmarino, 2 spicchi d’aglio, 1 bicchiere di vino bianco secco, olio d’oliva extra vergine, sale e pepe. Fare un trito molto fine di aglio, pepe e rosmarino. Sala-re e mescolare bene. Pillotta-re l’arista (che sarà stata ac-quistata già avvolta nella rete e legata con lo spago) con il trito. Metterla poi in una teglia con dell’olio e passare in forno riscaldato a 250°C. Dopo cinque minuti abbassa-re la temperatura sui 200°C e aggiungere il vino. Cuocere per circa un’ora, rigirando l’arista di tanto in tanto e, se serve, irrorandola con un goccio di brodo ristretto. Tagliare l’arista raffreddata a fette sottili e disporle su un piatto da portata. Riscaldare il fondo di cottura e versarlo sulle fette. Vino consigliato Merlot.

Per le nausee dipendenti da un’indigestione causata da un eccesso di cibo vi indichiamo un rimedio a cui ricorrevano le nostre nonne. E', più esattamente, un decotto a base di fiori di tiglio e foglie di arancio. Per ottenerlo si devono far bollire in due bicchieri d’acqua 50 grammi di fiori di tiglio essiccati insieme a una trentina di foglie di arancio per una ventina di minuti. Filtrare con un passino a maglie strette e ancora caldo berne una tazza un po’ per volta nell’arco di una ventina di minuti. Normal-mente l’effetto benefico è garantito in breve tempo. Un altro rimedio da tenere in serbo per l'evenienza, è costi-tuito da un preparato a base di limone. Si fanno macerare 100 grammi di scorze di limone biologico (se dovesse essere difficoltoso reperirlo, per una volta si può usare anche un limone qualsiasi, dopo averlo tenuto per una mezz’ora in acqua con bicarbonato di sodio), in 200 gr di alcol alimentare a 70 gradi per una decina di giorni. In caso di nausee, berne un bicchierino tre volte al giorno diluito in poca acqua. Invece per le nausee di tipo psicosomatico, un tipo di sindro-me molto comune ai giorni nostri, dove il corpo somatizza tutta una serie di sollecitazioni negative tipiche dell'attuale organizzazione della nostra società, sarà bene correggere lo stile di vita evitando il più possibile di stressarsi. Nel caso, vi consigliamo di fare lunghe passeggiate, cercando poi di imporvi ritmi di vita regolari. In tutti gli altri casi sarà bene

ricorrere alle cure del vostro medico.

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“A novembre con le foglie, cadon via capelli e voglie.”“Che sia bello o che sia brutto, a novembre muore tutto.”“Pioggia di Novembre fa scen de re tanti beni dal cielo.”“Se di Novembre non avrai ara to, tutto l’anno sarà tribolato.”“Giorno bello, giorno brutto, Novembre se ‘gnuda tutto.”“A san Martino ogni mosto diventa vino.”

NOVEMBRE«Io son Novembre che porta la bruma,

spacca la legna e il giorno consuma ammazzo l’oche, spoglio le fronde,

porto acqua ai fossi e la neve al monte».

Il 9 novembre è tradizione in molte località della Valnerina e dello Spoletino accendere i lumini sui davanzali delle case e i “focaracci” (falò) all’aperto, tutto ciò per illuminare il passaggio della cosiddetta “Venuta”, che ogni anno simbolicamente si rinnova. Un leggendario viaggio che in una sugge-stiva quanto antica credenza locale si dice essere avvenuto attraverso la Via Lattea ovvero il Cammino degli Angeli. Una “via”, peraltro, cara a molti pellegrinaggi come quello occitano che conduce a Santiago de Compostella. Si fanno processioni e si veglia, mangiando “fava ingreccia” e sorseggiando vino fino alle tre del mattino, ora in cui, secondo la leggenda, la casa della Vergine lauretana fu depositata nel bosco di lauri, vicino Recanati, dove oggi sorge il celebre santuario. A quell’ora rintoccano le campane e si spara-no mortaretti in segno di gioia e di ammirazione, subito dopo s’intonano le litanie lauretane. E’ questa la tradizionale Festa delle Campane, ancora in auge in alcuni centri oltre che umbri anche marchigiani.

Festa delle Campane

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VERGINE LAURETANASi celebra il 10 novembreRicorrenza piena di magia, là dove si ricorda la Vergine lauretana e il mirabile viaggio ‘angelico’ (traslazione) compiuto dalla sua casa di Nazareth in Galilea nel 1291 e conclusosi la mattina del 10 dicembre 1294 nel bosco di Loreto, dopo aver sostato, quasi sicuramente, per tre anni a Tersatto nell’Illiria, l’attuale Dalmazia. Un viaggio, mitizzato ma reale (avvenuto per mare e per terra), necessario ad evitare che il sacro ‘cimelio’, che doveva diventare il fulcro spirituale del più importante santuario mariano, rimanesse definitivamente in mano musul-mana con il rischio di eventuali profanazioni, come era capitato alla Basilica patriarcale del Santo Sepolcro, andata distrutta quasi completamente nel 1009, per or-dine del califfo Hakim, detto ‘il pazzo’; poi ricostruita dai crociati e riaperta definitivamente al culto il 15 luglio del 1149.

L’aglio, come si sa da tempo immemorabile, ha svariate proprietà medicamentose ed è, tra l'altro, riconosciuto come un alimento indicato per chi ha problemi di pres-sione: dovrebbe entrare in tutte le diete degli ipertesi. Chi non lo digerisce bene può acquistare in erboristeria o in farmacia le tinture o i confetti d’aglio. Anche l’olivo è un buon vasodilatatore, ma non il frutto bensì le foglie con cui si ricava un decotto che, una volta assunto, abbassa rapidamente la pressione sanguigna. Per una dose giornaliera si fanno sobbollire 30 gr di foglie in mezzo litro d’acqua, quando il liquido si riduce di un terzo il rimedio è pronto. Prima che si raffreddi si può aggiungere un cucchiaino di miele per dolcificarlo. La terapia dovrebbe durare almeno un paio di settimane. Anche il decotto o le tisane di biancospino venivano

consigliate dalla medicina popolare per dimi-nuire la pressione alta.