Aall'Ombra Delle Ciminiere Definitivo

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COLLANA DI SAGGISTICA

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COLLANA DI SAGGISTICA

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GIOVANNI BORRELLO

All’ombra delle ciminiere40 anni di carbone e tumori

a Savona

@

IMPAGINAZIONE

MICHELA VOLPE

Copyright © 2011 Fratelli Frilli EditoriVia Priaruggia 31/1, Genova - Tel. 010.3074224

ISBN 978-88-7563-684-5

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FRATELLI FRILLI EDITORI

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Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 41L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in mododa recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.La legge determina i programmi e i controlli opportuni perchél’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e

coordinata a fini sociali.

Art. 32La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto del-

l’individuo e interesse della collettività (...)

Art. 2La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del-l’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si

svolge la sua personalità (…)

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“Unisco con convinzione la mia voce a quella di tanti uo-mini e donne savonesi, associazioni, movimenti, rappresentantidel mondo medico e scientifico e consigli comunali, mobilitatiin questa vostra ‘battaglia di civiltà e per la vita’ che da oggi di-venta anche mia!

In Italia vi sono, purtroppo, tante, troppe realtà simili a quel-la di Savona, dove i cittadini sono puntualmente estromessi,mortificati e posti di fronte al falso ricatto di dover scegliere trail sacrosanto diritto a vivere in un ambiente sano e il progressoe lo sviluppo economico della loro regione.

Dobbiamo spezzare questa ignobile propaganda: un’alterna-tiva è possibile.

Dobbiamo opporci a questa arida logica del profitto, chenon credo possa essere attribuita alla volontà di un solo uomo,ma ad un intero, complesso sistema che fa del dio denaro l’uni-co parametro di valutazione e non si ferma neanche di fronte adagghiaccianti cifre di morte…

Dobbiamo, tutti insieme, rimpadronirci della Politica, quel-la vera: ridiventare protagonisti, opporci a situazioni che non so-no ineluttabili, ma decidere noi in quale mondo vogliamo chevivano i nostri figli!”.

LUIGI DE MAGISTRIS

(Sindaco di Napoli, ex Parlamentare europeo)

“Sto seguendo il movimento che combatte contro il carbonedella centrale di Savona. Per chi mi chiede aiuto, io sono pron-to a servire, quindi in questo momento sono con i cittadini e icomitati contro il raddoppio della centrale. A me sembra fon-damentale una presa di coscienza dal basso, attraverso una tra-sparenza totale, per organizzarsi e snidare quei determinati inte-

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ressi economici che proliferano a danno dell’ambiente e dellepersone. Solo i movimenti come quello savonese ne possonoprendere coscienza e tentare l’unica strada percorribile...”.

DON ANDREA GALLO

(prete di strada)

“A forza di trattare petrolio e carbone, i fossili sono diventa-ti loro.

Stiamo facendo una battaglia per il no al carbone, contro po-teri incredibili. De Benedetti non risponderà alle 10 domandesulla centrale a carbone di Vado, lui è cittadino svizzero, il suogiornale ‘la Repubblica’ edizione di Civitavecchia è contro il car-bone perché è dell’Enel, e a Savona non dice assolutamente nul-la perché la centrale è la sua.

Questi sono i veri killer seriali della nostra epoca. Della cen-trale di Vado ce ne siamo già occupati. Siamo ancora nell’Otto-cento, e queste persone si propongono ancora come i paladinidell’informazione e del progresso.

La verità verrà fuori sulle emissioni, sugli inceneritori. Ca-muffano degli studi fatti da esperti inglesi e francesi, rovescianoi risultati. Non c’è più ritegno per questa gente, sono ‘fuorileg-ge’ a norma di legge... La salute è ormai qualcosa che dobbiamoconquistare giorno per giorno...”.

BEPPE GRILLO

(attivista politico)

“La quasi unanimità della popolazione, degli addetti alla sa-nità, della politica e del mondo civile savonese ha espresso de-mocraticamente la sua decisione contraria all’ampliamento del-la centrale a carbone e, nel mondo berlusconista, scopriamo cheanche coloro che dovrebbero essere sensibili al ‘sistema demo-crazia’ sono invece della stessa pasta: contano i soldi e il guada-gno, non importa se realizzati con la morte dei savonesi, nonimporta se la contrarietà è universale. Gli affari, prima di tutto!

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Questa gente è più velenosa e più cancerogena del carbone,anche se si chiama De Benedetti.

Receda dal suo insano e folle proposito di colpire cittadiniinermi che hanno solo la colpa di abitare nelle vicinanze dellacarbonaia maledetta”.

PAOLO FARINELLA(sacerdote, scrittore)

“I Verdi sono con voi savonesi in questa battaglia.In Italia la disinformazione scientificamente pianificata sulla

questione energetica fa credere agli italiani che c’è bisogno dienergia. Allora basterebbe rendere noti i dati del GSE, ente ge-store elettrico, per capire quale truffa sia stata organizzata aidanni degli italiani.

In Italia le centrali elettriche producono oltre 93.000 Mw, ilmassimo consumo si è registrato con un picco di circa 56.000 Mw.

Questo è un dato che dovrebbe far riflettere sul fatto che die-tro la produzione di energia c’è solo un business è un modelloche disperde energia e che avvelena aria, campi, cibo e quindi lanostra salute e l’ambiente”.

ANGELO BONELLI (presidente nazionale Verdi)

“Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più perico-losa per la salute dell’umanità. La CO2 dura in media fino a30.000 anni. Il ritorno al carbone sarebbe drammatico, disa-stroso…”.

CARLO RUBBIA(fisico, Premio Nobel)

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Prefazione

Non stupisca che la prefazione sia affidata a me. In questastoria, dove compaiono tantissimi pupazzi, sono quello che fameno “anguscia”. Che le torri della Tirreno Power non la conti-no giusta è chiaro a chiunque arrivi in autostrada da Ponente.Subito ne appare una sola, l’altra si nasconde perfettamente die-tro. Quando poi le vedi tutte e due, quella che in un primo mo-mento ti sembra la più vicina, in realtà è la più distante. Tuttoquest’imbroglio visivo, questo trompe-l’oeil, rivela senza dubbiola natura bifida e menzognera dell’orribile manufatto. Quantiimbarazzi poi quando, in auto con gli amici, un’improvvisa“spussa” ammorbava l’abitacolo: “È la Centrale!”. “Vergogna: laprima gallina che canta ha fatto l’uovo! Dalle ciminiere esce so-lo vapore acqueo”.

Questo libro getta pesanti accuse al benefico aerosol, a chi hasempre detto “tutto va bene”, a chi ha usato il ricatto dei postidi lavoro.

E se i posti fissi fossero solo quelli al camposanto?E se le due torri dovessero essere ribattezzate “Le Cimitiere”?È una storia che insieme sgomenta e avvilisce. L’unica spe-

ranza è che qualcuno venga a dirci: “Ma questa è un’opera lette-raria di science-fantasy. Cosa si è fumato l’autore? Cosa si sonofumati i suoi consulenti?”.

La speranza, come si sa, è l’ultima a morire. Prima purtrop-po muoiono le persone.

VOSTRO GABIBBO

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Ai numerosi esuli di lande desolatedi cui nessuno ricorda più nulla;

ai numerosi abitanti di quelle antiche landedi cui conviene sempre non occuparsi;

a tutti gli esuli e abitanti di lande desolateche hanno respirato “l’intera tavola di Mendeleev”.

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Le città e la memoria

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stes-so tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresen-tano com’era prima: la stessa identica piazza con una gallina al postodella stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del caval-cavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica diesplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodila città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cu-ra di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole pre-cise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia di-ventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale,non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia esseregoduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline, mentre prima, con laMaurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva pro-prio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse ri-masta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattivain più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostal-gia a quella che era.

Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopralo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi co-nosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abi-tanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti dellefacce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sonoandati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. Èvano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato chenon esiste tra loro nessun rapporto, così come le vecchie cartoline nonrappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chia-mava Maurilia come questa.

ITALO CALVINO, Le città invisibili, 1972

Introduzione

“Look, look the horror!”Vado Ligure è una cittadina di circa 8.000 abitanti che si af-

faccia sul Mar Ligure. Verso ponente confina con la nota locali-tà balneare di Bergeggi, verso levante con la città capoluogo diprovincia Savona. Alle spalle di Vado, nella piana alluvionale ric-ca di orti e quartieri, il Comune di Quiliano.

Vado è stata un’importantissima cittadina industriale nel XXsecolo, ma era già nota nell’età Romana come Vada Sabatia (quiBruto, scappato dopo aver pugnalato a morte Cesare, ha trova-to sosta); infatti è un’importante zona archeologica dalla qualefin dal Seicento sono emerse meravigliose statue in marmo, vil-lette patrizie e sepolture ricche di corredo. Ma purtroppo moltidi quei tesori andarono persi; solo a partire dall’Ottocento ilparroco don Cesare Queirolo, storico e benefattore (non a casoproprio così Arturo Martini ha chiamato la scultura funebre in-tagliata nella terra refrattaria destinata ad accogliere le spogliedel parroco), condusse apposite campagne di scavo sul territorioparrocchiale e scrisse il primo libro sulla storia della città. Anco-ra nel Novecento tuttavia, il torinese Piero Barocelli non potéche sottolineare che a Vado si continuava a perpetrare una raz-zia di reperti e opere storiche.

L’industria aveva bisogno di spazi, non c’era armilla bronzeao urna cineraria in grado di frenare la spinta industriale che inpochi anni trasformò una borgata di contadini e pescatori in unquadro di Sironi. Nemmeno negli anni Sessanta, anni recentima non per questo votati alla correttezza, le ruspe risparmiaro-no qualche metro quadrato di storia: si dovevano costruire nuo-vi impianti… Fu lo scempio: al posto di cascine e galline ven-

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La forza operaia e l’industria è sempre stata la forza di Vado,a tal punto che l’arte e la cultura non hanno potuto fare a me-no di tributarle onore nel secolo scorso. Arturo Martini, uno de-gli scultori più importanti del secolo scorso, vi si stabilì e vi pla-smò opere cardine della storia dell’arte; suo genero Roberto Ber-tagnin, tedesco di nascita, ha proseguito per la strada tracciatadal Maestro, vivendo e, ahinoi, morendo nella medesima dimo-ra del suocero. Fu Bertagnin, impiegato all’Einaudi nel dopo-guerra in qualità di illustratore, a proporre il testo de Il sergentenella neve al diffidente Elio Vittorini (che sentenziò glaciale:“Non sarà mai uno scrittore”, rivolgendosi allo sconosciuto Ri-goni Stern). Sulla scia di Martini innumerevoli scultori e pitto-ri del posto si misero al lavoro raggiungendo la fama: RaffaeleCollina, Mario Raimondi, Eso Peluzzi, Achille Cabiati, RenzoBonfiglio, Marino Nencioni… e molti altri artisti facevano ca-patine a Vado per trovare l’amico trevigiano o per tributo allasua memoria (come Comisso o Bacchelli); un fiorire artisticoche non ha avuto eguali in molte altre zone d’Italia.

Città duramente colpita dalla guerra, liberata dai partigiani (lastoria socialista prima, e comunista, poi di Vado è parte stessa del-la storia italiana… e del resto il Presidente Pertini era di Stella, apochi chilometri), divenne fulcro culturale nel periodo del neo-realismo; la città delle centotré ciminiere accolse decine di mae-stranze e opere di artisti con il noto Premio Vado, artisti che poisi sarebbero rivelati tra i principali interpreti dell’arte italiana. Co-me non notare, nella pinacoteca, lo sguardo penetrante dell’ope-raio che ti scruta, nel momento della pausa, da una tela di Giu-seppe Zigaina? Zigaina, fraterno amico di Pier Paolo Pasolini, co-lui che dopo la tragica morte del poeta ha fatto l’impossibile conLaura Betti per farne conoscere l’opera all’estero, colui che ha di-pinto i quadri astratti del film Teorema, il film scandalo del 1968con Silvana Mangano, Massimo Girotti e Laura Betti. E infattiZigaina s’è dato presto all’astrattismo, così come Alberto Sughi,altro nome eccellente della raccolta di quadri vadese.

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nero eretti serbatoi pieni di litri di micidiali sostanze esplosive ealti tralicci zirlanti tensioni cancerogene. Alle spalle delle casemarinare del Porto un edificio Romano probabilmente funebrevenne “dato in olocausto allo strapotere della FIAT” che lo raseal suolo in pochi minuti senza dir niente a nessuno. A tuonare,solo, contro quella politica di dispotismo, il fondatore dell’Isti-tuto Internazionale di Studi Liguri, Nino Lamboglia, uno deipadri della moderna archeologia europea. La rada di Vado, “cen-to volte meglio di quella di Genova” come scrivevano i capitanidi mare secoli orsono, ricca di relitti sommersi, anfore, vasella-me vario e chissà cos’altro, fu destinata a finire sommersa datonnellate di cemento. Tutto nel silenzio ebete dell’impotenza,in barba al fatto che si tratta di una delle località più studiate nelcampo dell’archeologia sottomarina del Mediterraneo. Recente-mente, in previsione di progetti mastodontici ed anacronistici(una piattaforma per container), gli archeologi hanno dovutoraccattare alla bell’e meglio tutto quanto poterono tirare su dalfondale, prima che il cemento seppellisse per sempre il litoralerimasto fino ad oggi intonso.

Questa è Vado Ligure.Quiliano invece è una località piuttosto tipica nel paesaggio

ligure, è la località che si incensa d’esser verdeggiante e dedita al-la cura della natura… sebbene si trovi a due passi dal veleno se-condo medici ed esperti; per le frazioni dell’entroterra, fasce ecolture su terrazzamenti moderni sono lo sfondo quotidiano perdecine e decine di cittadini che abitano nei complessi rurali ti-pici della zona e obiettivo caratteristico per quei turisti che s’av-venturano per i sentieri impervi.

Vado da qualche anno ha mutato forma, le industrie storichehanno chiuso i cancelli anni orsono, ora sono rimaste visibilissi-me solo le ciminiere e i serbatoi di alcuni insediamenti preva-lentemente chimici, tra le palazzine e i grandi poli commercialisorti sulle aree in precedenza calcate da folle di operai. E le ci-miniere di una centrale termoelettrica…

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ble, there is a city, there are too much people under that orriblebuilding!”. E giù fotografie per immortalare quell’anomalia ita-liana. Qualcuno osa chiedere: “Excuse me... but... but...” manon sa come imbastire la domanda. Qualcuno indica la vetta diuna delle ciminiere, sporca di carbone, di polvere nera: “Look,look at the end of the chimney! Look, it is black, black like co-al! That is coal! O God!”. “It is impossible! Why in Italy?Why?”. E per tutto il viaggio l’indelebile ricordo di quell’orripi-lante visione piazzata proprio in mezzo ad una rada così popo-lata li convince d’esser davvero sbarcati in un mondo lontanoanni luce dal loro american dream, un mondo sempre più simi-le alla distorta (distorta?) immagine machiavellica, oscura e ro-manticamente lugubre che il mondo s’è fatto dell’Italia.

Un tempo gli stranieri arrivavano a Vado durante una brevesosta del loro grand tour ma ne potevano apprezzare la calma.Gli ultimi adepti di quella tradizione, i coniugi inglesi Berry,purtroppo negli anni Trenta constatarono già l’avvenuto disastrourbano nel loro libro Alla porta occidentale d’Italia. Figuratevi gliattuali vagabondi anglosassoni da che sensazioni sono mossi!

“Little John – mi chiamano Little John, all’inglese, così persimpatia, visto che sono ancora troppo young per darmi del Mi-ster – oh Little John, ma come fai ad abitare in così terrible po-sto? This isn’t… questo non è posto sano. Io da picchilina – ‘pic-chilina’, non è un amore che questo misto di siciliano da sem-pre udito nel ristorante di Little Italy riemerga fuori in questacircostanza? – vivevo near an atomic power plant, do you un-derstand? Ok, but quella non era sporca di carbone come tuapower plant! Sono stata un sacco di volte da my aunt Lizzy, innord di Inghilterra: paese di carbonieri, tutti cottage di mattonirossi sporchi di carbone… my aunt Lizzy, o shit!, was dead af-ter… è morta dopo lunga malattia, come mio zio Oscar e miacugina Babette. Oh, Little John! My dear Little John, please, fleeto run at the top of one’s speed!” (Mio caro piccolo Giovanni, tiprego, scappa come il vento!).

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Ma poi il tempo è passato… l’arte è sparita da Vado, o co-munque non risulta più troppo evidente, così come quell’atmo-sfera operaia e industriosa. E di quel tempo, delle belle speran-ze, sono rimaste solo le vestigia, purtroppo, di opere che desta-no negli animi tutte le emozioni possibili tranne che il rispetto.Delle industrie chiuse ci sono rimasti solo ettari di aree da bo-nificare e riconvertire.

Che cos’ha in comune la Vado di oggi con la Bergeggi ban-diera blu dalle spiagge sassose, dall’isola così pittoresca e oggiArea Marina protetta, del cuoco-disegnatore Ferrer e dei suoiamici attori, con la Spotorno di Camillo Sbarbaro e Mister Da-vid Herbert Lawrence, di Vittorio De Sica e Alberto Lattuada,dei villeggianti torinesi e milanesi, con la Noli di Dante Ali-ghieri, Giordano Bruno e Michelangelo Antonioni, con la Vari-gotti dalle case saracene e dai carruggi affollati di divi del cine-ma e della televisione, di Gina Lagorio e degli artisti dello spa-zialismo, con la Finale Ligure di Italo Calvino, di Giovanni Boi-ne, del Filelfo, dei siti preistorici più famosi del Mediterraneo,con la Borgio Verezzi delle rassegne teatrali, delle cave di pietrarosea ricca di fossili e delle apparizioni mariane?

Cos’ha in comune con la Savona dei Papi rinascimentaliGiulio II e Sisto IV, di Domenico e Cristoforo Colombo, delPriamàr e della Torretta, del porto e della Cappella Sistina, conle Albisole della ceramica, delle spiagge, di Lucio Fontana, diMilena Milani, di Capogrossi e Asger Jorn, di tutti gli artisti deldopoguerra, con la Celle degli stabilimenti balneari e delle colo-nie, e con la Varazze del Beato Jacopo che scrisse la Legenda Au-rea e del musicista Cilea?

Solo una cosa: l’inquinamento generato da una ben precisafonte, quella che gli americani appena sbarcati dalle navi da cro-ciera a Savona scorgono fuori dai finestrini del pullmann che lista (de)portando verso più caratteristiche località nelle vicinan-ze (Bergeggi, Spotorno, Noli, Varigotti, Finale appunto) e fa lo-ro affermare: “Oh God! What… what is it? It is… it’s impossi-

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Niente di niente; lessi e rilessi accanitamente i più importan-ti storici del posto, ma di interessante non vi trovai che qual-che informazione sporadica e citata per grazia ricevuta. Peròanche qualora avessi trovato qualcosa di interessante, chi melo diceva che si stava parlando proprio dell’area che avevo pre-so in esame? I toponimi sono talmente cambiati col tempoche avevo serie difficoltà; cosa ne sapevo, ad esempio, se Ber-nardina e Angeleta Bonelle erano soprannominate di Brichetoperché abitavano alla Bricchetta di Vado (cioè nei pressi dellacentrale), o in un altro bricco a Quiliano, Valleggia o Zinola?Quelle due donne furono citate da Caterina de Bono, dician-novenne quilianese che nel 1606 si era confessata strega e ches’era messa a fare i nomi di tutte le altre donne di Satana delcomprensorio (pensate un po’ dove mi sono andato a caccia-re per riuscire ad avere qualche notizia in più!). Stavo facen-do qualcosa di nuovo, nessuno aveva mai tentato di fareun’operazione del genere. Tutti parlavano della centrale per-ché dava problemi, ma quanti si chiesero cosa c’era prima del-la centrale e chi viveva in quel posto? Era inverosimile pensa-re che lì, in una zona di confine tra due comunità, non si in-contrasse che inutile boscaglia.

Ricordo perfettamente l’incontro che avevo avuto, diversianni fa, quando ancora non avevo incominciato a scrivere nullasebbene avessi un block-notes imbrattato dalla prima all’ultimapagina di appunti, con uno dei sopraccitati storici: mi trovavoin una biblioteca e seduto ad un tavolo posto innanzi a centina-ia di volumi incasellati in lunghi scaffali polverosi mi venne pre-sentato da non ricordo più chi il luminare. “Sta facendo una ri-cerca storica su Vado, lei che sa tutto forse lo può aiutare…”sentenziò la voce del mio accompagnatore di cui ora faccio fati-ca a ricordare i connotati e il nome. “Chiedi pure” mi rispose lostorico e allora azzardai: “Lei cosa sa riguardo a quello che c’eraprima della centrale elettrica di Vado?”. “Da come la so io, nonc’era nulla!”. E questo lo pensava uno storico che, sinceramen-

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Eggià… anche loro hanno constatato che la città dalle cen-totré ciminiere è sparita. Ma hanno notato assai bene quelle dueche in sé racchiudono da sole tutto il potenziale inquinante del-la città scomparsa!

Cantami o diva... del mondo all’ombra delle cimi-niere

Un paesaggio è tutto ciò che in esso s’è sviluppato, accresciu-to e magari anche distrutto nell’arco di un tempo vastissimo; ivicompreso l’elemento “uomo”, che anzi spesso ne è il protagoni-sta. Ricostruire momenti di una vita in un determinato contesto;fu questo il primo obiettivo del libro. E i protagonisti dovevanoessere i cittadini del quartiere dei Griffi, il quartiere all’ombradelle ciminiere della centrale elettrica di Vado, così come i vade-si, i savonesi e tutti coloro che in un qualche modo avevano edhanno a che fare con l’impianto. Consciamente – come nel casodi cittadini, operai o amministratori – o inconsciamente – comepersone di paesi dell’entroterra che senza saperlo hanno respira-to o respirano inquinanti invisibili subendone conseguenze.

L’intenzione era non solo di parlare della storia della centra-le elettrica, ma anche di ricostruire (in un’ampia e accurata se-zione dell’appendice che si trova in fondo a questo libro) le“verdeggianti pianure delle zone Griffi e Cosciari” che “l’avventodella moderna tecnologia” aveva sacrificato, come scrisse Giaco-mo Saccone, studioso indipendente che ha non pochi punti incomune con il mio metodo di indagine. Fu lui tra i pochi a sot-tolineare come “le verdi e fertili campagne, le colline basse e alte,investite dall’insediamento di impianti industriali o dalle esala-zioni velenose provenienti dai camini e ciminiere, cambiarono ra-dicalmente il loro aspetto naturale”.

Tuttavia non fu cosa facile e le difficoltà furono moltissi-me. Nei libri già scritti su Vado e Quiliano non c’era nulla.

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mare da dove era stata risucchiata qualche chilometro più in là.A quel punto, più ci avvicinavamo alla meta, più la signora fissa-va da dietro i suoi occhiali da sole scuri e riflettenti la massa del-la centrale elettrica, le sue due alte ciminiere, i vortici bianchissi-mi e vaporosi che avvolgevano la struttura da quando il metanoveniva pompato fin lì dalle steppe russe; ad un tratto, superatauna muraglia di siepi, cipressi ed oleandri in fiore che separava lastrada da un giardino, lo spettacolo della grande centrale dovettea lei presentarsi in tutta la sua grandezza: portò due dita alle len-ti, si tirò giù sul naso l’oscurità che la proteggeva dal riverbero ac-cecante e con uno sguardo tra lo stupito e l’incredulo stette aguardare la cosa fino a che i bisunti pannelli ondulati di eternitdi un palazzo non le coprirono lo spettacolo. Allora rinforcò gliocchiali, si passò una mano sui capelli mori e abbozzò uno stra-no sorrisetto; a quel punto parlò:

“Ma, toglimi un po’ una curiosità: mi dici come cavolo fatevoialtri a vivere con quel coso lì attaccato?”.

“Beh, per quanto mi riguarda, io quel ‘coso’ l’ho sempre vi-sto e quindi non ci faccio quasi più caso. C’è e basta, non ci sipuò far nulla. È parte del paesaggio”.

“Accipicchia che meraviglia di paesaggio che avete! Invidia-bile. Quasi quasi vorrei far cambio con Varazze che è così bana-le a confronto. No, sul serio: non avete paura, non vi fa paura?”.

“E che paura dovremmo avere?” feci con aria da chi della fac-cenda non se ne intendeva nulla.

“Ah, credo che con l’elenco di veleni sicuramente sputac-chiati qua e là su tutte queste belle città dai giardinetti coloratiavreste l’imbarazzo della scelta”.

“E te ti scandalizzi solo per questo? Pensa che una volta c’era-no anche tutte le altre industrie, doveva essere un toccasana ina-lare quell’aerosol”.

“Oh, me lo ricordo bene com’era Vado ai tempi d’oro. Faiconto che quando ero ragazza prendevo il treno per andare dadei miei cugini di Noli, quando la ferrovia passava sulla costa, e

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te, poteva anche non ritenere affatto importante soffermarsi sul-la zona che a me invece interessava. Qualche anno dopo però,invece della semplice ignoranza (e dico “ignoranza” in sensobuono, ovviamente, cioè da intendere come reale mancanza diinformazioni su di una questione), per bocca di tutt’altra perso-na, percepii un’orgogliosa indifferenza e questa volta riguardoalla sorte di un certo numero di cittadini.

Una calda e soleggiata mattina di luglio di non molto tempofa mi trovavo in macchina con una signora di Varazze a passaresull’Aurelia nei pressi di Zinola, direzione Vado. Non è il casoche racconti chi ella fosse, come la conoscessi e cosa dovesse fa-re da quelle parti; basti sapere che era sui quarantacinque anni,sposata, con un figlio che andava alle elementari, piuttosto sim-patica, per nulla provata dalla vita che pure pare si fosse parti-colarmente accanita sulla sua svampitezza, aveva un buon lavo-ro che non è il caso che specifichi e non vedeva l’ora di tornar-sene alla sua tanto deliziosa cittadella, appena sbrigata la faccen-da, per buttarsi a capofitto nel bel mare limpido.

Il sole luccicava sul pelo dell’acqua che a pochi metri dallastrada sciabordava nelle solite onde placide del mattino, la gen-te circolava mezza nuda sbuffando e sventolandosi qualche ven-taglio sulla faccia paonazza e sudaticcia, l’altoparlante dell’arro-tino echeggiava per facciate e androni cavalcando pesantementela cappa d’afa che gravava sulla costa con la sua voce da cine-giornale Luce: “Donne è arrivato l’arrotino… affiliamo coltelli,asce, accette, forbici…”. E veniva sempre più voglia di aprirsiancora un altro bottone della camicia e asciugarsi il rivoletto cheincorniciava la tempia rovente tanto più il connubio aria torri-da-desolazione del mezzogiorno estivo aveva come sfibrante sot-tofondo quella composta dizione per massaie d’altri tempi.

Poi, passata l’ombra del borgo antico di Zinola, eccoci corre-re sopra al ponte che oltrepassa il torrente Quiliano in secca e l’ir-ruenta massa d’acqua turchina che esce dalle tubature sotterraneeche vengono dalla centrale elettrica per riversarsi nuovamente nel

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ziati dei reparti mutilati di guerra, i malati delle corsie di on-cologia. Siamo quelli che non si devono vedere. Non si devesapere come viviamo, altrimenti… altrimenti verremmo an-cora accusati di diffondere il panico tra la gente in manieraingiustificata.

“Allora lo vedi che lo sapete anche voi del problema dell’in-quinamento! Lo ammetti, finalmente”.

“Io conosco un sacco di gente che ha superato gli ottantada un po’ e vive che è un piacere, senza problemi di salute.C’è poi una centenaria, credo ne abbia centoquattro – se nonè morta nel frattempo – che ha vissuto tutta la vita a ridossodel parco carbone (e da giovane si era sorbita le montagne discarti di lavorazione di una cokeria) e non ha mai avuto pro-blemi. Un giorno un gruppo di dottori che studiava l’inqui-namento le ha chiesto: ‘Ma signora, perché non se ne va adabitare verso monte, che qui ha tutto il carbone?’. Sai cosa gliha risposto quella? ‘Carbone? E che problemi mi dà il carbo-ne, scusino? È una vita che ci sto con il carbone: mio marito,buonanima, lavorava alle funivie e dieci anni fa c’era ancora;mio padre tagliava legna per farne carbone nella tagliata e ame e alle mie sorelle ci chiamavano infatti le carbonine. Di co-sa dovrei preoccuparmi?’”.

“È un caso, non ti stare a credere”.“Sì, un mistero della scienza”.“Bisogna vedere se gli altri della sua stirpe avevano anche lo-

ro i polmoni d’acciaio”.“Non so proprio. Almeno adesso hanno portato anche un

po’ di metano”.Lei rimase zitta per qualche secondo. Le si leggeva in faccia

un rimprovero, qualcosa come “la finisci di fare l’avvocato deldiavolo? Cosa difendi a fare ’sto obbrobrio!”; e m’aspettavo chemi avrebbe travolto di insulti, che mi desse dell’ingenuo, dell’il-luso e dello stupido. E che della mia razza erano tutti gli altri delposto, indifferenti, incapaci di arrabbiarsi quando era il caso. E

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appena si arrivava a Vado chiudevano tutti i finestrini anche sesi moriva di caldo perché c’era un odoraccio acre che non si po-teva respirare. Me lo ricordo bene, sai. Per me i vadesi sono sem-pre stati un mistero, sembra che non si rendano conto della pe-ricolosità della cosa”.

“In effetti vivere qui è un po’ diverso che buttarci un’occhia-ta di striscio ogni tanto; le cose vanno diversamente da come sicrede. Si campa lo stesso, comunque” continuai con tono di-staccato e annoiato, come chi, qualunque fosse stata la conver-sazione, avrebbe comunque sinceramente sbuffato per la noia eil caldo.

“Sì, campare si campa… ma chissà quanto si campa”.“Oh, le stime non sempre dicono tutto…”.“D’accordo, ma da quello che ho letto io e da quello che si

dice in giro… non è proprio una ridente località incontami-nata”.

“Ma cosa pretendi? Guarda che se la tua Varazze, così co-me la Portofino dei divi e la Bordighera degli artisti, si sonopotuti permettere la notorietà di cui godono è anche grazie aVado. Pensaci: noi siamo la città industriale per eccellenza,pochissimi ettari di pianura eppure eravamo soprannominatigià negli anni Trenta “la città dalle centotré ciminiere”; siamola fucina che consente e ha consentito per decenni che il re-sto della Liguria, quella che conta, potesse essere conosciutaall over the world perché Mastroianni passeggiava sul lungo-mare e Madonna faceva yoga a tre chilometri dalla spiaggiasul ponte del suo yacht. Senza Vado che erogava energia e chefaceva lavorare centinaia di persone che entravano e uscivanodalle fabbriche in massa come in Metropolis e che non si pi-gliava nessun’altra città, te le sognavi certe immagini da car-tolina. Noi siamo la Liguria che non si vuol guardare, la cru-da realtà che mostra ai forestieri quanto sia costata e continuaa costare la libertà da inquinamento di tutti gli altri cittadinirivieraschi. Siamo come i dimenticati dei manicomi, i disgra-

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ro soffermati cinque minuti, dico cinque e non di più, su alcunefoto, su alcune righe nelle quali magari si diceva che tra belle col-line pezzate di verde un tempo si potevano fare due passi, si po-teva scappare se in casa giravano brutte arie, ci si poteva distrar-re a non far altro che pensare a nulla, ci si poteva incontrare conchi si voleva, si potevano urlare bestemmie o insulti o sconcezzese l’umore tendeva alla rassegnazione, si poteva passare la giorna-ta a zappare e ad innaffiare qualche metro di orto, si poteva spen-nare la gallina seduti su di uno sgabello appena fuori casa, si po-teva dire qualche volta “però, poteva andarmi anche peggio nel-la vita”. Tutto lì era il mio obiettivo. Fino a quando non avessiconcluso l’opera non sarei stato tranquillo.

Spesso, mentre andavo elaborando il libro, venni apostrofatocon poco lusinghieri epiteti tipo: “il sognatore”, “l’illuso”; op-pure mi arrivavano frasi come: “Cosa sprechi a fare il tempo die-tro a quella roba lì? Lascia stare, chi vuoi che la legga?”. Ebbene,tanto più mi si faceva notare la presunta stupidità dell’opera,tanto più provavo gusto nello scriverla; tuttavia non potevo farea meno che pensare, vista l’influenza nefasta di certe persone, alperché di questo mio accanimento ad una questione tanto par-ticolare. Poi un giorno, alla terza revisione dello scritto, mi ca-pitò di leggere Un indovino mi disse di Tiziano Terzani e mentregli occhi percorrevano sempre più interessati le pagine del libro,mi imbattei in una frase-illuminazione: “la storia esiste solo sequalcuno la racconta”. Ecco, molto semplicemente se non avessiscritto in appendice al libro anche la narrazione del quartiere deiGriffi prima di essere profanato e calpestato dalle ciminiere,della sua storia e di tutte le problematiche inerenti l’inquina-mento della centrale nessuno sarebbe mai venuto a conoscenzadel quartiere inteso non come semplice insieme di palazzine at-taccate all’impianto, ma come nucleo sopravvissuto di una con-trada sacrificata da un certo tipo di politica per la causa del “pro-gresso”, termine evanescente e ambiguo molto in voga quaran-t’anni fa come oggi. La centrale stessa era percepita come “pre-

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invece le labbra le si tesero in un sorriso beffardo, da chi la sa piùlunga e da chi non ha voglia, né tempo, di controbattere su que-stioni che per lei, in fondo, non erano che un balbettio distanteparecchi chilometri dalla sua vita.

“E allora tenetevela la centrale. Guarda che bella che è: tuttasoffusa dal vapore, guarda che meraviglia, che spettacolo. Tene-tevele le vostre nebbie di Avalon”.

“Le nebbie di Avalon”.Poche parole dette con un sarcasmo spiazzante, eppure mi fe-

cero un effetto stranissimo. Forse mi avrebbero fatto meno ef-fetto i periodici elenchi degli ambientalisti con i nomi di tuttele sostanze mortifere che nel passato avevano intaccato gran par-te dei cittadini. “Le nebbie di Avalon”. Rendeva effettivamentebene l’idea di questo mondo a ridosso delle ciminiere, sospesotra il quotidiano tam tam e la misteriosa realtà dei fatti.

Passai la giornata a ripensare a quelle parole. Aprii un casset-to nel quale da troppo tempo giaceva una cartellina gialla, levail’elastico e presi in mano un blocco di fogli sui quali in un altrotempo avevo scritto qualche appunto, abbozzato qualche para-grafo, infarcito cartoncini colorati di fotografie di una Vado chenon esisteva più. Ripensai all’indifferenza. Riguardai quello cheavevo scritto fino ad allora; non si trattava più di fare un saggiodi qualche paginetta sulle memorie dei vecchi, da leggersi tran-quillamente le sere tiepide d’un agosto abbastanza clemente sulterrazzo o sdraiati sui lettini alla spiaggia; si trattava di far resu-scitare un mondo perduto dal Nulla del presente. Perché è vero,in fondo: oggi, tutto attorno alla centrale, cosa fa baluginare l’oc-chio se non piazzali, erba sporca e maltenuta e cemento a fiumi?Ma non è sempre stato così. Non mi importava nulla di scriverela malinconica operetta che può piacere ai nostalgici o il J’accuseche vorrebbe ridestare gli animi sopiti con qualche fine politico.Volevo solo far vedere a tutti che non era vero che prima dellacentrale non c’era nulla. Volevo che tutti quelli che avrebberodetto “Aaah, perché non siete solo le nebbie di Avalon?” si fosse-

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Sono soprattutto andato contro il luogo comune che abba-glia moltissimi: prima della centrale non c’era nulla.

Come è falso credere tutto ciò! E così ho iniziato a interroga-re, a chiedere, a indagare, a cercare fotografie. Ma non fu cosa fa-cile. Ho iniziato nel 2004, parecchio tempo fa ormai. E allora misarei accontentato anche di poco, di un ritaglio sgualcito di qual-che libro che vagamente facesse cenno alla zona. E così, raccoltealcune memorie e venuto in possesso di alcune foto donatemidalle mie fonti, iniziai a strutturare un libro. Ma ero pur sempregiovane e certe imprese non si possono che esaurire impietosa-mente in un barlume di quelle che erano le speranze iniziali.Non senza problemi, nell’estate 2005 apparvero una trentina dicopie che erano il risultato di quel primo tentativo di ricostruirequel mondo perduto. Fu una stampa in proprio, dopo aver con-statato il costo proibitivo di una casa editrice del posto. Ne fuiperò entusiasta e consideravo la questione ormai conclusa. E in-vece no. Si sa (cioè, allora ancora non lo sapevo) l’indagine sto-rica è cosa che dà risultati interessanti se per metà è supportatada intraprendenza, capacità di organizzazione e una buona dosedi cultura personale o furbizia, e se per l’altra metà è assistita dal-la cieca Fortuna che in qualche modo, nel buio della sua cecità,s’è andata a fermare nell’andito polveroso di qualche archivio obiblioteca assieme allo speranzoso studioso.

Fu così che ad un paio di settimane dalla conclusione dellafatica si era già delineato il desiderio di una nuova edizione, “ri-veduta ed ampliata”: la Fortuna, orba e ritardataria ahimé, s’erafatta viva in un caldo agosto mentre sfogliavo un album di anti-che cartine, così per curiosità; e quel giorno mi cadde l’occhiosu una di esse, ove era riportata ad inchiostro una certa casa inun certo posto che credevo aver completamente sondato nei me-si passati. Da allora fu una nuova e febbrile ricerca.

Non ci saranno rivelazioni scottanti, scandalosi dossier, gia-culatorie contro i magnati ladroni che fanno quello che voglio-no. Quello lo facciano altri, personaggi informati sui fatti, poli-

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senza” architettonica e lavorativa, non come parte di una piùcomplessa storia che aveva coinvolto e coinvolgeva ancora nu-merosi comuni e una marea di vite di cui nulla si sa.

Deve essere ben chiaro però che questa pubblicazione non è unlibro di storia; almeno, non è solo un trattato specialistico pieno diconsiderazioni più o meno dotte e arricchite da lunghe sfilze di no-te a piè di pagina. Non è una cronaca giornalistica; almeno non èsolo una cronaca giornalistica simile a quelle che vogliono inchio-dare al muro un indefinito colpevole con pagine e pagine zeppe dinomi, leggi e frammenti di documenti legali. Non è un pamphletpolitico; soprattutto non lo è perché non è stato scritto con l’in-tento di ledere una data “casta” che qualcuno potrebbe favoleggia-re di aver individuato sui nostri lidi portuali. Non è un semplicesaggio, non è un memoriale nel quale lacrimevoli ricordi possanolasciar indovinare l’amarezza malinconica per un passato che forseera anche meglio dello squallido e degradato presente. Non è, tan-to meno, un romanzo-verità, sebbene l’impianto narrativo talvoltaè scaturito spontaneamente e inaspettato al momento di renderenel miglior modo possibile semplici vicende aneddotiche che hocreduto potessero ancor più dare il senso di un certo modo di vi-vere. Non è infine nemmeno un manifesto ambientalista, sebbenemolte volte le vicende descritte potrebbero indurre a pensarlo. Eora che ho detto tutto quello che, secondo l’autore, non è questolibro, lascerò libertà al lettore di interpretarlo un po’ a piacere; e sevuole può anche tranquillamente crederlo uno dei generi che horiportato sopra, basta che si tenga l’opinione per sé. Perché non sonemmeno io che cosa ho scritto, dopo tutto.

Posso dire però come è nato: è nato da un’esigenza, come unromanzo; l’esigenza istintiva di rendere onore ad un mondo (quel-lo dove sono cresciuto) che ad un certo punto è stato stravolto davicissitudini nuove, moderne, e che quasi più nessuno sembra vo-lersi ricordare o pare proprio non averlo mai saputo, immersi co-me si è nella celebrazione o denigrazione di quella nuova realtà sor-ta sui brandelli della precedente.

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parlarne. “Eh ma sai non so, sono cose delicate, vecchie, non sosei in grado, mi sembri un po’ troppo giovane, ma devi proprio,adesso ho da fare magari più tardi fammi un colpo di telefonoche provo a vedere se…”. Un’odissea infinita che probabilmen-te non avrebbe dato grandi risultati. Il materiale importante nonlo posseggono le strutture per tutti, si sa. Una di quelle giorna-te mi capitò di passare per un grande stradone poco frequenta-to; c’erano due ragazzi sui venticinque-trent’anni bardati di cin-ture e giubbotti fosforescenti un po’ gialli e un po’ arancione chemisuravano con degli strumenti ottici un tratto che sarebbe di lìa poco stato percorso da una nuova tubatura dell’acqua. Nonpotei resistere e così mi avvicinai ad uno di loro che, piegato sul-lo strumento nel tentativo di regolare la focalizzazione, avevauna fascetta attorno al capo nella quale aveva infilato un righel-lo verde e incastrata tra l’orecchio e il capo una matita da inge-gnere. Gli dissi: “Senti, scusa, ma tutti questi rilevamenti poiche fine fanno?”. “Finiscono in un archivio apposito”. “Ma sipossono poi consultare?”. “Certo” mi disse, e sfregando il polli-ce contro l’indice nella più classica mimica delle palanche ag-giunse “basta averci questi e si può vedere quello che si vuole”.

Sicuramente da qualche parte c’era un meraviglioso campio-nario con tutte le fotografie dei vari sondaggi e misurazioni fat-te in zona, con panoramiche eccezionali dell’area che mi inte-ressava. Ma chissà dove bisognava cercare, chissà a chi bisogna-va chiedere. E poi, se Enti di ben più modesta importanza cer-cavano di aggirare la richiesta, immaginiamoci che cosa si sa-rebbero inventati se mai avessi osato…

Ripiegai sulle fotografie che scattò la gente dei Griffi, così co-me mi decisi a dare la priorità alle testimonianze orali piuttostoche fare voli pindarici su certe insicure notizie d’archivio.

E fu un’ottima idea; c’è qualcosa di stranamente malinconi-co e realistico nello stesso tempo in un ricordo sfocato, incertoe in uno scatto di polaroid che magari esiste solo perché biso-gnava rendersi conto se, inserito il nuovo rullino, la macchina

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tici, propagandisti, gruppi di contestazione. Io mi sono solo li-berato di una ossessione, ho ridato vita a qualcosa che non c’èpiù. Finito che avrai di leggere questo libro, spero non tropponoioso, caro lettore, nessuno eliminerà la centrale e vi ricostrui-rà colline e cascine, né mozzerà le ciminiere.

Le ciminiere spariscono solo quando la nebbia umida e gri-giastra d’autunno s’adagia su tutta la rada e s’amalgama in vor-tici e sprazzi ai vapori della centrale.

La ricerca di informazioni non fu affatto cosa facile: il ma-teriale fotografico lo si poteva ricavare da qualche altro librooppure bisognava andarselo a cercare in stile 007. Ma come cisi può credere in grado di affrontare una tale fatica quando tiviene detto da un importante fotografo della città che ha “bru-ciato tutte le foto della zona?”. E pensare che mica stavo mi-nacciandolo o ricattandolo con frasi tipo: “Tira fuori tutti i do-cumenti sennò guai a te”. E poi si dice che è difficile sapereesattamente che cosa si combinasse nella centrale in anni nontroppo lontani, che cosa vi venisse bruciato eccetera… io chevolevo solo qualche foto d’epoca, come quelle che tanti nego-zianti hanno esposte dietro il bancone, ho sudato le proverbia-li sette camicie; bastava dire “Enel” che apriti cielo, era un vor-tice di “Uh! Ah! Eh! Boh!”. Neanche un “Mmmh, mi sa di nonavere niente, ci guardo ma non ti aspettare chissà che, era unazona poco fotografata”. No, era subito un soprassalto allarma-to, un repertorio di facce da actor studios che Carmelo Bene oDario Fo in confronto sembrerebbero barman appena simpati-ci dotati di un non so che. Così, dopo aver fatto la parte di chiè salito sui calli doloranti di qualcuno mi sono deciso a lasciarperdere. Anche se ancor oggi mi domando cosa diavolo glienesarebbe importato “alla centrale” se tu, fotografo, quasi cin-quant’anni dopo la costruzione mi avessi fatto vedere degli scat-ti in bianco e nero.

E foto non se ne trovavano, e documenti importanti non sene trovavano, e accedere a certi archivi civici o statali neanche a

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te più riuscita dell’intero lavoro perché rende molto bene, atanti anni di distanza, il clima di insicurezza in cui ogni citta-dino era costretto a far fronte: notizie non certe, scandali, ri-velazioni scioccanti, eccetera. Un clima che in certi casi nonha mai smesso di caratterizzare il nostro territorio.

Ciò che più mi ha sconvolto è stata la presa di coscienza chenon mi era possibile affrontare la dolorosa questione senza filtrostorico. Cosa voglio dire? Che essendo nato alla fine del XX se-colo, degli anni Settanta e Ottanta, che non ho vissuto nemme-no bambino, ho una visione che trae la sua origine dalle vicen-de storiche e culturali che ho affrontato per piacere personale inanni recenti. Quelli, nella mia testa, erano gli anni ad esempiodelle stragi, dei tentativi di colpo di stato, del fervore culturale,degli intellettuali impegnati; e poi il periodo del riflusso, dellanascita della tv commerciale, delle ultime grandi avanguardie ar-tistiche, della “Milano da bere”. Credevo che sfogliando le pagi-ne dei giornali del tempo, leggendone gli articoli, vi avrei ravvi-sato in sottofondo una certa eco che li faceva automaticamenteinserire in quella data fase storica. La sorpresa fu che non ac-cadde nulla di tutto ciò per quanto riguardava la “questione Va-do”. Non vi ho ravvisato alcun filtro storico.

Dopo aver visionato quarant’anni e più di vita archiviata, so-no giunto alla conclusione che non ci sono stati anni di piom-bo o grandi movimenti politici che hanno influito in qualchemodo sulla gestione del problema di Vado: trenta-quarant’annifa certe persone si lamentavano e chiedevano delucidazioni a Ti-zio, Caio e Sempronio per paura, insicurezza e ignoranza e Ti-zio, Caio e Sempronio rispondevano che era tutto ok; in anni re-centi altri hanno chiesto e altri hanno risposto esattamente co-me i loro colleghi di qualche decennio prima. Un articolo diquarant’anni fa, cambiato di data e aggiornato con nomi di per-sonaggi contemporanei, potrebbe tranquillamente essere spac-ciato su un giornale di oggi come scritto qualche ora prima. Èquasi mezzo secolo che si dicono le stesse cose sia da un fronte

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fotografica funzionasse a dovere. Gli scatti dei tecnici e dei re-sponsabili dei lavori, per quanto perfetti dal punto di vista del-la testimonianza oggettiva, sono troppo statiche; certo, utilissi-mi… ma si vuole mettere una foto a colori (cosa rara) nata peruna svista, magari perché era scivolato inavvertitamente il ditosul pulsante del flash, dalla quale vediamo le caldaie della cen-trale in fase di costruzione o il basamento di una delle ciminie-re non più alto di un muretto da giardino? E poi, converrà dir-lo subito: non sono un grande estimatore dell’oggettività a tuttii costi, non credo solo a quello che leggo, sento e vedo; devo ne-cessariamente metterci del mio in quello che faccio, un’opinio-ne, un commento, quello che è. Per quanto possa essere mode-stissima, questa opera è comunque stata vissuta fisicamente: misono appassionato andando a perdere tempo negli archivi alla ri-cerca di ignoti toponimi, interessato quando mi venivano mo-strate le vecchie foto e perfino arrabbiato quando sono venuto aconoscenza delle pessime (e ormai dimenticate) sparate di que-sto o quel tale esimio riguardo alla questione ambientale. E for-se, non facendo parte di nessun gruppo e di nessun partito, hopiù autorità di chiunque altro nel parlare – liberamente – diquesta vicenda, in quanto alle volte parla lo storico e a volte par-la il protagonista sconosciuto delle scelte altrui (abitando an-ch’io all’ombra delle ciminiere subisco conseguenze dirette).

Man mano che si arriverà alle ultime pagine ci si accorge-rà di una caratteristica straordinaria di questo libro: la caoti-cità. Le pagine in cui ho preso in esame la vita e le vicende po-litiche inerenti gli anni Settanta e Ottanta e riguardanti ilproblema dell’inquinamento della centrale sono le più labi-rintiche del lavoro; questo è dovuto al fatto che le informa-zioni su cui si basano le ho estrapolate anche da diversi arti-coli di giornale del tempo e si sa che ciò che compare sui gior-nali va sempre considerato con i guanti, perché non si è certidi quanto dell’articolo è stato scritto per riempire la colonnaassegnata e quanto siano veritiere notizie. Forse però è la par-

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che da un altro e come risultato ci sarà ancora, per i posteri, ilprivilegio di constatare che da anni si blatera senza soluzione sualcune questioni. Anche per questo mi sarei voluto fermare al1989: mi sarei ripetuto praticamente all’infinito se fossi giuntoa scrivere del 2010.

Qualcuno si chiederà: a che serve leggere tutto questo? Cosapuò interessare ad un savonese, uno spezzino o quant’altro del-la centrale di Vado o dei Griffi?

L’unica risposta che può venirmi in mente è piuttosto bana-le: deve essere una sorta di stimolo a ricercare e a comprenderele varie fasi storiche che hanno portato una certa località all’at-tuale aspetto. L’unica speranza, per dare un nuovo senso alla sti-tica ricerca archivistica fatta su larga scala sempre sulle solite cit-tà, è dedicarsi non alla città tutta, ma ad un quartiere, ad una via,anche solo ad un edificio o ad una fontana – se di essa si riescea ricostruirne una tutto sommato interessante storia; ogni parti-colare può arricchire, nel suo piccolo, la consapevolezza riguar-do ad un luogo. E poi la “città” non sarebbe nulla senza i piùmodesti nuclei abitativi che la compongono. Sono centinaia lestorie non raccontate che, entro breve, sarà impossibile scrivere,vuoi per la scomparsa di chi ancora poteva dare le giuste dritte ariguardo e vuoi perché nel frattempo la forma delle città va cam-biando e le ruspe sono sempre pronte ad entrare in funzione.Passando per la costa savonese si vedono serbatoi e moderne co-struzioni ovunque: magari, a dieci metri dallo sfiatatoio di un ca-pannone, tre casette coloniche, mezze cadenti e mezze già crol-late potrebbero far sorgere spontanea una domanda: “Chi ci vi-veva?” ed anche “Prima di quelle muraglie di cemento ed eternitc’erano altri edifici, c’era un borgo?”. Bisogna essere spontaneicome bambini quando si osserva il mondo e noiosi come e piùdi loro quando si deve fare ricerca negli archivi così come nellebiblioteche e chiedere, chiedere sempre “Lei sa mica”, “Qualcu-no si ricorda?”. Impossibile che prima o poi qualcosa che valgala pena non esca fuori, garantito.

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Certo sono conscio del fatto che il libro non sarà completo.Però la perfezione è cosa rara. Ci saranno certamente impreci-sioni, inesattezze, parti confuse e a qualcuno potrà sembrare uncanovaccio piuttosto mal scritto che una penna più esperta e vi-vace sarebbe riuscita a rendere almeno interessante. Però se aqualcuno è risultato utile (magari non conosceva troppo bene lastoria della centrale e delle problematiche ambientali che anco-ra tengono banco sui media oggigiorno e qui ha invece letto deltempo che fu), non male dal punto di vista divulgativo (qualchepolitico o semplice cittadino, rileggendo di problematiche cheaveva già vissuto in prima persona, forse s’è ricordato di alcuniavvenimenti dimenticati) e di gradevole composizione (e quipenso agli abitanti di un tempo dei Griffi, della Tana, ecc., in-tenti a ricostruire ricordi con le fotografie sotto gli occhi), allo-ra sette anni di lavoro sono serviti a qualcosa.

GIOVANNI BORRELLO

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Arriva il progresso

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Iniziano i lavori

La ripresa economica dell’area vadese, superata la fase di rior-ganizzazione e ristrutturazione degli impianti colpiti dai bom-bardamenti alleati, andò di pari passo alla crescente industrializ-zazione della penisola italiana. Con gli anni Cinquanta iniziò adelinearsi quel fenomeno di benessere tipicamente moderno co-nosciuto come boom economico, cioè l’inizio del consumismodi massa; elettrodomestici (tra i quali la televisione e il frigorife-ro) e automobili (con le famose utilitarie) invasero il mercato.

Vado, in quanto località costiera strategica, venne presa in se-ria considerazione da quella che era la più importante fabbrica del

La centrale in costruzione inuna rarissima fotografia della se-conda metà degli anni Sessanta;enormi gru si danno da fare pererigere i locali delle caldaie e ca-mion e betoniere fanno la spolatra il cantiere e i depositi di ma-teriale edile.

tempo: la Fiat. Torino aveva bisogno di una modesta area portua-le per l’esportazione via mare di automobili per il meridione maanche per il mercato internazionale (nacque allora l’autostrada Ce-va-Savona, meglio nota oggi come “A6” e che collega il nostro ca-poluogo di provincia direttamente con Torino; i camion vi scorre-vano per portare una gran quantità di merci dal mare al Piemon-

I Comuni di Vado e Quiliano, cittadine della piana che siestende tra Savona e Bergeggi, negli anni Sessanta confinavanolà dove, a ridosso dei bricchi d’argilla, un quartiere di palazzinecostruite da poco detto dei Griffi era rigoglioso di vita; poco piùin là, lungo via Ferraris – l’arteria principale che unisce Vadocon Quiliano – il grande complesso abitativo della Valletta ospi-tava decine e decine di famiglie operaie (undici palazzine in tut-to). Un tempo, secoli addietro, quella zona era già area di con-fine tra due comunità podestarili (sotto il controllo di Genova edi Savona) e prima ancora terra del vescovado medievale.

Lì sulla sommità di una di quelle colline, di rimpetto alquartiere, si ergeva l’antica dimora del vescovo, poi torre d’avvi-stamento antisaraceno (la “torre” dei Griffi) ed in fine casa co-lonica. La gente viveva tranquillamente, con solo la vicinanzadella SIRMA – Ceramica Pozzi (ex Michallet) che non dava pro-blemi dal punto di vista dell’inquinamento. Aprendo le finestreentrava aria buona, che sapeva di pinastri, e la sera le rane gra-cidavano nelle peschiere e nelle pozze nascoste negli orti. Le len-zuola stese ad asciugare rimanevano candide e profumate.

Proprio quell’area, densamente popolata, venne scelta per lacostruzione della centrale termoelettrica dell’Enel. Iniziarono gliespropri, le cascine e le casette coloniche vennero demolite, isentieri distrutti, tutte le colline sbancate. Da quelle infauste de-cisioni incomincia questa storia…

P.S. Per più specifiche notizie sulla zona dei Griffi e l’area oraoccupata dalla centrale si rimanda all’apposita appendice in fon-do al libro, ricca di informazioni storiche e fotografie inedite.

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te e viceversa). I cittadini vadesi iniziarono a parlare di un possibi-le grande insediamento in zona a partire dal 1957, quando il grup-po Fiat acquistò molte aree tra Vado e Quiliano (alle spalle delquartiere dei Griffi); in seguito i progetti originari vennero rive-duti (si parlava della realizzazione di un porto efficiente che po-tesse rifornire continuamente alcuni impianti quali: un cementifi-cio, una fabbrica di ossigeno, un polo che si occupasse della lavo-razione degli scarti del coke e alcuni altiforni), ma l’interesse par-ve restare e così si continuò a sperare in un grande insediamento.

Questo fino al 1967, quando la Fiat cedette all’ENEL le areetra Vado e Quiliano per la realizzazione della centrale e conser-vò per sé solo alcuni appezzamenti alle spalle di Porto Vado do-ve, nel 1970, aprì uno stabilimento per la costruzione di com-plementistica per automobili.

L’ENEL (Ente per l’energia elettrica italiana) era nato dalla na-zionalizzazione di varie società nel 1963 e fin da subito si era inte-ressato alla nostra rada; a Savona vantava alcuni impianti di iniziosecolo che erano stati, allora, all’avanguardia per una città di pro-vincia, ma era necessario realizzare un grande polo moderno cheriuscisse a soddisfare le esigenze di migliaia e migliaia di persone.

L’amministrazione vadese fece decidere la popolazione sullarealizzazione della centrale; venne organizzato un referendum percapire se sarebbe stata gradita. Risultò che la popolazione vadeseera entusiasta dei progetti. Tranne qualche Cassandra...

Il 14 febbraio 1967 si firmò la convenzione tra l’ENEL e i co-muni di Vado e Quiliano, dopo lunghe trattative anche col Mi-nistero dei Lavori Pubblici. Con questa si sancì che a carico del-l’ENEL sarebbero state realizzate anche le infrastrutture seconda-rie quali strade e raccordi di pubblica utilità (a proprie spesecomplete, ad esempio, sarebbe stata realizzata la strada compre-sa tra il torrente Quiliano e il cancello posteriore della centrale,nonché il raccordo con via Ferraris) o sistemate e allargate alcu-ne già esistenti, installate fognature e nuove soluzioni per l’illu-minazione pubblica, sborsata una notevole spesa annua per il di-

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sturbo arrecato nel periodo dei lavori ai due comuni interessati.Si previde inoltre una blanda strategia per il controllo e l’abbat-timento delle emissioni inquinanti che sarebbero derivate dallacentrale. Il costo sarebbe stato di circa 200 miliardi di lire.L’opera più importante, per i cittadini e non solo, era stata larealizzazione della strada di scorrimento “per collegare diretta-mente la zona industriale del Comune al nodo autostradale di Sa-vona o al capoluogo di provincia, disimpegnando così dal trafficopresente le vie cittadine, ormai inadatte e sovraffollate”.

Gli sbancamenti iniziarono tra il 1966 e il 1967, precedu-ti da continui sondaggi geologici con trivelle. Originariamen-te l’impianto non doveva sorgere a una ventina di metri dallecase come poi è stato, ma si sarebbe dovuto realizzare almenotrecento metri, se non più, verso monte (località Tana). Il ter-reno però parve non adeguato a sostenere tutto l’impianto (epoi, molto probabilmente si sarebbero dovuti esumare tutti icadaveri dal cimitero di Bossarino per trasportarli altrove). Fuproprio l’eccessivo attaccamento della centrale alle case chepiù infastidì la cittadinanza.

Successivamente vennero anche acquistati i terreni su cuisarebbe passato lo svincolo che unisce via Ferraris con la su-perstrada.

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Un’altra rara immagine del can-tiere della centrale della fine de-gli anni Sessanta; si nota il basa-mento della ciminiera in fase dicostruzione. Pochi mesi primain quell’area si ergeva la Torredei Griffi. Dei bricchetti è rima-sto qualche calanco e gibbositàingombrante e tanta terra gialla-stra che con il vento e con il con-tinuo viavai dei mezzi di traspor-to impiegati si posava su ogni co-sa intorno.

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I combustibili impiegati furono l’olio2 (71 tonnellate all’oradi nafta), il carbone3 (141 tonnellate) e dei gas di cokeria4 che,bruciati, avrebbero prodotto calore a sua volta impiegato per for-nire energia. I processi principali avvenivano soprattutto graziealle quattro caldaie (una per ciascun gruppo in grado di produr-re ben 1.200 tonnellate all’ora di vapore), alle turbine a vapore,agli alternatori e ai condensatori dei vapori di scarico. Il fumo erascaricato dalle ciminiere, una per ogni coppia di caldaie.

Il processo esotermico prodotto nella centrale può essere cosìsemplificato: la turbina, percorsa dal vapore, riesce a far ruotare l’as-se dell’alternatore dove l’energia meccanica si trasforma in energiaelettrica; il vapore poi viene raffreddato nei condensatori (che uti-lizzano per quello scopo acqua di mare prelevata da un pontile lun-go 600 metri), nei quali entra una volta passato per la turbina, e tra-sformatosi in acqua torna nella caldaia, mentre l’acqua di mare vie-ne riversata a trecento metri dalla foce del Quiliano. A pieno regi-me, nell’arco di 5.600 ore di lavoro, la centrale era in grado di pro-durre almeno 7 miliardi di KWh. La rete di distribuzione andava

2 L’olio arrivava alla centrale, mancando un’area portuale autonomache consentisse l’attracco di petroliere solo per uso dell’Enel, tramite dueoleodotti che facevano capo ai depositi costieri della Esso e della Vadoil(in questo caso, essendo l’oleodotto collegato al pontile della Vadoil, eraimpiegata l’alimentazione degli impianti con le navi in maniera diretta),oltre che da autobotti. Il liquido era poi immagazzinato in cinque serba-toi da 50.000 metri cubi più uno da 100.000 metri cubi.

3 Il carbone fu da subito un problema come nel caso dell’olio combu-stibile in quanto non esisteva, al momento dell’avviamento della centrale,un attracco portuale che stoccasse appositamente tale materiale da indi-rizzare direttamente all’impianto. La materia prima era scaricata dalle car-boniere al pontile della Fornicoke e poi era trasportato a destinazione sunastri trasportatori, che attraversavano la vallata per una lunghezza di cir-ca 2.300 metri. In attesa di essere impiegato nella combustione era depo-sitato nel parco di immagazzinamento o nei bunkers delle caldaie.

4 Il gas proveniva in un flusso continuo dalla Fornicocke ed era com-presso tramite speciali compressori ed immesso infine nella caldaia.

La terra degli sbancamenti venne utilizzata in più modi:oltre che ad esser finita in qualche aiuola è servita nel terra-pieno dell’autostrada, a quello della ferrovia e venne perfinogettata in mare lungo la costa bergeggina nel tentativo di pro-lungare la spiaggia. Poiché non vennero costruiti moli o argi-ni, tutto si risolse in una melma torbida che rese difficile peranni la pesca di certe specie ittiche.

La potenza definitiva dell’impianto era stata stimata a2000 megawatt con 5 unità di produzione e la possibilità direalizzarne una sesta. Ogni unità era in grado di produrre 320Mw.

La prima ciminiera, da 200 metri, venne ultimata nel19681; il 27 maggio e il 13 ottobre 1970 entrarono in fun-zione i primi due gruppi e tra il 13 luglio e il 6 dicembre del1971 i restanti due.

Dal 1966 al 1971 vennero effettuati 3.000.000 metri cu-bi di scavi, furono impiegati 620.000 quintali di cemento,220.000 metri cubi di calcestruzzo, 17.000 tonnellate di fer-ro per cemento armato e 15.200 tonnellate di grossa carpen-teria montata; in tutto qualcosa come 10.500.000 ore di la-voro.

1 Le due ciminiere, alte entrambe 200 metri, misuranti 15 metri didiametro esterno alla base e 9 metri al vertice, hanno una canna ester-na in cemento armato ed una interna in muratura – costituita da mat-toni antiacidi maschiati spessi 12 cm – coibentata esternamente conmattonelle di diatomite per diminuire le tensioni di origine termica(più un’intercapedine ventilata a cui si può accedere). Il peso totale,considerando anche il plinto di fondazione, si aggira sulle 14.000 ton-nellate. All’esterno, da terra fino alla loro sommità, sono percorse dauna scala metallica con gabbia protettiva che, ogni 45 m, si interrom-pe su di una passerella circolare in ferro e sono fornite di illuminazio-ni di segnalazione fisse secondo le disposizioni dell’aeronautica, oltreche di parafulmini.

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da Vado a Morigallo (Genova), Casanova (Torino) da cui si svilup-pava per il Moncenisio e il Venaus, Vignole Borbera (Alessandria),Camporosso (Ventimiglia). Altre due centrali esistevano in Liguria:una a La Spezia e l’altra a Genova, a ridosso della Lanterna. Dalpunto di vista idrogeologico vi furono diversi problemi: stravolto ilpercorso secolare delle acque che dalle colline scendevano a mare,si dovettero costruire nuovi passaggi in cemento per le piogge me-teoriche che vennero fatte confluire in grandi condutture sotterra-nee. Molti pozzi si prosciugarono e molte terre coltivate ebbero se-ri problemi di approvvigionamento idrico; l’ENEL in certi casi do-vette occuparsi di collegare le tubature di alcuni agricoltori a vaschedi raccolta a proprie spese. Questo scompenso portò alla nascita diaree depresse là dove, in precedenza, nelle profondità, vi erano sor-genti o aree naturali di raccolta con conseguente impossibilità diedificare costruzioni di una certa importanza per diversi anni inquelle zone, almeno fino a che non si fosse assestato il terreno. Conl’entrata in funzione della centrale iniziarono i disagi per la popo-lazione; gli abitanti dei Griffi furono i primi ovviamente a risentiredei tremori e dei forti rumori molesti che scuotevano i muri dei pa-lazzi e mettevano a dura prova la pazienza. Come era naturale fioc-carono lettere di lamentele da un po’ tutte le parti:

“[…] avendo sopportato ormai per molti giorni i fortissimi ru-mori che, intervallati nelle 24 ore, provengono dalla costruendaCentrale Enel, rivolgono alla S.V.Ill.ma rispettosa istanza affin-ché il summenzionato inconveniente abbia a cessare onde rende-re possibile alle loro famiglie e loro medesimi continuare a risie-dere, in condizioni normali, nel luogo che a suo tempo avevanoscelto come residenza […] Gli scriventi, pur consapevoli che l’im-pianto sia in fase di avviamento e possa dare luogo ad alcuni in-convenienti, inevitabili per la messa a punto, fanno rilevare chesoprattutto nelle ore notturne i continui rumori e le vibrazioni ol-tre a improvvise ‘soffiate’, impediscono il riposo a chi, stanco diuna giornata di lavoro, si prepara ad affrontarne un’altra altret-tanto impegnativa.

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Non deve inoltre essere dimenticato, e gli scriventi se ne preoccu-pano, che il risveglio improvviso è negativo soprattutto per i gio-vani, in modo particolare per quelli in tenera età.Lo stato attuale delle cose stupisce comunque gli scriventi perché èappena il caso di ricordare che in fase di progetto della costruen-da Centrale e i Tecnici dell’ENEL e l’Amministrazione comunalemedesima avevano asserito in più occasioni che il nuovo comples-so non avrebbe in alcun modo arrecato disturbo e danno agli abi-tanti del comprensorio vadese.In considerazione di quanto sopra i sottoscritti, oltre a denuncia-re gli attuali e già gravi inconvenienti, si preoccupano per il pros-simo futuro poiché un aggravamento della situazione attuale po-trebbe precludere, in maniera definitiva, la possibilità di coesiste-re in adiacenza dell’impianto”.

Questa che ho riportato come esempio è datata 8 gennaio1971. È solo uno dei tanti (inutili) sfoghi degli abitanti deiGriffi che iniziarono a rendersi conto che era impossibile nonavere conseguenze di una certa portata con un impianto diquella potenza come era stato invece garantito dal Comune edall’ENEL. Le minacce dei cittadini riguardo alla possibile de-nuncia e querela nei confronti del responsabile della CentraleTermoelettrica di Vado per il reato di cui all’art. 659 C.P. eper gli altri eventuali reati ravvisabili nei fatti sempre descrit-ti nelle lettere imbucate invano (i rumori molesti dei macchi-nari anche nelle ore notturne, soprattutto) cadevano comun-

Apparecchiature fonoassor-benti installate in seguito allelamentele dei cittadini deiGriffi.

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(ma ci possiamo immaginare altri condomini ormai svegli e ap-postati sui pianerottoli in pigiama o camicia da notte intenti aborbottare “Insomma, non si può più vivere!”), entrare azzar-dando un: “Permesso, buonasera”. “Eeeh!... favolosa, da mille euna notte!”. Possiamo immaginare una risposta certamente sar-castica. E poi: “Allora: qual è il problema?”.

“Eccolo il problema” – avrebbe detto la padrona di casa, spa-lancando la portafinestra sul terrazzo – “Senti niente?”.

“Cosa dovrei sentire?”. “Tira a indovinare. Niente?”. “Niente!”.“Niente…”.Ma, senza farsi scoraggiare, la nostra signora lo avrebbe fatto

accomodare al tavolo in sala da pranzo.“Adesso mettiti lì, per piacere”.Si sarebbe diretta alla credenza, avrebbe preso un bicchiere

(servizio buono) e l’avrebbe riempito d’acqua al lavandino; poi,premurosamente, l’avrebbe piazzato al centro del tavolo, si sa-rebbe seduta di fronte all’amico e avrebbe incrociato le bracciasul ventre.

“Visto che non ci senti, speriamo che non sia anche orbo”.L’acqua nel vetro avrebbe iniziato a vibrare come se tutta la

valle fosse stata scossa da un turbine improvviso, zampillando,tremolando in un febbrile tumulto; ma l’amico sarebbe rimastomuto.

“Abbiamo tutta la notte davanti, caro mio…”.“Non capisco proprio perché ti angusti tanto”. “Adesso cosa vedi?”. “Io? Niente, niente. Cosa devo vedere?”. E intanto, come in una ridicola scena di una farsa, assieme

alle vibrazioni si sarebbe udito un rombo cupo alle loro spalle.“Niente?”. “Niente!”.

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que nel vuoto. La centrale c’era e all’epoca uno sparuto mani-polo di gente esasperata poco poteva fare contro un tale co-losso industriale.

L’ENEL tuttavia diede il via ad una campagna di rilievi acu-stici e prese alcuni provvedimenti quali la chiusura delle “fi-nestre” che davano sulle abitazioni dei Griffi (facciate Sud-Este Nord-Est), i vetri vennero sostituiti con materiali più spessied insonorizzati, vennero installati alcuni silenziatori ad aspi-razione e rivestimenti fonoassorbenti sui serbatoi d’aria ester-ni, ecc.

A seguito delle vibrazioni continue, negli stabili adiacentiall’impianto iniziarono a formarsi delle lesioni che, con il pas-sare dei giorni, andarono sempre più accentuandosi nellestrutture portanti (come muri perimetrali e tromba delle sca-le). Certo, non si trattò di danni strutturali importanti, ma al-lora ci si mise subito in allarme. L’insicurezza delle persone futale che si richiese al sindaco di predisporre l’invio sul postodei Tecnici del Comune affinché procedessero ad una accura-ta ispezione e controllo delle strutture incriminate e che nelcontempo potessero constatare anche in quali condizioni pie-tose fossero ridotte le facciate esterne delle costruzioni per ef-fetto degli scarichi saltuari provenienti dal camino ubicato difronte al quartiere.

Addirittura, chi era più in confidenza con il sindaco (sitrattava pur sempre di gente di paese e ci si conosceva bene),arrivò a chiamarlo a casa in piena notte per avvertirlo dellacosa:

“Scusa sai se ti ho tirato giù dal letto… ma qua non si puòproprio dormire, è una cosa impossibile”.

“E che problema c’è?”.“Indovina un po’?”.E allora eccolo prendere l’automobile ed arrivare nel quartie-

re, mentre la luna piena si stagliava nella cappa tenebrosa dellanotte estiva, salire le scale fino all’appartamento dei conoscenti

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I lavori di pulizia conseguenti alle ricadute impegnavanodirettamente i cittadini per giornate intere (sperando che conla pioggia i muri delle palazzine non sbavassero in orripilantimacchie nerastre e malsane). E le piogge acide scendevanotranquillamente sulla Vado del tempo irritando occhi e pellisensibili, punzecchiando le lingue scaltre di qualche bambi-netto che voleva assaggiare le gocce dell’acquazzone improv-viso, sciabordando sulle foglie e sui petali di giardini, sull’in-salata degli orti e raccogliendosi in pozze nell’asfalto e nelleaiuole per esser bevute da qualche gatto o piccione o per fil-trare nel terreno: insomma per essere naturalmente assimilateda tutti i viventi.

I problemi riguardo all’inquinamento interessarono anche altre località liguri; aLa Spezia, in località Vallegrande, venne costruita l’unità “gemella” dell’impianto diVado. La struttura, dotata di ben quattro ciminiere, era costituita da quattro unitàtermoelettriche (le prime due rispettivamente da 320 e 335 Mw, la restante coppiada 600 Mw ciascuna) per un totale di 1.855 Mw. Novità assoluta per il tempo nel-la realtà italiana erano il terzo e quarto gruppo che adottavano un ciclo di vapore “so-pracritico”, cioè con una pressione di immissione in turbina di 246 Kg/cm quadra-ti effettivi, molto più redditizio come risultato. Anche la popolazione spezzina pro-testò fin da subito per i problemi relativi alla centrale (che pure non risulta attacca-ta al centro abitato come a Vado).

Queste piogge acide, vivissime nel ricordo di tutti i vadesi,erano vissute con particolare accoratezza dagli abitanti dei Grif-fi perché, trovandosi il quartiere così vicino ai fumaioli, capita-va che per alcuni metri più in prossimità alla centrale non pio-

massiccio delle polveri nere che uscivano dai fumaioli zebratidi rosso e di bianco, imbrattando tutta la rada senza un mini-mo di controllo; del resto le leggi a riguardo non erano, nelnostro Paese, molte e particolarmente valide.

C’era sempre chi si lamentava non riuscendo più a tollera-re il disagio apportato dalla continua caduta di residui catra-mosi dai camini della centrale, dal fatto che ci si doveva ripu-lire autonomamente piazzali ed autovetture ridotti da quei re-sidui in uno stato indecente; ma le lamentele non erano ascol-tate: i tentativi di colloquio telefonico con gli enti prepostierano vani (“Non c’è il signor direttore” era sempre la stessarisposta della segretaria).

Per ben più che un decennio (solo con gli anni Novanta lafaccenda iniziò a cambiare) erano periodiche le ricadute di fu-liggine espulse in notevole quantità e che coprivano letteral-mente di nero la zona; non a caso negli anni Ottanta i Verdiconsegnarono ai sindaci di Vado e Quiliano il Premio Attila,come sarcastico riconoscimento del totale disprezzo degli am-ministratori per la salute di tutti i cittadini.

Il primo articolo apparso sui giornali relativamente alla questione “Griffi”: era-no passati pochi mesi dall’avvio dell’impianto ed i cittadini si mostravano già esa-sperati per la non piacevole situazione. Da allora la stampa non smise più, tra pe-riodi caldi e momenti di distensione apparente, di interessarsi della faccenda.

“Beh mettiti gli occhiali allora…”.Fin da subito i fumi dell’ENEL furono un problema. I pri-

mi anni Settanta furono contrassegnati dall’inquinamento

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Anni di piombo (... non solo nei polmoni)Mentre l’Italia attraversava quel particolare periodo storico

denominato “strategia della tensione” o “anni di piombo”, tra

Esempio delle tecnologie al-lora all’avanguardia utilizzatedall’Enel per identificare sostan-ze inquinanti volatili fuoriuscitedai camini; si tratta del Lidar, unradar ottico a raggi laser posizio-nato sul tetto dei laboratori mo-bili di rilevamento. L’iniziativa“cieli puliti” promossa dall’Enelin quel tempo si serviva così del-la tecnologia avanzata di questomacchinario che sparava a ritmocostante un raggio laser rosso da160.000 KW il quale attraversa-

va l’atmosfera; qualora ci fossero stati ostacoli invisibili quali polveri ocaligine il laser ritornava all’apparecchio (e di qui ad un modernocomputer) con alcuni secondi di ritardo: un esperto poi sarebbe riu-scito a risalire al problema e l’avrebbe comunicato alla centrale, la qua-le avrebbe deciso il da farsi.

stragi e manifestazioni massicce di piazza, Savona (almeno stan-do alle più recenti teorie a riguardo, supportate da documenta-zione) venne scelta dalle forze di Destra estrema come città espe-rimento per testare sui cittadini gli effetti della paura costante

vesse affatto e invece qualche passo più in là, sugli scivoli e sul-le altalene del parco, magari veniva come Dio la mandava; il“fungo” delle emissioni faceva di questi scherzi.

Caso volle che tra coloro che abitavano nel quartiere ci fos-se anche un agguerrito giornalista: Piero Levratto. Egli, fra-tello del più famoso calciatore Felice, protestò sempre controla centrale e più in generale contro il degrado totale di Vadoassediata dalle industrie e soffocata dall’inquinamento; in uncontesto marcatamente di Sinistra (PCI in modo particolare)le posizioni anticonformiste di Levratto suscitavano varie po-lemiche nel mondo politico locale, in quanto criticava, sullepagine di “Il lavoro nuovo” (di frangia socialista), le decisioniper lui fintamente populiste degli amministratori locali inte-ressati invece al proprio tornaconto personale. La stampa, piùin generale, iniziò ad occuparsi del “caso Griffi” fin dalle pri-me proteste del 1970.

Le prime lotte popolari contro gli “abusi” dell’ENEL di Va-do sorsero di pari passo alla nascita in Italia di gruppi am-bientalisti come il MODA (Movimento Difesa Ambiente),Verdi, Lega Ambiente e WWF5. Tutti questi gruppi entraronoin gioco nel giro di pochi anni contro lo strapotere che rega-lava a decine di migliaia di liguri lunghe fumate nocive. IlMODA, in particolare, raccolse in area locale simpatizzantiVerdi e democristiani (la DC, minoranza consiliare a Vado eQuiliano, in breve sferrò duri colpi alle amministrazioni ros-se iniziando indagini trasversali per far emergere la verità ri-guardo all’inquinamento della centrale).

5 Tra 1975 e 1976 erano in progetto, da parte dell’Enel, ben 22 cen-trali in tutta Italia – isole comprese – che avrebbero fruttato circa 23 mi-liardi di KW prodotti complessivamente.

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derivante dall’esplosione di numerosi ordigni; tra il 1974 e il1975 scoppiarono nella città della Torretta e nel suo circondariocirca una decina di ordigni che provocarono diversi feriti e unmorto (tutti cittadini qualsiasi) e localizzati per lo più in edificidi grande rilevanza come scuole o palazzi pubblici.

La paura iniziò a circolare anche a Vado, vista la presenza di nu-merosi stabilimenti di grande importanza industriale e di una po-derosa forza operaia di Sinistra (il piano di vigilanza, con ronde eturni di perlustrazione all’interno e all’esterno degli impianti, partìnell’inverno del 1974); e come non citare l’angoscia dei “griffini”,a due passi da un bersaglio così appetibile quale era il polo elettri-co più importante nel Ponente? E se i neofascisti di Ordine Nero odi Ordine Nuovo avessero attaccato il quartiere e avessero scavalca-to il muro di cinta per entrare nella centrare e farla saltare in aria?Tutto questo, ben inteso, non accadde; ma la notte di venerdì 9agosto 1974, poco dopo le 22,30, due potenti ordigni (mezzo chi-lo di plastico ciascuno, con un detonatore e una miccia) vennerolanciati nei pressi di un trasformatore della centrale dalla strada deiCosciari, oltre la linea ferroviaria che passa per la stazione di Val-leggia (o forse vennero lanciati dall’autostrada). Le due esplosionifurono violentissime e vennero udite, con tanto di vibrazione, sia aVado che a Valleggia, al punto che molte persone scesero spaventa-te in strada pensando ad una scossa di terremoto; gli attentatorimancarono però l’obiettivo di una decina di metri perché, pare,sbagliarono i calcoli del lancio fin da principio. Riuscirono a pro-vocare solo pochi danni: aprirono una modesta voragine nell’asfal-to del piazzale interno alla cinta della centrale e fecero saltare partedi alcuni binari utilizzati negli spostamenti interni all’impianto.

I lavoratori proclamarono sciopero per un’ora la mattina se-guente e convocarono un’assemblea straordinaria (alla quale par-teciparono anche i dirigenti di fabbrica ed il sindaco di VadoMorachioli); nel pomeriggio anche altri operai ENEL di Savona siunirono allo sciopero. Secondo i sindacati l’attentato, se fosseriuscito, avrebbe immerso nel buio vaste aree del nord Italia e

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forse era stato preparato in vista di una grande azione terroristi-ca. Ricordo che pochi giorni prima avvenne la strage sull’Italicus.

Non si seppe mai chi furono i mandanti: sul luogo dell’esplo-sione venne ritrovato un pezzo di carta parzialmente bruciato conscritta a mano una “N”; ma non è chiaro se si trattasse di un ele-mento presente casualmente lì già prima del mancato attentato.Non venne identificato mai nessun colpevole (ai Cosciari era buiopesto e poi si parla di una zona solo ricca di albicocchi, peschi epochi altri alberi), né vi furono mai rivendicazioni.

Ma mentre l’instabilità politica e sociale scuoteva l’Italia del-la prima Repubblica, a Vado e a Quiliano la priorità per i citta-dini che protestavano contro l’inquinamento era quella di costi-tuire un gruppo compatto che riuscisse a scuotere l’opinionepubblica con interventi sui media e con l’aiuto di medici edesperti che andassero a scalzare le posizioni buoniste della mag-gioranza, disseminando il dubbio tra la popolazione perché si ri-chiedessero controlli seri.

I trasformatori elettrici scampati al-l’attentato del 1974 a pochi metri dallastrada dei Cosciari.

Traiettoria del lancio degli ordigni nel-la cinta della centrale (da “Il Secolo XIX”del 10-08-1974).

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Energia, lavoro e ambiente: una questione italiana

I primi anni del decennio ’70 furono funestati dall’arrestodei programmi di costruzione di numerose centrali termoe-lettriche italiane; i motivi principali di questi ritardi furono:

1) la nuova campagna ecologica esplosa praticamente dicolpo che, proprio per questo, non era vista di buon occhioanche perché “facilmente esposta al ricatto della psicosi colletti-va, al di fuori e al di là spesso di cognizioni scientifiche e tecni-che”;

2) la mancanza di capacità politico-tecnica degli imprendito-ri e dei politici in generale in campo energetico;

3) i difficili investimenti in campo energetico delle azien-de produttrici a causa soprattutto dell’inadeguatezza delle ta-riffe elettriche (ancora molto basse rispetto al resto d’Europa,praticamente identiche a quelle dei primi anni Sessanta quan-do ancora la richiesta energetica non era così estesa a tutto ilPaese).

Novità poi degli ultimi anni era stato l’arrivo dell’energianucleare; per meglio comprendere il perché delle nuove esi-genze in campo elettrico è interessante il confronto tra i de-cenni 1960 e 1970 dal punto di vista dell’approvigionamentoenergetico:

ENERGIA ITALIANA NEL 1960: 82% idroelettrica18% termoelettricainesistente l’energia nucleare

ENERGIA ITALIANA NEL 1970: 35% idroelettrica62% termoelettrica3% nucleare

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Il “blocco dei siti” fu piuttosto particolare (nonché tipicofenomeno della storia italiana come quelli che proprio alloragodevano di tanta fama sugli schermi dei cinema per la regiadei vari De Sica, Monicelli e Risi): il mondo politico-econo-mico, a partire dalla discesa repentina delle percentuali deltermoelettrico del 1971, incominciò a mettersi in allarme earrivò a stimare che entro il 1975 la richiesta elettrica sarebbecertamente stata superiore alla disponibilità energetica. Ma inche cosa consisteva questo “blocco” che, a metà del ’73, tene-va bloccati i cantieri delle centrali di Porto Tolle, Piombino,Fusina, Chivasso, Vignali e Santa Gilla (cioè quelli che se-condo il Ministero erano gli impianti più urgenti)6?

In realtà il buon cuore degli amministratori locali c’entra-va assai poco, purtroppo.

La guerra dei siti nacque in quanto fino ad allora (fino al-la proposta Ferri) era proprio il sindaco del paese tal dei taliche doveva rilasciare la licenza edilizia per un impianto ter-moelettrico che sarebbe dovuto sorgere sul proprio territoriocomunale. E siccome una centrale da 1000 Mw implicava uncosto di circa 100 miliardi, 5 anni di lavoro di cantiere, inmedia, con circa 2000 lavoratori (edili/meccanici) impiegatinella costruzione e solo circa 400 impiegati (molti dei qualitecnici non direttamente del posto) per la gestione dell’opera

6 Questo è niente: nel 1968 l’ENEL aveva in cantiere 9 centrali, ma sifaceva fatica a mandare avanti i lavori. Alcune di quelle – Rossano Cala-bro da 1280 Mw che si sarebbe dovuta iniziare tra ’72 e ’73, Monte S. An-gelo nel Gargano (Foggia) da 1280 Mw, Vignoli (Latina) da 640 Mw,Torrevaldaliga (Civitavecchia) da 2640 Mw, Chivasso (Torino) da 640Mw e che si sarebbe dovuta iniziare tra il ’72 e il ’73, Brindisi da 1280Mw, Tavazzano (Milano) da 600 Mw e Vado Ligure da 640 Mw –, anco-ra nel primo decennio del secolo XXI sono questioni calde e irrisolte.

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paiono ben più che risibili; ma non bisogna affatto dimenti-care che quasi tutto il mondo scientifico ufficiale consideravale emissioni dai fumaioli delle centrali elettriche molto mamolto meno inquinanti dei fumi dei riscaldamenti domesticie del traffico veicolare (entrambe emissioni ad oggi molto di-verse...).

Malgrado tutto ciò, il futuro faceva ben sperare: diverseerano le colonne giornalistiche che ricordavano come il car-bone stava ormai “lentamente scomparendo dalla scena”, do-po un lungo utilizzo nel mondo Occidentale, in favore delleancora neonate energie rinnovabili e del ben più efficiente, si-curo e produttivissimo nucleare (allora non erano ancora suc-cessi disastri che ad oggi ci fanno sembrare queste parole dientusiasmo come ingenue e folli…).

E poi nelle centrali termoelettriche buona parte del com-bustibile bruciato era olio, non carbone.

Le stime preannunciavano una progressiva rinuncia al fos-sile in diverse nazioni. Ad esempio in USA, che nel 1970 ilcarbone era stato utilizzato per l’energia come combustibile al20% rispetto al nucleare e ad altri combustibili, si pensava aduna progressiva riduzione: per il 1975 si sarebbe potuto scen-dere al 18% ed entro il 1985 al 16%. In Italia, che nel 1970era all’8%, entro il ’75 si sarebbe probabilmene potuto tocca-re il 7% e per l’85% il 5%.

Il carbone lasciava l’Occidente, così sembrava davvero.C’era anche chi, in preda alla malinconia, faceva notare che sitrattava anche di “un problema dagli evidenti risvolti umani edoccupazionali”: “città nate attorno alle miniere di carbone, untempo floride, oggi stanno morendo se non intervengono inizia-tive sostitutive. In Sardegna è il caso delle miniere del Sulcis, e dicittà come Iglesias e Carbonia”.

Ma in fondo era visto come un processo naturale, inelut-tabile del mondo economico e industriale.

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una volta ultimata (più qualche altro numero per quanto ri-guardava le piccole e medie imprese della zona assunte per lamanutenzione), la politica del posto (sindaci ma anche e so-prattutto sindacati che sugli amministratori delle città face-vano pressioni) incominciò a ritenere tutto ciò come qualco-sa di poco soddisfacente. Cento miliardi per una centraledanno lavoro alla massa di lavoratori solo per cinque anni;troppo poco.

Così, fatti i dovuti calcoli, appellandosi a “Italia Nostra”,non curandosi dei problemi del fabbisogno italiano, una vol-ta ricevuto l’avviso che nel sito del Comune tal dei tali sareb-be dovuta sorgere una centrale… fioccavano le contestazionicon conseguenti prime pagine e comizi. Si trattava di una me-ra manovra di partito.

Questo poteva avvenire anche in città che già ospitavanoimpianti che però aspettavano l’avvio dei lavori per gli am-pliamenti (come appunto successe – a quanto pare – anche aVado, dove solo pochi anni prima le ruspe distrussero ettari dipaesaggio con grande plauso dell’amministrazione proprioper realizzare opere improvvisamente considerate non più de-gne di ammirazione).

Uno dei casi più eclatanti sotto questo punto di vista si veri-ficò a Piombino: dopo l’autorizzazione unanime della GiuntaComunale per la costruzione di una centrale da 1240 Mw, a me-tà dei lavori la stessa Giunta revocò l’autorizzazione per motivitecnologici (le apparecchiature metalliche rimasero ad arruggi-nire all’aria aperta nel cortile di un impianto vicino e ben prestorisultarono inutilizzabili).

A cambiare le cose fu l’approvazione, nel 1974, della legge880 che snelliva tempi e procedure per la localizzazione dei nuo-vi impianti.

Fino ad allora per tutelare l’ambiente era in vigore la leg-ge 615 che fissava per i centri urbani i limiti non valicabiliper l’inquinamento. Oggi quelle disposizioni, quei limiti ap-

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Iniziano le contestazioni... e la stampa si scatenaNella seconda metà degli anni Settanta tenne banco la pole-

mica sull’ampliamento della centrale; già nel 1973 si temeval’installazione del 5° e 6° gruppo (e in quell’anno, a marzo, ven-ne distribuito ai residenti dei Griffi un questionario con do-mande mirate a capire se ci fossero effettivamente disagi per ilfunzionamento delle unità).

La stampa locale, almeno una volta a settimana, informava icittadini sugli sviluppi della vicenda; i sindaci di Vado e Quilia-no (Morachioli e Picasso) infatti, con il resto della delegazionedel PCI si dichiararono contrari all’opera. Fino ad allora la cen-trale aveva una potenza di 320 Mw per ciascuno dei quattrogruppi che la costituivano. Aggiungere altri 640 Mw, in un im-pianto così vicino al centro abitato, non parve proprio una granbella idea. Nel 1977 Morachioli – con l’onorevole Noberasco(parlamentare) e il senatore Urbani – in una conferenza stampacomunicò ufficialmente che non sarebbe avvenuto l’amplia-mento. I tre, assieme a Picasso, erano volati a Roma proprio conquell’ordine del giorno; qualche difficoltà la incontrarono al Se-nato, mentre la Commissione Industria della Camera accolsecompletamente le richieste. Addirittura si disse che il presiden-te Mammì se n’era fatto portavoce al governo personalmente. LaCamera varò un documento a proposito, nel quale tra l’altro sidiceva:

La Camera, nell’approvare il decreto recante norme sulla de-localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione esull’impiego di energia elettrica, invita il governo a far sì che iprogrammi pluriennali dell’ENEL per lo sviluppo della produzio-ne di energia elettrica consentano di ‘mantenere’ la centrale ter-moelettrica di Vado Ligure e Quiliano nelle sue attuali dimen-sioni.

E nel contempo si chiedeva all’azienda di eliminare i disa-gi sopportati dalla popolazione “per il funzionamento della

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centrale, data la sua ubicazione ec-cessivamente ravvicinata al centrourbano”.

Questo però, era chiaro agli am-ministratori, non impediva al-l’ENEL di ampliare gli impianti;certo, non sarebbe stato il massimodell’iniziativa… ma evidentementeche la Camera si fosse pronunciatain un certo modo non parve una

Interno d una cabina dei rilevamenti atmosferici

cosa seria: le iniziative riguardo all’aggiunta di altri Megawata Vado continuarono.

L’ENEL ribadiva che i precipitatori elettrostatici installati riu-scivano a captare il 99,5 % dei fumi e quindi si poteva stare tran-quilli: la Francia e gli Stati Uniti ad esempio tolleravano situazio-ni ben più dannose alla salute. E si poteva stare tranquilli graziesoprattutto all’altezza delle ciminiere, alla velocità dell’emissionedei gas (circa 20 m/sec) e alla temperatura dei gas che veniva rila-sciata in temperatura maggiore di 100 gradi centigradi, oltre chealla particolare condizione topografica della piana. Ed era statodichiarato che non erano quasi presenti l’ossido di carbonio el’anidride solforica. In conformità poi alla legge n. 615 del 13-7-1966, l’impianto era munito di apparecchiature che misuravanola temperatura dei fumi all’ingresso delle ciminiere, indicavano lapressione in camera di combustione e all’ingresso delle ciminieree registrava l’opacità dei fumi con tanto di percentuale di ossige-no residuo in essi presente. All’interno della centrale poi venne in-stallata una telecamera fissa che inviava le immagini relative al-l’immissione dei fumi dalle ciminiere alle sale di manovra.

Un po’ ovunque vennero disseminate sul territorio delle sta-zioni di rilevamento dell’inquinamento atmosferico.

Ma le garanzie non bastavano. E nel 1977 iniziò la vera epropria sperimentazione a regime massiccio del carbone,

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no”. L’ENEL stessa, nella pubblicazione “Le centrali termoelettri-che e l’ambiente” dell’aprile 1971, affermava che “nessuno deimoltissimi sistemi studiati e anche provati in scala ridotta ha rag-giunto la fase di applicazione industriale”.7

In pochi anni, insomma, che le ciminiere fossero alte 200 me-tri non era più garanzia di sicurezza, anzi faceva sì che aree più di-stanti fossero interessate dal problema ENEL, così come non risul-tò che una sorta di trappola a vento l’eccezionale vallata dell’en-troterra, e non una strategica zona graziata dai fumi.8

7 Virginio Bettini, professore di ecologia all’Istituto universitario diarchitettura di Venezia nel corso di laurea in urbanistica, nella sua Ap-pendice all’opera Il cerchio da chiudere del professor Barry Commonerdella Washington University (edito in Italia nel 1977 da Garzanti), scris-se: “L’Ente nazionale per l’energia elettrica, con 84,2 miliardi di chilowat-tore di energia termoelettrica prodotta nel 1971, cui si devono sommare i40,4 miliardi di chilowattore di energia idroelettrica, ha stabilito un pri-mato non solo energetico. Non c’è una sola centrale ENEL che non sia sottoaccusa, anche perché si progettano sempre nuove centrali termoelettriche etermonucleari, spesso indipendentemente da valutazioni territoriali e dalladestinazione d’uso del suolo”. E ancora: “In attesa che l’atomo divenga ilgrande protagonista del settore energetico, la produzione di base non può es-sere fornita che dalle centrali termoelettriche, per il cui esercizio utilizziamole più moderne tecnologie per la difesa dell’ambiente. Ed ecco le tecnologie:trappole elettrostatiche che catturano le ceneri (e che non si sa mai comesmaltire), alti camini che portano i fumi sopra la fascia atmosferica (condi-luizione, ma anche ricaduta a distanza di piogge acide), rilevamento auto-matico dell’anidride solforosa, laboratori mobili, palloncini Pilot, studio delfumo con il lidar. Rimane il problema eterno dell’inquinamento termico,che sconvolge gli ecosistemi acquatici”.

8 L’Enel portò gli amministratori del Comune di Porto Tolle (Ve-neto) in visita alla centrale di Vado, nei primi mesi del decennio; que-sto perché nel delta del Po si era deciso di installare uno dei più gran-di impianti termoelettrici d’Europa e si aveva paura che i fumi vele-nosi potessero ammorbare l’aria di città anche a parecchi chilometri didistanza, come ad esempio Venezia. Vennero invitati a Vado perché il

ENEL-Enti locali sottoscrissero un apposito accordo. Si sareb-be dovuto trattare solo di 8 mesi (2 mesi per gruppo elettro-geno), poi si sarebbe deciso il da farsi.

Nell’accordo d’intesa era anche specificato che nel caso delsuperamento dei limiti di legge degli inquinanti ci sarebbestata una immediata cessazione dell’esperimento. Subito lapopolazione insorse (si parlava dell’immissione in atmosferadi ossidi di azoto, ossido di zolfo e altre polveri): nel giro di

pochi anni si poté constatare chela centrale era sprovvista di im-pianti di desolforazione e gli elet-trofiltri erano insufficienti a trat-tenere le polveri.

I testi medici informerannosuccessivamente, con lo studio mirato in questo campo, chel’ossido di zolfo provoca danni al cuore e ai polmoni con con-seguente formazione di enfisemi, mentre l’ossido di azoto indosi massicce arriva a scatenare edemi polmonari, in dosi bas-se il cancro ed altre patologie.

In quegli stessi anni, nel IV volume dell’Enciclopedia delPetrolio dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) si poteva leg-gere: “La desolforazione non è tecnicamente ancora realizzabilee non si presenta vantaggiosa”. Le cose non erano molto cam-biate dal 1970, anno in cui la realtà dei fatti riguardo all’im-possibilità di arginare tale tipo di inquinante era stata ribadi-ta nella “Conferenza nazionale sugli inquinamenti”, organizza-ta sempre dall’ENI.

Da una ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche Ame-ricane, eseguita per conto dell’Air Pollution Control Admini-stration (poi EPA) e pubblicato in un articolo sotto il titolo “Ab-battimento della emissione di ossidi di zolfo in fonte di emissionistabili”, si rilevava che “tecnologie commercialmente provate per ilcontrollo degli ossidi di zolfo dei processi di combustione non esisto-

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Sulla scia delle polemiche sui fumi ENEL, infervorarono le po-lemiche sul terminal carbonifero che doveva essere costruito vici-nissimo alle abitazioni nella zona di Zinola e che doveva servire daapprovvigionamento non solo a Vado, ma anche alle centrali pie-montesi e lombarde. Secondo il progetto si sarebbe dovuto co-struire un imponente nastro trasportatore largo almeno cinquemetri che avrebbe attraversato tutta la vallata di Quiliano per poirisalire i monti; in questo modo il carbone (proveniente prevalen-temente da Polonia, Sud Africa e Australia9) sarebbe stato sbarca-to sulla piattaforma e stoccato all’interno di immani carbonili alcoperto. L’alternativa su cui si impuntarono tutti coloro che era-no contrari a quello che apparve subito un obbrobrioso attacco al-l’ambiente e allo sviluppo urbanistico della città, consisteva nellacostruzione di un più razionale porto commerciale da adibire adattracco per navi porta-container, decisamente meno problemati-co dal punto di vista ambientale e ben più in grado di soddisfarele esigenze di sviluppo occupazionali della zona.

Ma sui giornali iniziarono a circolare strane voci, molto preoc-cupanti: in una miniera sarda10 si andava estraendo lignite ad altocontenuto radioattivo e ad alto tenore di zolfo. Il sospetto che quelminerale potesse essere impiegato (e magari era già successo?) nel-le centrali ENEL preoccupò moltissimo la popolazione; ma in real-

9 I principali Paesi produttori di carbone erano: USA (il maggiore; nel1977 ne vennero estratte circa 600 milioni di tonnellate), URSS, Cina,Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Polonia, India, Sud Africaed Australia. L’Italia riceveva gran parte del fossile da Sud Africa e Au-stralia, come altri paesi europei ed il Giappone. Per gli anni Ottanta siprospettava l’ingresso nel mercato di Colombia, Venezuela e Mozambico,oltre che ad altre Nazioni in via di sviluppo.

10 In Sardegna era noto il giacimento di Sulcis che venne nuovamen-te preso in considerazione in vista della nuova politica a favore dello sfrut-tamento dei giacimenti dismessi da anni ma ancora potenzialmente ricchidi materia prima.

Il Comune di Spotorno, alla fine del ’77, protestò contro gliscarichi della centrale e l’amministrazione comunale chiese allaProvincia di convocare un’assemblea di tutti i comuni interessatidalle ceneri; e ad ognuno di essi doveva essere affiancata ancheuna commissione tecnica in grado di esaminare accuratamente irisvolti negativi della sperimentazione a carbone. Per le località ri-vierasche vicine a Vado che vivevano di turismo, c’era la costantepaura che le scorie della combustione fossero sbrigativamente get-tate in mare. E ci si iniziò proprio allora a preoccupare per il fee-ling troppo intenso tra l’ENEL e i comuni di Vado-Quiliano…

nostro sito era considerato un “eccellente esempio” di come, oltre adaver alzato le ciminiere, fosse semplice il meccanismo naturale di di-spersione dei fumi nel cielo in una valle che incanalava i venti propiziper allontanare ogni pericolo. Sappiamo che Vado non fu però grazia-ta dalla ricaduta di ceneri… e comunque altri comuni vicini a centra-li non se la passavano affatto bene: nel paese di Revere, a Ostiglia, chesi trovava sottovento rispetto alla locale centrale, la popolazione erasoffocata da fumi quattro giorni su sette e il sindaco, assieme ad untecnico del Comune, denunciò la cosa su “l’Unità”, in un articolo ap-parso il 20 febbraio 1972; il 30 giugno 1971 a La Spezia, 2000 perso-ne circa sfilarono in protesta contro l’inquinamento provocato dallacentrale di Vallegrande. Il progetto per la centrale poi realizzata a Por-to Tolle era stato in precedenza proposto a Salerno, Sibari, Fondi, nelGargano, a Piacenza ecc.; tutti i Consigli Comunali delle citate città sirifiutarono di accettare la proposta, così come protestarono agricolto-ri e cittadini qualunque. Nel febbraio 1972, in un convegno a Men-sola, la Regione Emilia Romagna si schierò contro la realizzazione del-la centrale nel Delta.

Inquietante titolo del 12-11-1978 apparso su “Il Lavoro”.

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dentemente valutare l’impatto ambientale che esso avrebbe rap-presentato nel momento dell’avviamento (cosa che nelle più pro-gredite nazioni dell’estero era una consuetudine già da prima delnostro boom economico).

Le parole di Torcello (che in quanto esponente di una frangiapolitica, parlava a nome di tutta la sua fazione, compresi i tre op-positori vadesi DC Tranquilli, Rossi e Moretti) fecero scoppiareaspri scontri tra le maggioranze socialcomuniste che governavanoVado e Quiliano e le minoranze dei due comuni; i primi sostene-vano che le stazioni di controllo e le indagini della CommissioneTecnica, con i risultati forniti, smentivano tutti gli allarmismi

Panoramica aerea dellacentrale in attività (anniSettanta) ma con ancora laciminiera verso monte infase di rifinitura.

Si notano i grandisbancamenti eseguiti nel-l’area della Tana, versoBossarino, nonché il trac-ciato dell’autostrada e

della ferrovia appena scavato tra le balze argillose. Entro poche settimane la cen-trale lavorerà a pieno regime.

mentre gli altri ribadivano che le analisi effettuate si basavano solosulla presenza di anidride solforosa e polveri generiche trascurandol’immissione di NO2 e di idrocarburi cancerogeni. Tuttavia, nelpieno della preoccupazione e delle polemiche, domenica 20 agosto1978 venne inaugurato, con l’incontro Genoa-Vado, il nuovissimostadio cittadino “Chittolina” (presenti, tra gli altri, i sindaci Picas-so di Quiliano e Piero Ricino di Vado, subentrato a Morachioli nel1976), totalmente finanziato dall’ENEL per una spesa totale di cir-

tà i medici e gli esperti locali non si preoccuparono tanto di quel-la particolare miniera in Sardegna, bensì rivolsero le loro attenzio-ni alle caratteristiche chimiche del carbone nelle sue varie fasi diformazione (la lignite è una varietà del carbone), per scoprire se, difatto, potesse risultare ancora più micidiale.

Il dottor Agostino Torcello (capogruppo dell’opposizione DC aQuiliano e pneumologo) ebbe a dire, in uno dei suoi numerosi in-terventi sui giornali, che le nuove tecnologie erano certo in gradodi abbattere i danni relativi alle sostanze nocive immesse nell’at-

mosfera dalle indu-strie (e nel tempo lo

sarebbero state sempre più), solo che erano decisamente dispen-diose, soprattutto per un impianto come quello di Vado della po-tenza di circa 1300 Mw. Per quanto riguardava Vado infatti si de-nunciava l’assoluta mancanza di abbattitori per l’anidride solforo-sa (in assoluto la sostanza più pericolosa per la salute) e l’inade-guatezza dei filtri elettrostatici per il trattenimento del particolatoche non fermavano le particelle di diametro submicron (proprio lepiù pericolose); il carbone in combustione produce moltissimepolveri, a differenza dell’olio, e gli alveoli polmonari umani assor-bivano qualcosa come il 50%-80% di particelle tossiche e cance-rogene con diametro submicron (tra queste il piombo, l’antimo-nio, l’arsenico, il cadmio, il selenio, il mercurio, il cromo, il beril-lio, lo zinco, il nichel). Il problema della radioattività era reale perquanto concerneva i derivati dell’uranio e del torio, isotopi che laCommissione Tecnica per la sperimentazione a carbone non presemolto in considerazione. E poi con l’uso del carbone era rilasciatoalmeno il 24% in più di CO2 rispetto all’olio combustibile e siproducevano tonnellate di ceneri smaltite decisamente con pocacura per le conseguenze sull’ambiente. Tutte queste allarmanti, maveritiere, informazioni erano il frutto di almeno dieci anni di lotte(vane) della formazione territoriale locale della DC, che ribadivache per la realizzazione di impianti di natura economica che aves-sero trasformato radicalmente il territorio si sarebbe dovuto prece-

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ca un miliardo e seicento milioni e progettato dall’architetto, non-ché presidente del Vado FBC, Giovanni Ciarlo. Lo stadio venne lo-dato come il simbolo dell’architettura sportiva moderna, con cam-po da calcio e pista atletica di grande capacità.

Nel luglio 1979 apparve un articolo su “L’Unità” nel quale sidiscorreva dei terribili rischi inquinanti dell’uso del carbone nellecentrali elettriche, tra i quali la naturale emissione di radiazioni pa-ri a quelle di una centrale nucleare (ma più pericolose in quanto lestrutture non erano progettate per contenere il problema); ciò nonfece che terrorizzare ancor più i già esasperati cittadini di tutta lapiana di Vado-Quiliano e dei comuni limitrofi; nell’articolo si po-teva ancora leggere che le piogge acide conseguenti alla formazio-ne di NO2 procuravano la possibile moria di pesci nelle falde ac-quifere interessate dalle precipitazioni velenose e il danneggiamen-to di boschi e colture che dalle sorgenti inquinate ricavano sosten-tamento. Per i comunisti comunque la cosa non era certo una di-chiarazione su cui discutere: mica era sorretto da validi riscontriscientifici quel pezzo così scomodo e se poi un giornale notoria-mente rispettabile lasciava che i compilatori delle colonne si sbiz-zarrissero i personali considerazioni, facesse pure… la paura in-somma non doveva prender piede nella (in)salubre Vado.

E paura ce ne fu molta invece qualche mese dopo, quandouna delle piaghe ambientali profetizzate sulle pagine del quoti-diano di sinistra per eccellenza si materializzò sui litorali di Va-do e La Spezia (le due città interessate dalle principali centraliENEL della Liguria). Nella settimana che andò dal 15 al 22 ot-tobre 1979 una grande quantità di pesci morti misteriosamenteammorbò l’aria dei litorali, galleggiando, in lunghe scie e cor-posi raggruppamenti di sporcizia generale, sul placido mare di-rimpetto agli abitati, con una tale inquietante semplicità da po-ter essere facilmente avvistati da chiunque avesse voluto veder dipersona lo scempio del territorio che stava dando i suoi primi ri-sultati. Non fu l’unica strage di fauna marina del tempo, ma unatra tutte quelle che si possono ricordare, giusto perché oggi non

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si dica che prove di avvelenamento delle acque non ce ne sono.Ciononostante lo stesso ministro Donat-Cattin11 in quel pe-

riodo aveva sollecitato l’ENEL a passare dalla nafta al carbone inmodo da risparmiare almeno ventisette miliardi l’anno.

Le prime pagine delle sezioni locali dei quotidiani continuaro-no a parlare della questione ostentando titoli provocatori e inquie-tantissimi. E Torcello12 presentò i dati relativi a studi scientifici ef-fettuati in USA, UK e Svezia dalla “U.S. Elettrical Poweer Associa-tion” su centrali da 1000 Mw (un po’più piccole cioè di quella diVado). La ricerca dimostrava che le centrali emettevano il radio226, sostanza più tossica del famigerato plutonio. La DC denunciò

11 Donat-Cattin, ministro del governo DC Moro, presentò il docu-mento del “programma energetico nazionale” il 31 luglio 1975, per il de-cennio 1976-1985. Fu subito bersaglio di polemiche; anzitutto si pro-spettava una crescita delle richieste del 5-6% (come tra 1963 e 1973, cioèin fase post boom economico) decisamente poco probabile e in secondoluogo era evidente che si trattava in sostanza di un programma per l’ener-gia elettrica-nucleare: l’energia solare era trattata in una pagina e mezza dibanalità, lo stesso valeva per l’energia geotermica (si prospettava uno svi-luppo del gas) e per il petrolio, mentre erano sostanzialmente ignorate lepotenzialità dell’energia idrica. Quello che venne subito definito un pro-gramma “faraonico” tuttavia prevedeva entro il 1985 la costruzione di 20centrali nucleari da 1000 Mw l’una. Dopo poco il governo crollò e si tor-nò alle urne. Era evidente che mancava una efficiente politica energetica;ma l’anno precedente l’allora ministro della Ricerca aveva proposto unaformula non da poco: risparmio energetico, sfruttamento della geotermi-ca, del solare e del potenziale gassoso della spazzatura. Ma poi, crollato an-che quel Governo, tutte le prospettive finirono nel cestino.

12 Torcello inviò anche una dettagliata lettera all’allora Presidente del-l’Enel Ammassari, ai ministri dell’Industria Nicolazzi e della Sanità An-selmi in cui si enunciavano dettagliatamente i gravissimi rischi di una cen-trale a carbone in pieno centro abitato ed in particolare la radioattivitàcontenuta nei fumi emessi nell’aria con le ciminiere superiore persino aqualla prodotta da una centrale nucleare di potenza equivalente (le affer-mazioni del medico si basavano soprattutto sugli studi di W. Kolb).

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Perché si scelse proprio Genova? Perché la Liguria aveva bentre centrali di una certa importanza (oltre a Vado, lo ripeto an-cora, La Spezia e Genova) che solo nel ’79 avevano bruciatoben il 45% del carbone utilizzato dall’Enel in Italia, circa1.700.000 tonnellate. Ormai erano state prese scelte a livellonazionale: tutte le centrali liguri sarebbero state convertite acarbone entro due anni, facendo così aumentare a 2.300.000tonnellate la quantità di fossile impiegato. Entro breve si sa-rebbero dovute costruire altre due centrali almeno nella Pia-nura Padana che avrebbero usufruito, per l’alimentazione, deiporti liguri dai quali sarebbe stata convogliata al Nord la pre-ziosa materia nera.

Non decollando affatto l’energia nucleare – l’unica energia cheavrebbe potuto rimpiazzare il carbone – e non riscontrando be-nefici dalla poco organizzata rete di pannelli fotovoltaici e da quel-la industriale derivante dai siti geotermici italiani, l’Enel aveva di-chiarato che l’unica sicura fonte di energia per la Penisola era co-stituita dal carbone. Genova, La Spezia, Vado Ligure, Fusina,Monfalcone, Marghera e Sulcis erano pronte a convertirsi total-mente al carbone; per coprire la richiesta nazionale ,tre centrali sa-rebbero dovute sorgere in Calabria, Puglia, Abruzzo, Toscana, Pie-monte e Lombardia. Gli anni Ottanta sarebbero stati il decenniodel carbone. In questo senso Vado era all’avanguardia… avrebbepotuto festeggiare spegnendo, alla fine della decade – poniamonel 1990 – una bella ventina di candeline su di una torre di ne-rissima lignite, tante quanti erano stati gli anni baciati dalla NeraSignora (è proprio il caso di dirlo…). Non bisogna dimenticareche fino a non molti anni prima, negli impianti di questo genereerano stati prediletti i derivati dal petrolio, perché poco costosi e,comunque, anche meno inquinanti; purtroppo, in seguito ai gra-vi scontri che infervoravano da tempo in Medio Oriente, parvepiù saggia decisione optare per altre risorse.

Tutti avevano ben presenti le problematiche ambientali deri-vanti dalla combustione del carbone; ma queste si sarebbero po-

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pubblicamente il silenzio delle amministrazioni locali sulla que-stione ENEL e richiedeva controlli sugli impianti, come quelli chesi effettuavano nelle centrali nucleari vere e proprie (la quantità diradio prodotta da una caldaia a carbone poteva essere più dellaquantità di torio prodotta da un reattore nucleare); si interpellò an-che una Commissione Tecnica nominata dagli enti locali a capodella quale era il dott. Boffa che si lasciò scappare una considera-zione personale che la dice lunga su ciò che in certi ambienti d’éli-te è risaputo e invece nell’altro mondo dei “comuni mortali” vieneabitualmente sottaciuto. Boffa disse che, per quanto riguardava luie la sua famiglia, avrebbe preferito abitare vicino ad una centralenucleare che ad una a carbone. Le parole di un uomo che volevasolo dire la sua? Probabilissimo… ma secondo un’indagine statisti-ca patrocinata sempre dalla DC, l’ENEL di Vado avrebbe prodottoalmeno due morti all’anno da lì in poi. E pensare che Vado nonaveva solo il problemone dell’ENEL, ma pure quello delle altre in-dustrie ad alto tasso di emissioni nocive quali Vitrofil, Fornicoke,Esso Chimica, ecc. Tra Spotorno e Savona erano disseminate unadecina di centraline di controllo dell’inquinamento atmosferico.

I due comuni parvero almeno riconoscere la pericolosità delleceneri prodotte dalla combustione e che si accumulavano negli spa-zi sotto le ciminiere in attesa di un possibile utilizzo nell’edilizia co-sì come nell’agricoltura. Infatti si schierarono, con la Provincia, leaziende di soggiorno e le associazioni di categoria, contro le prete-

se dell’Enel di scaricarein mare quei residui didubbia pericolosità; ma,non appena la cosa nonfece più notizia, di que-

gli oscuri progetti, di discariche speciali non si sentì più parlare.Il 7 marzo 1980, a Villa Spinola di Genova, si tenne la

“Giornata di informazione dedicata ai problemi connessi col fun-zionamento a carbone delle centrali termoelettriche tradizionali”,organizzata da Regione Liguria con la collaborazione dell’Enel.

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dell’opera anche i gruppi contrari alle proposte della maggioranza,unificando tutti i dissidi con una bella indicazione in stampa chedava a intendere che tutta l’amministrazione avrebbe desideratoche si pubblicasse. Questo sebbene da più di un mese “Italia No-stra”, le sezioni e i consiglieri DC di Vado e Quiliano, i radicali e leorganizzazioni politiche di estrema sinistra andavano sostenendo,con manifesti e volantini distribuiti capillarmente, che gli enti lo-cali avevano disinformato l’opinione pubblica sullo stato dell’in-quinamento fornendo dati non veri sulla sperimentazione a carbo-ne13. Il presidente di “Italia Nostra”, la professoressa Brunella Re-bella, disse in quell’occasione: “[l’opuscolo] non risponde alla real-tà dei fatti e distorce le problematiche affrontate dall’inchiesta”. Si de-siderava una conoscenza in dettaglio di tutti i rilevamenti compiu-ti sui fumi Enel e non una media approssimativa dei fatti. I valoridell’anidride solforosa (ad esempio) sarebbero stati talmente alti daaver superato più volte le già permissive leggi italiane sull’argo-mento. Sempre “Italia Nostra” sostenne per esempio che tra il no-vembre 1979 e il settembre 1980 ben tredici volte l’anidride supe-rò il limite consentito di concentrazione (fissato dalla legge 615 edalla convenzione Comuni-Enel a 0.30 p.p.m.) raggiungendo

13 Il 14 e 15 maggio su “la Stampa” anche il dott. Torcello denunciònel periodo della “sperimentazione a carbone” dal 21/2/1979 al 30/9/1980i numerosi esuberi dei limiti di legge per l’SO2. Le centraline di control-lo della rete ENEL avevano registrato ben 740 volte valori di SO2 compresitra 0.10 e 0.20 ppm e 16 volte valori compresi tra 0.31 e 0.92 ppm quan-do il limite di legge da non superare era di 0.15 ppm. Superando i limitidi legge la sperimentazione a carbone doveva dunque già allora dichiarar-si fallita, ma prosegue ancora oggi (2011!) dopo tanti anni illegalmente.Intanto i politici locali e nazionali DS ex PCI proponevano di aumentarela potenza della centrale a carbone da 1280 Mw a circa 2000 Mw con 2nuovi gruppi. Fadda e Torcello tengono a precisare – ma credo che il let-tore se ne accorgerà comunque finito di leggere il libro – che coloro cheacconsentivano alle infinite “sperimentazioni a carbone” “governavano allo-ra come oggi le Amministrazioni locali e l’ENEL”.

tute “facilmente” arginare con il comune impegno di Regione,Comuni e Stato. Una cosa da nulla.

Provocatoriamente il presidente dell’amministrazione provin-ciale Domenico Abrate (DC) affermò, nel dicembre del 1981, cheera necessario mettere da parte gli scontri ideologici-politici: era oradi agire! Visto che l’ENEL trovava conveniente usare carbone inve-ce di nafta in quanto si risparmiavano parecchi miliardi l’anno,l’unica cosa da fare sarebbe stato costruire villaggi satellite dove tra-sferire i cittadini residenti nei quartieri più direttamente interessatidall’inquinamento (“la soluzione più economica, più umana e più ci-vile”). Ma Abrate si illudeva che esistessero ancora “zone salubri, noncontaminate” nel raggio di pochi chilometri; però non c’è da stu-pirsi più di tanto, in quanto Abrate si era già occupato con ottimi-smo della “questione Vado” quando, assieme ai sindaci di Vado eQuiliano, aveva firmato l’opuscolo “Conoscere per decidere” riguar-do alla combustione a carbone della centrale vadese. “Conoscere perdecidere” aveva suscitato molte polemiche nei mesi di bella stagio-ne del 1981. Il libello informativo per la popolazione sintetizzava idati dei controlli sui fumi e gli scarichi Enel; fin da subito iniziaro-no a girare voci tra membri dei diversi schieramenti di minoranza,che riferivano sostanzialmente che erano state pubblicate delle ma-dornali falsità e che le amministrazioni, alleate con i magnati delsettore, s’erano decise a prendere la gente per i fondelli con lo sco-po di diffondere rassicuranti dati sulla questione della centrale.

Nel giugno dell’81 il sindaco Ricino dovette affrontare le ac-cuse rivolte dagli esponenti DC e ambientalisti; affermò: “Si è

creato un polverone per alcuni errori chenon modificano il nostro giudizio positi-vo sulla sperimentazione del carbone”.

Ciò che più scaldò le minoranze ful’iniziativa del tutto libera che vennepresa al momento della stampa del-l’opuscolo da parte dell’amministrazio-ne civica: includere tra i patrocinatori

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giore si allarmarono quando seppero che un anno prima il Comu-ne aveva dato l’ok all’arrivo di ceneri da Vado su richiesta di unafamiglia di agricoltori. Molti altri camion arrivarono a Cavaller-maggiore in occasione della costruzione di cento metri di una stra-da nuova, poi ricoperta di terreno, e per riempimenti di vari ca-pannoni. L’esponente locale di “Italia Nostra” ebbe a dire: “A noihanno sempre detto che erano gli scarti di lavorazione di uno stabili-mento industriale di Torino”. (E pensare che le ceneri preoccuparo-no la Riviera da tempo; a Niella Tanaro le consegne vennero subi-to interrotte non appena si seppe che genere di carico fosse). Il Co-mune, prima di dare il via libera, attese il responso delle analisi chi-miche sul materiale; appena arrivarono documentazioni dell’asses-sorato regionale dell’Ambiente sulla presunta radioattività delle ce-neri (ricordiamo che Torcello disse che “le ceneri di carbone conten-gono una certa quantità di radioattività”) sospesero subito il tutto.Anche da Torino arrivarono raccomandazioni precise di stare at-tenti perché gli scarti potevano essere “potenzialmente inquinanti”soprattutto se a contatto con l’acqua; ed era proprio questa la pau-ra più grande per i residenti. E dopo l’intervento della Regione, lastrada di 100 metri venne ricoperta da uno strato di calcestruzzoper paura che la pioggia raggiungesse le ceneri. A chi poi chiese conrabbia per quale ragione le scorie vadesi fossero arrivate fino in bas-so Piemonte, venne chiaramente risposto che in realtà le famoseceneri non costavano nulla e anzi l’ENEL era contento se arrivava-no delle richieste per smaltirla… e poi erano utilissime per il riem-pimento dei basamenti dei capannoni.

Si disse ancora che lungo la provinciale per Sommariva c’eraun deposito di grandi dimensioni che si credeva di materialiinerti, rimasti a cielo aperto per molto tempo per lavori di riem-pimento; alla fine si seppe che erano le ceneri di Vado. E la pre-occupazione indignò moltissimi valligiani.

Nel maggio 1984 Francesco Accordino, segretario DC, tornòsulla questione dell’inquinamento che sarebbe stato arginabile dal-l’Ente energetico nazionale. Accordino pensava ad un’industria sa-

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punte del 0.92 (e sempre nel medesimo periodo per settantasettevolte i valori di concentrazione erano stati compresi tra 0.20 e 0.30p.p.m.); e ancora altri 740 rilevamenti non sarebbero stati confor-mi alle disposizioni di legge e, sebbene nella fascia tollerata, con va-lori compresi sempre tra 0.10 e 0.20 (cosa per nulla tranquilliz-zante). L’attacco più duro si ebbe nel momento in cui si accusò di-rettamente l’ENEL di aver controllato i rilevamenti e di averli con-seguentemente contraffatti; tutto ciò che era stato scritto a propo-sito lo si doveva considerare una spavalda falsità. Si chiese così unriesame dei dati forniti dall’ENEL da parte di un ente esterno, vistoche per gli enti locali l’anidride solforosa sarebbe stata sì presentema molto al di sotto della legge, non avendo mai superato le 0.04parti per milioni di parti (come se fossero 0.04 grammi su un mi-lione di grammi).

Torcello, nella lettera critica di due pagine che inviò ad Abrate,definì l’opuscolo “vergognoso per le mistificazioni contenute e, quin-di, per la violenza che compie alla buona fede dei lettori”; e i valori

desunti dai rilevamentisarebbero stati “più chedoppi rispetto a quelli ri-feriti nella pubblicazione”

e maggiori dei valori massimi ammessi dalle nazioni straniere. Tut-ta la parte di rilevamento sarebbe stata gestita direttamente dal-l’ENEL senza controlli. Ma anche fossero stati giusti i dati, non sa-rebbe stata comunque una buona cosa. Chiese infine di ritirarel’opuscolo “evitando di proseguire l’opera di disinformazione e misti-ficazione intrapresa”.

Nel 1982 nelle acque circostanti la discarica abusiva di ceneriENEL a Bastia d’Albenga, di cui era stata ordinata la rimozione perscongiurare altri problemi, vennero trovate tracce di cromo e va-nadio (elementi chimici tossici). Non avrebbero però seriamenteinquinato gli equilibri ecologici. Le bolle di accompagnamento deimezzi che portavano nel sito gli scarti di combustione indicavanocome destinazione Cavallermaggiore; e i cittadini di Cavallermag-

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queste posizioni la DC si era definitivamente alleata alle opposizio-ni minoritarie di Vado e Quiliano, che sostenevano la causa da unpo’ (la DC avrebbe voluto indagare ancora sulla questione Termi-nal, ma il rovescio della medaglia – crisi della Fornicocke e delle Fu-nivie – non piaceva molto).

Venerdì 25 maggio 1984 al Cinema Teatro Ambra di Vadosi tenne una conferenza (sponsorizzata dall’amministrazioneprovinciale e da Vado-Quiliano) alla quale parteciparono co-me relatori il dirigente del settore produzione e trasmissionedel compartimento ENEL di Torino, il direttore del centro ri-cerche ENEL di Pisa e il dirigente del settore produzione e tra-smissione ENEL di Roma (il dibattito era regolato dal presi-dente della Provincia affiancato da Picasso e Ricino); il lorocompito era mostrare come l’ENEL fosse interessata a fermarele emissioni solide e gassose nell’atmosfera della centrale diVado e parlare dell’ipotizzato ampliamento con altri duegruppi da 320 Mw. Tentarono quanto fu possibile di rimane-re sui temi prefissati… ma il numeroso e molto interessatopubblico tese a parlare delle conseguenze sociali e ambientalidi tali impianti.

Si affermò che con la scomparsa dell’olio combustibile el’entrata in gioco del carbone si sarebbero risparmiati ben tremiliardi al giorno (con una potenza totale di 3435 Mw). Ilpicco di consumo storico del carbone era stato il 1982, concirca un milione e ottocentoquarantamila tonnellate bruciate;i gruppi di Vado potevano produrre otto miliardi di kilowattall’ora annui (che avrebbero assicurato l’energia a ben due mi-lioni e novecentomila persone). Si cercò di illustrare in modochiaro e semplice i risultati del “Centro ricerche termiche enucleari” di Pisa sui controlli nelle centrali per quanto riguar-dava i processi di combustione; ci si occupò soprattutto del-l’indagine sull’anidride solforosa, sugli ossidi di azoto, sullepolveri e su tutti gli altri microinquinanti.

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vonese tecnologicamente avanzata ma pulita, soprattutto per il be-ne dei cittadini e di tutta la popolazione locale per i restanti tren-t’anni; popolazione poi che si sarebbe dovuta “farla decidere del pro-prio futuro”. Per Accordino era inverosimile che l’ENEL potessespendere tanti soldi per un investimento puramente ecologico conattrezzature anti inquinamento all’avanguardia. E poi mise in dub-bio lo sviluppo dell’occupazione tanto agognato; la Fornicocke in-fatti sarebbe diventata esclusivamente zona di stoccaggio per il car-bone e l’ENEL, dal punto di vista imprenditoriale, avrebbe dovutogestire in proprio il terminal con la conseguente crisi delle funivie.I riflessi occupazionali che la costruzione del 5° e 6° gruppo avreb-be portato nel savonese sarebbero stati scarsi e poco attendibili dal-le stime effettuate dagli esperti; si favoleggiava su almeno 2000 oc-cupati nel cantiere di lavoro, 300 addetti in centrale e almeno altricento per manutenzioni esterne ma tutta quella manodopera sa-rebbe arrivata verosimilmente dall’estero. A costruzione avvenutapoi erano ipotizzate ripercussioni gravissime (da crisi praticamente)per almeno un trentennio nel comparto turistico e terziario, da Fi-

nale a Varazze.Accordino, a nome di

tutta la frangia DC della pro-vincia, propose ai comuniinteressati di dire no al-l’ENEL e di indire un refe-rendum “non consultivo, madecisionale” sulla realizzazio-ne dei due nuovi gruppi a320 Mw a carbone e chieseche si unissero a loro altreforze politiche e sociali per

quella battaglia. La questione del referendum interessò molti; in ef-fetti qualcosa come un referendum popolare era già stato propostoa Vado nel lontano 1975, in un dibattito pubblico, dal responsabi-le nazionale comunista per la Sanità, Giovanni Berlinguer. Con

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Quella sera di maggio non si parlò tanto delle piogge acide edi altri fenomeni atmosferici tipici della bella rada rivierasca co-me sollecitavano i presenti, quanto di quello che l’ENEL stava fa-cendo per limitare al massimo le emissioni.

Ed ecco che si iniziò ad elencare un gran numero di tecnichesperimentali brevettate a Pisa e Livorno, come le caldaie “a lettofluido” che sarebbero presto passate ad una fase di pre-commer-cializzazione (per dimezzare l’anidride solforosa nelle emissioni),il perfezionamento dei filtri elettrostatici (che avrebbero tratte-nuto il 99% delle particelle nocive) e l’adozione di filtri “a ma-nica” più efficaci (99,9% di rendimento) ma più costosi.

Si ribadì che l’ENEL faceva da anni ricerca in proprio e che siteneva aggiornata su quanto si veniva a scoprire sul problemadell’inquinamento a livello mondiale e poi si passò a parlare del-l’impatto industriale di certi inquinanti quali: gli idrocarburipoliciclici aromatici (che nell’ordine di un miliardesimo digrammo al metro cubo non avrebbero effetti sulla salute), i me-talli pesanti (con valori di concentrazione inferiori ai livelli tipi-ci delle aree urbane) e le famigerate piogge acide (che incidereb-

Nitriti e nitrati: si formano in seguito agli ossidi di azoto prodotti dalla combustione e comportano l’insorgenza di tumori dell’apparato digerente, fegato, reni e sistema nervoso centrale.

Radionuclidi: tristemente famosi nel secolo dell’atomo, sono notoriamente cancerogeni; producono osteosarcomi, leucemie (Uranio e Radio) e carcinomi polmonari (gas Radon).

SOSTANZE PROBABILMENTE CANCEROGENE

Zinco, cadmio, mercurio, piombo, selenio.

In quell’occasione si disse: “Tra le emissioni possiamo trova-re, in tracce, l’intera tavola di Mendeleev”.14

“… l’intera tavola di Mendeleev”.Tanto per aver chiaro a che cosa ci si riferisse credo sia utile

stilare l’elenco di tutte quelle sostanze inquinanti che allora de-stavano preoccupazione tra dottori e scienziati:

14 Nel 1983 l’eminente oncologo Prof. Caludio Pagliara, sulla rivistamensile “Italia Nostra” di Ottobre, pubblicò un importante articolo“Centrali e tumori” in cui sono evidenziati gli effetti cancerogeni sulla po-polazione esposta di molte sostanze emesse in atmosfera dalla combustio-ne del carbone.

SOSTANZE SICURAMENTE CANCEROGENE

Sostanza Effetto sulla salute

Cromo: tumori polmonari, alla laringe e alle mucose nasali.

Nickel: caratteristiche simili al cromo.quali tumori polmonari e alle mucose nasali

Arsenico: altamente cancerogeno può causare tumore allapelle (se l’assorbimento avviene per via cutanea) e/o all’apparato digerente (se assorbito nel sistema digerente). Rischio di danni all’embrione se avviene un attraversamento della sostanza dalla madre contaminata alla placenta.

Berillio: tumori polmonari.

Idrocarburi policiclici aromatici: non presenti nel carbone ma prodotti durante la combustionepossono provocare tumori alla cute, ai polmoni, alla laringe e pare anche all’esofagoe alla vescica.

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1976 al 1981 sarebbero aumentati infatti da 734 a 873, ben-ché in cinque anni la popolazione fosse diminuita di più di4000 abitanti.

Su “La Stampa” del 27 maggio 1984 apparve un bell’artico-lo di Ivo Pastorino nel quale il giornalista scriveva:

“È chiaro che non sono i dibattiti pubblici, le tavole rotonde,le sedi più opportune per affrontare problemi di questa dimen-sione. Le scelte per il comprensorio devono passare attraverso sericonfronti tra gli enti locali e l’Enel, confronti sostenuti da una ri-gorosa documentazione scientifica, capace di garantire l’assenzadi rischi gravi per la salute e l’ambiente. Perché gli aspetti del-l’occupazione e dei miliardi di contributo sono decisamente se-condari”.

E aggiunse che un referendum sarebbe stata un’ottima idea,ma sarebbe stato efficace solo quando gli abitanti del compren-sorio di Savona avessero avuto una effettiva capacità di giudica-re cosa fosse bene e cosa fosse male su dati di fatto (come con-fronti tra i diversi rapporti tecnici e scientifici, tra la situazioneambientale reale di oggi e quella immaginabile di domani…). Seun referendum si fosse svolto allora effettivamente la gente sucosa avrebbe plasmato la propria opinione? Secondo quale cri-terio oggettivo avrebbe definito buona o cattiva soluzione l’am-pliamento previsto? E poi: visto che una centrale elettrica ormaic’era a Vado e non si poteva proprio demolire in quattro e quat-tr’otto, doveva essere ben chiaro che non ci si stava scagliandocontro la centrale in sé e per sé, ma contro l’inquinamento del-la centrale che avrebbe potuto essere alimentata con altre mate-rie prime.

Il 5 luglio 1984 venne fuori che secondo la CTA (Commis-sione Tecnica Ambientale ligure) le polveri erano superiori ai li-miti di legge così come l’anidride solforosa; si sarebbero potuti

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bero meno di altri fattori e potevano essere concausa di qualcheinconveniente).

Contestazioni ci furono da parte di radicali, democristiani,repubblicani ed ecologisti per quanto riguardava l’ampliamentodella centrale; pare però che la cosa fosse degenerata in una sor-ta di propaganda elettorale: i radicali consigliarono di “Votareradicale il 17 giugno” per evitare sospetti di strumentalizzazioneda parte della DC che rivendicava, come i radicali, il primato delNO alla centrale.

Ma vennero a galla anche diverse questioni:1) Perché l’Italia non recepiva totalmente le “raccomanda-

zioni” della Cee sulle normative antinquinamento? (il capo-gruppo DC di Vado, Veirana, azzardò a dire: “È forse perchél’ENEL ci ha messo lo zampino?”);

2) Perché non vengono forniti dati aggiornati sul funziona-mento della centrale (efficienza dei filtri, andamento nel tempodelle emissioni…) e sull’impatto ambientale (come indagini sul-la morbilità, sullo stato del territorio…)?

Ricino a proposito disse che in breve sarebbe stata disponi-bile una serie di dati raccolti in cinque anni dall’Usl. Giacobbe(capogruppo del PCI di Vado) invitò a discutere sulla questionee a chiedere il massimo di garanzia. Il consigliere di fabbrica dis-se che non si potevano più rinviare i tempi di una verifica ap-profondita e una modifica degli impianti, funzionanti ormai datredici-quattordici anni.

Torcello disse ancora: “Qualcuno dovrebbe andarsi a guar-dare i risultati di uno studio del ricercatore tedesco W. Kolb;l’esposizione radioattiva sull’uomo provocata da una modernacentrale a carbone di 300 Mw è pari a 19 millirem all’anno; va-le a dire 80 millirem sono un impianto come quello di Vado, sen-za tener conto che a causa dell’inefficienza dei filtri questo livel-lo deve ritenersi superato e di gran lunga. Poi magari andiamo avedere le statistiche e scopriamo che i decessi per tumore, nel girodi cinque anni, sono sensibilmente aumentati”. I tumori dal

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Il segretario del PRI savonese affermò che inizialmente (ne-gli anni Settanta) si era stati favorevoli all’ampliamento per-ché i candidati di un tempo credevano non ci sarebbe stato al-cun impatto ambientale. La professoressa Angela Poggi (mem-bro del direttivo) disse anche che per quanto riguardava il riflessooccupazionale non c’era da farsi troppe speranze: l’ENEL stesso ave-va dichiarato che gli addetti ai cantieri sarebbero arrivati da fuoriSavona e gli occupanti non sarebbero stati più di trecento.

15 Per “caso Teardo” si intende lo scandalo che scosse la Liguria il 14giugno 1983, giorno in cui venne arrestato il Presidente della Regione edaltri suoi collaboratori per quanto riguardava alcune storie di tangenti (eper questo condannati). Oltre a Teardo, in zona, venne condannato il Pre-sidente della Provincia di Savona Abrate. Il “caso Teardo” ebbe vastissimaeco sui media nazionali ed anticipò quel periodo della storia d’Italia den-so di scandali e misteri dalle tinte fosche (come il caso della loggia mas-sonica P2) posteriore agli “anni di piombo”.

“Non so se il gioco vale la candela”affermò “se è il caso di disastrare ulte-riormente un’area già pesantementecolpita sul piano ecologico dalla pre-senza di una grossa fetta delle indu-strie savonesi”. I risultati della CTA Regionale e le parole di Tor-cello dovevano far riflettere sull’insufficienza protettiva dei filtriin uso a Vado. Si poteva invece ancora discutere sul polo carbo-ne e sul Terminal (che doveva essere però una struttura poliva-lente). E se poi si doveva proprio fare un referendum, che lo fa-cessero solo i vadesi e i quilianesi che tanto sarebbe finito tuttocomunque in uno scontro tra partiti.

Un fatto ancor più grave iniziò, a questo punto, a riaccen-dere le mai completamente sopite polemiche riguardanti letrattative segrete tra ENEL e mondo politico ligure. Da alcu-ne indagini emersero documenti che dimostravano possibileun collegamento tra l’inchiesta Teardo15 e le speculazioni lu-

abbattere in gran parte i rischi se i precipitatori elettrostatici nonfossero stati insufficienti.

Il 12 luglio 1984, la rappresentanza radicale della Camerachiese ai vari ministri competenti (Trasporto ed Energia) di sa-pere “come mai, alla luce dei risultati dell’indagine svolta dallacommissione tecnica ambientale ligure, la sperimentazione non siastata sospesa”. Si chiese poi perché la cosa non avesse assunto lecaratteristiche dell’urgenza, rimanendo invece ferma negli ufficidi Vado e Quiliano senza essere portata ad approvazione e sot-toposta a discussione di consigli comunali e provinciali.

Ancora il 18 luglio il “Movimento di Opinione di Difesa del-l’Ambiente di Valleggia” denunciò che la sperimentazione erafallita e i dati della Cta erano rimasti nascosti e sconosciuti men-tre i sindaci continuavano a fornire “notizie tranquillizzanti sul-la situazione ambientale”.

Ma l’inquinamento continuò… Radicali e associazioni am-bientali inviarono un esposto al Prefetto, al Pretore e al Procu-ratore denunciando “il continuo inquinamento provocato dallacentrale e la mancata pubblicazione di dati inviati dalla Regioneai sindaci”. La sperimentazione a carbone in centrale non vennesospesa dopo le indicazioni della Cta ligure e prima che la rela-zione divenisse pubblica passarono ben quattro mesi (era infattistato redatto dalla Regione il 21 marzo 1984), cioè si dovetteaspettare l’importante discussione del consiglio comunale del 27luglio 1984. In quell’occasione si affrontò ancora il problemadelle posizioni e delle iniziative da assumere nella trattativa conl’ENEL.

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crose riguardanti gli impianti di Vado-Quiliano. I giudici mi-sero le mani su una cartella nella quale erano evidenti pro-getti di speculazione sulla realizzazione del consorzio e deltrasporto e lo stoccaggio del carbone a Vado.

Il tutto era scritto in inglese, con in più una parte di cor-rispondenza tra l’Italia ed il Sud Africa e la locale associazio-ne di ingegneri. Durante il sequestro (che venne eseguito po-co dopo il blitz del 14 giugno 1983 nello studio di un archi-tetto) venne ritrovato anche un telex intestato Atex-Italia (lasocietà di import-export inquisita in avvio di indagine), in-viato in Sud Africa con riferimento al progetto di Vado, aisuoi possibili sviluppi e al nome di Alberto Teardo.

Nel settembre 1984 anche Democrazia Proletaria si schie-rò contro le iniziative dell’ENEL: il reale grado di inquina-mento del territorio era sconosciuto, i rilevamenti delle cen-traline poste nei pressi dell’impianto sarebbero stati inatten-dibili e comunque l’inquinamento aveva sicuramente unosviluppo oltre la dislocazione delle centraline di rilevamento.

Si desiderava che i dati raccolti venissero trasmessi al-l’ENEL, ad un centro apposito istituito presso il Comune diVado (da farsi), alla prefettura, all’Usl. Soprattutto il control-lo agli elettrofiltri delle ciminiere non potevano essere effet-tuati solo dall’ENEL.

Il terminal carbonifero, che avrebbe trasformato “la nostracosta in una nuova Liverpool, nera di carbone”, sarebbe statol’emblema della distruzione per il litorale. “Non si può giusti-ficare il progetto coi problemi occupazionali, tenuto conto chedarà lavoro a non più di duecento persone” si disse.

Nell’ottobre 1984 ci furono diverse lamentele alla foce delMagra a causa della centrale di La Spezia.

Ai primi di dicembre del 1984, “Italia Nostra”, ecologistidel MODA, partito radicale ed altre associazioni per la difesadell’ambiente mandarono un esposto alla magistratura perdenunciare la presenza di una discarica abusiva dove veniva-

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no seppellite le ceneri della centrale nei pressi del pontileENEL, sulla spiaggia (innanzi ai bagni “Au scoeggiu”16). La co-sa non si era ripetuta perché alcuni membri delle associazio-

ni si opposero sul posto e le ruspe e gli autocarri non si fece-ro vedere all’opera. Gli enti che si sarebbero dovuti dedicarealla cosa in realtà non facevano controlli adeguati, stando aimovimenti di difesa ambientale. Disse Brunella Rebella: “Èdimostrato l’assoluto disprezzo dell’Enel per quanto riguarda latutela ambientale e sanitaria”.

E ancora: “L’Enel non può rifugiarsi dietro le solite giustifi-cazioni, di ignorare cioè la destinazione delle scorie, a meno chenon sia in grado di dimostrare, con prove, di essere stata ingan-nata dalla cooperativa che ha vinto l’appalto del trasporto delleceneri”.

Ma chi erano i più esposti alle emmissioni di Vado? Quanti, insomma, vivevano sotto la cappa velenosa del

“fungo” e quanti potevano avere conseguenze dalle ricaduteatmosferiche?

Torcello a proposito arrischiò a tracciare, nel marzo 1985,un bilancio basandosi al solito su dati effettivi: “Nel bacino in-teressato dai nuovi impianti” disse “che ha una popolazione di

16 Il reato, poi, rientrò in amnistia. L’Istituto Enrico Fermi di Milanoaccertò che le ceneri in questione non erano radioattive; ma gli ecologistidissero che il mare aveva già abbondantemente “lavato” il potenziale in-quinante.

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Il fungo delle ricadute arriva ovunqueI primi esposti contro le ceneri portate fuori dall’ENEL inco-

minciarono ad essere presentati nel 1981 ad opera di “Italia No-stra” che si rivolse alla magistratura come nel marzo 1984. Stes-sa cosa fecero nel luglio e nel novembre 1984 l’associazione ra-dicale savonese di via Milano e il MODA. Nell’agosto 1985 MO-DA, radicali e “Italia Nostra” si rivolsero nuovamente alla pro-cura della Repubblica e al Pretore.

Ci si poneva una domanda ben precisa: dove diamine andava-no a finire le decine di autocarri che quotidianamente uscivanodalla centrale cariche di cenere? Si diceva che qualcuno di quei ca-mion fosse autorizzato a raggiungere il basso Piemonte dalla Pro-vincia di Alessandria. Ma visto che in passato erano state scoper-te varie discariche abusive nei torrenti Centa, Vara e Magra (perla centrale di La Spezia) e sul litorale di Vado si iniziò ad indaga-re. E le indagini “private” di molti comuni cittadini fecero faremarcia indietro a molte amministrazioni che avrebbero potuto ac-cogliere le scorie poco sicure. E per conoscere una delle più asprevicende in proposito bisogna risalire fino alla Val Bormida deltempo, la Val Bormida della metà degli anni Ottanta.

“La Valle Bormida non vuole e non deve essere trasformata nel-la pattumiera della Liguria”. A dirlo fu un candidato alle elezio-ni regionali nella lista dei Verdi, che capeggiò l’iniziativa di rac-cogliere delle firme (all’inizio di aprile dell’´85 erano quasi sei-cento su 2000 abitanti) per far presente a chi ne aveva la com-petenza che i cittadini di Cairo non ci stavano ad ospitare unadiscarica con le ceneri vadesi. “Le ceneri dell’Enel inquinano, èfuori di dubbio”. Che cos’era successo?

120 mila abitanti, la popolazione è calata, ma sono aumentati itumori”. I paesi a rischio maggiore erano Vado, Quiliano, leAlbissole, Savona e l’immediato entroterra. “Italia Nostra” af-fermò: “Nessuno può dire fin dove arrivino i residui di lavora-zione, cioè le cadute di ceneri”. E inviarono un esposto-denun-cia nel quale si soffermavano sulla questione dell’anidride sol-forosa e delle particelle in sospensione concentrate per piùgiorni nell’atmosfera e che provocarono diversi disturbi respi-ratori ad anziani e bambini nei giorni precedenti la stesuradell’esposto. “Non ci è mai stato consentito l’accesso ai dati ori-ginali delle analisi”, si ribadì.

L’ENEL affermò sempre che erano in funzione filtri e depuri-ficatori; Rebella invece sostenne che “Come misura di sicurezza,l’Enel alza le ciminiere: non per questo evidentemente anidride sol-forosa e polveri di carbone vengono eliminate. Anzi, si allarga l’areadi contaminazione”.

“Italia Nostra” elencò ancora gli elementi inquinanti: anidri-de solforosa, ossidi di azoto, ossidi di carbonio, ozono, senzacontare che polveri “e nuvole si alzerebbero dallo stoccaggio delcarbone che è previsto a cielo aperto”. Si pretese una revisione deigruppi in funzione, l’adeguamento di essi alle moderne tecni-che, un’indagine epidemiologica sul bacino interessato e l’acces-so ai dati dei precedenti rilevamenti.

A Valleggia in quelle ore si era suggerito di intervenire pres-so il ministro Alfredo Biondi; (però “Il ministro dell’Ambientenon si è ancora ambientato” replicò qualcuno scherzosamente).

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“buona”. E non solo per l’ENEL visto che Ricino disse a propo-sito: “L’ambiente è compatibile come abbiamo dimostrato con i da-ti e i rilevamenti operati con le centraline di controllo e le analisidell’Usl. Ci sono alcuni aspetti da migliorare ma la situazione at-tuale è compatibile”.

Copia dello studio venne consegnata anche a Lega Ambien-te, ma non a tutti i consiglieri comunali che erano in polemicacon la maggioranza…

Comunque sia, l’ENEL non faceva cenno alla costruzione oall’installamento di impianti di desolforazione per l’abbattimen-to delle emissioni di SO2 che lo stesso Ricino confermava “pre-senti e rilevate soprattutto nel periodo invernale” ma “in parte do-vute alle emissioni dei riscaldamenti civili. In atmosfera sappiamoche ci sono, ma non ricadono”. L’ENEL poi credeva che non fosseun problema solo locale, ma di “portata mondiale” e quindi didifficile soluzione.

Mentre i dibattiti infervoravano, dal cielo scese ancora unavolta qualcosa… In quei giorni più volte le piogge annerirono unpo’ tutto ciò che era esposto all’aria aperta. La maggior parte del-le madri erano preoccupate per la salute dei figli. Ci fu chi dovet-te chiamare delle imprese di pulizia per lavare piazzali e androni.E ovviamente le polveri filtrarono anche nelle stanze… anche tra-mite le lenzuola stese fuori, ritirate completamente deturpate.

Ci fu un incredibile corsa alla macchina da scrivere; il Co-mune venne sommerso di lettere di protesta e di sdegno, così co-me la Procura della Repubblica e la Pretura.

I più rabbiosi erano i lavoratori dell’ENEL abitanti in zona:“Bisognerebbe trasferirsi come fecero gli amministratori di Vado

qualche an-no fa. Dopoaver spiana-to la strada

all’Enel e rassicurato la popolazione sulla salubrità dell’impian-to a carbone, traslocarono in massa sulle colline di Albissola Ma-

La mattina del 6 aprile 1985 il pretore di Cairo ricevettel’esposto del capogruppo di minoranza del Comune di Degoe di un consigliere (e con la sottoscrizione anche dal rappre-sentante di maggioranza). Questi contestavano la delibera nu-mero 17 del 13 febbraio 1985 secondo la quale la giunta si di-ceva favorevole alla realizzazione di una discarica di tipo “B”in località Prà Marengo o Moglia Vacca (“dove esiste una stal-la moderna dove vengono allevate vitelle da carne e da latte”),nella frazione di Bormiola. Rognone a questo proposito disse:“Sappiamo che altri comuni del Savonese hanno respinto le ce-neri dell’Enel. Noi non dobbiamo essere primi. Se andiamoavanti di questo passo Dego potrebbe essere trasformata nella pat-tumiera della provincia di Savona”. E la maggior parte dellacittadinanza era con Bormiola…

Ci sarebbero potute essere conseguenze dal punto di vistadell’equilibrio idrogeologico. “Senza pensare poi ai disagi intutti i comuni della vallata a causa del passaggio di autocarri ca-richi di cenere dell’Enel, una sostanza che, come è noto, si disper-de facilmente ed inquina a dismisura”. Alcuni anni prima si erapensato di realizzare una cosa del genere ad Altare: “La popo-lazione disse un no deciso. Noi siamo dello stesso avviso”, replica-rono ancora a Dego.

Allora sipensò a Cen-gio, dove sta-vano per esse-

re realizzate due discariche di tipo “A” e “B” in località “Case Ri-tano” al confine con Cosseria. Erano anche in studio trattamen-ti vari per le acque di scarico.

A settembre si venne a sapere che Vado e Quiliano avevanoda ben due mesi ricevuto un voluminoso dossier (qualcosa co-me cinque volumi) sull’impatto della centrale esistente e sul-l’impianto futuro. I risultati passarono subito all’Enea per le ve-rifiche del caso. Per l’ENEL la situazione era tutto sommato

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rina, fra mimose ed eucalipti balsamici” affermò, rabbioso, unodi loro ai giornalisti; e nella zona scoppiò una sorta di psico-si: “Corrono le voci più assurde e preoccupanti. Abbiamo dirittoad una informazione precisa sui pericoli costituiti dalle emissio-ni della centrale”. Si diceva che l’acqua per irrigare le fasce fos-se contaminata e per quella ragione gli ortaggi o morivano ocrescevano a stento.

I radicali, assieme al MODA, inviarono un telegramma al-la prefettura per sollecitare l’inchiesta giudiziaria ferma daanni (i DC di Quiliano inviarono un’interpellanza al sindacoPicasso).

Verso la fine di ottobre, al consiglio comunale allargato diVado, i tecnici dell’Enea dissero che non esistevano elementipreclusivi alla localizzazione dell’impianto; la DC con Tran-quilli e Rossi in prima linea fu pronta a dar battaglia.

Come diavolo avevano fatto quelli dell’Enea a fornire giàdelle opinioni sicure a proposito della questione se erano sta-ti loro consegnati i rapporti ENEL appena un mese prima, an-zi meno (era il 27 settembre)? questa era la domanda che si fa-cevano tutti. E Torcello colse la palla al balzo: “Ma chi ha mes-so loro tanta fretta?”.

E intanto si parlava del piano regolatore… di un amplia-mento dei caseggiati a Valleggia. Paolo Franceschi (studente dimedicina e consigliere comunale a Quiliano nella lista degli in-dipendenti della DC) sottolineò i “rischi di salute per la popola-zione e la necessità di compiere indagini e ricerche sulle condizioniattuali della salute della popolazione”.

A novembre intervenne sulla annosa questione il senatoreUrbani; il PCI era preoccupato poiché aveva paura che il proget-to energia-porto-nuove strutture (oltre 1500 miliardi di investi-menti per l’area Savona-Vado e gli sperati 2000 posti di lavoro)potesse essere sabotato da manovre di partito, managers dell’ENI

e da quei politici savonesi “indifferenti” e “agnostici”. Bisognavastare uniti!

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Nel febbraio 1986 la protesta dei comuni che subivanol’ENEL portò, da parte del sindaco di Bergeggi Riccardo Bor-go, il rifiuto dei trenta milioni dell’indennizzo della legge 8

17 A destare paura erano i radioisotopi radioattivi del carbone e i ra-dionuclidi delle ceneri volatili, che passavano i filtri, e i gas di scarico delcamino.

che erano a favoredei comuni cheospitavano centralielettriche e che su-bivano danni ambientali a causa di tali insediamenti. Per Bor-go quel denaro era risibile: andava rivalutato il tutto in baseai dati aggiornati sull’inquinamento.

Continuavano, intanto, gli incontri pubblici. Si discutevasulle mille tonnellate al giorno di ceneri che non si sapeva chefine facessero17. Tutti volevano sapere dove venivano smaltite e“i nominativi delle ditte che le hanno acquistate o ricevute, gli im-pieghi che tali ceneri hanno avuto, l’elenco delle ditte autorizzate eappaltatrici, con l’Enel, del servizio di trasporto dei residui”.

C’era chi però non aveva affatto paura delle ceneri. AlcuniVerdi di Finale avrebbero voluto creare una scogliera artificialeatta ad impedire ai pescherecci di operare illegalmente tra Ca-prazoppa e Capo Noli e per ripopolare i fondali; per questoavrebbero voluto utilizzare i residui di combustione dell’ENEL.Dicevano che una cosa del genere era già stata fatta con ottimirisultati a New York…

La psicosi comunque continuò. La cenere scese anche suSpotorno.

I carabinieri di Albisola inviarono un rapporto al comandoprovinciale segnalando un caso, denunciato dalla popolazione,secondo cui decine di bidoni di vernici e solventi (oltre a duevecchi bus zeppi di polvere bianca e gialla non identificata) ri-

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le, l’ultima parola restava al Crial (Comitato regionale per l’inqui-namento). L’ENEL poi non sembrava disposto alla realizzazione diun impianto di desolforazione perché sarebbe stato troppo costo-so. La centrale venne infine realizzata.

A Lecce il consiglio comunale, alla presenza di “Italia No-stra”, Verdi, “Donne elettrici” e Ordine dei medici, bocciò la co-struzione di una megacentrale a carbone tra Brindisi e Ceranoper l’esagerato inquinamento che ne sarebbe derivato. Tuttavial’opera venne realizzata; si trattava di uno dei più grandi im-pianti italiani e le fu dato il nome di Federico II, omaggio ma-nageriale alla figura dell’imperatore di Svevia.

E poi a Piombino, dopo mesi di proteste ed interventi di me-dici ed esperti, si disse NO alla realizzazione di una centrale acarbone da 1560 Mw. Ma la centrale si fece lo stesso.

Tra il 1980 e il 1984 venne costruita la grande centrale ENEL(ad olio combustibile) di Porto Tolle, in Veneto; nel 2006, do-po lunghe e complicate peripezie giudiziarie, si ebbe la condan-na di alcuni dirigenti ENEL a seguito delle denuncie di alcunigruppi ambientalisti veneti riguardo all’alto tasso di inquina-mento che si sosteneva producesse l’impianto.

Gli ultimi miraggi dei “fantastici” anni OttantaMaggio 1986: l’ENEL confermò alla Regione che la centrale

sarebbe raddoppiata.Estate 1986: il “Dipartimento protezione ambientale e salu-

te dell’uomo” dell’Enea, il Cnr e l’università di Pavia iniziaronoa tenere sotto sorveglianza Vado, Quiliano e i comuni limitroficosì come tutto l’arco costiero compreso tra Varazze a Spotornodopo le insistenti richieste degli amministratori locali. I variscienziati, tecnici ed esperti avrebbero dovuto delineare un qua-dro quanto più possibile esatto riguardo l’impatto ambientaledegli impianti ENEL sul territorio (quasi tutti gli scarichi indu-striali inquinanti avvenivano in atmosfera) anche prevedendo lefuture possibili opere da realizzarsi. L’orografia del territorio in-

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sultavano abbandonati in un’ansa del torrente che scorre vicinoall’abitato. Si temeva che potessero essere residui polverosi del-l’ENEL.

Il professor F. Ippolito, membro del comitato energetico delPCI di Roma, disse che una centrale a carbone di 1000 Mw pro-vocava ogni anno almeno 25 decessi, 60 mila casi di malattie re-spiratorie e danni alle cose per dodici milioni di dollari.

Non solo a Vado…Domenica 22 dicembre 1985, circa 40.000 persone di do-

dici comuni calabresi (il 52% degli aventi diritto di voto) si re-carono alle urne per un referendum indetto da Lega Ambien-te, dall’Arci e dagli amministratori locali, il secondo dopoquello regionale. Il 97% dei votanti si espresse contrario allacostruzione di una megacentrale a carbone da 2.640 Mw aGioia Tauro. Benché visto come un grande atto di democraziae libertà in una terra in cui la mafia deteneva buona parte delmonopolio sugli appalti, una certa parte politica non si lasciòsfuggire l’occasione di rilevare che si rinunciava a creare nuoviposti di lavoro (la solita giustificazione per tentare di costruirel’impianto). L’opera non venne mai realizzata. Ancor oggi –2011 – è in discussione la realizzazione di un impianto a car-bone in località Saline Joniche presso Reggio Calabria; perprotesta sono nati diversi gruppi di contestazione.

Anche nell’interland di Lodi si protestò contro un nuovo im-pianto a Tavazzano; a questo proposito il presidente della RegioneLombardia spiegò che non si fidava delle promesse riguardo allatutela ambientale perché “l’Enel non sta ai patti”: “I tentativi che sifanno per discutere come attuare le condizioni di salvaguardia pur-troppo vanno a vuoto; tu cerchi di parlare e loro intanto vanno avan-ti con i lavori come niente fosse”. Anche se il Parlamento, invece cheun piano energetico, sembrava aver approvato un piano ENEL(perché assecondava troppo le esigenze dell’azienda), e un decretodel ministro dell’Industria autorizzava la costruzione della centra-

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teressato è decisamente complessa ed i fenomeni fisici e termo-dinamici dell’atmosfera portavano a particolari effetti locali, co-me l’incanalamento delle masse d’aria lungo le valli ed i feno-meni di brezza costiera, modificati a loro volta dai fenomeni dibrezza continentale, e quindi un trasporto e diffusione atmosfe-rica con conseguente deposizione al suolo degli inquinanti rila-sciati in questo così complesso contesto ambientale e territoria-le. Le campagne metereologiche vennero organizzate in due fa-si: la prima aveva l’obiettivo di caratterizzare l’atmosfera e le sueproprietà fisiche e diffusive con il fine di mettere a punto uno opiù modelli matematici di trasporto; la seconda consisteva nelverificare l’affidabilità dei modelli messi a punto. Tra le primeiniziative dei ricercatori ci fu il lancio di alcuni palloni sondache consentirono di studiare le inversioni termiche dell’atmo-sfera fino ad una altezza di un chilometro sulla città e rileva-menti sulla dispersione di anidride solforosa dalle ciminiere edalle altre industrie tramite apparecchiature dotate di laser suautomezzi mobili (le postazioni erano a Vado, Quiliano e al por-to di Savona ed erano in grado di valutare la dispersione sia insenso orizzontale che verticale); poi vi fu un sondaggio dei fon-dali antistanti gli abitati per valutare cosa i torrenti Quiliano eSegno trascinassero in mare (vennero impiegati sia esperti su-bacquei che carotature per il prelevamento di alcuni campionisul fondo della rada così come sul greto dei corsi d’acqua). Tut-to il materiale sarebbe stato attentamente studiato da compe-tenti personalità che entro sei mesi al massimo avrebbero datorisultati e responsi.

Gli studiosi tornarono, nell’inverno dello stesso anno, anco-ra sul nostro territorio questa volta per verificare il flusso dellecorrenti marine sulla rada (con la posa di correntometri sul fon-do) e le conseguenze del versamento in mare dell’acqua caldaproveniente dalla centrale. Ma in programma c’era già tutto unprogetto di studio che andava ben oltre l’analisi dei fenomenimetereologici o delle acque: sarebbe ben presto venuto il mo-

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mento di esaminare le conseguenze delle emissioni sul terreno,e quindi inevitabilmente anche nelle acque dei torrenti e neipozzi, nelle falde acquifere, sulle colture che erano disseminatenelle valli di Vado e Quiliano. Inevitabilmente, ultimi privile-giati elementi del paesaggio a risentire dei disagi, anche i singo-li cittadini, attraverso accurate indagini epidemiologiche cheavrebbero dovuto tener conto dello sviluppo delle malattie sulterritorio, sarebbero diventati “materiale” da indagare.

Purtroppo l’indagine sulla radioattività del carbone utilizzatodalla centraleebbe un arrestoforzato a segui-to del disastrodi Chernobyl; ma ricominciò non appena il rischio della nube ra-dioattiva passò. Si trattava di valutare l’eventuale presenza di ra-dioattività nelle varie fasi dell’utilizzo del carbone, dallo sbarco altrasporto in centrale, all’immissione nei forni per finire con le ce-neri. Un vero e proprio check-up di proporzioni straordinarie.

Tuttavia non tutti furono entusiasti della faccenda: il Comu-ne di Spotorno diffidò delle iniziative e Tranquilli dichiarò allastampa che era dovuto al fatto che il sindaco “non si è fidata del-l’accoppiata Enel-Enea”.

Spotorno infatti, non credendo affatto ai dati forniti dal-l’Ente elettrico e a quelli che di lì a poco avrebbe dovuto for-nire l’Enea, decise in una seduta del consiglio comunale disottoporre a verifica i dati ricevuti e che sarebbero poi arriva-ti anche a loro. Si costituì una commissione di cinque espertiche studiassero proprio per la città ponentina gli effetti del-l’uso del carbone di Vado tenendo anche conto dell’amplia-mento. I cinque ricercatori, di fama internazionale, che ven-nero scelti furono: Massimo Scalia e Gianni Mattioli (docen-ti dell’università La Sapienza di Roma, Facoltà di Scienze, Fi-sica Matematica, Scienze Naturali), Giovanni Marano (biolo-go marino dell’Istituto di zoologia dell’università di Bari),

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di controllo e monitoraggio ambientale pubblico. Quindi sì alraddoppio, ma con riserva.

Lega Ambiente rispose subito con critiche al PCI, accusando-lo della solita vaghezza riguardo ai rapporti con la popolazionee con gli ambientalisti e soprattutto si fece sentire per quanto ri-guardava le iniziative sulla “penosa”: la legge 8 andava abolitaperché “illogica, antidemocratica, superata”, mentre Ricino affer-mava che “i fondi attribuiti al comune sono stati impiegati in ope-re di alto valore sociale e finalizzate al recupero ambientale”. Gliecologisti annunciarono che, assieme ad esperti di diverse uni-versità italiane, avrebbero elaborato un adeguato progetto ener-getico alternativo per Savona, attento alla difesa della salute edell’ambiente e si schierarono a favore delle posizioni del Co-mune di Spotorno.

In risposta si fece sentire anche la DC che condannò al solitol’inquinamento (144 tonnellate al giorno di polveri che fuoriu-scivano dalle ciminiere) dei gruppi a carbone esistenti e propo-se la ristrutturazione dei quattro gruppi in funzione, abbando-nando il carbone per il ben più pulito metano. Ma c’era qualcheassessore che asseriva che il metano fosse “un combustibile ricco”da non impiegare nelle centrali. E si aveva comunque paura che,in conseguenza ad un incidente, potesse esplodere tutta la cittàcon ripercussioni su tutta la costa simili a quelle rilevate a Dre-sda al tempo di guerra.

L’ambaradan politico continuò ovviamente nelle sale e neicongressi di partito; ma la gente era preoccupata. “Pensavamoche non dovesse succedere mai, che i progetti sarebbero rimasti, co-me al solito, sulla carta” disse uno dei pescatori di Porto Vado cheiniziò a rendersi conto che buona parte della costa sarebbe statasacrificata dal cemento e dell’inquinamento.

Dopo i risultati del referendum sul nucleare apparve eviden-te che bisognava anche ridimensionare, e non solo ampliare, lealtre centrali e convertirle al metano.

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Enrico Falqui (professore di Igiene Ambientale e consulentedella Regione Toscana) e Giorgio Cortellessa (Istituto Supe-riore di Sanità).

Prima dei risultati di queste fondamentali ricerche, però,comparvero le undici pagine che riassumevano le posizioni delPCI riguardo allo sviluppo energetico e portuale e riguardo an-che all’impatto ambientale provocato dalla ipotizzata realizza-zione del terminal e dei due nuovi gruppi della centrale. Pre-sentate la mattina del 18 agosto 1986 dal senatore Giovanni Ur-bani e da Giancarlo Pinotti (responsabile del settore economicoprovinciale del PCI), si sviluppavano in tre punti: per quanto ri-guardava l’aspetto economico ed ambientale (voluto dall’onore-vole e medico Aldo Pastore non senza animate discussioni) si ri-badiva l’importanza fondamentale per tutto il savonese del pro-getto centrale-porto-terminal con i suoi 1550 miliardi di inve-stimenti ecc. (addirittura la DC sembrò sostanzialmente aderirealla cosa; ma l’ufficio ecologia della DC savonese la contestò),

senza contareche il terminalcarbonifero emultiuso sareb-be stato sia a ge-

stione pubblica che privata (ENEL, Funivie, Agip, Ente porto,Enti locali); dal punto di vista ambientale si richiedeva un mi-glioramento che sarebbe dovuto partire con il risanamento deigruppi esistenti e l’abbattimento di tutte le emissioni sotto lenorme di legge e certo nelle norme Cee, e i due nuovi gruppi sa-rebbero dovuti essere tecnologicamente avanzati e tenuti sottoosservazione; in ultimo le forme di controllo e di rilevazione deidati ambientali si sarebbero dovute svolgere con la partecipazio-ne popolare (compresi i gruppi ambientalisti) con serietà. I fon-di a favore della legge 8/83 (legge detta “la penosa”) che preve-deva una quota per i comuni interessati dall’impianto ENEL, sisarebbero così dovuti riutilizzare per la creazione di un sistema

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DP (Democrazia Proletaria) con Cortellessa affermò che eraormai ora di usare il solare con le celle fotovoltaiche e i biogassoprattutto per cercare di rimanere area turistica; “Se si raddop-pia la centrale di Vado, per posti come la baia dei Saraceni, Vari-gotti, Bergeggi è finita” disse il consigliere regionale Dp MassimoGiacchetta. Per il Comune di Spotorno in un raggio di 10 kmdalle ciminiere c’era pericolo tangibile di inquinamento.

All’inizio del novembre 1986, con il riavviamento di ungruppo termico che era stato in manutenzione, piovve carboneabbondante su Vado; segnalazioni a proposito vi furono anche aMontenotte (che anche l’Enea rivelava interessata dal fungo).L’ENEL si accollò le spese per la pulizia delle auto danneggiate.Ricino, dopo poco, venne convocato a Roma.

Dopo il no deciso dei cittadini di Piombino, anche la Fgci, igiovani comunisti, vollero un referendum locale (ricordiamoche già Accordino propose la consultazione popolare sull’am-pliamento o meno dei gruppi termici).

Ma solo l’inquinamento dell’ENEL dilagava proprio ovun-que? Perché ad esempio sul colle di Cadibona, nel 1983, la piog-gia fu di Ph di 2,7 (acido nitrico diluito, in sostanza) quando ri-sultava mediamente di 5,6, considerando che il sensore era sot-tovento alla centrale di Vado? C’entravano, per caso, le altre in-dustrie valbormidesi?

Nel settembre 1986 a Cairo, località Vallegge, iniziò a circo-lare la voce che sarebbe potuto sorgere un deposito di stoccag-gio di ceneri ENEL nel sito di una cava in disuso da anni, dellacapacità di 251 mila metri cubi di materiali. La cosa provocò uneffetto particolare: “lo stesso effetto che provoca un fiammifero ac-ceso in una polveriera”. Si avviò una raccolta di firme per impe-dirne la realizzazione.

L’8 novembre 1987 avvenne il referendum per l’abrogazioneo la conferma della legge 8 del 1983 che concedeva miliardi diindennizzo alle regioni e ai comuni in cui sorgono centrali ter-moelettriche con uso di carbone, gasolio e metano. Vinse il SI’.

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Il mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Pilalunga fu l’ultimoesempio di quei soldi ENEL per la comunità.

A principio del dicembre 1986, il sindaco di Pontinvrea, Eu-genio Casagrande, affermò: “I fumi delle industrie savonesi stan-no lentamente uccidendo i nostri boschi; l’inquinamento soffoca glialberi, poi sarà il turno dei centri abitati”.

Questo a seguito della constatazione che le faggete rigoglio-se della valle dell’Erro stavano miseramente seccando come at-taccate da chissà quale parassita. In verità il “parassita” vennequasi subito identificato nella centrale di Vado, tanto per cam-biare: “Ne siamo convinti a tal punto, anche se i dirigenti dell’Enelcontinuano a smentirci, che abbiamo deciso di intraprendereun’azione legale nei confronti della centrale vadese”.

L’unica cosa che rallentò le decisioni del sindaco fu il magrobilancio comunale, che non permetteva iniziative così ardite.Pontinvrea poteva essere tranquillamente raggiunta dai fumi diVado e Savona in genere, visto che distava solo 10 Km in linead’aria dalla costa (è anche da segnalare che l’anno prima il grup-po ecologista Workarea aveva identificato uno dei colpevoli del-l’inquinamento nella vetreria di Dego); ma fossero stati soloquelli i problemi… si parlava anche della realizzazione di unadiscarica in località Cà Nanin.

Il 27 gennaio 1987 su “La Stampa” apparve un articolo in cuisi potevano leggere, in sintesi, le dichiarazioni espresse dall’Enea

nel proprio rapporto sull’inqui-namento a carbone delle centra-li elettriche, rapporto che altrinon era se non la risposta al que-stionario inviato dal ministerodell’Industria agli studiosi del-

l’Enea in occasione di una conferenza sull’energia che di lì a pocosi sarebbe svolta e nella quale si sarebbe fatto un po’ il punto dellasituazione italiana; secondo la Disp (Direzione sicurezza e prote-zione dell’Ente) le conseguenze principali e più drammatiche era-

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zi lasciando scarse possibilità insediative ad altre realtà certamente piùvalide sotto il profilo occupazionale e più a misura di territorio”.

A luglio gli esponenti di minoranza della DC lanciarono unaproposta: perché non ampliare La Spezia o Genova?

L’ENEL presentò ancora un progetto di ristrutturazione degliimpianti esistenti (con investimento di alcune centinaia di mi-liardi) e stessa cosa sarebbe avvenuta a La Spezia. Per l’abbatti-mento dell’inquinamento si decise l’installazione di caldaie de-pressurizzate e il controllo delle emissioni all’imboccatura delleciminiere, quindi un ammodernamento della rete di rilevamen-ti della qualità dell’aria.

Riguardo al risultato del referendum di Piombino, molto se-guito in zona, i vertici delle amministrazioni si espressero laco-nicamente: a Piombino era ovvio che vincesse il NO, perché eraun’area dove c’erano già troppi impianti, come le acciaierie…non era il caso di aggiungere altra carne al fuoco.

La conferenza nazionale dell’energia rese noto che i 58.000Kmq del Nord Ovest (il 19% del Paese) si riforniva in buona par-te dagli impianti liguri, sviluppatisi miracolosamente in quei mise-ri 340 Km di costa a disposizione; il 48% dell’area sopraccitata an-dava a combustione ad olio; la Liguria invece, con l’uso massicciodel carbone, ne usava “solo” il 40%. Certo, Vado (che ci si aspet-tava potesse entro breve dotarsi di strutture in grado di usufruiredi carbone-olio combustibile-gas metano, tramite l’ampliamentoagognato) e La Spezia avevano bisogno di un bel revamping…

Ancora nel gennaio ’87, al costruendo porto di Voltri ci si ac-corse che veniva smaltita una moltitudine di ceneri provenientidalla centrale di La Spezia; la DP a proposito chiese un’interroga-zione parlamentare. Si trattava di un milione di metri cubi di ce-nere da utilizzare nel riempimento a mare (secondo quanto stabi-lito dalla Bozza di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiutiindustriali della Regione Liguria); per questo si pensava ad un pe-ricolo sia per l’ecologia del mare che alla violazione della legge n.128 ratificata dal Parlamento il 5 marzo 1985 relativa alla prote-

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no: le piogge acide che ricadevano anche a diversi chilometri di di-stanza dal punto di immissione dei gas di scarico in atmosfera (erelativa insorgenza di patologie acute e croniche all’apparato respi-ratorio, almeno nell’essere umano), la produzione di 8 milioni ditonnellate annue di polveri conseguenti alla combustione del car-bone per 1000 Mw di resa (con specificato “non esistono tecnologieche ne limitino le emissioni”) e di 7 metri cubi annui di ceneri perogni 1000 Mw le quali avrebbero avuto un contenuto di “alcunemigliaia di tonnellate di sostanze tossiche, tutte nella lista di sostanzetossiche edita dalla Cee” e che sarebbero state le responsabili del-l’emanazione di radon 222, sostanza radioattiva, “allo stato attualenon quantificato”. Il titolo dell’articolo Enea: peggio del nuclearepreoccupò molto la cittadinanza interessata della problematicaambientale e che ancor più dovette sorprendersi nell’apprendereche, sempre secondo l’Ente, le centrali a carbone erano decisa-mente poco funzionali in quanto vi veniva utilizzato troppo com-bustibile per il funzionamento (le scorie risultavano una quantitàeccessiva e decisamente preoccupante così come la quantità di os-sidi e anidridi emessi in atmosfera).

A Vado, però, sempre l’Enea, affermò che il rischio inquina-mento era pari a zero o quasi. C’era qualcosa che non tornava;Torcello disse che ci si trovava di fronte “ad un atteggiamentoschizofrenico dell’Enea”, la quale in un caso dà un giudizio nega-tivo e nell’altro, invece, assai ottimista.

Venne infatti presentato allora il rapporto n. 4 dell’Enea:Impianto termoelettrico a carbone di Vado Ligure: studio delleconseguenze radiologiche degli effluenti radioattivi nell’ambien-te, 120 pagine del professor Vincenzo Ferrara in cui si affer-mava, in sostanza, che “non appaiono sussistere problemi di ti-po radiologico che meritano un’attenzione radioprotezionistica”.

Molto interessante, oggi lo si potrebbe prendere come docu-mento sociologico di ciò che era la piana al tempo, il modo in cuiTranquilli bollò cinicamente (o lucidamente…) il mondo impren-ditoriale del posto: “Una monocultura atta a colonizzare grandi spa-

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A maggio una petizione-esposto, firmata da cinquanta persone,e due documenti sindacali (redatti dall’assemblea dei lavoratoridella centrale e dalle segreterie provinciali di Fnle-Cgil, Flaei-Cisle Uilsp-Uil), furono inviati alla Procura della Repubblica, al sin-daco, alla Guardia di Finanza, ai Carabinieri e all’Ufficio d’Igienedi Savona. Motivo principale: verificare se nell’impianto erano invigore “le più elementari norme anti-inquinamento”. Si denunciavaanche la continua fuoriuscita di ceneri tossiche dai fumaioli, cheavveniva di solito di notte, cosicché nessuno se ne accorgesse, sal-vo poi ritrovarsi all’alba a dover ripulire macchine e balconi… lasolita infinita questione già descritta più volte. I sindacati poi scris-sero di come i lavoratori venissero trattati: praticamente sfruttati(soprattutto se giovani ed inesperti) per anche dieci ore no stop dilavoro (e qui si faceva anche appello all’animo di ogni lavoratore:non bisognava chinare la testa, ma rivendicare con orgoglio i pro-pri diritti come da tradizione). E poi si pregava, in via definitiva, isindaci dei due comuni di voler essere una buona volta incisivi sul-la questione, di smetterla di predicar bene e razzolar male (“non èpiù possibile ergersi a paladini della salute pubblica e poi permettereche si continuino ad utilizzare al massimo gli impianti, pur nelle peg-giori condizioni”).

Il 28-29 maggio 1988, presso il palazzetto dello sport di Spo-torno, si svolse il convegno: “La centrale Enel di Vado Ligure:analisi ed effetti sul territorio”. I professori Scalia, Mattioli, Ma-rano, Falqui e Cortellessa – scienziati della Commissione Scien-tifica convocata da Spotorno – dopo approfonditi studi e dopoaver valutato il gravissimo impatto ambientale della Centrale acarbone in pieno centro abitato – che venne per questo sopran-nominata “Centrale in città” – proposero l’immediato depoten-ziamento dell’impianto e la sua completa metanizzazione; que-sto tenendo anche presente che 2/3 dell’energia prodotta eranoesportati fuori della Liguria, che subiva però tutto il problemaambientale. Fu la prima posizione ferrea contro il progetto diampliamento a carbone.

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zione del Mediterraneo (a questo proposito si fecero appelli al mi-nistro della Marina Mercantile, dell’Industria e dell’Ambiente). Ilprogetto dell’ENEL (che prevedeva, in accordo con il ConsorzioAutonomo del Porto, il trasporto dalla Spezia a Voltri) venne so-speso, ma non ritirato ufficialmente.

Il sindaco di Spotorno Margherita Robatto richiese a Vado eQuiliano un continuo aggiornamento sulla questione industria-le. Ipotizzò rilevamenti in proprio; Bruno Poggi infatti ribadivasempre che, stando all’andamento dei venti, Spotorno era sog-getta alle polveri.

Nel luglio ’87, l’Usl VII venne esclusa dai controlli sui fumiENEL. Ad agosto la DC attaccò ancora: dove andavano a finire leceneri di scarto che sarebbero state, in realtà, “rifiuti speciali”?

Nel febbraio 1988 alcuni ecologisti seguirono un camion ca-rico di ceneri appena uscito dai cancelli della centrale fino alluogo di scarico, un paio di chilometri verso mare: il tutto erabuttato in alcune fosse a Bergeggi, innanzi al faro, dove stavasorgendo la banchina del nuovo porto. La cosa venne docu-mentata con fotografie e un dossier a proposito venne inviato alpretore Buonuomo, che aprì un’inchiesta (nella quale era tiratain ballo anche l’Ital Coke, sempre di Vado); si parlava di ton-nellate di detriti smaltiti in quel sito, di una vera discarica abu-siva. Il conducente del mezzo fotografato si difese dicendo chesi trattava di terra “vergine” proveniente da scavi interni alla cin-ta della centrale. Per gli ecologisti la colpa di tutto ciò era anco-ra una volta della Regione, della Provincia e dei due comuni chenon controllavano abbastanza su quel fronte18.

18 Alla fine dell’anno 1987 erano circa una quindicina le inchieste sultavolo della Pretura. Tra quelle il caso Enel (quello di due anni prima de-nunciato dal MODA e riguardante la discarica abusiva presso il pontile di Va-do); il problema da verificare era sempre quello riguardo la radioattività. I“lapilli” comunque parvero, in seguito, non essere tossici o radioattivi.

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Tutto cambia... per rimanere tutto uguale

Con il crollo dell’URSS cambiarono gli schieramenti politici,ma i toni sulla questione rimasero sempre gli stessi. Dopo Rici-no venne eletto sindaco, nel 1990, Roberto Peluffo, poi più vol-te riconfermato. Nell’ultimo decennio del Novecento, un po’perché molte fabbriche storiche chiusero e un po’ perché qual-cosa si mosse ai vertici, a molti parve di respirare un tantino me-no veleni. Ma in verità…

Nel 1990 sotto la spinta dell’opinione pubblica e grazie alConvegno di Spotorno del 1988, ormai nota la gravità dell’im-patto ambientale della combustione del carbone sulla salute esull’ambiente, anche i comuni di Vado (il 17 agosto del ’90) e diQuiliano (il 30 agosto ’901) decretarono, con voto unanime, per

1 La delibera n. 81 tra l’altro ribadiva che “(…) la Comunità ScientificaInternazionale considera il carbone (usato dall’ENEL, perché costa meno) uncombustibile altamente inquinante e ritiene che se non si cambia modo di pro-durre energia, pur tenendo conto delle necessità del risparmio energetico, sia ingrave pericolo, se non addirittura in forse, l’esistenza stessa dell’uomo. Tornandoall’ENEL, ribadisce come quest’ultima voglia nuovamente proporre una centraleche funzionerà a carbone per decenni, si tratta di un impianto ad alto rischio.Infatti verrebbero prodotte grandi quantità (tonnellate giornaliere) di residuisolidi (ceneri, gessi, etc.) di difficile smaltimento. Ne deriverebbero effetti nega-tivi all’ambiente, all’atmosfera, al suolo, al territorio, alla vegetazione. È neces-sario pertanto contrastare e respingere le manovre dell’ENEL. Le Amministra-zioni locali e le popolazioni devono poter essere maggiormente sentite, quandochiedono il depotenziamento della Centrale, l’uso del metano e l’adozione delletecnologie più avanzate ed idonee per un’adeguata ed efficiente tutela ambien-tale: soprattutto quando chiedono un serio studio sul VIA”.

Dal 1988 l’Usl tenne sotto controllo per circa cinque anni, apartire da settembre, tutti gli abitanti di Vado, Quiliano, Bergeg-gi e Spotorno in età inferiore ai 14 e superiore ai 65 anni per untotale iniziale di 7561 persone (2847 bambini e 4714 anziani).Un’indagine senza precedenti, tra le prime in Italia e nel mondo.

Dall’Aurelia, dalla ferrovia e dalla stessa autostrada dei fiori sivedono quartieri popolosi, stabilimenti e opifici, cantieri, centralitermoelettriche, ciminiere (pochi fiori, in verità) e silos, depositi dicarburanti e rive di torrenti che fanno rabbrividire i cultori dellasanta ecologia.

Da un articolo apparso sulla rivista “La Casana” del 1977.

Panoramica dell’area occupata dalla centrale elettrica nel 1970; si notano i gran-di serbatoi per l’olio combustibile e le baracche prefabbricate nelle quali alloggiava-no i numerosi operai impiegati nella costruzione dell’impianto nell’area che verrà inseguito occupata dallo stadio Chittolina. La Bricchetta è completamente scomparsacosì come gli altri bricchetti dei Griffi e la spianata dei Cosciari, occupata dai tralic-ci e dai trasformatori. Alle spalle della Valletta è evidente il bianco susseguirsi di ca-pannoni della S.I.R.M.A. confinante con la lunga scia asfaltata della superstrada nonancora funzionante.

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si impegnano a perseguire ogni via giuridica, amministrativa e po-litica d’accordo con altri comuni del comprensorio savonese, con laProvincia e la Regione Liguria.

La Liguria ha prodotto e produce energia elettrica in misuralargamente eccedente la sua domanda mentre il suo territorio, ilsuo ambiente e Vado in particolare sono stati già fortemente dan-neggiati dagli inquinamenti legati alle produzioni industriali ealla generazione di energia elettrica. Tali azioni sono intese, na-turalmente, non a danno dei livelli occupazionaIi e neppure con-tro disegni energetici, ma solo per far rientrare un progetto, giu-dicato assurdo, in un contesto urbano, per garantire sicurezza etutelare l’interesse e la salute dei cittadini.

Nel Luglio 1991 la VII Usl di Savona pubblicò uno Studiodell’Università di Trieste del professor Nimis in cui, utilizzandoi licheni come bioindicatori e bioaccumulatori, si dimostrava ilgravissimo inquinamento del comprensorio savonese, in parti-colare per SO2 e polveri con alti valori di metalli cancerogeniquali cromo e nickel, di sicura origine industriale e di molte vol-te superiori al background naturale. Tale importante studio ven-ne tenuto nascosto dagli Enti pubblici ma, ottenuto per vie tra-verse, venne poi divulgato e reso pubblico definitivamente conil successivo articolo su “Biologi Italiani” del giugno 1992.

Nel 1992 la Provincia pubblicò uno studio in cui si dimostra-va che le centraline ENEL “non sono a norma di legge”. I valori perSO2 e polveri risultavano del 30% inferiori rispetto a quelli mi-surati con strumentazione a norma di legge. Nonostante ciò lastessa Provincia di Savona, nel 1996, pubblicò uno studio utiliz-zando dati della sottorete ENEL non ancora a norma.

In quello stesso anno, come accennato, su “Biologi Italiani”,organo ufficiale dell’Ordine Nazionale dei Biologi, sul numero6 di giugno, il biologo prof. Virginio Fadda pubblicò un artico-lo dal titolo La Centrale a carbone di Vado Ligure: un esempio diinquinamento in città. Si trattava di uno studio dettagliato in cuiera evidenziato il grave impatto ambientale della centrale a car-

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il depotenziamento e per la completa metanizzazione della cen-trale di Vado2.

In un manifesto del 6 settembre affisso in città dall’ammini-strazione di Vado si poteva così leggere:

I gruppi consigliari PCI, DC, PSI e VERDIa breve distanza dalla Delibera Consigliare dei 17/8/1990 sot-

toscritta dalla stragrande maggioranza dei Consiglieri, con la qua-le si prendeva ferma posizione contro il progetto di ristrutturazionepresentato dall’ENEL, perché di fatto esso non si presenterebbe comeun semplice intervento di risanamento, ma come un progetto di ra-dicale modifica dell’impianto esistente con ulteriore e gravi detur-pamenti all’ambiente inteso nelle sue componenti unitarie (atmo-sfera, ambiente idrico, suolo, sottosuolo, vegetazione, ecosistemi, sa-lute, rumori, vibrazioni, radiazioni, viabilità, abitato), e perchéaggraverebbe inverosimilmente il traffico veicolare e imposterebbe lacostruzione di enormi impianti poco affidabili per l’abbattimentodelle emissioni a ridosso dell’abitato;

a seguito delle notizie sentite circa il Documento pervenuto per lacentrale di La Spezia,a seguito delle notizie pervenute dal Ministero sulle conclusioni deiGruppo di Lavoro e della firma di tale operato da parte dei Mini-stero dell’Ambiente;giudicando la situazione grave e pericolosa per le conseguenze chesi verrebbero a ritrovare qualora tutto accadesse come imposto dalprogetto ENEL; convinte della inattendibilità, pericolosità e dellasempre più alienante soluzione imposta dall’ENEL,

RIBADISCONO E SOTTOSCRIVONOnuovamente quanto contenuto nella Delibera, insistono nell’al-

ternativa dell’alimentazione a metano e relativo depotenziamento e

2 Tale posizione di depotenziameno e completa metanizzazione fu poivotata all’unanimità per ben 2 volte successivamente dal Consiglio Pro-vinciale di Savona il 15 novembre 1995 e il 20 marzo 1998.

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re le opinioni della cittadinanza. Anche il Capogruppo deiSocialisti Indipendenti Vadesi (Aldo Marabotto) si mostravaperplesso: “Venticinque anni fa, quando è stata concepita que-sta centrale, si pensava molto allo sviluppo della nazione e poco,molto poco, alle condizioni di vita dei cittadini”.

Tra i possibili problemi conseguenti a quel tipo di restau-ro si sarebbero avuti infatti: fumi meno caldi in uscita dalleciminiere (50-60 gradi in meno) con conseguente ricaduta diinquinanti superiore a quella già presente al tempo nelle areeimmediatamente circostanti la centrale, aumento innaturaledell’umidità nel raggio di poche centinaia di metri dai nuovidesolforatori (“I tecnici comunali hanno sempre affermato che‘pensano’ che quanto esposto non si verificherà, i tecnici di LaSpezia sostengono esattamente il contrario”) e problemi rilevan-ti al traffico continuo su strade inadatte al trasporto di mate-riali dannosi o potenzialmente pericolosi per un’area abitata(“il trasporto del carbone e gesso (prodotto dai desolforatori) puòportare a inquinamento consistente a bassa quota. A questo pro-posito bisogna allontanare la strada di scorrimento dai Griffi pervia del traffico che ci sarà”).

Il MODA contestò accanitamente queste decisioni delleamministrazioni locali; si trattava di un compromesso, i grup-pi a carbone (anche se due) avrebbero continuato ad inquina-re e quindi ad uccidere.

Il movimento bollò gli accordi con l’ENEL come un eviden-te voltafaccia dei comuni di Vado, Quiliano e della Provincia diSavona che pure avevano votato per depotenziamento e com-pleta metanizzazione di questa “centrale in città”.

Mani pulite e tangenti rosse

Dulcis in fundo, come era avvenuto dieci anni prima con il“caso Teardo”, uscì fuori che la centrale era entrata ancora unavolta nell’orbita del malaffare politico: i desolforatori di Vado

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bone di Vado che correlava i valori di emissione degli inquinan-ti prodotti dalle ciminiere con gli alti livelli di inquinamento re-gistrati sul territorio dal biomonitoraggio lichenico dello Studiodell’Università di Trieste del professor Nimis del 1991.

E alla fine i programmi cambianoIl 17 gennaio 1993 gli Enti locali firmarono un protocollo

d’intesa con l’ENEL per evitare una ristrutturazione che avrebbecomportato la totale conversione a carbone degli impianti; tra lecondizioni d’accordo ribadite anche dal Comune di Vado vi erala promessa della riduzione del 75% degli inquinanti, di costru-zione di desolforatori per i gruppi 3 e 4, di impiego di olio com-bustibile a bassissimo tenore di zolfo per i gruppi 1 e 2 e l’arri-vo di 500 metri cubi annui di metano. Il 23 giugno 1993 ven-ne emanato dal Ministero dell’Industria, del Commercio e del-l’Artigianato (d’intesa con il Ministero dell’Ambiente e della Sa-nità) il decreto governativo che stabiliva la ristrutturazione del-la centrale, della durata di circa 6-7 anni, con alcune certezzequali: un nuovo collegamento su nastro per il carbone tra laNuova Italiana Coke e l’ENEL entro il ’96, l’allaccio alla rete deimetanodotti Snam, il coinvolgimento di attività imprenditoria-li locali o comunque liguri nei lavori. A Regione, Provincia eComuni coinvolti sarebbero stati corrisposti 17 miliardi di lireda parte dell’ENEL; a Vado erano destinati 7 miliardi e 200 mi-lioni da utilizzarsi per diversi lavori di manutenzione o abbelli-mento della città.

In Consiglio Comunale il Partito Popolare e i Verdi si mo-strarono diffidenti; l’inquinamento, per quanto minore, sa-rebbe comunque rimasto troppo. Sarebbe stato necessario unreferendum3 consultivo “Carbone No-Carbone Sì” per rileva-

3 Un referendum del genere era stato realizzato poco tempo prima a LaSpezia; la centrale venne effettivamente fermata ma non per l’esito del refe-rendum, quanto perché l’acqua del mare antistante s’era alzata di 1 gradocentigrado. Il referendum infatti non aveva nessun potere decisionale.

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Vado e Quiliano e della Provincia che non erano ancora riusciti afermare la sperimentazione a carbone ed anzi erano favorevoli aduna ristrutturazione invece che una conversione totale al metano.

Nel maggio 1995 il Procuratore Maurizio Picozzi inviò avvisidi garanzia a tre esponenti del partito PCI-PDS e ad un addetto al-le pubbliche relazioni dell’ENEL. Il motivo? Stando alla Procuradella Repubblica dal 1987 al 1992 il PCI-PDS “avrebbe ottenuto fi-nanziamenti illeciti dall’Enel camuffati dall’acquisto, a prezzi mag-giorati, di spazzi pubblicitari nell’ambito del Festival dell’Unità” co-me scrisse “La Stampa”; e oltre a questo Picozzi contestava, secon-do il quotidiano, “la mancata denuncia alla presidenza della Came-ra dei deputati delle somme incassate”. Gli esponenti PDS respinserole accuse, sostenendo che tra federazione provinciale PCI-PDS eENEL non intercorsero mai rapporti di interesse. L’articolo su “LaStampa” evidenziava come“eventuali finanziamenti illecitipotrebbero essere un’onda di ri-torno di accordi a livello nazio-nale (negli atti dei giudici diMani Pulite compare la centraleEnel di Vado Ligure) ma nell’inchiesta non se ne trova cenno”. I tredel PCI-PDS rientrarono già nell’inchiesta sui finanziamenti illecititramite la Festa dell’Unità che interessavano l’Italgas.

I rifiuti urbani di Milano vengono bruciati in centraleNel 1995 Legambiente, nel Convegno di Genova, denunciò la

ristrutturazione a carbone valutandola fortemente inadeguata e an-cora dannosa per il grave impatto ambientale e ribadì la necessitàdi un immediato depotenziamento e di una completa metanizza-zione dell’impianto (sempre sulla base delle conclusioni dellaCommissione di Spotorno). Nel 1996, il 24 gennaio, in Parla-mento venne depositata l’interrogazione parlamentare degli Ono-revoli parlamentari Mattioli, Scalia, De Benetti e Del Gaudio alMinistero dell’Interno, dell’industria e dell’Ambiente, in cui erano

risultarono implicati nel giro di tangenti (PCI, DC e PSI) del-l’inchiesta “Mani pulite”4.

Su “La Stampa” del 18 febbraio 1993 apparve un articolo nelquale si leggeva che l’ingegner Valerio Bitetto aveva raccontato algiudice Antonio Di Pietro che “l’impianto di Vado Ligure fa partedel giro d’affari spartito tra gli imprenditori” come “Cifa, Ansaldo, DeBartolomeis e COOP” ai quali furono appaltati “circa 870 miliardi dilavoro per la desolforazione delle centrali di Sulcis, Brindisi e Vado Li-gure”. Sul “Corriere della Sera” del 28 febbraio apparve un articolodal titolo SPUNTA UN CONTO SVIZZERO DEL PDS – Un manager

4 Anche su “L’espresso” del 26 maggio 1995 si fa cenno a tutto ciò.

della Ferruzzi ai giudici: Versai al partito 621 milioni di una tangen-te ENEL e su “La Stampa” del 4 marzo un chiarimento locale: “L’in-chiesta sul presunto conto svizzero ha chiamato in causa anche il pia-no di restrutturazione della Centrale ENEL di Vado. Secondo il mana-ger del gruppo Ferruzzi, Lorenzo Panzavolta, l’impianto, insieme adaltri, era oggetto di una trattativa che doveva portare nelle casse delPCI-PDS, della DC e del PSI una tangente miliardaria”.

Parve così spiegato perché fin dagli anni Ottanta – e prima –c’era tanto interesse a realizzare l’ampliamento e a costruire il Me-gaterminal carbonifero. Proprio mentre uscivano sui giornali que-ste pesanti accuse, Vado e Quiliano cedettero alle intriganti inizia-tive dell’ENEL. La Presidenza del Comitato dei Garanti della VIIUsl – con una lettera del 12 febbraio 1993 inviata alla Provincia ealla Procura – denunciava la condotta vergognosa dei comuni di

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namento ambientale utilizzando i dati di tale rete dando cosìun’immagine migliorativa – cioè falsa – della qualità dell’aria.Fin dal 1993 gli Ambientalisti di WWF, “Italia Nostra” e MODAavevano denunciato la mancanza a Savona di una rete di moni-toraggio a norma di legge (D.M. 20/5/1991) ma alla Provincianon bastarono 3 anni per la sua realizzazione e, infatti, non ave-va ancora attivato la propria rete di monitoraggio, dimostran-dosi così gravemente inadempiente per i controlli ambientali.

Lo studio Regionale Filse (così come il Piano Regionale deldicembre 1999) denunciò ancora gravi inadeguatezze per i con-trolli ambientali ed il costante superamento a Savona dei limitidella qualità dell’aria e dei livelli di attenzione per ossidi di azo-to, idrocarburi, benzene e particolato fine.

Quando nel 1999 l’ex Assessore Regione all’Ambiente NicolòAlonzo (DS), nel PIANO REGIONALE RIFIUTI del novembre diquell’anno, progettò la combustione dei rifiuti della Liguria comeCdr (Combustibile da Rifiuti) nella Centrale a carbone di Vado,alla quale sarebbe seguita una produzione di diossina e metalli pe-santi in pieno centro abitato spaventosa, a molti parve una follia ouna provocatoria boutade. Ma non si trattava affatto di uno scher-zo. Tutto venne bloccato dal tempestivo intervento del Ministerodell’Ambiente, ma è doveroso sottolineare – seppur triste e squal-lido – che già nel passato parte della spazzatura di Milano era sta-ta bruciata “segretamente” nella centrale a carbone di Vado. LeCentrali a carbone sono le uniche, infatti, in cui si possono bru-ciare rifiuti solidi. Nell’allegato de “Il sole 24 ore” del 16 marzo1996 era data per certa la combustione di rifiuti milanesi in cen-trale. L’ENEL e il Comune di Milano erano da tempo in trattativeper costruire una centrale elettrica alimentata a rifiuti; a Milano,comunque, erano in fase di progettazione almeno due incenerito-ri nuovi. Tuttavia riguardo alla combustione di rifiuti si era decisa-mente andati oltre la pianificazione, in quanto venne scritto che“una buona quantità di spazzatura di Milano parte segretamente eviene bruciata in via sperimentale nelle centrali ENEL a carbone diVado Ligure (Savona) e Fusina (Venezia-Marghera)”.

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Avviso di garanzia della Procura di Milano del periodo di “Mani pu-lite”. Si può leggere nelle motivazione di tale mandato: fatti relativi agliappalti Enel per i lavori di desolforazione delle centrali termoelettriche diBrindisi, Sulcis e Vado Ligure. Da “Epoca” del 19 ottobre 1993.

riproposte le tesi della Commissione di Spotorno e di Legambien-te. Già il 15 novembre 1995 come poi il 20 marzo 1998 la Pro-vincia di Savona, per ben 2 volte all’unanimità, votò per il depo-tenziamento e la completa metanizzazione della Centrale di Vado,come richiesto da mozioni di Verdi e Rifondazione Comunista,ma non si realizzò nessuna modifica per la Giunta Provinciale e lacentrale continuò imperterrita la combustione del carbone.

Le centraline della rete ENEL non erano ancora a norma diLegge e la Provincia di Savona pubblicò uno studio sull’inqui-

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Come documentato in un articolo del 23 dicembre 1998 de“Il Secolo XIX”, si era progettata la combustione a La Spezia ea Vado di vecchi copertoni della Pirelli. Le fumate nere che fuo-riuscivano dalle ciminiere alla fine degli anni Novanta erano po-polarmente conosciute come gli spurghi di tale combustione.Ma che cosa avvenne veramente? Su “Il Secolo XIX” si potevaleggere: “L’Enel ha fatto un accordo con la Pirelli per bruciare nel-le sue centrali i copertoni usati – un combustibile particolarmentecalorico – a costo zero”. Nello stesso periodo era partita una talesperimentazione a Fusina, nel veneziano, per verificare i possi-bili problemi alla salute derivanti da tale combustione. Era no-to che bruciare tali rifiuti avrebbe generato grandi quantità didiossina. E la diossina faceva immediatamente riaffiorare allamemoria il disastro di Seveso del 1976; se quella era stata defi-nita “una piccola Hiroshima italiana”, quante altre minuscoleHiroshima ci sarebbero state?

Tuttavia c’era chi sosteneva che se il Cdr fosse bruciato con-temporaneamente al carbone non si sarebbe prodotta diossina. Ilprofessor Eros Bacci, docente di ecotossicologia all’Università diSiena – uno degli esperti messi in campo da La Spezia per cerca-re di comprendere i reali effetti che avrebbe comportato la deci-sione della Regione sul Cdr – affermò che “quando i livelli di ani-dride solforosa (SO2) sono sufficientemente alti da raggiungere e su-perare quelli del cloro (Cl) dando valori del rapporto S/Cl maggioridell’unità, viene ostacolata la formazione di PCDD/F” così come de-sunto dagli studi di Gullet e Ramanathan del 1997.

E pensare che la piana di Vado si era disfatta di inceneritorimolto prima di tante altre città italiane. Nella primavera del 1986infatti chiuse l’inceneritore di Savona, ritenuto obsoleto da diversigruppi di contestazione popolare. Secondo questi cittadini, capeg-giati da Renzo Briano, ed esperti l’impianto era responsabile del-l’emissione di “microinquinanti organo-clorurati, idrocarburi polici-clici aromatici e metalli pesanti” oltre che di diossina.

Nell’inceneritore, che era posto a Legino 2 (alle spalle di Zi-nola), era bruciato l’80% dei rifiuti urbani, la restante percen-

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tuale finiva invece nella discarica di Cima Montà. I cittadini diLegino 2, diverse decine di famiglie, esasperati dai cattivi odoriprovenienti dalle ciminiere dell’impianto, inviarono un espostoall’autorità giudiziaria (al Procuratore della Repubblica di Savo-na e, per conoscenza, anche al Comando dei Carabinieri dellacittà, alla Guardia di Finanza, al sindaco, al coordinatore sanita-rio della VII Usl “del savonese” e all’Ufficio di Igiene). La Re-gione ordinò che entro il 31 dicembre 1986 si sarebbe dovutoabbandonare l’uso del sito, ma la chiusura avvenne prima.

Solo con la fine degli anni Ottanta vennero potenziate aVado le discariche del Boscaccio (rifiuti urbani) e di Bossari-no (rifiuti speciali) già esistenti da diversi anni.

La popolazione di Legino 2 aveva anche paura del nuovo de-puratore consortile in fase di costruzione; temeva infatti che imiasmi delle vasche di decantazione avrebbero provocato disa-gio e problemi sanitari. Purtroppo di lì a poco, con l’entrata infunzione dell’impianto, effettivamente i miasmi incominciaro-no a farsi sentire, soprattutto nelle calde e afose giornate estive.

Le polemiche si trascinarono fino al gennaio 2001, quando cioèl’Asl decise di organizzare una serie di studi sui decessi nella pianada Vado a Leginodegli ultimi diecianni. L’obiettivoera capire se vifosse correlazionetra le morti di cittadini residenti in zone limitrofe al depuratore e –tanto per non farsi mancare nulla – alla centrale di Vado. Da lì a unanno, promise l’Asl, sarebbero stati resi noti i risultati dello studio.

Tempi moderniCon gli anni Duemila la società Tirreno Power è subentrata

all’ENEL nella gestione della centrale e a partire dal 2004 iniziògrandi lavori di riammodernamento dell’impianto, con la sosti-

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zioni locali, scritta in una replica al precedente pamphlet nelgennaio 2001).

Nel 2001 si apprese che le centraline provinciali per i control-li dell’inquinamento atmosferico gestite da Provincia e ARPAL era-no rimaste bloccate da ben 18 mesi a causa di un guasto al siste-ma informatico, rendendo così impossibile il monitoraggio am-bientale. Nello stesso anno, nel volume 14 del NOTIZIARIO dellaSocietà Lichenologica Italiana presso il Museo Nazionale di Scien-ze Naturali di Torino, apparve un articolo del professor Massimi-liano Lupieri dell’Università di Trieste: “Biomonitoraggio della qua-lità dell’aria presso la centrale di Vado Ligure (SV) tramite licheni epi-filiti come bioindicatori e bioaccumulatori”. L’esame era il risultatodi 178 rilievi effettuati in 52 stazioni per lo studio della bioindi-cazione e in 21 stazioni per l’analisi delle deposizioni di 27 ele-menti nei talli di Parmelia camerata – una specie di lichene – (stu-dio di bioaccumulo). Dalle analisi si poté constatare che dal 1990la qualità dell’aria della rada era un pochino migliorata ma ciò cheallarmò fu la quantità di vanadio presente in concentrazioni ele-vate attorno alla fascia costiera. Il vanadio è prodotto dal carbonecombusto e le elevate quantità presenti in centro abitato andreb-bero quindi ricollegate direttamente alla centrale.

“Il lichene prospera dalla regione delle nubi agli spruzzati dal ma-re. Scala le vette dove nessun altro vegetale attecchisce. Non lo scorag-gia il deserto, non lo sfratta il ghiacciaio, non i tropici o il circolo po-lare. Sfida il buio delle caverne e si arricchisce nel cratere del vulcano.Teme solo la vicinanza dell’uomo”. Così ebbe a dire un grande poe-ta italiano 80 anni fa, il savonese Camillo Sbarbaro. Ironia dellasorte, negli anni passati toccò proprio al territorio savonese, daBergeggi ad Albissola, rilevare il preoccupante fenomeno denomi-nato “deserto lichenico”, situazione in cui, a causa del grave inqui-namento, i licheni (principali bioindicatori dello stato di salutedell’aria) arrivano perfino a essere incapaci di sopravvivere

Nel 2003 comparvero alcuni risultati riguardo all’inquina-mento atmosferico. Nelle CONCLUSIONI della relazione dell’AR-PAL del Dipartimento Provinciale di Savona intitolata Relazione

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tuzione di parte del gruppo a carbone con uno a metano. In oc-casione della cessione della centrale ai privati, il Ministero del-l’Ambiente impose temporaneamente limiti molto restrittivi ob-bligando la combustione sui gruppi 1 e 2 non ancora ristruttu-rati di olio senza tenore di zolfo (STZ) in attesa di una rapida ri-strutturazione dei gruppi 1 e 2 per il metano.

La Vado del nuovo millennio non si è trovata solo ad affron-tare il problema della centrale a carbone; basti ricordare, a que-sto proposito, le aspre polemiche riguardo alla realizzazione del-l’enorme piattaforma containers Maersk. Ma la Maersk è per ilmomento solo un progetto. La centrale elettrica è invece una re-altà inquinante da quarant’anni, secondo molti medici.

I toni con i quali ci si è espressi sui media sono stati, il piùdelle volte, molto pacati. Eppure c’è stato anche chi, voce fuo-ri dal coro, si è scagliato a spada tratta contro lo “strapotere”dell’establishment locale; era il dicembre 2000 quando vennestampato un opuscolo nel quale si poteva leggere, tra l’altro,di come, stando alle parole dell’autore “nel dopoguerra, le uni-che fantasie dei sindaci savonesi e dei loro circonvicini alleati[…] sono state profuse nella ricerca di spese esorbitanti da farsiper opere disgustose sia sotto il punto di vista architettonico chedi quello ambientalistico”; e ancora: “La centrale dell’ENEL; è sta-ta la geniale ‘toccata e fuga’ dei sindaci del Piano Regolatore Inter-comunale, la ciliegina sulla torta. Il massimo disprezzo per la salu-te del popolo (che non ha avuto nemmeno riduzioni di bolletta).[…] L’ENEL ha fatto mangiare tante persone, praticamente tutti.Vogliamo togliere pane e companatico a dei poveri candidati alladisoccupazione? Crepate di tumori, ma il pane non mancherà”.

Autore del testo fu Franco Pellero, già noto storico autodi-datta autore di numerose opere su Vado e il savonese in gene-re. È stata questa l’unica volta in cui lo stile politically correctè venuto meno nella nostra provincia; probabilmente Pellero,ormai malato, aveva deciso di affondare la lama, non potendopiù essere oggetto di attacchi e ripercussioni dal punto di vi-sta politico (molto dura fu la sua opinione sulle amministra-

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riassuntiva sulla qualità dell’aria monitorata nel Comune di Savo-na relativa agli anni 2000-2001 e 2002 si leggeva “La valutazio-ne dei dati di qualità dell’aria, monitorata nel Comune di Savonanel triennio 2000-2003 rappresenta complessivamente una situa-zione positiva, infatti, non si riscontrano situazioni particolarmentecritiche…”. Ma nella relazione dell’ARPAL non comparivano as-solutamente dati ed elaborazioni relative a molti importanti in-quinanti che dovrebbero essere attentamente monitorati per leg-ge dalla rete pubblica di centraline ed in particolare spiccava l’as-senza delle PTS (polveri totali sospese). Il MODA fornì l’elencodelle misurazioni mancanti nella relazione ARPAL:

Livelli di attenzione e di allarme per PTS (DM 25/11/94)Obiettivi di qualità per IPA (Idrocarburi policiclici aromatici) e

PM10 (particelle con diametro di 10 micron) (DM 25/11/94)Valori limite di qualità dell’aria per PTS, Piombo, Fluoro,

NMHC (idrocarburi non metanici) (DPCM 28/3/83 3e DPRn.203/88)

Valori guida di qualità dell’aria per PTS (DPR n. 203/88)Valore limite per le PM10 (DM 2/4/2002)Alla fine degli anni Duemila – in particolare nel 2006 – venne

definitivamente reso noto il progetto di ampliamento della centra-le che, stando alle stime, avrebbe comportato la spesa di circa 800milioni di euro, con ricadute importanti nell’occupazione del sa-vonese (ma le stime a riguardo erano contraddittorie) e una conse-guente situazione economica tutt’altro che disprezzabile (ma soloin certi ambiti) e, in conseguenza degli ampliamenti e della ristrut-turazione degli impianti vecchi ancora a carbone, un miglioramen-to della situazione ambientale di tutta la Provincia, in quanto sa-rebbero stati utilizzati migliori e moderni strumenti di rilevamentoe abbattimento delle sostanze inquinanti, mai impiegati dal 1970.

La commissione tecnica regionale, in sostanza, bocciò il pianodi ampliamento. Questo non era un problema: quello che piùavrebbe contato sarebbe stata la Via (Valutazione Impatto Am-bientale) e le decisioni del Governo. Il dottor Franceschi, in quan-to Referente Scientifico dell’Ordine dei Medici, ribadì: “Nessuno

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studio serio sulla centrale di Vado prende in esame le Pm 2,5 ovverole polveri sottili. Si continua a dire che una delle cause di maggior in-quinamento sia determinata dal traffico veicolare. È falso. Il 90%dell’inquinamento in Provincia di Savona [90%! Nda] provienedalla centrale e solo un 10% è assimilabile ad altre fonti”.

Nel 2007 si avviò il ciclo combinato a gas naturale da 760 Mwche soppiantò il 1° e il 2° gruppo a carbone. Allo stesso tempocontinuarono a funzionare completamente i gruppi a carbone,esempi di una progettazione ormai vetusta in quanto risalenti al-le teorie in campo energetico risalenti a circa mezzo secolo fa e dapiù di vent’anni del tutto fuori progettazione in tutto il mondooccidentale. Nello stesso periodo il Comune di Savona, il 31 lu-glio, votò all’unanimità per la metanizzazione completa dalle cen-trale di Vado-Quiliano e per l’abbandono totale del carbone.

L’associazione “Uniti per la Salute” (la principale associazio-ne di cittadini che combattono contro l’ampliamento della cen-trale, guidata dall’ing. Gianfranco Gervino) intanto aveva avvia-to una raccolta di firme contro l’ampliamento.

Ad ottobre del 2007 erano oltre 7000; il movimento inviò que-sta prima tornata di firme a diverse istituzioni (italiane e straniere).Accenni riguardo alla “ricevuta” dei documenti arrivarono perònon dal territorio nazionale, bensì da Bruxelles. Nello stesso mese,venerdì 19, al Teatro Nuovo di Valleggia venne organizzata la con-ferenza Produzione di Energia e Rischi per la Salute: la parola ai me-dici, con ospiti diversi scienziati tra i quali il dottor Giovanni Ghir-ga – pediatra di Civitavecchia e portavoce dei medici per l’Alto La-

zio (nonché volto notoper alcune apparizioni infamose trasmissioni tele-visive; i giornali in parti-colare sottolineavano isuoi interventi negli stu-di Rai con Santoro). Il

pubblico poté così appurare come dalle centrali a carbone fuorie-scano non meno di 67 sostanze inquinanti (48 almeno portatrici di

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tumori e 55 in grado comunque di arrecare gravi disturbi al siste-ma nervoso); le più pericolose sarebbero l’arsenico ed il mercurio.

Per quanto riguarda l’esposizione alle Pm 2,5 – e, ripeto, se-condo i medici tutti i cittadini della piana ne respirano incontrol-latamente quantità oscene ogni ora – basterebbero poche ore a lo-ro contatto, inalandole o assorbendole in altro modo, per avvele-nare il sangue e quindi gli organi. “I filtri in circolazione garantisco-no soltanto l’eliminazione delle polveri grossolane, le cosiddette Pm 10,ma non delle micropolveri, le più insidiose per l’uomo”. Ugo Trucco,presidente provinciale dei medici savonesi, chiarì che siccome l’Or-dine dei medici deve garantire la tutela dei cittadini contro rischi diinquinamento è ovviamente contro l’ampliamento della centrale.

Nell’agosto 2009 il MODA fornì alcuni dati sulla centrale: i co-sti esterni del funzionamento degli impianti sarebbero ammontatia 133 milioni di euro all’anno, di cui 40 milioni di euro per dan-ni alla salute e 93 milioni di euro per danni agli ecosistemi e allecose e riscaldamento globale. Mentre Tirreno Power ricaverebbedalla centrale un profitto dalla vendita di energia pari a circa 500milioni di euro all’anno, creerebbe danni all’ambiente per circa135 milioni all’anno pagati interamente dalla società civile.

Le conclusioni del MODA erano chiarissime: “in questo contestodi totale latitanza di pubblici controlli sulle polveri sottili TirrenoPower sfacciatamente chiede ancora un ampliamento a carbonecon un nuovo gruppo da ben 460 Mw. Data questa gravissima si-tuazione, documentata anche dalla Comunità Europea, a tuteladella salute e dell’ambiente e per motivi economici il MODA chie-de per questa “centrale in città” l’immediato depotenziamento e lacompleta metanizzazione con la chiusura dei 2 obsoleti gruppi acarbone da 660 Mw non a norma con le direttive UE IPPC man-tenendo il gruppo a gas (ciclo combinato) da 760 Mw che da soloproduce già il doppio dell’energia consumata in provincia di Sa-vona, per realizzare così depotenziamento e totale metanizzazionecome richiesto oggi autorevolmente dall’Ordine dei Medici di Sa-vona e come votato all’unanimità dai consigli comunali di Vado edi Quiliano, per 2 volte dal consiglio provinciale di Savona, come

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era stato richiesto dall’Istituto Superiore di Sanità dal Direttoreelaborazione dati, prof. Cortelessa, nel maggio ’88. La totale me-tanizzazione è stata votata anche dal Consiglio Comunale di Sa-vona in data 31 /07/2007”.

“La Commissione di Via nazionale ha dato il benestare all’am-pliamento a carbone perché la centrale si trova in una zona già classi-ficata dalla Regione come ‘inquinata’”. Così esordiva l’articolo de “laStampa” del 21 dicembre 2008, firmato da Ermanno Branca, ine-rente alle decisioni della commissione che per più di un anno ave-va tenuto in considerazione il progetto di ampliamento. E l’artico-lo si rifaceva alle informazioni tratte dal verbale della commissio-ne. Lo sgomento e l’incredulità, oltre che aver preso piede tra i Ver-di e tutti gli altri gruppi di contestazione (e tra i medici…), lasciòdecisamente di stucco i cittadini. “Che razza di motivazione è?”chiedeva qualcuno; oppure: “Allora è vero che è una zona inqui-nata!”. Lo sconforto dilagò con la rapidità di un passaparola. Sa-vona, Vado, Quiliano e La Spezia erano state inserite dalla Regio-ne nella cosiddetta “Zona 2”, vale a dire che erano considerate trale più inquinate della Liguria (con livelli rilevanti di polveri sottili,benzene e ossidi di azoto dispersi nell’aria); la centrale tra Vado-Quiliano poi, nel Piano della qualità dell’aria per la Regione, eraconsiderata la responsabile del 60% di emissioni di ossidi di azoto,del 64% delle polveri sottili e dell’80% degli ossidi di zolfo.

La Regione non era stata invitata a partecipare alle deci-sioni finali della commissione; non appena il ministro del-l’ambiente Prestigia-como avesse firmatoil Via, i gruppi dicontestazione, promi-sero, avrebbero avan-zato un ricorso al Tar.

Nel febbraio 2010 la Tirreno Power rese note due pagine in cuidichiarava la regolarità del lavoro in centrale e sostenendo di esserealtresì calunniati dalle numerose espressioni di protesta di alcuni

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cedura per il rilascio dell’Aia prima che si decidesse qualunque co-sa sull’ampliamento. Sostegno in questo senso vi fu da parte delComune di Quiliano e della Regione. Solo con il rilascio dell’Aia sipotrebbe comprendere ogni tipo di limiti emissivi e prescrizioni“con una precisa tempistica entro la quale l’azienda dovrà, ai sensi dilegge adeguare l’impianto applicando le BAT” come si poteva leggerenel libello informativo del Comune distribuito ai cittadini nel pri-mo mese del nuovo anno. Quel 16 dicembre a Roma si recaronoanche alcuni membri di “Uniti Per La Salute”, per chiedere un in-tervento di non più di cinque minuti proprio nelle trattative. Nonsolo non vennero fatti entrare, ma perfino la Regione (così è ripor-tato dai verbali), con l’assessore all’Ambiente Renata Briano al ta-volo delle decisioni, votò contro il loro ingresso. E tanto per nonfar mai mancare la parolina sussurrata nell’orecchio, così per puropettegolezzo (ma con lo sguardo severo di chi ti vuol dire: “Ué, miraccomando, io non ho detto nulla”), un membro della commis-sione, miracolosamente raggiunto da un attivista del comitato chegli mise sotto gli occhi la truculen-ta cartina della Regione nella qua-le si nota l’elevatissimo inquina-mento presente nel savonese, ri-spose alle domande con noncu-ranza: “Per quanto mi riguarda non ci porterei nemmeno la mia fa-miglia in vacanza da voi” e, prima di sparire oltre la cortina di ri-porti inguardabili della calca in procinto di andare al buffet, ag-giunse: “Mi dispiace per voi”.

Purtroppo non v’è alcuna testimonianza vocale – non ci si eraportati dietro i-pod o vecchi nastri – solo la memoria ha potuto re-gistrare indelebilmente quelle insulse parole di circostanza. Il veroe proprio terremoto – sia per le coscienze che per l’assetto politico-amministrativo del comprensorio – fu nel gennaio 2011, quandol’avvocato Roberto Suffia consegnò in Procura un documento (chesi avvalse della collaborazione di molti avvocati, medici e esperti, eche fu sottoscritto da 53 persone, molte delle quali direttamente

personaggi e gruppi ambientalisti o di cittadini. Tra le varie affer-mazioni si poté leggere: “La centrale di Vado Ligure rispetta tutti i pa-rametri imposti dalla legge italiana e dalla Comunità Europea, oltre aquelli imposti dai permessi di concessione rilasciati ai singoli impian-ti” e per quanto riguardava il monitoraggio si sostenne che “l’im-pianto vadese è dotato di un sistema di gestione ambientale che gli haconsentito di conseguire i più importanti riconoscimenti del settore”. Lepolemiche continuarono. Per cercare di raffreddare i bollenti spiri-ti e per evitare che la gente non preparata sull’argomento potessecredere alle accattivanti teorie dei gruppi di contestazione e del-l’Ordine dei medici, Tirreno Power organizzò una serie di visiteguidate agli impianti; complice la scelta del giorno (era sabato 19giugno, quindi in pieno weekend) e l’ampia pubblicità organizzataper tutti i media, le visite – protrattesi dalle 10.00 alle 19.00 – fu-rono piuttosto numerose. Fuori dagli impianti però venne orga-nizzato un picchetto di protesta. Nel frattempo “Uniti per la Salu-te” si mise in contatto con “Terra”, una società di consulenza am-bientale di San Donà di Piave (Ve); i risultati delle indagini dellasocietà riguardo all’inquinamento di Vado e Quiliano venneropubblicamente presentate in Sala Rossa, nell’edificio comunale diSavona, il 28 settembre 2010. Relatore dell’incontro fu il professorMarco Stevanin, amministratore delegato di “Terra”, docente allaColumbia University di New York e componente della Commis-sione di Valutazione d’impatto ambientale durante l’ultimo gover-no Prodi (2006-2008). Stevanin dimostrò efficacemente come ilprogetto di ampliamento proposto da Tirreno Power (con un nuo-

vo gruppo da 460 Mw)porterebbe ad un aumen-to dell’inquinamento, enon a una sua riduzione,come propagandato. Ste-

vanin affermò, tra l’altro: “L’industria fa bene a cercare il profitto, so-no le istituzioni pubbliche a dover dire fin dove ci si può spingere”.

Il 16 dicembre 2010 il sindaco di Vado, Caviglia, durante laconferenza dei servizi a Roma, richiese che venisse ultimata la pro-

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Lo stesso Governatore della Regione Liguria Claudio Bur-lando già in precedenza aveva dichiarato che l’ampliamento nonaveva carattere di pubblica utilità, e che “la richiesta di TirrenoPower non è motivata da esigenze di copertura del fabbisogno ener-getico nazionale, ma da esigenze di competitività aziendale”. Ri-cordiamo che Burlando era stato votato con un programma elet-torale in cui si esprimeva la contrarietà al progetto di TirrenoPower (tappezzando la Provincia di manifesti contro l’amplia-mento), per poi cambiare idea nel luglio 2011, tradendo così ilmandato assegnatogli dai propri elettori.

Tirreno Power ovviamente non fece attendere le sue ragionie replicò dichiarandosi “indignata” e pronta a fare “tutti i passi le-gali necessari per tutelare l’immagine e la reputazione dell’azienda”.

Per i cittadini esasperati era curioso vedere sui quotidiani delgiorno dopo il termine “indignato” usato dagli “inquinatori”, enon associato agli “inquinati” o ai malati. L’esposto penale vennesuccessivamente sostenuto da quasi tutti i partiti provinciali5 (perla prima volta in 40 anni quindi gran parte della politica sostene-va un atto penale contro la centrale a carbone), ad eccezione di PDe PDL, che sulla questione Tirreno Power hanno spesso sostenutoposizioni sostanzialmente simili. Nella lettera polemica del segre-tario del PD Di Tullio, secondo cui la politica non si deve occu-pare di denunce, perché “il compito della politica” sarebbe “altro,ovvero risolvere i problemi”, Stefano Milano della libreria Ubikscrisse: “Sig. Di Tullio, cosa c’è di più ‘politico’ di occuparsi della mi-naccia alla vita e alla salute di migliaia di persone? Arrivare all’attolegale (che di per sé è un elemento di sconfitta per tutti, anche per chilo propone) si rende necessario proprio perché la politica non è so-stanzialmente stata in grado di tutelare gli interessi legittimi della co-munità, tra cui quello della salute, garantiti dalla Costituzione…”.

5 I partiti che sostennero l’esposto furono: i partiti di centro (API,UDC), tutta la sinistra (Sinistra Ecologia e Libertà, Rifondazione Comuni-sta, PDCI, PCL, Verdi), la destra savonese (Futuro e Libertà, Nuova Destrasavonese), l’Italia dei Valori, il MoVimento 5 Stelle, Noi per Savona e 4 can-didati sindaco su 7 (Pongiglione, De Benedetti, Anselmo, Ghione).

colpite dalle conseguenze dell’inquinamento) che richiedeva il se-questro preventivo degli impianti per il reato di “getto pericoloso dicose, lesioni personali e omicidio per dolo eventuale”. L’esposto si ri-chiamava al principio giuridico per cui le persone che hanno co-perto ruoli di responsabilità “non potevano non sapere” dell’enormedanno che la centrale ha procurato e procura ai cittadini anche intermini di mortalità. Nelle 30 pagine dell’esposto venivano ripor-tate alcune accuse fondamentali: “chi inquina l’atmosfera non puònon sapere che avvelena anche il suolo e le acque circostanti. Il codicepenale punisce severamente chi si rende colpevole di avvelenamentodelle acque e/o delle sostanze destinate all’alimentazione (cfr. art. 439cod. pen.)”; “la regolare autorizzazione amministrativa dell’attivitànon è da sola sufficiente per escludere il reato quando dall’esercizio del-l'attività derivi pregiudizio per la salute dei terzi ovvero anche la dif-fusione di polveri nell'atmosfera è perseguibile ai sensi dell’art. 674cod. pen”; “si punisce non solo ogni condotta attiva, ma anche ognicondotta omissiva che provochi l’evento pericoloso, atteggiandosi comereato commissivo mediante omissione”.

Anche la Corte di Cassazione, prendendo atto del principio co-munitario sintetizzato nella regola di prevenzione, ancor prima chedi punizione, “chi inquina paga” (cfr.: Cassazione penale, sez. III,12/02/2009, n. 15734) aveva recentemente ribadito che: “Il reatodi getto pericoloso di cose è integrabile indipendentemente dal supera-mento dei valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla leg-ge, in quanto anche un’attività produttiva di carattere industriale au-torizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attua-zione dei possibili accorgimenti tecnici”.

Nel documento era anche ribadito che esposti alla pericolositàdei fumi sarebbero tutti i cittadini liguri abitanti entro un raggio di50 Km dalla centrale. Un gruppo di firmatari attese fuori dell’edi-ficio giudiziario la consegna del documento. I giornalisti (tra cui gliinviati de Le Iene di Mediaset) erano anch’essi appostati fuori conmacchine fotografiche e telecamere. Suffia affermò: “Se un tempol’ENEL produceva energia elettrica come servizio reso ai cittadini, oggiTirreno Power produce energia a scopo di lucro”.

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Tuttavia la sera del 18 febbraio 2011 il Teatro Chiabrera di Sa-vona era gremito di gente: “Uniti Per La Salute” aveva organizza-to un incontro sul problema dell’inquinamento della centrale in-vitando diversi medici ed esperti e, cosa molto gradita dal pubbli-co, rappresentanti di altri movimenti per la difesa dell’ambientecostretti ad avere a che fare con problematiche molto simili a quel-le di Vado, Quiliano e Savona. Si trattava di esponenti di PortoTolle, Civitavecchia, Brindisi (cioè città dove le centrali esistono damolti anni), ma ci fu anche un esponente del movimento NO CAR-BONE ROSSANO (gruppo che sta cercando di evitare la costruzio-ne di una centrale a carbone in Calabria). A maggio la Confedera-zione Cobas della Val Bormida rese noto che l’Associazione italia-na di epidemiologia ha inserito la zona Cengio-Saliceto tra le 44aree italiane dove il numero di malati per tumori supera di moltola media nazionale. I Cobas affermarono che “la bassa Valle Bor-mida è tristemente tutto un rosario di tumori” e oltre ad aver avutograndi problemi a causa dell’Acna risulta attualmente (cioè, attual-mente ma già da molti anni…) “zona sottoposta a polveri di carbo-ne e polveri sottili provenienti dalla centrale di Vado Ligure e dagli im-pianti di Bragno”. Nei primi giorni di giugno il sindaco Gian Pao-lo Calvi di Spotorno e l’assessore comunale ai lavori pubblici Mat-tia Fiorini si sono schierati con Vado contro l’ipotesi di amplia-mento della centrale. “È necessario” dichiarò Calvi “garantire allapopolazione dei nostri territori un’aria più pulita e la consapevolezzadi poter vivere in un ambiente salubre”. In seguito alla grave crisieconomica che nel 2008 ha investito il mondo, la politica ha ter-giversato riguardo al problema della centrale: dichiarazioni sibilli-ne, poca voglia di soffermarsi seriamente sul problema, laconicheparole del tipo “vedremo…”. Queste posizioni sono il risultatodella situazione drammatica del paese: fabbriche ed industrie chechiudono o che sono costrette a mettere in cassa integrazione buo-na parte dei lavoratori per non collassare. Dire apertamente che lacentrale è pericolosa significherebbe, indirettamente, privare delposto di lavoro un numero non certo (si parla di diverse centina-ia) di operai, perché significherebbe bloccare i progetti di amplia-mento se non perfino di fare luce sulle lacune in ambito di tutela

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ambientale. Il MODA (con Fadda e Torcello) è ormai andato oltrel’ultimo tabù sulla questione, sostenendo che siccome la centralenon ha ottenuto l’Aia ed è quindi fuori norma, i due gruppi a car-bone vanno immediatamente fatti chiudere. Crisi o non crisi.

Questa posizione ha trovato entusiasti sostenitori soprattutto inseguito alla bocciatura, da parte del Consiglio di Stato, di un de-creto del 2009 varato dal ministero dell’Ambiente che approvava ilVia per l’uso massiccio di carbone nella centrale di Porto Tolle(maggio 2011). Sempre il MODA continua a sostenere la pericolo-sità delle convenzioni stipulate già anni addietro riguardo la com-bustione di almeno 40.000 tonnellate di Cdr (combustibile dei ri-fiuti) nelle caldaie della centrale, con rilascio di importanti quanti-tà di diossina e metalli pesanti nell’atmosfera. Se un tempo (1988– caro lettore, torna a leggere quella parte) i sindacati si erano schie-rati con i gruppi di contestazione perché gli operai dell’impiantonon meritavano di essere sottoposti a evidenti pericoli per la salute(oltre che di essere sfruttati per molte ore, ma questa è un’altra que-stione), oggi si chiede praticamente all’unanimità di lasciare da par-te i problemi di salute per dare lavoro. A chi? Boh! Così come do-po quarant’anni non è chiaro a chi dovrebbero giovare gli amplia-menti tanto agognati6. Qualche politico sostiene che non è il casodi fare tante parole: la maggior parte degli operai verrebbe da fuo-ri e sarebbero comunque per la maggior parte stranieri (extraco-munitari o delle zone dell’Est da poco entrate nell’Unione). In oc-casione di alcuni tafferugli tra stranieri avvenuti all’uscita della cen-trale qualcuno ha iniziato a mostrare diffidenza verso le nuove ini-ziative. “Tanto lavoro, tanti stranieri, tanta delinquenza” è il natu-rale pensiero di alcune frange politiche. Le indecisioni e la man-canza di incisività mandano però in bestia i cittadini esasperati.

6 L’ex Assessore Regionale all’Ambiente Zunino, in un articolo su “LaStampa” del 1 giugno 2011, ribadiva il concetto: attualmente problemi occu-pazionali, per quanto riguarda la centrale, non ce ne sono. Le teorie riguardo apossibili benefici, in un futuro indeterminato, vanno presi per quello che so-no. Cioè teorie. È doveroso invece tutelare i cittadini e il lavoro che attual-mente si svolge nella piana, senza sperare in gloriose rivoluzioni.

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subito la piaga “inspiegabile” della malattia tumorale. Tuttiritratti veri, tutti cittadini del savonese.

Il termine “ecatombe” rievoca le mattanze rituali (per lopiù animali) dell’antichità classica, ma purtroppo qui le vitti-me (umane) sono state immolate a una divinità ben più fero-ce e subdola di qualunque altra in un pantheon pagano e chetuttavia vanta un gran numero di fedeli: una volta lo chiama-vano il Dio Denaro, da qualche tempo qualcuno lo chiamaProgresso (o Azienda, sempre con la maiuscola). Così in que-sta storia di uomini non illustri (mi sia concessa la citazionedel libro di Giuseppe Pontiggia) si può toccare con mano ildramma che si nascondesotto le rassicuranti stime diun fronte politico e al di làdegli agghiaccianti resocon-ti dell’Ordine dei medici edei comitati. Del resto nonpuò andare davvero tuttobene come si vuol far crede-re, da qualche parte (oltre letende inamidate di una fi-nestra, appena dietro la porta smaltata di un appartamento)qualcuno è entrato in uno di quegli elenchi da capogiro. Il te-sto è accompagnato da meravigliose fotografie (in quantoevocative e melanconiche allo stesso tempo) di sculture fune-bri. Le morbide forme della fanciulla modellate per decorareuna delle tombe monumentali del cimitero di Staglieno ac-compagnano così l’epigramma ad perpetuum dell’adolescentesfinita dalla tragica fatalità d’esser nata all’ombra delle cimi-niere, là dove si è respirata “l’intera tavola di Mendeleev”, co-sì come la candida compostezza di Ilaria Del Carretto si ad-dice alla sventurata sorte della giovane madre che non ha fat-to in tempo ad allevare il figlio, e il primo piano di un pugnonerboruto di uomo di fatica è l’immagine più onorevole che

Il resto di nienteSabato 11 giugno, nel pomeriggio, a poche ore dal referen-

dum sul nucleare, in piazza Sisto IV, innanzi al Municipio di Sa-vona, venne organizzata una manifestazione a favore dell’am-biente ed in particolare contro l’utilizzo del carbone nella cen-trale di Vado. Oltre a momenti di divulgazione, letture e musi-ca, il momento più emblematico fu il finto tributo da parte dialcuni figuranti in costume ai morti di cancro che, secondo lestime dei medici e degli scienziati, la centrale avrebbe provoca-to in quarant’anni di attività: la piazza era stata disseminata dicroci bianche, come fosse stato un sacrario di guerra, e gli spet-tatori potevano passeggiare tranquillamente in quel singolarepraticello macabro.

Grande commozione ha suscitato la lettura recitata di untesto teatrale che già dal titolo dice tutto: Savona. Storie diuna ecatombe. L’opera, scritta da Alma Carlevarino, è un con-centrato di triste realtà: si tratta di una serie di ritratti essen-ziali di decine di uomini, donne, ragazzi e bambini presenta-ti con un nome fittizio quanto comune, vittime che hanno

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convinzioni per quanto riguardava la questione energetica(contro il 59% in Liguria); anche a Vado passò il SÌ. Il dato èda ritenere interessante, in quanto denota una viva partecipa-zione della popolazione riguardo il futuro utilizzo di fonti rin-novabili al posto del classico carbone (e per forza Vado avevaben presente il carbone…) e dell’inquietante atomo (industriaquesta che sarebbe dovuta praticamente incominciare da zerodopo l’arresto avvenuto nel lontano ’87, proprio dopo il refe-rendum post Chernobyl, e che dopo il disastro di Fukushimanon dava più ormai molte rassicurazioni).

Nel frattempo, dopo circa un paio di mesi dagli ultimi in-contri, Tirreno Power sollecitò le amministrazioni (Regionesoprattutto) a riprendere il confronto per l’ampliamento: nonc’era più tempo da perdere, che si decidesse una buona voltacosa fare entro l’estate.

Il 16 giugno i giornali riportarono la notizia che la Procu-ra di Savona s’era messa ad indagare sulla questione dei nu-merosi decessi per malattie tumorali nell’area attorno allacentrale; la magistratura savonese aveva due “filoni” di inda-gine aperti su Tirreno Power: uno relativo a eventuali ipotesidi inquinamento ambientale di aria e acqua, l’altro riguar-dante la tutela della salute. Per questo secondo filone i gra-

si potesse desiderare per la rievocata immagine del padre de-vastato dalle cure inutili. Un’Antologia di Spoon River italia-na, diretta, drammatica, che ammicca al tono mesto e inelut-tabile del De André di Non al denaro, non all’amore né al cie-lo, in una rivisitazione del testo in chiave contemporanea che– avesse avuto il tempo di darle un’occhiata – non sarebbe af-fatto dispiaciuta alla Pivano che scriveva con entusiasmo lasua recensione ai libri cardine del libero pensiero.

Era da poco finita la campagna elettorale a Savona che vi-de riconfermata la presenza della sinistra, anche se il PartitoDemocratico aveva perso diversi punti percentuali a favoredelle altre liste di sinistra. Durante la campagna la questionedella centrale era stato, ovviamente, un importante tema di-battuto dai diversi candidati. Non è affatto stato un caso cheil MoVimento 5 Stelle abbia preso circa tremila voti e quindisia entrato in Consiglio Comunale, all’opposizione; il com-mento delle altre liste vincitrici, riguardo a questa vittoria cla-morosa ed inaspettata, era stato piuttosto laconico. “È un vo-to di protesta, come ce ne sono stati tanti altri in Italia” era ilsenso dell’espressione annoiata dei politici intervistati al ri-guardo. In verità se il MoVimento 5 Stelle ha avuto la fortu-na che ha avuto è stato soprattutto perché la questione dellacentrale era – ed è – molto sentita da parte della cittadinanza.Soprattutto dall’elettorato giovane, che non ha nessuna in-tenzione di sottostare a diktat perentori di ormai sorpassateconcezioni politiche dell’altro secolo.

Il referendum sul nucleare, così come quello sull’acqua esul legittimo impedimento, riportò l’Italia alle urne dopo an-ni di quasi totale disinteresse per le questioni politiche e so-ciali dello stivale. Vinsero i SÌ in tutti i quesiti. Ma quello checolpisce, nell’assetto della piccola provincia savonese, è il da-to proveniente da Vado e riguardante l’afflusso alle urne: piùdel 70% dei cittadini aventi diritto di voto espresse le sue

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Nella lista di tali sostanze spiccavano metalli pesanti, arsenicoed idrocarburi policiclici aromatici con valori in alcuni casianche 100 (cento) volte superiori ai limiti di legge. Le con-centrazioni di tali elementi erano talmente alte, rispetto ai da-ti rilevati durante altre misurazioni effettuate in vari torrentiliguri, da sforare perfino nel grafico dei valori. Ma al di là del-la notizia di quest’indagine, ciò che fece risaltare l’articolo fula tragicomica constatazione che tale studio (più volte citatoin precedenza dai comitati) era stato dimenticato in Regione,e mai considerato, dal gennaio 2010. Sebbene impossibile, almomento, affermare con certezza che tali livelli preoccupantisiano derivati dall’inquinamento della centrale (si deve anchetenere presente che nel secolo precedente sulle sponde delQuiliano erano in attività diverse industrie e che, comunque,gli inquinanti potrebbero essere stati trasportati in quel pun-to dalle correnti da altri fondali più o meno distanti comun-que della rada) molti fecero un veloce accostamento tra scari-co delle acque e centrale.

Il piombo rilevato ammontava a una quantità di 150mg/kg (il limite consentito è di 30 mg/kg), il benzo(a)pirene(idrocarburo policiclico aromatico cancerogeno) a 4,56mg/kg (il limite è invece inferiore allo 0,1). Gli idrocarburipoliciclici aromatici sono notoriamente una conseguenza del-la combustione di fonti fossili. I Comuni, per questo, si mi-sero sull’attenti.

Il comitato “Uniti Per La Salute” aveva già da qualche tem-po incominciato a suggerire ad alcuni politici di dare un’occhia-ta a quello studio “dimenticato in un cassetto della Regione”, co-me sottolineato dalla stampa.

La data decisiva era stata fissata: mercoledì 13 luglio. Quelgiorno, nella Conferenza dei servizi a Roma, si sarebbe con-clusa una lunga stagione per tutta la provincia savonese, lun-ga quanto la storia della centrale.

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vissimi reati ipotizzati (a carico di ignoti) erano di lesioni col-pose ed omicidio colposo plurimo. Per poter meglio com-prendere l’esatta entità del danno ipotizzato, la Procura affi-dò a cinque esperti (medici e scienziati di fama nazionale) ilcompito di “valutare la qualità e gli effetti delle emissioni delleciminiere e degli scarichi della centrale”. Il tutto era la natura-le conseguenza dell’iter incominciato a gennaio, quando erastato depositato in Procura il famoso ed inquietante espostocontro ignoti con le ipotesi di reato di di “getto pericoloso dicose, lesioni personali e omicidio per dolo eventuale”. Il lavorodei cinque esperti consisteva anche nello stabilire se effettiva-mente la centrale, con le sue immissioni di polveri sottili, po-tesse essere la responsabile dei tumori che hanno ucciso (efatto ammalare) un gran numero di cittadini dell’interlandsavonese. Per stabilire tutto ciò si sarebbero serviti anche dialcuni studi dell’Ist: quello comprendente il decennio 1988-1998 e quello relativo al quinquennio 1999-2004. Il primoper mortalità maschile al polmone rilevava una media annuadi 54 casi su 100.000 in Italia, ma che diventavano 97 casi aSavona e ben 112 casi nella sola Vado Ligure. Cifre ancorapiù inquietanti per la mortalità femminile annuale su100.000 abitanti: su 7 casi in Italia ne corrispondevano ben36 a Noli. Il secondo, invece, riteneva nella norma italianal’incidenza rilevata.

Tuttavia, nel 2010, proprio l’Ist non era stato affatto cle-mente con lo studio di impatto ambientale presentato da Tir-reno Power. L’azienda comunque si mostrò sempre e comun-que tranquilla, continuando anzi a ribadire l’assoluta corret-tezza del lavoro svolto in centrale.

Il giorno seguente un’altra notizia da prima pagina: unostudio dell’Arpal aveva individuato nei sedimenti melmosi difronte alla foce del torrente Quiliano (il punto nel quale si ri-versa in mare l’acqua di raffreddamento della centrale) unaquantità di elementi inquinanti da far accapponare la pelle.

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prese per il 13 luglio (cioè prima del rilascio dell’Aia), eral’azione legale e nei vari comunicati e diffide sottolinearonoproprio questa possibilità.

Umiliati e offesiLa sera del 13 luglio, guardando il TGR innanzi ad una fetta

d’anguria o di melone, un numero non quantificabile di cittadinisavonesi venne colto da improvviso arresto cardiaco. Ma durò po-chi secondi e continuarono tutti a vivere…

L’ampliamento era stato deciso, con un investimento dicirca 1400 milioni. I lavori dovrebbero durare 12 anni, divi-si in tre fasi distinte: per prima cosa si costruirà subito il nuo-vo gruppo a carbone da 460 Mw che entrerà in funzione insei anni circa (l’inizio dei lavori è stato pronosticato già per il2012), nel momento stesso dell’avvio dei lavori del nuovogruppo, inizierà la trasformazione del parco a carbone al-l’aperto in un deposito chiuso in silos, e contestualmente an-che la ristrutturazione dei due gruppi a carbone in attività perridurne parzialmente l’inquinamento. Quando il nuovo

Nei giorni immediatamente precedenti l’incontro ci fuuna grande agitazione nei gruppi di contestazione, fioccaro-no dichiarazioni sui giornali di ogni tipo; in testa il MODA eil Comitato ambiente e salute di Spotorno-Noli, inviaronouna raccomandata urgente al Ministero dell’Ambiente, dellaSalute e dello Sviluppo economico, al presidente della Com-missione Aia, al presidente della Provincia (Angelo Vaccarez-za) e al presidente della Regione (Claudio Burlando) richie-dendo l’immediata chiusura dei gruppi a carbone in attività“obsoleti con più di quarant’anni alle spalle” responsabili delmassiccio inquinamento della piana.

Nelle stesse ore Verdi, Comunisti Italiani, Rifondazione,Sel, MoVimento 5 Stelle, Noi per Savona, Uniti Per La Salute,Arci, Acli, Anpi, Legambiente, Italia Nostra, WWF e altre as-sociazioni del comprensorio presentarono “formalmente” unAtto di Diffida (inviato al Ministero dello Sviluppo econo-mico, dell’Ambiente, alla Regione ed alla Provincia) riguardoal progetto di ampliamento, nel quale si richiamavano varieirregolarità normative (assenza di procedimento AIA, assenzadi molte prescrizioni, assenza di una Valutazione di ImpattoSanitario, mancanza di una completa campagna pubblica dicontrolli, ecc).

Anche in questa iniziativa, volta a salvaguardare la salutepubblica (che univa quasi tutte le principali realtà associativee partitiche del territorio), spiccava in modo imbarazzantel’assenza del Partito Democratico, lasciato nuovamente soloanche dalle Associazioni notoriamente “vicine” al PD, comeArci, Acli e Anpi. Vado e Quiliano, insieme a tutti gli altri co-muni della provincia interessati agli effetti nefasti del carbo-ne (in tutto 18 Consigli Comunali) erano ovviamente schie-rati dalla stessa parte dei Comitati contro l’ampliamento acarbone.

L’unica arma rimasta a disposizione di tutti questi gruppie di tutte queste comunità, qualora le decisioni fossero state

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nel registro degli indagati per false fatturazioni della ditta De-mont, proprio per lavori alla Tirreno Power.

Totale indignazione espressero i gruppi di contestazione e di-verse frange politiche. Tutti (da Legambiente ai Verdi, dal MoVi-mento 5 Stelle ai vari membri dell’opposizione savonese) consta-tarono come le decisioni prese si fossero rilevate diverse dalle fer-me posizioni che fino a pochi giorni prima sembravano far ben

sperare; l’Aia sarebbe stata rilasciata in seguito all’avvio dei lavori(non il contrario) e la realizzazione del terzo gruppo a carbonenon era affatto stata scongiurata. Si accusò apertamente il gover-natore Burlando di aver cambiato rotta all’improvviso in viso allesperanze di migliaia di cittadini liguri. E pesanti accuse vennerorivolte anche al PD savonese che in un primo tempo, all’epoca del-le elezioni regionali, si era prodigato (con tanto di manifesti e rac-colta di firme) contro l’ampliamento, mentre poi… La centralenon aveva problemi né di occupazione né di produzione energe-tica, si diceva. E poi, al di là di tutto, non venne speso un rigo afavore del metano. Perché il carbone (universalmente noto per lapericolosità della combustione) poteva essere bruciato e il metano(un po’ più costoso sì ma con molti meno rischi inquinanti) nem-meno preso in considerazione? O perché il carbone sì e il solare,l’eolico o chissà che altro invece… nada? Milena De Benedetti(consigliere comunale a Savona del MoVimento 5 Stelle) affermò:“Sono calpestate le volontà e le esigenze dei cittadini da coloro che colvoto dovrebbero rappresentarli. Questo avviene in termini e modi chesanno di presa in giro e offesa alla loro intelligenza. Far passare percondizioni poste all’azienda ‘in cambio di’, quelle che dovrebbero es-sere invece richieste obbligatorie a prescindere. Annunciare nei titoli‘No al terzo gruppo’ quello che invece è nella sostanza un sì totale e

gruppo da 460 Mw entrerebbe in funzione, uno dei duegruppi vecchi da 330 Mw verrebbe demolito e sostituito dauno nuovo ma della stessa potenza, e questo, più o meno, intre anni. Dopo poco, stessa sorte toccherebbe al gruppo ge-mello anch’esso in funzione dal 1970. Ma per quest’ultimaparte del progetto, la costruzione di un nuovo gruppo da 330Mw (che sarebbe il terzo) potrà avvenire solo se prima la cen-trale otterrà adeguate valutazioni ambientali; queste valuta-zioni (esami epidemiologici e dati ambientali) dovranno esse-re verificate dal Ministero dell’Ambiente e della Salute, daRegione, Arpal, Provincia e Comuni e pagate in toto da Tir-reno Power, che però non potrà gestirne il controllo come inpassato.

Entro poche settimane i due Comuni (Vado e Quiliano) si sa-rebbero dovuti incontrare con Tirreno Power per accordi burocra-tici quali alcuni interventi rivolti a compensare “il disturbo” per ilavori come ad esempio l’installazione di impianti solari, eventualiagevolazioni finanziarie e costituzione di una rete per il teleriscal-damento. Grande soddisfazione venne dichiarata dalla Provincia,dall’Unione Industriali (il cui vicepresidente è proprio GiovanniGosio, direttore generale di Tirreno Power), Lega e dai sindacati.Un giornalista di Rai3 ci riferì di aver visto festeggiare sindacalistie industriali insieme nella sede di questi ultimi, anche perché, perle commesse che ne sarebbero scaturite, si ritenne certa la collabo-razione e l’utilizzo di realtà e forze lavorative del posto. Lo stessoFabio Atzori, come Presidente dell’Unione Industriali, dichiaròche “per Savona è come aver vinto al Superenalotto”, ma contestual-mente anche come Amministratore Delegato della ditta Demont(che ha forti interessi economici con Tirreno Power), in un attimodi confusione tra interesse pubblico e interesse privato, dichiaròche, grazie al nuovo progetto di Tirreno Power, finalmente avreb-be potuto assumere 10 nuovi dipendenti.

Ricordiamo, per dover di cronaca, che, come riporta il gior-nale “La Stampa”, Atzori qualche mese prima era stato iscritto

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Hanno vinto loro: chi fa affari sulla nostra pelle, chi mette pan-cia sopra i nostri diritti.

Non hanno avuto pietà dei nostri polmoni, non hanno avutopaura di future manette per omicidio colposo plurimo.

Da domani, potranno trovare le ali spezzate del nostro Senso Ci-vico nel Mercatino dell’usato. A fianco di Felicità e Futuro, Salutee Diritti, se non li hanno già venduti.

Tredici Luglio Duemilaundici: ci ricorderemo di questo giornoopaco, quando negli anni a venire moriranno molti più figli dellanostra gente.

Per mali ineluttabili.Ovviamente.

Del tutto inascoltate furono dunque le grida d’allarme lan-ciate da medici, scienziati e oncologi di fama internazionale, daimedici per l’ambiente, dall’Ordine dei Medici, dalle associazio-ni ambientaliste.

Il progetto peraltro fu portato avanti da azienda, Ministeri eRegione anche al costo di aver creato una grave frattura con ilterritorio, dato che non tenne conto della posizione della popo-lazione savonese e di tutti i sindaci dei 18 comuni interessati,contrari all’ampliamento.

Un progetto propagandato come una “contropartita neces-saria” per indurre l’azienda ad effettuare quegli interventi dimiglioramento per gli impianti esistenti che invece sono ri-chiesti per legge dalla normativa IPPC. L’azienda, per ottem-perare ai suoi obblighi di legge, chiese e ottenne quindi unapesantissima e inaccettabile contropartita in termini di futuridanni ambientali e sanitari.

La segreteria Provinciale del PD (guidata da Livio Di Tul-lio), principale sostenitrice del progetto di ampliamento (equindi secondo i Comitati moralmente responsabile della ge-stione da anni della questione Tirreno Power), sulla centraleaveva dichiarato “piena fiducia negli organismi pubblici prepo-

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incondizionato a qualsiasi desiderata di Tirreno Power”. I Verdi, tra-mite il portavoce Simona Simonetti, si espressero invece in questitoni: “L’ampliamento è stato concesso nonostante la consapevolezzadei danni alla popolazione. Inoltre non vi è necessità energetica: l’Ita-lia è tecnicamente autosufficiente” e nei confronti del Pd (che eracomunque soddisfatto delle decisioni) affermò che la giunta “de-ve spiegare agli abitanti della provincia di Savona perché ha conces-so l’ampliamento nonostante l’elevato tasso di tumori e malattie pol-monari riscontrato nella provincia di Savona, senza che vi sia neces-sità di una nuova energia”. Non piacque nemmeno molto la con-dotta di alcuni quotidiani che, nelle sezioni locali, trattarono osbrigativamente la clamorosa notizia (poco spazio per una notiziadi quel peso) o utilizzarono titoloni ingannevoli (Tirreno Power ce-de), quasi avessero voluto far passare l’errata idea che la Regionel’aveva avuta vinta sui progetti dell’azienda. Stefano Milano dellaUbik pubblicò su Internet alcune personali riflessioni; tra queste

spiccava l’accostamento del13 luglio 2011 ad una sorta digiorno del giudizio che neglianni a venire, nei decenni fu-

turi, sarà ricordato come la data più terribile della storia locale: ilgiorno della condanna a morte di centinaia e centinaia di perso-ne. E tutti, davanti al dolore di un caro – in sostanza – ne sa-pranno la causa. Lo scritto venne anche esposto in alcune bache-che pubbliche:

La Morte si sconta ampliando…Ieri è arrivata la decisione:

costruzione di nuovi devastanti gruppi a carbone per Vado/Savona, contro la nostra volontà

Ieri hanno deciso per l’ampliamento della centrale a carbone diVado Ligure. Nuovi gruppi a carbone che devasteranno la nostraProvincia per altri 50 anni.

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sti al controllo della salute delle persone”, e questo pur sapendodella insufficiente misurazione delle nocive polveri PM2,5 daparte dell’ARPAL (i cui dirigenti regionali peraltro sono giàstati indagati in altre circostanze dalla Procura di Genova perfalso, turbativa d’asta ed altri gravi capi d’accusa), della nullamisurazione delle pericolosissime polveri ultrafini PM1 ePM0,1 (che nessun gruppo energetico anche di nuova genera-zione è in grado di trattenere), della mancanza di controllipubblici delle emissioni delle ciminiere della centrale e degliscarichi idrici (il controllo è effettuato dalla stessa Tirreno Po-wer: il controllato è anche il controllore), della non ottempe-ranza di molte prescrizioni, della mancanza di AutorizzazioneIntegrata Ambientale, dei valori di inquinamento di aria, ac-qua e terreno fuori norma, dell’assenza di una seria indagineepidemiologica, di una Valutazione di Impatto Sanitario, diun Registro Tumori, del non adeguamento di Tirreno Poweralle normative europee.

Tutto a posto e niente in ordineA pochi giorni di distanza dalla decisione i toni non si era-

no affatto calmati e sembrava proprio che non ci si fosse af-fatto rassegnati alla notizia. Secondo il sindaco di Vado, Ca-viglia, prima di sei o sette anni i lavori non sarebbero comin-ciati affatto: prima di tutto si sarebbe dovuta effettuare l’in-dagine epidemiologica (condizione presente nella prescrizioneinserita nel Via del 27 luglio 2009). Il MODA non usò mezzitermini: “Regione e Provincia hanno fatto solo gli interessi diTirreno Power perché oltre ad autorizzare il nuovo gruppo, nonhanno nemmeno imposto la chiusura immediata dei due gruppia carbone obsoleti. Tutto questo evidenzia che gli enti non han-no tenuto conto dell’ampia documentazione scientifica sull’in-quinamento prodotto dalla centrale. Ci auguriamo almeno che iComuni facciano ricorso al Tar”. Nel mondo politico scoppiòanche una poco nobile diatriba tra i due principali partiti

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(PDL e PD), tra chi per primo aveva creduto nella causa dellaristrutturazione della centrale da poco approvata. Una sorta dirincorsa ad attribuirsi i meriti di un ampliamento di potenzacon nuovi gruppi energetici a carbone, la cui durata previstadi funzionamento è di circa 50 anni.

Il PD e la CGIL (il segretario PD Di Tullio era stato per an-ni segretario della Camera del Lavoro e, secondo molti, ha an-cora una enorme influenza operativa sull’azione di questo sin-dacato) hanno sempre giustificato il loro sostanziale sostegnoal progetto ritenendo che solo con gruppi energetici di nuovagenerazione si poteva convincere l’azienda Tirreno Power ainquinare meno, e che se non si fosse intervenuti ci saremmotrovati i vecchi gruppi (molto inquinanti) funzionanti permolti altri anni, con maggior danno per la popolazione.

Intanto i sindacati, dopo aver appoggiato l’iniziativa andata abuon fine, incominciarono a richiedere garanzie: c’erano diverseditte della zona che avrebbero potuto lavorare nella fase di resty-ling. Le istituzioni dovevano ora garantire diversi posti di lavoro.“Uniti Per La Salute” inviò una lettera dai toni poco pacati a Bur-lando, ricordando al governatore che, stando al Via del 2009,“prima dell’inizio dei lavori dovrà essere prodotto uno studio epide-miologico per evidenziare la presenza o meno di patologie collegateagli inquinanti emessi dalla centrale”, ribadendo che “in uno statodi diritto, dove si rispettano le leggi, ad una prescrizione debba esseredato seguito”. Ma ce ne fu anche per l’assessore regionale all’Am-biente Renata Briano che, sui giornali, aveva affermato che aspet-tare l’indagine epidemiologica sarebbe stata “un’imposizione che vacontro il principio, accolto da tutti di migliorare la situazione am-bientale della zona”. A lei venne ricordato che “se l’indagine epide-miologica è prevista prima dell’inizio dei lavori, la si ottempera e ba-sta”. Ad entrambi doveva essere ben chiaro che “i due gruppi nonpossono restare come sono ma per legge, dovevano già essere adeguatialle migliori tecnologie dal 2007 e soprattutto senza condizioni”.

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I magistrati, stando alle cronache giornalistiche, pare siano“determinatissimi” a giungere a una conclusione, anche intempi più brevi del previsto. Molti sono coloro che potrebbe-ro rischiare: manager, politici, amministratori, anche i sinda-ci, che in qualità di Primi Responsabili della tutela della Sa-lute pubblica non avrebbero fatto abbastanza per impedire ta-le situazione ambientale.

L’indagine della Magistratura, infatti, potrebbe finalmentefornire alla comunità savonese uno studio epidemiologico se-rio, dopo che precedenti ricerche sulla salute del territorio han-no fornito dati sostanzialmente non omogenei o non attendi-bili, nonché una indagine ambientale che indichi quale è lo sta-to di degrado delle zone più esposte alle ricadute degli agentitossico nocivi e cancerogeni prodotti dalla combustione delcarbone per anni.

La Provincia, nello stesso tempo, affidò alla società Ireos ilcompito di monitorare, tramite due stazioni (a Varazze e a Fi-nale Ligure), la quantità di polveri sottili (PM 10) presenti nelterritorio savonese. I rilevamenti dovrebbero avvenire nel bien-nio 2011-2012 e dovranno quantificare anche la presenza di so-stanze particolari quali: benzopirene, arsenico, cadmio, nichel epiombo.

E quando, dopo settimane di piovaschi, finalmente agostosprigionò la tipica ondata di caldo e afa, una ennesima noti-zia da brivido: i rilevatori sparsi sul territorio evidenziaronouna anormale e pesante presenza di benzene (già nota sostan-za cancerogena) nell’aria di Vado; ma il fatto clamoroso stavanel momento della giornata in cui si avevano picchi da avve-lenamento. Infatti in piena notte a Vado la presenza di ben-zene sale a livelli insopportabili, cioè quando le vetture (uni-che responsabili di detto tipo di inquinamento nelle aree nonindustriali) non sono che una manciata in tutto, sparse perstradicciole deserte. Si ricorda a proposito che il benzene può

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L’ex assessore regionale all’Ambiente, Zunino, capogrup-po PRC a Savona in Consiglio Comunale, asserì che “la parti-ta legata all’ampliamento della centrale Tirreno Power è tut-t’altro che chiusa”. E non parlava solo delle azioni legali. Pre-gava tutti i gruppi e le frange politiche che si erano sempremossi contro le iniziative di ampliamento di non mollare eaccusò, oltre che la Provincia, i sindacati: i principali respon-sabili della frattura interna al blocco che protestava senza ap-parente motivo. “Non esiste in questo settore” disse “un’emer-genza posti di lavoro. E l’occupazione poteva essere potenziata etutelata anche con impianti a metano”.

Lunedì 25 luglio, in Procura, si tenne la riunione operati-va – con tanto di proiezione di filmati – riguardo alla que-stione Tirreno Power (per comprendere a che punto si era nel-le indagini e quali sarebbero potute essere le mosse future);presenti, oltre al procuratore Granero e al sostituto Paolucci,la polizia giudiziaria e ovviamente i consulenti nominati agiugno: Paolo Crosignani (primario dell’Istituto tumori diMilano nonché perito di parte della cittadinanza di CasaleMonferrato durante il processo per i danni dell’Eternit), Va-lerio Gennaro (responsabile all’Ist di Genova del dipartimen-to di Epidemiologia e membro di Medici per l’Ambiente), eil dottor Paolo Franceschi e altri due specialisti nel camposcientifico-biologico. L’importante sarà trovare un nesso dicausalità tra le numerose morti per cancro nella zona e leemissioni della centrale.

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prima minaccia per l’equilibrio climatico mondiale: oltre un ter-zo delle emissioni mondiali di CO2 si devono all’uso di carbone.La battaglia per salvare il Pianeta dalla crisi climatica è dunqueuna battaglia contro il carbone. Ogni nuova centrale a carboneo ogni ampliamento è un atto criminale contro la sopravvivenzadella vita stessa sul Pianeta”.

Il Comune di Vado appoggiò tale iniziativa.

Nel frattempo il 13 settembre 2011 Gianfranco Gervino el’associazione “Uniti Per La Salute”, con la consulenza del-l’avvocato di Rovigo Matteo Ceruti (uno dei massimi espertiitaliani di cause ambientali), coinvolsero un insieme di parti-ti e associazioni con l’intenzione di attivare una serie di ini-ziative legali contro il progetto, dando così seguito all’atto didiffida da essi presentato due mesi prima.

In primo luogo, dissuadere i sindaci di Vado e QuilianoCaviglia e Ferrando dal sottoscrivere la convenzione traazienda, Regione e Provincia prevista dall’accordo di luglio edall’accettare le compensazioni economiche così previste perle aree interessate, dato che la loro accettazione alla conven-zione avrebbe fatto decadere qualsiasi ricorso legale passato efuturo dei due enti territoriali, e avviato quindi l’iter del po-tenziamento della Centrale.

Per pura coincidenza, nello stesso giorno l’associazione Casadella Legalità (guidata da Christian Abbondanza) andò oltre, edenunciò con un esposto in Procura i sindaci di Vado e Quilia-no per omissione di atti d’ufficio perché, in quanto Primi Re-sponsabili (anche penalmente) della tutela della Salute pubblica,non avevano fatto quanto in loro potere per l’incolumità dei cit-tadini.

Secondo l’esposto i sindaci sono legittimati ad adottare ordi-nanze urgenti in presenza di un pericolo imminente ed attuale(ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. 267/2000), e sono legittimati ad

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avere almeno altre due origini: può derivare dagli spurghi diindustrie chimiche o dalla combustione del carbone. Pur-troppo a Vado esistono sia la centrale a carbone sia industriechimiche importanti. Stando alle “voci” che come al solito se-minano il terrore tra i cittadini, dette industrie si adopere-rebbero proprio di notte (quando tutti o quasi dormono equando la visibilità non è nitida come in pieno giorno) a farfuoriuscire tutto il potenziale inquinante prodotto nella gior-nata da sfiatatoi e ciminiere.

Il Comune di Vado ha tuttavia dichiarato che il problemadella concentrazione del benzene è stata sì più elevata del so-lito, ma non così tanto da destare preoccupazioni; la colpa ditali sforamenti andrebbe ricercata proprio nelle calde ed afo-se giornate d’agosto che hanno impedito alle sostanze di di-sperdersi con facilità nell’atmosfera.

Alla fine di agosto le associazioni ambientaliste Greenpea-ce, Legambiente, WWF e Medicina Democratica hanno pro-posto una moratoria per “bloccare la costruzione del nuovogruppo da 460 Mw in attesa degli esiti della Magistratura”; trale motivazioni forti, oltre a ribadire che i danni derivanti dal-l’inquinamento a Vado ammontano almeno a circa 140 mi-lioni di euro all’anno (e in un periodo difficile per l’economiapare assai un grande spreco…), spicca quella che dichiara che“sono troppe le documentazioni scientifiche locali, nazionali edinternazionali sui danni all’ambiente, alla salute e sui tassi dimortalità prematura legati alla centrale termoelettrica di Savo-na, con le aggravanti di essere una centrale in città, ovvero dislo-cata in un centro abitato e in un’area già pesantemente sottopo-sta a quarant’anni di inquinamento industriale”.

Nel documento si ricordava come l’aumento delle emissio-ni di CO2 derivante dall’ampliamento della centrale andrebbecontro gli importantissimi accordi presi dall’Italia nel proto-collo di Kyoto. Secondo Greenpeace “il carbone rappresenta la

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“A nessuno permettiamo di calunniare l’Azien-da”. Tirreno Power e le contestazioni

Come detto in precedenza, Tirreno Power si è sempre di-chiarata un’azienda trasparente ingiustamente accusata di orri-bili colpe. Per questo motivo ha diverse volte sostenuto la vo-lontà di intraprendere azioni legali nei confronti di alcune fran-ge politiche e più in generale dei gruppi di contestazione che ri-tengono invece gli impianti non solo inquinanti, ma anche re-sponsabili della morte di un numero indeterminato di cittadinidel savonese. Ancora pochi mesi fa, a gennaio, in concomitanzacon la deposizione in Procura dell’esposto per omicidio colposodi un gruppo di cittadini, non si è fatta attendere la risposta de-cisa dell’azienda.

Tirreno Power è una società nata ufficialmente nel genna-io 2003 (ma si era costituita già l’anno precedente, quando ri-levò dall’Enel una sua genco, la “Interpower S.p.A.”) che van-ta diversi impianti energetici sparsi per l’Italia; al momento èproprietaria di tre centrali elettriche (Vado Ligure, Torreval-daliga e Napoli) e diverse centrali idroelettriche nel nord (nelsavonese è di Tirreno Power la diga di Osiglia). Azionisti del-la Tirreno Power sono diverse società: la principale è la GDF

SUEZ (50%) alla quale è contrapposta una triade con un altro50% (Sorgenia, Hera, Iren). Per questo motivo Tirreno Powerha sottolineato che “la società non è di proprietà della famigliaDe Benedetti e non fa parte del gruppo CIR. Sorgenia, società delgruppo CIR, è il secondo azionista di Tirreno Power con una quo-ta di circa il 39%. Il resto del capitale è posseduto da GDF SUEZ,

Hera ed Iren. Il progetto di Vado è un’iniziativa del managementdi Tirreno Power, condivisa con tutti gli azionisti della società”.Il motivo per cui si è sentita in dovere di chiarire la questioneè ricollegabile ancora una volta alle accuse di certi gruppi ecomitati che ritengono fin troppo sfacciata la presenza di De

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emanare ordinanze per la cessazione di attività lavorative nocivee dannose per la salute pubblica (ai sensi dell’art. 13 Legge833/1978). Nell’esposto si affermava: “davanti a dati inconfuta-bili sulla fonte di inquinamento derivante dalle attività degli at-tuali impianti della centrale, oltre al fatto che i limiti di legge nonverrebbero nemmeno rispettati a seguito dell’ampliamento dellacentrale, i due sindaci hanno omesso l’adozione dei provvedimentinecessari alla tutela della salute pubblica e conseguenti all’attuazio-ne del principio di Precauzione”.

La Casa della Legalità si richiamò anche all’ordinanza delsindaco di Civitavecchia, il quale aveva prescritto e ottenutola chiusura immediata e la dismissione della locale centraleTirreno Power “per contemporanea e consolidata presenza di ri-levanti fattori di pressione ambientale”, per “lo stato di sofferen-za sanitaria della popolazione, registrato da diverse indagini epi-demiologiche”, perché “le decisioni strategiche rispetto ai pianidi riconversione energetica devono tener conto dello stato di salu-te della popolazione residente”.

Queste iniziative di varia natura che avevano per oggettol’azione dei due sindaci si basavano sulla considerazione cheessi “non potevano non sapere” della reale entità del pericoloper la salute pubblica derivante dall'inquinamento prodottodagli impianti della centrale.

Ciò venne anche accentuato dalla tardiva pubblicazione(due mesi dopo la sua emissione) della perizia giurata “Anali-si critica della documentazione tecnica relativa alla centrale Tir-reno Power” compiuta dalla ditta Terra srl e commissionataproprio dagli stessi due Comuni, la quale forniva un’analisiestremamente critica del progetto.

Queste azioni erano ormai tra le ultime armi giuridiche uti-lizzabili dalle organizzazioni savonesi che avevano a cuore il pro-blema ambientale.

In attesa che la Procura…

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Benedetti in un contesto politico già marcatamente di sinistrae che quindi tenderebbe ad acconsentire ampliamenti senzatroppi problemi.

Così come aveva fatto l’Enel, anche Tirreno Power si è finda subito mostrata disponibile ad aiutare in più modi le co-munità della piana in occasione di feste e iniziative varie,elargendo una certa quantità di contributi a seconda dellaquestione.

Oltre ad aver sponsorizzato diverse sagre e altre simili feste dipaese, è risultata fondamentale anche per lo sport e per la cul-tura (da incontri con importanti personalità dello spettacolo aconcerti, tra cui quello di Cristiano De André, il quale però a fi-ne concerto firmò un documento intitolato Quando lo sponsorinquina).

Negli ultimi mesi, però, in occasione proprio delle decisionisull’ampliamento, i Comuni hanno fatto marcia indietro e nonhanno più mostrato affatto gli stendardi dell’azienda nelle soliteiniziative pubbliche.

Tirreno Power ha sempre sostenuto che la centrale di Va-do è all’avanguardia sotto tutti i punti di vista, soprattuttoper quanto riguarda l’immissione di particelle velenose e can-cerogene.

Proprio nel sito Internet della società si può leggere:“L’Azienda dedica grande attenzione al rispetto dei parametriambientali ed ha adottato un Sistema di Gestione Ambientaleche ha permesso alle Centrali di Vado Ligure e Torrevaldaliga(Civitavecchia) di conseguire la certificazione ISO 14001 e la re-gistrazione EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) garan-zia di ricerca, innovazione ed eccellenza di performance am-bientali”.

Riguardo alle perplessità di un gran numero di cittadini chedurante la stagione invernale ha notato fuoriuscire dalla cimi-niera funzionante una gran quantità di vapore di color grigiastroche, con il buio, assumeva inquietanti colorazioni, venne riba-

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dito che il fatto è “esclusivamente attribuibile al fenomeno di con-densazione del vapore acqueo conseguente al periodo di freddo in-tenso. Il fenomeno è dunque destinato a ripetersi nei giorni in cuile temperature scendono a valori prossimi allo zero”. Questo per-ché destavano preoccupazione le ipotesi di alcuni ex operai diindustria. Costoro raccontavano che, quando ancora lavorava-no, le vecchie industrie con fumaioli della piana avevano sì filtriper impedire che le polveri fuoriuscissero nell’atmosfera, ma unavolta pregni erano semplicemente “girati” nell’altro senso equindi “depurati” facendo così fuoriuscire quantità di veleniinimmaginabili nelle giornate invernali, quando appunto l’oc-chio fa fatica a distinguere la semplice condensa con il fumo ve-ro e proprio. Tirreno Power ribadì che: “le emissioni al camino so-no costantemente monitorate in applicazione delle vigenti disposi-zioni di legge e vengono rese disponibili in tempo reale alla Autori-tà di Controllo preposta”.

Sulla questione tornò più volte sottolineando: “L’impattoambientale attuale dell’impianto è costantemente monitorato da-gli enti pubblici chiamati alla tutela della salute e come ribadi-to ufficialmente in più occasioni ‘non desta preoccupazione’”.

“Le attività di ricerca giunte a conclusione recentemente [...]svolte dagli enti pubblici specializzati (documenti ufficiali dellaRegione Liguria, studio dell’IST, Istituto Scientifico Tumori, eASL 2 Savonese7) hanno ribadito l’assenza di rischio specifico.Per quanto riguarda le emissioni, la provincia di Savona è al25° posto in Italia per le minori concentrazioni di polveri sotti-li confermando una qualità dell’aria più che buona (dati am-bientali APAT annuario 2007)”.

7 Tirreno Power, per rassicurare la popolazione, ha sempre tirato in bal-lo questi dati affermando di essere, dunque, perfettamente in regola. È gra-zie proprio a questi esami che l’azienda si è permessa di bollare come ca-

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Le ultime indagini sull’inquinamento

Il MODA, nelle persone di Virginio Fadda, biologo, e delmedico Torcello (ormai da più di trent’anni impegnato nellecampagne di indagine riguardo al reale stato dell’inquina-mento nella piana) continuarono a contestare le decisioni po-litiche, locali e nazionali, che propendono per l’ampliamentodegli impianti. Il comitato, ad ogni nuova affermazione favo-revole al potenziamento, non faceva attendere la propria ri-sposta sui giornali come sugli altri media che mostravano in-teresse per la questione, ribadendo con dati alla mano il pro-prio NO alle idee dominanti nell’establishment che si trova agovernare le sorti della gran parte dei cittadini (e si voglionointendere anche schieramenti opposti che, per quanto diorientamento differente, paiono concordi su talune questionie iniziative).

Dagli ultimi dati resi noti dagli studiosi sopraccitati (estate2010) e che si rifanno anche a studi internazionali, si può rile-vare che: ogni anno dalla centrale fuoriescono 5 milioni di ton-nellate di anidride carbonica, 5.500 tonnellate di ossidi di zolfo,

Il dottor Paolo Franceschi in-tervistato per un servizio sul pro-

blema della centrale di Vado daun giornalista Mediaset. Il servizio

andò in onda nel maggio 2010 a“Mattino Cinque”, seguitissimo

programma su Canale 5 condottoda Federica Panicucci.

4.000 tonnellate di ossidi di azoto, qualcosa come 6.500 ton-nellate di polveri sottili “secondarie cancerogene e cardiotossiche(stimate per i gas emessi in atmosfera)”. Senza considerare che tut-

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Riguardo alle recenti decisioni in merito all’ampliamento,l’azienda ha più volte garantito la serietà innanzi agli impe-gni (onerosi) stabiliti il 13 luglio con la Regione: “numerosigli impegni prescritti tra i quali l’immediata adozione dell’au-torizzazione integrata ambientale A.I.A. per i due gruppi esi-stenti (VL3 e VL4), la copertura del parco carbone, la realizza-zione di una nuova e moderna rete di rilevazione e l’istituzionedi un Osservatorio permanente su base regionale per il monito-raggio ambientale ed epidemiologico guidato dal Ministero del-la Salute e dalla Regione Liguria. Per soluzioni adottate e tec-nologia applicata, l’impianto vadese sarà una delle centrali piùavanzate in esercizio in Europa, divenendo punto di riferimen-to del settore”.

Va ricordato che, però, su tutti questi dati gli amministra-tori della centrale per anni hanno sempre rifiutato qualsiasiconfronto pubblico con l’Ordine dei Medici, con i Comitatie più in generale con la cittadinanza, lasciando ad alcune del-le migliori agenzie pubblicitarie italiane una massiccia comu-nicazione fatta di slogan facilmente smentibili dai dati scien-tifici (“abbiamo la tecnologia”, “carbone pulito”, “ampliamo permigliorare l’aria”, “per crescere insieme”).

lunniatori tutti i gruppi di contestazione e l’Ordine dei medici. Tuttavia, co-me perfino documentato da un servizio televisivo del TGR della Rai propo-sto a decine di migliaia di liguri (ora facilmente visibile su Youtube), ladott.ssa Marina Vercelli che lo realizzò si è sostanzialmente discostata dalleconclusioni utilizzate da Tirreno Power dicendo che l’inchiesta non era cen-trata su Vado, ma faceva la media tra zone esposte e non della Provincia. IlTGR concludeva che “servirebbe ben altro per fugare i dubbi”. L’epidemiolo-go dell’Ist Valerio Gennaro aggiunse che “in Liguria non ci sono ricerche pre-cise sulle zone a rischio, se non quelle ordinate dalla Magistratura”.

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i tempi non destarono sconcerto o allarme nella moltitudineche oggi (anche politicamente schierata) accalca i meetingsulla questione e che, novelli Savonarola, immediatamentegriderebbe allo scandalo sfoggiando, su palchi improvvisatinelle piazze, conoscenze pedanti (e spesso confuse…) snoc-ciolando brani di testi ambientalisti o di Diritto.

Grande eco hanno sulla questione diversi medici tra i qua-li il pneumologo Paolo Franceschi da molti anni cerca di di-mostrare quanto gli impianti siano nocivi. Ad ogni nuova ini-ziativa funesta (per i cittadini, non per l’economia, s’intende)riguardante il sito non si deve attendere a lungo per leggereun intervento, anche di poche righe, su giornali, o per vedereinterviste in televisione. Per la competenza nel campo delleconseguenze insite nella respirazione di polveri nocive e me-talli volatili che fuoriescono dalle industrie, il dottor France-schi ha spesso fatto rilevare come molti bambini, anche neo-nati, soffrano di asma e siano affetti ad allergie per metalliquali il nickel. In passato, quando dalle ciminiere uscivanometalli volatili in gran quantità, la vita di decine e decine dibambini era impossibile nella città: continui problemi alla re-spirazione, eczemi, irritazioni, tosse cronica e uno stato dimalessere continuo e invalidante costringeva (chi se lo potevapermettere) a mandare i figli in collegio nel basso Piemonteoppure da parenti che vivessero distante parecchi chilometrida Vado. E chi non poteva permettersi tale lusso… forse qual-cuno potrà raccontare assai meglio la vita tragica, da isolato,di quei pochi supersiti che hanno respirato “l’intera tavola diMendeleev”.

Per una fortunata serie di circostanze – almeno, dipendedal punto di vista… – in pochi mesi presero decisa posizionecontraria all’ampliamento sia l’Ordine dei Medici che i giànoti gruppi ambientalisti e gli Enti locali. Sulla scia di tuttociò nacquero nuovi e spontanei movimenti di cittadini; unodegli avvenimenti più importanti dal punto di vista popolarefu lo spettacolo (“Conferenza scientifica”) tenuto da Beppe

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ti i discorsi sull’ampliamento della centrale sarebbero decisa-mente anacronistici: se un tempo si poteva affermare che l’in-quinamento c’era (quando era velatamente fatto intendere, ov-viamente) perché di fatto non esistevano leggi o normative spe-cifiche a riguardo (o se c’erano non ne era garantita l’efficacia inquanto non applicate in tutte le situazioni), oggi esistono speci-fiche leggi e normative che vietano certi exploit. Senza contareche, secondo i parametri dello studio Externe dell’Unione Eu-ropea, il progetto di ampliamento porterebbe danni all’ambien-te per 140 milioni all’anno, pesantissimi danni alla salute deicittadini, alle attività turistiche, al settore agroalimentare, cosìcome accaduto nelle altre città dove sono dislocate centrali a car-bone.

Comunque i gruppi 3 e 4 risulterebbero anche illegali se-condo le nuove disposizioni italiane (che ricalcano in sostan-za le decisioni europee). Anzi, tali gruppi produrrebbero cir-ca l’80% di tutto l’inquinamento dell’impianto, superandoampiamente i valori limite stabiliti dall’Ue in valori Bat(acronimo straniero per “migliori tecnologie disponibili”);qualora anche venissero ristrutturati (come si è stabilito daprogetto) non si avrebbe un miglioramento: come già dettopiù volte gli impianti sono troppo datati per poter compete-re con le moderne direttive europee. Affermazioni, queste ul-time, ribadite dal Ministero dell’Ambiente (nella dichiarazio-ne di Via).

Infine, molta paura si disseminò tra i cittadini quandovenne reso noto che il Piano Provinciale dei rifiuti prevedevaanche che si sarebbe potuto bruciare nella centrale (così co-me nei cementifici) il Cdr derivato dai rifiuti (ma è da sotto-lineare che alcuni esponenti della politica non ritengono af-fatto possibile un tale rischio perché il Piano Provinciale nonprevederebbe tale condotta).

Ma non furono nuove questioni: un certo tipo di spazza-tura era già stata combusto in una centrale (quella di Milanoe pare anche vecchi copertoni della Pirelli). Chissà! forse per

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Energy and Economic Development Coalition (SEED), i medi-ci del MODA hanno potuto concludere che per la centrale a car-bone di Vado-Quiliano, dal 1978 al 2008, in 30 anni di fun-zionamento prevalentemente a carbone, si potrebbe stimare unamortalità prematura di circa 3.380 morti (con una stima relati-va di costi pari a 2 miliardi di dollari), così distinti:

3.200 morti in 20 anni (periodo 1978-1999)140 morti in 7 anni (periodo 2000-2006)40 morti in 2 anni (periodo 2007-2008)Basandosi su studi internazionali è noto che: per i bambi-

ni colpiti da eccessivo inquinamento si è rilevato che le facol-tà intellettive si riducono di molto (QI decisamente preoccu-pante), oltre che un maggiore rischio di malformazioni. È sta-ta constatata grande frequenza dell’autismo in vicinanza acentrali a carbone, così come l’insorgenza di malattie degene-rative dell’apparato muscolare (sclerosi). Nel savonese, secon-do i sondaggi, vi è un picco di queste patologie e non se necomprende la ragione.

Secondo lo scienziato García-Pérez intorno alle centrali acarbone la mortalità per tumori polmonari, alla laringee allavescica è superiore alla media del resto del territorio e il dott.William Grant fa ammontare tale quantità al 6% in più cir-ca.

Analizzando il cordone ombelicale dei neonati che nasconoin corrispondenza ad impianti che funzionano a carbone si èconstatato che vi è una gran quantità di addotti DNA-IPA (idro-carburi policiclici aromatici, già negli anni Ottanta consideraticancerogeni) che porterebbero ad una maggiore probabilità, nel-l’adulto, di sviluppare tumori. Dalle centrali, poi, fuoriuscireb-be naturalmente mercurio.

E per quanto riguarda l’antica questione delle radiazioni(ti ricorderai, lettore, nelle pagine precedenti le accuse solle-vate a principio degli anni Ottanta), si ribadisce che ovvia-mente nel carbone combusto ci sono tracce di radio, torio,ecc e quindi…

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Grillo in Piazza del Popolo a Savona nell’estate 2007, mani-festazione alla quale parteciparono come spettatori moltissi-mi cittadini del savonese e come relatori diversi medici ed in-gegneri (tra i quali il dottor Paolo Franceschi e Maurizio Pal-lante, consulente del ministero dell’Ambiente).

Proprio in occasione delle nuove manifestazioni di dissen-so, la Rete incominciò ad essere largamente impiegata per in-formare i cittadini sulle novità riguardo alla centrale; nacque-ro così, o comunque ebbero più felice esistenza, un gran nu-mero di siti Internet e blog zeppi di informazioni, commentie documentazione fotografica riguardo alle più recenti pre-sunte fuoriuscite nocive dal fumaiolo attivo.

L’Ist-Asl 2 tenne monitorato un gran numero di personetra il 1994 e il 2004; risultato del lavoro fu che, stando agliesperti del settore, non ci sarebbero rischi sulla salute per viadell’inquinamento.

Venne scritto: “La mortalità per tumore non dipenderebbeda fattori ambientali [...] la mortalità è associata prevalente-mente alle patologie del sistema circolatorio, come noto più cor-relate agli stili di vita che ai fattori ambientali. Allineata con idati nazionali e regionali (o inferiore) la mortalità per tumore”.

Invece Torcello e Fadda asserirono che “la mortalità totalein Provincia di Savona è aumentata sia nei maschi che nellefemmine rispetto alla media regionale” e che “gli incrementi dimortalità sia generale che per malattie tumorali , cardiovascola-ri e respiratorie, si concentrano prevalente nelle aree che presen-tano maggiori livelli di inquinamenti stabiliti in base agli stu-di di biodiversità lichenica condotti negli ultimi 15 anni in Pro-vincia di Savona da ARPAL, Regione Liguria, Università di Ge-nova”.

Molto sconfortanti i dati forniti dai due studiosi: parago-nando la centrale di Vado Ligure a quella simile di Sempra TwinOaks 3 in Texas (USA), e riferendosi a degli studi condotti su ta-le impianto dal Public Citizen’s Texas Office e dalla Sustainable

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Pomodori verdi fritti al cianuroSecondo i Comitati la centrale non produce ricchezza e buona

occupazione, ma soprattutto diseconomie, e perdita di posti di la-voro nel settore turistico e agroalimentare. In città come Civitavec-chia, Brindisi, Porto Tolle la situazione è molto grave: intere eco-nomie agroalimentari e turistiche compromesse, divieti di coltiva-zione (a Civitavecchia è vietato coltivare in un raggio di diversi chi-lometri dalla centrale, che pure non si trova accanto alle abitazio-ni), migliaia di posti di lavoro persi, tumori e altre patologie medi-che diffuse ovunque, e i tanto promessi controlli all’inquinamentospesso non vengono neanche effettuati. Danni inestimabili ancheal Sistema Sanitario Nazionale. L’Arci a questo proposito aveva ri-volto al Governatore Burlando una domanda molto precisa: “Datoche il bilancio del settore sanitario Ligure è al collasso, non pensa chesia importante decidere preventivamente contro ipotesi industriali cheprevedano il carbone, dato che le patologie che ne derivano a Savonacomportano costi sanitari per molte decine di milioni di euro all’anno,pesando drammaticamente nel bilancio regionale?”. Non si compren-de come mai a Vado e Quiliano non ci siano divieti di coltivazionema, anzi, le pianticelle di pomodori e melanzane vengano su che èun piacere letteralmente a pochi passi dal carbonile. Non si com-prende neanche perché alla foce del fiume Quiliano, dove sono sta-ti riscontrati livelli abnormi di inquinamento, non venga attuato ildivieto di balneazione. Presto i turisti milanesi e torinesi saprannodel peggioramento della condizione ambientale della Provincia sa-vonese. E ci si chiede quale vocazione strategica e quali linee di svi-luppo siano state delineate per la Provincia di Savona per fronteg-giare la globalizzazione e le economie asiatiche. L’amletica doman-da è: il marketing turistico o il carbone? E in questo caso avere unbel teschio bianco e ghignante in mano non sarebbe solo un fattoscenico, quanto un faccia a faccia con la propria coscienza per letante, troppe, persone che a Roma o a Genova hanno deciso dellasorte di migliaia di savonesi “non secondo coscienza”. Un faccia afaccia anche con la realtà del mondo della chimica, a quanto pareenigmatica. Per chi vuole che resti tale.

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Che cosa rappresenta la centrale oggi?

La centrale è una struttura affascinante, vista da fuori e og-gi rappresenta tante cose. È anzitutto il simbolo incontrasta-to della città (le rovine di Vada Sabatia non sono nulla in con-fronto; e nulla sarà anche il nuovo terminal portuale. Vado èe sarà per sempre le ciminiere).

I bambini da generazioni disegnano fin dall’asilo una cit-tà che è ingombrata da due giganteschi tubi caratteristici chesembrano sorreggere il cielo, il cielo infantile costituito daqualche riga azzurra (e non macchiato di nero); e tra le caseaddossate ai tubi scarabocchiano una freccia con su scritto“casa”.

È una meta geografica: per chi lavora e vive in località liguriagli antipodi, le ciminiere simboleggiano la vicinanza o la lonta-nanza da un punto ben preciso che si vuole raggiungere o la-sciare per tornarsene sulla propria strada.

E poi è sinonimo di propaganda commerciale; quanti eser-cizi si vantano della loro vicinanza con gli impianti, in mes-saggi trash quali cartelloni provocanti o sketch in radio e tvlocali, dove una maliziosa signorina o un intrigante ragazzet-to in giacca e cravatta invita a recarsi direttamente “ai piedidelle ciminiere”?

Ma è anche un sistema che si regola da sé e che non ha al-cun rapporto con il mondo quotidiano di chi abita in città, dichi passa per l’autostrada per i suoi affari e di chi trascorre ilpomeriggio nei saloni di merci graziose e raffinate; sta là, im-mobile e quando dà segni di vita generalmente ci si preoccu-pa. Anche per questo, nel contempo, è luogo per tanti di mi-stero e paura; la particolarità della centrale sta nel fatto checoncentra buona parte delle angosce e paure dei cittadini chetemono i possibili rischi per la salute.

Pare una struttura inaccessibile, sebbene a frotte la matti-na e la sera passano per i cancelli miriadi di operai e impiega-ti e ciò che vi si fa all’interno, nel bene o nel male, fa sì che

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La “questione Vado”: dai media classici ai tempi di Internet

Gli ultimi anni hanno riportato in primo piano il tema del-l’inquinamento della centrale; questo in occasione dei progetti(sempre i medesimi dal 1975, cioè da quando si sarebbe dovutaavviare l’ultima coppia da 640 Mw complessivi) che vorrebberopotenziare lo sfruttamento del carbone per il funzionamentodell’impianto, continuando così sulla scia della sperimentazioneormai più che trentennale del carbone.

Durante gli anni Novanta e nella prima metà di quelliDuemila, le proteste di gruppi di contestazione furono spora-diche e piuttosto contenute e i media non trattavano efficace-mente il problema dell’inquinamento; poi, passato quel de-cennio, con l’affermarsi di posizioni decisamente favorevoliad iniziative industriali che iniziarono a far dubitare la popo-lazione sulla loro sorte, ec-co che ultimamente (dacinque anni circa a questaparte) le pagine dei giorna-li locali tornarono gradual-mente ad occupare colonnesu colonne con il problemadella centrale.

L’opinione pubblica,inaspettatamente dopo an-ni di apparente indifferenza, sembrò rivitalizzarsi; e questo an-che grazie alla massiccia campagna televisiva sia nei servizi del-la rete pubblica (TgR in primis), di Mediaset (diverse volteStriscia la Notizia) nonché negli spazi intervista e dibattito dinumerose emittenti locali private. Il tema, fino a pochi anni faoff limits, divenne infine assai interessante: ed ecco così il te-legiornale regionale Rai mandare servizi sulla problematicadell’inquinamento e perfino un allucinante servizio (perché ai

La questione della centrale ha, da qualche anno, grande eco su internet.Qui una pagina di youtube.

un impulso elettrico rischiari la notte con un semplice tacquando lo si desidera.

La fantasia, innanzi a grandi opere, ha sempre prevalso suchi sta al di fuori del fenomeno. Se si vuole si può anche ve-dere la centrale non come simbolo ma come unità di inge-gneria applicata, come se si leggesse un testo tecnico; eppurenon è la stessa cosa.

A confronto pare più viva la superstizione popolare che fa-scicoli di stime, calcoli e schemi elettrici e tutte le altre espo-sizioni fredde e burocratiche. In un modo o nell’altro anchela pericolosa e sospetta centrale è diventata un simbolo pop atutti presente.

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ripropongono i filmati e le interviste e che chiunque può rive-dere e ascoltare in ogni momento.

Sicuramente, riguardo alla crescente mobilitazione popolare,ha giocato un ruolo importante la situazione socio-politica ita-liana di questo recente periodo, in cui l’ideologia dei cittadininon trova più un valido portavoce né negli schieramenti com-patti di destra né in quelli di sinistra e si rivolge così a gruppi in-dipendenti che non sembrerebbero costretti a moderare lin-guaggio e iniziative qualora l’impeto della protesta lo richiedes-se. L’indifferenza politica del Duemila ha fatto sì che la questio-ne Vado, sempre monopolizzatasi tra due schieramenti, abbiainfine trovato l’acme e, in parte, la risoluzione più spontanea inun manipolo di “esterni”, politicamente s’intentende, ormaiconvintisi delle relazioni pericolose che troppo spesso intercor-rono tra personalità pubbliche e personalità, o meglio Società,private. Gruppi quali: “Amare Vado”, “Vivere Vado”, “Uniti PerLa Salute”. Questi gruppi organizzano spesso incontri con ilpubblico e tengono stretti contatti con altri gruppi di contesta-zione italiani: da Porto Tolle a Brindisi, da Civitavecchia (im-pianto dalla travagliata storia e riconvertito a carbone in anni re-centi) e Tarquinia a Rossano Calabro (dove si sta facendo di tut-to per evitare la costruzione di una centrale a carbone).

Per usare un termine un po’ datato e un tempo molto in vogadurante le manifestazioni di massa, la popolazione (italiana equindi anche vadese) ha preso coscienza del fatto che la vita uma-na, nelle sue fasi e vicissitudini naturali (e quindi condivisibili contutti i viventi in genere) spesso non può essere compatibile con lenecessità, sacrosante s’intende, del sistema economico.

Il 7 luglio 2009 un gruppo di undici attivisti Greenpeace,tra tedeschi e polacchi, entrò di notte nella centrale e, accam-patosi sulle ciminiere, espose grandi striscioni e scrisse con lavernice sulle ciminiere frasi contro l’uso del carbone in occa-sione del G8 (la stessa cosa avvenne in altre centrali italiane).

più parve una cosa terribile) su inspiegabili morti e malattietumorali nella vallata del Segno e del Quiliano, con intervisteai cittadini interessati in prima persona come operai, parenti di“vittime” di tumori, farmaciste che assicurano di aver davveronotato un boom di patologie tumorali negli ultimi anni (spes-so tra coloro che vivono nelle vicinanze della centrale, soprat-tutto le prime case di Valleggia e Tiassano, tumori al cervelloche la “leggenda” vuole far derivare dai trasformatori dell’altatensione e dai numerosi tralicci impiantati nelle vicinanze),madri di operai impiegati nell’impianto che affermano di co-me, checché se ne dica, molti ragazzi muoiano “come mosche”e che è a tutti vietato di diffondere informazioni a riguardo al-l’esterno, pena il licenziamento. Ciò che più spaventa, guar-dando i TG o i servizi di alcuni programmi di nicchia, sono icasi così numerosi di tumori e neoplasie che sembrerebbe di

trovarsi, possiamo immaginare il telespettatore allo scuro diciò, sulle rovine di una Hiroshima (o meglio di una Nagasaki,vista la comune geografia) appena colpita dalla bomba. I va-desi come gli hibakusha giapponesi. Orrore.

Peculiarità poi di questi ultimi anni è stato l’avvento di In-ternet ed in particolare di tutti quei siti con finestre video che

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dell’impianto e a Carlo De Benedetti, azionista di maggio-ranza di metà della Tirreno Power (controllata al 39% dallasua Sorgenia)8 nonché come tendono a ricordare certi gior-nalisti “tessera numero uno del PD”. Il documento, ideatodalla libreria Ubik di Savona (che ormai si è immersa nellaquaestio vadensis, oltre ad essere un punto culturale molto no-to non solo a livello locale) ebbe come firmatari moltissimipersonaggi del mondo politico, scientifico e intellettuale ita-liani. Tra le domande si poteva leggere: “Perché continuate afar funzionare i gruppi 3 e 4 della centrale, nonostante non sia-no allineati alle norme IPPC dell’Unione Europea, alla direttiva96/61/CE, e al decreto legislativo 59/05, e nonostante siano pri-vi della certificazione AIA?”.

Nella lettera, tra l’altro, veniva chiesto a De Benedetti:“perché Lei che si dichiara il primo tesserato del PD, calpesta buo-na parte dei principi e dei valori ai quali si ispira il centrosini-stra: rispetto della volontà popolare (contraria al progetto), ri-spetto della vita umana, rispetto e cura per l’ambiente, confron-to e dibattito nelle decisioni, adeguamento alle normative del-l’Unione Europea, adeguamento alle leggi non come merce discambio, considerazione delle opinioni degli esperti e degli orga-ni medici competenti, sviluppo delle energie rinnovabili, ecc.?”La lettera a De Benedetti poi terminava così: “il rispetto per lavita e per l’ambiente non può e non deve far parte di un merogioco di interessi politici ed economici, ma deve invece far parte

8 Informazioni desunte da “il Manifesto” del 25 agosto 2010 che halungamente trattato la questione dell’ampliamento ipotizzato a Vado. An-che altri giornali (“Libero”, “Liberazione”, “Il Giornale”, “Il Secolo XIX”,“Terra”) dello stesso giorno trattarono distesamente del problema. Tra gliintellettuali che firmarono la lettera ci furono Fo, Rame, Grillo, Hack, DeMagistris, Pannella, Don Ciotti, Bertinotti, Guzzanti, Ovadia, Benni,Mercalli, Don Gallo, Vergassola, Menapace, Agosti, Maggiani, Beha, Im-posimato, Staino e diversi Segretari Nazionali di Partito come Ferrero,Bonelli, Diliberto.

Le televisioni e i giornali riportarono la notizia e nelle ore suc-cessive la curiosità dei savonesi fu enorme: a sera vi era ilmondo a guardare l’evento e a scattare foto ai piedi delle ci-miniere.

Cortei spontanei si radunarono ai giardini dei Griffi e l’an-ziana Janina Levratto, vedova del giornalista Piero e cognatadi Felice, di origine polacca fece da interprete ai giovani ra-gazzi protagonisti dell’impresa che rimasero sospesi sulle ci-miniere quasi due giorni. In linea di massima quell’atto ven-ne visto con simpatia e ammirazione da gran parte di vadesi,quilianese e savonesi. Erano passate poche ore dall’allarmeche terrorizzò la popolazione, riguardante il pericolo di esplo-sione di un grande serbatoio della Petrolig, ex Ape, contenen-te liquido infiammabile; il serbatoio aveva il coperchio rovi-nato e penzolante nell’incavo e avrebbe potuto far scoccareuna scintilla da un momento all’altro; vennero fatte evacuarediverse famiglie abitanti nei pressi degli impianti pericolosinel raggio di 250 metri e, più in generale, sulla scia delle pro-teste nazionali che seguirono al disastro di Viareggio del 29giugno, la popolazione vadese fece “garbatamente” notare cheerano praticamente cento anni che conviveva con potenzialipiccole bombe a due passi da casa.

In quei giorni, però, avviene un fatto storico per la città:per la prima volta dopo 65 anni, in uno dei centri più rossid’Italia, (il PCI nel passato aveva sempre ottenuto percentua-li ‘bulgare’), perde la sinistra e vince una lista civica indipen-dente, guidata da Attilio Caviglia.

Non si pensi che i vadesi avessero cambiato idee politiche,è solo il fatto che dopo 40 anni di amministrazioni che sui te-mi ambientali avevano fatto scelte contrarie al bene dei citta-dini, quest’ultimi avevano fatto valere la loro protesta e il lo-ro diritto ad essere meglio rappresentati. Nell’estate 2010venne redatto un questionario di dieci domande riguardantiil progetto di ampliamento di Vado indirizzato ai dirigenti

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che ci si attendeva, in base ai tassi standardizzati di mortalitàdella Liguria.

Nel frattempo il quotidiano internet Savonanews.it (diretto-re del quale è Mario Molinari, che annovera nel suo passatomolti anni di inchieste per le trasmissioni televisive Le iene eStriscia la Notizia) era diventato in pochi anni il riferimento me-diatico on line delle battaglie civili a Savona. Rispetto ad altrimezzi di informazione cittadini, Savonanews, per scelta edito-riale e per preservare la propria indipendenza, non accettò maisponsorizzazioni da Tirreno Power.

La notizia più inquietante e clamorosa apparsa nel sito internetfu pubblicata nel maggio 2011: sette componenti della Commis-sione di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministerodell'Ambiente che nel 2009 avevano dato parere positivo all’am-pliamento della centrale di Vado Ligure (le persone che in sostan-za avevano deciso il futuro dei savonesi) erano gli stessi che eranostati appena indagati dalla Procura della Repubblica di Rovigo perun’analoga pratica di valutazione per la centrale di Porto Tolle, congravissime ipotesi di reato: alcune testate giornalistiche parlaronodi abuso d'ufficio, produzione di documenti ideologicamente fal-si, gravi sottostime dell'impatto della combustione del carbone sul-la comunità esposta, creazione di pericoli per persone e ambiente.

Nel luglio 2011 il sito iniziò a mettere in prima pagina an-che una serie di articoli relativi a persone decedute per tumoreprematuramente e in qualche modo conosciute nel mondo cit-tadino, articoli che terminavano sempre con la stessa frase:“quante volte ancora?” Scrisse Molinari in un toccante editoria-le: “non riusciamo ad accettare per un attimo l’idea supina della fa-talità di certe morti. Neppure per un attimo. Quindi non vogliate-cene, sindacalisti della chimica che reclamano posti di lavoro incambio di inquinamento a norma. Non ce ne vogliano i disinteres-sati fratelli di Unione industriali e Camera di Commercio, cui uni-co orizzonte di sviluppo è attendere le piogge monsoniche di milio-ni velenosi. Non ce ne vogliano i signori dell’ASL 2, che pur in tan-

dei valori primari ed inalienabili di ogni popolo civile. Produr-re energia non è un fine ma un mezzo per far funzionare la so-cietà in cui viviamo: è etico e doveroso investire capitali per pro-durre energia con le metodiche meno inquinanti possibili, com-patibili con la salute dei cittadini.

Nessun calcolo economico può giustificare la richiesta di per-petuare e addirittura incrementare lo scempio ambientale e lemorti premature causate dalla combustione del carbone.

Le chiediamo quindi di rispettare la volontà della comunità savo-nese, desistendo dal Suo progetto di ampliamento della centrale a car-bone, e riducendo fortemente i livelli di inquinamento, così come pre-visto dalla legge”.

Anche un anno dopo, con l’accordo del 13 luglio 2011sull’ampliamento della centrale, nuovamente non solo i gior-nali locali ma anche le testate nazionali si occuparono del ca-so Vado Ligure. Dopo l’articolo della principale testata na-zionale del mondo ecologista “Terra”, apparve un grande ar-ticolo a tutta pagina anche su “Il Fatto Quotidiano”, firmatoda Ferruccio Sansa e voluto dal Direttore Antonio Padellaro,dal titolo “La centrale inquina e raddoppia, con la benedi-zione Pdl-Pd”. Il tema successivamente venne trattato in pri-ma pagina anche sul sito internet del giornale, insieme a unnuovo sconvolgente video sui malati di tumore vicino allacentrale. Sansa aveva avuto modo di dichiarare un mese pri-ma che “non ci si può più fidare di Istituzioni che decidonodi ampliare una centrale a carbone contro il volere della cit-tadinanza. Non è solo il danno ai polmoni, è danno alla cre-dibilità della politica”. Anche il TG3 nazionale, con il gior-nalista Santo Della Volpe, fece un servizio molto intenso suimalati di tumori nelle valli vadesi, in cui il Presidente del-l’Ordine dei Medici, dott. Ugo Trucco, ricordò che in pro-vincia di Savona in 16 anni erano avvenuti 1.356 decessi inpiù fra i maschi e 1.308 in più fra le femmine rispetto a ciò

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micron, invisibili a occhio nudo, e quante ne occorrono per ar-rivare a farne una tonnellata, 100, 1.000, 10.000 tonnellate al-l’anno).

In due diverse occasioni anche la Diocesi di Savona si eramostrata molto perplessa riguardo alle ipotesi di ampliamento;in un appello del settembre 2010 aveva sottolineato come un ta-le impianto a carbone non possa coesistere con una realtà abita-ta da decine di migliaia di persone senza dare problemi in ter-mini di salute pubblica.

Su “Il Letimbro”, lo storico giornale della Diocesi di Savona,nel luglio 2011 apparve un nuovo editoriale piuttosto polemicoe interessante, firmato da don Angelo Magnano, riguardo pro-prio alla scelta politica di Burlando di appoggiare l’ampliamen-to di potenza della centrale, e intitolato Se il carbone batte la pru-denza. Tra l’altro si poté leggere: “Ha sorpreso la posizione dellaRegione. Nonostante tutte le rassicurazioni piovute dopo questa de-cisione, va a contraddire le valutazioni di alcuni partiti in appog-gio del governatore Burlando che pure in campagna elettorale ave-vano detto no al potenziamento. Un potenziamento che, al netto ditutte le prescrizioni è stato invece concesso, considerato che 460 Mwpiù 330 Mw, costituiscono una potenza ben più ampia degli attualigruppi da 330 Mw l’uno”.

Non è molto che la Chiesa ha ufficialmente inserito l’inqui-namento ambientale nella lista dei nuovi “peccati” moderni daevitare. Su tutti, ricordiamo Karol Wojtyla e il suo pensiero suambiente e salute: “L’ambiente è diventato spesso una preda a van-taggio di alcuni forti gruppi industriali e a scapito dell’umanità nelsuo insieme, con conseguente danno per gli equilibri dell’ecosistema,della salute degli abitanti e delle generazioni future”.

Se si è buoni cattolici…

In sintesi, certo grazie all’interessamento dei media, Vadonon è più solo e sempre “la Liguria che non si vuol guardare”, lalanda dei dimenticati e diseredati che soffrono e muoiono in si-

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ti, non sanno. E anche alle belle pance grasse, con doppia e triplacarica, ai facitori di opere inutili, ai percettori di lauti compensipubblici, ai silenziosi tutori del malaffare, a chi accetta pubblicitàpulita e soldi da chi inquina, chiediamo, e lo faremo finché saremovivi: Quante volte ancora?”.

Tra queste morti premature spiccò quella del musicista e pro-fessore Gianni Lagorio, un altro nome da aggiungere all’elencodelle epigrafi della nostra “Antologia savonese”. In verità la no-tizia non era solo quella, quanto le pesanti parole che Lagorioaveva scritto su Facebook rivolte all’establishment locale che simostrava irresistibilmente attratto dall’investimento che pro-metteva Tirreno Power (800 milioni di euro e diverse decine diposti di lavoro). Il titolone di apertura del giornale informatico(che vanta almeno due migliaia di utenti giornalieri) era: Il Mae-stro Gianni Lagorio è morto di tumore a 48 anni. Abbiate politici,il coraggio di leggere le sue parole… e le sue parole (quelle riferi-bili) erano pietre: “nel momento in cui c’è connivenza tra sindaca-ti, politici e imprenditori tutto va a puttane, in primis la nostra sa-lute… sotto sotto c’è un bel circolo vizioso fra sindacati, azienda equant'altro, della serie: ‘se mi fai fare quello che voglio io non li-cenzio’… tanto c’è sempre la logica del guadagno alle spalle degli al-tri…”. Le parole che molti, moltissimi pensavano, ma che nonavevano mai osato proferire o scrivere, per il rischio di incorre-re in pesanti ritorsioni legali soprattutto da parte dell’azienda.Parole che però in questo caso uscirono dall’anonimato, ancheperché nessuno avrebbe potuto querelare una persona che nonera più tra noi.

Savonanews si era distinta anche per la pubblicazione di unvideo che, grazie all’uso di filtri a gradiente, permetteva di vede-re la reale consistenza dei fumi che uscivano dalle ciminiere(senza quindi le tecniche utilizzate per renderli non visibili al fi-ne di non allarmare la popolazione): 30 tonnellate al giorno diossidi di azoto, di ossidi di zolfo, di metalli pesanti, di polverisottili (immaginate cosa vuol dire nocive polveri di 0,1, 1 o 2,5

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Frammenti di verità

La piazza principale di Vado si affaccia sulla via Aurelia; pocooltre la litoranea si estende l’ombrosa boscaglia della passeggiata egli scivoli del parco giochi. Laggiù, quasi invisibile, il mare ed ipontili. In mezzo alla piazza una fontana circolare, bianca, nonsempre sciabordante d’acqua; qualche zampillo esce dalle bocchedi stucco sporche di muschi verdastri, altri dalla brocca che unadelle due statue di bambini, issate sulla sommità della fontanastessa, rovescia verso l’invaso. In questa piazza, sulla quale si af-facciano diversi negozi e locali pubblici, la gente di paese conver-sa del più e del meno, di aneddoti e pettegolezzi, di curiosità e in-sulsaggini. Qualche volta si ride, qualche volta si rimane seri. Èquesto il miglior luogo d’indagine per chi vuol conoscere l’esattogrado di preoccupazione della popolazione, se preoccupazione c’è.Ma vuoi perché la maggior parte dei signori presenti è di una cer-ta età e vuoi perché la giornata magari non è delle migliori, nonsi riesce a catturare alcun rimprovero, alcun doloroso rammarico.Chi vuole comprendere cosa la popolazione pensa della centrale,e dei politici ai quali spettano le decisioni al riguardo, deve essereprima di tutto sconosciuto, potersi immergere senza probleminella folla di clienti di questo o quel negozio, far finta di nulla,ammiccare quasi sbadatamente alle ultime notizie a propos de…

Operazione che, ovvio, nessun politico può svolgere. Equesto non è affatto un bene: non potendo percepire l’esattaentità dell’umore dell’elettorato rischia di andare, spesso e vo-lentieri, contro il sentire diffuso, con tutte le conseguenze checiò comporta. Invece ordinando all’ortolano due pesche oqualche carota, o mostrando al macellaio il pezzo di carne chepiù aggrada, quanto materiale per sondaggi “istituzionali”,quanti scatti di nervosismo e truci sguardi di impotenza!

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lenzio per non interferire con interessi più grandi di loro. A se-conda del periodo – cioè, a seconda che vi siano in programmaincontri di una certa importanza tra Enti Locali, Azienda Tirre-no Power e Sindacati, oppure in occasione di manifestazioni diprotesta – può eccezionalmente capitare di notare, tra la miria-de di autoveicoli fermi ai parcheggi o che percorrono le stradeinterne di Vado, un certo numero di macchine o furgoncini conil logo di diverse televisioni sia locali che nazionali; in quei gior-ni ti può capitare di imbatterti in cameramen con telecamerasulle spalle che si aggirano per la città in cerca di scorci “caratte-ristici” da mandare al montaggio il più in fretta possibile. Scor-ci quali, ad esempio, un gruppo di graziose palazzine con mi-mosa in fiore nel giardino sovrastate dall’itifallica mole delle ci-miniere, colpite da commoventi raggi di sole, o da due avvilen-ti coni d’ombra, poco prima del tramonto.

Trafitti da un raggio di sole, o di celebrità, appunto: ed è su-bito sera.

L’ora in cui i vadesi tornano nel gorgo, muti.

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re a riguardo oppure che, visto che ci pensano così attivamentegià gli altri…, non c’è motivo d’alzar troppo la voce. Quindi,spazio all’ineluttabile.

Dal 14 luglio 2011 non v’è più sdegno, ribrezzo, orrore. Nonc’è più spazio per tutto ciò quando anche le speranze sono an-date in fumo. Girovagando per le strade afose d’agosto, sotto ilsole giaguaro, sulle spiagge, sotto ombrelloni e gazebo, dietro leschiere di cabine e i coni gelato che nascondono i volti sudatic-ci e arrossati, si profila lo spettro pericoloso e beffardo di un uni-co sentimento, l’unico possibile: l’odio. Si prova odio a Vado, aQuiliano, a Savona, in ogni dove tutto attorno alla tanto famo-sa centrale. E tanto più se ne prova là dove i muri intonacati diuna casa o le persiane ormai calate sul davanzale hanno attutitogli ultimi lamenti dei vinti, finiti da oscuri “mali incurabili”.Questa ad oggi è la drammatica, truculenta, inconfessabile real-tà. S’è rotto – quasi irrimediabilmente – il rapporto tra cittadi-nanza e istituzioni e non per via di scandali da cronaca rosa opettegolezzi piccanti su questo o quel notabile.

E allora i vadesi, i quilianesi, i savonesi come la pensano?Bombardati da decine e decine di notizie ora rassicuranti, orainquietantissime… come si vive oggi sotto le ciminiere?

C’è il signore di ottant’anni che è sopravvissuto alla guerrache dice solo: “Cosa vuole, meglio veder scendere dal cielo del-la fuliggine che dei bengala e delle bombe. E poi, se proprio famale come si sente in giro, per voi zueni non è affatto difficileandare altrove. Per noi vecchi… tanto, anno più, anno me-no…”; la contadina, mani giunte sul bastone della pala pianta-ta nel terreno: “Speriamo che non sia vero: io la roba che colti-vo la mangio, ne do anche ai miei nipoti. Uno pensa di fare delbene e invece…”; l’anziano operaio: “La centrale inquinerà sì,ma è solo la punta dell’iceberg; Vado era una macchina sputa-veleni, lo era cent’anni fa così come lo è oggi”; il pescatore chepesca da una vita sul pontile ti prende da parte e ti racconta: “Lo

Il libro che stai finendo di leggere, caro lettore, ha inco-minciato a prendere forma talmente tanto tempo fa che pos-so anche prendermi il lusso di dichiarare con animo tranquil-lo che tra i mesi e gli anni antecedenti il 13 luglio 2011 e lesettimane successive a questa data c’è stato un grande cam-biamento: prima serpeggiava lo sdegno, lo “schifo”, il disprez-zo puro e semplice verso i grandi capi responsabili della cosapubblica, ma non erano pochi coloro che credevano sincera-mente di vivere ormai in un’epoca davvero moderna, in gradodi rispondere prontamente e senza alcuna titubanza alle ini-ziative controcorrente di certe frange e certe aziende. I luoghidi incontro-dibattito erano stracolmi (l’intero teatro Chiabre-ra pieno zeppo, con tanto di calca in attesa sotto il porticato,gente appoggiata alle bianche colonne doriche illuminate dalampade suggestive, un entusiasmo che nemmeno una primadi Albertazzi sarebbe riuscita a scatenare). I meeting eranocaldi quanto bastava, i toni accesi, i servizi televisivi da apo-calisse, pagine intere di siti internet, il disappunto sui primipiani dei politici che non sapevano che dire… non v’era qua-si dubbio sul futuro, che doveva essere tutto sommato più sa-lubre del presente. E invece… arrivò il 13 luglio. Da alloral’atteggiamento dei cittadini è radicalmente cambiato.

Purtroppo, come tipico nel panorama italiano, molte perso-ne – sebbene sdegnate e a dir poco irate – sembrano dedite aquella particolare forma solitaria di protesta che va sotto il no-me di indifferenza consapevole. Conoscono il problema: se capi-ta di parlarne, così, in un intermezzo tra una sigaretta e una sor-sata di birra, ci si può anche accorgere con stupore di una certaloro sapientia a riguardo: “Ma non mi dire niente, l’altra sera hovisto uno speciale tv… è veramente una vergogna… da non crede-re… lo si studia a scuola che il carbone è nocivo ed è molto costosoarginarne l’inquinamento…”. Ma per il resto si limitano a legge-re fuori della tabaccheria il manifesto della conferenza sull’am-pliamento o sul carbone, convinti che in fondo nulla si possa fa-

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di vetro – forse sarebbe l’unico modo per spronare quei belino-ni a ribellarsi. Quando non hai più clientela ti metti subito inallarme, non c’è santo che tenga”. Poi c’è persino chi, prenden-domi come campione di quella che è la gioventù del posto, nonha usato mezze parole per accusare di imbecillità, incoscienza equant’altro tutta la massa di under 20: “Voi non fate nulla, voi.Passate tutto il tempo a rompere i coglioni per le strade con queicazzo di motorini e invece dovreste andare ad incatenarvi ai can-celli e rompere i coglioni a quelli là. Ormai io ho i miei anni,crepare dovrò crepare comunque, sta scritto così. Ma voi! Quan-do poi andate a ritirare un esame o vostro figlio starà male, in-comincerà a smagrire, a perder sangue dal naso… allora vi atti-verete? Fra trent’anni, quando non si potrà più fare nulla? Poimi fate veramente ridere quando vi dispiacete per qualcuno deivostri coetanei che muore improvvisamente di ‘mali’ incurabili,sembrate ebeti, non ve la date che il colpevole è lì davanti, cipassate sotto tutti i giorni. Alzate quei cazzo di occhi una buo-na volta, non teneteli solo sul culo di quella che entra in disco-teca. Tanto più che la discoteca delle volte si compiace d’esserproprio nei pressi della centrale. Non dovete avere timore di in-cazzarvi, fa così bene! E poi all’altro mondo culi al vento non cene sono, ricordatelo. Io ci vado agli incontri che si fanno, sul-l’inquinamento eccetera… delle volte il più giovane ha quaran-tacinque anni. Dove cazzo siete voi, me lo dici un po’, mi rac-conti cosa fate?”. Ci sono i due torinesi in pensione che, sulla ci-ma del monte Beigua, scrutano con il binocolo verso Vado, ver-so l’isola di Bergeggi appena distinguibile, non si spiegano ilperché di una onnipresente cappa nebbiosa proprio in quel pun-to e allora vogliono sapere da un savonese qualche informazio-ne: “Lei che è di Savona” domandano al signore col cappellinoa visiera “ma da voi c’è sempre così tanta nebbia? Sa, io e miamoglie veniamo spesso anche d’inverno e c’è sempre quella cap-pa… verso Genova c’è lo smog, si vede bene, qui sotto a Varaz-ze non c’è nulla… a Savona c’è quel fumo, ma state come a Lon-

sai che il mare è talmente inquinato che i pesci non hanno uncolorito vivo? Ad esempio i pesci che dovrebbero essere rossi, ti-po gli scorfani, qui e solo qui a Vado sono di un malaticcio co-lor ravanello pallido. Tanto che quando li pesco, li ributto inmare. Non li darei da mangiare nemmeno al gatto. Che poi, ioho i miei anni, sai, quel po’ che riesco a tirar su con la canna melo cucino per cena. Quanto debbo ancora campare, in fondo?”.

Un altro, un anziano muratore che ha contribuito a tirar sugran parte delle palazzine e delle varie casette private sorte dopola guerra, gettando lunghe fumate che sembran proprio voler di-re “almeno se devo rimanerci ci rimango per volontà mia”, sce-glie un aneddoto personale: “Io ho abitato a Bergeggi per diver-si anni. Avevo una casa che, dall’alto del borgo, dava sul trattodi costa che sta tra l’isola e Spotorno. Quindi sul versante di làdella città industriale. Ebbene, prima che mi trasferissi, vent’an-ni fa e passa, quando soffiava la tramontana, sul terrazzo si de-positava uno strato di terriccio color polline; ci passavi un ditosopra e avvertivi la grana di quella polvere. Sai cos’era? Eranotutti i fumi tossici di Vado, la Vado di quel tempo, ancora finoagli anni Ottanta ti dico. Si spantegava ovunque, a seconda didove tirasse il vento. E poi, scusa nìn – la maggior parte mi si ri-

volgeva con un premuroso e dialetta-le nìn, vista la mia innegabile giovi-nezza – facci caso: anche oggi, sebbe-ne dalle ciminiere esca ormai solo unpo’ di fumetto incolore, quando tirala tramontana finisce tutto verso lemontagne, ci vuole un attimo che fi-nisca tutto sopra Finale e oltre. Pensaquanta se ne respira a Noli, a Vari-gotti, ma anche più in là. Se i turistilo sapessero scapperebbero alla Spee-dy Gonzales, te lo dico io. Anzi – espegne il mozzicone nel portacenere

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zione, la nostra possibilità di scegliere democraticamente l’am-biente in cui far vivere i nostri figli. Perché dobbiamo morire insilenzio per non ostacolare gli interessi economici di un grandegruppo privato? Perché, nel momento in cui alcune persone de-vono decidere su un progetto dal devastante impatto ambienta-le, scompaiono i volti delle persone, le storie spezzate, la rabbiadei cittadini malati? Cosa direbbe del nostro operare Calaman-drei, che ci ricordava che ‘la libertà è come l’aria’ e che ‘sulla li-bertà bisogna vigilare…’? Stiamo realmente vigilando, o la sven-diamo a chi sa far valere il suo immenso potere?”. La signora dimezza età, raggiante per la figlia fresca di laurea, l’immagine del-l’ottimismo: “Beh però la Vado di oggi è bella, non è affatto in-vivibile. Sì ci sono le ciminiere, ma sarà poi vero che c’è inqui-namento? Io non credo. Sono sicura anzi che siano solo bouta-de politiche, non ti credere, ci sono interessi anche tra i ‘buoni’,ho i miei anni e conosco il mondo. Nessuno si organizza per pu-ro buon cuore. Ammetto che non fa piacere avere la centrale co-sì attaccata alle case, ma c’è di peggio. E poi ci lavora un mio ni-pote, sta benissimo, non credo che ci facciano lavorare dellagente se è così inquinata come dicono. In passato… beh, sì,penso che nessuno ti possa dire il contrario da queste parti: usci-va di tutto dalle ciminiere. Ma ad oggi… non siamo sciocchi,non c’è pericolo, ci sono strumenti moderni, efficienti che con-trollano. Sono ottimista, sono un’inguaribile ottimista. Credoche il pericolo grosso stia nel traffico delle macchine, dei ca-mion: l’autostrada che passa in mezzo a Valleggia, la superstra-da, il caos sull’Aurelia… quello sì che è il problema. La centra-le no. Dà solo fastidio politicamente. Penso che viviamo in unadelle aree più controllate d’Italia”. Il trentenne che allena ungruppo di bambini per una partita a pallone: “Tutte cretinate,hanno tutti interessi quelli che protestano. E poi che male c’è adessere sponsorizzati dalla centrale? È una importante realtà eco-nomica del posto, ci mancherebbe che non aiutasse i ragazzi. Epoi… uff!... sempre a parlare di morti, ma dio santo, ma sono

dra?” E il signore con la visiera: “In verità, caro signore, quella èuna cappa un po’ diversa da quella nebbiosa… da qua non si ve-de ma ci sono due ciminiere…”. C’è la coppietta di Milano chenon si trattiene dall’entusiasmo: “Sa”, confessano alla signora diQuiliano, “vogliamo trasferirci qui. A noi piace tanto Noli, laadoriamo, fin da bambini avevamo il sogno di trasferirci… for-se adesso ci riusciremo!”. E quella a rispondere loro, mesta: “Ca-ri ragazzi, lasciate perdere. Statevene dove state, oppure sceglie-tevi un altro posto. A Noli purtroppo non si respira così tantaaria buona”. Poi c’è anche la vittima di altri disastri: “Sono diCasale Monferrato, sono sceso un po’ qui per cambiare aria…ma non è possibile, anche qui c’è un problema! È rimasto qual-che pezzo d’Italia ancora vergine? Lo sa come mi sento? Comeuno di quegli sventurati che si sono presi la bomba di Hiroshi-ma un giorno e l’altro quella di Nagasaki. A Casale avevamol’amianto, con il vento finiva ovunque… diavolo! E noi che pa-gavamo per far sì che i nostri figli stessero d’estate almeno un po’su queste spiagge… abbiamo regalato loro solo un’alternativa al-l’asbestosi. Come faccio a sapere di Vado? Guardi che su inter-net ci va chiunque, soprattutto chi sa cosa cercare… l’Italia in-tera può vedere i servizi. Ormai è una questione sdoganata, è ri-dicolo che quei signori che vi comandano pensano che il pro-blema non lo conosce nessuno. Chissà quanti sono rabbrividitial sentire quella farmacista che diceva ‘ci stanno sterminando’.Che cos’era, il servizio de Il fatto quotidiano?”. Mi è capitato per-sino di imbattermi nella pietra grezza delle parole di chi staspendendo tutte le sue energie civili in questa battaglia: “Sonoallibito da questa situazione, allibito. Quante volte, vedendouscire il fumo dalle ciminiere, o sentendo una puzza diversa, cisiamo chiesti cosa si sta bruciando, cosa ci tocca, in sorte, di re-spirare, oggi come tra un mese. Provo a dirlo io: oggi in quelleciminiere forse si stanno bruciando i nostri diritti, il diritto e al-l’autodeterminazione, il diritto alla vita e alla salute sanciti dal-la Costituzione, si sta bruciando la nostra capacità di indigna-

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no affatto sognato che mentre ero al parco giochi, un tardo po-meriggio di quindici anni fa circa (lo ammetto, qui la memoriaè fallace, ma sempre bambino ero) ad un certo punto l’aria umi-da e soffocante incominciò a vibrare di un’eco lontana, comeuna risacca improvvisa di un mare in tempesta che pian piano sifaceva sempre più fragoroso e violento; non mi sono affatto so-gnato che, incominciate a tremare le imposte delle case e i vetridelle palazzine, guardando alla sommità di una delle ciminierevidi uscire una nuvolaglia nerissima come di catrame, di pece,d’inchiostro… più nera dell’asfalto appena colato e nel frattem-po il rumore aumentava senza sosta; non mi sono affatto sogna-to la gente, seduta sulle panchine all’ombra o sdraiata su lettinida spiaggia sui balconi, che trascinava i bambini via dal parcogiochi e che con loro si andavano a chiudere nei portoni dellepalazzine attendendo che tutto finisse; non mi sono affatto so-gnato i panni stesi ritirati con fretta, le imprecazioni del tipo“Dio Santo, ma cosa cazzo fanno?” o l’ira di quelli che volevanofarsi sentire in un qualche modo: “I carabinieri chiamo, altroche! Mica possono fare quello che vogliono quelli!”; e non misono affatto sognato il silenzio dei giornali, il giorno seguente:mentre c’era chi puliva il parabrezza dell’automobile o spalava –proprio come fosse un ingombrante mucchio di neve – i residuibitumosi sul terrazzo, la stampa si occupava dell’ultima raviola-ta del paese tal dei tali o della prossima sagra di muscoli.

Come mi sarebbe piaciuto vivere nei pressi di un modernoimpianto dalla sicurezza certa e famoso in tutta Italia (e magarianche in Europa) dove i bambini delle scuole vengono portati ingita – senza alcun tipo di imbarazzo, come invece accade oggi –descritto su internet e in televisione in tutta la sua impeccabilebellezza tecnica. Oh! Assistere a documentari interi, sulle retinazionali, ad esso dedicati, come fosse il miglior esempio dellatecnica moderna. E invece… sono nato là dove il silenzio, l’im-barazzo e il disappunto regnano sovrani. Guai a parlare dellacentrale, nella migliore delle ipotesi l’interlocutore gira gli occhi

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dei repressi, ma che se ne vadano un po’ a divertirsi il sabato se-ra e non rompano le balle con ‘sti dati! Pensi davvero che se cifossero problemi lo Stato non interverrebbe? Lo credi davvero?Cazzate, solo cazzate… te lo dico io!”.

Ma anche queste sono solo voci, voci che circolano, tali equali, già da decenni. Eppure ci deve essere un modo per dareun’idea più attuale della questione ambientale, senza cadere nel-la retorica (detesto le frasi fatte!). la Fortuna – rieccola! – forseha voluto darmi un segno quando ha fatto sì che mi arrivasseuna lettera di un conoscente da tanti anni trasferitosi altrove. Ealcuni ricordi sono riaffiorati immediatamente, con la loro ter-ribile scia di dubbi appresso. “Ti ricordi le fumate nere delle ci-miniere?”.

C’è solo una domanda che, realmente, è destinata a non ave-re mai risposta: che cosa ho respirato quando, da bambino, dal-le ciminiere fuoriusciva il nero fumo che per anni è sceso comeuna nuvola bassa sulla città, sul quartiere? Perché io ricordo, ri-cordo perfettamente certe giornate estive; mi si può dire qua-lunque cosa, che è tutto okay, che i filtri oggi funzionano che èuna meraviglia, che non si corre alcun pericolo ad abitare a po-che decine di metri dagli impianti, che dagli sfiatatoi delle ci-miniere non può che uscire del semplice e innocuo vapore ac-queo, ma nessun avvocato, nessun professore universitario dichimica o di qualsivoglia altra disciplina più o meno scientificae tanto meno nessun imprenditore in giacca e cravatta può osa-re sorridermi bonario quando pretendo di sapere quel che untempo usciva dalle ciminiere. “Uscivano sì o no delle sostanzeinquinanti?”. “Eh! Eh! Ragazzino, quante cose vuoi sapere…”.Al diavolo i “no coment”! Io ho dalla mia, purtroppo per questisignori, il nitido ricordo di lontane giornate di luglio. Un dia-gramma può essere falsificato così come una tabella dei valori diquesta o quella sostanza, per non parlare poi dei documenti dicertificazione e quant’altro… ma la memoria no, impossibile!Almeno è impossibile oggi che ho vent’anni esatti. Non mi so-

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altrove. Guai a parlarne al di fuori della città. Guai a chiedereinformazioni, anche stupide, banali: “Ma senta un po’, quei ru-mori che si sentono…”. Guai. Guai a mettere in dubbio le scel-te politiche. Guai.

Quelle volte che Savona con il suo porto, Albissola con le sueceramiche, Bergeggi con la sua isola, Noli con le sue torri medie-vali e col suo castello, Varigotti con il borgo saraceno e Finale conle sue rievocazioni medievali irrompono sul teleschermo in qual-che trasmissione della domenica, roba per turisti, l’elicottero cheriprende l’ampio arco costiero o la motovedetta che naviga poco allargo con i cameramen sul ponte, non si soffermano mai sulle ci-miniere. Vado, seppure esiste topograficamente, non esiste media-ticamente. Del resto, come dare torto ai registi? Quanto possonoessere invitanti le ciminiere, a due passi da Bergeggi e da tutte le al-tre località turistiche avvelenate da imprecisate sostanze?

Cercare Vado in televisione in tutto il suo squallore, con i tu-bi azzurri che trasportano il carbone e che si sbracciano cometentacoli di una piovra vorace e temibile tra le palazzine e i giar-dinetti tenuti così bene, al tramonto, e poi sperare in un primopiano della testa della piovra con i panciuti dossi metallici deiserbatoi, le squadrate imponenze dei locali caldaia, le lugubri emalauguranti ciminiere, le montagne di carbone accanto alla li-nea ferroviaria che va verso quelle tanto famose località riviera-sche (Borgio Verezzi, Loano, Albenga, Alassio e via via fino aSanremo e Bordighera), tutto ciò è assurdo. Solo un regista del-l’orrore potrebbe appassionarsi ad una tale realtà, magari per unsequel di qualche fortunata serie sugli zombie.

Nemmeno Italo Calvino, quando nel 1974 era salito sullaterrazza del Priamar per conto dell’Italsider per prenderespunti visivi per un libello divulgativo sulla Liguria, Ferro ros-so Terra verde, al quale collaborò per quanto riguardava l’areasavonese, nemmeno lui ha osato descrivere, con il suo stile co-sì leggero, la centrale elettrica. Lo sguardo di Calvino da Sa-vona spaziò fino a Capo Vado (anche se poi s’immaginò il Fi-

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nalese e ne scrisse a lungo, così come la Val Bormida alerami-ca e napoleonica) ma non citò per nulla l’opera che era piùevidente; un pugno nell’occhio certo per uno scrittore che,amando la sua Liguria, non smise mai di criticare quella poli-tica che dagli anni Cinquanta iniziò a sommergere di cemen-to tutta la costa (La speculazione edilizia è l’opera più eviden-te; ma anche nel Barone rampante e in vari altri racconti emer-ge un’idea sconsolata delle iniziative moderne che voglionoprevalere sul naturale). Gettando gli occhi su Vado, sullaschiera di montagne che cingono la rada, si limitò a risentirsiper le “cave che squarciano le pendici verdi della costa di feriteesangui che restano aperte, dolorose alla vista (ripagherà il van-taggio economico immediato dell’estrazione la perdita di un’ar-monia naturale che non si risarcisce?)”. No, della centrale ormaientrata in funzione non v’è cenno.

Anche se avessi impostato tutto questo lavoro in manieradiversa, se mi fossi obbligato a essere quanto più possibile aldi là delle parti si arriva sempre ad un punto in cui non ci sipuò credere semplicemente super partes; tanto più che, in que-sto caso, lo scrittore è stato – o è ancora? chissà, chissà! – an-che vittima. E così, non sapendo ancora quello che io, assie-me ad altri, ho respirato in quel lontano giorno – solo quelgiorno ho preso d’esempio – non posso fare a meno di esi-mermi dal fare la parte della povera ed impotente vittima chenon sa quel che dire.

In attesa di una risposta riguardo all’antica domanda suquel che ho respirato, mi basta aver almeno testimoniato, co-me si dice, una verità; una verità percepita fisicamente, daisensi e che in certi casi ha avuto anche conseguenze non mol-to gradevoli (sfoghi improvvisi, asma, allergia a qualcosa dinon ben determinato…), che valgono molto più di stime orassicurazioni.

Anche se fossi l’unica persona sulla terra a credere che quelgiorno qualcosa di nocivo e velenoso è entrato nei miei pol-

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Certe volte, magari quando si è in compagnia di uno dei tan-ti bagnanti che in estate dal Nord calano sulle nostre spiagge ar-mati di creme solari e fiocine per pesca subacquea, può sempre ca-pitare di sentire commenti del tipo: “Guarda che roba, quella spe-cie di forno crematorio, laggiù…”, magari quando si è all’autogrilldell’autostrada e si sta per rientrare in macchina dopo il caffè; pe-rò poco male… mica sanno, quelli, che a due metri da loro c’èuno dei muti abitanti di quella realtà. Come ci si sente Fantozzi,però! Come ci si sente un personaggio di Carlo Verdone!

Quel che sarà il futuro non è affatto chiaro, nessuno può az-zardare sicure ipotesi; e ci si chiede per quanto ancora la farsa ela tragedia continuerà, se mai potrà cambiare qualcosa, se ungiorno – aprendo le imposte sul quartiere al tramonto – non sivedrà più l’ombra delle ciminiere che tagliano l’ultima luce sul-le aiuole come fossero aste di ciclopiche meridiane. E c’è rispo-sta a queste domande? “Sino a quando?”… “Fino a cosa?”… Perora tutto tace. O se qualcosa o qualcuno parla, non sibila che in-sulse verità in questo inferno.

Un inferno. Un inferno tecnologico, chimico, politico, am-bientale, sociale. Vado Ligure come inferno. Vado ha subito tal-mente tanti cambiamenti negli ultimi cento anni che non si puòdire che la Vado attuale sia la Vado di venti anni fa; così comequella di vent’anni fa non era la Vado del ventennio precedente ecosì via. Solo considerando il Novecento sono esistite quattro ocinque Vado che, in un modo o nell’altro, non sono più visibiliperché scomparse sotto la spinta della Storia. Solo negli album de-gli scatti d’epoca si può ritrovare quell’atmosfera un po’ provin-ciale e paesana da cui la città industriale ha attinto manodopera espazi; e allora si può dire, come il viaggiatore a Maurilia, che erauna località graziosa, in fondo bella nel senso più schietto del ter-mine cioè piacevole da godere, ma questo non può avvenire cheguardando alcune foto, ora che decenni di industrializzazione emodernità hanno stravolto del tutto quell’originaria atmosfera.Vado potrebbe essere tranquillamente una “città invisibile” di Cal-vino che in un itinerario vagabondo si può visitare di sfuggita non

moni e in quelli di tutti gli altri viventi presenti in quel mo-mento all’aperto, continuerò a credere quello che effettiva-mente ho vissuto.

Nel frattempo nel quartiere si continua a vivere; negli ul-timi tempi una nuova ondata di persone ha affittato o com-prato immobili sotto le ciminiere, per necessità o per convin-zione; altri bambini giocano a pochi metri dagli impianti eguardano all’imponenza delle ciminiere come si potrebbeguardare la magnificenza di un grattacielo. Nei primi anniNovanta vennero ricostruiti i giardini pubblici al centro delquartiere, venne demolito il civico mattatoio e al suo postoedificato il deposito della S.A.T., della raccolta rifiuti; nel con-tempo anche le rovine della S.I.R.M.A. lasciarono il posto adun nuovo e moderno complesso commerciale molto vasto nelquale si trasferirono alcune attività del savonese e un marketper la vendita all’ingrosso di alimentari.

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stieri che credono che Vado sia nata perché le industrie potesserousufruire di uomini e non sanno che prima c’era già una comu-nità che è stata chiusa in un ghetto di palazzine più o meno vivi-bili, in quartieri non sempre piacevoli.

Ecco perché non me la sento di chiudere questa lunga, terri-bile, drammatica ma necessaria opera con le parole speranzosedel Queirolo, ma sono costretto a rifarmi ancora a Calvino e al-le sue Città invisibili; calato nell’inferno di questa terra marto-riata da tutto e da tutti, nell’inferno ho cercato ciò che ancoranon s’è fatto mostruoso – come il desiderio della rivalsa – e, sal-vandolo dall’oblio, l’ho messo in salvo da un presente inquieto.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno,è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni,che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non sof-frirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e di-ventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo èrischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cer-care e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, nonè inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

curandosi troppo degli abitanti che s’arrabattano a viverci, pas-sando loro solo accanto, mossi da un modesto senso di curiositàma supportati dalla superbia che fa atteggiare da privilegiato spet-tatore di un martirio umano al quale non si appartiene. “Non ticurar di lor, ma guarda e passa”.

Il sacerdote e storico Cesare Queirolo, concludendo il suo librosu Vado nel 1868 (Dell’antica Vado Sabazia), si augurava che il pas-sato della città potesse essere guida per le iniziative future (così co-me era luogo strategico nell’antichità, con i mezzi moderni sareb-be dovuta essere teatro delle nuove scoperte del mondo industria-le; e così fu) e che nel contempo quelle future iniziative lasciasseroil dovuto spazio alla memoria; un po’ per rispetto di chi prima deigrandi magnati s’era fermato a vivere nella piana e un po’ per po-tersi ancor più vantare d’esser stata da sempre un centro impor-tantissimo. Scrisse: “che giammai venga meno in te o mia Sabazia, ilretaggio della pietà de’ tuoi avi. Anzi dessa ognora più in te s’afforzi edavvalori, e sarà questo il pegno più certo della tua vera prosperità deltuo morale e civile progresso”.

Purtroppo da modesto insediamento industriale, in pochi an-ni la Sabazia si è trasformata in un orribile paese; la speculazioneche si è fatta del territorio ha raggiunto limiti mostruosi, tanto chesenza voler prendere in considerazione progetti che oggi destanopreoccupazione, vivere a Vado sta diventando un’impresa. Il pas-sato è stato calpestato; della Sabazia non ci rimane nulla nemme-no in un museo, perché di fatto da nessuna parte si può rintrac-ciare la vetusta Vada Sabatia. La centrale, le grandi industrie chi-miche, l’autostrada, le cave di pietra, le discariche… sono tutteopere che fanno parte dell’immaginario comune di ogni cittadinoe nel complesso compongono l’inferno quotidiano, l’inferno chesi mostra nei fetori chimici, negli spurghi delle ciminiere, nell’or-gia di traffico pesante che viaggia sulle strade, nei rumori e tre-mori notturni, nel mare macchiato di liquami portuali. Ma mol-tissimi vivono in questo inferno da sempre e vi hanno fatto l’abi-tudine, ci convivono cercando di non essere troppo intaccati dal-la presenza funesta di troppe strutture, automi quasi per i fore-

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APPENDICI

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Savona. Storie di una ecatombe

raccolte da Alma Carlevarino

...RITA, casalinga di Savona, 68 anni, si ammala di tumoreal seno, mastectomia.

La famiglia le si stringe intorno “Coraggio, ce la farai...”. Lelevano il seno, la sua vita è compromessa, è senza forza, si giraper casa come un fantasma, non è più quella di prima.

L’anno dopo un cancro alla tiroide se la porta via…

...CESARE, 44 anni, impiegato, intelligente, cervello fino,ricoverato per esaurimento nervoso, astenia, depressione, le ana-lisi del San Paolo appurano un cancro al fegato.

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…MARIA LUISA, 68 anni, sana come un pesce tutta la vi-ta, sportiva, socievole, grande lavoratrice, caparbia, precisa, di-sponibile. A 68 anni, durante un controllo di routine, le vienediagnosticato un tumore al seno, mastectomia, sembra una co-sa da nulla. Ma il dottore, aprendola, trova una situazione benpiù grave di quella prevista, il tumore è ramificato, i linfonodisono già presi. Effettua una mastectomia totale. Maria Luisa fala chemio, la radio e la terapia ormonale. Ai controlli successivii dottori di Brema dicono alla famiglia di stare tranquilli, MariaLuisa è guarita.

Invece... dopo qualche anno le scintigrafie successive eviden-ziano metastasi osse, gravi, diffuse, con cui Maria Luisa ora con-vive, aspettando il suo momento e sperando che sia il più in làpossibile.

Luisa ringrazia i medici, gli oncologi e gli infermieri del re-parto Oncologia per la loro umanità e disponibilità. Luisaogni settimana passa due, tre giorni in ospedale per le cure ele analisi…

…ZITA, 40 anni, amata a benvoluta da una sorella angelicae da una famiglia numerosa, piena di nipotini allegri che lasfruttano al massimo come baby sitter e dispensatrice di vizi ecoccole.

Zita si ammala a 40 anni di cancro al seno, va a Milano a far-si curare. La chemioterapia la debilita, è estate, fa un caldo paz-zesco, i nipotini sono esuberanti e lei non ha la forza fisica distargli dietro.

Progettano le vacanze per l’anno successivo ma lei non ci ar-riverà. Il cancro, estirpato con la mastectomia, si forma nel cer-vello, la operano alla testa ma dopo si riforma ancora.

Zita ci lascia, dopo aver perso, a causa della massa tumorale,il controllo della realtà e la dignità di persona.

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Si spegne, pallido come una larva, consumato dal male, in unafoso giorno d’estate, lasciando una moglie di 39 anni ed unabambina di 12…

...ROBERTA, un fiore, 18 anni, dolce, sensibile, responsabi-le, occhi azzurri grandi come il mare. Dopo aver festeggiato lamaturità si sente male. La ricoverano, cancro ad un ovaio.

Inizia una lunga, massacrante odissea, Cairo, Savona, centrotumori di Milano. I ricoveri si susseguono e le chemio anche. Ilmale corre rapido, le porta via la vita, prima che lei e la famigliase ne possano rendere conto.

Si spegne velocemente, come una candela per un colpo divento troppo forte.

Di lei ricordo solo gli occhi, un mare azzurro di trasparenzae di incredulità. Perché?

Sua mamma è morta di cancro al seno a 37 anni, perché?…

…ANGELO. Una quarantina d’anni abbondanti, il menin-gioma lo colpisce nel fiore degli anni della vita, e dell’ascesa pro-fessionale: lavora in un posto di responsabilità, ha una mansio-ne di grande importanza sociale.

Angelo è dato per spacciato, non c’è più niente da fare, glidicono, ma lui non si arrende, corre a Parigi, lì lo operano.Resta col viso deforme, un occhio storto, il profilo deforma-to, atroce.

Dieci anni dopo il tumore si riforma, Angelo si riopera. Ilsuo aspetto peggiora ancora. Vive una vita normale per un’altradecina di anni, moglie, figli, casa, impegni sociali, da quel lavo-ro di responsabilità si è ritirato.

Ora ad Angelo, che aspetta un nipotino, hanno riscontratoun tumore al cervello riformatosi per la terza volta. Aspetta no-tizie, spera di potersi operare ancora, spera di poter vedere il suonipotino…

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E i bambini stanno vivendo un dramma immane, con un bu-co nel cuore...

…BERARDO, il finanziere, vive alla Rusca, 44 anni, bello,robusto, intelligente, sportivo, tutte le sere corre e va a fare jog-ging, lo conoscono tutti. Un giorno gli scoprono un cancro, siopera, torna a stare bene, il cancro si riforma… nulla da farequesta volta.

Berardo lascia una famiglia disperata, ha due figli, uno pic-colo e una adolescente. Anche i colleghi sono increduli, e riem-piono a chiesa al suo funerale. Savona non sa della sua morte, lafamiglia per riservatezza sceglie di non stampare necrologi, co-me si fa a tacere casi così?

Meditiamo... forse non è solo sfortuna, che ci sia qualcosanell'aria?…

…TATJANA, 38 anni, Pietra Ligure, mal di schiena lanci-nante, indaga ed è tumore. Una lunga agonia. Due bambinepiccolissime, la più grande che urla in chiesa il suo dolore, epiange disperata dietro la bara.

Scene che una persona normale non vorrebbe vedere mai, eche a Savona succedono con sconcertante frequenza…

…La MAESTRA DI SPOTORNO, sui 60 anni, se la portavia un cancro un freddo giorno di inverno. Il paese è incredulo,tutti le volevano ancora bene, è stata un esempio di correttezzaper generazioni...

…Ad ANNA sono morti di cancro fratello, di 30 anni ab-bondanti, padre e madre. Abitavano a Cengio, che gli effetti del-l’inquinamento di Savona, Vado e Valbormida si mischino in unmix letale per la gente?…

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Ci manca molto, un buco nel cuore, tra parenti, amici e col-leghi. La sua foto troneggia ancora dietro la sua scrivania, chi èarrivato dopo di lei le vuole troppo bene per toglierla da lì. Zitaè ancora con noi…

…GIOVANNA, una sessantina d’anni, bionda, allegra,ben curata, capelli perfetti, unghie sempre impeccabili, sorri-dente, gioiosa, aperta con tutti. Una delle regine delle Forna-ci. Una leucemia galoppante se la porta via in pochi mesi.

Se ne va, disperata, che è una larva umana, pallida, grigia involto, spossata dal male, la ricorderemo in piena forma, comesarebbe piaciuto a lei…

…VANNA, la sua amica, altrettanto curata, riccioli biondi,bellissima lei, bellissimo il marito, bellissimo il figlio, alto, ab-bronzato, un esercito di nipotini, tutti bellissimi ed abbronzati.Passeggiava tutti i giorni per le Fornaci, estate e inverno, con ilmarito e le amiche, impettita, radiosa, felice, quasi insolente nel-la sua austera bellezza, comunicativa, serena.

Se ne va in pochi mesi per un cancro, lasciandoci tutti orfa-ni del suo buon umore e del suo amor proprio.

L’ultimo nipotino non lo ha neppure potuto conoscere...

…VIOLA, una quarantina d’anni, viveva nella valle di Vado,una bella famiglia, tanti amici che le volevano bene, due bam-bini. Cancro al cervello, operata, chemio, il cancro si riforma,operata, chemio, il cancro si riforma, ancora, per un po’ divolte. Si spegne alla clinica Rossello, senza riconoscere neanchepiù i suoi bambini, nutrita solo con flebo e sondini. Adessoquando si incontrano, gli amici scoppiano a piangere a turno,col marito, al pensiero che lei non c’è più. E non se ne fannouna ragione.

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…LINO, Lavagnola, affetto dalla nascita da autismo, segui-to dalla mamma con grande impegno e dedizione, sta miglio-rando col tempo.

Forse, in un ambiente meno intriso di metalli pesanti, sareb-be nato sano…

…GIANPIERO, politico, muore di cancro alla gola in etàmedia lasciando la compagna ed i figli, tra i quali uno piccolis-simo. Sarà perché era un accanito fumatore o perché abitava aBergeggi?

Comunque quel bimbo non ha mai visto il volto di suo pa-pà, se non in foto, e noi siamo in pena per lui…

…MORELLA, 11 anni, appena terminate le scuole elemen-tari, è stata portata via da un cancro al cervello.

Undici anni.Si è manifestato quando era piccola, le sue amiche la aspet-

tavano alle medie, ma sta frequentando quelle del paradiso de-gli angeli…

…ANNA, 12 anni. Una brutta macchia sotto un occhio, siricovera a Savona, le diagnosticano una leucemia, la portano dicorsa al Gaslini.

Anna morirà di leucemia tre mesi dopo. Abitava a Vado, sot-to le ciminiere…

…NOEMI, 12 anni, melanoma, ha iniziato le medie manon è riuscita a compiere la prima settimana di scuola. Era sututti i giornali, quei tristi giorni, bella come il sole, occhi verdismeraldo, se aprite la sua pagina di facebook ancora vi sorride,tra la coroncina di reginetta dei bagni, il suo cagnolino ed i suoipeluches.

Forse non meritava di vivere ancora?

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…TOMMASO, cancro alla laringe, vive con un microfonoin mano e per potersi esprimere lo avvicina alla gola dilaniatadall’intervento ed emette mugolii che la sua famiglia, col tem-po, ha imparato ad interpretare.

Ha sui 70 anni ed è vivo, già buona cosa....

…Invece GINO, stesso male, grande appassionato di cicli-smo, non ce l'ha fatta, e forse organizza gare di bici nei cieli...

…MARIA ROSA, una cinquantina di anni ma ne dimostraventi di meno, bella, aristocratica, gioviale, ambiziosa, ben te-nuta.

Carcinoma al seno. Si interessa di problemi ambientali edè incredula di cosa stia accadendo nella nostra provincia.Quando la preghiamo di produrre le cartelle cliniche ai finistatistici afferma che non si sente di darcele, troppo doloredietro.

Anche suo padre e sua madre sono morti di carcinoma, e leista ancora troppo male. Prega tutti i giorni che le sue ragazzenon si ammalino. Siamo con lei con tutto il cuore…

…ANNUNZIATA, Savona, con suo marito voleva un bam-bino e invece ha fatto 5 aborti, in mesi differenti di gestazione.Ora hanno presentato domanda di adozione, e sono più sereni,il tempo ha affievolito il cupo dolore…

…NOLI, una strage annunciata. Pochi giorni fa muore il vi-gile urbano, 51 anni, gran brava persona. Tutti lo ricordano conaffetto per la sua personalità e la sua umanità.

Pieno di bambini con asme ed allergie. Ma evidentemente ainostri politici fa bene così…

…CLARA di Spotorno, muore di leucemia a 16 anni…

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ed alle cure guarisce, oggi è una felice mamma che si occupa del-la sua famiglia e lotta per l’ambiente.

Sua mamma invece non ce la fa, muore di cancro all’uterointorno ai 60 anni…

…MARIA, due cancri gravissimi, è stata parecchio tempo infin di vita, dichiarata senza speranza, ha passato le pene dell'in-ferno, è viva per miracolo. Ma non smette di lottare, per la sa-lute e per l'ambiente, affiancata da una famiglia molto in gam-ba e molto unita.

Se n’è andata a vivere lontano da Savona, teme l’inquina-mento di questa città, ora vive in campagna, in un posto isola-to, dalla natura incontaminata.

L’abbiamo incontrata in questi giorni, triste, stanca, sconvol-ta, è stata ad un controllo in oncologia, si sono ripresentati deiproblemi...

…CARLETTO, famiglia benestante, unita, si ammala dicancro al cervello. Dopo innumerevoli peregrinazioni, Savona,Genova, Milano, Parigi, Carletto ci lascia. Troppo presto.

Ha 16 anni e non vedrà mai i figli di sua sorella, che arrive-ranno tra poco.

Ogni volta che incontriamo sua madre e la guardiamo negliocchi, leggiamo un dolore indomito, grigio, rabbioso e abbas-siamo i nostri…

…PAOLO, zona Fornaci. Bello, alto, simpatico, gioviale,pieno di amici, di energie e di iniziative.

Non c’è più da pochi mesi, cancro. Incurabile, non perdona.Tutti noi, amici suoi, non possiamo che ricordarlo nelle gite

di montagna, o mentre girava il pentolone con dentro lo zimi-no di ceci.

Ma ci manca, la sua famiglia è sfatta…

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Poche settimane dopo se n’è andata la nonna, cancro, 60 an-ni, il quartiere tappezzato di manifesti. Abbiamo passato giornicol pensiero fisso a quella madre, a quella donna, al pensiero diquali incredibili tragedie siano passate in un arco di tempo cosìirrisorio. Per colpa di chi?…

…ancora nel COMUNE DI SPOTORNO, inizio di questasettimana, funerali ad una giovane mamma, morta di cancro.Gli amici sono sconvolti, la famiglia anche, le amichette della fi-glia le si stringono intorno, ma nulla, purtroppo, potrà farla tor-nare tra noi…

…BETTO, 39 anni, lavora nella valle di Vado, a un passodalle ciminiere. Si spegne di leucemia fulminante nel giro di ungiorno. Non si sente bene, va al pronto soccorso, lo ricoverano,gli diagnosticano la leucemia, ma la mattina si spegne, nel fioredegli anni. Lascia due bimbi adolescenti, una moglie giovane, eduna famiglia nell’angoscia. Perché?…

Suo padre viveva ad Albisola e muore di cancro al fegato, ere-ditarietà o inquinamento?…

…LALLA, 35 anni circa, bella, intelligente, ricca, appar-tiene alla Savona bene, le diagnosticano cancro al seno, si ope-ra, si cura, sopravvive. Dopo anni di angoscia, vissuti nel ti-more che il male ritorni, il ginecologo l’autorizza a fare un fi-glio, ormai le pesanti cure che ha fatto si sono disperse nel-l’organismo e non hanno più lasciato traccia. Ora Lalla è unamamma felice ed appagata, ma nel frattempo la sua mamma,arzillissima professionista savonese, è stata colpita da un can-cro, e dopo innumerevoli cure e sofferenze, è morta…

…anche CINDY si ammala di cancro al seno in giovane età,intorno ai 30 anni, ma per fortuna grazie alla diagnosi precoce

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Ce la vogliamo ricordare così, generosa, allegra ed espansiva,pur nella sua disperazione, aveva 51 anni.

Ma in quel posto in Corsica, non riusciamo più a tornare.Troppo magone, troppa disperazione...

…FULVIA, sartina precisina di 60 anni, sempre elegante,impeccabile, schietta, ironica, sarcastica, ma disponibile, allegra,piena di vita, sportiva.

Ci ha lasciato per un cancro all’utero. Viveva sotto le ci-miniere…

…STELLINO, non fumatore, ci ha lasciato quest’estate perun cancro ai polmoni, aveva 46 anni.

La sua mamma pesa 30 kg ed a guardarla negli occhi le si leg-ge un dolore senza fine, che trova consolazione solo nella suasmisurata fede.

Dio la consoli, noi non ce ne facciamo una ragione…

…ANTONELLO, anziano pio uomo di Lavagnola, muoredi un cancro ai polmoni senza mai aver visto una sigaretta…

…A VADO DUE CARE AMICHE, un’infermiera e laproprietaria di una lavanderia, si ammalano di cancro e muo-iono.

Hanno intorno ai 35 anni…

…a Vado BEATRICE, 30 anni, ha il cancro al seno. Si stacurando ma è disperata e non sa di chi sia la colpa…

…LISETTA, giovane donna, 40 anni, dagli incantevoli occhiverdi, separata, ha il cancro, è in chemio, la sua bambina affidata adiverse persone per la vita normale e lo sport, lei purtroppo non lapuò seguire, i giorni della terapia si sente molto, troppo debole.

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…ANNUNZIATA, morta di cancro, 60 anni, sua figlia nonsi sente di darmi le cartelle cliniche per scopi statistici perché staancora troppo male solo all’idea di riprenderle tra le mani.

Quelle palpitano ancora per la sofferenza di sua madre e ildolore della famiglia…

…GIULIA, Celle, padre e madre morti di cancro anche segià avanti negli anni, il padre cancro al polmone sebbene nonfumatore.

Cause ambientali?…

…RITIN e LELLA, Savona, padre e madre morti di cancro.Si chiedono il perché e sono in pena per i loro bambini. Si am-maleranno?…

…NUNZIO e GIACOMO, padre e figlio, tutti e due mor-ti di cancro, giovanili e sportivi, grandi sciatori, pochi mesi didistanza uno dall’altro.

Macabro destino o altro?…

…GIACOMO ha una fattoria a Roviasca, sopra Quiliano, ecoltiva biologicamente la frutta, la verdura, gli olivi per sé e pergli amici, ha conigli e galline.

Intorno ai 60 anni ha contratto il cancro, si è curato e graziea Dio per adesso va avanti, ma ha paura per il futuro suo e delsuo territorio, nonché per la salute di figli e nipotini...

…OLGA, giovane professionista savonese, colpita più volteda un cancro, quando ha sentito che le forze non la reggevanopiù, che l’energia vitale defluiva dal suo corpo, ha organizzatouna grande vacanza per gli amici, in un mare di paradiso, of-frendo tutto lei con i suoi soldi.

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forte e la vicenda per adesso si è conclusa bene, per fortuna è vi-va, e dopo l’intervento ha ancora visto nascere la sua nipotina,la frugolina Claudia.

In compenso quest’inverno, dopo una lunga agonia è mortadi cancro sua cognata, e suo cognato è agli ultimi respiri.

Aspettiamo che Dio ponga fine al suo calvario…

…FLORIANA è in gita con noi, siamo in Francia a faretrekking nelle gole del Verdun, si sente male, è pallida, non hala forza di mangiare. Lo ricordiamo come fosse adesso, che fati-ca faceva per deglutire un uovo sodo.

Torna a casa, va dal medico, una gastroscopia le mette in evi-denza un cancro allo stomaco, con ramificazioni, ha già preso al-tri organi, cistifellea, pancreas.

Un cancro che spesso non perdona, inizia il calvario.Floriana perde 30 kg, diventa una larva, non riesce a respira-

re, a mangiare, a deglutire, a camminare, a fare le faccende di ca-sa, è pallida e trema anche nelle attività più banali. Per fortunaha un marito e dei figli meravigliosi, che la accompagnano sem-pre a fare le chemio e le preparano ogni giorno pappette e rico-stituenti.

Oggi ce l’ha fatta, o così pare, anche se regolarmente deve fa-re i controlli…

…ELISEO, 50 anni, da tempo sta male, sta sempre male enon sa perché. Fa analisi su analisi e non risulta nulla. Esaspera-to va in un ospedale fuori regione e, da un’indagine più accura-ta, gli scoprono una leucemia, che cova da almeno 10 anni, chenessuno prima gli ha riconosciuto.

Vive e lavora nella valle di Vado, zona industriale del savonese…

…PIETRO, amico, animatore, sindacalista, mediatore cul-turale, il gigante buono, viene portato via da un ictus a 69 an-

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Ma non vuole assolutamente che si sappia del suo tumore,si è comprata una costosa parrucca e cerca di fare vita norma-le, nascondendo al mondo il suo male come se fosse una ver-gogna.

Ma negli occhi della piccola Anastasia si legge la paura...

…GIO BATTA è di Vado, ha una cinquantina di anni, ha ilcancro alla gola, è molto arrabbiato perché sta male e non sa co-me fare per guarire.

Sa che il cancro nelle persone relativamente giovani non per-dona…

…a GIULIANA a 2 anni viene diagnosticata la leucemia.Entra in cura al Gaslini, inizia un martirio per la mamma. Lacosa che le fa più paura, nella sua ingenuità di bimba, sono gliaghi e le flebo, continuamente piantate nei suoi braccini, che lefanno molto male.

Ora Giuliana, dopo tanti anni di cure, per fortuna, dovreb-be essere guarita e conduce una vita normale... quelle pungentizanzarine forse resteranno solo un triste ricordo, ma la mammaè ancora traumatizzata.

L'infermiera di pediatria, in merito all’enorme incidenza dicancri infantili e leucemie in zona, ci ha detto “Guardi che la si-tuazione non è visibile per niente, perché i bambini che si amma-lano nella Provincia di Savona vanno a curarsi (e nei casi dram-matici a morire) al Gaslini di Genova”…

…MARIANNA, donna attiva e organizzatissima, ottimacuoca, gran casalinga, attenta a tutto, un giorno scopre sanguenelle feci. Corre dal medico, le diagnosticano un carcinoma al-l’intestino.

Si opera, sorgono complicazioni, è gravissima per un lungotempo, va in rianimazione, sembra agli sgoccioli ma è di fibra

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ni. Una persona che aveva ancora tanto da dare al mondo, condue nipotini piccolissimi, una famiglia gettata troppo prestonella disperazione…

…NIKITA sta lottando disperatamente con noi contro ilcarbone, un giorno, mentre parliamo, si apre la camicetta, mifa vedere la gola squarciata e ricucita, e con un misto di orgo-glio, dolore e pena mi esclama “Io ho già dato, cancro alla ti-roide”.

Quando si è ammalata, Nikita non aveva ancora 40 anni...ora sta facendo gli esami di follow up con regolarità, ma hapaura per le sue ragazze, tre graziosissime adolescenti…

…LOLLO, nasce con un tumore al cervello, per fortuna èmolto circoscritto, gli fanno un’operazione difficilissima, inquanto è neonato e un minimo sbaglio comprometterebbe isuoi centri nervosi, con conseguenze irreparabili.

Dopo mesi e mesi di cure e di follow up ora Lollo è stato di-chiarato guarito, gioca sereno con le sue sorelline e la malattianon resta che un brutto ricordo, ma la sua mamma, che cono-sciamo bene, è ancora sotto choc per quanto ha passato col fi-glio...

…FORNACI, ultima estate, la sposina MICHELA va a ce-na col marito e al ritorno si sente poco bene. Va al pronto soc-corso, pensando ad una brutta indigestione.

Le diagnosticano una leucemia fulminante, dopo poche orecessa di respirare.

La famiglia, che le era legatissima, è affranta, distrutta, am-mutolita: pochi anni fa era morto il fratello di cancro.

Vent’anni.

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È un caso, o qualcuno ha delle colpe per il grado di inqui-namento del savonese, che non viene per nulla monitorato?…

“per fortuna non sono tutti morti, qualcuno è vivo e vegeto e staanche bene… e lotta con noi contro il carbone”.

ALMA CARLEVARINO

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Qualcuno, passando distrattamente sotto la centrale – in macchi-na o a piedi – si domanda: “Ma perché hanno costruito le case così vi-cine all’impianto?”. Ma la domanda è mal posta. Dovrebbero chieder-si invece: “Perché la centrale è stata costruita così vicina alle case?”.

Prima delle ciminiere c’era già qualcosa.

Primi anni del Novecento

Anni Duemila

Prima della centrale elettrica

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Un po’ di toponomastica

L’area da me presa in esame comprende sia quella vastaporzione di territorio che da decenni risulta completamentestravolta dagli insediamenti della centrale e dalle infrastruttu-re ad essa collegate, sia il territorio intorno agli impianti in-dustriali che comunque, nel giro di pochi anni, ha subito tra-sformazioni tali da non lasciare neppure ravvisare intuitiva-mente quella che, non troppo tempo, fa era la naturale con-formazione del luogo. I confini che delimitano la mia ricerca,per quanto riguarda Vado, sono: in area urbana, via Sabazia(dal complesso residenziale MA.RA. a piazza Martini, dietro lachiesa parrocchiale); via Ferraris con la sua prosecuzione val-leggina di via Diaz (dal ponte della ferrovia alla stazione diVado-Quiliano); la zona della strada di scorrimento che dal-l’area Bombardier giunge fino a Bossarino, con sconfinamen-ti nell’area Esso Chimica. Per quanto riguarda il territorio diQuiliano: dalla stazione FFSS al termine di via Cosciari, coninclusione della frazione di Tiassano per quanto concernestrettamente all’indagine qui esposta.

È un’area molto vasta e all’inizio della ricerca in modo par-ticolare ci si dedicherà proprio all’analisi di tutto questo am-pio territorio; ma pian piano che ci si spingerà a trattare di etàstoriche più recenti, il protagonista indiscusso della scena sa-rà il quartiere e la località Griffi più propriamente intesa.

Verranno utilizzati diversi toponimi tipici del posto chevale la pena elencare con una breve spiegazione del termine(che, riproponendosi più e più volte nella zona del savonese,ha assunto caratteristiche proprie nei diversi contesti territo-riali) per quanto riguarda la peculiarità che esso ha nel com-prensorio preso in esame:

Bricchetta: si intende la vasta collina boschiva costituita da ter-ra per uso industriale che dominava l’abitato di tutta Vado, situa-

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Panoramica dell’area attualmente occupata dalla centrale elettrica e da altre in-frastrutture: in primo piano l’industria Oscar Sinigaglia (attuale Bardier Bombar-dier). Da sinistra a destra: la “casa della Bricchetta”, la collina un tempo detta “loSciarto”, la fornace di mattoni della famiglia Griffo, il possente caseggiato della Tor-re dei Griffi. Il borgo rurale sulla destra è Tiassano (la foto si riferisce ai primi annidel Novecento).

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nelle nuove palazzine del quartiere, per poi trasferirsi a Loanodove probabilmente s’era da parecchio tempo insediato un ramo(almeno da un centinaio di anni); o forse il ceppo loanese diquesta famiglia era originariamente proprio il primo possidentedella località (non si può affermare con certezza).

Tana: località posta a ridosso di Bossarino, confinante con ilterritorio quilianese. Quel poco che ne rimaneva è stato cancel-lato dall’ampliamento della Esso Chimica, negli anni Novanta.

Termi: toponimo che si riferisce ad un nucleo abitato costi-tuito da un agglomerato di costruzioni rustiche in territorio delComune di Quiliano ma sovrastante parte della vallata del Se-gno e da cui è possibile avere una panoramica dell’intera radavadese; il termine andrebbe probabilmente fatto risalire ad epo-ca molto antica (qualcuno sostiene addirittura all’epoca Roma-na) e trarrebbe la sua origine dalla presenza nella località di untermine appunto, cioè un pilastro o monolite che indicava undeterminato confine territoriale (impossibile dire se si trattassedi pertinenze private o di una intera comunità).

Cosciari: località del territorio valleggino appena sotto Tias-sano, oggi è un’area martoriata dal cemento delle grandi infra-strutture che ingombrano la vallata.

Sciarto: fin nei documenti più antichi viene indicato conquesto nome una montuosità compresa tra le terre coltivate deiCosciari e il rilievo modesto della Bricchetta; in questa pubbli-cazione si tende a far coincidere lo Sciarto e l’area ad esso limi-trofa con la località dei Griffi (si leggano a proposito le paginesulla storia della contrada).

Montrucco: termine dialettale con cui si indica un rilievo colli-nare che, nella forma (ridotta), ricorda in un qualche modo la sa-goma di un monte; le fonti orali e le testimonianze scritte (ancheantiche) lo utilizzano spesso al posto del più appropriato e, dal pun-to di vista della lingua italiana, più corretto “poggio” o “collina”.

Fino al 1966 l’area denominata Griffi era costituita da duereti stradali principali, oltre che dalla solita via Ferraris ancor og-

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to com’era al centro della rada, e che è stata nei decenni ridotta adun misero e rachitico terrapieno tra palazzi e industrie; si useran-no anche il termine bricchetti (l’insieme di tutte le gibbosità del-l’area interessata dalla Bricchetta, che si sviluppava in quote di-verse) e bricco (semplicemente utilizzato per definire l’altura diuna collina, o, nel caso della Bricchetta, della sua sommità).

Valletta: luogo di scorrimento delle acque piovane, nonchéstrada pubblica fin dall’epoca arcaica, che univa Vado a Quilia-no; in seguito sarà sinonimo del caseggiato popolare che verràinnalzato in quell’area.

Griffi: la località cui è dedicata questa pubblicazione è statamutilata dalla costruzione della centrale Enel; ne esiste ormai so-lo il toponimo in relazione al quartiere moderno omonimo an-cora esistente a pochi passi dagli impianti termoelettrici. Prendeil nome dalla famiglia Griffo; il cognome in questione è tal-mente inflazionato nella vallata che è impossibile comprenderequale ceppo esattamente fosse in antichità il primo proprietariodella zona (ad esempio si conosce, nel Settecento, la famigliaGriffi-Bonello di Tiassano che deteneva vaste proprietà nei din-torni). C’è poi il fatto che in dialetto Griffo e Griffi si alternanosenza distinzione alcuna tra i componenti del ceppo originario,che resta comunque Griffo. La trasformazione da Griffo a Griffinon è affatto un’anomalia nella tradizione linguistica popolare:numerose altre famiglie sono registrate con questa variante mi-nima nei documenti notarili antichi; un esempio relativamenterecente può essere riscontrato con la famiglia Spirito: nei primianni del Novecento questa famiglia fece costruire sulla propriaterra, il località la Costa, un palazzo di grande eleganza; la gen-te comune l’ha ribattezzato immediatamente, secondo una con-suetudine appunto secolare, come palazzo degli Spiriti (e non èil caso di ricercare in questo nome chissà quale origine supersti-ziosa o paranormale).

Gli ultimi Griffo, spodestati dalla propria abitazione demo-lita a seguito degli sbancamenti, abitarono per qualche tempo

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Le colline d’argillaL’area collinare era costituita da sedimenti alluvionali preva-

lentemente di colore giallognolo formatisi nell’era Cenozoica(geologicamente denominate “Argille di Ortovero”); la sua ori-gine può essere fatta risalire al Pliocene (medio e inferiore), cir-ca sei milioni di anni fa, quando il mare occupava totalmentel’attuale piana vadese infrangendosi sulle pendici delle mon-tuosità come in una sorta di ampio golfo. Il mare depositò sulfondale vari sedimenti che in seguito alla regressione, fenome-no tipico nella preistoria sconvolta da numerosi cambiamenticlimatici, rimasero all’aria aperta costituendo il noto paesaggiocollinare.

I sedimenti pliocenici sono prevalentemente argillosi in que-st’area e sono costituiti da alcune parti cementate con conglo-merati minuti (cioè frammenti cementati alternati ad argilla consabbie non cementate). Generalmente si trova in colorazioni chevanno dal giallo al rossiccio – per via dei processi di ossidazionedei sali di ferro – in superficie, mentre in profondità assume unostraordinario effetto azzurro scuro-blu. In questo strato più pro-fondo si possono identificare alcuni fossili di organismi qualiGloborotalia hirsuta, Bolivina placentina e Uvigerina rutila. Sipuò sommariamente ricordare che l’area oggi occupata dallacentrale elettrica e dai vari impianti ad essa soggetti, aveva quo-te variabili del terreno comprese tra i +7 e i +25 m.s.l.m. At-tualmente la centrale sorge a +9 m.s.l.m.

Attraversate da numerosi alvei di ruscelli che, quando nonerano alimentati dalle acque nei giorni di pioggia, erano im-piegati come rete stradale locale, le colline si estendevano allespalle dell’abitato ed erano meta di passeggiate e, nella partepiù in piano, ideali per le colture. L’acqua, passando per i let-ti scavati nella terra, filtrava nel terreno andando ad alimen-tare sorgenti sotterranee che i contadini sfruttavano tramitevari pozzi o si riversava nel rio Valletta, esso stesso, per seco-li, strada principale di comunicazione tra Tiassano e Vado, ac-

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gi esistente e che giunge fino nel territorio di Quiliano, formal-mente registrate nelle carte e a cui si faceva riferimento per lacorretta distribuzione dei numeri civici e la conseguente distri-buzione di posta: via dei Griffi (che da via Ferraris costeggiava ilquartiere dal lato verso la S.I.R.M.A. fino alla Bricchetta) e viaTorre dei Griffi (la strada che, sempre da via Ferraris, risaliva finverso la costruzione omonima appunto e che costituiva la partedel quartiere verso Valleggia). Con il nuovo assetto urbanisticoconseguente ai lavori di costruzione della centrale e della super-strada, via Torre dei Griffi mutò dapprima in via IV Strada Nuo-va e infine in via Sardegna (nome con il quale viene designataancor oggi) e divenne, oltre che unico accesso al quartiere, svin-colo della strada di scorrimento; via dei Griffi, quella originale,cessò di esistere e attualmente con quel nome si intende una del-le due reti stradali che contornano i giardini pubblici che siestendono al centro dell’area residenziale (l’altra è via Piemonte,l’unica a non aver cambiato né sito e né nome da quando ven-ne posta la prima pietra del primo palazzo popolare).

Vado Ligure in una foto aerea del 1960

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Sabazia furono comunque numerosi i ritrovamenti archeologici,sia frammentari che integri: ancora negli anni Novanta, durantela realizzazione di un complesso residenziale nell’area dell’anticoCampo di Leo, vennero rinvenuti numerosi oggetti fittili risa-lenti all’epoca Romana, sebbene l’area fosse già stata sconvolta danumerosi lavori di costruzione all’epoca dell’industrializzazionedi inizio Novecento. Il Mezzana, a principio del secolo scorso,rinvenne presso l’antico cimitero “una piccola fornace, di forma ci-lindrica, scavata nella marna pliocenica” circondata da numerosicocci di anfore; pochi metri più avanti, nel 1947, si fece appenain tempo a scorgere diverse tombe “collocate nel terreno argillosoassolutamente vergine” delle quali più nulla si sa.

Diverse erano le cave che intaccarono l’imponente mole del-la Bricchetta e delle altre colline che svettavano modestamentetra gli orti e i terreni incolti verso Bossarino (con la Tana) e ver-so Tiassano (con i Griffi); almeno un paio di quelle erano di unacerta grandezza.

L’argilla che affiorava in importanti filoni sulla sommità delBricco, oltre la chiesa e per tutta la sua lunghezza in quella sor-ta di altipiano boscoso, man mano che si scendeva verso mare lasi doveva andare a cavare sempre più in profondità. Il fatto chefosse impermeabile sarebbe stato all’origine della formazione dipaludi nella zona pianeggiante.

Fin dal XIX secolo i mattoni di argilla locale furono esporta-ti, tra l’altro, a La Spezia, a Massa e soprattutto vennero impie-gati nella costruzione degli altiforni delle acciaierie di Bagnoli aNapoli. Queirolo, in quegli stessi anni, annotò orgogliosamentecome quell’attività fosse ritenuta tra le più importanti del paese:“[…] i dintorni di Vado sono ricchi di miniere di terra argillosa aduso di stoviglie e mattoni, e di terra per forni e fonderie, di cui si faampio mercato in Savona, in Genova e altrove”.

L’estrazione dell’argilla avveniva nelle cave sotto il direttocontrollo dei proprietari. Per quanto riguarda la famiglia Griffosappiamo che disponeva in loco, sui suoi terreni, di una piccola

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ciottolata in più punti, nella quale scivolava l’acqua piovanafino al mare.

L’argilla dei Griffi era molto particolare; era infatti in gradodi resistere molto bene alle alte temperature e anche per questoera detta “refrattaria”. Ma le vene di argilla purissima che si ave-va la fortuna di scoprire erano richiestissime anche perché, mi-schiate debitamente ad oli particolari, davano origine ad un ma-stice ideale per suturare crepe e fenditure varie. Lo stucco perisolare le finestre, insomma, partiva anche da qui.

È probabile che fin dall’età preromana, al tempo in cui le tri-bù di Sabates erano ancora padrone del territorio, i manufatticeramici fossero forgiati utilizzando questa terra locale.

I vadesi ritennero sempre la fornace di Tabò la più antica delterritorio; essa sorgeva a ridosso della Bricchetta, lungo la viaQuintana (attuale via Sabazia), a lato dell’asilo comunale doveoggi si apre la vasta spianata del parcheggio dal fondo ghiaiosodella Bocciofila. Una conferma di questa radicata convinzionedei vecchi la diede in parte, nel 1955, il professor Nino Lambo-glia, quando pubblicò il resoconto delle scoperte archeologicheavvenute a Vado in quegli anni, durante le campagne di scavonegli edifici romani in piazza S. Giovanni. Affermò che il ritro-vamento di migliaia di cocci di riporto, raccolti nello strato piùbasso (anteriore alla conquista Romana della Liguria) e risalentiall’Età del Ferro era dovuto sicuramente allo scarico di un’anti-chissima fornace posta nelle vicinanze; lo strato, spesso circa15/20 cm, fu utilizzato per permettere un migliore drenaggiodell’acqua nel terreno paludoso proprio della zona vadese diquei tempi. Più di duemila anni fa non era inusuale servirsi diquesto metodo per bonificare le aree paludose su cui sarebberosorte delle strutture abitative o difensive.

Recentemente, in seguito ad analisi archeometriche condottenell’area di via Sabazia e in altre aree del vadese, si è definitiva-mente stabilito che tra l’Età dei Metalli e l’arrivo dei Romani era-no numerose le fornaci di ceramica esistenti in zona; lungo la via

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senti si ricordano i cavoli, i pomodori, i finocchi e le melanzaneche pare crescessero a dismisura. Un bel campo di girasoli eraposto non lontano dalla casa-torre. Come alberi da frutta ab-bondavano i ciliegi e gli albicocchi.

All’inizio del XX secolo, nel periodo in cui sorsero le più im-portanti industrie della piana, la Bricchetta era più aristocrati-camente chiamata Bricco Miramar ed era meta di passeggiate,nonché luogo privilegiato per la costruzione di eleganti villini li-berty e casette operaie. Era motivo di orgoglio per la cittadi-nanza e per questo venne lodato in quella pregevole stampa, da-tata 14 agosto 1910, del numero unico Lido Vadese (libello pro-pagandistico del tempo sulla villeggiatura per la borghesia di ini-zio secolo).

L’altura, oggi ridotta ad un terrapieno fastidioso e devastatada vari lavori di edilizia e di industria, venne in quell’occasionecosì descritta:

Chi dalla nostra rada osserva il panorama di Vado e ne esami-na i dintorni, potrà facilmente distinguere da lontano una catenadi colline che la chiude come in un vasto semicerchio, ma poi in giù,più vicino all’abitato, potrà scorgere graziosi poggi che, presentandotutte le gradazioni del verde, fanno pompa delle loro piantagioni dicastagni, di pini, di brughi sempre verdi e di erbe aromatiche.

Il più pittoresco tra questi è senza dubbio il Bricco Miramar acinque minuti dall’abitato. Benché a questo si possa accedere per di-versi sentieri, tuttavia la via più comoda si è quella che partendosida Piazza Statuto, dietro alla Chiesa s’inoltra su per l’erta e condu-ce ad una spianata dalla quale verso levante si domina il mare, eda ponente si scorge la vallata del Segno col suo torrente, le varie fra-zioni del Comune ed i camini giganti di varie industrie.

È questo il poggio che si volle chiamare Miramar, e nome piùappropriato non si poteva conferirgli, poiché da lassù si domina col-lo sguardo tutta l’ampiezza della nostra rada, e l’occhio spaziandoper il lontano orizzonte scorge nelle giornate terse e serene il picco di

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fornace, in quella zona pianeggiante detta “Fasce Lunghe” o “ter-ra della Madonnetta”, appena sotto l’edificio rurale detto torredei Griffi (nelle antiche fotografie si intravede, tra le piante inbianco e nero, un alto comignolo bianco). Le formelle di argil-la (modellate proprio con la forma dei mattoni) erano messe adasciugare su stuoie di canniccio, poi cotte o semplicemente es-siccate erano poste in capaci ceste di vimini che uomini e don-ne impiegati nella lavorazione trasportavano sulle spalle o sullatesta fino sul lungomare, dove si era costruito appositamente unpontiletto ad uso dei Griffo per imbarcare la merce.

Le imbarcazioni che trasportavano i mattoni erano preva-lentemente piccoli ed agili velieri che salpavano dalla costa va-dese nei pressi degli odierni giardini pubblici della passeggiataa mare Colombo e che costeggiavano il litorale italico fino allameta. Un po’ da tutta la costa si estendevano pontili dai qualiprendevano il mare numerose imbarcazioni, come da tradizio-ne; era una vera e propria flottiglia composta da più tipi che ali-mentavano “un’attività di cabotaggio per la Liguria, portandocommestibili, grano, legna, calce e mattoni” come scrisse il pre-fetto Chabrol.

La vegetazione della Tana e dei Griffi era costituita per lo piùda pinastri marittimi, qualche quercia, qualche castagno (resi-duo dell’antica copertura vegetale attestata nei documenti anti-chi) e vari tipi di arbusti, piante che del resto caratterizzavano lamaggior parte del territorio vadese.

Quando era tempo spuntavano anche i funghi, mangerecci enon. Nei pressi del grande polo commerciale di via Italia, sullaBricchetta un tempo più vasta e rigogliosa, vi era molta vegeta-zione ed è ancor vivo il ricordo delle madri popolane che dice-vano ai loro bambini, in dialetto: “Andate sul Bricchetto a cer-care un po’ di funghi per fare il sugo della domenica”.

Parte della zona collinare era stata frazionata in numerosi or-ti (molto ben esposti al sole) con ognuno un proprio pozzo o pe-schiera. Era coltivata soprattutto la vite; tra gli ortaggi più pre-

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rocchiali; un centinaio di anni dopo, con lo scavo delle fonda-menta del nuovo edificio comunale, a pochi metri dal sagratodell’edificio religioso lesionato dai bombardamenti, riemerserole rovine di una villa di età Romana. Secondo il sacerdote ederudito il centro dell’antica Vada Sabatia era da ricercarsi pro-prio in quell’area in leggera pendenza compresa tra la Bricchet-ta e l’argine del torrente Segno, ossia quel nucleo abitativo svi-luppatosi attorno agli edifici sacri e denominato “la Costa” (“co-sta Vadorum”, inteso come insediamento posto su di un terrenoin rilievo, è testimoniata fin dalle più antiche fonti scritte).L’ampia zona pianeggiante che dal centro abitato più popoloso(attuale piazza Cavour, con il nucleo dello Spuncia cu di via Ga-ribaldi), detto “borgo della Marina”, “ripa Vadi” o “marina Vadi”,giungeva fino a Zinola e alla foce del torrente Quiliano, nonvenne presa troppo in considerazione dallo studioso perché altempo in cui scrisse il suo fondamentale e pionieristico testo sul-la storia di Vado (Dell’antica Vado Sabazia cenni storici), quel-l’area era disseminata di pozze malsane, fetide e pericolose per leperiodiche febbri tifoidee che ciclicamente colpivano i valligia-ni; e dalle fonti documentaristiche e cartografiche appare evi-dente che la topografia con cui aveva a che fare Queirolo era ta-le da qualche secolo, certamente fin dal medioevo.

Tutta quella vasta area paludosa era detta “Pantani” o, comesi trova citata altre volte, “Paltani”: certo un nome che rendevabene l’idea di un luogo poco idoneo alle attività agricole e menche meno abitative (tranne qualche casetta sulla strada litoranea,solo la villetta De Mari, poi Gropallo, era di qualche interessearchitettonico).

Così, in poche parole, il Queirolo trasmette la sua teoria:“Lasciando a parte i Pantani di Vado, dove non doveva sorgereche un sobborgo della Città, il quale dall’attuale palazzina DeMari volgeva sino alla detta Brichetta, e alla torre de Griffi, ilquartiere della Costa presentava il centro e la parte principaledella Sabazia”.

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Portofino, le montagne della Spezia e le vette della Gorgonia e laSuperba Genova, la dea dei mari che, a mezzo della sua lanterna,cambia, durante la notte, il silenzioso saluto col faro del nostro Ca-po e tutti e due coi loro lampi intermittenti sono guida e segnale alnavigante.

Il Miramar è destinato sicuramente a diventare il quartiere ari-stocratico della nostra futura città, ed ai nostri giovani sarà forse ri-servato il piacere di vederlo coronato da leggiadri villini, di fioritigiardini, di strade ampie e forse da qualche albergo sontuoso.

L’inizio venne già dato dall’intraprendente Cavaliere Uff. Pao-lo Michallet che costruì da un anno pittoresche casette a cui si acce-de comodamente per una via ampia, tutta fiancheggiata da leggia-dri rosai, che, in omaggio al grande suo compatriota, il grandescienziato, volle denominare Pasteur.

Per ora accontentiamoci che serva come di una passeggiata ame-na dove si possa respirare l’aria pura, balsamica, impregnata di odo-re che mandano le resine dei pini e le brughiere in fiore e le corolledelle erbe aromatiche e selvatiche, e dove possano liberamente tuba-re i loro inni d’amore gli innamorati, deliziare lo sguardo i roman-tici e sollevare l’animo i nevrastenici.

Per i campi disseminati un po’ ovunque attorno ai bricchetti sicoltivavano una gran quantità di ortaggi. Apprezzatissime eranopoi le albicocche del posto, soprattutto “e arbicocche da Tanna” chenon si esitava a rubare nei campi di proprietà di terzi.

Ancor oggi, a ridosso di Tiassano, è possibile notare qualchecoltivazione che è riuscita a venir su nonostante il cemento e inumerosi tralicci dell’alta tensione disseminati un po’ ovunque.

Notizie storiche da un mondo perdutoDon Cesare Queirolo, nelle sue ricerche atte a dimostrare

l’importanza che Vado doveva avere “al tempo della Romana do-minazione”, individuò notevoli vestigia nei pressi della chiesaparrocchiale e nei terreni limitrofi di proprietà dei benefici par-

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quanto principale aggregato rurale della zona, non è un casoche fosse stata indicata come località alla cui dipendenza sot-tostava un territorio più o meno esteso. In questo caso com-prendeva una buona parte del territorio di Vado (certamentedalla via Quintana con le sue adiacenze e la zona costiera pres-so la foce della Valletta) e a nord arrivava almeno alla con-fluenza del Quazzola nel Quiliano; ma alterne vicende storichecambiarono molto e frequentemente i confini sommari con iterreni limitrofi di altri nuclei abitati.

Il palazzo del Vescovo o torre dei GriffiNel XIII secolo l’episcopatus Saonensis, cioè la signoria vesco-

vile territoriale, comprendeva diverse terre e proprietà in nume-rose località rivierasche quali Spotorno, Tiassano, Viarasca e Le-gino; è anzi molto probabile che Tiassano (assieme alla “Costa”di Vado) e Legino fossero stati beni della Chiesa vadese fin daltempo in cui la cattedra vescovile nostrana poggiava sulle rovinedella vetusta Vada Sabatia straziata dalle invasioni barbariche eche essa l’avesse ricevuta in dono dall’Imperatore stesso. A Tias-sano (come in ogni altra località dell’episcopatus) era sorto il pa-lazzo vescovile (palacium) che era il simbolo della potenza tem-porale della Chiesa sul territorio e ambiente in cui si stabilivanoi contratti con i manenti delle terre (nonché possibile residenzaestiva o di ritiro del vescovo); ma ad esso si aggiunsero, a Vado,anche quello dello Sciarto e quello della Costa. E su questo“Sciarto” mi devo necessariamente soffermare per un po’.

Per quanto riguarda i toponimi “Tiassano” e “la Costa” nonho riscontrato assolutamente problemi di tipo interpretativo(cioè: sono termini ancor oggi presenti sulle cartine geografichee naturalmente noti alle persone del posto); “Sciarto” invecenon mi tornava affatto. Anche chiedendo a coloro che visseronella Vado dell’anteguerra e che correntemente parlano il dialet-to, non sono riuscito a localizzare precisamente la località.“Sciarto?” – mi facevano, guardandomi sbigottiti – “Sì, Sciarto

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Non sappiamo se Queirolo raccolse, nelle sue perlustrazioni,qualche anforetta o altro materiale alla “torre de Griffi”; e nem-meno possiamo immaginare se nella sua ragguardevole raccoltanumismatica che, così come ci è pervenuta, consta di più diquattrocento monete prevalentemente Romane, ci sia anche unsesterzio rinvenuto tra i calanchi argillosi di quell’anonima loca-lità (qui per la prima e unica volta citata su di un testo di storialocale). Certamente, da acuto autodidatta, avrà indagato colgiusto peso anche quella periferica e poco abitata appendice del-la sua parrocchia. E che ipotizzi un possibile insediamento rura-le anche lì, è una buona prova a favore di coloro che, spronati aparlare, mi dissero a denti stretti: “Cosa credi, che quando hansbancato non hanno tirato fuori nulla da sotto terra?”.

La via Aemilia Scauri da Vado risaliva verso Quiliano, co-steggiando il più possibile le colline per evitare le paludi; è quin-di assai probabile che passasse per i Griffi o certamente sullaBricchetta per poi giungere a Tiassano (in dialetto Tiasèn) o Te-rensano la cui origine viene da decenni fatta risalire ad un nobi-le Terentianum, possibile proprietario di una mansio) e tramiteValleggia (il cui nucleo più antico andrebbe fatto risalire all’etàimperiale) oltrepassasse il torrente per poi riguadagnare le mon-tuosità verso la val Quazzola dove ancor oggi sono conservati al-cuni ponti romani.

Con il crollo dell’Impero Romano gli abitanti di Vada Sa-batia si insediarono in più località poste su alture, per megliocontrastare le invasioni barbariche e difendersi da eventuali as-salti, nonché per cercare di tenersi lontani dalle paludi che, aseguito dell’abbandono della piana, tornarono a svilupparsi.La località alla quale bisogna far riferimento da questo mo-mento in poi, per cercare di tracciare una sommaria cronacadegli avvenimenti compresi tra medioevo ed età moderna, èTiassano, nucleo abitativo di qualche fuoco che, come già det-to, andrebbe probabilmente fatto risalire all’età romana, mache di fatto risulta essere di epoca posteriore; e proprio in

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piantata (inizialmente nel volgare parlato e in seguito anche nel-lo scritto) dal suono “sc”. Ecco così che Xarto divenne Sciarto.

In latino Saltus indicava un bosco montano; facile identifi-care questa località, con l’aiuto delle antiche foto vadesi, propriocon parte della Bricchetta, un tempo sovrastata da una caratteri-stica e folta pineta.

Nel 1646 troviamo una descrizione sommaria della zona cheandava dalla chiesa di Vado verso monte: verso Termi (cioè par-tendo dalla mulattiera che dall’oratorio saliva alla collina e chedava verso Termi) c’era un terreno di ulivi detto “Bricco”, piùavanti uno di castagni detto Xalto e infine un altro di vignetidetto Coxaro. Il bosco che si estendeva oltre queste zone, sullealtre colline alluvionali verso Termi (cioè tra Bossarino e le altu-re montuose), era zona detta “di là dalla Costa”.

Ancora cinquant’anni fa, chi fosse salito dall’odierna piazzaMartini (l’antico oratorio venne demolito dopo il bombarda-mento del 1944) per recarsi poniamo a Tiassano evitando la re-te viaria consueta (come fecero i partigiani) avrebbe attraversa-to, in ordine, la Bricchetta (Bricco) subito dietro la chiesa, le col-linette dei Griffi (Xalto) e infine la lussureggiante spianata dicampi detta località Cosciari (Coxaro) appena sotto le case diTiassano.

Negli atti delle terre del poder di Genova, nel 1757, trovia-mo ancora più volte il termine Sciarto; per esempio nei confinidi una “terra hortiva” circondata da mura con casa che si trova-va tra l’attuale Piazza Cavour (“piazza” o altre volte “piazza delmercato”), via Sabazia (“la Chintana”) e la Torre di Scolta (“casae torre con terra hortiva”) nella zona campiva del Leo, verso mon-te si aveva lo Sciarto. Tutto ciò che era oltre il muro di conteni-mento dell’antica via Quintana era “monte” o “collina dello Sciar-to”, ben diverso dalla Bricchetta (“i beni detti la Brichetta” ap-partenevano in parte a particolari, in parte al Seminario di Sa-vona e alla Mensa Vescovile) e con la sua prima propaggine die-tro l’oratorio (“montrucco” o “collina dell’oratorio”). Oppure si

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o Xarto… o magari anche Salto” – tentavo allora di suggerirgli– “non ti dice proprio nulla?”. “Guarda, in tanti anni, non homai sentito un nome del genere da queste parti!” – era la tipicafine del colloquio. E si vedeva che non erano perplessi, che nonstavano ancora lì a spremersi le meningi per esser sicuri di nonaver effettivamente dimenticato quel nome. Sapevano bene quelche dicevano e se proprio avevano un cruccio dipinto sul volto,lo si doveva interpretare come un loro tentativo di capire da do-ve diavolo avessi tirato fuori quel nome. L’unica fonte su cui do-vetti ripiegare, per cercare di raccapezzarmi, furono gli atti no-tarili e gli antichi documenti che dal tardo medioevo giungonofino all’età moderna.

Nei documenti notarili medievali conservati negli archivisono infatti riportati importanti toponimi che, alteratisi nontroppo nei secoli, risulteranno tali fino alla fine del XVIII, senon oltre.

L’area da me studiata era sotto la giurisdizione della gastaldiadi Tiassano; il vescovo aveva beni terrieri che da Valleggia arri-vavano sino alla riva del mare. Allo Sciarto era uno dei palazzidel vescovo e di questo toponimo (scritto anche come Xartum,Xarto o Sartum a seconda dell’epoca e dello scrittore) abbiamole più antiche tracce manoscritte negli atti del notaio ArnaldoCumano, così come nel Liber iurium et consuetudinum episcopa-tus saone compreso tra il 1258 e il 1259. In quest’ultimo docu-mento si può leggere in un punto: “palacium Xarti cum terris cul-tis et incultis arboratis castanearum quercharum fructuarum etaliarum arborum”. Ancora nel 1378, nell’elenco dei debitori inmoneta con pagamenti nel 1378 e 1379, è riportato “boschumquod dicitur Xartum”.

L’argilla, che era molto richiesta per la produzione di mat-toni, era estratta da una cava posta in località “il campo osiaXarzo”.

Dal punto di vista semantico, col mutamento linguistico ti-pico del periodo, la “x” (pronunciata “cs”) venne ben presto sop-

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strava, gesticolando nell’aria, figure ad onde: “Così, vedi, on-dulate… tac, tac”).

Durante l’occupazione militare piemontese della rada, trail 1746 e il 1749, in occasione dei turbolenti risvolti bellicidella successione di Maria Teresa d’Austria al trono paternoche infuocarono l’Europa, la scuola topografica torinese orga-nizzò un’accurata reconnaissance sul territorio da parte di ungruppo di valenti ingegneri con lo scopo di creare una cartaquanto più possibile precisa della nostra area per impieghi mi-litari (e si ricorda che a Torino si era molto preoccupati per lascarsa cura che si era sempre avuta nel dotare lo specchio ac-queo savonese di adeguate fortificazioni). Il pregevole risulta-to dei numerosi rilevamenti di Cantù, Durieu, Garella, Colo-niato e Sottis fu la “Carta della Riviera di Ponente di Genova.Incominciata da Savona e continuata fino a Nizza. Copiataesattamente dall’originale, levato geometricamente l’anno 1746e il 1747”, un acquerello dettagliatissimo che riporta con unaminuzia incredibile strade, corsi d’acqua, centri abitati, forti-ficazioni e perfino i toponimi locali. La precisione della scuo-la topografica venne descritta entusiasticamente dal GeneraleCosta di Beauregard, in un saggio del 1817 (Mélanges tirésd’un portefeuille militaire) in questi termini: “le acque coloratein blu, i boschi in verde, le città e le fortificazioni in rosso, lestrade, secondo la loro qualità, con diverse gradazioni di giallo,producono un insieme molto chiaro, piacevole e convincente. Seè possibile fare una critica, considerandole dal punto di vista mi-litare, si potrebbe dire che sono troppo rifinite, sovraccariche dicontenuto topografico”.

Nella zona dei Griffi la carta riporta una costruzione in ros-so e, in bella grafia, il termine “Torre”, ad indicare che effettiva-mente, oltre ogni ragionevole dubbio, nell’area si ergeva unastruttura militare (confermata anche dal colore rosso), isolata trai poggi; intorno non vengono riportate altre costruzioni primadi Tiassano e della Marina di Vado, a riprova che l’importanza

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aveva come confine lo Sciarto, verso mare, se si era manenti deiterreni ai Cosciari (confinanti ancora con la Tana, con Tiassanoe con la strada pubblica-Valletta).

Dove oggi si innalza una delle ciminiere della centrale elet-trica, quella più vicina all’abitato, fino al 1966 si ergeva un ca-ratteristico caseggiato formato da due costruzioni di differenteetà non comunicanti tra di loro, sulle pendici di un montruccoche sorgeva in quel luogo.

Era uno dei più importanti edifici della zona (talmente im-portante che diede il nome alla località); probabile torre di avvi-stamento antisaracena, simile ad altre che un po’ ovunque fiori-rono sulla costa ligure nel Cinquecento, è difficile in realtà cer-care di darle una datazione.

Per certo si sa che c’era una torre, non solo perché ci è sug-gerito dal toponimo del luogo (Torre dei Griffi) ma anche per-ché in una cartina militare di metà Settecento troviamo strate-gicamente indicata una torre proprio in quella propaggine piùestrema della Bricchetta; anche le testimonianze orali conferma-no che in origine la costruzione doveva essere proprio un ba-luardo difensivo o di avvistamento.

Dai racconti di coloro che per ultimi abitarono nell’edifi-cio sono venuto a conoscenza del fatto che poco dopo l’inse-diamento nella dimora della loro famiglia (negli anni Venti)si dovettero intraprendere alcuni importanti lavori di restau-ro, soprattutto per quanto riguardava il tetto; esso era infattiancora fornito di terrazzo e per questo, ad ogni pioggia, l’ac-qua ristagnava sulle ciappe liscie e filtrava tra le pietre e lamalta gocciolando dal tetto e inzuppando gli interni dell’edi-ficio. I lavori di riassetto fecero sì che il tetto diventasse aspioventi, così che tutta l’acqua scivolasse a terra; durante lafase di ricostituzione della sommità dell’antica torre riemer-sero alcune peculiarità architettoniche: sebbene col tempo ilcornicione si fosse consunto, riemersero evidenti le originalie inconfondibili nicchie della struttura (la mia fonte mi mo-

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In realtà, secondo la tradizione, quella torre era stata ancheconvento; cosa probabilissima visto che i terreni erano del ve-scovato, ma sicurezza su questa ipotesi non c’è. Vero è, però, chenei documenti vari appezzamenti di terreno erano di diversecongregazioni religiose. Forse furono proprio i frati ad incidereiscrizioni in latino sui travi portanti lignei del solaio che ancoragli ultimi abitanti della casa-torre riuscirono a leggere in epocarecente.

Forse la torre dei Griffi era un avamposto militare per l’avvi-stamento di navi nemiche (la vista da lassù dominava tutta la ra-da) e poi anche un termine di riferimento tra due possedimentiterrieri.

Se precedentemente, ad esempio in epoca medievale, suquel sito esistette un’altra costruzione non si può dire (o se lestrutture di base fossero risalenti a tal periodo); non è nem-meno sicuro che il palazzo vescovile dello Sciarto coincidessecon la torre. Però sono anche vere due constatazioni: la primaè che nel medioevo la torre, l’avamposto militare, era simbo-lo di potenza e sicurezza (la temporalità del vescovo era riba-dita anche da questi emblemi esteriori e da fonti documenta-rie si sa che il palacium savonese, nell’antico borgo del Pria-mar, si trovava in una torre); la seconda è un po’ più terra ter-ra, nel senso che in tutta l’area da me presa in considerazionenon esistevano ruderi di antiche e misteriose costruzioni: que-sta certezza non l’ho ricavata solo dai catasti o dalle immagi-ni aeree della zona, ma soprattutto dalle parole degli abitantidel posto che hanno percorso in lungo e in largo ogni milli-metro delle colline.

Nel XIX secolo si aggiunse alla costruzione principale un al-tro edificio rustico (nel quale vissero addirittura tre numerosefamiglie contemporaneamente) dove abitarono i contadini chelavoravano negli appezzamenti circostanti; e probabilmente ven-ne anche ingrandita la torre stessa, stravolgendone in parte lastruttura caratteristica. Vicino alla casa, verso il sentiero che la

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strategica dell’edificio era fondamentale in quanto sorgeva su diun rilievo che dominava l’ampio arco costiero che da Capo Va-

Torre dei Griffi. La foto è stata scattata per conto di una discen-dente dei Griffo che avrebbe voluto poi un quadro a colori dipinto daun artista del posto; era già abbandonata in quanto di lì a poco sareb-bero iniziati gli sbancamenti.

do arrivava al Priamar e che si trovava sul confine tra i due po-deri della piana.

Altre torri nelle vicinanze si potevano trovare a Tiassano(la possente torre eretta nel borgo è datata tra il XVI e XVIIsecolo) e presso il campo di Leo (all’incirca di epoca coeva),oggi zona urbana compresa tra via Maestri del Lavoro e viaSabazia, che venne demolita nel 1926 per lasciare posto al-l’industria Astrea; era detta “torre di Scolta” e servì anche co-me spogliatoio ai calciatori del Vado FBC al tempo in cui sigiocava sulla spianata incolta nonché come abitazione per ilcustode dell’area (di essa ci sono giunte numerose fotografie ecitazioni su atti notarili antichi).

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costeggiava ad est, si arrivava ad un pozzo dove i contadini era-no soliti attingere acqua.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale venne restau-rata dall’impresa di Attilio Pellero che sostituì, tra l’altro, la co-pertura del tetto in ardesia (anche il lato della struttura a tra-montana era munito di lastre identiche) con una di tegole di ter-racotta.

In fine, all’inizio degli sbancamenti, venne demolita in unasola giornata da un grosso caterpillar all’americana.

Costituzione internaL’intero complesso (torre + casa addossata) era ben distin-

to e suddiviso rispecchiando la tipica casa contadina ligure;c’era il solaio (sué), fatto di tavole di legno poggianti su travia vista, e un pavimento costituito da mattonelle rosse di ar-gilla locale (dette tavelle).

L’edificio principale (l’antica torre sostanzialmente, con ilsuo prolungamento successivo) era così strutturato: per la por-ta di accesso che dava sull’aia ci si immetteva in una stanza chefungeva anche da cucina; una ripida scala portava poi al pianosuperiore dove si aprivano due camere, così come altre due sitrovavano all’ultimo piano. Nel lato della struttura che volge-va a sud vi era anche l’ingresso di un doppio locale adibito acantina e a ricovero per attrezzi. Sullo stesso lato si trovavanoanche il pollaio e la latrina (una baracchetta che ricorderebbeuna cabina da spiaggia).

La costruzione rurale che stava accanto alla torre era costi-tuita diversamente: accanto all’ingresso della torre si apriva unlocale che fungeva da stalla (c’erano tra l’altro delle mangia-toie ricavate nella muratura) e da ricovero per attrezzi da la-voro; dalla stalla poi si poteva accedere ad una scala che por-tava direttamente al piano di sopra, ma ai piedi della scala siapriva una porta che introduceva al lato nord del bricco e cheveniva utilizzata per far entrare le capre e le pecore nella stal-

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la dopo una giornata al pascolo. Dal lato sinistro della stallasi entrava nella stanza del forno, dove veniva cotto il pane e,oltre al forno, in muratura c’era il così detto runfo, il focolareacceso in terra. Dalla porta rivolta alla rada si entrava nel-l’abitazione vera e propria e si incontravano subito due came-re, una delle quali adibita ad angolo cottura, poi si saliva peruna scala e si arrivava ad un’altra camera (cui si poteva anchearrivare tramite la già citata scala che partiva dalla stalla) edinfine vi erano ancora altre due camere.

Un’area di passaggio importanteEssendo stata un’area di passaggio fondamentale per i con-

tatti tra la costa e l’entroterra quilianese (da cui si poteva rag-giungere la Val Bormida per le Langhe) non c’è da stupirsi se,crollato l’impero romano sotto la spinta dei barbari e passatii secoli bui antecedenti l’anno Mille, rientrò subito nelle mi-re di coloro che per buona parte del medioevo detennero ilpotere: Chiesa e Stato.

Possedere vaste proprietà consentiva sia di riscuotere i tribu-ti sborsati dai particolari ai quali erano affittate le terre per lacoltivazione, sia di intascare i guadagni delle attività di sfrutta-mento del suolo (come nel caso della presenza di cave), sia dipretendere legittimamente una somma per i pedaggi qualorauna rete stradale importante avesse attraversato i terreni.

Dalle balze argillose della Bricchetta e dei Griffi passaval’importante rete viaria detta “Via di Tre Ponti” che s’inseriva,oltre il Quiliano, nel tracciato dell’antica via romana e che futeatro di varie controversie in particolare nel primo ventenniodel XIII secolo. Questa “via de tribus pontibus” era propriol’ultima sezione dell’Aemilia Scauri ed era così denominataperché passava su tre dei sei ponti della val Quazzola. Sap-piamo, a riprova della fondamentale importanza di questastrada, che il 16 novembre 1220 il Consiglio di Savona ap-provò un compromesso tra il podestà genovese e quello nole-

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delle pietre nel tentativo di staccare la lastra e ritrovare il pre-zioso bottino (chi poi demolì il caseggiato poté constatare laveridicità o meno della credenza). Che cosa fosse quella rap-presentazione scolpita non è chiaro: era forse lo stemma diuna antica famiglia o, più probabilmente, l’effige di qualchefrantoio o mulino (la cantina era di grande capacità, superio-re ai sei metri di altezza); oppure il riferimento a qualche or-dine religioso. La tradizione vuole infatti che un tempo lastruttura fungesse da convento di monache: chi vi abitò inanni non molto lontani giurò che la struttura era evidente-mente servita un tempo a quello scopo, perché gli interni era-no costituiti da piccole stanze (come celle di ritiro) abbelliteda volte ad archi e dotate di piccolissime finestrelle simili aferitoie.

Terre preziose e fertiliDagli archivi antichi sono anche riemersi altri toponimi del

luogo. Dal Cartulario di Arnaldo Cumano e Giovanni di Dona-to veniamo a sapere che i canonici di Savona possedettero unaparte del prato “de Rovore” che, assieme ad “omnia prata que ha-bet in canonica in plano de Vadi”, diedero in affitto a tre uomini.Ancora nel Cartulario del notaio Martino è riportato un “pratode Rovere” che apparteneva all’ospedale di Terrino di Savona. Inuna relazione del 1821, che si rifà ad una documentazione del1732, è citato un “Chiapino di Cavereto” con casa ivi sita e ilQueirolo (1868) don Cesare Queirolo riporta un “chiapino di Ro-vereto” in un documento riguardante le pertinenze territoriali del-la parrocchia, forse da ricollegare a quell’area che nel medioevoera detta prato “de Rovere” (considerando maggiormente attendi-bile il Queirolo, che aveva ben più dimestichezza con i toponimie le località del posto piuttosto che qualche vicario savonese ocompilatore di documenti di altra città, che verosimilmente po-teva sbagliare la trascrizione). In dialetto poi era uso chiamare“Ciappin de ruvei” la stradicciola che saliva verso Tiassano.

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se che erano in combutta per quanto riguardava il loro dirit-to o meno di usufruire della strada. In quel periodo, infatti,Noli confinava territorialmente con Savona tramite la focedel Quiliano (oltre a possedere la valle del Segno con metàdel castello carrettesco) e il Comune impediva ai vadesi e ainolesi il transito (sono documentati arresti e percosse da par-te di soldati di guardia ai termini). Sempre in quella data sichiuse la questione riguardante alcune case di Spotorno di-strutte da Noli; ciò avvenne in quanto Spotorno era territo-rio del vescovo di Savona e ai nolesi parve un buon modo divendicarsi di quegli affronti subiti che l’avevano anche pena-lizzata economicamente.

Gli insediamenti abitativi della TanaLa Tana è sempre stata ritenuta una delle località più an-

tiche della piana vadese, anche per via di quel nome cosìoscuro che la ricollegherebbe alla nobile stirpe dei Tana, didiscendenza carrettesca. Era un territorio coltivato intensa-mente e decisamente ameno, formato da leggiadre colline diterra tufacea, ed era disseminato di cascinotte e piccole co-struzioni talvolta raggruppate disordinatamente attorno aduna strada di pubblica utilità, come nel caso del complesso divia Massimo D’Azeglio, sopravvissuto fino alla prima metàdegli anni Novanta all’ombra delle cisterne e dei serbatoi del-la Esso, che l’aveva assediata a partire dalla fine degli anniSessanta, e ferita dalla striscia d’asfalto della strada di scorri-mento che le passava poco distante. La demolizione di questoultimo nucleo, dotato del proprio pozzo, avvenne per esigen-ze di espansione industriale degli impianti dell’industria lea-der nel settore chimico.

Una di quelle case aveva infissa, sopra l’ingresso della can-tina, una lastra di marmo raffigurante in rilievo cinque pigne;dietro questa sorta di stemma la leggenda voleva che ci fossenascosto un tesoro e i bambini della borgata usavano tirarci

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Durante il tardo medioevo gli accordi di potere conseguentiai mutamenti dinastici, che interessarono l’Europa del tempo,ebbero ripercussioni notevoli nell’area savonese; ed anche unpiccolo tratto come quello da me preso in esame cambiò faccia.Anzitutto Genova ambiva da molto tempo ai possedimenti diSavona e per fortunate vicende storiche, l’importante città ma-rinara riuscì effettivamente ad appropriarsi dei territori dell’in-terland savonese anni prima che avvenisse la definitiva sconfittada parte di Genova sulla città della Torretta (che dovette pagarecara la sua superbia e la sua indipendenza, subendo la distruzio-ne dell’antico borgo sul Priamar e la successiva costruzione del-l’imponente fortezza).

Durante il XVIII secolo, a ridosso delle colline argillose, siestese la lussureggiante tenuta dei Paltani, della famiglia De Ma-ri, che dalla costa (con il villino settecentesco oggi sede della bi-blioteca e della pinacoteca) arrivava a lambire, con il suo parcoed i suoi viali alberati ricoperti di ghiaietto colorato, i Griffi; co-sì le paludi lasciarono spazio a giardini e ad ampi appezzamenticoltivati.

Età modernaNel 1506 il vescovo di Savona aveva ancora preteso la restitu-

zione delle terre che un tempo gli confiscò papa Urbano VI. Mai tempi erano cambiati; Genova era veramente diventata una su-per potenza economica e militare come poche sul Mediterraneo.Ed era vicinissima alla piccola Savona.

Così, tutta la secolare questione, si concluse drammaticamen-te nel 1528, quando decenni di stipulazioni e trattati divennero dicolpo carta straccia sotto le suole laminate delle feroci truppe ge-novesi che conquistarono la città per vendetta; a quasi mille annidi distanza dal tragico destino della Savo Romana, ancora violen-ze e distruzione calarono su uno dei più antichi liberi comuni delNord Italia.

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Nel 1537 si divisero, infine, le due comunità poi chiama-te Quiliano poder di Savona (da Quiliano a Valleggia) e Qui-liano poder di Genova (da Tiassano, con il territorio attornoche un tempo era la gastaldia Teazani, fino al mare); rimaserotali praticamente fino al 1797 con l’avvento del nuovo ordi-namento della Repubblica Ligure.

I confini tra Valleggia e Tiassano sono ancora poco chiari;in seguito comunque Valleggia passò al poder di Genova (pro-babilmente perché era diventato un villaggio di modestaestensione).

La casa della Bricchetta

Era un grande e possente caseggiato posto sul percorso del-la Valletta ed è probabile che risalisse alla seconda metà delXVII secolo (forse, oltre che essere stata casa colonica, per lasua posizione particolare sulla via principale pubblica che uni-va la costa con la vallata quilianese, fu edificio adibito anchead hostaria).

La documentazione archivistica fa riferimento ad alcunicomplessi architettonici nella zona ma la sicurezza che si trat-ti di questa o di altre costru-zioni in seguito demolite nonc’è fino al secolo XVIII,quando la compilazione di al-cune importanti cartine dellapiana, prime su tutte quelle riguardanti la tenuta dei Paltanicon i suoi confini, riporta proprio un caseggiato di modestedimensioni sul sito della costruzione in esame, dalle fattezzestraordinariamente somiglianti. Già dal principio del Sette-cento viene ricordata come “casa della Fregoglia”.

Questo termine è piuttosto strano, in quanto è l’unica vol-ta che compare negli atti ufficiali dei cartografi che ebbero ad

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Negli anni Cinquanta, durante la fase di ristrutturazionedegli stabilimenti lesionati dalle bombe, si decise la demoli-zione della storica struttura, già da qualche tempo in stato diabbandono: è probabile che si sarebbe dovuta eliminare co-munque in occasione della costruzione della strada di scorri-mento o per edificarvi una nuova e più moderna centralinaelettrica.

Con gli elementi costitutivi dell’edificio, la famiglia Vallari-no si costruì un’altra abitazione di gusto più contemporaneolungo la stradicciola che saliva verso Tiassano.

Arriva la StoriaIn seguito alla Rivoluzione Francese, superato il “periodo

del terrore” e la dittatura personale di Robespierre, le trupped’oltralpe iniziarono a pressare sui confini occidentali; le pri-me armate si mossero a partire dal 1794 e occuparono diver-se località del Ponente.

Nel 1795 francesi e austriaci si scontrarono nella battaglianella piana di Vado (la Repubblica francese dichiarò guerra alRegno di Sardegna, il quale si alleò con l’Austria ed entrambisi scontrarono con noncuranza nelle terre della Repubblica diGenova che era neutrale). Il fatto d’armi fu di inaudita vio-lenza e si svolse tra la Madonna del Monte, Zinola e Tiassa-no, sfruttando la zona pianeggiante e pressoché priva di nu-clei abitati di una certa importanza.

Alla fine di giugno, gli austriaci, scendendo dalla Madonnadel Monte assalirono la postazione vadese comandata da Keller-mann; i francesi, benché costituiti da un esiguo numero di mi-litari, riuscirono ad arginare l’invasione trincerandosi oltre ilQuiliano e, all’altezza della foce, barricandosi nel fortilizio da lo-ro costruito al ponte saraceno. La sanguinosissima giornata siconcluse con l’occupazione austriaca di Vado, presieduta dalreggimento Alvinczy. La strage sulla piana (Queirolo, che oltreai documenti fece riferimento a ciò che i parrocchiani allora più

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operare in zona e nemmeno un paio di anni più tardi, nonverrà più nominata in quel modo, ma più semplicemente “ca-sa della Bricchetta”.

Potrebbe essere un errore di attribuzione, o un termine chesi riferiva ad una famiglia (è attestato in alcuni documenti sa-vonesi il cognome Fregogia) o ad una particolare località cosìchiamata, uno dei tanti termini scomparsi nel nulla (ma an-che in questo caso non ci sono riscontri altrove); nel tentati-vo di raccapezzarsi con quello strano nome è emersa solo unasomiglianza con la parola dialettale freguggia, ossia briciola.Forse, intendendola effettivamente come “casa della briciola”,potrebbe essere confermata la presenza di un luogo di ristoroin questa costruzione.

Tuttavia nella maggior parte degli atti ed in varie altre docu-mentazioni veniva definita “casa della Bricchetta”, in quanto sor-ta alle pendici dell’omonimo grande bricco alberato, e facevaparte dei beni terrieri nominati a quel modo.

Dalla seconda metà dell’Ottocento vi si insediò la famigliaVallarino, proveniente da levante nei pressi di Genova, chegestì anche gli appezzamenti attorno alla casa e come avven-ne in molti altri casi i membri di detta famiglia assunsero il ti-

tolo di “della Bricchetta”, appellati-vo che seguiva il nome di battesimodel componente del nucleo e che lodistingueva da altri omonimi nelpaese.

Diverse sono poi le testimonian-ze fotografiche a partire dal principio del XX secolo, quandola Michallet si espanse verso i Griffi e inglobò letteralmente lastruttura nei suoi caseggiati e capannoni, sebbene rimanessecomunque affacciata sulla via Ferraris, nel frattempo divenu-ta via principale dopo l’abbandono della Valletta che ormairaccoglieva solo le acque meteoriche per rovesciarle in mare, edi lato venne edificata una centralina elettrica.

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Le prime industrie e l’alba del NovecentoNel 1887, in località Schiene (appena sotto la Bricchetta,

oltre la Quintana), si insediò la Michallet, sul sito della vetre-ria Tubino (che aveva avuto vita breve). La prima vera impor-tante industria di Vado, che sorse lungo i muraglioni della Val-letta per meglio rovesciare gli scarichi nel corso d’acqua che liavrebbe portati al mare, in breve si ampliò e la sua importan-za divenne sempre più palese in ambito nazionale (la posizio-ne privilegiata di Vado, alle porte del Nord Italia, giocò unruolo fondamentale).

Paul Michallet assieme a Paul Chomienne si specializzaro-no nella produzione di refrattari per laterizi e sanitari e gresper tubature. Nel 1892 la “Michallet-Chomienne & C”. di-venne S.A.M.R. e si avvalse dell’aiuto di Clement Mathon; inseguito la S.A.M.R., alla fine degli anni Cinquanta, venne assi-milata dalla Ceramica Pozzi che la incorporò completamentenel 1962. Chiuse nel 1984 sull’onda della crisi del settore do-po essere diventata S.I.R.M.A. Molti collaborarono con la pri-ma industria: tra questi alcuni abitanti della Cà du Patrun aValleggia in via Diaz, che utilizzavano carretti di legno per iltrasporto dei materiali.

L’importanza di questa industria, oltre ad esser stata di tipocommerciale, va anche ricercata nell’arte: Arturo Martini, unodei più importanti scultori del XX secolo, nel suo periodo vade-se, ne utilizzò infatti i materiali, gli ambienti e gli strumenti tec-nici per plasmare le sue opere, al tempo in cui Libero Collina(fratello di Raffaele) era capofabbrica e faceva un po’ la parte delmecenate di tutti gli artisti della zona – egli stesso divenne scul-tore – come Rivo Barsotti; provò anche ad imbonirsi il signorDe Lucis, proprietario della fornace poi denominata Tabò, male serate trascorse al Bar Novo dietro i tavoli del biliardo per in-graziarselo non servirono a nulla.

Nel 1905 la società Westinghouse comprò parte dei terrenidella famiglia Groppallo, (subentrata ai De Mari nella possesso

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giovani gli raccontarono, scrive che “molti erano i morti, molti iferiti”) era stata una delle tante che si svolsero sulle alture e pres-so i nodi stradali nevralgici del savonese in quei giorni. Invano ifrancesi tentarono di bombardare gli austriaci dalle batterie e daiforti in loro possesso.

Gli austriaci si preoccuparono di fortificare il centro abitatoe la sommità della Bricchetta, alle spalle della chiesa e dell’ora-torio (che divenne ospedale per i feriti). Queirolo racconta:

I Tedeschi poi si diedero a fortificare il luogo, erigendo trinceesulla collina che sta dietro l’oratorio, distruggendo all’uopo parec-chie vecchie case ch’erano in fondo alla via detta quintana.

Di queste costruzioni militari c’era traccia ancora nei primianni del XX secolo ed anzi un’antica fotografia del nucleo dellacosta mostra una sorta di possente fortilizio proprio nel luogoindicato dal parroco.

I francesi, in seguito, riuscirono a conquistare non solo Vadoma anche la Liguria; e con Napoleone le nostre terre aprironoall’Armée la strada per la conquista dell’Europa intera.

I Griffi furono certo anch’essi luogo di scontro; probabil-mente ancor più lo fu la spianata dei Cosciari, a ridosso com’eradel campo trincerato francese di Tiassano.

Con il crollo dell’impero napoleonico la zona entrò in unacrisi profonda; la tenuta dei Paltani, già depredata dalle varietruppe conquistatrici, perse la bellezza passata e nuovi proprie-tari si aggiudicarono il territorio.

La Tana entrò a far parte della Magnifica Comunità dellaValle di Vado ed era sfruttata soprattutto per le terre coltivabilie per il legname.

Dalla metà dell’Ottocento è assai probabile che le terre delposto iniziarono a chiamarsi Griffi perché ne divenne padronadefinitivamente la famiglia Griffo.

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della ex tenuta dei Paltani) e vi costruì l’omonima industria, poidiventata TIBB (Tecnomasio Italiano Brown Boveri), Adtranz einfine Bombardier.

Al secondo decennio del secolo, poco prima dello scoppiodella Prima Guerra Mondiale, risale l’inizio dei lavori per lacostruzione del complesso abitativo della Valletta, addossatoal torrente omonimo e affacciante coi suoi poggioli sulla pol-verosa via Ferraris, mentre i ballatoi d’accesso e le garitte deilatrine davano sulla Michallet. Questo caratteristico nucleo dicase operaie (undici palazzine unite le une alle altre in schie-ra) era abitato da decine di nuclei famigliari di ogni estrazio-ne sociale ed era ricchissima di botteghe; il primo edificio delcomplesso venne ultimato all’inizio degli anni Dieci ma pervedere la Valletta così come la si può ammirare oggi si dovet-tero aspettare gli anni Venti.

I Griffi vennero anche scelti per costruirvi il civico mattato-io, primo vero edificio moderno sorto dove, qualche anno do-po, si sarebbe innalzato il quartiere odierno. Era situato tra il rioValletta e la strada vicinale dei Cosciari.

Oltre ai Griffo e ad altri piccoli proprietari (quale don Fo-letti, canonico della Cattedrale di Savona) la gran parte delterritorio era di proprietà della Società Immobiliare Indu-striale di Genova (un gruppo di proprietari terrieri riunitisi inuna società) che in seguito l’avrebbe ceduta ad altri compra-tori. Nella zona Cosciari le proprietà dell’omonima famigliaconfinavano con le terre della nobile famiglia genovese deiPertuso e con quella dei Garroni (padroni del borgo di Tias-sano e abitanti nel bel palazzo signorile sorto appena fuori ilnucleo di case rustiche). Il quartiere residenziale della Pertu-sina, sorto successivamente con la sua schiera di villini a duepiani circondati da giardini, si innalza proprio su quegli ap-pezzamenti poco distanti dalla ferrovia.

A principio del secolo scorso l’unico edificio di una certa im-portanza sorto su quella zona era una specie di modesto castel-

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letto finto antico, più volte rimaneggiato ed oggi posto al limi-te dell’abitato; in quell’edificio abitò la contessa Luisa Bove1, ve-dova dell’esploratore dell’Artico Giacomo. La signora si era an-che accaparrata diversi terreni e dai racconti paesani pare fosseun personaggio sopra le righe.

Davanti al complesso della Valletta, nel 1911, venne im-piantato uno stabilimento metallurgico da Oscar Sinigaglia: la“Ditta Sinigaglia & Di Porto”. Durante la Prima Guerra Mon-diale produsse diversi proiettili d’artiglieria e negli anni Trentadivenne Ilva meccanico. Chiuse nel 1963 dopo che venne tra-sferito tutto nella sede savonese dell’Italsider.

Negli anni Trenta iniziò a emergere la Esso che di lì a pocoavrebbe intaccato gran parte della Tana.

La villa dei Griffo Palazzone rustico di due piani più il pianterreno, era fornito

di un ampio terrazzo che lo tagliava come in due strutture: l’unaalta e imponente, quasi a voler ricordare la roccaforte di un tor-rione (possibile richiamo alla torre poco distante); l’altra piùbassa e oblunga.

Sorgeva dove oggi si possono osservare i serbatoi di combu-stibile della centrale, appena oltre la cinta in cemento che sepa-ra gli impianti dalla strada di scorrimento.

Era la residenza della famiglia Griffo e pare risalga ai primianni Venti del secolo scorso; precedentemente la ricca famigliaabitava a Vado. La costruzione del maestoso edificio si dovetteal volere di Nanni Griffo, ultimo importante “vecchio” della fa-miglia che possedeva i terreni in quell’area.

1 Luisa Bruzzone, vedova Jaworka, sposò Giacomo Bove il 7 giugno1881 e lo accompagnò in alcuni importanti viaggi di esplorazione inAmerica Meridionale, nella Terra del Fuoco. Giacomo Bove, ammalatosidopo aver contratto una grave patologia in uno dei suoi viaggi, si suicidòa Verona nel 1887.

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La struttura era pitturata di un caratteristico rosa ligure,tranne ai lati delle imposte scure che erano invece incorniciatedi bianco, come nella più tipica tradizione nostrana; vi si acce-deva tramite un grande portone d’ingresso in legno.

Benché ideata da Nanni, la famiglia Griffo originaria vi ri-siedette poco o nulla; per gentile concessione del signore infattivi si trasferirono alcuni parenti, il manente del terreno e l’auti-sta personale; quest’ultimo fatto ci dà anche un’idea effettivadella ricchezza della famiglia, dato che non era da tutti possede-re un’automobile nei primi decenni del Ventesimo secolo.

Dalla guerra alla costruzione del quartiereCon il Secondo Conflitto Mondiale iniziarono a piovere

bombe sui civili, nemmeno quarantotto ore dopo il discorso delDuce all’Italia, il 10 giugno 1940.

La S.I.R.M.A., a ridosso dello stabilimento stesso, scavò unrifugio sotto la Bricchetta. Nei pressi della fornace di Tabò leautorità, con progetto della Esso, ne fecero scavare uno mol-to ampio per i cittadini; si trattava di una galleria che attra-versava la terra rossa della collina ed usciva dalla parte dellaTana, oltre i serbatoi di carburante. E sempre al noccioletodella Tana, la popolazione della Valle e di Bossarino si ado-però per adattare a riparo una cava dismessa, da dove eraestratto il tufo e vi si riversò disperata. Chi poteva si scavavaautonomamente buchi più o meno profondi vicino a casa, manei momenti più critici del conflitto, come nell’estate del1944, quando gli allarmi erano continui e gli attacchi violen-tissimi, molti cittadini si decisero a trasferirsi con qualche og-getto indispensabile presso l’imboccatura delle gallerie, siste-mandosi in baracchette di lamiera o legname e vivendo allagiornata, nella speranza che tutto finisse al più presto.

Sulla Bricchetta c’erano almeno tre postazioni in cemento ar-mato per l’attacco contraereo munite di cannoni potentissimi,calibro 88.

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Terminata la guerra, anche i Griffi risultarono tempestati dicrateri e qualche casupola nei dintorni era lesionata, compreso ilmattatoio; bisogna considerare anche che sulla sommità delmontrucco poco distante dalla casa-torre, così come sulla Bric-chetta, erano state sistemate delle batterie contraeree in cemen-to armato e quindi l’area era considerata di interesse strategicodata la porzione di territorio che si poteva abbracciare da lassù.

Con il periodo della ricostruzione si tracciarono, con i pro-getti per una nuova edilizia, i lineamenti del quartiere. LaBrown Boveri per prima indennizzò i manenti dei terreni diste-si lungo via Ferraris cui aveva donato le terre di sua proprietàche non aveva ancora sfruttato (gli atti a questo proposito risa-livano all’epoca delle iniziative di Oscar Sinigaglia) e, allargan-do anche la strada, edificò quattro palazzine da tre piani per lefamiglie dei suoi dipendenti, circondate da cortili e aiuole. Poifu la volta di due palazzi dell’Istituto Case Popolari e di un’abi-tazione privata nella zona “Fasce Lunghe” e a seguire le restanticostruzioni che, con altre tre edificazioni private a principio de-gli anni Sessanta, ultimarono l’aspetto del quartiere; al centro, inun’area sgombra di edifici, vennero realizzati i giardini con albe-ri (pini, cipressi, querce e abeti) aiuole ampie e panchine, e gio-chi per bambini come altalene e scivoli. Aprirono due esercizicommerciali: la latteria Di Domenico e gli alimentari “da Adria-na”, oltre che ad una officina. Nel complesso, considerando an-che le antiche case del circondario, una bella frazione di Vado,abbastanza salubre, e popolatissima.

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Via dei Griffi conla cabina dell’Enel.

Via dei Griffi, la Ca’da Bianca e la Bricchetta.

Via dei Griffi con una co-struzione e la Bricchetta. Intutte e tre le foto di questapagina sono mostrati edifi-ci non più esistenti. Al po-sto di tutto ciò oggi passala superstrada.

Il quartiere dei Griffi nei primi anni Settanta.

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Via Diaz, dove ini-ziava il Ciappin de Ru-vei per Tiassano e do-ve sarebbe sorta la sta-zione ferroviaria; sullo

sfondo Valleggia.

Appezzamenti agricoli lungo via Ferraris. Si notano i prefabbricati degli operaidel cantiere della centrale. In quella zona sorgeva la segheria Bruzzone; la foto risaleagli anni Sessanta.

Via Ferraris al fondodella Valletta pressol’entrata dello stabili-mento CeramichePozzi (poi Sirma).

Via Ferraris presso l’Il-va Acciaierie; poco do-

po il traliccio esistevaun negozietto di generialimentari della Maril-la dove in estate si an-

davano a compraremeloni e angurie.

La spianata dei campidei Griffi e Cosciari ripre-sa dalla torre dei Griffi. Sinota la Pertusina.

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Ringraziamenti

Per la buona riuscita di questo libro vorrei ringraziare alcunepersone che mi hanno dato consigli e che mi hanno gentilmen-te raccontato avvenimenti e aneddoti.

Anzitutto gli abitanti del quartiere dei Griffi.Grande aiuto mi è stato fornito dal signor Loni e dal signor

Murialdo della Società Savonese di Storia Patria che cortese-mente mi hanno assistito nelle ricerche con consigli e docu-menti (cinque anni fa così come oggi). Almerino Lunardon, giàscrittore di vicende storiche locali, mi ha indirizzato alla raccol-ta fotografica del Comune di Vado; il personale dell’Ufficio Ur-banistica del Comune poi è stato molto paziente nel darmi i do-vuti permessi e nel mostrarmi le belle immagini aeree della radavadese nel 1960. Grande disponibilità mi ha anche mostrato lasignora Franca Guelfi, vicesindaco di Vado, da sempre molto at-tenta alle ricerche che interessano il territorio vadese, siano esseopere di accademici o di autodidatti.

Anche il personale della biblioteca di F.lli Rosselli di Vado Li-gure, che mi ha sopportato quando volevo fotografare alcunivecchi dagherrotipi di inizio secolo, è stato molto gentile.

Infine non posso non ringraziare le signore del personale del-l’Archivio di Stato di Savona e dell’ Archivio Vescovile – in par-ticolare la professoressa Massimiliana Bugli e don Caneto – chemi hanno permesso di consultare tranquillamente il materialedocumentaristico anche se la prima volta, non sapendo cosa cer-care, dovetti raccontare loro cosa stavo facendo: “Guardi, io nonso bene cosa cercare, però le racconto cosa dovrei cercare…”.

A questo proposito un particolare ringraziamento a donBotta, archivista della Diocesi e scrittore di testi di storia e re-ligione, che fugò i sospetti dei responsabili dell’archivio; io

È stato quando ho capito questo che ho cominciato a brandire iltelecomando non più verso il video, ma fuori della finestra, sullacittà, le sue luci, le insegne al neon, le facciate dei grattacieli, i pin-nacoli sui tetti, i tralicci delle gru dal lungo becco di ferro, le nuvo-le. Poi sono uscito per le vie col telecomando nascosto sotto l’ala delmantello, puntato come un’arma. Al processo hanno detto che odia-vo la città, che volevo farla scomparire, che ero spinto da un impulsodi distruzione. Non è vero. Amo, ho sempre amato la nostra città, isuoi due fiumi, il miagolio straziante delle sirene delle ambulanze,il vento che prende d’infilata le Avenues, i giornali spiegazzati chevolano raso terra come stanche galline. So che la nostra città po-trebb’essere la più felice del mondo, so che lo è, non qui sulla lun-ghezza d’onda in cui mi muovo ma su un’altra banda di frequen-za, è lì che la città che ho abitato per tutta la mia vita diventa fi-nalmente il mio habitat.

ITALO CALVINO, L’ultimo canale, 1984.

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nizza incontri con autori di fama nazionale e internazionale, at-tori, uomini di scienza eccetera), ha sempre ritenuto importan-tissima la questione della centrale di Vado.

Per questo, al di là di qualunque becera e superficiale di-mostrazione di gratitudine, dovrebbe se non altro essere rico-nosciuta come una delle forze che hanno permesso di rende-re “caldo” (come deve in effetti essere) questo e molti altri te-mi di interesse locale e non solo, contro un più dilagante espontaneo sentimento di ennuì esistenziale che vorrebbe tut-te le questioni scivolare su di un “me ne lavo le mani” o inuna snobistica boutade del tipo “ma chi se ne frega!”.

Ringrazio in modo particolare anche Antonio Ricci, noto au-tore di programmi televisivi, per aver scritto la prefazione diquesto libro.

Oltre a tutto questo un grazie è doveroso riservarlo a que-gli scienziati di tutto il mondo che, nel secolo scorso come og-gi, hanno affrontato la spinosa questione dell’inquinamentoumano sulla Terra, andando controcorrente rispetto alle cre-denze delle società evolute, guastando la festa ai benpensantiprogressisti pronti perfino a sommergere di cemento l’ultimospazio verde del globo pur di poter affermare quanto la solarazionalità umana possa creare di perfetto in campo ingegne-ristico ed economico, gettando nel dubbio e nell’ansia le co-scienze di milioni di esseri umani del “gran mondo”.

Del resto senza studi sull’argomento… non so mica checosa avrei scritto oltre all’indagine puramente storica. Proba-bilmente, lettore, ti saresti imbattuto in una ventina di pagi-ne magari anche ben scritte e interessanti per poi inciamparein parole piuttosto disperanti e vacue del tipo: “Qualcuno di-ce che forse tali impianti sono dannosi; qualcuno sostienepersino di essersi ammalato per causa di tali impianti. Ma chipuò dirlo? Forse sono solo dicerie, né più né meno insulse diquelle che un tempo facevano urlare alla folla incolta e avvili-ta ‘Al rogo l’untore!’”.

entrai, feci capire che ne sapevo meno di loro sull’argomento,e la responsabile allora di turno si girò verso il don: “DonBotta, le risulta che nella zona della centrale a Vado ci fosse-ro dei possedimenti della Diocesi?” e lui, meditabondo, annuìcol capo. “Bene, allora vediamo di aiutarti”.

E si iniziò.Per quanto riguarda l’ampia parte dedicata alla storia della

centrale – inizialmente incominciata da solo – man mano cheil libro prendeva forma ha necessitato del controllo di alcuni“esperti” sulla questione che mi hanno consigliato, inviato ar-ticoli e altri documenti e corretto quel che avevo già scritto.Questo, oltre ad aver elevato il lavoro, mi permette di poteraffermare con grande tranquillità che le notizie riportate han-no un fondamento veritiero.

Quindi desidero ringraziare il pneumologo Paolo Franceschi,Referente Scientifico dell’Ordine dei Medici, i cui studi sonostati essenziali alla riuscita dell’opera; il signor Renzo Briano chemi ha anch’esso fornito prezioso materiale documentario riguar-do all’inquinamento e alle lotte (anche personali) per la salva-guardia della salute pubblica; la signora Valeria Rossi; il dottorAgostino Torcello e il biologo Virginio Fadda del MODA. Faddae Torcello, oltre ad essere menti storiche per quanto riguarda laquestione della centrale, mi hanno fornito materiale che osereidefinire “eccezionale”, in quanto poco conosciuto e di grandeinteresse (non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sto-rico), proveniente sia da pubblicazioni (riviste, quotidiani, ma-nifesti del MODA e interventi di scienziati) che da ricordi perso-nali e interpellanze parlamentari del passato.

Infine desidero ringraziare il “personale” della libreria Ubikdi Savona ed in modo particolare Stefano Milano, il quale haimmediatamente intravisto qualcosa in questa pubblicazione edha cercato in tutti i modi di far risaltare quello che c’è scritto. LaUbik, dal 2007 (quando ha aperto), oltre ad essere uno dei ful-cri culturali più importanti della zona (tutte le settimane orga-

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Bibliografia e referenze fotografiche

Archivio di Stato di Savona (consultazione documenti antichi).Archivio Storico Diocesano di Savona (consultazione e ri-

produzione fotografica di documenti e cartine antiche su auto-rizzazione).

Archivio fotografico del Comune di Vado Ligure (riprodu-zione fotografica su autorizzazione dell’Ufficio Urbanistica).

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247246

Un saluto caloroso va, infine, agli impiegati e agli operai dellaTirreno Power, che si guadagnano onestamente e quotidianamen-te il loro pane quotidiano. L’intento di questo libro (ma anche deicomitati che da anni si battono contro l’inquinamento) non è cer-to quello di attaccare la loro professionalità o minacciare il loroposto di lavoro. Il futuro e i diritti di queste persone e di questefamiglie vanno comunque salvaguardati, ma anteponendo sempree prima di tutto il diritto alla salute della cittadinanza.

Questa opera, frutto della ricerca in archivi, quotidiani, rivi-ste, libri, siti internet, documenti vari e del prezioso aiuto di nu-merosi consulenti, prima ancora di essere ricostruzione storica èperò un prodotto culturale, e come tale (al di là delle polemichecontingenti e di parte) vuole inserire un problema locale nel piùuniversale problema della riflessione sul rapporto uomo-am-biente, attività umana-vita sulla Terra.

Se il contenuto di queste pagine può aver urtato la sensibili-tà di qualche lettore, mi congedo da essi prendendo a prestito leparole di Albert Einstein: “Per libertà io intendo condizioni socialitali che la manifestazione delle opinioni e dei giudizi su argomentiparticolari e generali nella conoscenza non implichi pericoli o serisvantaggi per colui che li esprime. Questa libertà nella comunica-zione è indispensabile per lo sviluppo e l’estensione della conoscenzascientifica […]. Lo sviluppo della scienza e in generale delle attivi-tà creative dello spirito richiede ancora un altro genere di libertà,che può essere definito libertà interiore. Questa libertà dello spiritoconsiste nell’indipendenza del pensiero dalle limitazioni impostedai pregiudizi sociali e dall’autorità in genere dalla meccanica rou-tine e dalle abitudini inveterate. Questa libertà interiore è un rarodono della natura e un degno obiettivo per l’individuo […]. Manello stesso tempo anche la comunità può fare molto per favorirequesta impresa, almeno col non interferire nel suo sviluppo”.

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Settanta ad oggi.Annata 1980 de “Il porto di Savona”.Annate varie de “La Casana” (anni Settanta-Ottanta).“Epoca” del 19 ottobre 1993.“il Manifesto” del 25 agosto 2010.“Libero” del 25 agosto 2010.“Il libro dell’anno”, Arnoldo Mondadori Editore, tutte le an-

nate degli anni Settanta.Annate Varie di “Le scienze”, in particolare anni Settanta-

Ottanta.Nell’introduzione si cita il romanzo Le nebbie di Avalon, ope-

ra che si inserisce nel contesto magico-mitologico delle saghe ca-valleresche del cerchio di Re Artù e della città di Camelot.

Siti InternetSito Internet della Tirreno Power (con particolare attenzione

all’ampia sezione dedicata alla rassegna stampa, non solo su Va-do, ma più in generale sugli altri siti italiani e sulle problemati-che ambientali).

unitiperlasalute.blogspot.comwww.viverevado.it www.uominiliberi.euamarevado.blogspot.comwww.comune.portotolle.ro.it

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Indice

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 7FRAMMENTI 9PREFAZIONE 13LA CITTÀ E LA MEMORIA 16INTRODUZIONE 17

“Look, look the horror!” 17Cantami o diva... del mondo all’ombra delle ciminiere 22

ARRIVA IL PROGRESSO 39INIZIANO I LAVORI 41

Anni di piombo (... non solo nei polmoni) 53Energia, lavoro e ambiente: una questione italiana 56Iniziano le contestazioni... e la stampa si scatena 60Il fungo delle ricadute arriva ovunque 87Non solo a Vado... 92Gli ultimi miraggi dei “fantastici” anni Ottanta 93

TUTTO CAMBIA... PER RIMANERE TUTTO UGUALE 105E alla fine i programmi cambiano 108Mani pulite e tangenti rosse 109I rifiuti urbani di Milano vengono bruciati in centrale 111Tempi moderni 115Il resto di niente 128Umiliati e offesi 135Tutto a posto e niente in ordine 140“A nessuno permettiamo di calunniare l’Azienda”. Tirreno Power e le contestazioni 147Le ultime indagini sull’inquinamento 151Pomodori verdi fritti al cianuro 156Che cosa rappresenta la centrale oggi? 157La “questione Vado”: dai media classici ai tempi di internet 159

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FRAMMENTI DI VERITÀ 169

APPENDICI 185SAVONA. STORIE DI UNA ECATOMBE

RACCOLTE DA ALMA CARLEVARINO 187PRIMA DELLA CENTRALE ELETTRICA 203

Un po’ di toponomastica 205Le colline di argilla 209Notizie storiche da un mondo perduto 214Il palazzo del Vescovo o torre dei Griffi 217Costituzione interna 224Un’area di passaggio importante 225Gli insediamenti abitativi della Tana 226Terre preziose e fertili 227Età moderna 228La casa della Bricchetta 229Arriva la Storia 231Le prime industrie e l’alba del Novecento 233La villa dei Griffo 235Dalla guerra alla costruzione del quartiere 236

RINGRAZIAMENTI 243

BIBLIOGRAFIE E REFERENZE FOTOGRAFICHE 247

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Finito di stampare nel novembre 2011da STAMPA EDITORIALE srl - Manocalzati (AV)

per conto della FRATELLI FRILLI EDITORI srl - GenovaPrinted in Italy