A tuttosesto numero 45

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] Mario e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected] a tuttosesto info e approfondimenti marzo 2014 45 Santa pazienza Scuola e società Per sperare in un miglioramento bisogna puntare sui gio- vani. Per puntare sulle nuove generazioni bisogna puntare sui genitori. Per inuire sui genitori bisogna interessarli su ciò che per loro conta: i gli (nonostante qualche eccezione). Come fare? Qual è il luogo dove passano tutti i genitori? allo stadio? in chiesa? in spiaggia? al supermercato? L’unico posto dove passano tutti – e reiteratamente, per molti anni – è la scuola. Allora, per inuire sui genitori dobbiamo contare su insegnanti e dirigenti scolastici di ogni livello? Sì e no. È forse questo uno dei compiti che richiedono loro e impartiscono loro il Ministero e le Università? Li hanno abilitati a ciò? È un bel rebus. Una possibile soluzione passa dalla sussidia- rietà: lasciare ai gruppi, alle associazioni di cittadini, di pren- dersi carico di una parte delle classi delle scuole statali per gestirle con indipendenza. Dirottando loro parte dei fondi che lo Stato risparmierebbe con tale cessione. Favorendo inoltre quei centri di studi superiori che privilegiano la formazione di insegnanti e dirigenti perché siano in grado di aiutare i ge- nitori nel ruolo cui non sono preparati. Non è un’utopia. Non è facile e non sono molti quelli che desiderano farlo ma alcuni ci stanno provando: l’Associazione Famiglia e Scuola FAES (www.faesmilano.it) compie qua- rant’anni e, anche se con fatica, ha ottenuto risultati signi- cativi. Ha profuso energie nella formazione continua dei docenti e ha dato ducia ad alcuni genitori di ogni classe che si sono caricati l’impegno di sviluppare amicizia collaborativa con la maggior parte degli altri genitori della stessa classe. È maturato così un clima che ha favorito il miglioramento delle qualità personali a tutti i livelli: alunni, genitori, inse- gnanti. Dalle prime maturità (nel 1982) in poi è stato un pre- zioso susseguirsi di successi non solo scolastici e universitari ma soprattutto nella professione e in generale nella vita pri- vata delle nuove famiglie. Mario Viscovi Oltre la censura della vecchiaia I ponti del diavolo Il lavoro di una casalinga vale settemila euro al mese SU QUESTO NUMERO Papa Francesco durante la Messa del 14 febbraio a Santa Marta, ha proposto una riessione sul valore della pazienza prendendo le mosse dalla liturgia del giorno: la lettera di Gia- como (1,1-11) che afferma « Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove». Commentando queste parole il Papa ha notato che «sembra un po’ strano quello che ci dice l’apostolo Giacomo». Pare quasi – ha osser- vato – «un invito a fare il fachiro». Infatti, si e chiesto, «subire una prova come ci può dare letizia?». È la pazienza che ci fa sopportare le prove, «sopportare sulle spalle le cose della vita, le cose che non sono buone, le cose brutte, le cose che noi non vogliamo. E sarà proprio questa pazienza, che non è rassegnazione, a far matura la nostra vita». Chi invece non ha pazienza «vuole tutto subito, tutto di fretta». E «chi non conosce questa saggezza della pazienza è una persona capricciosa», che nisce per comportarsi pro- prio «come i bambini capricciosi», i quali dicono: «io voglio questo, voglio quello, questo non mi piace», e non si accon- tentano mai di niente. Sembra proprio che per molti la pazienza abbia perso signi- cato: vediamo la gente correre, innervosirsi, moltiplicare gli impegni, inseguire ancora, malgrado tutto, l’illusione vec- chiotta del tutto e subito. Tuttavia, riconosce il Papa, non mancano persone che sanno soffrire con il sorriso e che conservano «la gioia della fede» nonostante prove e malattie. Sono queste persone a «portare avanti la Chiesa con la loro santità di ogni giorno», no a di- venire autentici punti di riferimento. Con il Papa, possiamo chiedere anche noi al Signore di darci la pazienza: la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della famiglia, della pace. La pazienza di Dio che ci porta sulle sue spalle. Italo Maria Mannucci

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Italo e Paola Mannucci, telefono e fax 02 4151880, [email protected] e Santina Viscovi, telefono e fax 02 4151596, [email protected]

a tuttosestoinfo e approfondimenti marzo 201445

Santa pazienza

Scuola e società

Per sperare in un miglioramento bisogna puntare sui gio-vani. Per puntare sulle nuove generazioni bisogna puntare suigenitori. Per influire sui genitori bisogna interessarli su ciòche per loro conta: i figli (nonostante qualche eccezione).Come fare? Qual è il luogo dove passano tutti i genitori? allostadio? in chiesa? in spiaggia? al supermercato? L’unico postodove passano tutti – e reiteratamente, per molti anni – è lascuola. Allora, per influire sui genitori dobbiamo contare suinsegnanti e dirigenti scolastici di ogni livello? Sì e no. È forsequesto uno dei compiti che richiedono loro e impartisconoloro il Ministero e le Università? Li hanno abilitati a ciò?

È un bel rebus. Una possibile soluzione passa dalla sussidia-rietà: lasciare ai gruppi, alle associazioni di cittadini, di pren-dersi carico di una parte delle classi delle scuole statali pergestirle con indipendenza. Dirottando loro parte dei fondi chelo Stato risparmierebbe con tale cessione. Favorendo inoltrequei centri di studi superiori che privilegiano la formazionedi insegnanti e dirigenti perché siano in grado di aiutare i ge-nitori nel ruolo cui non sono preparati.

Non è un’utopia. Non è facile e non sono molti quelli chedesiderano farlo ma alcuni ci stanno provando: l’AssociazioneFamiglia e Scuola FAES (www.faesmilano.it) compie qua-rant’anni e, anche se con fatica, ha ottenuto risultati signifi-cativi. Ha profuso energie nella formazione continua deidocenti e ha dato fiducia ad alcuni genitori di ogni classe chesi sono caricati l’impegno di sviluppare amicizia collaborativacon la maggior parte degli altri genitori della stessa classe. È maturato così un clima che ha favorito il miglioramentodelle qualità personali a tutti i livelli: alunni, genitori, inse-gnanti. Dalle prime maturità (nel 1982) in poi è stato un pre-zioso susseguirsi di successi non solo scolastici e universitarima soprattutto nella professione e in generale nella vita pri-vata delle nuove famiglie.

Mario Viscovi

Oltre la censura della vecchiaia

I ponti del diavolo

Il lavoro di una casalinga vale settemila euro al mese

SU QUESTO NUMERO

Papa Francesco durante la Messa del 14 febbraio a SantaMarta, ha proposto una riflessione sul valore della pazienzaprendendo le mosse dalla liturgia del giorno: la lettera di Gia-como (1,1-11) che afferma « Considerate perfetta letizia, mieifratelli, quando subite ogni sorta di prove». Commentandoqueste parole il Papa ha notato che «sembra un po’ stranoquello che ci dice l’apostolo Giacomo». Pare quasi – ha osser-vato – «un invito a fare il fachiro». Infatti, si e chiesto, «subireuna prova come ci può dare letizia?». È la pazienza che ci fa sopportare le prove, «sopportare sullespalle le cose della vita, le cose che non sono buone, le cosebrutte, le cose che noi non vogliamo. E sarà proprio questapazienza, che non è rassegnazione, a far matura la nostravita». Chi invece non ha pazienza «vuole tutto subito, tuttodi fretta». E «chi non conosce questa saggezza della pazienzaè una persona capricciosa», che finisce per comportarsi pro-prio «come i bambini capricciosi», i quali dicono: «io voglioquesto, voglio quello, questo non mi piace», e non si accon-tentano mai di niente.

Sembra proprio che per molti la pazienza abbia perso signi-ficato: vediamo la gente correre, innervosirsi, moltiplicare gliimpegni, inseguire ancora, malgrado tutto, l’illusione vec-chiotta del tutto e subito.

Tuttavia, riconosce il Papa, non mancano persone che sannosoffrire con il sorriso e che conservano «la gioia della fede»nonostante prove e malattie. Sono queste persone a «portareavanti la Chiesa con la loro santità di ogni giorno», fino a di-venire autentici punti di riferimento. Con il Papa, possiamo chiedere anche noi al Signore di darcila pazienza: la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, dellafamiglia, della pace. La pazienza di Dio che ci porta sulle suespalle.

Italo Maria Mannucci

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La vecchiaia, malgrado il proliferare di ricerche e di-scipline che ne fanno oggetto di studio, è ancora oggicensurata perché non abbiamo una precisa idea di comedebba essere questo tempo specifico dell’uomo. Infatti,quando non è posta come un problema — sociale, sani-tario, economico — è semplicemente riletta all’internodi modelli edonistici e consumistici che la utilizzano perincrementare l’industria dello svago, come occasione di“rivincita” sulle rinunce praticate nel passato. All’oppo-sto, quando sopraggiungono i tempi lunghi delle malat-tie croniche e della dipendenza, la vecchiaia è investitasempre di più da inquietanti interrogativi che tendonoa generare il sospetto che in fondo non valga la pena im-pegnarsi eccessivamente per chi è “destinato a morire”.

I dibattiti sull’eutanasia e sul suicidio assistito, attra-verso il linguaggio dell’etica della pura autonomia,hanno spesso indotto le persone che invecchiano aun’autorappresentazione di disistima, motivata dallaperdita dell’indipendenza e dell’autosufficienza.La vecchiaia in sé pone lo stesso interrogativo cheemerge in altre fasi della vita: quella del senso dell’esi-stenza. Ma, a fronte della memoria del proprio lungopassato, si fa più acuta per l’uomo la questione di comevivere mantenendo il senso della progettualità esisten-ziale e della speranza: qui si affaccia il difficile rapportoche lega, e quasi contrappone, l’idea del compimentodell’umano con quella del decadimento.

Sembra che l’uomo di oggi debba cercare la felicitàcome autorealizzazione ottenendo successo nel campodel lavoro: se così fosse, la vecchiaia sarebbe privata delcompimento e per sfuggire al senso dell’inutilità le re-sterebbero solo il divertissement o la morte.

Quando non si partecipa più ai canoni dell’immagina-rio collettivo che definiscono il compimento come feli-cità autorealizzantesi, resta soltanto il decadimento eperciò la percezione che non valga più la pena di conti-nuare a vivere.Ma è legittima e ben giustificata un’altra lettura di que-sta dialettica, chiamata a esprimere con maggiore pro-fondità la verità della condizione umana e a sfidare illinguaggio dell’invecchiamento che oggi risente delle ri-strettezze di una pervasiva prospettiva immanentistica.In primo luogo c’è differenza tra compimento e bilanciodella vita passata: il compimento non è un puro calcolodi costi e benefici, di successi e insuccessi, ma indicaquella fase in cui l’individuo può definire conclusa la co-struzione della propria identità. La vecchiaia è il tempodella conferma di sé e della capacità di accettarsi, senzarassegnazione o rimpianto: l’unità spirituale della per-sona trova, così, un centro di essenzialità che permetteall’uomo di vivere il presente con una nuova disincantataenergia.

Parlando di centro spirituale non intendiamo soltantoporre a tema la dimensione religiosa della vita, ma evi-denziare quella capacità di trascendere la contingenzache si realizza in ogni grande aspirazione alla verità, allagiustizia, alla bellezza. Chi è incapace di fare i conti conla propria età e con il necessario cambio di responsabilitàche essa comporta, e perciò non sa emanciparsi esisten-zialmente e psicologicamente dai ruoli e dalle funzionidell’età adulta e lavorativa, vive al contrario dentro unperenne senso di perdita identitaria e dimostra di nonaver saputo attuare quella ridistribuzione gerarchica deibeni e dei valori che gli è chiesta per non perdere sestesso nel rimpianto.

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C’è un passaggio evangelico che sintetizza il nesso profetico tra nascita, vecchiaia e morte. È quello in cui il vecchio Simeone tiene in braccio Gesù neonato.

Oltre la censura della vecchiaia

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Questo compimento è in qualche modo profetico per-ché indica a tutti che la verità della condizione umanarichiede che l’uomo non si perda e si disperda in ciò chefa: l’apparente inattività della vecchiaia indica, in fondo,il termine identitario a cui ogni impegno personale e re-lazionale deve aspirare.I tempi della vecchiaia, della malattia e del processo delmorire, fanno parte della vita, per questo motivo sonodecisive le relazioni umane che accompagnano le per-sone anche nei tempi della debilitazione, della perdita diidentità psichica e del morire.

La fede cristiana fornisce un contributo specifico allacomprensione del valore intrinseco dell’esistenza indi-viduale, che siamo soliti chiamare dignità: il suo fonda-mento ultimo, infatti, sta nella fedeltà di Dio all’uomoche, posto da sempre e per sempre in rapporto al Logosdi Dio, può sentirsi realmente amato e perciò voluto perquello che è, al di là di pretese e aspettative che altri uo-mini hanno su di lui. Nella ragione filosofica e nella lucedella fede cristiana, questa fedeltà di Dio è il significatoprofondo della creazione come relazione che non ri-guarda il problema dell’inizio del mondo, ma il fonda-mento di ogni momento della storia: se si riflettesseadeguatamente su questa relazione, allora si potrebbecomprendere come già nel venire al mondo è annunciatala promessa della fedeltà di Dio che si manifesterà pie-namente dopo quella morte che, ben motivatamente, èstata vista come una nuova nascita.

Il discorso sulla vecchiaia è ancora da scrivere. C’è peròun passo evangelico che sintetizza il nesso profetico chesalda, nell’orizzonte della speranza, la nascita, la vec-chiaia e la morte.

Mi riferisco all’episodio in cui il vecchio Simeone, acco-gliendo nelle sue braccia il neonato Gesù, proclama:«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace se-condo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto latua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli,luce per illuminare le genti». Accogliendo e custodendola vita nascente si illumina, in un unico orizzonte di spe-ranza, il senso stesso della vecchiaia come tempo ancoracapace di stupore per la novità e la bellezza dell’esistenza.

Possiamo perciò dire che il prendersi cura e il curaresono segno storico della fedeltà di Dio, che possiamo spe-rimentare nelle prassi di amore e di giustizia della co-munità umana.

Ma tutto ciò non capita automaticamente e non deveessere interpretato come un monito consolatorio, bensìcome un impegno e una responsabilità: una società chenon vuole trasformare il proprio futuro, cioè la possibi-lità di invecchiare, in un peso e in una maledizione, deveriorientare i propri valori e sottrarsi a un’organizzazionedell’esistenza legata soltanto alle logiche dell’individua-lismo liberale e dell’economia che lo alimenta.Per questo motivo le questioni della vecchiaia e della di-sabilità, anche senile, hanno concretamente a che farecon le questioni della giustizia.

In un certo senso, possiamo affermare che proprio lavecchiaia come tempo del compimento costituisce unostrumento di critica sociale, un monito profetico affin-ché giovani e adulti non perdano l’occasione di costruire,anche per loro stessi, un futuro degno dell’uomo.

Adriano Pessinada L’Osservatore Romano

Lavoratrice multitasking, esperta in molte cose e fondamentale nelle dinamiche familiari. Molto si è parlato delruolo della donna che lavora in casa, ma adesso qualcuno ha calcolato quanto varrebbe ai prezzi di mercato questaattività professionale: quasi 7 mila euro al mese, circa 83 mila euro l’anno. Se ne è occupato il sito americano Salary.com e ne ha parlato Repubblica: il calcolo è stato fatto dopo aver intervi-stato oltre 6 mila donne e monetizzando le competenze da loro svolte quotidianamente, che abbracciano una decinadi mestieri: cuoca, autista, insegnante, psicologa, contabile, manager, addetta alle pulizie, operaia, lavandaia, baby-sitter. Una casalinga media, si calcola, ha cucinato per 14 ore settimanali a 10 euro l’ora. Si sarebbe trasformata in autista,per figli grandi e piccoli, per 8 ore alla settimana a 10 euro l’ora. Avrebbe impartito ripetizioni per 13 ore la settimana,alla stessa cifra. Non solo. Per tamponare le varie crisi familiari si sarebbe trasformata in psicologa almeno 7 orealla settimana, a 28 euro l’ora, e in manager a 40 euro l’ora, organizzando le giornate dei figli più piccoli e gestendol'intera casa. Le casalinghe italiane, secondo i dati Istat, sono 4 milioni 879 mila. In percentuale, siamo uno dei paesi che ne hadi più. Ufficialmente un settore improduttivo della società, in realtà ne rappresentano una risorsa, che pure nongode di alcun riconoscimento e tutela.

Il lavoro di una casalinga vale 7mila euro al mese

GNOTIZIE DA APPROFONDIRE

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Quanto al sacrificio di vite umane, la pratica di vittime so-stitutive come cani, vitelli, asini, muli e capre era molto fre-quente riducendo la dimensione del tragico, ma non il suoprincipio che restava intatto. Perche la dove c’era da costruireun ponte, la concentrazione di denaro, persone, competenze,rischi, potere, notorieta, prestigio, affari e impulso al com-mercio, era inevitabile che generasse situazioni di invidia, ge-losia, concorrenza, tensioni, rivalita. Fonti, queste nel loroinsieme, di disordine la cui soluzione era rimessa all’inter-vento del demonio nella sua versione biblica del Satana prin-cipe di questo mondo, seduttore, tentatore, accusatore,espulsore di se stesso, secondo la formula di «Satana chescaccia Satana» per poter sopravvivere parassitariamentesulle disgrazie altrui.

Stando cosi le cose la metafora evocata del ponte come sim-bolo dell’unione tra due sponde, del congiungimento tramondi diversi e del «passaggio dalla terra al cielo, dallo statoumano allo stato sovraumano, dal mondo sensibile al mondosovrasensibile», piu che giusta sul piano visuale e teorico, noncoglie la realta satanica sopra descritta che invece il romanzoIl ponte a tre archi dell’autore albanese Ismail Kadare mettein luce in modo drammatico. In esso si narra come il progetto di costruire un ponte sulfiume Uyana sostituendo il suo attraversamento su imbarca-zione provochi una rivalita tra costruttori del ponte e barca-ioli traghettatori contrari al progetto. Situazione di crisimimetica e identitaria a cui viene posto rimedio murandoviva una vittima umana nel corpo del ponte stesso («Unmuro, per non crollare, ha bisogno di un sacrificio»), sacri-ficio che a un certo punto viene smascherato per quel crimineche e. Cio nonostante la vittima diventa oggetto di culto e ipellegrinaggi cui essa da vita non impediscono la conquistadell’Albania da parte dei turchi le cui truppe attraversano ilponte sul fiume.

Oddone Cameranada L’Osservatore Romano

La presenza in zone montane attraversate da corsi d’acquadei cosiddetti ponti del diavolo e una realta nota e diffusatanto in Italia quanto in Europa. Una particolarita paesaggi-stica attraente e allo stesso tempo conturbante per via delfatto che la costruzione di detti ponti veniva attribuita all’in-tervento di potenze occulte. Sia come sia, la diffusione di que-sti ponti, concentrata nel medioevo, e diventata l’argomentoprincipale di un recente libro di Claudio Santacroce (I pontidel diavolo e altri luoghi misteriosi e infernali in Piemontee Valle d’Aosta, Torino, Il Punto, pagine 286, euro 13), testoi cui confini geografici nel nord ovest d’Italia non sono mo-tivo di minore peso per cio che concerne l’importanza deltema della ricerca. Tant’e che si puo dire che i suoi contenutisono estensibili ad altri territori della stessa natura.

La domanda che sorge istintiva mettendo a confronto l’og-getto dello studio con le numerose immagini che lo accom-pagnano e il perche di detta attribuzione. Perche ponti deldiavolo? E la risposta sta nella concordia della riconosciutaabilita di una potenza occulta e sovrumana necessaria ad af-frontare una costruzione la cui difficolta si riteneva superassele capacita umane. Se a questo si aggiungono la velocita concui si diceva che detti ponti venivano costruiti e le caratteri-stiche dei luoghi in cui cio avveniva — burroni scoscesi, vo-ragini, gole, cascate, dirupi — si capisce come fosse stato, senon facile, certo istintivo richiamare l’intervento di una po-tenza infernale a supporto. E non si tratta solo di ponti. Tracce della presenza e del pas-saggio del diavolo e della sua attivita sono riportate nei pressidei ponti stessi e in zone contigue: in grotte, in fosse, pozzi,su piloni, garitte, edicole, su pietre, in gallerie, canali e ladove ci sono massi o pesi come campane da trasportare,buchi e passaggi che portano all’inferno. Segni del diavolosono registrati in affreschi, grotte, pareti in quantita tali dacostituire un’antologia di curiosita, aneddoti e leggende.Oltre a esservi un formaggio del diavolo, vi e un diavolo dal-l’aspetto femminile, un diavolo che vota il Partito comunistaitaliano, una scrivania e una sedia del diavolo, come vi sonopadelle, marmitte, pentoloni del medesimo. Aspetti, questielencati, che testimoniano una familiarita, una consuetudine,una vicinanza del diavolo con e nella vita di tutti i giorni. Ilche non escludeva il ricorso al baratto, lo scambio diun’anima da destinare all’inferno a compenso dell’aiuto for-nito nell’edificazione di un ponte o di un’opera collaterale.

Storia di una realtà attraente e conturbante

I ponti del diavolo