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    FREUD DOPO WITTGENSTEIN

    A. PAGNINI

    In quella che viene solitamente definita la seconda fase del suo pen-siero, Ludwig Wittgenstein ingaggi un confronto con Freud. Le sueconsiderazioni su Freud e la psicoanalisi non sono sistematiche, espesso sono riportate dai suoi allievi in trascrizioni di lezioni e conver-sazioni. La stessa definizione che pare Wittgenstein abbia dato di se

    stesso, quella di discepolo di Freud, riportata da Rush Rhees(Wittgenstein, 1967, p. 123), ed altrove sconfessata. Comunque, tra leconferme dellinteresse di Wittgenstein per la psicoanalisi freudiana, ven una assai probante cui ci richiama il grande economista JohnMaynard Keynes: al cospetto del dattiloscritto sottoposto daWittgenstein alla commissione che lo doveva nominare professore,Keynes, uno dei commissari, si disse molto impressionato dal fatto che72 delle 140 pagine del testo fossero dedicate allidea che la filosofiafosse simile alla psicoanalisi1.

    Va peraltro detto che la conoscenza che Wittgenstein aveva di Freudera pi osmotica che non frutto di un attento approfondimento delleopere. Il periodo della sua formazione viennese non poteva non averlomesso a contatto con le idee di Freud, allora molto diffuse e note negliambienti dellalta borghesia. Tra laltro, la sorella Margareta, la personaa lui pi cara tra i suoi familiari, era in analisi da Freud, e senzaltro di-

    1 Per un approfondimento dei diversi aspetti del rapporto tra Wittgenstein e Freud,e per i riferimenti bibliografici rilevanti, rimando a Bouveresse. Uno dei contributia parer mio pi interessanti sugli aspetti terapeutici della filosofia di

    Wittgenstein resta quello di Voltolini. Da vedere anche la ricca introduzione diDiego Marconi a Wittgenstein (1996).

    288 Comprendre 16-17-18, 2006-2007-2008

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    scusse con il fratello sogni e relative interpretazioni che il suo medicole dava (tra laltro, quello dellinterpretazione dei sogni era, allepoca,una sorta di gioco di societ). In casa poi cerano gli Studisullisteria, che Wittgenstein aveva senzaltro letto, giacch in unan-notazione molto interessante dichiar di sentirsi pi vicino e solidaleallumilt di Breuer che non alla presunzione dogmatica di Freud; esenzaltro Wittgenstein conosceva, giacch ne troviamo espliciti riferi-menti nei suoi scritti, Linterpretazione dei sognie La psicopatolo-gia della vita quotidiana. Niente di pi approfondito e niente di filolo-gico nella sua lettura di Freud. Tuttavia, quelle considerazioni sparsesulla psicoanalisi hanno dato luogo ad una vasta letteratura e sono stateconsiderate da alcuni come una vera e propria chiave interpretativa ad-dirittura per rileggere Wittgenstein in modo unitario (vedi soprattutto il

    recente Baker). Chi ha scritto su Wittgenstein e Freud lo ha fatto in varimodi: o privilegiando unattenzione per quello che potremmo chiamarelo spirito del tempo e certe consonanze ideali tra gli intellettuali dellagrand poque a Vienna (Cacciari, Gargani (1992), per esempio, o Janike Toulmin nel discusso libro su La grande Vienna, che hanno trovatonei due, e in Musil, Kraus, Bernhard, Loos, Schnberg, intrinseche edestrinseche affinit); altri si sono dedicati a problemi metodologici edepistemologici per lo pi incentrati sulla distinzione tra cause e ragioni,tra spiegazioni e ridescrizioni, tra scienza e mitologia; altri, infine,

    hanno preso spunto dalle considerazioni di Wittgenstein su Freud perripensare la psicoanalisi alla luce di quello che la filosofia del linguag-gio e della mente del secondo Wittgenstein ha suggerito. di questi ul-timi che intendo qui parlare; e in particolare di autori che hanno espli-citamente tentato una ricostruzione della psicoanalisi dopo Wittgenstein(Richard Allen, Louis Sass e Felice Cimatti su tutti), e di altri che,come Mauro Mancia, Roberto Brigati o, in parte, gli stessi Paul-LaurentAssoun e Jacques Bouveresse, hanno comunque considerato in manieracostruttiva le critiche di Wittgenstein a Freud. In una parola, mi occu-per non tanto della rilevanza della psicoanalisi sulla filosofia diWittgenstein (cosa storicamente corretta e provata, seppur controversa),ma della rilevanza di Wittgenstein sulla psicoanalisi; di fatto un falsostorico che si basa su un controfattuale: cosa sarebbe stata la psicoana-lisi se Freud avesse letto e preso sul serio le critiche di Wittgenstein alsuo lavoro.

    Ho detto di autori che hanno considerato in maniera costruttiva lecritiche di Wittgenstein a Freud. Certo, a prima vista, ci pu sembrareun vero e proprio paradosso, giacch Wittgenstein accus Freud di averperpetrato un abominevole pasticcio (confondendo cause e ragioni),

    di aver fatto un male incalcolabile allumanit (la psicoanalisi una

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    prassi pericolosa e immonda, e ha causato male a non finire), di aversedotto gli spiriti deboli con una potente mitologia, pi che con unascoperta scientifica; ma soprattutto accus Freud di aver postulato pro-cessi psichici inconsci, che invece Wittgenstein negava, trattando il lin-guaggio del profondo come una mera faon de parler: esattamentequello che, al contrario, Freud rimproverava a Pierre Janet di aver fatto,con la conseguenza, secondo lui, di aver negato cos lontologia stessasu cui si edificava la psicoanalisi2. Ma, ripeto: doveroso fare con que-sti autori uno sforzo dimmaginazione, e soprattutto di emendamento,rinunciando a condividere le premesse scientifiche e teoriche di Freud eassumendo quelle che, su temi come il linguaggio e la mente, caratte-rizzavano gli approdi del secondo Wittgenstein. Bisogna, cio, per ri-prendere una delle tante immagini di Wittgenstein, provare a gettare il

    seme di Freud nel terreno di Wittgenstein, e di vedere cosa ne nasce(contrariamente a quanto si in genere fatto in Francia e in Italia, dove come scrive Bouveresse si ritenuto che fosse la filosofia ad averbisogno della scienza psicoanalitica, pi che la psicoanalisi ad averbisogno di un lavoro di chiarificazione filosofica (p. xi)). Personal-mente ritengo, e ho argomentato altrove (1999), che Wittgensteinavrebbe potuto benissimo dichiararsi discepolo di Goethe,Kierkegaard o Spengler lasciando in pace Freud. Ma gli autori di cuiparler sono dellavviso che sia la psicoanalisi a non poter fare a meno

    di Wittgenstein, e il connubio da loro auspicato talmente rilevante epervasivo nelle odierne letture filosofiche della psicoanalisi che meritauna riflessione.

    Il primo aspetto che la psicoanalisi dovrebbe assimilare della criticadi Wittgenstein a Freud di smetterla di pensarsi come una scienzanaturale, per attingere come suggerisce Gargani un livello di auto-comprensione pi adeguato di quello che ne avrebbe avuto il suo stessofondatore (2005, p. 38). Questo, per, non significa soltanto emanci-pazione della dottrina freudiana dai presupposti della fisica energeti-stica della seconda met dellOttocento come vuole Gargani ma di-stacco della psicoanalisi dalle scienze naturali tout court: e cio di-stacco da quelle scienze che si occupano di entit materiali; che usanocome nozione fondamentale quella di causa efficiente; che spie-gano, nel senso che riconducono, riducono, la molteplicit e la pluri-vocit dei fenomeni a regolarit, a leggi, o, in ogni caso, ad una base

    2 Per non appesantire il testo di riferimenti a Wittgenstein e ai tanti latori del suopensiero, raccomando ancora il libro di Bouveresse, in cui possibile ritrovare

    queste citazioni sparse di Wittgenstein adeguatamente contestualizzate ecommentate.

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    soggiacente, sia essa neurologica o simbolica. Qui c bisogno dun ul-teriore chiarimento, perch da quanto detto risulta che la psicoanalisinon si debba soltanto emancipare dalle scienze cosiddette nomologico-deduttive e da una accezione humeana della spiegazione e della cau-salit, ma anche dallermeneutica, se per ermeneutica si intende una at-tivit di interpretazione che riporti in qualche modo il caso al tipo, ilproliferare di sensi al significato, il dispiegarsi superficiale del sensoa un senso profondo, quello che si configura come un mero giustapporsidi immagini ad un nucleo significativo univoco. Qui Cimatti (2004)che denuncia la portata complessiva di quello che battezza come mo-dello neurologico di Freud. il modello spaziale dellinconscio;quello che configura la mente come una sorta di contenitore (di ricordi,di immagini, ecc.) e che presuppone (questo importante) il linguaggio

    come strumento di comunicazione, come essenzialmente referenziale,come implicante una concezione corrispondentista della verit, e quindicome una sorta di uncino che aggancia stati di cose, ricordi, fatti (vis-suti e psichici). Nel modello neurologico-spaziale della mente ad ognitraccia mnestica corrisponde un ricordo, ad ogni ricordo un segno, e adogni ricordo e segno un fatto. Questo modello porta Freud a credere cheil linguaggio che noi usiamo durante le sedute analitiche serva a pe-scare un evento traumatico e a rappresentarlo verbalmente, portandolocos alla coscienza dalle profondit dellinconscio dove giace inespresso.

    Eppure ci dice Cimatti Freud stesso scopre nella clinica qualcosache contrasta apertamente con questo modello: scopre limportanza de-cisiva della fantasia e dellimmaginario nelle produzioni verbali del pa-ziente. E questo per Freud talmente problematico, che lo costringe adassegnare alla psicoanalisi un ruolo di sapere temporaneo, destinatoprima o poi ad essere riassorbito dalla scienza fisicalistica della mente.Dopo Wittgenstein, per, questo svilimento della psicoanalisi a disci-plina che un giorno sar scienza nel pieno senso della parola perch riu-scir a dar conto di una realt materiale e in ogni caso oggettiva, nonsono pi necessari. Wittgenstein, infatti, ci permette di pensare un mo-dello diverso, non pi spaziale della mente, in cui non trovano pi postodistinzioni apparentemente alternative come superficiale e profondo,interno ed esterno, dentro e fuori. Per Wittgenstein, il linguaggio non uno strumento per rappresentare oggetti, non ha ununica funzione de-notativa, non neppure un mezzo per esprimere uninteriorit altri-menti inaccessibile (non denota puramente oggetti esterni e neppureidee contenute nel teatro cartesiano della mente). Il linguaggio, inpositivo, un insieme dinamico, variabile, di giochi linguistici,ognuno con le sue regole, le sue ragioni, i suoi criteri di vittoria e di

    sconfitta (per restare nella metafora del gioco). Questo significa che

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    Wittgenstein prende in considerazione tutti i tipi di proposizione che sipossono formare col linguaggio: non solo le asserzioni, ma anche ledomande, gli ordini, le esclamazioni, le scuse, le scommesse, le benedi-zioni, ecc.. Innumerevoli tipi differenti dimpiego di tutto ci chechiamiamo segni, parole, proposizioni scrive Wittgenstein(1967a, p. 203). E i giochi linguistici non sono fatti solo di parole. Cisono anche i gesti, i silenzi espressivi, le espressioni facciali. Parlare unlinguaggio unattivit, una pratica sociale, una forma di vita diceWittgenstein non un qualcosa di preordinato che trascende la vita e ilparlare concreto. Non ci sono regole e significati che precedono e de-terminano univocamente il gioco linguistico che giochiamo; soprattutto,non c una realt esterna o interna che conferisce significato alle pa-role che usiamo. Per dirla in termini che trovano riscontro anche in altre

    teorie del linguaggio (quella di Vygotsky, per esempio), i significatisono costituiti congiuntamente dai partecipanti ad una conversazione,costruiti da attori competenti nel corso di progetti che sono realizzatiallinterno di sistemi di norme pubbliche; e i fenomeni psicologiciespressi da alcune forme linguistiche non sono propriet o processidella mente nascosti che il discorso esprime. Lespressione discorsiva il fenomeno psicologico stesso.

    Tutto ci, ovviamente, comporta qualcosa di importante relativa-mente a una ricostruzione razionale di ci che accade durante una

    cura parlata (ch di transazione linguistica, o in ogni caso linguistico-comportamentale-gestuale, si tratta in psicoanalisi). Le parole dellana-lista non spiegano il mentale, nel senso di ridurlo a qualcosa che non mentale (cause rimosse, o tantomeno attivit neuronali e fisico-chimiche), bens rendono possibile acquisire coscienza delle regole na-scoste del gioco che stiamo giocando. Per chiarire, cominciamo colvedere come Wittgenstein tratta linterpretazione dei sogni. Quandocommenta il modo in cui Freud spiega il significato dei sogni inequi-vocabile: La sua spiegazione storica di questi simboli assurda []non c modo di mostrare che il risultato generale dellanalisi non po-trebbe essere inganno. qualcosa che la gente portata ad accettaree che rende loro pi agevole seguire certe strade: certi modi di com-portarsi e di pensare diventano per loro naturali [] (1967, p. 129).Lobiettivo dellanalisi non dunque tanto quello di spiegare il sogno,quanto di restituire al malato la sua libert, e cio la possibilit di di-sporre del materiale evocato nel racconto del sogno senza costrizioni,vedendo pi possibilit laddove era forzato a vedere un senso unico, edunque ad accettare quei contenuti senza esserne turbato, con natura-lezza. Se limmagine scientifica tipicamente ottocentesca della dina-

    mica portava Freud a vagheggiare lessenza del sogno, un modello che

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    funzionasse per dirci come si producono i sogni, qual la meccanicadella loro configurazione, e dunque, a ritroso, ci consentisse di deci-frarli, ora invece si tratta di riconoscerne a priori la complessit irridu-cibile, la loro estraneit a ogni logica fondante. Lo stesso si dica perlanalisi nel suo complesso. Il malato non vuole che gli si spieghi ilsintomo, vuole star bene. Lanalista alla luce della filosofia del lin-guaggio di Wittgenstein sa che il linguaggio non un mezzo peresprimere pensieri e sentimenti che sono chiusi da qualche parte nellamente individuale privata e che precedono lespressione. Il paziente cheproferisce lenunciato sono infelice non descrive ad uso degli altriuno stato interiore. Il modello non denotativo del linguaggio diWittgenstein come abbiamo visto nega la sequenza pensieroprivato-espressione linguistica-comunicazione agli altri di quel

    pensiero. Se c qualcosa che la parola inconscio significa perWittgenstein proprio il fatto che il paziente non pu sapere nulla diquello che succede in lui. Il problema non rendere noto agli altriquello che uno pensa o sente tra s e s, ma permettere di scoprire e de-finire quel che uno pensa ma non sa di pensare, quel che uno sente manon sa di sentire. Non c un contenuto nascosto in attesa che la parolalo porti alla luce. Lo stato interno si costruisce insieme alla parola chelo indica; diventa il risultato, e non la premessa, dunoperazione lin-guistica riuscita. qui che Wittgenstein trova una profonda analogia

    con la filosofia: Il filosofo si sforza di trovare la parola liberatrice,quella parola che alla fine ci permette di cogliere ci che fino allora,inafferrabile, ha sempre oppresso la nostra coscienza. ( come quandoabbiamo un pelo sulla lingua: lo sentiamo, ma non possiamo affer-rarlo/prenderlo e perci non riusciamo a liberarcene) (1967a, p. 243).Scopo della terapia non portare alla superficie ci che nascosto, se-polto nella memoria, bens quello di dare forma, di dare corpo lingui-stico, ad una condizione altrimenti indeterminata, ad un disagio senzaportatore, che accade, ma non appartiene in senso stretto a chi lo sente.

    Sono evidenti profonde, e talora dichiarate, somiglianze tra il me-todo di Wittgenstein e la morfologia di Goethe nel suo Metamorfosidelle piante. Per capire come Wittgenstein potesse interessarsi allamorfologia, dobbiamo ricordare che fin dai tempi del Tractatus eglisosteneva che per la filosofia niente pi fondamentale in vista delchiarimento logico dei pensieri dellesibizione delle relazioni logiche(relazioni interne) del linguaggio; e che ci deve ottenersi senza fareuso di alcun metalinguaggio. Goethe gli interessava perch il suo pro-getto morfologico implicava leliminazione dallo studio della naturadella dicotomia profondit/superficie, il rifiuto del programma classico

    di spiegazione dei fenomeni naturali in termini causali e la sua sostitu-

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    zione con una speciale analisi comparata, da cui sarebbe dovuta scatu-rire la chiara visione dei nessi intercorrenti tra gli elementi appartenentialle diverse serie naturali. Compito del morfologo rendere possibile,attraverso lapplicazione delle sue peculiari strategie comparative,lesibizione delle relazioni che intercorrono tra le diverse forme natu-rali, mostrando quale posto ognuna di esse occupa in rapporto allaltra econsiderandole a partire dalla chiara visione di tali relazioni. AncheWittgenstein considera fuorviante la coppia concettuale profon-dit/superficie in quanto perpetuante lillusione che deriva da unerro-nea trasposizione dei metodi della scienza allindagine del significato che attribuisce un carattere fondante a ci che giace in profondit e siritiene agisca come struttura ultima, considerando invece le singole re-alizzazioni di superficie solo come esemplificazioni contingenti. Og-

    getto della sua indagine sono le regole dei giochi linguistici che, po-tremmo dire, stanno ai giochi o pi in generale ai sistemi di senso nellastessa relazione in cui i contorni di un disegno stanno alla forma, allafigura cui danno origine. Come allocchio del morfologo i contorni cheidentificano una forma stanno solo per se stessi, cos per il logico le re-gole dei giochi; esse non portano a espressione qualcosa di nascosto cheandrebbe scoperto, ma stanno l in superficie, sono sotto i nostri occhi.

    Tra le richieste che accomunano gli atteggiamenti di Goethe, diSpengler e di Wittgenstein nei confronti dei loro oggetti di indagine,

    quella che salta pi agli occhi la richiesta di abbandonare le spiega-zioni causali per sostituirvi la semplice descrizione. La descrizionemorfologica rappresenta per loro un genere di attivit conoscitiva es-senzialmente interessata alla presentazione dei nessi tra i fenomeni,allesibizione delle relazioni che li connettono; il suo scopo far scatu-rire la comprensione dai confronti che di volta in volta vengono istituititra le diverse forme dei fenomeni, tra le diverse configurazioni che essiassumono. In un passo della Grammatica filosofica, Wittgenstein, nelpieno rispetto dellatteggiamento morfologico, afferma: Io mi limito adescrivere il linguaggio e non spiego nulla (p. 251); contestualmenteprecisa che, dal suo punto di vista, qualsiasi fatto desperienza lingui-stico, in quanto tale, non lo interessa, perch della descrizione che ilfilosofo produce al fine di esplicitare il significato di una parola non la verit che importa, bens la forma. Ma se non importa la verit, acosa guardano le descrizioni filosofiche? A penetrare loperare del lin-guaggio in modo da riconoscerlo (contro una forte tendenza a frainten-derlo), in modo da renderlo perspicuo, cio da assestare e ordinare ciche da tempo ci noto. A differenza delle descrizioni che riguardanofatti empirici, e sono quindi interessate alla verit fattuale, le descri-

    zioni prodotte dal filosofo si caratterizzano in primo luogo per il fatto di

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    vertere essenzialmente sulla dimensione non empirica del linguaggio:su ci che nel linguaggio indipendente dal confronto con i fatti, dallaverificazione e dalla falsificazione, nonch dalla sua funzione. In se-condo luogo, le descrizioni filosofiche si caratterizzano per il fatto diessere anzitutto interessate a rendere possibile il riconoscimento deimodi di operare del nostro linguaggio, dove ormai appare evidente checon riconoscimento Wittgenstein intende quel genere di conoscenzache deriva dallapplicazione delle pi svariate tecniche di raffronto e diraggruppamento morfologico tra gli innumerevoli tipi di usi linguisticipossibili.

    E torniamo alla psicoanalisi. Cimatti, in queste premesse che con-cernono la semantica e la metodologia, vede un immediato risvolto cheriguarda la pratica analitica. Il problema quello dellefficacia dellana-

    lisi. Se non c un senso da ritrovare e riconoscere, se il significato siacquisisce soltanto in terza persona, ed determinato in una pratica so-ciale, discorsiva, allora al centro dellanalisi vi sar la relazione ditransfert e controtransfert, con lanalista che non interviene diretta-mente sul paziente (sarebbe un residuo di quella logica chirurgica le-gata alla visione spaziale della mente e al modello descrittivo del lin-guaggio), ma deve solo aiutare a vedere, a vedere perspicuamente, arimettere i pezzi a posto. La cura esperienza di libert, e non espe-rienza intellettuale, ma affettiva. Dove prima il paziente aveva una sola

    via e soffriva ad attraversarla, ora ha di fronte diverse soluzioni, e an-che la stessa via da sempre percorsa pu essere percorsa con uno statodanimo diverso, con il senso della scelta tra pi possibilit.Wittgenstein lo dice chiaramente per la filosofia (e ricordiamoci: filoso-fia, analisi concettuale=terapia): La filosofia non mi porta a nessunarinuncia, perch non mi vieto di dire qualcosa, bens abbandono unacerta combinazione di parole come priva di senso. Ma in un altro sensola filosofia esige una rinuncia, per una rinuncia del sentimento, nondellintelletto. Ed forse questo il motivo che la rende difficile a molti.Pu essere difficile non usare unespressione, come difficile trattenerele lacrime o uno sfogo dellira (1990, p. 302). Dunque, lefficaciadellanalisi interna alle sue regole, unefficacia legata al tipo di re-gole che lanalisi stessa istituisce; e la verit dellanalisi rimanda anientaltro che al dischiudere al paziente ipotesi diverse, realmente pra-ticabili, rispetto al senso della sua sofferenza. La costruzione anali-tica mette a disposizione del paziente spazi di manovra che prima eglinon riusciva a cogliere.

    Questo modello wittgensteiniano oggi molto pi influente (nelleletture filosofiche della psicoanalisi) di quanto non sia certificato dagli

    espliciti interventi degli autori che ho citato. Per esempio, la svolta

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    etica nella valutazione della psicoanalisi, di cui Jonathan Lear unodei maggiori promotori, attinge a questo modello. Qui non discuto delsignificato etico del modello che abbiamo presentato, bens dei suoi li-miti epistemologici; limiti che a mio avviso lo minano alla base e chequi condenso in quattro punti:

    1. Innanzitutto, la filosofia del linguaggio su cui si fonda tale modellonon affatto immune da critiche, non una acquisizione definitiva(e, in Wittgenstein, non si mai presentata neppure come una teo-ria, mentre invece i neowittgensteiniani la fanno apparire cometale). Essa lascia intendere una opposizione laddove io direi che visono semplicemente due facce della stessa medaglia: una cosa parlare del significato di eventi e pensare alle azioni individuali in

    termini di eventi (compierle, prevenirle, ecc.), e una cosa parlaredel significato o contenuto di stati psicologici in termini di strutturedi secondordine nel cervello, o di computazioni su rappresentazioniin un sistema semantico interno. Non pu essere che le due cosesiano complementari? Che si parli di due aspetti diversi del signifi-cato? Wittgenstein non ha mai negato lesistenza di stati mentali. Hasemplicemente enunciato, con il noto argomento contro il linguaggioprivato, una tesi semantica sullimpossibilit di immaginare un lin-guaggio le cui espressioni assumono significato per il fatto di essere

    associate a esperienze private vissute del soggetto che istituisce illinguaggio. Wittgenstein dice semplicemente che il linguaggio pri-vato non un linguaggio perch non ci sarebbe alcun criterio perdeterminare la correttezza delluso delle sue espressioni; e un lin-guaggio, per essere tale, deve essere corretto o scorretto. Quindi dicesolo che non si pu determinare il significato di unespressione tra-mite una sua connessione con un ente mentale, non che non ci sonostati o enti mentali (la tesi semantica non implica la tesi ontologica).

    2. Oltretutto, e in secondo luogo, evidente unaffinit tra la negazionedegli stati mentali da parte dei neowittgensteiniani e il comporta-mentismo logico, con tutti i limiti che porta con s il ridurre il men-tale a disposizioni.

    3. La critica alle spiegazioni causali del comportamento che il modelloavanza risente di una grave lacuna nel considerare la logica dellespiegazioni causali in generale. Neppure in fisica si pensa che leentit invocate in una spiegazione causale siano necessariamentemateriali. Funzionano eccome anche spiegazioni che fanno appello acostrutti teorici, a tipi, a entit come la corrente elettrica, i campimagnetici, le valenze chimiche e anche i tipi ideali di Weber, o le

    sovrastrutture economiche di Marx, o i processi inconsci; proprio

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    perch tramite quelle entit teoriche, oltre a spiegare correlazioni al-trimenti inspiegabili, si prevedono eventi e comportamenti, cosa chenon possibile tramite mere ridescrizioni degli eventi. Oggi nessunopi analizza il concetto di causalit in termini humeani di condizioninecessarie e sufficienti. Si parla di rilevanza causale (vediGrnbaum, pp. 96-114). Ma soprattutto non si ritiene pi che unadescrizione non sia una specie di spiegazione. La scienza piena dispiegazioni mediante processi (che sono descrizioni); e queste, siache invochino processi nascosti sia che facciano riferimento ad ante-cedenti causali, assumono valore esplicativo nella misura in cui de-scrivono un processo di collegamento (indipendentemente dalla na-tura materiale delle entit che impiegano).

    4. Infine, la metafora del gioco linguistico (bonne a tout faire!). Perch

    considerare la psicoanalisi un gioco linguistico a s? I giochi lingui-stici cui faceva riferimento Wittgenstein erano ben pi elementari ein un certo senso naturali: il contare, il credere in Dio, lamare, ilfare politica. Ma perch deve essere un gioco linguistico la psicoa-nalisi e non, per esempio, in generale il curare o il prendersi cura?Siccome, soprattutto nellinterpretazione di Cimatti, non esiste unsuper-gioco linguistico che consenta di parlare dei giochi linguisticispeciali, non ci sono regole che regolano e fondano i diversi giochi,questo lascia presumere che la psicoanalisi sia un gioco che non si

    deve criticare, ma che si deve solo giocare correttamente. Anzi, talmente chiuso in se stesso, che la sua efficacia data proprio dallacorretta applicazione delle regole del gioco; non da un confrontodelle regole coi fatti (la contraddizione sussiste fra una regola eunaltra regola, non fra regola e realt, diceva Wittgenstein (1967a,p. 187)). Lanalisi si ferma quando il paziente mostra di essere sod-disfatto, cos come la risposta filosofica soddisfacente quando siacqueta lansia, luneasiness, il disagio di chi si pone una domandacarica di presupposti metafisici non esplicitati. Ma pu essere lasoddisfazione del paziente, il fatto che il paziente dice basta, dice diveder chiaro, un criterio di validit di un intervento terapeutico? Esiccome il tipo di intervento dellanalista neutro rispetto ad una te-oria (metapsicologica e anche clinica), questa ricostruzionedellefficacia analitica non equivale a dissolvere la specificit dellapsicoanalisi?

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    Prof. Alessandro PagniniVia dei Macci, 19I-50122 Firenze

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