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A Lele

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Gabriele Fanti è stato attore, regista e anche maestro di vita per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di avvi-cinarlo sia nel campo artistico che imprenditoriale. Quale “Padovano Eccellente” ha amato Padova in modo straor-dinario. Ricordare che è stato il massimo interprete delle opere del Ruzante è superfluo. E’ stato colui che ha raccol-to il timone dell’Associazione Ruzante dopo la dipartita di Gigi Giaretta, ai tempi in cui Direttore Generale degli Affari dell’Università di Padova era il poeta Giovanni Or-gano. Ha condotto l’associazione con spirito professio-nistico, grazie alla collaborazione dei fratelli Rolma e di Milosc Voutcinitch, riuscendo a convincere più di 40 anni orsono, il professor Giovanni Caledoli ad innamorarsi del Beolco, divenendo il lettore ufficiale di pavano all’Uni-versità. Fece parte della “Scuola di Teatro del Veneto”, che si teneva al ridotto del Verdi di Padova con Arnoldo Foà, Costantino de Luca, Tonino Micheluzzi, sotto la direzione di Celino Bertinelli.

Gabriele Fanti aveva la forza di deridere anche la morte. Nel momento del saluto ad un amico incontrato per caso, dopo una chiacchierata per strada, era solito aggiun-gere: “Ciao vecio… Speremo de vedarse ancora, ma se non se vedaremo, che sia par colpa tua”.

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PRESENTAZIONE

La ricerca del dottor Franco Holzer mi ha veramen-te stupito, per essere riuscito a riportare in modo ampio e circostanziato notizie che sono frutto di un’impresa che ha dell’impossibile.

La tenacia dimostrata nel reperire, con un’indagine così profonda, un così grande numero di nuove conoscen-ze, ci lascia tutti addirittura meravigliati e perplessi.

Senza dubbio solo un appassionato può aver potuto riportare particolari così tanto preziosi.

Carlo Lodovico Fracanzani

Padova 5 Maggio 2008

Carlo Lodovico Fracanzani

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PREFAZIONE

“Chi cerca trova!”È stata l’esclamazione di sentito compiacimento che

ho ricevuto da monsignor Claudio Bellinati nell’apprende-re che ero riuscito a reperire nuove conoscenze sulle origi-ni della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”e sull’architet-to Bernardo Morando.

Sono stati sei anni trascorsi in fretta a caccia anche di flebili indizi sia a Padova, sia in Polonia. Viaggi continui in tutte le stagioni con il desiderio di raggiungere lo scopo prefissatomi. Viaggi piacevoli anche se fatti in età matura, quando si prediligono piuttosto i luoghi già noti per ripo-sare e rivangare il passato. Ad ogni ritorno lo spirito si sentiva ringiovanito, come quello dei giovani studenti che cercano nuove esperienze incuranti della fatica.

Quante volte ho desiderato avere vicino i miei ragaz-zi delle scuole alberghiere di indirizzo agroalimentare per poter gioire assieme delle nuove esperienze provate. E’ col linguaggio semplice dei giovani che ho voluto scrivere questi appunti di viaggio proprio perché potessero leggerli con piacere e senza fatica, come fossero i capitoli di un libro di favole.

L’ Autore

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Sulle orme de

La Gallina Padovana dal Gran Ciuffo

Appunti di viaggio dalla Polonia al Vaticano

Franco Holzer

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lora preside Adriano Panizzon faceva fatica a far quadrare i bilanci della scuola, tanto che per un breve periodo temette anche di dover eliminare l’aviario a causa della mancanza di fondi. Le galline ciuffate e anche quelle delle altre razze avicole ospitate nell’Istituto si salvarono da sicura estin-zione anche grazie alla costante campagna d’informazione sul Gazzettino. Grazie alla mia assidua presenza al “San Benedetto da Norcia” potei conoscere il professor Carlo Lodovico Fracanzani, che spesso mi raccontava storie le-gate alla sua vita dedicata agli animali da cortile. L’amici-zia che mi ha legato a lui per tanti anni, mi permette di dire che gli nutro ancora profonda gratitudine. Spesso quando l’uomo della strada sente parlare di galline, di tacchini e di oche in genere sorride, alza le spalle e se ne va per la sua strada, prendendoti anche in giro sul come perdi il tuo tempo. Per me non è stato così. Le galline, come Sant’An-tonio, il Pedrocchi o l’Università hanno diritto di cittadi-nanza padovana e portano nel mondo una fetta della fama e della storia della nostra città.

Il professor Fracanzani, che è mancato nel 2012, è stato un cultore appassionato della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”, ma ancor di più della “Gallina di Polvera-ra”. Nel cortile interno della sua residenza in via Cesarotti, sotto le cupole del Santo, ha allevato per anni in libertà qualche centinaio di pennuti dalla livrea nera. Nel 1996, durante una sosta in autostrada a Cesena, mentre eravamo diretti a Forlì per visitare una fiera avicunicola a carattere europeo, il professor Fracanzani mi confidò il desiderio di

IL VIAGGIO IN VATICANO

Le “Galline Padovane dal Gran Ciuffo” vennero espo-ste, intorno al 1955, nel settore dedicato all’Agricol-

tura della Fiera Internazionale dei Campioni di Padova. Erano lì in mostra con quelle di altre razze per propagan-dare il mangime “Sole” dei Consorzi Agrari. Successiva-mente questi meravigliosi esemplari ciuffati parteciparono alle mostre delle MAV (mostre avicunicole) sempre alla Fiera di Padova negli anni a cavallo del 1970. Nel 1973 vennero trasferite alcune razze avicole, abitualmente alle-vate nel Veneto, comprese le “Galline Padovane dal Gran Ciuffo”, dagli aviari di Rovigo all’Istituto professionale di Stato per l’Agricoltura “San Benedetto da Norcia” di Pa-dova, che da quel momento divenne il punto di riferimento della nobile razza avicola.

Fu il professor Antonio Balasso che mi permise di conoscere meglio la razza padovana ciuffata e di quelle esperienze non me ne scordai quando cominciai a scrivere sul Gazzettino su argomenti agro-alimentari. Ciò accadde nei primi anni del 1990. Il primo articolo sulla Gallina Pa-dovana dal Gran Ciuffo venne pubblicato nella edizione padovana del giornale l’8 maggio 1994 con una intervista al professor Gabriele Baldan, allora incaricato della con-duzione dell’aviario dell’Istituto San Benedetto da Norcia. Da allora, dalle pagine del Gazzettino, partì la campagna per la salvaguardia della razza del pennuto padovano. L’al-

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Il professor Carlo Lodovico Fracanzani

Il professor Gabriele BaldanIl professor Gabriele Baldan

poter essere ricevuto da Papa Giovanni Paolo II onde po-terGli donare una coppia di candidi polli padovani per gli aviari di Castel Gandolfo. Il motivo era quello di portare al pontefi ce polacco un dono che Gli ricordasse che le ori-gini della gallina padovana sono polacche. Ammisi subito candidamente la mia ignoranza sull’argomento, ma non mi preoccupai più di tanto. Per me l’ostacolo maggiore non era tanto quello di riuscire ad ottenere l’udienza dal Papa, quanto di riuscire a passare i cordoni della “Sicurezza” vaticana con la gabbia dei polli vivi. Ritenendo l’impresa quasi impossibile, suggerii subito al professor Fracanza-ni di far realizzare dallo scultore Stefano Baschierato una coppia in bronzo dei pennuti, nel caso i polli vivi fossero stati bloccati all’ingresso della sala delle udienze. E così fu deciso. Portati i modelli vivi nel cortile dello studio dello scultore a Celeseo di Sant’Angelo di Piove di Sacco, Stefa-no Baschierato cominciò ben presto a modellare due sog-getti in cera. L’opera era quasi del tutto terminata, quando il Maestro mi chiamò per esprimere un giudizio su quanto aveva preparato, prima di mandarlo in fonderia. Giunto nel suo studio mi accorsi subito che i due soggetti presentava-no delle anomalie anatomiche. La testa non era ciuffata a dovere e sia il gallo che la gallina presentavano evidenti bargigli. Con una certa diffi coltà mi rivolsi a Baschierato in dialetto: ”Maestro, l’arte la xe arte. A artista no se ghe comanda. Solo che anca Eo el poe vedare che ala gaina e al galo ghe manca el ciufo. E po’… nol vede che ghe cresse le bardagoe ? Me scuso se ghe fasso notare ste robe… ma

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Stefano Baschierato modella i pennuti in “cera persa”

Lo scultore Stefano Baschierato rifi nisce una copia dei pennuti in bronzo

anca la realtà voe la so parte”. Il Maestro ebbe un gesto di stizza e, lanciando sul tavolo gli attrezzi per modellare che aveva in mano, sempre nel dialetto più duro che poteva, mi disse: “E jora el fassa eo!”.

“Va ben – gli risposi - se el me juta”. Presi della cera e modellai le due teste, mentre Baschierato eliminò i bar-gigli. A quel punto l’opera era pronta per essere inviata in fonderia, solamente che prima preferii che fosse visionata dal professor Carlo Lodovico Fracanzani che condussi in studio di lì a qualche giorno. Appena vide i due soggetti, gallo e gallina in cera, il professore esclamò, rivolgendo-si a Baschierato,: “Meravigliosi! Sono stupendi”. A quel punto il Maestro prese un uncino di acciaio, lo scaldò alla fi amma e sulla coda della gallina incise da una parte il proprio nome con l’indicazione dell’anno ’96 e dall’altra “Holzer ’96”. Restai muto e il mio sguardo si incrociò con quello del Maestro, che in quel modo volle riconoscere anche la mia paternità nell’esecuzione della scultura.

A quel punto bisognava risolvere un altro problema. Quello che assilla sempre gli artisti: reperire il denaro per la fusione. Il problema fu subito risolto da Baschierato con questo tipo di discorso: “Se eo, dotore, el me autorisa, mi fasso fare un calco in silicone par podere dopo fare quatro copie de bronzi. Uno par eo, uno par el Papa, uno par mi e l’ultimo par la fonderia. Cussì eo el me paga el presso del puro costo dea fusion dea prima copia, quea del Papa, spero, la pagarà la scola, mi me tegno la tersa e la quarta

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L’allevatore Giorgio Franceschetto

Karol Józef Wojtyła ( Papa dal 16 Ottobre 1978 al 2 Aprile 2005 )

la vende la fonderia”. Il ragionamento non faceva una pie-ga. Solo che le cose alla fi ne andarono così: io mi pagai la mia copia, Baschierato si tenne la sua, la fonderia Merighi di Bologna cedette la scultura alla Fondazione Cardina-le Giacomo Lercaro e quella da donare al Papa fu portata all’Istituto San Benedetto da Norcia in attesa di essere pa-gata e portata a Roma. Alla fi ne la copia del Papa non fu pagata da nessuno, forse lo fu da Baschierato. Chi organiz-zò la visita in Vaticano fu il teologo Michelangelo Bocca che fu a capo della delegazione composta dai professori Carlo Lodovico Fracanzani, Adriano Panizzon e Gabriele Baldan, dal sottoscritto, dallo scultore Stefano Baschierato e consorte, che lui chiamava amorevolmente “la Rossa”, e dall’allevatore Bruno Rossetto che era accompagnato dal-la fi glia Ester. Alla cerimonia presenziò anche la dottores-sa Marina Zuccon, attuale caposervizio a Padova del Gaz-zettino. Le galline e le sculture bronzee giunsero a Roma in macchina con i professori della scuola. Quattro erano gli esemplari vivi, provenienti dall’allevamento di Giorgio Franceschetto di Cervarese Santa Croce, in quanto si teme-va qualche defezione per lo stress del viaggio. La mattina del 20 novembre 1996 ci accingemmo ad entrare in Vati-cano per accedere all’aula Paolo VI. Data la familiarità che il professor Bocca aveva con il Prefetto e il Questore del Vaticano, nonché con il capo della gendarmeria, saltammo anche la coda dei fedeli invitati all’udienza. La gabbia del-le galline vive prese la via dei corridoi interni dei palazzi pontifi ci portata dal professor Baldan.

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CITTÀ DEL VATICANO - Sala delle Udienze Paolo VI la mattinadel 20 Novembre 1996 . In prima fi la la delegazione padovana

Superati ben 12 sbarramenti di guardie svizzere, che si misero a ridere solo al vedere i candidi polli padovani, la gabbia fu deposta ai piedi del tronetto del pontefi ce. La scul-tura bronzea con gli altri doni dei partecipanti all’udienza fu posta su un tavolino in cima alla balaustra. Il gallo riuscì anche ad emettere un chicchirichì intorno a mezzogiorno, mentre veniva consegnata al Papa una pergamena minia-ta dall’artista padovana Lucia Stefanini, divenuta nel frat-tempo moglie del professor Antonio Balasso. Nella perga-mena il professor Carlo Lodovico Fracanzani raccontava la storia fi no ad allora giuntaci sulle origini della Gallina Padovana-Polacca dal Gran Ciuffo. Una storia tramandata verbalmente per la prima parte del secondo millennio, poi successivamente suffragata anche da documenti storici. La tradizione diceva, fi no ad allora, che fu Giovanni Dondi dall’Orologio, nel XIV secolo, ad importare la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” dalla Polonia. Come vedremo, però, questa affermazione non ha ancora avuto riscontri storici attendibili. Anzi nel papiro consegnato al Pontefi ce venne riportato involontariamente un refuso storico, attri-buendo il titolo nobiliare di marchese a Giovanni Dondi dall’Orologio. Vedremo che l’onorifi cenza del marchesa-to verrà insignita da re Giovanni III (Sobieski) il 3 marzo 1676, allora re di Polonia, a Francesco Dondi dall’Orolo-gio, che la trasmetterà ai suoi discendenti anche per deci-sione della Repubblica Serenissima di Venezia. Quindi tre secoli dopo la nascita di Giovanni Dondi.

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Servizio giornalistico apparso sul Gazzettino -20 Novembre 1996 - Olio su tela della pittrice polacca Emilia Kaczanowska

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I ringraziamenti di Giovanni Paolo II La comunicazione della fonderia Merighi di Bologna

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LA GALLINA PADOVANA DAL GRAN CIUFFO

La razza della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” è presente nella letteratura scientifica ufficiale solo da

alcuni anni, anche se è conosciuta a memoria d’uomo da secoli. Quando, specie all’estero, si parla di “Gallina Pa-dovana” si intende indicare scientificamente proprio quel-la “dal gran Ciuffo”. In Italia e specialmente nel padovano, invece, fino a tutto il secolo scorso, si è inteso quasi sem-pre indicare col nome di “Gallina Padovana” il pennuto che non appartiene ad una razza specifica, ma quel bipede, spesso frutto di incroci di razze locali, che divenuto adulto è capace di produrre uova e che al termine della sua esi-stenza deve finire in pentola per dare un buon brodo. In pratica, un tempo, i villici delle campagne padovane non si preoccupavano di allevare in libertà dei polli di una razza ben precisata, quanto piuttosto dei soggetti che fossero in grado di produrre inizialmente almeno un discreto nume-ro di uova per l’alimentazione domestica. Spesso le uova erano nel contado anche elemento di baratto da scambiare con altri generi alimentari o di vestiario nel “bottegon” del paese. Studi relativamente recenti condotti da Alessandro Ghigi nel 1932 hanno interessato solo alcuni veri incroci interrazziali, effettuati per verificare la trasmissione di ca-ratteri specifici. Pertanto va subito detto che quando oggi si parla scientificamente di “Gallina Padovana” si deve intendere, come suggerito dallo zoologo Carlo Lodovico Fracanzani, allievo del Ghigi, il pennuto appartenente alla

razza della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”. Di questa razza si sa relativamente ancora molto poco sulla sua pro-venienza, anche se ci è giunta integra, mantenendo i suoi caratteri morfologici originari.

Il capoIl ciuffo di penne sul capo è sostenuto da un’ernia cra-

niale che il Ghigi sostiene essere una mutazione teratolo-gica, ovvero mostruosa. Per i meno informati l’ernia è una specie di chierica, come quella che portavano i frati dopo la tonsura. Nella zona dell’ernia non crescono piume. Nel suo trattato di Avicoltura il Ghigi si sofferma in particolare sulla conformazione degli emisferi cerebrali posti più an-teriormente che in altri polli e ricoperti da tessuto osseo. Fin dallo sviluppo embrionale questo carattere si svilup-pa e si differenzia, conferendo al pulcino appena schiuso dall’uovo un curioso profilo, come se portasse un piccolo turbante sul capo. L’ernia craniale si accompagna alla mu-tazione dei processi nasali dei premascellari che, non fon-dendosi sul lato dorsale, lasciano uno spazio libero privo di penne o piume. Le narici vanno ad occupare tale varco assumendo una struttura elastica, revoluta e sopraelevata sul profilo del becco. La contemporanea presenza dell’er-nia e delle narici riduce lo spazio destinato alla cresta dan-do vita a una sua forma residuale o all’assenza completa. Il tegumento che circonda l’ernia è ricco di follicoli cutanei che originano nella femmina penne brevi con apice arro-tondato, il cui insieme è un ciuffo pieno, sostenuto come una “nappa di ortensia”, che va a coprire l’ernia.

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Nei maschi le penne sono invece più allungate e de-cisamente appuntite tali da ricadere tutto intorno al capo, formando un ciuffo dalle sembianze di un cappuccio di saio monacale. Sotto la gola e sotto gli orecchioni bianchi piccole penne si conformano a “barba” e a “favoriti”. Il volume del ciuffo limita la visuale posteriore e superio-re del pennuto, mentre i favoriti riducono quella inferiore. L’animale vede quindi attraverso uno squarcio anteriore che a volte può essere molto ridotto e ne condiziona l’an-datura, che si rivela a dir poco bizzarra, se confrontata con quella dei polli non ciuffati. Una visione schematica della sezione dei crani di pollo locale e di pollo di razza “Pado-vana dal Gran Ciuffo” mette in evidenza la loro diversità di conformazione ossea specialmente in corrispondenza dell’ernia e delle narici.

Sezione dei crani

I tarsi, le dita e la pelleLa colorazione dei tarsi non è gialla, ma grigio-ar-

desia, particolarità che condivide in Italia solo con la raz-za toscana della “Valdarno” nera, della “Siciliana” e della “Polverara”. Tutte le altre razze italiane hanno i tarsi gialli. Le dita sono quattro. La pelle è bianca, sottile e senza de-positi di grasso sottocutaneo, assenza che rende la carne asciutta, delicata e sapida.

Le uova, i pulcini e gli adulti La “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” è un’ ovaiola

e depone le uova sempre a guscio bianco, indipendente-mente dal colore del piumaggio. Il loro peso medio è di 55 grammi, mentre i pulcini quando nascono ne pesano circa 32. In genere la femmina non cova le proprie uova e quindi è necessario servirsi di una chioccia o di una incu-batrice. Allo stato brado, però, ho potuto rilevare anche il

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contrario. Da una covata sono nati vivi 12 pulcini. Dopo circa tre mesi di vita i polli mostrano le penne appuntite sul capo, consentendo di individuare i galletti. Il colore del piumaggio in età adulta fa distinguere la razza in Bianca, Nera, Dorata, Camosciata, Argentata, Blu, Grigio-perla e Sparviero. Oggi, però, sono reperibili in Italia solamente le prime cinque, tenendo presente che le piume della Dorata e della Camosciata sono fulve orlate di nero, mentre quelle della Argentata sono bianche orlate di nero. Il colore nel piumaggio non varia da maschio a femmina come può ac-cadere in altre razze di uccelli. Il peso nella gallina oscilla tra 1,5-1,6 Kg. e nel gallo tra 2,0 e 2,2 Kg.

La grande confusione nata nel distinguere con un nome ben preciso la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” dalle altre comunemente e volgarmente chiamate “Pado-vana” ha una spiegazione. A cavallo del 1900, quindi in un’epoca più vicina alla nostra, si è inteso chiamare con l’appellativo di “Gallina Padovana” tutti quei soggetti che venivano allevati nel territorio padovano, senza mai preoc-cuparsi della loro razza più o meno pura. Alcuni allevatori amatoriali, però, sentirono il bisogno di denominare con un nome specifico di “Padovana” dei particolari incroci da loro operati. Così Luigi Mazzon nel 1857 chiamò con il nome di “Padovana Gigante” un pennuto derivato da un incrocio tra una “Cocincina” e un pollo locale (non si sa di che razza fosse o di quale incrocio).

Con il nome di “Padovana Comune” lo Squadroni, nel 1937, chiamò l’incrocio tra la razza “Livornese” e un esemplare locale. Anche in questo caso non si conosce an-cor oggi cosa intendesse per pollo locale. In mancanza di precisazioni, dobbiamo constatare che volgarmente ancora oggi viene chiamata “Gallina Padovana” quella gallina quasi sempre meticcia adatta al “Gran Bollito alla Pado-vana”. Non a caso la “mascotte” della squadra di calcio del Padova è una gallina dalle penne e piume bianche con cresta e bargigli rossi. In pratica una gallina con caratte-ristiche decisamente diverse da quelle della “Gallina Pa-dovana dal Gran Ciuffo”, ma molto simili piuttosto alla “Livornese” bianca o alla “Barese”.

Si capisce dunque quanta sia tuttora la confusione fra i non esperti e anche fra coloro che operano nel settore gastronomico e nel commercio al minuto, nell’attribuire il nome di “Padovana” ad una razza ben precisa. Errori, o meglio leggerezze, in passato sono state poi compiute anche per puro spirito di campanilismo, confondendo la razza della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” con un’al-tra razza ciuffata in via di estinzione, ovvero la “Gallina di Polverara”. Ci si misero anche di mezzo nomi importanti di allevatori o conservatori di razze avicole nel confondere i nomi in virtù anche della superficiale lettura di scritti re-lativi ad un passato più o meno recente. Tutta questa con-fusione nacque in realtà anche da una esigenza pratica av-vertita nel secolo scorso. L’avicoltura era praticata da gen-te del mondo agricolo che spesso accettava passivamente

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le indicazioni degli ispettori agrari che indirizzavano le massaie-contadine a far covare uova di soggetti di volta in volta di diverse razze più o meno adatte a valorizzare o la produzione di carne o di uova. I giovani galletti venivano scartati e cucinati “in tocio con la polenta”, mentre le pol-lastre venivano avviate a diventare galline. Tutto questo avveniva fino a qualche decina d’anni or sono.

Per facilitare il lettore meno esperto, riporto una bre-ve cronistoria, anche se incompleta, delle origini dei polli ciuffati, progenitori sia della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”, sia della “Polverara”, che andrò successivamen-te a descrivere sommariamente. Si sa per certo che i Ro-mani allevavano, fin dall’antichità, dei polli con ciuffo. Nel Sommerset (Inghilterra) è stato ritrovato un teschio di pollo ciuffato in quanto presenta un’espansione dell’osso frontale, chiaro indizio di un’ernia frontale che di solito è associata alla presenza di un ciuffo di penne. Questo re-perto è stato fatto risalire all’anno 350 d.C. Ancor prima, nel secondo secolo d.C., Claudio Eliano descrive i polli ciuffati nel suo trattato sugli animali. Ai Musei Vaticani esiste una scultura di epoca romana di polli ciuffati. Hans L. Schippers asserisce che nel XI e XII secolo in Siberia fosse presente la razza ciuffata denominata appunto Sibe-riana, che differisce dalla razza “Padovana dal Gran Ciuf-fo” dai tarsi piumati.

La tradizione orale e i fraintendimenti riportati da autori poco preparati hanno fatto sbizzarrire la mente e la

fantasia della gente comune che ha ampliato e divulgato credenze errate. Queste stesse leggende sono state poi ri-portate anche in tesi di laurea e da enciclopedie autorevo-li che le hanno divulgate come vere. L’errore di diversi studiosi e storici spesso è stato anche quello di non fissa-re date certificate di certi avvenimenti, collegandole alla situazione politica della zona interessata. Quando oggi si parla di una regione europea, il lettore preparato non deve pensare ai suoi confini attuali, bensì a quelli dell’epoca in questione. Per intendersi quando si accenna alla Polonia, in particolare, bisogna controllare l’atlante storico del pe-riodo in esame.

Ulisse Aldrovandi (1522 – 1605) filosofo e natura-lista, professore dello Studio di Bologna, scrisse diversi trattati scientifici tra essi la “Historia Animalium” in 13 volumi. Nel XIV volume, al capitolo IV dell’ “Ornitholo-giae”, servendosi dei disegni del Bellagamba, così riporta:

“Tra i nostri gallinacei più grandi ne esistono alcuni che il popolo chiama Padovani, ma si tratta comunque di galline nostrane… Il gallo è bellissimo orlato di ben cin-que colori, decisamente nero, bianco, verde, rosso, giallo. In tutto il corpo prevale il nero. La testa è coperta di penne bianchissime mentre le ali ed il tronco sono in parte nere con riflessi verdi. Anche la coda ha gli stessi colori, ma la base delle penne è di colore biancastro. Alcune remiganti sono bianche nella parte superiore. La testa è ornata di un bellissimo ciuffo con piume bianche alla base”.

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Gallina ciuff ata dell’Aldrovandi secondo un disegno del Bellagamba

Una macchia rossa circonda gli occhi. La cresta è pic-cola, il becco e le zampe sono gialli. La gallina, a parte l’e-vidente membrana bianca vicino ai fori auricolari, non ha niente di bianco, ma tutto il piumaggio è nero iridescente. Le zampe sono giallastre, la cresta pure è piccola di colore rosso pallido”. Nel ‘700 G.L.L. Buffon nella “Storia Na-turale”, parlando del pollo di Caux (Bretagna) lo descrive così: “pollo nero a lento impiumamento, chiamato anche Padovano”.

Nel 1830 il Ferrario scrive di una razza Padovana a lento impiumamento di grossa taglia poco prolifi ca. Per quanto riguarda la razza “Polverara” Ermolao Barbaro (1454 – 1493) patriarca di Aquileia, cita galline chiama-te Padovane-Polverara dal nome del borgo padovano. Nel 1560 Bernardino Scardeone nella sua Historia de urbis Patavii antiquitate scrive “Il territorio (Piove di Sacco) è ricchissimo di frumento e di lino. E’ oltremodo famoso per l’abbondanza di galline di straordinaria grandezza: in particolare nella zona di Polverara vicina alla stessa città”.

Nel 1622 Alessandro Tassoni ne “La Secchia rapita” scrive: “e quei di Polverara dov’è il regno dei galli e la se-menta famosa in ogni parte…” Angelo Portenari in “Del-la Felicità di Padova” scrive “Nascono galli e galline di tale grandezza che paiono grue…”. Carlo Dottori nel 1652 nell’ ”Asino” parla: ”Di più di dieci capponi di Polverara che parean oche, trentasette ricotte…”.

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Pulcini subito dopo la schiusa delle uova

Pulcini a un mese di vita

Gallo “argentato”

Gallina “bianca”Gallina “bianca”

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Galli “bianchi”

Gallina e Gallo “camosciati” Scultura di pollo ciuff ato di epoca romana conservata in Vaticano

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Il Salomonio, nel 1696, in “Iscriptiones Agri Patavi-ni” scrive parlando di Polverara: “Famosa per la razza dei galli e delle galline di smisurata grandezza che in tutto il mondo si nominano e si pregiano”. Nel corso degli anni molti degli autori citati, famosi ma poco preparati nella materia, hanno voluto attribuire il nome di “Padovana” e di “Polverara” a soggetti che erano solamente nati e svi-luppati in quei luoghi da loro citati, dal momento che non hanno mai descritto le caratteristiche delle razze nomina-te. La forza della natura, comunque, ce le ha tramandate pure, anche se ci sono giunte da luoghi che non sono quel-li dei toponimi di attribuzione. Solamente dopo il 1900, con l’evolversi delle scienze naturali, le razze ciuffate e quindi anche la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” e la “Gallina di Polverara” verranno descritte dagli storici che ne indicheranno i caratteri fondamentali per differenziarle inconfondibilmente.

Gallina “dorata” con piume orlate di nero

Nello Standard di razza redatto dalla FIAV nel 1996, la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” è denominata sem-plicemente col nome di “Padovana”. La tradizione e fonti a volte poco attendibili parlano di origini polacche della razza, all’estero è diffusamente indicata con il nome di Pa-duan fowls, in Francia è chiamata Race de Padoue, mentre in Germania la chiamano Paduaner. Nei paesi anglosasso-ni è indicata col nome di Polish, ovvero Polacca, come del resto viene chiamata in Polonia. In effetti come vedremo nelle vene della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” scor-re poco sangue padovano. Come i padovani sono riusciti a far diventare padovano Sant’Antonio, pur essendo porto-ghese, così si sono impossessati della paternità della razza polacca.

Con la relazione presentata al Primo Congresso Inter-nazionale di Avicoltura di Hague Scheveningen dal 5 al 9 settembre 1921, l’ispettore polacco, Joseph Victorini, della società Farmer di Lwow ( Polonia, oggi Leopoli in Ucrai-na ), voleva far cambiare in letteratura la denominazione di “Padovana” in quella di “Polacca”. Senza saperlo con quella prolusione fornì utili notizie a far conoscere la sto-ria del pennuto, che ancora ai giorni nostri appare alquan-to nebulosa. Riporto di seguito alcuni stralci signifi cativi della relazione del Victorini che possono far chiarezza sul pensiero del tempo sulle varie razze ciuffate:

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…“Oggi ci sono sette razze pure di galline dal ciuffo suddivise in due gruppi: 1) galline con ciuffi piccoli: Breda e La Fleche. 2) galline con ciuffi grandi: Polacche. Olandesi nere con ciuffi bianchi, Houdan, dal cuore “creve” e Turche”….

…”Prendendo in considerazione la storia delle Galline dal ciuffo Polacche si può affermare che in Polonia le galline venissero allevate da secoli. Già nel XIV secolo nello statuto del re Casimiro III detto il Grande, ma anche re contadino, che regnò dal 1333 al 1370, c’erano paragrafi che riguardavano il pollame. Che si tenessero generalmente galline, e in grande quantità, è provato nell’inventario di parecchi villaggi polacchi, scritto nel 1399, ( anche dopo la sua morte). Esso recita come segue: “Ciascun contadino paga il suo affitto con 30 uova e due galline”…

…”Duringer considera i progenitori degli attuali volatili dal ciuffo, galline con zampe piumate il cui paese di origine si suppone sia la Siberia, stabilendo che, come risultato di un acclimatamento, quei volatili avessero barbe piumate e ciuffi sul capo per difendersi dal freddo e stabilendo anche che parecchie galline dal ciuffo erano già conosciute nel XVII secolo in Olanda e Italia (Repubblica di Venezia ndr) e che nel XVIII secolo Pallas aveva descritto avendole incontrate in Russia”…

…”Duringer aggiunse che costantemente le galline dal ciuffo vennero importate in Germania dalla Polonia come doni dei principi della Russia. Come esempio l’autore cita un dono dello Zar di Russia a Federico Guglielmo III di galline polacche che furono piazzate sull’isola del Pavone vicino a Potsdam. Da allora si data il loro nome “Polacche”.

…”Propriamente, al Convegno della Società per l’Acclimatamento nel 1885 M.me Passy ha letto un lavoro nel quale lei ha provato che la presenza delle galline dal ciuffo in Francia si data sin dall’arrivo del re polacco Stanislao Lecquincsky in Lotharingia nel 1720, che dopo aver perso la corona polacca fu posto a governare questo ducato da suo genero, il re francese Luigi XV. Evidentemente le galline dal ciuffo vennero considerate degli uccelli pregiati perché persino i re viaggiavano con essi, considerandoli uccelli belli e rari. Quei volatili piacevano moltissimo all’allora viscontessa di Pompadour, che li chiamò anche con il nome di “Pompadour”, che più tardi venne accorciato in “Padour” e alla fine fu ridotto e usato come “Padoue” .”…

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Ecco spiegato, secondo lo studioso polacco Joseph Victorini, il motivo per il quale le galline dal ciuffo ve-nissero allora erroneamente chiamate “Padovane”, invece che “Polacche”. Secondo lui la causa fu puramente una de-vianza fonetica e non una motivazione storica. Tutto que-sto a riprova che spesso la manìa del campanilismo può far storpiare anche la verità.

Secondo gli ultimi studi e rinvenimenti da me effet-tuati, ritengo che la questione sia ben diversa. Sicuramente le origini delle ciuffate sono siberiane proprio per il fatto che nel corso della evoluzione genetica dal loro capo sono scomparsi la cresta e i bargigli a causa del freddo. In data da appurare, forse nel XIV secolo, la razza dal gran ciuffo fu esportata nella Repubblica di Venezia, in Germania e in Francia, non per motivi ornamentali quanto per la so-pravvivenza dei polacchi durante i lunghi viaggi di trasfe-rimento. Essendo il pennuto un animale destinato alla forte produzione di uova, veniva ad essere un valido compagno di viaggio per chi voleva raggiungere le Università di Pa-dova e di Parigi nei secoli XIV e XV. Un uovo al giorno poteva aiutare a completare l’alimentazione del viaggia-tore. Una mia ipotesi, alquanto azzardata, mi fa supporre che, successivamente, durante il XVI - XVII secolo, può essere accaduto che la razza pura polacca andò perduta o, se vogliamo, si estinse in Polonia per incuria o mancan-za di interesse, mentre sopravvisse a Padova prendendo il nome di Padovana. Quando la Padovana ritornò in Polonia a causa della numerosa presenza di cittadini della Serenis-

sima che nel XVI secolo, vi giunsero come maestranze al seguito di artisti e architetti, i polacchi non la riconobbero come loro antica razza e la chiamarono “Padovana” perché proveniva da Padova.

Galli

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La “GALLINA DI POLVERARA” possiede solo due livree: Bianca e Nera, tanto nel maschio che nella femmina, anche se nel 1893 erano pure note la Screziata, la Tortora, la Fulva, la Camoscio e l’Argentata. La cresta è costituita da due piccoli cornetti a forma di V. I bargigli sono rudimentali, piccoli e rossi. Gli orecchioni sono di media grandezza, ovali, bianco candido. Possiede un ciuffo relativamente piccolo, portato diritto senza coprire gli occhi con assenza di ernia cerebrale. Barba e favoriti sono accennati e non troppo sviluppati. Gli occhi hanno l’iride rossa. Il becco è forte e leggermente ricurvo, bianco grigiastro nella varietà bianca, nero bluastro in quella nera. I tarsi sono di color verde ardesia. Il peso oscilla nel gallo tra i 2,5 e i 3 Kg., nella gallina tra 1,8-2 Kg.. Sono meno ovaiole delle “Padovane”, ma più adatte al “Gran Bollito alla Padovana”. La pelle è bianca, le carni sono morate. La buccia delle uova biancastra oltre i 40 grammi di peso.

L’ allevatore Fernando Trivellato con esemplari di “Polverara”

L’ allevatore Bruno Rossetto con esemplari di “Polverara”

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Ibrido di Gallina Padovana con Gallina dal Collo nudo Ibridi di polli di Gallina Polverara

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LA PRO AVIBUS NOSTRIS

Durante i successivi dieci anni dallo storico incon-tro con il Santo Padre Giovanni Paolo II, la nostra

“Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” ebbe grande notorietà a livello nazionale attraverso i media. Non tanto come ani-male decorativo, data la sua natura, quanto perché si costi-tuì nel 1997 una associazione di allevatori commerciali, la “Pro Avibus Nostris”, che con lo scopo della salvaguardia e del miglioramento della razza, sviluppò in modo profes-sionale l’idea di allevare qualche migliaio di soggetti. Ven-nero reperiti in tutta Italia dei nuovi riproduttori, si stabilì un protocollo di allevamento e una volta portati i soggetti all’età adulta, si selezionarono i soggetti da far accoppiare per il miglioramento della razza. Sorse di conseguenza il problema di cosa fare dei soggetti meno pregiati. Nacque così, fra gli allevatori, l’idea di incontrare i responsabili dell’Associazione dei Ristorantori Padovani col proposito di cedere loro gli animali per la preparazione di piatti a base di pollo e di autentica gallina padovana, secondo la antica tradizione gastronomica della città. Solo che molti di questi addetti alla ristorazione locale non avevano mai visto una gallina ciuffata e mai avevano studiato la sua resa in carne, mentre gli allevatori erano interessati fortemente al possibile business perché non sapevano come piazzare sul mercato tutti quei soggetti in esubero. Gli uni e gli altri non si erano informati anticipatamente sulle caratteristiche del pennuto ciuffato. Quella sarebbe stata, forse, la prima

volta che la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” finiva con l’essere cucinata in massa. In molte occasioni ebbi modo di sollecitarli a riflettere prima di prendere certe iniziati-ve, ma costoro non capirono che l’arte culinaria è prima di tutto cultura. Avvenne così che la nostra gallina ciuffata finì in pentola. Il problema venne però affrontato più tardi da un giovane laureando, Ermanno Lunardi, che nella tesi sostenuta nell’anno accademico 2000-2001 dal titolo “La Gallina Padovana dal Gran Ciuffo: Conservazione e Carat-terizzazione della Razza”, ne sollevò la questione. Riporto quanto da lui scritto a pagina 47 della sua tesi.

“ll problema principale di questo nuovo progetto era l’impatto con il mercato. Come convincere il potenziale consumatore ad accettare in tavola una razza come la Gallina Padovana dal Gran Ciuffo che da sempre era stata conosciuta esclusivamente come razza ornamentale?Inoltre era improponibile cercare di scendere in competizione con i moderni ibridi specializzati nella produzione di carne, bisognava concorrere non tanto sul livello quantitativo, bensì su quello della qualità del prodotto offerto al consumatore, di qui la decisione di puntare sul consumo di nicchia, offrendo un prodotto di qualità, bisognava quindi valorizzare la razza”.

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Biancarosa e Giorgio Borin del ristorante “La Montanella” di Arquà Petrarca

La Gallina Padovana dal Gran Ciuffo appartiene alle galline ovaiole e come tale non è un animale da carne. Il suo peso diffi cilmente supera il chilo e mezzo. Il pollo an-cora meno. Per secoli gli allevatori della campagna pado-vana, come abbiamo visto precedentemente, si sono sfor-zati di produrre la Gallina Padovana da brodo, inventando i più svariati incroci. Addirittura cercarono di valorizzare la antica razza Polverara che, per le sue ottime carni, pre-se anche il nome di “Gallina Padovana di Polverara”. Il mettere in pentola la gallina ciuffata, a mio avviso, fu un grave errore dal punto di vista culinario e storico. Ma a detta degli allevatori lo scopo iniziale era quello di miglio-rare e salvaguardare la razza incrementando il numero dei soggetti, selezionandoli e, alla fi ne, eliminare i capi esu-beranti. Altro errore fu quello di riesumare tutte le vecchie ricette riguardanti la vecchia Gallina Padovana, compresa la Polverara, ed adattarle alla “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”. Questa mia contrarietà all’operazione in questio-ne provocò anche qualche inimicizia con gli addetti ai la-vori, tanto da indurmi a rimanere alla larga dagli allevatori e in silenzio sulla stampa per molti anni, anche dopo che la nostra Gallina Padovana fu presentata nel 2000 al Salone del Gusto di Torino e divenne presidio Slow Food. Non venni invitato a molte serate didattiche per timore che la mia parola molto schietta e libera avrebbe potuto danneg-giare l’iniziativa in atto. Poiché non tutti i ristoratori nel servire i piatti di “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” si rivolgevano per gli acquisti agli allevatori della Pro avi-

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bus nostris, unica depositaria del marchio, Giorgio Borin, titolare del ristorante “La Montanella” di Arquà Petrarca, propose di assegnare quattro cialde commestibili, raffi gu-ranti il logo dell’associazione, per ogni gallina venduta, in modo da applicarne una su ogni piatto di portata, quan-do sarebbe stata servita una porzione di autemtica gallina ciuffata. In tal modo il cliente avrebbe avuto la garanzia della tracciabilità del prodotto servito.

Dopo qualche anno, nel 2004, venne fondata anche la Confraternita della Gallina Padovana per opera di Piero De Franceschi, che ha lo scopo di valorizzare l’aspetto culturale e gastronomico degli animali padovani da corti-le. Lui stesso ingaggiò una vera e propria diatriba con un ristoratore che in una serata dedicata alla “Gallina Pado-vana dal Gran Ciuffo” ebbe il coraggio di servire in tavo-

Cialda della Pro Avibus Nostris

la ai propri clienti pollame non acquistato alla Pro avibus nostris. Non potè così applicare la cialda di tracciabilità sul piatto e di conseguenza venne scoperto l’intruglio. Il trascorrere del tempo e queste iniziative non proprio esem-plari servìrono a far capire a più di qualche ristoratore che bisognava saperne di più o quanto meno che per preparare il “Gran Bollito” bisognava ricorrere a soggetti da carne. Contemporaneamente nacque l’idea di salvaguardare an-che la razza della “Gallina di Polverara”, che un tempo era la più adatta ad essere cucinata lessata. L’idea era ottima, ma non esistevano capi puri a suffi cienza per sviluppare una campagna di ripopolamento. Antonio Fernando Tri-vellato di Polverara e Bruno Rossetto di Mortise (Padova) furono e sono gli ultimi conservatori dei vecchi ceppi del-la razza, ma anche loro non potevano disporre di un nume-ro suffi ciente di capi per realizzare l’impresa. Degli attenti allevatori, quasi amatoriali, a quel punto riuscirono fi nal-mente a realizzare un numero discreto di polli, ovviamente degli ibridi, frutto di vari incroci che in qualche modo, almeno esteticamente, si avvicinassero alla razza pura. La riuscita culinaria di questa nuova strategia, a mio avvi-so, si sarebbe rivelata migliore rispetto alla scelta operata con la “Gallina dal Gran Ciuffo”. Solo che la propaganda circoscritta alla “Polverara” era limitata al piccolo territo-rio di produzione. Altra cosa era proporre la più nota Gal-lina Padovana.

Ben presto le acque si calmarono e la novità culinaria cadde nell’oblio anche per l’alto prezzo dell’animale ma-

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cellato. La “PromoPadova”, che aveva appoggiato il vec-chio progetto, pensò bene di occuparsi di allevare ibridi di altre razze per individuare un nuovo ceppo da lanciare sul mercato quale pennuto della tradizione padovana da impiegare in cucina. Era giunto, a quel punto, per me il momento di uscire allo scoperto.

Fascia di riconoscimento della Pro Avibus Nostris per polli di “Padovana”Fascia di riconoscimento della Pro Avibus Nostris

Cominciai in sordina a studiare più attentamente la storia della “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo”. Cercai di analizzare ogni particolare riportato dalle varie pubbli-cazioni, ragionando per assurdo e mettendo in dubbio ogni affermazione priva di un riscontro storico. Mi posi subito la domanda se poteva essere veritiera la credenza popolare riportata da vari autori che la “Gallina Padovana dal Gran Ciuffo” ci fosse giunta dalla Polonia, portata dal marche-se Giovanni Dondi dall’Orologio intorno al XIV secolo. In queste affermazioni, riportate anche sulla pergamena consegnata al Papa nel 1996, stava gran parte della storia dell’ultimo millennio del volatile. Per rispondere ai quesi-ti, date le mie scarse doti di storico, non trovando risposte adeguate, decisi di mettermi in viaggio per la Polonia in cerca almeno della Gallina Padovana. Fino ad allora nes-suno a Padova aveva saputo dirmi se la razza del pennuto era ancora presente in Polonia. Oltre a questa storia mi in-teressava anche riuscire a conoscere le origini della Galli-na di Polverara, che a causa del ciuffetto non doveva avere origini nostrane. Era anche essa originaria della Polonia? Molti studiosi per anni avevano sostenuto addirittura che la Padovana era derivata dalla Polverara e viceversa. Biso-gnava che mi mettessi all’opera per saperne di più. Decisi di mettermi in viaggio.

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PRIMO VIAGGIO IN POLONIA

Un mio vecchio amico di studi universitari, Franco Marin, era venuto a conoscenza che a Lublin, città

del Nord-Est della Polonia, si trovava, ed era in procinto di ritornare in l’Italia, una signora di nome Teresa. Doveva ri-prendere il lavoro a Montalcino dove svolgeva la mansio-ne di badante di una anziana signora. Decidemmo di rag-giungerla in macchina con il preciso scopo che ci avrebbe fatto da interprete perché nessuno di noi due sapeva una parola di polacco. La dislocazione geografi ca di Lublin andava abbastanza bene per la mia ricerca perché vicina al confi ne con l’Ucraina, quindi più vicina alla Russia. Se la gallina polacca aveva avuto i suoi antenati in Siberia e il freddo era stato la causa della atrofi zzazione della cresta e dei bargigli, in quella regione era sicuramente più facile rintracciare i pennuti ciuffati.

Superata l’Austria e la Repubblica Ceca, giungemmo dopo una giornata di viaggio il confi ne polacco sul far del-la sera. Il paesaggio che scorreva davanti ai miei occhi, lungo le terre natali di papa Wojtila, assomigliava a quello delle nostre colline della pedemontana veneta. Non abitua-to agli usi e ai costumi locali mi impressionò subito vede-re lungo la strada un susseguirsi di carri agricoli tirati da cavalli, simili a quelli che acquistava mio nonno paterno per l’impresa di trasporto di famiglia. Mi fece impressione constatare la forza dei cavalli nel superare a pieno carico Paesaggi della campagna del Sud-Ovest della Polonia nelle vicinanze di WadowicePaesaggi della campagna del Sud-Ovest della Polonia nelle vicinanze di Wadowice

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Cartello stradale indicante l’ obbligo di moderare la velocità nell’ingresso in un centro abitato

Animali nella campagna del Sud-Est della Polonia nellevicinanze di Wadowice Animali nella campagna del Sud-Est della Polonia nelle Capitello votivo delimitante una proprietà

Animali nella campagna del Sud-Est della Polonia nelle vicinanze di Wadowice

Capitello votivo delimitante una proprietà

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Nido di “bocian” (cicogna), uccello simbolo della PoloniaNido di “bocian” (cicogna), uccello simbolo della Polonia

Casone con tetto in pagliaCasone con tetto in paglia

Bisonte ( altro animale tipico della Polonia )

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Interno della chiesa

Esterno di una chiesa in legno Esterno di una chiesa in legno

Interno della chiesa

le salite della strada. Altra cosa che mi colpì fu la ferrovia senza palizzate di protezione e i passaggi a livello incu-stoditi. E così pure il gran numero di pale eoliche per la produzione di energia elettrica e un continuo succedersi di capitelli votivi che delimitavano le singole proprietà. Dopo pochi chilometri in territorio polacco mi accorsi che i centri abitati sono segnalati da tabelle riproducenti il pro-fi lo stilizzato di un paese con case e chiesa stampigliate in nero su fondo bianco, senza che fosse segnata l’indica-zione della velocità massima da tenere. Altra caratteristica della Polonia che balza subito all’occhio del visitatore è la presenza delle cicogne che nidifi cano sui camini o sui pali del telegrafo. Meravigliose sono le chiese in legno e le vecchie case con la copertura in paglia come i casoni del Piovese in provincia di Padova. Oltrepassata Cracovia per evitarne il traffi co serale, io e il mio compagno di viaggio decidemmo di pernottare in un paesino in modo da giun-gere a Lublin nella mattinata del 13 ottobre 2006, quasi nel decimo anniversario della visita in Vaticano fatta a Sua Santità Giovanni Paolo II. L’ansia di ritrovare la gallina padovana-polacca era enorme. Non vedevo l’ora di anda-re al mercato per rendermi conto della situazione. Armato di un paio di fotografi e dei volatili, all’indomani mattina, assieme alla signora Teresa e all’amico Franco, mi recai in un grande mercato all’aperto dove erano esposti in bella mostra una grande quantità di ortaggi, frutta, fi ori, lumini, lanterne e candele in quanto eravamo prossimi alla ricor-renza dei Defunti.

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Lumini e lanterne votive in vendita in un mercato ambulante

La signora Teresa si informa con una venditrice di uova e polli dove poter trovare le “Galline Padovane”

Cappella del castello di Lublin

Con l’amico Franco Marin e con “Koziolek” , la mascotte di Lu-blin

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LUBLIN - Vista dall’alto

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LUBLIN - Il Castello di Zamek

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La porta Municipale La porta Cracoviana

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Castello di Janowiec

Più in là, in altri banchi, erano in vendita dolciumi, frutta, carni e uova. In un angolo, erano sedute su delle seggioline delle contadine con i loro cesti che mettevano in vendita qualche gallina spennata e curata delle interiora. Proprio come un tempo accadeva a Padova in Piazza dei Frutti sotto i portici del Salone. Quando mostrai le foto delle “Galline Padovane dal Gran Ciuffo”, le “pollastrare” locali esclamarono subito: “Zamosc, Zamosc…”.

La parola Zamosc non mi diceva nulla, anche per-ché non ne capivo il signifi cato. Forse quelle donne non avevano mai visto quelle belle “Galline dal Gran Ciuffo”. Fortunatamente per me non era così. Capii ben presto che per trovarle avrei dovuto andare a Zamosc, una cittadina a sud di Lublin poco distante dal confi ne ucraino. Non re-stava che avere pazienza. Sulla via del ritorno saremmo passati per Zamosc. E così fu. Prima però volli conoscere almeno di sfuggita la città. Lublin è una bella e antica città adagiata su un altipiano. Si accede alla Città Vecchia, Rynek, attraverso la Porta Cracoviana, una poderosa torre eretta insieme alle mura del XIV secolo. In cima all’altura primeggia il castello, Zamek, eretto dal re Casimiro III, at-tuale museo, con ai piedi la piazza del mercato che in ger-go è chiamato Bazar. Dalla parte della città antica, sopra la Porta Cracoviana che chiude la città, primeggia un af-fresco raffi gurante San Antonio del XVII secolo, d’autore non precisato. L’altra porta della città è detta Municipale (Brama Grodzka).

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Monumento all’ingresso del campo di concentramento di Majdanek

Ingresso del campo di concentramento di Majdanek

Immagini del campo di concentramento di MajdanekImmagini del campo di concentramento di Majdanek

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Nel 1919 a Lublin fu fondata l’Università Cattolica dove fu professore anche Karol Wojtyla, mentre nel 1944 sorse la seconda Università dedicata a Maria Sklodowska Curie, premio Nobel nel 1903 per aver scoperto gli ele-menti radioattivi del Polonio e Radio. Nella città nuova una piccola fontana ricorda la mascotte di Lublin, Kozio-lek, raffigurata da uno stambecco.

Lungo la via del ritorno verso Zamosc, alla periferia di Lublin, incontrammo le segnalazioni del campo di con-centramento nazista di Majdanek dove, dal 1942 al 1944, furono annientate 360.000 persone di 26 Paesi. Un colos-sale monumento in pietra ricorda il triste evento. Ci asso-ciammo ad una comitiva di ragazzi ebrei che portavano la bandiera di David e dei fiori. Il calpestare con i piedi la cenere nera frutto di tanta barbarie non potè non farci com-muovere e a spingerci a elevare una preghiera. La ricer-ca della “Gallina” mi aveva condotto involontariamente a visitare un sacrario la cui copia in passato l’avevo vista solo a Dacau, in Germania, da ragazzo, durante una visita scolastica.

A Sud di Lublin, andando verso il confine Ucraino, dopo 110 chilometri, si raggiunse Zamosc. La cittadina mi parve subito avere un aspetto famigliare. A cominciare dal-le mura di cinta e dalle sue due porte. Sembrava di essere a Padova lungo i bastioni dell’ospedale. Entrati in città ci rivolgemmo subito all’ufficio turistico dove ci spiegarono che la familiarità di nomi come Piazza Mercato, Ristorante

Padova, Piazza del Sale e la presenza dei portici erano do-vuti al fatto che ci trovavamo nella cosiddetta “Padova del Nord” perché fondata da Giovanni Zamoyski su progetto e realizzazione dell’architetto padovano Bernardo Morando dal 1580 al 1600.

Alla notizia caddi dalle nuvole ed ammisi la mia igno-ranza sull’argomento. Solamente a Padova avrei potuto approfondire quanto mi era stato riferito. Restava però da chiarire dove si trovavano le Galline Padovane. Ci indica-rono il nome di un santuario dedicato alla Madonna in lo-calità Krasnobrod, distante altri 30 chilometri da Zamosc, dove un sacerdote teneva anche altri animali. Contattato telefonicamente, ci confermò di possedere i pennuti. Con la bella notizia ritornammo a Padova sicuri di avere mate-riale di studio in abbondanza.

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ZAMOSC - Porta di Lublin

ZAMOSC - Vista dall’alto