A Cura Di Ovidio Bompressi,

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Autori vari Fili blu Lettere dal carcere a cura di Ovidio Bompressi e Athe Gracci prefazione di Dacia Maraini Edizioni

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Autori vari

Fili bluLettere dal carcere

a cura di Ovidio Bompressi e Athe Gracciprefazione di Dacia Maraini

Edizioni

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"Il Grappolo"

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Copyright© 1998by

Edizioni ''Il Grappolo''Parco S.Anna -Tel.089-894457

84080 S.Eustachio di Mercato S.Severino (SA)

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Prefazione

Athe Gracci sembra uscita, con la sua bella testapensosa che suggerisce gentilezza e tormento, da unromanzo di Henry James. Una signora della nuovaInghilterra che dedica la sua vita ai derelitti e lo facon grazia e intelligenza, con determinazione etenacia, pronta a rischiare le ire delle guardie, leriprovazioni dei benpensanti.

Coloro che le scrivono dai carceri, sembranoconoscere bene queste qualità perché la vivono comeuna madre che oltre ad essere affettuosa ecaritatevole, è posseduta da una indomita energia.Non è una voce, la sua, che si possa mettere a taceretanto facilmente quando invoca i suoi diritti.Per questo si è guadagnata la fiducia e il rispetto deitanti carcerati che le scrivono giorno per giornoraccontandole di sé, dei loro dolori, delle lororistrettezze.

Per questa sua paziente generositàringraziamo Athe Gracci e le auguriamo lunga vita!

Dacia Maraini

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Premessa

Quando mi capita di aprire per la prima voltaun libro, subito immagino la ricchezza di ciò cheandrò a leggere. Leggere è come un istante di libertàche implica interesse per l’animo degli uomini. Eccoperché questo libro.Una raccolta di lettere inviatemi in anni recenti dadonne e uomini detenuti, coi quali, come assistentevolontaria nel carcere Don Bosco di Pisa, ho potutostabilire un rapporto di mutua fiducia e affettuosaamicizia.Un libro che certamente non farà male a nessuno. Unlibro da far leggere ai giovani: anche a quelli dellescuole.

Un libro che è un sogno perché racchiudepensieri di chi può solo sognare. Sognare un fiore.Un ramo verde. Il miagolio di un gatto. Si apre laprima pagina: no, non è un romanzo. Non racconti distorie vaghe. Storie, invece, che vengono scritte comesgravandosi di un peso, dopo colloqui di profonderiflessioni e malinconie, di sguardi intensi, spessobruscamente interrotti per mancanza di tempo.Il mio animo soffre dinanzi a persone che non hannoche poche speranze. Cerco di rimediare come posso aquesta situazione. Tento di rifugiarmi nella loro veritàsolitaria. Anche se io non ho verità. Non trovo in meche un’amarezza infinita. Leggo in queste persone lagrande, indefinita esitazione che nasconde il bisogno

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d’amore. Ed io cerco di convincerle che ogni essere èimportante, è indispensabile all’universo; e per farnascere questa straordinaria condizione di serenità, làdove tutto si adopera a confondere l’uomo e aprecipitarlo nell’angoscia, è necessario cercare efrugare nei più intimi segreti del loro cuore.

Coloro che nel vuoto della cella riescono apensare alla famiglia, al primo amore, che nellasolitudine dell’ozio forzato sognano quel bene unicoche è la libertà quando le porte del carcere siriapriranno, provano con questi messaggi di pocherighe, a farsi forza nell’animo, a superare lo spietatolaconismo di chi si sente abbandonato.Ho così parlato, nel corso di questi anni, con moltepersone chiuse dentro le mura di un carcere. Incontrie colloqui tessuti del valore inestimabile di ciò di cuisono privati: gli affetti familiari, l’amore di un uomo,di una donna, tutto il bene prezioso della vita.Sentimenti che sono tutt’uno con l’anelito per lalibertà e per la giustizia.

Chi soffre profondamente acquista unamaturità diversa, una forte consapevolezza. I caripensieri rimuginati "tra le mura" finiscono colricondurre a quei valori di umanità e di dignità che ènecessario difendere e riaffermare anche a costo digravi disagi, accettando situazioni incerte e dolorose.Devo molta gratitudine a queste persone che hoconosciuto in carcere. Perché nei nostri colloqui e poinel rapporto epistolare, attraverso le loro parole, i lorosilenzi mi hanno fatto capire che, quanto più si è

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isolati ed indifesi, quanto più le prove sono dure,tanto più la vita deve continuare, e infondere speranzaa sé e agli altri.

Da ultimo, un saluto a chi leggerà, un salutoche rivolgo perché sia attiva e forte sempre, la volontàdi migliorarsi. Un saluto affettuoso ad AlessandraTruscello, giovane educatrice profondamente convintadel suo ruolo, ed un saluto a tutti coloro che operanocon coscienza, aiutando amorevolmente chi vuolcostruirsi una nuova vita.

Athe Gracci

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Parma, 6 giugno 1993

Ciao dolcissima,come già saprai non avrò più l’onore di ricamare conte. Ne sono molto dispiaciuta, perché le due ore chepassavamo assieme ricamando e parlando mifacevano bene, e in quei momenti mi dimenticavo diessere chiusa in una gabbia di ferro e cemento. Ora hocambiato gabbia e sono molto triste, mi manchi, mimancano le mie compagne: qui mi sento sola,abbandonata, ed esausta di queste giornate tutte ugualie vuote.Non credevo che un giorno mi avrebbero trasferita.Nei lunghi venti mesi passati al Don Bosco ho semprecercato di comportarmi nel migliore dei modi, etantissime volte ho ingoiato dei bocconi amaririuscendo comunque a mantenere la calma. Ma, comevedi, tutta la mia buona volontà non è servita a nulla:mi hanno mandata in questo carcere lontano da casa,dove potrò vedere i miei figli sì e no una volta almese. Ho preso io la decisione di non farli venire piùspesso perché la strada è lunga, brutta, con moltegallerie, e ogni volta starei fissa col pensiero che glipossa accadere qualcosa.Mia cara, sono molto amareggiata. Ma nonpreoccuparti per me; avrai di certo capito che sonouna donna molto forte, perciò saprò abituarmi prestoa questa nuova situazione.Se puoi scrivimi, così mi sentirò meno sola. Iocercherò di mandarti tutte le cose che avevo scritto sul

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quadernone, che a te piacevano tanto. Vorrei chequesta mia ti arrivasse prima possibile ma non ho ibolli sufficienti per l’espresso, i soliti problemieconomici...Quando vai al Don Bosco, ricordati di dare un bacioda parte mia a Monica, Maria Grazia, Valeria, Liliana.A te lo mando col vento, ma se fossi lì te ne darei altricento. Ciao,

Gemma

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Parma, 18 giugno 1993

Carissima Athe,ti sto seguendo passo passo. Ieri sera alle nove mihanno consegnato la tua lettera, sapessi comel’aspettavo con ansia. Le tue parole dolcissime! Seidavvero una donna molto intelligente e sensibile. Ionon ho potuto studiare e mi sento in difficoltà ascriverti. Ti ho mai detto della mia infanzia? Mi sonocresciuta praticamente da sola, e per le strade. Hoavuto un’infanzia burrascosa e da adulta non è andatameglio. L’unica cosa bella che ho avuto dalla vitasono i miei figli, poi la nascita della mia nipotina, cheadoro. In loro ho riversato tutto il mio amore. Ero lamamma e la nonna più felice della terra. Ma una bellamattina mi hanno portata via da ciò che ho di più caroe da quasi due anni sono divisa da loro. Ma ora bastaparlare di me.Mi manchi molto. Da quando sono qui non ho piùpreso un ago in mano, ricamare mi rende triste, mi fapensare alle ore passate in tua compagnia e con leamiche del cuore. Insieme avevamo stabilito un belrapporto, e le giornate passavano meno tristemente.Cara, ti penso sempre e ti scriverò spesso; tu faialtrettanto, nessuno m’impedisce di ricevere posta,non ho censura, e mandami anche una tua foto.Per il momento sono ancora in isolamento, ma speroche presto mi manderanno in sezione con le altre.Sono molto arrabbiata per quello che mi hanno fatto aPisa, perché non credo di essermi meritata questa

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carognata del trasferimento, come non se lo meritavaLaura, anche lei sballata lo stesso giorno. In questiposti non siamo considerati delle persone, e ledirezioni, a loro piacimento, ci spostano qua e làcome pacchi postali. Ma io li ho già perdonati:purtroppo, mi dico, è il loro lavoro.Ieri ho fatto il colloquio con le mie figlie, e almenonell’ora passata con loro, sono uscita da questaorrenda realtà murata.Ancora grazie, mia cara, non sai quanto aiuto miabbiano dato le tue parole: ora mi sento più forte. Tisaluto con un bacio e una carezza,

Gemma

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Lucca, 15 febbraio 1994

Carissima Athe,è martedì mattina, sono le nove, ho già fatto la docciae le pulizie della cella, ho preso un buon caffè, misono accesa una sigaretta ed eccomi qui a scriverti.Questa mattina non sono andata a correre (tanto...corro corro e sono sempre qui!), ho pensato invece didedicarla a te, perché voglio scriverti con calma.Avrei già voluto farlo qualche giorno fa, quando horicevuto la tua lettera bellissima e m’era subito presavoglia di trasmetterti un po’ della mia gioia e allegria.Oggi sento un po’ di malinconia, sarà per il tempocosì grigio, o forse per i 15 anni di condanna che mihanno rifilato. Non so se te l’avevo già scritto: ilP.M. aveva chiesto 26 anni, ma la Corte me ne ha datisolo 15, cioè mi ha scalato 11 anni - sono stati moltoumani, vero? Ma io non mi dispero... continuo asperare.Con la mente torno indietro a quando credevo che lavita mi avrebbe dato tanto, e io le andavo incontro conl’entusiasmo e l’incoscienza di chi è giovane edavendo tutto finisce col perdere il senso delle cose edei valori.Sì c’è un po’ di malinconia, ma è quasi dolce. Mimanchi tanto... Spero di vederti il giorno 18: sai, ladirettrice ci fa fare la replica della commedia, e iospero che tu ci sia. Tornando a noi, voglio tu sappiache è stato bellissimo per me conoscerti, nonostante ilcarcere, perché ho trovato il pulito proprio quando

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ormai tutto e tutti mi apparivano sporchi. Non credosia necessario spiegare a te, quanto certi momenti, sepur brevi possono essere tanto intensi e pieni disignificato, e quanta bellezza ci possa essere in alcunigesti...Io, a Pisa, grazie a te ho vissuto degli istanti che nondimenticherò mai più, li porterò sempre nel cuore. Cisono momenti, particolari stati d’animo in cui non è laquantità ma la qualità delle sensazioni a dar lorovalore: sono proprio le sfumature a farti capire sequalcosa o qualcuno è davvero importante.Tu lo sei per me, ricordalo. Ti mando un abbraccioaffettuoso e tanti bacini,

Gemma

P.S. Scusa gli errori, ma i 15 anni mi hanno stancatotroppo.

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Parma, 7 marzo 1994

Carissima,ti ho scritto molte lettere in questi giorni... ma se nonle hai ricevute non è colpa delle poste o di chissà chi,il fatto è che non le ho mai spedite. Mi succedespesso: mi viene voglia di dirti tante cose e comincio ascrivere, ma poi finisco per stracciare i fogli. Forsesarà un modo di sfogarsi, vive per la disperata vogliache avrei di essere in tua compagnia, perché tiapprezzo al punto di credere che sei l’unica personaamica con la quale varrebbe la pena di parlare. Quelloche so è che ho tanto bisogno di te, ma ne provovergogna. Quando rileggo quello che ho scritto, mirendo conto che più che lettere le mie sembrano gridad’aiuto, allora ritrovo il mio orgoglio e mi dispiace diaver cercato di scaricare un ulteriore peso sulle tuespalle, già tanto provate, e vorrei essere io a poteraiutare te invece di saper soltanto assillarti econtagiarti con la mia tristezza.Faccio appello al mio orgoglio e cerco di ricordarmiche sono una donna forte, che ho il dovere di nonessere mai fragile, o almeno di non mostrarlo; cosìesorcizzo la sofferenza indossando questa maschera etornando fra le altre donne, a parlare di auto, bellavita, o, tanto per cambiare, di droga.... Mentre parlomi domando se anche la loro è una maschera, o sesono davvero così stupide; però le invidio quando miaccorgo che quello che le fa più soffrire è ilferragosto, il sabato sera, il capodanno... I figli che

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hanno a casa, le altre persone care, la prepotenza e laviolenza, sottile ma non per questo meno crudele, chesubiscono di continuo, sono solo cazzate!Sai cos’è che mi fa pesare così tanto la galera? E’ chenon credo più in quelle cose che mi ci hanno portato.Riesco a pensare soltanto alle persone che amo, allasofferenza di non vederle, a quello che soffrirannoloro. Ma provo anche una profonda rabbia per esserestata di nuovo trasferita: pensa al sacrificio che dovràfare mia figlia per potermi abbracciare. Se almeno miavessero tenuta a Lucca.... Ancora una volta sonostata delusa, e le delusioni fanno male!Cara amica, spero di non averti annoiata, e tantomenorattristata. Un forte, fortissimo abbraccio,

Gemma

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Pisa, 7 luglio 1994

Cara assistente,le mando queste brevi note dei miei primi giorni alDon Bosco, sperando di farle cosa gradita e dirivederla presto.

***

Stamattina mi sono alzata presto, mi sono lavata,vestita e appena ci hanno fatto uscire sono andataall’aria. Ho corso e ho fatto un po’ di ginnastica. Poisono tornata su, ho preso il latte, la terapia e mi sonomessa a finire la lettera che avevo cominciato ascrivere a mia madre.

La Donata mi ha portato il caffè, l’ho unito al latte cheavevo preso e così mi sono bevuta una bella tazza dicaffellatte. Ho acceso la tv e ho guardato VideoMusic.Ora c’è da passare la giornata! Mi sono fatta prestareun mazzo di carte da Donata, almeno un po’ di tempomi passerà.

E’ l’una di pomeriggio, mi hanno portato il pranzo,un po’ meglio di ieri.La vigilatrice poco fa mi ha portato due libri che mi hafatto avere l’educatore: mi ha detto che sonoresponsabile io dei libri e che appena letti li devoriconsegnare.

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Ora ci aprono le celle, ma preferisco iniziare a leggereperché non ho voglia di fare altro. Prima ascolto lacanzone di Vasco su Video Music poi mi metterò aleggere per occupare la mente.

Ieri sera non riuscivo a dormire, ho fatto nottata,c’erano le zanzare che mi torturavano; poi mi sonobagnata il viso e le braccia almeno un milione di volte,mi rigiravo nel letto coprendomi e scoprendomi comeuna pazza. Stamattina avrei voluto dormire fino amezzogiorno o all’una, ma se stanotte non riesco adormire è un gran casino.

Mi sono alzata, lavata e ho preso la terapia; poi mi hachiamato Donata nella sua cella e mi ha offerto ilcaffè, il latte e anche una merendina per farecolazione. Abbiamo parlato un po’. Più tardi unaragazza mi ha chiesto se volevo pranzare con lei, le hodetto di sì perché non mi andava di stare da sola. Maall’ora di chiusura non l’ho vista e non mi andava dicercarla, perciò quando l’agente mi ha chiesto chevolevo fare, ho risposto che rimanevo in cella.

Mi sono messa a scrivere a Sinca, a Caterina, a Paola,a Carla, a Stefania e alle ciche colombiane; ho speditole lettere in un’unica busta perché non avevo bolli. AMoreno non ho scritto perché voglio aspettare la sualettera.

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Quando ci hanno riaperto mi ha chiamato la Donata.Le ho spiegato che non sono andata a mangiare dallaragazza che mi aveva invitato perché non l’avevo vistae non mi ricordavo il suo nome, ma che è stato megliocosì perché non avevo fame e ne ho approfittato perscrivere.

Ho fatto le carte alla Donata e alla donna vicina allasua cella, credo che si chiami Assunta. Invece laragazza che mi aveva invitato a pranzo si chiamaFiore.

Ci hanno richiuse. Donata mi ha detto che quando ciavrebbero riaperto mi aspettava nella sua cella perandare insieme all’aria a fare una passeggiata. Nelfrattempo mi sono rimessa a scrivere. Quando cihanno aperto sono andata nel corridoio e ho visto laDonata nella cella di Assunta, non volevo entrare perpaura di scocciare e invece mi hanno invitata e mihanno detto che non dovevo avere vergogna di loro.Abbiamo fatto il caffè e siamo andate a berlo fuori,c’erano anche Fiore e la “rossa”, quella accanto allamia cella, a prendere il sole. Io e Assunta le siamoandate vicino, ho offerto un sorso di caffè alla rossa esi è parlato un po’. Quando ci siamo messe a sederehanno chiamato per il cambio lenzuola.

Mi ero già spogliata e mi è toccato rivestirmi per laterapia, ma ho dovuto aspettare tanto che mi sonorotta le palle e sono risalita a prendermi una sigaretta,

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quindi sono tornata giù. Poi ho fatto la doccia. Mentrerientravo in cella Donata mi ha dato un po’ dipomodori e insalata che aveva preparato per cena.

Alle 18 ci hanno richiuse per l’ultima volta dellagiornata: fino alle 8,30 di domattina non se ne parlapiù di mettere il naso fuori.Ho guardato la tv, ho letto. Avevo solo due sigarette edovevo cercare di arrivare a stanotte. Ho mangiato e,insomma, una l’ho fumata in due volte: l’ho spenta eriaccesa, a che ora di preciso non lo so, ma dalle 18ad ora che sono le 22,50 ho fumato solo unasigaretta.Comunque voglio aspettare che siano le 23 perfumare l’altra, così faccio cinque ore esatte. oramancano sette minuti. Guardo se c’è un film decentealla tv e sennò fumo l’ultima sigaretta e spengo.Spero di addormentarmi subito e di non passare unanottata come quella di ieri. Ho già preso la terapia efra un po’ dovrebbero chiudere il blindo. Qui se nonc’è il maresciallo di Lucca e le vigilatrici tipo Beatricea romper i coglioni, ci pensano le zanzare di notte. Mihanno divorata mezza, di questo passo di me trovanosolo le ossa domani mattina. Bene, sono le 23, perciòmi fumo la sigaretta e smetto di scrivere. By by esperiamo di passare una buona notte, la giornata èfinita.Buonanotte Fabrizia. Buonanotte Moreno: TI AMO,sei l’unico amore. Spero di sognarti.

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Stamattina, mentre ancora dormivo, hanno sballato laDonata. Stavo andando nella sua cella quandoAssunta, invitandomi da lei a prendere un caffè, mi hadato la notizia. Vi ho trovato un’altra detenuta da pocoarrivata e stralunata per quello che le sta capitando,con cui abbiamo parlato un po’ per farle coraggio.Dice che ciò che le si racconta le fa venire i brividi.

Più tardi ho preso la terapia. Poi mi hanno chiamatoper darmi le sigarette, mentre per il resto della spesadevo ancora aspettare. Ho parlato un po’ con la“rossa” che sta nella cella accanto alla mia.

Com’è brutto non ricevere posta. Dio! Ho voglia dipiangere ma non posso.Mi manca mia madreMi manca mio fratelloMi manca Moreno.Cristo! non ne posso più.Mamma, Moreno, almeno voi scrivetemi, non fatemisentire sola in questa galera: ho bisogno della vostrelettere, è vitale per me.Ora basta, sennò vado in paranoia. Sono nervosa mariesco a controllarmi. Dovrei pensare meno con ilcuore e più con la testa, ma serve a qualcosa ingalera? Qui ci si rompe le palle e basta! Guarderò chesuccede oggi.

Mi hanno dato una parte della spesa, solo la roba perle pulizie. Quando ci hanno chiuso mi sono messa di

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buona lena a pulire questo cazzo di cella, visto che cidevo stare. Poi... la vigilatrice mi ha chiamato per ilcolloquio. Dio! Ero tranquilla esteriormente ma dentrodi me scoppiavo dalla gioia, ho pensato subito a miamadre, non poteva essere nessun altro. Mi sonovestita e sono corsa giù, appena l’ho vista l’hoabbracciata: piangeva ma cercava di trattenere lelacrime. Era preoccupata perché temeva che avessicombinato chissà che a Lucca per essere stata sballataqui a Pisa; che quando ha ricevuto il telex è statamale, era in pensiero per me e che anche mio fratelloera incazzato. Tutto per quello stronzo delmaresciallo. Ma io l’ho rassicurata, le ho detto che quisto meglio, della finestra da cui vedo fuori, deltelecomando, dei corsi che seguirò. Poi le ho chiestodi farmi un pacco per lo stereo, il libro di musica eanche un libro dei sogni e delle cassette di musica(chissà cosa mi manderà!). Quando se n’è andatasembrava più tranquilla e mi ha lasciato 200.000 lireall’ingresso, meno male perché sono sempre senzaniente e mi è rimasto solo un pacchetto di sigarette.

Oggi è successo tutto proprio mentre ero chiusa. Allaseconda chiusura mi è arrivato un telex del mioamore: Ti amo, Moreno. Poi ho anche riso escherzato con le ragazze, ma il tempo non passa mai,specialmente la sera. Solo l’ora di colloquio con miamadre è volata.

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Stasera ho lavato un po’ di biancheria. Sto cercandodi non fumare. Da poco ho preso la terapia perdormire ma ancora non ci riesco, ho chiuso la finestraper via delle zanzare e ho un caldo che schianto.

Ieri ho mangiato con due ragazze nella loro cella, poisono andata all’aria, ho preso un po’ di sole e hogiocato al biliardino. Quando ci hanno chiuso holavato un po’ di panni e ho pulito la cella. Per la cenaAssunta ha preparato un’insalatona per tutte leragazze. E’ proprio in gamba.Alle 6 mi erano rimaste solo tre sigarette, le hoordinate alla spesa ma fino a giovedì non arriveranno.Dopo la chiusura mi sono messa a scrivere: ho fattoun telex a Moreno e uno all’avvocato. Spero tanto diricevere posta domani.

Oggi ho ricevuto una lettera e un telex da Moreno.L’unico che mi ha scritto è Moreno, il mio amore. Luie mia madre sono le sole persone che non miabbandoneranno mai. Ti amo Moreno, e a te mamma,quanto bene ti voglio: siete gli unici che mi fannosentire che esisto anche in un posto come questo. Viamo.

Oggi ho pranzato con Angela nella mia cella, siamostate bene insieme. Nel pomeriggio ho parlato con leoperatrici del Sert e con la suora del Ceis, speriamoche mi possano prendere in comunità. Tutto il giornonon hanno fatto che chiamarmi: stamani per la visita

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medica e per il corso di ginnastica, poi la terapia, leoperatrici del Sert, la posta, la suora volontaria delCeis di Pisa, la spesa extra, poi nel pomeriggioun’altra lettera di Moreno, di nuovo la terapia e infineper il vaglia di 300.000 che mi ha mandato Moreno.Dio quanto ti amo Moreno!

Ieri ho scritto un’istanza per l’affidamento e oggi l’hoimbucata per la matricola. Chissà quanto tempo dovròaspettare per la risposta. E come sarà poi? Speriamoin bene.Non ho ancora ricevuto risposta dalle ragazze che holasciato a Lucca e non capisco perché. Certo che sonoproprio una stupida, lo so che non mi devo aspettareniente da nessuno!

Mi sono rimaste solo cinque sigarette e stasera c’è lapartita dell’Italia. Chissà che casino.Mentre guardavo la partita mi è arrivato untelegramma da Lucca dalle ragazze della cella, sonocontenta da morire e l’Italia ha vinto.

Finalmente oggi mi hanno dato la spesa con le cosepiù importanti: sigarette, bolli, buste, fornellino,caffè, zucchero, bagnoschiuma ecc.Oggi non ho ricevuto posta. Ho scritto una lettera aMoreno e a mia madre; avrei voluto spedire anche untelex a Nedo per fargli gli auguri di compleanno manon ho fatto in tempo. E l’avvocato, tanto percambiare, non è ancora venuto.

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Stasera ho guardato lo spettacolo di Fiorello e misono sfogata a cantare, poi ho scritto anche a Sandra ea Sara.

Stamattina mi sono fatta subito la doccia perchésperavo che venisse mia madre al colloquio, e invecenon è venuta. Mi sento così demoralizzata.Ho restituito ad Assunta e ad Angela i pacchetti disigarette che mi avevano prestato e ne ho dati due aSabrina e a Fiore che erano senza. Meno male chedomani mi arriva un’altra stecca con la spesa.

Prima che ci chiudessero Angela mi ha chiesto ditagliarle una ciocca di capelli, che poi ha messo conun bacio al rossetto nella lettera per il suo ragazzo.

Fabrizia

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Vigevano, 18 maggio 1994

Carissima Athe,non mi sono dimenticata di te. Non potrei mai, sei lapersona più dolce che io conosca. Il mio silenzio èdovuto a tutti questi trasferimenti.Ho appena finito di fare la mia ginnastica, ho corsoun’ora sotto la pioggia, anche ieri l’ho fatto. Mipiace... Mi piace respirare bene, sentire la pioggia ches’infrange sul mio viso, il rumore dei miei passi nellepozzanghere. Mi piace il silenzio che c’è intorno,mettermi a pensare, a fantasticare: mi sento più acontatto col mondo, con l’universo, con Dio e con mestessa.Ora ho fatto la doccia, piove ancora, ma in cella nonsto più tanto bene da sola. Qui quando torno in cellanon ho nessuno con cui parlare un po’. Qui non si hanemmeno un gattino che ti salti in braccio e faccia lefusa. Puoi soltanto metterti a pensare a qualcuno cheti è caro. A volte conforta far questo, altreingigantisce la malinconia che hai dentro e ti sentiancora peggio, piangi.Se sono così triste oggi è a causa del miotrasferimento. Sai cosa vuol dire essere lontani dacasa? e per chi ci viene a trovare? Pensa a quantastrada devono fare i miei figli! Quando li vedo non sose è più la gioia o lo strazio, e se ritardano... l’attesa èun’autentica tortura. Non so perché mi abbianomandata qui. Sono demoralizzata.

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E tu come stai? Sempre in movimento, immagino.Hai voglia di vedermi? Io sì, vorrei tanto stare un po’insieme a te. Parlare con chi può capirmi, con chiposso aprirmi il cuore. Uffa! Se t’avessi vicinaoggi... metterei la testa sulla tua spalla e mi lamentereitanto, così tu mi faresti le carezze e mi coccoleresti unpo’ - vero che lo faresti? Poi ci daremmo il cambio edio consolerei te.Ora amica mia ti saluto. Lo vuoi un abbraccio? Sì?! Eallora abbracciami e dimmi che mi vuoi bene.Un bacio,

Gemma

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Vigevano, 18 settembre 1994

Mia adorabile amica,avrei molte cose da dirti, ma ho una tale confusione intesta che non riesco a ordinarle. Raccapezzarmi, diquesti tempi, non è facile. Dovrei essere come uno diquei capitani capaci di guidare in porto la nave inavaria - dove mio malgrado mi trovo - ma vedol’orizzonte molto lontano. Ciò nonostante sento chece la farò, anche se nessuno, a parte te, mi dà un po’d’aiuto. Devo contare soprattutto sulla mia forzad’animo.C’è anche una buona notizia, da pochi giorni sonodiventata nonna: un bellissimo nipotino di nomeMarco; non l’ho ancora visto ma spero che mia figliame lo porti al più presto. E un’altra, ma cattiva, chemio figlio è stato messo in una Casa per il fanciullo aLucca, su decisione del Giudice dei minori. Comeposso fare a meno di soffrire?!E poi questo carcere che sembra una tomba! E’ statoaperto da un anno ma è senza fondi, e l’unica cosache ci passano è il vitto, scarso e scadente. Cidobbiamo comprare tutto, e a volte non ci portanoneanche quello che richiediamo con la "domandina"perché spariscono anche i nostri soldi. Di lavoroneppure a parlarne: c’è solo un posto, un meseciascuna a rotazione, se tutto va bene esco prima chesia il mio turno. Sono in una sezione speciale, dasola, l’unica concessione è un’ora e mezza di socialità

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al giorno, dalle 18 alle 19,30, nessuna attivitàculturale o ricreativa.Sì, qui ho tutto il tempo per ricamare e lavorare amaglia o uncinetto, anzi se puoi spedirmi un po’ difilo, saprò certo come impiegarlo. Ma mi manca la tuacompagnia.Ora ti lascio, ma ricorda che anche se non ti scrivomolto, tu sei sempre con me. Ti voglio un sacco dibene. Ciao,

Gemma

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Pisa, 20 gennaio 1995

Gentilissima SignoraMi trovo qui per la disgrazia che mi capitò nellacampagna chiamata Albetreto il giorno 28-9-91 alledue del pomeriggio. Subito dopo andai in paese acasa di mia sorella e lì venne il maresciallo adarrestarmi, poi mi portarono al carcere di Grosseto. Ilgiorno 8-10-91 mi trasferirono qui al carcere DonBosco, dove sono sempre rimasto.In un primo tempo mi trovai un po’ in difficoltà, perla grandezza del carcere e per tutta la gente che c’era,ma col passare dei giorni mi resi conto che erano tuttebrave persone, dall’agente di custodia al Direttore.Fui ricevuto dal primario medico, un uomo moltogentile e comprensivo, che volle sapere come erasuccessa la mia disgrazia; poi da una dottoressa chemi chiese delle mie malattie. Siccome ero depressodecisero di ricoverarmi al centro clinico, dove stettiqualche mese, poi mi passarono alla sezione delgiudiziario e dopo diversi mesi al penale.Io quando arrivai qui avevo già l’enfisemapolmonare, le coronarie ammalate e l’ischemia alcuore. Ma dopo circa un anno di carcere mi venneroanche dei grandi dolori allo stomaco, a tuttol’apparato digerente; mi fecero molte analisi e alla finel’ecografia al fegato, da cui videro che avevo la cirrosiepatica. Adesso sono tre anni e quattro mesi che sonoin carcere, mi hanno ricoverato più volte al centroclinico ma vado sempre peggiorando. Ho perso i

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quattro stimoli: mangiare, bere, orinare e andare dicorpo. Sono cose che faccio per istinto perché so chevanno fatte, ma le faccio male e per forza.Io qui vado d’accordo con tutti, non ho mai litigatocon nessuno. Se è per questo non mi troverei male,ma credo che ci ho poca vita più, perché mangio perforza e poco, non dormo quasi mai, tengo tutto undolore all’apparato digerente, faccio fatica acamminare, trascino le gambe e ogni tanto mi sipiegano e casco a terra.Io in carcere ci sto male fuori del normale. Forsedipende dal fatto che non c’ero mai stato e venendocia una certa età è più duro. Dei miei antenati, tanto daparte di mio padre che di mia madre, nessuno mai erastato in carcere, neanche un giorno. Proprio a medoveva toccare.Gentilissima Signora, termino qui inviandole i mieimigliori saluti.

Paolo

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Vigevano, 2 maggio 1995

Carissima Athe,innanzitutto scusami se non ti ho scritto prima, masono ancora così scossa. Speravo tanto nell’appello eci sono rimasta male. Lì per lì ho pensato: è finita, mihanno dato più anni di quelli che ho da campare, dallagalera non uscirò viva! Poi ho cercato di farmi forza,mi son detta: forse è davvero così, ma il futuronessuno lo conosce... quindi vado avanti. Sarò io apormi in maniera diversa nei confronti della vita, delmondo, e di qualsiasi destino. Non starò più lì fermaa sperare che mi sia riservato qualcosa di buono, adaspettare che le cose accadano... le farò accadere. Larealtà va accettata e affrontata per quello che è equando non ci piace bisogna cercare di modificarlaper quanto se ne è capaci. Mai, dico mai, ci si develasciare andare a viverla in modo passivo.Sento che la vita può darmi ancora tantissimo, perciòdevo cercare di vivere in positivo quella che mirimane.No, non mi farò annientare! Non lo permetterò!Possono tenermi chiusa, opprimere il mio corpo, masoltanto quello. Continuo e continuerò a pensare conla mia volontà, a provare gioie ed emozioni; possoconoscere cose e sensazioni nuove; farmi milledomande e darmi altrettante risposte; respirare,piangere di commozione: sono viva!

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Cara amica mia, ora più che mai sento il mio esserenel modo più bello e intenso, ne capisco il valore edesidero difenderlo. Ora più che mai ho bisogno dime stessa, e questa volta ci sarò, sarò lì ad aiutarmi. Ilmondo e la mia vita sono come io li vedo, comevoglio che siano. Pirandello pensava che la verità e larealtà assolute non esistessero, che esistessero invecetante verità e tante realtà... Mi capisci, vero? Bene, cisto mettendo tutto il mio coraggio e la mia energia evado avanti.Sono alla fine. Salutami tutte le agenti e le amiche delDon Bosco, e anche la direttrice.Ti abbraccio forte e ti bacio, tua amica

Gemma

P.S. Sto ricamando, se puoi mandarmi dei fili, dellatela e degli aghi senza punta per punto a croce (quinon c’è un’assistente che ce li porti!), te ne sareigrata.

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Pisa, 27 luglio 1995

Cara Athe,spero che tu stia bene. Io invece sto malissimo. Nonho ancora ricevuto risposta dal Tribunale dei minori diFirenze, e non ne posso più di aspettare. E’ dal 14aprile che non vedo più il mio bambino!Tutti mi dicevano che ho un gran cuore perché misono rifiutata di tenere mio figlio con me in galera. E’vero, l’ho fatto per amore, non volevo che luisoffrisse qui dentro; ma ora non sono più sicurad’aver fatto bene, non ce la faccio ad andare avanticosì. Già ho perso il mio amato marito, ora non possoneanche vedere mio figlio, nato dal nostro amore,dall’immenso, sincero amore che ci univa. La mia vitaè diventata un inferno.Athe, cosa devo fare? Io non so più niente, non hopiù niente. Non riesco a pensare a un futuro, e ora mivogliono togliere anche il mio bambino, l’unicaragione della mia vita, tutto il mio amore.Io e mio marito siamo stati felici insieme, darei la miavita purché fosse vivo; ma il destino ha volutodiversamente, ha voluto che io, contro la mia volontà,gli facessi del male. Mi sento così sola, perduta.Anche quando mangio, dormo, respiro, io sonomorta con lui. Ogni istante posso solo pensare a lui ea mio figlio. Avevamo così tanti progetti, perfino unfratellino.... E ora niente, si è fermato il mondo perme.

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Cara Athe, spesso penso di essere impazzita... vorreifarla finita. Meno male che ci sei tu e ti posso scriverequello che sento. Grazie che mi ascolti, anche se lemie lettere sono sempre così tristi.Ho già cominciato il nuovo ricamo con i fili che mihai portato, te lo mostrerò al prossimo colloquio cheriusciremo a fare.Un fortissimo, affettuoso abbraccio. Ciao,

Gaby

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Pisa, 8 agosto 1995

Ciao cara Athe,spero che stai bene. Oggi ti voglio raccontare unsogno che ho fatto. Perché è stato bello, solo ilrisveglio, come sempre, è stato brutto. Allora...Sognavo di essere a colloquio con mio marito, lui midiceva serio che sarei uscita libera nel pomeriggio eio: dài smettila di farmi certi scherzi! Ma poiarrivavano degli agenti e anche loro mi dicevano chesarei uscita nel pomeriggio; allora io stavo giàpensando a chi lasciare le mie cose: i ferri da maglia aquesta, da uncinetto all’altra, il fornellino... ecc.. Poisei passata anche tu dalla sezione per salutarmi, e ilprete, il direttore. Ma alla fine mi sono svegliata.Però, Athe, è stato così bello! Vedevo il mio uomoproprio realmente, nei suoi abiti da lavoro, semprepronto a scherzare, coi suoi occhi grandi e pienid’amore. Forse c’è davvero dopo la morte qualcosacome un’altra vita, e forse lui mi ha voluto dire chetutto va meglio e che mi è vicino. Quanto mi manca!Troppo, e non mi dà pace la mia colpa.Lo psicologo mi dice che devo smettere di pensare alpassato, di guardare invece al futuro. Ma comeposso? Il mio futuro è stato l’uomo che ho amato eamo, nostro figlio. E ora ho perso tutti e due.Sono infinitamente triste. Anche oggi è stato un bruttorisveglio: hanno trasferito la povera Elvira, chissàdove l’hanno mandata! Pensare che lei era cosìcontenta di stare qui, con te, e anche con me si

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trovava bene, facevamo insieme tanti discorsi seri.Spero che torni presto. Spero tutti i giorni che accadaqualcosa di buono e così passa il tempo. Qui si puòsolo aspettare, sperare e pregare. Quasi tutti hannoalmeno i famigliari con cui fare colloquio, ionemmeno questo, non posso nemmeno vedere miofiglio così piccolo, dargli il mio amore. Il tempopassa, settimana dopo settimana, senza che io riesca afare una sola cosa buona, una cosa che potrebbeaiutare un’altra persona. Ho solo te, ho bisogno divederti, di parlarti, di passare un’ora tranquilla con te.Sai, qui sono quasi tutte dentro per la droga, piùgiovani di me e senza figli, parlano sempre di coseche non m’interessano. Per me sono cose stupide daquando sono diventata mamma. E ora posso anchecapire mia mamma, come soffriva quando sonoandata via di casa per fare la prostituta. Prima noncapivo e ora mi dispiace da morire. Ora vorrei esseredi nuovo piccola e ricevere le sue coccole. Quantoaveva ragione. Via, smetto con la malinconia per nonintristirti troppo. Cercherò di farmi forza e di pensareal futuro, anche se per me è la cosa più difficile.Prima di lasciarti vorrei chiederti due favori, se puoi:mi servirebbe una valigia per riporvi tutta la mia robache si trova in magazzino e che ho paura vada persa eun cintolino per orologio, meglio se marrone o nero.Mi vergogno a chiederti sempre qualcosa, ma solo tumi puoi aiutare. Tantissimi saluti e un affettuosoabbraccio dalla tua triste

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GabyLecce, 27 agosto 1995

Mia cara Athe,ti scrivo da Lecce con tristezza in quanto mi ero illusadi poter restare a Pisa. Sono stata trasferita l’11mattina c.m. e sono arrivata a destinazione il giornodopo per un guasto al blindato che ci ha bloccati perore sull’autostrada, prima di Roma. A Lecce ho trovato le vecchie amiche con cuidividevo la cella: siamo in quattro e tra noi c’è buonaarmonia. Questo è però un carcere punitivo, le regole sonodurissime, e la mia tristezza, inoltre, è dovuta al fattoche non so come andrà a finire qui la miacarcerazione. Forse sconterò sino all’ultimo giorno inquanto i servizi sociali sono praticamente assenti. Hogià rifatto istanza per tornare al Don Bosco (il carceredi Pisa, ndr.), dove potrei approfondire i colloqui conl’assistente sociale al fine di ottenere la semilibertà,ma non so se verrà accolta. Persino l’educatrice, qui,è una figura senza contorni reali. Comunque basta parlare dei miei problemi, hoimparato ad accettare le difficoltà e a convivere conesse! Tu mi manchi tanto! Mi sono molto affezionata a te,davvero, te lo dico in tutta sincerità. Ho ricevuto la tua cartolina dall’Abetone e tiringrazio del gentile pensiero. Continuerò a scriverti e

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rimanere in contatto con te, ma prima di salutartivorrei chiederti dei piccoli piaceri personali. Allora,mia cara, siccome ho portato con me i lavori iniziati evorrei finirli, visto che me li fanno tenere in cella, mioccorrerebbero 7-8 fili del cotone da ricamo blu cheavevo prestato a Denise. Ho scritto pure a leichiedendole di spedirmeli in una busta con la lettera,ma fammi la cortesia di ricordartene anche tu. Poi ti prego di starmi vicina. Un’ultima cortesia. Vedi se mi puoi mandare deibolli, perché sono a corto di tutto; ho scritto anche alDon Bosco affinché mi facciano pervenire il miofondo vincolato, che poi mi servirà per le spese delpacco che mi faranno dei miei indumenti invernali,rimasti lì in magazzino. E se ti capita mandami anchequalche bella cartolina. Ti ringrazio di tutto e conto di sentirti al più presto. Sei molto cara al mio cuore,

Elvira

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Lecce, 24 settembre 1995

Della mia terra amai gli angoli remoti.Cercai le voci del passato nel silenzio, negli squarci diluce dorate delle chiesette diroccate in campagne,nascoste da vigneti e alberi da frutto.Interrogai gli altari deserti, la polvere fine sollevatedalle mie scarpe.Mi chiedevo: quante altre orme l'avranno calpestatanel corso dei secoli? Quanti cani, quanti serpi,avranno violato quei luoghi sconsacrati? Cercai ilmistero nascosto nelle "chianche" divelte dalpavimento e abbandonate le une sulle altre in ordinesconnesso, coperte dalla polvere impalpabile deltempo che grigia si fonde con le cortine d'oro che ifasci di luce filtrano dalle altre finestre vuote, feritoieaperte alle intemperie. Lungo le navate, scavatevoragine scure di terra umida e nera svelano ilritrovamento delle tombe di monaci e abati, sepolticon il loro tesoro in monete d'oro.Restano solo le mura, un tempo solide a sorreggere levolte stellate, i lunghi soffitti rettangolari. I fregi sonoscomparsi, trafugati, gli affreschi sono stati staccaticon valente maestria, ma a volte addirittura picconatida incompetenti ladri e sicuramente distrutti.Ora, insieme ai capitelli divelti, saranno ad arricchiredi fasto la casa di qualche orafo di Valenza Po o lavilla di qualche industriale della maglieria a Carpi.

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Sì, salvati dall'incuria del tempo ma sottratto allanostra terra. Osservando riflettevo che in ricordo diloro resta solo la ferita aperta e scalcinata indelebilesegno sulle massicce pareti scrostate.Aleggia un'aria di fascino e mistero sacro cheimpedisce di crescere persino a un filo d'erba.Muta, spoglia e nudo nell'anima, quante volte sonocorso a cercare conforto nel silenzio abissale delleantiche mura, mentre inoltrandomi sul selciato, dovela terra era più morbida, avevo paura di sprofondareche per un arcano mistero si aprisse un baratro adingoiarmi in nome di un dio terribile e vendicatore.Amavo i fossi disseminati per la campagnaaffacciarmi su essi vivendo l'irresistibile richiamo dimorte quella dolce mano stregata emergente dallalucida acqua nera del fondo che invita a raggiungerla.Interrogavo quel profondo buco nero, levigato e ostilee il capelvenere verde ed etereo. Stupenda simbiosi,pensavo, come lo squalo e il pesce pilota. Intanto chenelle orecchie, intollerabili riudivo echeggiare insiemeai colpi delle doppiette dei cacciatori, i guaiti dei canivivi buttati dentro dai contadini, dell'ignoranza atavicadella fame.E dentro mi saliva l'orrore degli uomini e delle donnespariti, cancellati dal fondo melmoso dei cadaverispesso irriconoscibili ritrovati e di quanti che nessunotroverà mai. Le loro urla si saranno spente nelle vignesolitarie, tra gli alberi di fico e di spinosi fichi d'Indiaspinosi, nelle bianche nuvole e i mandorli in fiore. Ma

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avremo gridato?! Perché se è vero che si muore, avolte si deve morire atrocemente?!Uomini scaraventati da altri uomini in buchi senzaritorno. Io non mi chiedo perché di nulla ormai!Sapere e capire non diminuisce il dolore non riporta invita chi è sparito per sempre, dissolto nella notte diuna perfida guerra di clan che ha fatto degli uliveti isuoi cimiteri privati.Sogni di potere spenti nel sangue che si confonde conla rossa terra della campagna, che muta e solatia tace.Ed io che non so dove tu sia forse ti sto camminandosopra.(∗)

Elvira

(∗) Mi riferisco a mio marito, il suo corpo non è stato mairitrovato

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Pisa, 27 settembre 1995

Mia CaraOggi è una giornata molto particolare, c’è la "paura".Sì! oggi domina in me una grande paura. Dio, quantoè brutta questa sensazione: mi si annoda la gola, houna gran voglia di piangere.Ora le racconterò perché oggi c’è la paura. Tornerò unpo’ indietro con la memoria.Sappiamo tutti che nella vita ci sono scelte e situazioniche ti trascinano per mille ragioni, prima fra tuttel’incoscienza perché ti frega in gioventù, in quell’etàche ti senti la padrona della vita e niente ti sembraimpossibile. Però devo dire che in coscienza non homai fatto del male, se non a me stessa. E poi ho datoalla luce una creatura che è parte essenziale di me e lamia forza per continuare a vivere: mia figlia è l'ancorache mi tiene soggetta a questo mondo. Lei ora è unamagnifica donna, una moglie responsabile, una madreaffettuosa con due bambine che sono l’orgoglio ditutti noi, madre, padre e nonna, che sono io. La mianipotina più grande, Luana, sogna di riabbracciarmipresto, dice “Nonna, è vero che si farà il miracolo dipoter giocare insieme?” E io bramo di poterlastringere a me con tutto il mio amore, e prego “Diomio! fa che questo accada, non ti chiedo altro.”Questa sarebbe per me la più grande gioia!Ma oggi tutto questo sogno può crollare e far soffriredegli innocenti, può anche farmi morire. E la paura èquesta: possono darmi l’espulsione da questo paese

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dove c’è tutta la mia vita, dove ci sono le unichepersone che amo e che mi amano.Capisce ora perché questa paura mi sta uccidendo? Iosono vecchia, non so dove andare, non so cosa fareilontana da loro, sono sicura che morirei.Paura! Paura vattene via!!Mia Cara, le mando il saluto più bello e serenopossibile come ringraziamento per tutto quello che faper me. Ma ho bisogno ancora di un favore: qualchefrancobollo espresso, delle buste e un blocco. Sonosenza fondi e non so come fare per scrivere ai mieifigli, all’avvocato, anche al console del mio paese.Grazie, con tutto l’affetto

Sara

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Pisa, 19 ottobre 1995

Mia cara Athe,per prima cosa ti voglio ringraziare per la molletta e ifili da ricamo.Mi sento più triste del solito perché proprio oggi sono11 mesi che è successa la disgrazia e così il mio primopensiero appena sveglia è stato per mio marito e miofiglio. Athe, io vorrei che questo incubo finisse e cheloro fossero ancora accanto me, però mai e poi maisarà più così e questo mi fa impazzire.Vorrei tanto raccontarti qualcosa di allegro... Qui tuttii giorni sono uguali, non ricevo posta, non succedenulla. Non posso fare altro che aspettare, soloaspettare. E’ passato un altro noiosissimo finesettimana: ho pianto molto, non avevo più lacrime;avrei voluto essere sulla cima di una montagna perurlare tutte le parole, tutta la tristezza che ho dentro.Una ragazza è uscita e un’altra è entrata, un’austriaca,così ora avrò qualcuno con cui parlare la mia lingua,ma andrà a finire che confonderò l’italiano coltedesco. La ragazza che è uscita è Denise, quantoresisterà fuori? Io penso poco, è debole e ricascherànella droga.Per fortuna tra pochi giorni dovrei cominciare alavorare, non vedo l’ora per poter far sera stancamorta e dormire subito e profondamente. Ma ciò chespero di più e di vederti presto.

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Non ti ho ancora ringraziata per la stoffa rosa che mihai portato, mi piace molto e ci farò un bellissimoricamo per te.A presto con l’augurio di tante buone cose, ciao.

Gaby

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Lecce, 17 maggio 1996

Mia preziosa amica,mi accingo a scriverti sepolta in questo limbo diespiazione che è il carcere di Lecce. Il morale è quello che è! Mi faccio forza nella consapevolezza che il peggioè passato, ma l’attesa che mi separa dalla sospiratalibertà resta ancora un lungo capitolo tutto da leggeresulla mia pelle. Giorni e giorni tutti uguali che passeranno! Hofiducia nel futuro, forse sarebbe più giusto dire, in mestessa. La sera vado a letto serena, senza avere nullada rimproverarmi, e ciò è già tanto! Martedì scorso sono andata in tribunale e ilmagistrato di sorveglianza mi ha concesso i 45 giornidi liberazione anticipata sul semestre richiesto. Ilcarcere mi ha fatto un’ottima relazione... e il mio finepena continua ad accorciarsi! Ne sono stata felicenaturalmente; ma sbirciare dai finestrini del blindato lospiraglio affaccendato della città libera, ha provocatoin me una sensazione dolorosa. Persino il sole mi hatravolto nella sua luce dorata. L’invisibile mano della mente ha stretto il miocuore in una morsa di gelida sofferenza. Ancoraesclusa da quello che mi è più caro! Mia cara, forse nel chiuso di una cella si riesce asognare ingannando la realtà, ma ti assicuro è duratrovarsela davanti e saper tristemente che ancora nonti appartiene.

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Una lettera! Il piacere di comunicare, di rileggereuno stralcio di passato e sorprendersi a scoprirsi comeeravamo: emozioni sopite che tornano a rivivereattraverso un foglio di carta! Per me, nel contesto incui vivo, una lettera può essere la felicità. Reale, vivae pura; l’unica consentitami non facendo colloqui coni miei familiari, come tu ben sai. Hai ragione! I sentimenti, persino i più duraturi,come le lettere d’amore sono destinati a smarrirsi. Ilpassato per quanto dolce si autodistrugge nel tempo ele lettere si perdono, non per incuria: si strappano, sibruciano. La vita, atroce beffa, ci strappa ai ricordi, aciò che più si ama. A noi detenuti viene persinolimitata la capacità di donare amore alle persone piùcare. Succede come nel mio caso, nel caso di chi tuttoha perso - ai terremotati per esempio. Eppure oltre lamemoria sopravvivono sempre dei frammenti.Strazianti testimoni di morte, perché un ricordo èveramente tale, quando riporta a una persona, ad unamore, un’amicizia non più presente, altrimenti nonscatenerebbe una così profonda nostalgia. Si rimpiange quello che non potrà essere mai più,mai più avere, perché perso per sempre. E quando sicapisce che vivere comporta adeguarsi alla leggespietata della sopravvivenza che dà per togliere e peravere bisogna rinunciare sempre e comunque, restasolo nel cuore, tacito, doloroso e grandioso il ricordodel bello e del brutto, del passato amato e sofferto eche non può ritornare. Ricordare l’amore ci fa rivivere

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attimi d’immortalità, ci innalza per poi farci ricaderesu questa terra dove tutto è relativo e caduco. Scrivimi presto, amica mia. Ti abbraccio congrandissimo affetto, tua

Elvira

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Roma, 2 luglio 1997

Carissima e dolcissima Athe,stamattina la mia mamma ha ricevuto la tua lettera evedessi, ne è rimasta tanto contenta. Poi come saiscrivere tu, le tue parole toccano davvero i cuori dellepersone, e così oltre al mio che è pieno, anzistracolmo d’amore per te, hai toccato anche il cuoredella mia mamma.Mi manchi molto, mi manca l’amore che mi davi, laserenità che mi procuravi, mi manchi e basta! Tivoglio un bene immenso e non potrebbe essere checosì. Il motivo è semplice, tu cara Athe mi hai fattocapire che vale la pena di vivere. Sai, leggo e rileggole tue lettere anche dieci volte al giorno, e mi dannotanta forza! Quanto amore mi hai dato... tanto,tantissimo! Se non ci fossi stata tu a Pisa, avrei fattola fine della povera Margherita, perché in me nonc’era più voglia di vivere. Tu mi hai ridato la vita, contutto l’amore di cui sei piena, un po’ alla volta mi haitirato su, e io stavo così bene con te che quandodovevi lasciarmi per me era uno strazio. Come faccioa dirti che il bene che provo per te è immenso, infinitoe che non cesserà mai di esserci? Ora, come ti dissianche al Don Bosco salutandoti, non mi abbandonare,sia pure per lettera.Sai che mi trovo agli arresti domiciliari, ma nonimmagini dove! Siccome la casa di mia madre non eraagibile, ci hanno trovato una sistemazione in un

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convento di Cappuccini, in una piccola casaadiacente. E’ in campagna, immersa nel verde: apro laporta e subito un grandissimo prato verde che non misembra neanche vero da quanto è bello. Dovunqueguardo è verde! La sera vedo le lucciole e sai, caraAthe, erano anni che non le vedevo. E anche questa èvita, no? La mia mamma mi è vicinissima, fa moltisacrifici per non farmi mancare nulla. Poi c’è unpadre cappuccino che è un santo. Dico così perchégrazie a lui mangiamo gratis, ci dà di tutto. Tutto nelsenso che c’è l’orto, il pollaio, la frutta: non c’è dacomprare nulla. Spero tanto che ci tengano qui alungo.Che altro dirti, vivo, rivivo, grazie a te. Sono uscitadal Don Bosco sabato 28.6.97, per me resterà unadata indimenticabile. Ti voglio bene, tua

Monica

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Pisa, settembre 1997

Gentile Assistente,le rispondo volentieri e la ringrazio per l’aiuto moraleche mi dà. Prima di essere qui scrivevo solo alla miamamma; lunghe lettere per raccontargli ogni cosa bellache vedevo e facevo, i piccoli problemi e le piccolegioie. Nelle mie lettere, come in uno specchio, sirifletteva la mia anima, che aveva tanto amore enostalgia per la mia mamma lontana. Era così belloscriverle. Molto più bello di una semplice telefonatache trasmette solo le vibrazioni di una voce e che alsegnale ti costringe a salutare senza lasciarti il tempodi finire la frase. E quando riagganci ti rimane il vuotodi tante cose non dette e di altre non ascoltate, ti sentiabbandonato nella solitudine di una cabina telefonicacol corpo gelato della cornetta stretta nella mano.Ma da quando sono qui è tutto cambiato, le mie letteresono diventate brevi e tristi. Non riflettono più la miaanima, perché qui non c’è anima, non c’è spirito pervivere. Ora le mie lettere assomigliano a questi muribianchi e freddi che mi circondano e mi fanno paura,mentre disperato penso alle mie care persone e aspettoansiosamente le loro risposte. Ogni giorno aspettouna lettera come il dono più grande, fino a che laguardia, con occhi gelidi, non mi fa capire che, ancheoggi, per me non c’è niente. Passano così giorni chenon terminano mai, poi finalmente la scorgo nel paccodelle lettere sul tavolo, col francobollo dell’Albania. Ein quel momento il mio cuore cominci a battere

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talmente forte che sembra voglia passarmi da parte aparte.La leggo mille volte, fino a impararla a memoria e asentire la voce di mia mamma che pronuncia lo stessosaluto finale di ogni lettera: "Tesoro della mamma,prego ogni giorno Dio che ti riporti al più presto acasa". E penso: quante altre volte dovrò leggerequeste parole così dolorose?Cara Signora, mi fermo qui. Sono contento di essereriuscito a scriverle e spero che anche lei mi scriveràancora. A presto,

Edi

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Bangkok 15.6.97

Buongiorno,Mi scuso di non aver scritto prima, sonoimperdonabile, ma rassicuratevi, non vi ho maidimenticata. Come potrei dimenticare una signora cosìgentile? Io non dimentico mai le persone con cui hoavuto buone relazioni. Spero che anche voi non miabbiate dimenticato.Durante il periodo che sono stato in prigione a Pisavoi, mi avete aiutato moralmente, ero il solo francese,mi sentivo solo in quella prigione e voi mi aveteaiutato a rompere la monotonia carceraria. Comesapete sono stato liberato il 1° luglio 1994, non hoavuto occasione di dirvi arrivederci. I carabinieri mihanno accompagnato alla frontiera francese e mihanno messo sul primo treno per Marsiglia, in seguitoho preso un altro treno per Parigi. Sono stato unasettimana a Parigi, poi ho comprato un biglietto aereoper andare a Bangkok per raggiungere mia moglie emio figlio.Vi domanderete certamente perché non vi ho scrittoprima, saranno presto tre anni che sono sortito diprigione.Non vi ho scritto prima perché mi é capitato unabrutta storia. Sono arrivato a Bangkok il 22 luglio'94, sono andato direttamente a raggiungere miamoglie e mio figlio. Una brutta sorpresa mi aspettava.

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Mia moglie aveva un altro uomo nella vita e nonvoleva rivedermi.Credetemi, sono stato molto deluso di vedere che miamoglie non mi voleva più.Ho dovuto affrontare l'uomo che viveva con miamoglie perché rifiutava di farmi vedere mio figlio,l'ho ferito al ventre con un coltello. Poi è arrivata lapolizia, sono stato denunciato per aggressione elesioni. Sono stato processato condannato a 3 anni e 6mesi di prigione.Io non ho veramente fortuna, appena uscito diprigione in Italia eccomi di nuovo in prigione.Sono riuscito a trovare il vostro indirizzo grazie a unprigioniero italiano che ha chiesto alla sua famiglia difare ricerche in tal senso; ciò ha richiesto molto tempoma finalmente l'ho avuto.Sono desolato di farvi sapere questa cattiva notizia, ioche pensavo di non ritornare mai più in prigione.Certamente è colpa mia, ma quell'uomo è statoaggressivo con me e soprattutto non voleva chevedessi mio figlio. Ciò mi ha messo in collera e avreivoluto ucciderlo, ma meno male che non l'ho fattopoiché avrei avuto l'ergastolo. In Tailandia la legge èsevera, 3 anni e 6 mesi per aggressioni e ferite èmolto, non mi hanno fatto un regalo. Sapete, laprigione in Tailandia è l'inferno, in Italia le carcerisono alberghi a 4 stelle in confronto a quelletailandesi.Per i primi sei mesi di detenzioni avevo le catene diotto Kg alle caviglie 24 ore su 24. Dopo sei mesi me

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le hanno tolte e mi sono sentito leggero come unapiuma. Ho delle cicatrici sulle caviglie che terrò pertutta la vita.Ma qui tutti i prigionieri devono tenere le catene aipiedi i primi sei mesi. Siamo trattati in modoveramente selvaggio. Si ha l'impressione di essere inun campo di rifugiati in Etiopia.Viviamo in condizioni vicine alla sopravvivenza.siamo 4000 prigionieri ammassati gli uni agli altri;obbligati a lavorare duramente 10 ore per giorno, iguardiani picchiano i prigionieri che non lavoranosvelti, con dei bastoni di legno picchiano sul sederecon tutta la forza. Viviamo come cani in questaprigione. Ogni giorno ci sono prigionieri chemuoiono per malattia, perché qui non c'è ospedale.Coloro che ricevono denaro dai loro amici possonovivere meglio. Con il denaro tutto si può comprare,anche la libertà; non c'è nulla di gratuito.Per il vitto ci danno solamente due piatti di risobianco, di cattiva qualità, al giorno. Non legumi nécarne. Coloro che hanno soldi possono comprare delbuon cibo, gli altri mangiano il riso bianco senzanulla. L'ambasciata di Francia dà 200 franchi al meseper ogni prigioniero francese, qui siamo settefrancesi. Siccome dobbiamo comprare il mangiareogni giorno, duecento franchi non bastano. Un Kg dicarne costa presso a poco 40 franchi. Con 200 franchipossono vivere appena una settimana facendoeconomia. Purtroppo non ricevo altro denaro perchénon ho amici fuori che mi aiutano e non ho voluto

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dire a mia madre che sono in prigione di nuovoperché l'avrebbe fatta diventare pazza. Le ho scrittoche sono diventato buddista e che sono in un tempioin Tailandia. Non le voglio dire nulla, non voglio chesia infelice. Ha assai problemi con me, preferiscomentirle. Sono tre anni ad agosto, è lungo. Hoqualche amico fuori ma nessuno mi aiuta. Nessunomi scrive, voi sapete quando si è in prigione gli amicivi dimenticano e nessuno vi aiuta. Non sono veriamici quando si è in prigione. In questa prigioneognuno è per sé, nessuno aiuta nessuno. Ognunovive solo nel suo angolo e non divide mai il cibo. Lesigarette sono un lusso di prima classe. Ci sonoprigionieri che ricevono pacchi ma non danno mainulla. Ho visto gente picchiarsi per recuperare unacicca di sigaretta per terra. E' veramente miseria totalein questo buco da topi.Ogni Natale la Croce Rossa internazionale dà unpacco per ogni prigioniero straniero, è la festa diNatale ma non per molto. Certi mesi vi è un'epidemiadi tubercolosi in prigione. Amnesty International èstata messa al corrente di questa epidemia, sonovenuti dei medici per fare dei test perché latubercolosi è contagiosa e siccome viviamo gli unisopra gli altri è facile prendere la malattia da unvicino.Hanno scoperto che il 18 per cento di prigionieriavevano la tubercolosi. Cattiva notizia per me: sonopositivo alla tubercolosi, tossisco molto e ogni tantosputo sangue, ma posso curarmi facilmente poiché è

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all'inizio. Sono dimagrito e peso 52 Kg, non mangioabbastanza e la tubercolosi fa dimagrire. Mi hannodato delle medicine che devo prendere ogni giorno,ma questo trattamento non è efficace. Vi sono farmaciefficaci ma non sono gratuiti e bisogna pagarli di tascapropria. Inoltre, di regola i guardiani della prigionevogliono guadagnarci sopra. Il trattamento completocosta circa 2000 franchi. In città, ma nella prigionedomandano 3500 franchi. Ciò è molto per unprigioniero.L'Ambasciata di Francia a Bangkok mi dice che lacura gratuita è buona, nella prigione vi sono molti chel'hanno rifiutata perché sanno che è una cattiva cura.Insomma, credo che la cura a pagamento potrebbeguarirmi meglio e più rapidamente.Sono riuscito a pubblicare gratis un annuncio in ungiornale cattolico in Francia (il Pellegrino), perchiedere dei soldi ed avere un aiuto economico.L'hanno pubblicato il 18 maggio scorso, spero diavere presto risposta. Io non so bene cosa fare pertrovare denaro ed ho pensato all'annuncio.Ho scritto anche ad altri giornali. Sono caduto inbasso, devo mendicare per vivere, è la prima voltache mi capita.Vorrei chiedervi un favore, potete provare a fare unannuncio su giornali italiani o francesi per unacolletta? Forse avrò la fortuna di trovare persone chemi danno un po' di denaro per vivere in questaprigione. Fate come potete, ma senza darvi troppapena per me.

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In ogni caso vorrei corrispondere con voi, scriverviogni tanto. Ho molte cose da raccontarvi: in questaprigione ogni giorno capita qualcosa di strano, coseche è meglio non dire. A parte ciò spero che stiatebene e che la salute sia buona. Quando vi hoconosciuta eravate una donna energica e in pienaforma. Spero che sia sempre così.In prigione mi avete insegnato molto bene l'italiano.Vi sono diversi prigionieri italiani con me, ogni tantoparliamo italiano e mi dicono che lo parlo bene. Speroche un giorno potrò passare le vacanze in Italia, cheamo molto. Il mio avvocato italiano mi ha detto di nonritornare in Italia perché sono stato diffidatodal soggiornarvi, ma un giorno vi torneròclandestinamente o con nome falso. Per ora sono inprigione, posso dimenticare le vacanze, ma prestosarò libero e la vita ricomincerà. Per ora la miapreoccupazione e di cercare di sopravvivere a questoinferno e non diventare pazzo, poiché vi sono moltiche diventano pazzi qui.Spero di aver presto vostre notizie, se vorrete. Sonofelice di aver ripreso contatto con voi, di avere ancoraqualcuno con cui comunicare.A presto.

José

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NOTA

Mi trovo in questo carcere da 13 mesi. Vi sonoentrato che battevano le sbarre delle celle due volte algiorno, comprese quelle dei malati gravi ricoverati alcentro clinico, ci tenevano chiusi in cella 17 ore algiorno e ci passavano il vitto attraverso le sbarre comealle bestie di uno zoo. Oggi avviene esattamente lastessa cosa.Un anno fa erano qui detenute circa 240 persone,diventate 300 nel corso dello stesso anno. Moltonumerosi gli "extracomunitari" e per lo più in attesa digiudizio, che se la passano peggio degli altricompagni di sventura per la loro condizione distranieri senza diritti, oggi come e più di allora.In questo carcere, 13 mesi fa, non c'era una pianta,ne' un'aiuola, ne' un fiore, ne' un filo d'erba: unluogo desertificato con due cortili di cemento dovetrascorrere qualche ora "all'aria". E' ancora così, etuttavia ci si nega di avere fiori o una piantina per lapropria cella facendone richiesta con l'apposita"domandina".La domandina che, per la vita quotidiana del detenuto,rappresenta la totalità degli strumenti di relazione delmondo civile; per parlare con qualcuno, un'urgenza,spedire un telegramma, ritirare un pacco, insommaper qualunque necessità anche la più semplice:domandina! e attendere. Un anno fa ho fatto la miadomandina per avere un barattolo di miele, l'ultimapochi giorni or sono.

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Un anno fa per andare a colloquio si era soggetti aperquisizione manuale ed elettronica, all'entrata eall'uscita, e impediti a portare con sé perfino un fogliodi carta con un promemoria. Ed è ancora così. Pochigiorni fa, nel corso di uno di tali controlli, un agentemi ha sorpreso con alcune caramelle in tasca chesolitamente porto con me per offrirle ai familiari o aqualche bambino che non manca mai in parlatorio; mami ha redarguito l'agente di turno, c'è ora unadisposizione interna che dice che ciò è consentito soloprevio domandina.Il parlatorio, a un anno di distanza, è tale e quale laprima volta: una dismessa saletta rettangolare divisa indue da un banco sormontato al centro da un plexiglassalto mezzo metro che rende aleatorio qualunquetentativo di scambiarsi un abbraccio coi propri cari. Enon manca di essere richiamati dal solito agente se siassumono posizioni poco decorose.Certo, queste sono solo bazzecole. Comunque fannoun bel teatrino, un'infantile commedia. Ma poi, ildramma, la crudeltà sono appena dietro l'angolo,negli interni dove continuano a essere prodotti truci eottusi revival con comparse costrette a ripetere semprela stessa scena muta fino a cavarsi il sangue.Qualcosa, in un anno, è però cambiato, è successo,anche in meglio - malgrado il carcere. Ma quando ecome è difficile a dirsi. L'impressione che si ha è chequesto cambiamento sia purtroppo effimero, edesposto a virulenze ideologiche e corporative che dellapena esaltano in particolare l'aspetto custodialistico e

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afflittivo: per cui quel poco che sembra cambiato inmeglio, e nonostante le mille ragioni umane,umanitarie e giuridiche che esigerebbero di renderlopiù stabile e ampio, è di fatto appeso a un filo. Perchéle ragioni non c'è dubbio che vi sono, e tutti o quasile conoscono; ma chi può ascoltarle veramente?tradurle in provvedimenti e in leggi?Così la commedia continua. Ricalcata su vecchicanovacci. Scandita dalle battiture ferri, dalle porteblindate chiuse la notte, dal querulo rituale delledomandine. E i diritti, i sentimenti, i corpi dellepersone, sbuzzati su un tavolo d'obitorio.Credete è un teatro stabile.

Ovidio Bompressi

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Finito di stamparenel mese di aprile 1998

dalla tipografia Santos Cantelmi s.n.cper conto delle edizioni "Il Grappolo"

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