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Collana di autori e testi latini Exemplaria Giulia Colomba Sannia S189 Ovidio Metamorfosi e trattatistica amorosa

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia S189

Ovidio

Metamorfosie trattatisticaamorosa

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia

®

Ovidio

Metamorfosie trattatisticaamorosa

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A Giulia

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Prima edizione: Gennaio 2006S189ISBN 88-244-7984-7

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009

Questo volume è stato stampato pressoArti Grafiche Italo CerniaVia Capri, n. 67 - Casoria (NA)

Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino

Grafica e copertina:

Impaginazione: Grafica Elettronica

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PremessaIn un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sinceritàcon cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Seho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primoinsegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… Lasua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che pernoi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. Inuna società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applica-zione immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là dellenozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnicae della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia delvivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, maaiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classicisenza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studiclassici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo dellascuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noiae peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla letturadei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezionee in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografiadi un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano diAmmiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina diLucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia delvivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passad’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con laperfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con laraffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, sensodel bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandiinterrogativi della vita.Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato labiografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,

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6 Premessa

ricercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescentisi ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (comese non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettoreattraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido diemozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchitasensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzioneitaliana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché simanifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio dellatino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di fardisperdere energie ed interesse sull’inutile.Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa dellaconoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine hausato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulladidattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza delpensiero espresso:«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturiredall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chiricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuitae indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzoe proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Chesenza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vitaumana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, comericordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dellospirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, pertrasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado diaccogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventarerigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questosi chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: statelontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi miuccidete le cose”».

Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collanaExemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volumecostituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligatodella cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avutocome fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque coni quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione deglistudenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato

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7Premessa

e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire sestessi e la vita.È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogniautore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, insintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solofunzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appar-tenenza o sul tema topico relativo.Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, perfornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note altesto, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggiopoetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto aigeneri che alle connessioni intertestuali e intersegniche.A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delleabilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) dellaprima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, incomprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si dividein analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stilee sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o Ddell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituaregli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedanogli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questotipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti eutilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.

Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e

prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni chemostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e voglianoperseguire l’eccellenza.Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspettie tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dallarubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di unmito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nomemolto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogniautore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolodella rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senzatempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epochestoriche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,il proprio pensiero sullo stesso tema.Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.

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IndicePremessa p. 7

Ovidio: L’epos delle forme nelle Metamorfosi « 12

1. Perché leggerlo? « 122. Il genere letterario di appartenenza: l’epos delle forme nelle Metamorfosi « 133. La vita « 14T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone « 14Incontro tra autori: Petronio e Ovidio: Licaone (Satyricon, 62, 3-14) « 16T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso « 20Pagine critiche: Eco e Narciso: linguaggio adeguato e inadeguato (E. Grassi) « 23

L’economia interna del poema (I. Calvino) « 25

Laboratorio » 27

Prova di verifica 1 - Confronto intersegnico: Forme mutanti in Ovidio e in Roberto Cappucci » 27Prova di verifica 2 - Confronto intersegnico: Apollo e Dafne in Ovidio e in Bernini » 28Prova di verifica 3 - Confronto intersegnico: Il mito di Narciso in Ovidio e in Caravaggio » 32

T3 Metamorfosi IV, 55-166: Piramo e Tisbe « 35T4 Metamorfosi IV, 368-79: Ermafrodito « 43T5 Metamorfosi XIV, 129-53: La Sibilla cumana « 46Incontro tra autori: Pascoli e Ovidio: Filemone e Bauci (Carmina: Laureolus) « 50

Laboratorio » 62

Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: La tessitrice in Ovidio e “lo sfilacciatore” in Parini » 62Prova di verifica 2 - Confronto intertestuale: Marsia in Ovidio e in Dante » 64Prova di verifica 3 - Confronto intersegnico: Il mito del Minotauro in Ovidio e in Picasso » 67Prova di verifica 4 - Confronto intertestuale: Filemone e Bauci in Ovidio e in Pascoli » 69Prova di verifica 5 - Metamorfosi VIII, 711-24: Il desiderio di Filemone e Bauci » 72Prova di verifica 6 - Confronto intertestuale: Mirra in Ovidio e in Alfieri » 74Prova di verifica 7 - Una rilettura dell’opera di Ovidio alla luce delle riflessioni di Giuseppe

Pontiggia: Alla ricerca di Ovidio, da “L’isola volante” » 78

Ovidio: La trattatistica amorosa « 81

1. Perché leggerlo? « 81T1 Ars amatoria II, 123-46: È il carattere che conquista « 82T2 Ars amatoria III, 804-12: La conclusione dell’opera « 85Pagine critiche: L’Ars amatoria (S. Mariotti) « 86

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Laboratorio p. 87

Prova di verifica 1 - Ars amatoria I, 135-70: Al circo » 87Prova di verifica 2 - Ars amatoria II, 345-58: La giusta distanza » 87

T3 Medicamina faciei, 1-28; 43-50: Prologo « 91T4 Remedia amoris 579-90: Fuggire la solitudine « 95

Laboratorio » 98

Prova di verifica 1 - Remedia amoris 297-340: Consigli per dimenticare l’amata » 98Prova di verifica 2 - Remedia amoris 795-814: Cosa mangiare » 101

T5 Heroides I, 1-24; 110-16: Penelope ad Ulisse « 105Pagine critiche: La forma epistolare delle Heroides: un esperimento audace (G. Rosati) « 107T6 Heroides XVIII, 55-110: Leandro ad Ero « 109Incontro tra autori: Virgilio e Ovidio: L’amore tra Ero e Leandro (Georgiche III, 258-63) « 115

Laboratorio » 117

Prova di verifica 1 - Heroides 129-76: Fedra a Ippolito » 117Prova di verifica 2 - Confronto intertestuale: Didone ed Enea in Ovidio e in Virgilio » 121Prova di verifica 3 - Heroides XVI: Paride ad Elena, 1-12, 153-64, XVII, Elena a Paride, 1-10,

75-94, 153-63 » 124

Metrica » 128

Vocabolario dei termini tecnici » 132

Legenda:

T = testo con analisiC = confronto intertestuale o intersegnico

= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza

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•L’epos delle formenelle Metamorfosi

•La trattatistica amorosa

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12 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

Ovidio

L’epos delle formenelle Metamorfosi

1. Perché leggerlo?

Ovidio è il poeta elegante della Roma augustea, dichiaratamente felice di vivere nella suaepoca, versatile nel comporre versi su qualunque argomento. Dalla poesia elegiaca (Amores) aitrattati sull’amore (Ars amatoria e Remedia amoris), dal calendario, repertorio delle festività(Fasti), alle lettere immaginarie delle eroine mitiche (Heroides), dal racconto dell’esilio doloro-sissimo (Tristia ed Epistulae ex Ponto) ai cosmetici (Medicamen faciei), fino alle Metamorfosi,tutto quello che scriveva versus erat, diventava verso. E, Ovidio è, infatti, il poeta della «forma»,che, meglio di ogni altro del suo tempo, rappresenta il clima culturale di raffinatezza e ditrasgressione che caratterizzava la Roma di quegli anni. Di qui il suo allegro definirsilascivi…praeceptor amoris («maestro di amore sensuale») (Ars amatoria II, 497), ma anche ildolore di dover pagare di persona, con un esilio, le cui cause restano ancora oscure, l’ostilitàdi Augusto, rigidamente severo contro l’ironico e galante poeta.Le Metamorfosi sono un «poema epico», secondo la definizione, ormai accettata di Brooks Otis1.Infatti, nella lunghissima narrazione (15 libri in esametri), si canta l’epos delle «forme», cioè dellecreature umane che diventano «forme» animali, vegetali, minerali, quando la «metamorfosi» serve arisolvere – in modo rassicurante e pacificatore – una tensione che ha raggiunto il limite ed èdiventata troppo dolorosa. Non ci sarà più, quindi, nell’uomo il dolore disperante, perché, nelmomento in cui esso diventerà insopportabile, arriverà la mutazione della forma a placarlo. Altempo stesso, non c’è pianta o lago, o fiume, o roccia, o uccello, che non conservi il ricordo di unavicenda umana, spiegando, così, l’origine di tutte le cose (poesia eziologica), ma, soprattutto,fissando, nell’eternità della natura, la fragile caducità dell’uomo. Se divertente e gradevole è lalettura di tutte le opere ovidiane sull’amore, per la disinibita e poetica disposizione a trattarne ogniaspetto, la lettura delle Metamorfosi si presenta come un’avventura continua, in cui ogni episodiosi innesta subito su di un altro, senza interruzione, senza pause di rallentamento, con un ritmonarrativo teso e inesauribile, in cui, l’alternanza dei registri stilistici fa scivolare, di volta in volta,l’epos verso la lirica o l’elegia e perfino verso forme drammatiche e teatrali.Non c’è alcun criterio cronologico che regga le storie, le quali scorrono, l’una dietro l’altra, oincastrate l’una nell’altra, in una narrazione definita da Bettini2 «labirintica», che ha come criteriodi fondo il piacere del raccontare, sorretto dall’uso di una lingua immaginifica, «barocca» antelitteram, per la quale lo «stupore» dell’avvenimento si fa «stupore» della parola poetica.

1 Brooks O., Ovid as an epic poet, Cambridge University, 1970 (traduzione italiana di M.L. Delvigo).2 Bettini M., Antropologia e cultura romana, La Nuova Italia, Firenze.

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13Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

2. Il genere letterario di appartenenza: l’epos delle forme nelle Metamorfosi

L’epica è uno dei più importanti generi poetici del mondo classico. Il termine deriva da epos chesignifica parola, perché in origine era poesia recitata, cantata, il cui scopo era quello di celebrareazioni eroiche e leggendarie. Aristotele la paragona alla tragedia, in quanto esalta i gesti nobili deipersonaggi, ma ne sottolinea la diversità, perché l’epica a differenza della tragedia, era caratterizzatada un unico metro, l’esametro, il verso eroico tipico del genere e perché non esistevano limititemporali nella narrazione.I modelli archetipici di epica, quelli a cui tutti gli autori successivi si rifaranno per adeguarvisi o perrovesciarli, sono, come è noto, i poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, composti tra il IX e il VII secoloa.C. attribuiti alla figura leggendaria di Omero il poeta cieco, ma composti forse da aedi ionici perla recitazione e la trasmissione orale.Non è un caso che la letteratura latina inizi appunto con la famosa traduzione dell’Odisseacompiuta da Livio Andronico, ora andata perduta, ma studiata nelle scuole romane fino all’etàaugustea, secondo la testimonianza di Orazio. Livio Andronico usò come verso il saturnio, allo stessomodo di Nevio nel primo poema epico latino il Bellum Poenicum. Sarà Ennio, con l’introduzionedell’esametro nel suo poema degli Annales, a far conoscere il modello omerico agli scrittori romani.Lucrezio e Virgilio, coll’epos della Natura il primo e con l’epos di Roma il secondo, daranno uncarattere nuovo all’epica, fino ad Ovidio delle Metamorfosi e Lucano del Bellum civile o Pharsalia,che muteranno in modo significativo il genere, l’epos delle forme l’uno, l’epos dell’eroe sconfitto,nella decadenza di Roma, senza dei e senza gloria, l’altro.La poesia epica tradizionale si presenta come un lungo racconto di gesta in cui il protagonista,attraverso le avventure e i rischi affrontati, perviene alla consacrazione del suo ruolo “eroico”.Perché allora definire epos delle forme il poema delle Metamorfosi di Ovidio? Anche qui ci sonolunghe narrazioni di avventure e di mitiche imprese, ma protagonisti non ne sono tanto le innu-merevoli figure che le compiono, bensì è la natura ambigua e sfaccettata nella quale esse vengonotramutate a dominare su tutte le vicende. È la “metamorfosi” da uomo a pianta, da uomo adanimale, da uomo ad elemento naturale, acqua, roccia, a costituire il filo unificante delle storie.Sono le “forme” mutate da quelle umane a quelle naturali, le infinite immagini nelle quali sistempera la tragedia dei protagonisti o si risolve il dramma del singolo, a costituire il tessuto epico.Epico, perciò, è il trionfo della natura sulle povere vicende dell’umanità, epica è la memoria eternache resta della creatura, quando si tramuta e perde se stessa, per diventare parte di un universo nelquale ogni aspetto, dal più umile al più solenne, dal ragno alle stelle, dall’upupa all’alloro, dal fioredel narciso alla rupe si fa “segno”. C’è qualcosa di eroico e di drammatico al tempo stesso,nonostante la levità elegante della narrazione, in questo incalzante mutamento degli esseri umani,per i quali il morire è solo un cambiamento di “forma”. Rinunciando alla propria condizione di esserepensante per perdersi nella forma acquisita attraverso la metamorfosi, l’uomo risolve il propriodramma di vita, la propria pena esistenziale, espia anche le proprie colpe, ma perde per sempre quelconnotato grande e nobile che è soffrire e gioire, cadere e rialzarsi, lottare ed essere sconfitto, conle sue sole forze e la sua volontà. Fissato per sempre nell’immobilità della forma acquisita, egli sadi diventare eterno, ma di non essere più uomo. Allora il lungo poema che nasce con intentoeziologico (spiegare l’origine degli aspetti naturali) rivela una matrice più profonda: è il rifiuto dicredere che la morte estingua in polvere la creatura vivente e ne cancelli per sempre il segno. Inogni aspetto della natura, invece, noi possiamo percepire qualcosa di umano e calarci in esso,accettando con malinconica serenità che le “forme” vinceranno sull’uomo e sul tempo.

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• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

14 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

3. La vita

Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona, inAbruzzo, nel 43 a.C. da un’antica e agiatafamiglia equestre. A Roma studiò grammaticae retorica e completò i suoi studi in Grecia.Destinato dal padre alla carriera forense epolitica, Ovidio avvertì, invece, una forte in-clinazione verso la poesia. Ad alimentare que-sta sua vocazione poetica fu Valerio MessallaCorvino; ma Ovidio fu vicino pure a Mecena-te, e conobbe i maggiori poeti dell’epoca, comeOrazio, Tibullo, Properzio, Gallo (solo per pocovide Virgilio). Frequentò la corte di Augustoe fu molto apprezzato grazie alle letture pub-bliche delle sue elegie amorose.Intorno al 20 a.C. pubblicò un prima raccoltadelle sue elegie gli Amores, suddivise prima incinque libri e poi in tre. In seguito pubblicòaltre opere elegiache: le Heroides («Eroine»);l’Ars Amatoria («L’arte di amare»); i Remediaamoris («Rimedi all’amore»); i Medicaminafaciei («I cosmetici delle donne»). Tutte le operedi Ovidio sono in versi.Tra l’1 e l’8 d.C. il poeta si dedicò a forme dipoesia più impegnate: l’epica mitologica delle

Metamorfosi e l’elegia eziologica dei Fasti, operaquest’ultima che rimase incompiuta a causadell’evento che cambiò la vita del poeta.Infatti, nell’8 d.C., quando ormai aveva rag-giunto il successo, il poeta fu colpito da unordine di Augusto, che lo relegava a Tomi,l’attuale Costanza, sulle coste del Ponto (ilMar Nero). Non si conoscono esattamente leragioni di questo provvedimento, ma proba-bilmente il poeta fu coinvolto in uno scanda-lo di corte insieme con la nipote di Augusto,Giulia Minore, accusata di immoralità, che fuinvece relegata nelle Isole Tremiti.Quella di Ovidio fu una relegatio che, a diffe-renza dell’exilium, non prevedeva la perdita deidiritti di cittadino e la confisca dei beni. Tutta-via, egli fu costretto a rimanere isolato in unaterra selvaggia e inospitale, implorando il per-dono attraverso le elegie dei cinque libri deiTristia («Tristezze») e dei quattro delle Epistulaeex Ponto («Lettere dal Ponto»), senza mai riusci-re ad ottenerlo né da Augusto né dal suo suc-cessore Tiberio. A Tomi rimase per quasi diecianni, fino alla morte, che lo colse nel 17 d.C.

T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone

Ovidio è stato il primo nelle Metamorfosi a parlare di Licaone, re dell’Arcadia, che fu da Giovetramutato in lupo. In verità sono differenti le tradizioni relative a Licaone e alle forme della sua ferociaper cui meritò di essere punito; secondo alcuni avrebbe mangiato le carni di un ostaggio, secondo altriavrebbe dato in pasto il figlio a Giove, secondo altri ancora, – ed è questa la leggenda raccolta daOvidio – avrebbe messo alla prova l’onniscienza di Giove, facendogli mangiare carni umane, pervedere, poi, se il padre degli dei se ne sarebbe accorto.Tutte le tradizioni, comunque, adombrano l’esistenza di un culto primitivo, nelle società arcaiche,che ammetteva sacrifici umani. Questo aspetto antropologico non poteva, però, interessare a Ovidio,elegante e raffinato scrittore. Infatti, egli non si dilunga sulle ragioni della punizione, ma, comesempre, in tutte le metamorfosi, si sofferma sulla genesi del passaggio da uno stato all’altro, ed è qui,naturalmente, il nodo poetico del testo.

Metro: esametro

Territus ipse fugit nactusque silentia rurisexululat frustraque loqui conatur; ab ipso

232-33. Territus…conatur: «Atterritoegli fugge, imbattendosi nel silenzio

della campagna ulula e invano tenta diparlare».

Territus: in posizione rilevata ha il sintagmasilentia ruris come correlato: dalla paura si

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15Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

colligit os rabiem solitaeque cupidine caedisutitur in pecudes et nunc quoque sanguine gaudet. 235In villos abeunt vestes, in crura lacerti:fit lupus et veteris servat vestigia formae;canities eadem est, eadem violentia vultus,idem oculi lucent, eadem feritatis imago est.

trova nel silenzio in cui solo il suo ululatosi udrà e, infatti, nel verso seguente il ver-bo exululat è in incipit; nactus: participiopassato di nanciscor; silentia: accusativoplurale.Si noti il chiasmo:

exululat frustra

loqui conatur

Frustra: avverbio, collocato in posizionetale da essere in rapporto sia con l’ulu-lare che con il parlare, come se tuttoappunto fosse inutile, «vano».233-35. ab ipso… gaudet: «il volto espri-me la sua rabbia e dà sfogo al desiderionella consueta violenza contro le bestiee ora ancora gode del sangue».Ab ipso: «da lui», è stato omesso perchiarezza nella traduzione; os: è propria-mente «la bocca», per metonimia è il

volto; solitae: genitivo concordato concaedis, allude alle abitudini sanguinariedi Licaone; cupidine: ablativo dipenden-te da utitur.Utitur e gaudet in incipit e clausola sonorilevati, a indicare la ferocia del perso-naggio.236-37. In villos…formae: «Le vesti sitramutano in peli, le braccia si tramuta-no in gambe, diventa lupo, eppure con-serva i segni dell’antica forma».La simmetria villos…crura sottolinea ilsimultaneo mutamento; abeunt: da abeo,è propriamente «se ne vanno»; fit: inincipit fa chiudere come in chiasmo lupuse veteris formae; veteris vestigia: l’al-litterazione rimarca i due termini per sot-tolineare l’importanza dei «segni» antichi(vestigia) che non scompaiono del tutto;crura: accusativo plurale di crus-cruris;veteris: da vetus, significa «vecchio», ma

implica anche una sorta di sfumaturapositiva, come «antico».238. canities…vultus: «la canizie è lastessa, la stessa è la violenza del volto».Si noti il chiasmo che serra al centro ilpronome ripetuto, a indicare l’orrendoricordo della prima natura che si scontracon l’altra, animalesca:

canities eadem

eadem violentia

239. idem oculi…imago est: «gli occhiluccicano allo stesso modo, l’immaginedella sua ferocia è la stessa».Idem…eadem: il poliptoto sottolinea an-cora l’oscuro miscuglio di umano e dianimalesco; idem: plurale nominativo ri-ferito ad oculi; lucent: lessema pregnan-te perché esprime l’intensità con cui bril-lano gli occhi del lupo.

Analisi testuale T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone

Fit lupus et veteris servat vestigia formae: è questo il «segno» del passaggiodall’ambiguo miscuglio di uomo e di animale, sottolineato anche dal chiasmo:

fit lupus

veteris servat

Il chiasmo viene reso più efficace sul piano semantico dall’iperbato veteris…formae,in cui formae, in clausola, rilevato e allontanato, fa come avvertire la «distanza» cheormai corre tra il presente ferino e la passata forma umana. Il lupo Licaone ha, infatti,qualcosa ancora di umano, così come da uomo aveva avuto qualcosa di bestiale.Il poliptoto ripete insistente che nulla è cambiato: eadem…eadem…idem…eadem:sempre uguale è la ferocia, appartenga essa all’uomo o all’animale. Il connotatofisico più nobile dell’uomo era nel mondo antico avere i capelli bianchi, segnodi saggezza e di esperienza e, perciò, degno di massimo rispetto: qui canities eviolentia vultus sono messi non a caso in opposizione dal chiasmo, proprio adindicare qualcosa di contraddittorio e di distorto, un oscuro stravolgimentodell’umanità in cui restano i capelli bianchi a testimonianza di un’occasionesmarrita di essere «uomo», di una grandezza perduta, di una dignità offesa dalproprio errore. Anche qui, come in altri miti, ad essere mortificata è la parola,

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• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

16 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

l’attributo più alto delle qualità umane: exululat frustraque loqui conatur. Èancora una volta la figura retorica dominante del chiasmo a sottolineare ladolorosa contrapposizione tra l’ululare (in incipit exululat) e il parlare (loqui); lasua bocca serve solo a raccogliere la rabbia e a far esplodere l’orrore.Di fronte a tanta deprivazione, infatti, è solo la bestialità dei gesti che puòtrionfare così il fascio semantico della violenza accompagna la sua metamorfosi:rabiem…cupidine caedis sanguine gaudet…violentia feritatis. E tuttavia i partico-lari fisici, memoria della perduta umanità, restano, seppur stravolti, in una com-mistione inquietante di uomo e bestia: vestes, lacerti, vultus, oculi.

Incontro tra autori

Petronio e Ovidio: LicaoneDue scrittori narrano con profonda differenza l’uomo-lupo: Ovidio coglie l’aspetto dram-matico, Petronio quello umoristico-folklorico.

Satyricon, 62, 3-14

Alla cena di Trimalchione, un amico del padrone di casa, Nicerote, racconta una sua avventuradurante un viaggio a Capua: il soldato che lo accompagnava, all’alba, si tramuta in lupo mannaro.

[3] Erat autem miles, fortis tamquam Orcus. Apoculamus nos circa gallicinia; luna lucebattamquam meridie. [4] Venimus intra monimenta: homo meus coepit ad stelas facere, sedeoego cantabundus et stelas numero. [5] Deinde ut respexi ad comitem, ille exuit se et omniavestimenta secundum viam posuit. Mihi anima in naso esse, stabam tamquam mortuus.[6] At ille circumminxit vestimenta sua, et subito lupus factus est. Nolite me iocari putare;ut mentiar, nullius patrimonium tanti facio. [7] Sed, quod coeperam dicere, postquamlupus factus est, ululare coepit et in silvas fugit. [8] Ego primitus nesciebam ubi essem,deinde accessi, ut vestimenta eius tollerem: illa autem lapidea facta sunt. [9] Qui moritimore nisi ego? Gladium tamen strinxi et in tota via umbras cecidi, donec ad villamamicae meae pervenirem. [10] Ut larva intravi, paene animam ebullivi, sudor mihi perbifurcum volabat, oculi mortui, vix unquam refectus sum. [11] Melissa mea mirari coepit,quod tam sero ambularem, et «Si ante» inquit «venisses, saltem nobis adiutasses; lupusenim villam intravit et omnia pecora perculit, tamquam lanius sanguinem illis misit. Nectamen derisit, etiam si fugit; servus enim noster lancea collum eius traiecit». [12] Haec utaudivi, operire oculos amplius non potui, sed luce clara Gaii nostri domum fugi tamquamcopo compilatus, et postquam veni in illum locum, in quo lapidea vestimenta erant facta,nihil inveni nisi sanguinem. [13] Ut vero domum veni, iacebat miles meus in lectotanquam bovis, et collum illius medicus curabat. Intellexi illum versipellem esse, necpostea cum illo panem gustare potui, non si me occidisses. [14] Viderint alii quid de hocexopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam.

Traduzione

[3] Era poi con me un soldato forte come un demonio. Al primo canto del gallo ce la svignammo; la lunasplendeva come se fosse mezzogiorno. [4] Arrivammo ad un cimitero. Il mio uomo cominciò a fare i suoi

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17Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

bisogni vicino alle tombe, io mi seggo canticchiando e mi metto a contare le tombe. [5] Poi, come mi voltaia guardare il compagno, questi si spogliò e sparpagliò i vestiti lungo la strada. Io avevo l’anima in gola estavo immobile come morto. [6] Ma quello urinò tutto intorno ai suoi vestiti e improvvisamente divennelupo. Non pensate che io scherzi; non mentirei per nessuna ragione al mondo. [7] Ma, come avevocominciato a dire, dopo che divenne lupo, cominciò ad ululare e fuggì nei boschi. [8] Io all’inizio nonsapevo più dove fossi, poi mi avvicinai per prendere i suoi vestiti: quelli erano diventati di pietra. [9] Chinon sarebbe morto di paura se non io? Tuttavia impugnai la spada e per tutta la via detti colpi alle ombre,finché non giunsi alla casa della mia amica. [10] Entrai come un cadavere, quasi esalai l’anima, il sudoremi colava per le gambe, gli occhi ciechi, a stento, infine, mi ripresi. [11] La mia Melissa cominciò ameravigliarsi che me ne andavo in giro tanto tardi e mi disse: “Se fossi venuto prima almeno ci avrestiaiutati, infatti un lupo è entrato nella casa e ha assalito tutte le pecore, come un macellaio ha levato loroil sangue. Tuttavia non l’ha fatta franca, anche se è scappato, infatti, un nostro servo gli ha trapassato il collocon una spada”. [12] Come sentii questo, non potetti più chiudere occhio, ma appena fu piena luce, fuggiia casa del nostro Gaio, come se fossi un oste bastonato e dopo che arrivai in quel posto dove i vestiti eranodiventati tutti di pietra, non trovai altro che sangue. [13] Ma appena venni a casa vidi che il mio soldatostava steso a letto come un bue e un medico gli curava il collo. Allora capii che quello era un lupo mannaroe da allora non sarei riuscito più a mangiare il pane con lui, neppure se tu mi avessi ucciso. [14] Vedanogli altri che cosa vogliono pensare su questo fatto; quanto a me se mento, che i vostri dei protettori sianoarrabbiati con me.

Analisi testuale Petronio: Satyricon, 62, 3-14

Il testo è caratterizzato dalla potente contrapposizione tra la figura demoniaca delmiles, fortis tamquam Orcus («forte come un diavolo»), già prima di rivelarsi lupomannaro, e la figura del narratore (Nicerote), che riferisce con enfasi e toniallarmati l’avventura occorsa.Consideriamo, pertanto, il linguaggio relativo al miles.Il miles/Orcus si tramuta al canto del gallo: gallicinium è l’alba e perciò il tempoindica la «porta», la «soglia», segno di passaggio dal giorno alla notte, dalla vitaalla morte, dalla terra all’aldilà, da uomo a bestia.Coepit…facere…circumminxit: l’inizio della metamorfosi coincide con i compor-tamenti animaleschi (urinare) e, poi, comporta il denudarsi, deporre l’attributodell’uomo che è il vestito (exuit se).L’ululare, il mutamento di voce, corrisponde all’avvenuto mutamento di stato:lupus factus est.In silvas fugit: la fuga verso il bosco costituisce il «distacco», la «funzione», cioè,dell’allontanamento, secondo la terminologia di Propp1, con cui si opera ilcambiamento di stato.Il lessema sanguinem, ripetuto per due volte nel racconto, rimarca l’importanzadel tema che ha una specifica centralità nella cultura folklorica: il licantroposparge sangue e versa sangue. Il male compiuto viene lavato col sangue rituale,in una dialettica vita/morte in cui la crisi di frattura della personalità si risolve conun recupero dell’umanità. Infatti, alla fine: Iacebat in lecto…medicus curabat.Quindi, egli dallo spazio ferino della selva passa alla intimità protetta della casae, in particolare del letto, luogo sacro della vita e della morte. Vediamo ora lareazione di Nicerote, o meglio, la descrizione del suo terrore.

1 Propp V., Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1988.

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• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

18 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

La paura si riveste di immagini allusive della morte:

• anima in naso;• stabam tamquam mortuus;• mori timore;• ut larva;• animam ebullivi;• oculi mortui;• operire oculos amplius non potui.

L’intellexi («capii») finale sta a indicare che ormai si è creata la barriera, l’altro èun «diverso» da cui bisogna difendersi e con cui non si può dividere il pane: necpostea cum illo panem gustare potui. Non è più, dunque, un «compagno» in sensoetimologico (cum+panis).Al racconto di Nicerote seguirà dopo poco quello di Trimalchione sulle streghe,in sintonia col tema del magico e dell’irrazionale, presente nel lupo mannaro.È interessante applicare al brano lo schema triadico di Bremond2, secondo il quale lalogica delle azioni del protagonista segue o un miglioramento possibile o un peggio-ramento o alterna miglioramento e peggioramento nella successione detta «testa/coda».

Nel caso del personaggio del lupo mannaro abbiamo appunto un «testa/coda»:

Trasformazione Processo Trasformazioneda compiere di trasformazione compiuta

da stato umano tempo e luoghi ritorno allo stato umanoa stato animale rituali da quello animale

arrivo della crisi manifestazione della crisi termine della crisi

Questa alternanza, che si verifica nel licantropo, rappresenta simbolicamente unentrare e un uscire dalla conoscenza. Il viaggio di Nicerote e dell’amico non èaltro, infatti, che l’avventura e il rischio legati alla conoscenza. Tale racconto diviaggio, del resto, è inserito nell’altro lungo viaggio che costituisce la trama delSatyricon tutto e, attraverso le molteplici vicende dei protagonisti, approda almondo distorto e degradato di Crotone, città dei morti, simbolo di una societàin sfacelo, qual era quella dell’epoca di Petronio.La crisi dell’uomo che si trasforma in lupo si configura, così, come una sorta di«viaggio», in cui l’individuo diventa «altro da sé», perde la propria identità cono-sciuta, per entrare in un’altra dimensione, scoprire l’ignoto che c’è dietro il noto,varcare, quindi, la «frontiera» che separa il sé dall’altro.In tal senso, il racconto di Petronio è la metafora della duplicità interiore, dellosdoppiamento di personalità. Quello che muta, invece, a seconda dei contesti èil modo con cui è sentito, valutato, considerato tale sdoppiamento: orrore per labestialità dell’uomo, ammirazione per la sua forza sovrumana, curiosità per lastranezza del fenomeno o pietà, dolente malinconia per la creatura malata e sola,

2 In AA.VV., L’analisi del racconto, Bompiani, Milano, 1969.

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19Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

chiusa nel cerchio irraggiungibile del suo mistero, «segno» di ribellione ad unmondo falso, fatto di sole apparenze.In Petronio, quindi, la licantropia si inscrive nel significato di tutto il romanzo, qualela rappresentazione del mondo rovesciato dei valori romani al tempo di Nerone.Se si considera, invece, la figura del lupo mannaro come espressione di un passaggiodallo stato di cultura (uomo) a quello di natura (lupo) e, poi ancora, un ritorno allostato di cultura (uomo), si può cogliere in questa metamorfosi un significato antro-pologico. Rappresenterebbe, infatti, la testimonianza di antichi rituali, forse di carat-tere iniziatico, che accompagnavano il momento di ingresso nella pubertà.L’acqua, il fango, il sangue, che compaiono in tutti i racconti, sia letterari chefolkloristici, sono gli elementi tipici della purificazione rituale. Il lupo, d’altrocanto, era animale diffuso nell’area geografica europea, per cui assume unsignificato ambiguo, insieme negativo e positivo: è espressione del male erappresenta il demoniaco, perché minaccia la comunità (si pensi allo spauracchiodel lupo cattivo o alla fiaba di Cappuccetto Rosso); è espressione del bene,invece, in quanto dotato di una forza superiore e di un potere eccezionale.Dominarlo significava poterlo inserire nel contesto della civiltà, cioè «convertirlo».Così, nelle leggende medioevali i santi (S. Francesco, S. Domenico ecc.) riesconoa volgere, convertire (cum-verto) la sua natura bestiale in comportamento umano,riportando la vittoria sul nemico, come «eroi» sorretti dalla potenza divina. Il canelupo, fedele al padrone più di tutte le altre razze, rappresenta, appunto, questoconflitto natura/cultura ormai risolto. Nel licantropo, invece, le due connotazioniopposte, cultura/natura, ordine/disordine, umanità/bestialità, continuano a convi-vere in modo inquietante, suscitando un’ambigua reazione: orrore per il suocomportamento bestiale, ammirazione per il suo potere sovrumano.Non a caso la tradizione folklorica riferisce che i contadini non sparano mai adun lupo, perché temono che in esso si nasconda un uomo.La trasformazione che subisce il lupo mannaro nelle notti di plenilunio, rappre-senta un «passaggio», quindi, verso territori sconosciuti in cui l’io sperimentaquello che l’antropologo René Girard definisce il «doppio mostruoso», la scissionetra il «sé» e l’«altro da sé», e «il soggetto sembra obbedire ad una forza venutadall’esterno» (La violenza e il sacro, Adelphi Edizioni, Milano, 1986).Il «viaggio» del licantropo si configura, pertanto, ancora come un viaggio verso laconoscenza, con la dolorosa rottura del consueto che ogni conoscenza comporta.

Si ha così questo tipo di schema:

LICANTROPIA

Crisi

consorzio umano, perdita di identità, mondo soprannaturale,spazio noto passaggio e varco spazi esterni, ignoto,

della «frontiera», visione nuova e profondamorte dell’io delle cose, comprensione

diversa

Petronio: monimenta, silvas (bosco), solitudinevia, villam, domum,

lecto ecc.

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• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

20 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

Lotman e Uspenskij3 hanno rappresentato con il seguente grafico il concetto di«frontiera», di chiusura, cioè, che si tende ad ergere tra la propria cultura antro-pologica (religione, usanze, riti ecc.) e quella altrui:

IOfrontiera

IN = (bene)

ALTRO

ES = (male)

Ciascuno difende il proprio «spazio» di cultura e ritiene nemico l’«altro» che occupalo «spazio» fuori della frontiera. Di qui, all’opposto, tolleranza è abbattere la«frontiera» per aprire il proprio spazio geografico e metaforico alla cultura altrui,accettando scambio e confronto, senza paure e diffidenze.

T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso

L’episodio di Eco e Narciso è tra i più noti delle Metamorfosi: Eco per aver spiato la dea Giunone fupunita a dover perdere la voce e a poter ripetere solo le parole finali delle frasi altrui. Eco incontra ilbellissimo Narciso e vorrebbe parlargli, ma naturalmente non può e si distruggerà d’amore, da lui irrisa.Narciso, invece, come è noto, specchiandosi nell’acqua crederà di scorgere una creatura reale bellissimae si innamorerà di sé, fino a morire annegato, nel tentativo di abbracciare lo sconosciuto ragazzo.

Metro: esametro

O quotiens voluit blandis accedere dictis 375et mollis adhibere preces! Natura repugnatnec sinit, incipiat; sed, quod sinit, illa parata estexspectare sonos, ad quos sua verba remittat.Forte puer comitum seductus ab agmine fidodixerat «Ecquis adest?», et «Adest!» responderat Echo. 380

3 Lotman J. - Uspenskij I., Tipologia della cultura, Bompiani, Milano, 1975.

375-76. O quotiens…preces!: «O quantevolte volle avvicinarglisi con dolci parolee rivolgergli tenere preghiere!».Nei versi che precedono Ovidio dice cheEco ha visto Narciso vagare per i campi.Dictis: in clausola, è parola chiave per-ché è lì tutto il dramma di Eco, nellaparola; mollis: sta per molles.376-78. natura…remittat: «la natura glie-lo vieta né permette che lei inizi, ma ciò che

le permette, è che lei sia pronta ad attende-re i suoni da riecheggiare con le sue parole».Repugnat: da re-pugno, indica propriocome una lotta tra Eco e la natura;sinit…quod sinit: i due incisi rimarcanociò che è lecito e ciò che non lo è, conla ripetizione dello stesso verbo; inci-piat: congiuntivo dipendente da repu-gnat; remittat: congiuntivo consecuti-vo, come a mostrare il meccanismo qua-

si automatico: lei sente suoni e ripetesuoni.376-80. Forte puer…Echo: «Per caso ilragazzo separatosi dalla schiera fidata deisuoi amici aveva detto: “Chi c’è?” e “C’è”aveva risposto Eco».Seductus: participio, da seduco, preparala condizione di solitudine in cui si con-suma l’esperienza dei due personaggi; fido:accordato con agmine segna il passaggio

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21Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

Hic stupet, utque aciem partes dimittit in omnes,voce «Veni!» magna clamat: vocat illa vocantem.Respicit et rursus nullo veniente «Quid» inquit«me fugis?» et totidem, quot dixit, verba recepit.Perstat et alternae deceptus imagine vocis 385«Huc coëamus!» ait, nullique libentius umquamresponsura sono «Coëamus!» rettulit Echoet verbis favet ipsa suis egressaque silvaibat, ut iniceret sperato bracchia collo.Ille fugit fugiensque manus complexibus aufert; 390«Ante» ait «emoriar, quam sit tibi copia nostri!»Rettulit illa nihil nisi «Sit tibi copia nostri!»Spreta latet silvis pudibundaque frondibus oraprotegit et solis ex illo vivit in antris;sed tamen haeret amor crescitque dolore repulsae: 395et tenuant vigiles corpus miserabile curae,adducitque cutem macies, et in aèra sucuscorporis omnis abit; vox tantum atque ossa supersunt:vox manet; ossa ferunt lapidis traxisse figuram.

dal noto all’ignoto, da ciò che dà fiduciaa ciò che è sconosciuto; adest: da adsum,propriamente «è presente»; puer…Echo:sono in collocazione opposta, l’uno inincipit, l’altro in clausola, come a volercreare, anche formalmente, la distanza cheli separa.381-82. Hic stupet…vocantem: «Questiresta stupito e dopo aver girato lo sguar-do in ogni parte, chiama a voce forte“Vieni!”. Lei chiama lui che chiama».Il verbo dimittit, da demitto, indica ilmovimento dello sguardo dall’alto inbasso; si noti voce in incipit e vocatvocantem (allitterazione, figura etimolo-gica e poliptoto) che concentrano l’at-tenzione sulla voce come nodo dell’epi-sodio.383-84. Respicit…recepit: «Guarda dinuovo e, poiché di nuovo non viene nes-suno “Perché fuggi da me?” chiese e rieb-be ugualmente le stesse parole che disse».I tre verbi re-spicit, re-cepit, rursus, in-dicano con insistenza il ripetersi ossessi-vo delle voci.385-87. Perstat…Echo: «Si blocca fermoe ingannato dal suono di un’altra vocedice “Uniamoci qua!” e Eco rispose “Unia-moci!” a nessun altro suono mai piùvolentieri disposta a rispondere».Nulli: dativo accordato con sono; respon-sura: participio futuro di respondeo; co-eamus: congiuntivo esortativo di coeo,

da cum+eo (= «andare insieme») ed èparola ambigua che può alludere al rap-porto sessuale.388-89. et verbis…collo: «e uscendo dalbosco in risposta alle sue parole, andavaa gettare le braccia al collo amato».Il verbo favet significa letteralmente «fa-vorisce» e regge il dativo verbis; ibat:l’imperfetto prolunga il gesto nel tempoe significa «stava per»; sperato: tradottocon «amato» ha in sé anche il senso del-l’attesa; egressa: participio passato diegredior, regge l’ablativo silva.390-91. Ille fugit…nostri: «Egli fugge efuggendo strappa le mani ai suoi ab-bracci; dice: “Vorrei morire piuttosto cheessere tuo!”»Si noti il poliptoto fugit fugiens per rimar-care la repulsione che diventa fuga da lei;complexibus: ablativo, da complexus, indi-ca l’abbraccio stretto; aufert: da ab+fero,esprime il «portar via da»; ante…quam: si ètradotto «piuttosto che»; copia: letteral-mente è «abbondanza», «pienezza»; nostri:genitivo, pluralis maiestatis, «di noi», edesprime il possesso totale «pieno».392. Rettulit…nostri: «Rispose lei nientealtro se non “che essere tuo”».Rettulit: da re+fero, rimarca sempre l’ef-fetto di eco; sit…nostri: questa volta èripetuto l’intero sintagma.393-94. Spreta…antris: «Disprezzata sinasconde nelle selve e protegge, piena di

vergogna, il suo volto con le foglie e vivenegli antri solitari [solo] di lui».Spreta: in rilievo per la collocazione inincipit, da sperno «disprezzo»; protegit:da pro+tego, «coprire», per cui in italiano«proteggere»; solis: in iperbato con an-tris, chiude al centro ex illo ad esprimereuna solitudine che si nutre di amore (exè «da») che viene da lui.395-99. sed tamen haeret…figuram: «matuttavia le resta attaccato addosso l’amo-re e cresce col dolore del rifiuto e l’ango-scia che la tiene sveglia rende macilentoil misero corpo, la magrezza le affloscia lapelle e tutto l’umore del corpo si sciogliein aria. Soltanto la voce e le ossa restano;la voce rimane, dicono che le ossa preserola forma di una roccia».I due verbi haeret e crescit chiudono alcentro amor, ponendolo in rilievo; vigi-les: in iperbato con curae e in chiasmoper indicare il contrasto tra un corpodistrutto e un pensiero ossessivo:

vigiles curae

corpus miserabile

Il parallelismo sucus…abit…vox atqueossa supersunt esprime la correlazionetra i due fatti: all’umore vitale che siperde corrisponde la voce che si conser-va; ferunt: «dicono»; lapidis: genitivo dilapis, «pietra».

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• L’epos delle forme nelle Metamorfosi

22 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

Inde latet silvis nulloque in monte videtur, 400omnibus auditur: sonus est, qui vivit in illa.

400-01. Inde…illa: «Poi si nasconde nelle selve e non si vedesu nessun monte, [ma] è udita da tutti. È il suono quel che vivein lei».

Omnibus: dativo di agente; nullo videtur…omnibus auditur: an-cora in parallelismo per indicare la corrispondenza «non si vede,ma si ode»; sonus: Eco non è più una voce, ma un «suono».

Analisi testuale T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso

Il disperato amore di Eco per Narciso acquista nel testo ovidiano la forza di unametafora: «consumarsi» per qualcuno, chiudersi nella solitudine pietrificata, in cuiresta comunque la «voce» come pensiero ossessivo che si fa parola del cuore.Eco è, infatti, solo voce e il poeta allunga sempre con accorta insistenza il fasciosemantico della voce: dictis…sonos…verba remittat; voce…clamat…vocat vocan-tem… inquit…dicit…verba recepit; imagine vocis…rettulit; vox …vox…auditursonus.I tre tempi in cui si svolge il racconto esprimono, appunto, questo progressivoscarnificarsi della persona, fino a restare, da voce mutilata che era, solo suonoconfuso. Analizziamoli:

• il primo tempo è segnato dalla voce che affascina Narciso (vv. 374-87);• il secondo tempo costituisce la rivelazione con il rifiuto di Narciso (vv. 388-92);• il terzo tempo segna la fine dolorosa di Eco (vv. 383-402).

Perciò abbiamo prima la focalizzazione su Narciso e sul suo stupore carico diattese, poi l’incontro pone insieme i due personaggi e le loro opposte reazioni;infine, resta solo Eco protagonista. Schematizzando si ha questo tipo di ordine:

NARCISO soggetto dell’azione: è solo e ascolta

ECO E NARCISO si incontrano

ECO soggetto dell’azione, fugge e diventa solo suono

È soprattutto nella prima parte che si consuma il dramma di Eco, contrariamentea quanto sembra, perché non è la metamorfosi da persona a voce a costituire lapena di vivere, ma è quella parola mozza, quella frase meccanica senza autono-mia di pensiero, tutta dipendente dalle sillabe altrui, parole senza senso, e altempo stesso, piene del senso di cui il destino le carica, a determinare la qualitàpoetica del testo.Equivoco maggiore di quello che nasce dalle frasi pronunciate dai due personagginon potrebbe esserci:

«Chi c’è?» → «C’軫Vieni» → «Vieni»«Perché mi fuggi?» → «Perché mi fuggi?»«Uniamoci qui!» → «Uniamoci!»

Se percezione di sofferta impotenza ha mai provato una persona che ama, scopren-dosi incapace di trovare le parole per comunicare con l’altro, nessun testo meglio

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di questo esprime come una stessa frase possa acquisire significati diversi perognuno dei due, scavando un abisso di distanza e di incomprensione dolorosa.La repulsione sdegnata di Narciso e la vergogna di Eco traducono in immagine questadistanza tra due creature che è sempre la parola a segnare. Voce scarnificata perl’eternità, eco delle rocce, il personaggio racchiude il significato di un linguaggio chenon comunica e che pertanto si riduce a puro, inutile suono, legato ad altri suoni.Il tessuto fonico che accompagna la scoperta della verità, modula la gradazionedei sentimenti sul cambiamento dai suoni dolci del fonema s (fugis coeamuslibentius) a quelli aspri dei fonemi d, t, r (spreta frondibus latet adducit).Eppure, come sempre in Ovidio, la metamorfosi scioglie e risolve la tensione delracconto in forme di levità elegante e raffinata. A conclusione, infatti, è ilsintagma finale a dare la chiave di lettura: sonus est, qui vivit in illa. Il suono,dunque, vive in lei per cui, comunque, l’immagine che resta è quella di una vitache si è calata nella natura per l’eternità, protetta e racchiusa dalle sue forme(frondibus lapidis). Si noti, infine, come non si parli più di vox, ma di sonus conun connotato più alto, quasi a ignorare la mutilazione subita.

pagine criticheEco e Narciso: linguaggio adeguato e inadeguato

Ernesto Grassi, evidenzia, in termini filosofici, il parallelismo che intercorre tra la tragedia di Eco e quella di Narcisoper rilevare, poi, il sottile legame esistente tra metafora e metamorfosi.

Il linguaggio della ninfa Eco appare[…] come qualcosa di inaudito, per-ché nella pura ripetizione non solo nondice e non può dire nulla di nuovo, maanche perché non ha la possibilità dicomunicare con un altro, dato che leistessa, realizzando solo una ripetizio-ne, non fa che ripetere ciò che un altroafferma, non può mai apparire comeun altro che parla e quindi nemmenotestimoniarsi come un se stesso. Untale linguaggio non può quindi maiessere interlocutorio, ma solo ripetiti-vo, escludendo così una dualità locu-toria e confermando l’isolamento.Il testo di Ovidio conferma tale tesi,quando riporta le parole ammonitricidi Giunone a Eco: “E con l’effetto[Giunone] confermò le minacce: essa[Eco] soltanto raddoppia i suoni altermine dell’altrui parlare e ripeteparole che ha udite” (III, 369). […]Narciso incontra invece Eco ed è oggettodella sua passione: «quando dunque essavide Narciso che si aggirava per campifuori mano e se ne accese d’amore, di

nascosto ne seguì le orme» (III, 370).A questo punto incontriamo una doppiatragedia: la prima è quella della ninfaEco, che non possiede il linguaggio dellacomunicazione, della propria passione,che solo rende possibile il colloquio congli altri. La seconda tragedia – cheOvidio descriverà più avanti – è quelladi Narciso: nel suo rifiuto di ogni pas-sione persiste nel proprio isolamento, inun proprio furore. […] Il problema delrapporto di parola e passione non vienetrattato da Ovidio astrattamente, maconcretamente nell’ambito delle passionisofferte: della passione di Giove per leninfe, di Giunone per il legittimo aman-te divino, di Eco e Narciso, e sempresotto l’egida indicativa di una unifica-zione passionale da realizzare. In que-sto modo viviamo e patiamo a nostravolta con le due dramatis figurae laconnessione di passione e parola.Ovidio riconnette proprio con questaproblematica la tragedia della ninfaEco e di Narciso. Durante la cacciaquest’ultimo perde la vicinanza dei

propri compagni, rimane isolato esenza orientamento e in tale situazio-ne gli sfugge nella selva il grido didisperazione di ogni sperduto: “C’èqualcuno?” (III, 380).In questo caso non si tratta di unadomanda astratta, speculativa, di unaricerca ontologica circa l’Essere, diun problema gnoseologico, bensì del-la disperata e inaudita richiesta seesista qualcuno che ci assista nelnostro disorientamento, con una fo-nesi indicativa e corrispondente a unappello sofferto passionalmente.La domanda inaudita rinvia a un ap-pello intimamente connesso a unacorrispondenza, inficiata però daldubbio che non esista una connessio-ne necessaria tra appello e interlo-cutore, cioè dal pericolo che la dispe-rata domanda si perda nel silenzio,nell’oscurità nella quale viviamo.Il grido di disperazione di Narciso èlegittimato nel suo timore di non rice-vere una risposta ma solo una ripeti-zione della propria domanda. Alla ripe-

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24 Ovidio: Metamorfosi e trattatistica amorosa

tizione Narciso risponde Eco con unafrase affermativa e in questo caso equi-voca: «“Qualcuno” Eco rispose» (III,380). Dunque ciò che qui risuona non èuna voce significativa (psóphos seman-tikós). Eco non è una voce significativain quanto ripete solo la domanda, chein tal modo rimane di fatto senza ri-sposta, cioè inaudita, poiché nessunole corrisponde, confermando così l’iso-lamento della ninfa Eco: ella non è unaltro; l’altro al quale ci riferiamo nonesiste e perciò non può darci voci indi-cative proprie e nuove. […]La tensione tra gli pseudo-interlocutoriEco e Narciso aumenta. La vuota ri-sposta, la pura ripetizione di Eco, haper conseguenza l’invito di Narciso ri-volto all’interlocutore di avvicinarsi.«Rimase attonito [Narciso]; e dopo averrivolto lo sguardo in ogni direzione,chiamò a gran voce: “Vieni!”; ed ellachiamò lui che chiamava» (III, 382).In funzione della risposta alla doman-da di Narciso si realizza un colloquioillusorio e quindi una risposta che nonè tale, un suono che non è una indica-zione semantica: si assiste alla realiz-zazione di un colloquio che rimane vuo-to, che non corrisponde, che svuota lafunzione della parola interrogativa diNarciso, fraintesa dalla passione di Eco.L’assurdità della struttura contraddit-toria di tale colloquio si manifestaanzitutto nel fatto che l’isolamentodell’interlocutore non viene superato:assurdo nel caso di Eco perché la suaespressione fonetica sorge dalla pas-sione, che però non può comunicare;assurdo nel caso di Narciso perché illinguaggio a sua volta non scaturisceda una passione per la ninfa.Il ritmo dell’illusorio colloquio che ini-zia con la disperata domanda se c’èqualcuno che possa essere d’aiuto, allaquale corrisponde la voce puramenteripetitiva di Eco, «c’è», è il seguente:se di fatto c’è qualcuno è naturale lareazione di Narciso con l’invito – se-

condo passo del colloquio – ad avvici-narsi; ma siccome nessuno viene eNarciso attende invano, abbiamo laterza interlocuzione dell’assurdo collo-quio con la domanda «perché mi sfug-gi?» (III, 384). Tutto preso dalla poten-za del colloquio fittizio e puramenteludico, Narciso fa seguire la quarta efinale richiesta: «Incontriamoci qui» (III,386), ma con un significato totalmentedifferente da «Incontriamoci», comeintende Eco. Ovidio, per sottolineare ilcarattere di un colloquio che di fattonon è tale, ricorda che la ninfa Eco «anessun richiamo mai avrebbe più gio-iosamente risposto: “Incontriamoci”»(III, 387). E proprio a questo punto rag-giungiamo il culmine della tragedia delcolloquio vuoto. Tutta la tragicità delrapporto con la ninfa Eco si rivela nellarisposta di Narciso: cioè diventa paleseche le medesime parole hanno un si-gnificato radicalmente diverso per en-trambi. Narciso fugge e grida: «“Toglile tue mani da questo abbraccio” dice;“morrò prima di congiungermi a te”.Null’altro ella risponde se non: “Con-giungermi a te”» (III, 390).Viviamo nella passione per un altro, difatto per salvarci nel colloquio. Da quinasce la tragedia di una lingua insuf-ficiente per interloquire, se solo ripeteil già detto: l’orrore per la lingua ripe-titiva che non può realizzare una inter-locuzione, un colloquio, una storia. Ilfatto che noi poniamo nella facoltà lin-guistica la nostra speranza nasce dal-la persuasione di poter incontrare l’al-tro. […] In questa esperienza patitabisogna riconoscere che il linguaggiodeve gettare le sue radici nella passio-ne, che solo questa problematica per-mette di uscire dall’isolamento.Le figure di Narciso ed Eco rinvianorispettivamente a due tragedie: lamorte come illusione delle immagini eil linguaggio ripetitivo. Dobbiamo aquesto punto riconoscere la difficoltàsottesa a questi eventi. In precedenza

l’immagine e il linguaggio apparivanoquale via di liberazione dalla morsadel destino, ora essi stessi rivelano laloro insufficienza, anzi il loro ineludi-bile scacco, se non vengono radicatinella situazione che li genera. Ovidioha una coscienza profondissima diquesta situazione e quindi giunge aconclusioni essenzialmente filosofichee non meramente letterarie.Il dialogo tra Narciso ed Eco testimo-nia un equivoco: non esiste una con-nessione necessaria tra domanda erisposta proprio perché le parole si-gnificano diversamente in ogni situa-zione. […] La parola, sottraendosi alcompito di manifestare la realtà, sirifugia nell’intrattenimento, nel quo-tidiano e inautentico man – comedirebbe Heidegger – e suscita soltan-to un insuperabile equivoco che al-lontana gli uomini invece di avvici-narli. Non dimentichiamo che questaconclusione è raggiunta da Ovidio conpiena consapevolezza.Il lamento di Narciso, “ciò che vedo emi piace, non riesco tuttavia a rag-giungere”, sottolinea la distanza chelo separa dall’oggetto del desiderio eche si rivela incolmabile. Dobbiamoallora chiederci in quale forma di lin-guaggio possiamo scoprire l’alteritàaltrimenti soggetta all’equivoco e al-l’irraggiungibilità. Solo la passionesuscita l’esperienza dell’altro. Se siriduce la passione a pura esperienzasoggettiva, come fa Narciso, si cadenella follia del soggettivismo.Narciso ed Eco vivono diverse passionisebbene non originarie. Narciso esperi-menta la passione dell’immagine nonindicativa ed Eco quella del linguaggionon semantico e non pragmatico. Daqui deriva la loro tragedia. La coscienzaè un contributo specificamente ovidia-no e il progetto di un filosofare latino.

(E. Grassi, Il dramma della metafora,Officina Tipografica, Roma, 1992)