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3.14. Caratteri della versificazione del Synodus
3.14.1. Premessa
L’individuazione dei caratteri della versificazione mediolatina, e in modo particolare della
struttura dell’esametro dattilico, non può prescindere da un continuo esame comparativo con i
modelli classici, primi tra tutti, Virgilio, Orazio e Ovidio289
.
Taluni studi sugli aspetti tecnico-formali dell’esametro virgiliano290
hanno messo in
evidenza come, escludendo la clausola dattilico-spondiaca in quarta e quinta sede, nelle prime
quattro posizioni dell’esametro, si registri una prevalenza dell’uso dello spondeo rispetto al
dattilo. Virgilio fa un largo impiego delle elisioni e presenta una ricca varietà di cesure (finali
di parola che cadono all’interno dei piedi) e di dieresi (finali di parola che cadono tra un piede
e il successivo). L’esametro virgiliano, inoltre, si distingue per la preponderanza di parola
bisillabica in clausola.
L’esametro ovidiano presenta, invece, un numero maggiore di dattili all’interno delle
prime quattro sedi. Ovidio limita l’uso dell’elisione rispetto a Virgilio e registra una più
regolare fissità nella distribuzione delle cesure e delle dieresi all’interno della catena
esametrica. Anche in Ovidio, tuttavia, prevale la clausola bisillabica, certamente la più
canonica insieme alla trisillabica. In epoca classica raramente è ammesso alla fine di un verso
l’uso di parole che superino il numero di tre sillabe, così come è in genere evitata anche la
chiusa monosillabica.
A questa consuetudine si oppone in parte Orazio, il cui esametro, pur nella prevalenza della
clausola trisillabica, ammette una maggiore libertà nella scelta delle ultime parole del verso e
non è infrequente trovare, nella poesia in esametri del poeta di Venosa, termini quadrisillabici
e pentasillabici, come non viene disdegnato il monosillabo in clausola. Anche Orazio, come
Virgilio, predilige lo spondeo nelle prime quattro sedi, mentre l’uso delle elisioni si colloca
tra le percentuali virgiliane e quelle ovidiane291
.
289
L’indagine sulla versificazione dei poeti medievali poggia su due studi che costituiscono dei veri e propri
capisaldi del settore: D. NORBERG, Introduction à l‟étude de la versification latine médiévale, Stockholm 1958 e
P. KLOPSCH, Einführung in die mittellateinische Verslehre, Darmstadt 1972. Ancora utile, tuttavia, è il saggio di
W. MEYER, Gesammelten Abhandlungen zur mittellateinischen Rythmik, 2 voll., Berlin 1905. Per il presente
studio mi sono servito soprattutto dei contributi più recenti di G. ORLANDI, Metrica ʽmedievaleʼ e metrica
ʽantichizzanteʼ nella commedia elegiaca: la tecnica versificatoria del “Miles gloriosus” e della “Lidia”, in
Scritti di Filologia Mediolatina, raccolti da P. CHIESA, A. M. FAGNONI, R. E. GUGLIELMETTI, G. P. MAGGIONI,
Firenze 2008, pp. 331-343; ID., Caratteri della versificazione dattilica, ivi, pp. 345-359; ID., The Hexameter in
the “Aetas horatiana”, ivi, pp. 373-389. Molto perspicui e ricchissimi di indicazioni bibliografiche anche i lavori
di E. D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versificatoria nell‟esametro del “Waltharius”, Catania 1992; ID., The
Outer Metric in Joseph of Exeter‟s Ylias and Odo of Magdeburg‟s Ernestus, in «Journal of Medieval Latin» 3
(1993), pp. 113-134. 290
F. CUPAIUOLO, Eneide: la metrica, in Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, pp. 278-282. ID.,
Esametro, ivi, pp. 375-379. ID., Bucoliche: lingua e metrica, ivi, pp. 572-576. Di basilare importanza è anche lo
studio di G. E. DUCKWORTH, Vergil and the Classical Hexameter Poetry: A Study in Metrical Variety, Ann
Arbor 1969, a cui risale l’individuazione delle due tendenze nella versificazione dattilica classica, quella
virgiliana (“Vergilian norm”, in cui prevale lo spondeo) e quella ovidiana (“Ovidian norm”, caratterizzata dalla
preminenza del dattilo). 291 F. CUPAIUOLO, Esametro in EO, p. 828.
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Intorno a questi tre modelli si muove la poesia mediolatina, ma, soprattutto nel periodo
post-carolingio292
, non è facile (né metodologicamente giustificato) ricondurre ogni opera
all’interno di uno dei tre paradigmi di riferimento.
Gli studiosi293
sono concordi, nell’individuare, in contrapposizione ad un esametro antico, i
seguenti caratteri generali dell’esametro medievale:
1) l’uso di clausole diverse da quelle canoniche di- e trisillabiche, con una predilezione per
il quadrisillabo o per il doppio disillabo; quest’ultimo conferisce un andamento ritmico
ascendente al verso, grazie alle cesure maschili, le quali possono cadere addirittura anche al
quinto piede; ciò diversamente dall’esametro classico, in cui le clausole trisillabiche, e ancor
più quelle bisillabiche, conferiscono al secondo emistichio dell’esametro un ritmo
discendente;
2) l’assoluta assenza delle elisioni all’interno della catena metrica: l’uso dell’elisione è
considerato dai poeti medievali (ma anche su questo punto non si può generalizzare) come
una extrema ratio per ottenere una architettura metricamente corretta del verso. In genere
l’elisione, però, viene avvertita come una “stonatura” sul piano estetico.
Nel corso del XII secolo, in seno alla vasta produzione poetica propria di questo periodo, si
può, inoltre, rilevare un filone di poeti, la cui è chiaramente antichizzante: si tratta della
tendenza ad utilizzare con maggiore fedeltà le strutture della tecnica versificatoria classica,
prime fra tutte l’elisione e le clausole di- e trisillabiche. Nel quadro di un esametro “classico”,
che avrà molta fortuna anche in seguito, fino ad arrivare ai preumanisti294
, è contemplata
292
Nel IX secolo, durante le tre generazioni di poeti carolingi, e almeno fino ai primi venti anni del X secolo
si riscontra una certa omogeneità nell’uso dell’esametro. L’esametro carolingio, sia nella sua articolazione
ὰί, che nel contesto del distico elegiaco, ha una chiara facies ovidiana: i poeti prediligono il dattilo
nelle prime quattro sedi ed evitano sistematicamente le elisioni, attenendosi alla consuetudine classica di
impiegare le clausole di- e trisillabiche. L’aderenza assoluta a questa tipologia rivela la tendenza dei poeti
carolingi, da una parte all’ipercorrettismo, tipico dell’età della rinascita, e dall’altra alla monotonia, naturale conseguenza del rispetto pedissequo delle regole. Può sembrare almeno singolare che il modello ovidiano
prevalga in un periodo in cui il poeta di gran lunga più letto, studiato e commentato è Virgilio; tuttavia i poeti
carolingi operarono una scelta di gusto in direzione di uno schema che, in virtù della preminenza dei dattili,
risultava più vivo, leggero e saltellante, certamente meno solennemente cadenzato rispetto all’esametro
virgiliano. Sedulio Scoto (metà del IX secolo), nell’opera In Donati artem maiorem 1: Expositio super primam
editionem Donati (testo edito da B. LÖFSTEDT, in CC CM, 40B, Turhnout 1977, p. 38), con queste parole
esprimeva la sua predilezione per il modello dattilico: Sciendum est quod dactylus magis aures oblectet quam
spondeus: Nam metrum quod solis spondeis decurrit non tam sonorum est quam illud quod solis dactylis
contexitur. La perizia tecnica dimostrata nella adesione a tale modello è tipica anch’essa della rinascita degli
studi classici del IX secolo. Anche in merito a questo periodo, però, non è prudente emettere giudizi generali,
poiché si va da autori come Alcuino (730-804), della prima generazione carolingia, fedelmenti legati alle
caratteristiche dell’esametro ovidiano, ad altri come Enrico di Auxerre (morto dopo l’875), la cui metrica,
certamente più originale, è con assoluta evidenza di tipo virgiliano, caratterizzata dall’uso larghissimo
dell’elisione e da percentuali di presenza spondiaca molto vicine a quelle virgiliane. Cfr. J. Y. TILIETTE,
Métrique carolingienne et métrique auxerroise in L‟école carolingienne d‟Auxerre. De Murethech à Remi. 830-
908, Paris 1991, pp. 313-327, soprattutto le conclusioni di p. 323. 293
Tra questi soprattutto KLOPSCH, Einführung cit. (nota 289), pp. 19-27 e 61-92. Lo studioso fornisce una
quadro diacronico dello sviluppo dell’esametro a partire dalle tendenze classicistiche degli autori tardoantichi
come Aratore (metà del VI secolo), Massimiano (metà del VI secolo), Venanzio Fortunato (540-601) ed Eugenio
di Toledo (morto nel 657), per individuare poi l’esametro “logobardisch” (sviluppatosi nel corso dell’VIII secolo
in Italia e in Spagna, dove sopravvive fino al X secolo) la cui principale caratteristica consiste nella netta
struttura bimembre del verso, costruito esclusivamente attorno alla cesura pentemimera. 294
Si pensi a Giovanni del Virgilio (fine XIII-primo quarto del XIV secolo), Petrarca e Boccaccio e in misura
minore Dante, il cui esametro rivela ancora caratteri medievali.
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anche una maggiore presenza del dattilo rispetto allo spondeo nelle prime quattro sedi, in
ottemperanza alla consuetudine ovidiana, piuttosto che a quella virgiliana295
. Non a caso (ma
ovviamente ciò non risiede soltanto nel fattore metrico) il XII secolo, almeno quello che
culturalmente si è sviluppato dopo gli anni Venti, è stato chiamato aetas ovidiana, con una
definizione che risale a Ludwig Traube296
, mentre all’XI secolo viene attribuito il titolo di
aetas horatiana297
. Paradossalmente Virgilio, almeno per ciò che riguarda l’uso più
consistente dello spondeo, è più vicino ai poeti, il cui esametro viene classificato come
“medievale”.
Nel quadro dell’analisi dell’esametro del Synodus di Guarnerio di Basilea, oggetto della
presente indagine, tale premessa era dovuta almeno per tre ragioni. In primo luogo, essa
fornisce i trend generali di riferimento della versificazione esametrica classica, entro cui
collocare, seppure con tutti i distinguo che si presenteranno (imposti certamente dalla
esigenza di evitare generalizzazioni), i risultati definitivi dello studio del verso guarneriano.
In secondo luogo la sintetica carrellata diacronica, che rende ragione dell’evoluzione
dell’esametro mediolatino, aiuta a capire entro quale percorso storico-letterario si collochino
le dinamiche compositive del Synodus, sebbene in merito a ciò l’analisi metrica dell’opera
non sia risolutiva, ma fornisca pur sempre un certo contributo e suffraghi certe tesi in merito
alla collocazione cronologica dell’opera. Infine, tale premessa prospetta un quadro parziale,
ma assolutamente funzionale alla seguente indagine, degli studi di metricologia classica e
mediolatina, da cui vengono attinte le percentuali numeriche relative ai fenomeni metrici nei
poeti classici e in alcuni poeti medievali. Tali dati, di cui di volta in volta verranno specificate
le fonti, sono imprescindibili per un esame, che si basa soprattutto su un continuo raffronto
comparativo, della metrica del Synodus.
La indagine qui proposta si articola nelle seguenti sezioni:
distribuzione dei dattili e degli spondei; clausole; cesure e dieresi; allungamento della vocale
in arsi in corrispondenza della cesura pentemimera (productio ob caesuram o ectasis in 3m);
rima.
3.14.2. Distribuzione dei dattili e degli spondei
Oggetto precipuo della mia analisi sono i primi quattro piedi dell’esametro per la
variabilità delle combinazioni che si possono ottenere dall’alternanza di dattili e spondei. La
295
Significativo è l’esempio delle ecloghe di Marco Valerio, datate alla seconda metà del XII secolo, di cui
fornisce, insieme ad una edizione critica di riferimento, una dettagliatissima analisi prosodica e metrica F.
Munari: MARCI VALERII, Bucolica, cit. (nota 213), pp. 43-54. Dell’esametro di Marco Valerio si è occupato
anche L. CASTAGNA, L‟esametro di Marco Valerio, in «Studi Medievali» 22 (1981), pp. 805-819. 296 Cfr. D’ANGELO, The Outer Metric cit. (nota 289), p. 126-127. Cfr. anche C. HASKINS, La rinascita cit.
(nota 236), pp. 96-97: «Dopo Virgilio il Medioevo poneva Ovidio, anzi si ha ragione di pensare che per i lettori
più sensuali Ovidio stesse al primo posto e soprattutto nel XII secolo, che fu l’“età di Ovidio”, così come l’epoca
carolingia fu “l’età di Virgilio”. […] La fortuna del poeta di Sulmona fu continua fino a Boccaccio e a Chauser,
fino agli ultimi scrittori del Rinascimento italiano». Il giudizio dell’Haskins risale agli anni Cinquanta del
Novecento. 297 Cfr. ORLANDI, The hexameter cit. (nota 289), p. 375.
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clausola esametrica dattilico-spondiaca in quinta e sesta sede, esclusa dai calcoli di questa
prima fase dell’analisi, mantiene una quasi assoluta fissità nella poesia mediolatina. In
Virgilio sono solo 33 gli spondei in quinta sede, un numero che è, tuttavia, superiore a quello
di Ovidio ed inferiore a quello di Catullo (43 occorrenze in 800 versi)298
. Nessuno dei 601
versi del Synodus di Guarnerio di Basilea presenta uno spondeo in quinta sede.
Nel Synodus la proporzione assoluta tra dattili e spondei è decisamente a favore di
quest’ultima misura: su un totale di 2404 piedi, gli spondei sono 1582, il 65,8%, mentre i
dattili sono 822, per la restante percentuale di 34,2%. Nelle Bucoliche di Virgilio si registra
una percentuale di dattili del 49,19%, mentre nella sola Eneide del 43,52%. Nelle
Metamorfosi di Ovidio i dattili rappresentano il 54,58% del totale dei piedi299
.
Nello sviluppo dell’esametro in generale, nel mondo greco, da Omero in poi e soprattutto
in età alessandrina, si registra una prevalenza schiacciante del dattilo sullo spondeo. In ambito
latino, rispetto ai Greci, l’inversione di tendenza del verso eroico di Ennio e dell’esametro di
Lucrezio è molto drastica, poiché prevale di gran lunga lo spondeo; lungo la scia
dell’evoluzione metrica latina, Virgilio si colloca in una posizione mediana, perché ha saputo
riportare attorno ad un sostanziale equilibrio il ritmo dell’esametro, in virtù di una più
organica distribuzione di dattili all’interno del verso; le percentuali dattiliche maggiori nelle
Bucoliche si spiegano alla luce della matrice teocritea dell’opera. Ovidio e Lucano vanno
decisamente oltre, facendo propendere la bilancia di questo rapporto dalla parte del dattilo,
con percentuali che vanno ben oltre il 50%. A Virgilio, tuttavia si deve l’equilibrio e la
varietas, mentre l’esametro ovidiano risulta sempre insidiato dal rischio di una certa
monotonia. In base a questi primi dati, il verso di Guarnerio risulta assai poco vario, ingessato
com’è in una struttura bimembre ruotante attorno alla cesura pentemimera, con un andamento
ritmico tutt’altro che ampio e disteso, quanto piuttosto cadenzato e serrato. Ulteriori analisi
porteranno ad approfondire quest’aspetto.
Le possibili combinazioni tra dattili e spondei, nelle prime quattro sedi del verso, sono
ovviamente 16: è molto utile registrare l’ordine di preferenza di Guarnerio degli schemi
metrici o pattern del Synodus:
298
CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 376. Secondo i dati di G. E. DUKWORTH, Variety and Repetition
in Vergil‟s Hexameters, in «Transaction and Proceedings of the American Philological Association» 95 (1964),
pp. 9-65, riportati da D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), pp. 3-13, in tutta l’opera di Virgilio il quinto spondeo
ha una frequenza dello 0,24%, mentre nei 12002 versi delle Metamorfosi, i cui dati sono forniti ancora da G.E.
DUKWORTH, Studies in Latin Hexameter Poetry, in «Transaction and Proceedings of the American Philological
Association» 97 (1966), p. 88-96, si registrano soltanto 37 spondeiazonti, con una percentuale dello 0,30%. Tale
pratica tende a scomparire già con Stazio, il quale usa soltanto 6 spondei in quinta sede su 14.173 esametri
(0,04%). 299
I dati sulle percentuali della presenza dattilica sono desunti dal recente studio di L. CECCARELLI,
Contributi per la storia dell‟esametro latino, voll. 2, Roma 2008, vol. 2, tab. 1, p. 3.
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Tabella 1: Prospetto dei modelli metrici del Synodus
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
ssss
dsss
sssd
dssd
dsds
ssds
ssds
dsdd
sdss
ddss
sdds
dddd
sddd
ddsd
ddds
sdsd
101
93
87
76
51
48
40
34
15
15
10
7
6
6
6
6
16,8%
15,47%
14,47%
12,64%
8,48%
7,98%
6,65%
5,65%
2,49%
2,49%
1,66%
1,16%
0,99%
0,99%
0,99%
0,99%
Un raffronto con i dati relativi all’Eneide di Virgilio e alle Metamorfosi di Ovidio ci rivela
subito le caratteristiche esteriori dell’esametro del Synodus rispetto ai modelli classici, che si
muovono tra “Vergilian norm” ed “Ovidian norm”: lo schema olospondiaco, preferito da
Guarnerio, nell’Eneide di Virgilio si trova solo alla quinta posizione, con una percentuale di
7,07%, mentre in Ovidio addirittura alla quindicesima posizione con una percentuale di
1,29%300
. Singolare, a titolo di esempio, è la successione contigua di ben cinque versi
olospondiaci nel seguente passo del Synodus (vv. 421-425):
Tam magnum nusquam, tam pulchrum non fuit usquam,
nec splendens donis, sicut templum Salomonis.
Miti Iustino successit iure latino
princeps romanus, si queris nomen, in –anus
exit, Iustini- debes preponere fini.
Al contrario il pattern olodattilico in Ovidio occupa la ottava posizione con una dato del
5,69%, mentre nelle Georgiche e nell’Eneide di Virgilio e in Guarnerio rispettivamente la
quindicesima (2,12%) e la dodicesima posizione (1,16%)301
. Sono soltanto 7 nel Synodus i
300
Cfr. CECCARELLI, Contributi cit. (nota 299), vol.2, tab 13c, pp. 28-29. Lo schema olospondiaco raramente
occupa la prima posizione, tuttavia lo troviamo nelle preferenze assolute anche di Metello di Tegernsee (sec.
XII) nell’opera Expeditio Ierosolimitana (edizione critica a cura di P. C. JACOBSEN, Stuttgart 1982). 301
Nelle Bucoliche lo schema olodattlico occupa la posizione numero 12. Cfr. Gervasio di Melkley (fine XII
sec.) in Ars poetica, (edizione critica a cura di H. J. GRÄBENER, Münster Westfalen 1965, recensita da R.
AVESANI, in «Studi Medievali» [III] 7 [1966], pp. 749-760) nel contesto di una serie di indicazioni relative alla
costruzione del migliore esametro dice: Venustissimus erit modus, si quilibet pes preter ultimum dactiletur, ut
hic:
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versi olodattilici, alcuni dei quali, di chiara impronta ovidiana, sono caratterizzati da un ritmo
ampio, e disteso; si vedano il v. 28: constitit ante virum; satis hoc opus estimo mirum, e il v.
568: Egidiusque bonus, tibi, gallica terra, patronus.
Di fronte a questa discrepanza, tuttavia, il modello preferito da Virgilio, che è il dsss302
,
con un dato percentuale di 14,39% è anche molto utilizzato da Guarnerio, perché nel Synodus
si trova in seconda posizione con un 15,47%; sorprendente che anche in Ovidio tale pattern si
collochi nella stessa seconda posizione con un dato di 12,57%303
.
I primi 5 pattern utilizzati da Guarnerio danno l’idea dei moduli metrici più utilizzati nel
67,86 % del totale dei 601 versi del Synodus. Il raffronto sinottico con le posizioni che questi
primi 5 modelli guarneriani occupano in Virgilio e in Ovidio permetterà alcune
considerazioni:
Tabella 2: Posizione di primi 5 pattern
Synodus Eneide Metamorfosi
1. ssss
2. dsss
3. sssd
4. dssd
5. dsds
5.
1.
13.
9.
3.
15.
2.
14.
3.
5.
Rilevata la distanza dei modelli classici dallo schema olospondiaco, e sottolineata la
pressoché identica preferenza nei tre autori del pattern dsss, è singolare che il suo “risvolto”,
sssd, ben rappresentato in Guarnerio al terzo posto, ricorra in posizioni marginali in Virgilio e
Ovidio. Tale stranezza si spiega per il fatto che veniva considerata buona pratica, già in epoca
classica, iniziare l’esametro con il dattilo, mentre l’uso dello spondeo in prima sede è
caratteristico dell’epica arcaica e conferisce al verso un ritmo lento e stanco.
Se si considera la percentuale di versi che nelle tre opere raffrontate è relativa ai primi
cinque modelli di esametro utilizzato da ciascun autore (Synodus: 67,86%; Eneide: 54%;
Metamorfosi 59,56%), si può dedurre come il verso di Guarnerio risulti il più ripetitivo, in
quanto riproduce per una parte maggiore dell’opera gli stessi schemi metrici, mentre il premio
della varietà del metro spetta decisamente a Virgilio, poiché i primi cinque modelli vengono
utilizzati in poco più della metà dell’opera. A Ovidio si può attribuire invece una certa
Nil prius in Venere neque post nisi causa Chimere
Quamvis autem non ubique dactilos habere possimus, ad dactilos tamen summa diligentia desudandum. 302
Per la precisione, nelle Bucoliche tale schema si trova in seconda posizione. La prima posizione è
occupata dallo schema ddss. Cfr. CECCARELLI, Contributi cit. (nota 299), vol. 2, tab. 13c, pp. 28-29. 303
Nonostante il modello dsss sia in seconda posizione nelle preferenze di Guarnerio, non si trovano nel testo
versi contigui, in numero maggiore di due, che si attengano a questo schema: si tratta di 8 coppie di versi (250-
251; 260-261; 330-331; 360-361; 415-416; 429-430; 520-521; 528-529; 579-580). A titolo di esempio si
riportano i vv. 250-251:
ne quasi peiorem spernat mens ulla Priorem,
nam nichil est munus quod non offert amor unus.
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monotonia, determinata (al contrario di quella di Guarnerio) dalla supremazia del numero di
dattili. La seguente tabella pone a raffronto il numero complessivo di dattili e di spondei nei
primi 5 pattern utilizzati dagli autori qui considerati:
Tabella 3: Numero di dattili e spondei nei primi 5 pattern
Synodus Eneide Metamorfosi
d
s
6
14
6
14
10
10
Curiosa appare la consonanza tra il Synodus e l’ Eneide, anche se, qualora si estenda il
calcolo ad un numero di pattern maggiore, comincia farsi strada la supremazia dattilica del
poema virgiliano. Lontano è invece il modello ovidiano che si connota subito per la sua
impronta dattilica. Guarnerio segue la “Vergilian norm”, anche se il suo esametro, rigido e
faticoso, come rilevato, manca di quella varietas, che spicca nelle sequenze poetiche del
Mantovano. Questi primi dati confermano il fatto che, anche in piena aetas ovidiana, le
caratteristiche di singoli autori possono discostarsi dal modello dominante.
Può risultare interessante notare anche la distribuzione degli spondei nelle varie sedi del
verso. L’analisi di quella che gli studiosi tedeschi chiamano Spondeenverteilung304
, aiuta a
comprendere se il testo del Synodus si conformi o meno alla tendenza della Verstechnik
classica, la quale vuole che il numero dei dattili, in linea di massima, decresca dalla prima alla
quarta sede:
Tabella 4: Distribuzione degli spondei nelle prime 4 sedi
Sedi I II III IV
Synodus 52,24% 88,18% 66,38% 56,4%
Eneide 39,2% 57,2% 60,1% 74,4%
Metamorfosi 16,8% 52,5% 58,8% 52,7%
In Virgilio si segnala una presenza spondiaca crescente con regolarità nelle quattro sedi e
ciò conferma, di conseguenza, la tendenza al numero decrescente dei dattili. Inoltre lo scarto
percentuale, ben evidente in tutte e tre le sue opere tra prima e seconda sede, assai più
accentuato in Ovidio, si spiega facilmente se si ricorda la consuetudine classica, almeno a
partire da Lucrezio, (non certo per Ennio e Lucilio) di iniziare il verso quanto più possibile
con un dattilo: la ricerca del dattilo in prima sede induce il poeta a ricorrere molto spesso alla
soluzione più comoda dello spondeo in seconda posizione. Significativo è il fatto che nel
Synodus si superi la soglia del 50% di spondei in prima sede, segno che in Guarnerio non
agisce la consuetudine a riprodurre una patina arcaizzante. Vertiginosa è anche la percentuale
spondiaca in seconda sede, quando ci aspetteremmo un numero più alto nella quarta: in
quest’ultima, come si rileva soprattutto da Virgilio, ricorreva con maggiore frequenza lo
304
Cfr. P. KLOPSCH, Pseudo-Ovidius de Vetula: Untersuchungen und Text, Leiden-Köln 1967, pp. 117-
136.
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133
spondeo, in quanto ci si preparava più facilmente al dattilo obbligato in quinta sede; tale
pratica si sviluppa da Catullo in poi, con l’eccezione di Ovidio. Guarnerio porta alle estreme
conseguenze la norma virgiliana della prevalenza spondiaca in senso assoluto, mentre soltanto
Ovidio presenta una percentuale complessiva di dattili superiore al 50%:
Tabella 5: Percentuale assoluta dei dattili
Synodus Eneide Metamorfosi
d 34,2% 43,5% 54,5%
Importante il raffronto tra l’esametro di Guarnerio e quello di Virgilio anche per quanto
riguarda la coincidenza del primo piede con una parola trisillabica costituente un dattilo o
bisillabico-spondiaca305
: nell’Eneide, nei vv. 1-500 del I libro la coincidenza dattilo-trisillabo
iniziale si verifica 73 volte con una percentuale del 14%; nel Synodus (per un totale di 601
versi) tale coincidenza occorre 78 volte, con un dato che è del 12,97%. Si tratta di una
significativa consonanza che rivela, ancora una volta, quanto, per certi aspetti, Guarnerio
guardi a Virgilio, soprattutto in considerazione della prevalenza spondiaca del verso.
Inversamente, però, i dati relativi alla coincidenza primo piede-parola spondiaca sono molto
differenti: nell’ Eneide tale fenomeno si verifica solo per un 3% dei versi, mentre in
Guarnerio, registriamo ben 138 occorrenze in 601 versi, con un enorme dato percentuale del
22,96%; qui la distanza dalla “Vergilian norm” suona abissale almeno per due motivi:
1) la noncuranza guarneriana per la consuetudine classica di iniziare il verso con un dattilo;
2) la supremazia assoluta dello spondeo, che oltrepassa di molto, in percentuale, il numero
di dattili e costituisce nella sua disposizione ssss, il primo pattern della poesia del Synodus306
.
Il quinto piede nell’esametro del Synodus coincide con la parola in 93 casi con una
percentuale del 15,47%. Tale coincidenza è largamente attestata in Virgilio307
che colloca in
questa sede o dei vocativi (es. Bucoliche 1, 13: Tytire) o degli aggettivi come aemulus,
aureus, plurali neutri come aequora, ablativi di temi in consonante come tegmine, oppure
forme verbali come linquimus, ibimus, solvere308
. Nei primi 40 versi del Synodus309
troviamo
11 coincidenze costituite da 2 verbi all’infinito (querere, v. 2 praef.), due imperativi (dicite, v.
9 e incipe, v. 22), tre ablativi singolari di temi in consonante (indice, v. 3 praef.; ordine, v: 7
praef., arbore, v. 3) due neutri plurali (optima, v. 8 praef., pocula, v. 2) e due nominativi
singolari femminili (copia, v. 14 e femina, v. 27).
305
Cfr. CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 376, in cui si trovano le percentuali di primo piede-parola
relative alle Bucoliche e all’Eneide. 306
Possiamo considerare realizzata la coincidenza dattilo-parola iniziale anche anche in presenza di bisillabi
cui si legano enclitiche monosillabiche: es. v. 79: scriptaque discernit bene quisquis apocrifa spernit. 307
Ad esempio nei primi 100 versi del I libro dell’ Eneide il fenomeno si verifica ben 43 volte. 308
Cfr. CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 376. 309
Si tratta dei vv. 1-10 della prefazione, che mantengono una numerazione a parte, e i vv. 1-30 del testo.
-
134
Singolare si rivela peraltro il confronto del dato relativo alla natura del quarto piede310
se
paragonato alla prassi seguita nell’Eneide e nelle Metamorfosi. In quarta sede, infatti, importa
rilevare quando l’ictus coincida con l’accento tonico della parola o delle parole che lo
compongono; se questa coincidenza si verifica, il piede si definisce “omòdino”, nel caso in
cui tale fenomeno non si realizza, il piede sarà detto “eteròdino”. Nella versificazione classica
se nella prima parte dell’esametro, cioè nel secondo e terzo piede, si tende ad alterare la
coincidenza tra ictus e accento tonico fino alla più frequente cesura pentemimera, facendo sì
che il ritmo del verso mantenga un andamento ascendente, in virtù dell’accento metrico che
cade spesso su sillaba finale di parola311
, nel secondo emistichio si tende, invece, a imprimere
al ritmo un andamento discendente tramite la coincidenza tra ictus metrico e accento tonico,
soprattutto in quarta e quinta sede; il verso, cioè, si dispiega in modo equilibrato tra
andamento ascendente e discendente. I dati relativi al quarto piede omòdino312
sono i
seguenti:
Synodus = 38,7%
Eneide = 37,8%
Metamorfosi = 50%
Come si può notare, soltanto un punto percentuale separa il dato del Synodus da quello
dell’ Eneide, ma il modello ovidiano si distacca da questi conteggi, perché in esso la ricerca
dell’equilibrio nella versificazione si spinge fino al punto da incorrere in una certa monotonia.
In Virgilio, invece, l’equilibrio è ben dosato grazie alla varietas, secondo una miscela ben
lontana dagli standard di Guarnerio. Non deve quindi stupire se qualche dato relativo alla
struttura esterna dell’esametro del Synodus coincida con i corrispondenti dati di Virgilio,
poiché Guarnerio resta fortemente legato ad una inesorabile fissità del costrutto esametrico313
.
3.14.3. Analisi delle clausole
Nella tecnica versificatoria dell’esametro, quel che maggiormente distingue il modello
classico da quello medievale è la parola finale del verso. L’analisi delle clausole permette di
310
Cfr. D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), pp. 10-11; CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 376: «È
facile riconoscere che questa coincidenza (= verso omòdino) accento-ictus nel quarto piede, specialmente se
dattilico, rende agilità e rapidità all’esametro, e che la mancata coincidenza nel quarto piede (= verso eteròdino),
specialmente se spondiaco, crea impaccio e lentezza». 311
Valga come esempio, ma se ne potrebbero riportare molti altri, Eneide 2, 4: ductores Danaum tot iam
labentibus annis. 312
Sono da considerarsi omòdini i piedi in quarta sede, la cui sillaba finale è costituita da un monosillabo,
che ha una chiara caratteristica proclitica e quindi non possiede un accento tonico autonomo: cfr. Synodus, v.
323: est iudex factus; laudantur et illius actus; v. 402: Rex David electus, pius atque per omnia rectus; v. 455:
artubus influxit, que nomen ab inguine duxit. In altri casi, come nel v. 467 languit Egbertus, qui de se non bene
certus, in cui il quarto piede è costituito da due monosillabi, entrambi con un proprio accento tonico ben definito,
non si può parlare di piede omòdino. 313
Sul concetto di ritmo ascendente e discendente cfr. ORLANDI, Caratteri cit. (nota 289), p. 348, nota 11:
«L’indicazione di tali tipi di ritmo convenzionalmente designa l’uso di cola metrici in cui, rispettivamente, la
lunga fissa o arsi si trova in coda (ascendente) o in testa (discendente)».
-
135
entrare nelle tecniche individuali del poeta medievale e, molto spesso, costituisce un
importante orientamento per la ricostruzione diacronica dell’opera314
.
La consuetudine classica vuole che le clausole canoniche siano di- e trisillabiche. Tale
costante disposizione permette di far coincidere molto di frequente l’ictus con l’accento
tonico delle parole, fenomeno che si verifica spesso anche al quarto piede. Ciò determina la
costruzione di un esametro provvisto di un ritmo discendente nel secondo emistichio e che
rifugge dalle cesure maschili, soprattutto da quella in quinta sede. Un esametro siffatto si
distingue per chiarezza e fluidità ritmica315
.
In Virgilio la chiusa quadrisillabica è molto rara ed è costituita spesso da parola greca,
soprattutto nelle Bucoliche316
. Assai rare sono peraltro nel Mantovano le clausole
monosillabiche, che nell’Eneide, per esempio, raggiungono il numero di 70, per un dato
percentuale dello 0,7%317
. Ancora più rare, ma pur sempre presenti, le clausole
pentasillabiche come quella, costituita da un nome greco, di Bucoliche 8, 1: pastorum Musam
Damonis et Alphoesiboei, oppure quella di Eneide, 11, 614: dant sonitu ingenti perfractaque
quadripedantum.
Nell’uso classico è ammesso il monosillabo in clausola, qualora questo venga preceduto da
un altro monosillabo, assieme al quale costituisce come una sola parola metrica318
; si
ricordino i seguenti casi dedotti dalle Bucoliche: 6, 9: non iniussa cano. Si quis tamen haec
quoque, si quis; 7, 35: nunc te marmoreum pro tempore fecimus; at tu; 9, 48: astrum quo
segetes gauderent frugibus et quo.
A sua volta in Ovidio l’uso della clausola si fa ancora più selettivo: nella quasi totalità dei
casi troviamo chiuse di due o di tre sillabe319
; il poeta di Sulmona evita anche di collocare il
doppio bisillabo in clausola, in quanto poteva essere percepito come un unico tetrasillabo.
Per restare in àmbito classico, più libera ed estrosa si rivela invece la scelta oraziana: pur
nella prevalenza del trisillabo, la clausola oraziana può con maggior frequenza essere
costituita da un monosillabo320
, oppure da parola con più di tre sillabe, fino ad arrivare
314
Cfr. D’ANGELO, The outer metric cit. (nota 289), p. 119. 315
Il modello è quello virgiliano di Bucoliche 1, 1 tégmine fàgi e 1, 2: meditàris avéna. Nel caso di Bucoliche
1, 3 la coincidenza ictus ritmico-accento tonico si realizza anche al quarto piede: dùlcia lìnquimus àrva. Cfr.
CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 376. Nel Medioevo la clausola 3 + 2 assume quasi un carattere
formulare, come sostiene J. Y. TILLIETTE, “Insula me genuit”. L‟influence de l‟Enéide sur l‟épopée latine du
XIIe siècle, in Lectures Medievales de Virgile, Actes du Colloque organisé par l‟Ecole française de Rome (Rome
25-28 octobre 1982), Roma 1985, p. 128. 316
È il caso di Bucoliche 2, 42: Aracyntho; Bucoliche 3, 1 e 63: Meliboei, che si trova nella stessa opera
anche in 5, 87 e 6, 53. 317
Nelle Bucoliche i monosillabi in clausola sono soltanto sei (0,72%): tra questi ricordiamo quelli di 3, 63:
Et me Phoebus amat; Phoebo sua semper apud me e di 4, 63: nec deus huc mensa, dea nec dignata cubili est, in
cui c’è anche l’elisione tra penultima parola e monosillabo finale. 318
NORBERG, Introduction cit. (nota 289), p. 22: mot-métrique (due monosillabi in clausola che costituiscono
una sola parola metrica). Il concetto è ripreso da KLOPSCH, Einführung cit. (nota 289), p. 68 e da ORLANDI,
Metrica „medievale‟ cit. (nota 289), p. 335, nota 22. 319
In tutta l’opera di Ovidio ci sono solo 7 tetrasillabi in clausola; tra questi 6 sono costituiti da nomi propri
greci. Il settimo, costituito da parola latina, si trova in Epistulae 11, 13: ille Noto Zephyroque et Sithonio
Aquiloni. 5 soltanto i casi di clausola monosillabica, tra cui due volte apud quos (Tristia, 2, 435 e Ex Ponto 1, 3,
81). 320
Si ricordi il famoso verso 1 della Satira 1, 9: Ibam forte via sacra sicut meus est mos.
-
136
all’esempio del pentasillabo di Satire 1, 2, 1, inserito fra l’altro in un esametro di sole tre
parole: Ambubaiarum collegia, pharmacopolae.
Nel Medioevo il filone antichizzante della poesia esametrica, ossia quello sviluppatosi
durante le tre generazioni carolingie e poi nel corso del XII secolo, si conforma ai modelli di
Virgilio e Ovidio, con una predilezione per il rigore ovidiano nella scelta delle ultime parole
che compongono il verso.
Fornisco adesso i dati delle clausole del Synodus di Guarnerio nella seguente tabella:
Tabella 6: Valore assoluto e percentuale dei vari tipi di clausola nel Synodus
1 1+1 2 3 4 2+2 1+4 5
1
0,16%
0
0%
197
32,77%
238
39,6%
128
21,29%
44
7,32%
36
5.99%
37
6,15%
Nel Synodus la maggioranza delle clausole è di- e trisillabica, con una preferenza per
quest’ultima, secondo i modelli classici; tuttavia, non può sfuggire come risulti ben
rappresentata anche la clausola tetrasillabica, sia nella sua struttura semplice321
che in quella
di 2 + 2322
, oppure nella forma di 1 + 4. Una preponderanza così netta del quadrisillabo in
clausola conferma nettamente la caratteristica medievale dell’esametro guarneriano e ci
permette di esperire che l’autore ancora non partecipa appieno delle tendenze antichizzanti,
che, da lì a qualche decennio, avrebbero dominato la scena della poesia esametrica.
Caratteristica del verso tipicamente medievale è, infatti, l’uso più libero della clausola, con un
impiego notevole del tetrasillabo323
.
A questo punto dell’analisi converrà passare in rassegna i tetrasillabi in clausola particolari
riscontrabili nel Synodus, da raggruppare in quattro categorie:
1) 1+4 = tetrasillabo preceduto da monosillabo sul modello di Ennio, Annales 104: di
genuerunt.
2) 3+4 = tetrasillabo preceduto da trisillabo sul modello di Virgilio, Eneide 10, 105: gemitu
lacrimisque.
3) 1+2+2 = parola metrica tetrasillabica preceduta da monosillabo sul modello di Virgilio,
Georgiche 2, 458: si bona norint.
4) 3+2+2 parola metrica tetrasillabica preceduta da trisillabo sul modello di Virgilio,
Eneide 10, 440: medium secat agmen.
321
Tra le clausole quadrisillabiche semplici ricordiamo modulantes (6 praef.); recreemur (v. 7); rationis (v.
17); prothoplastum (v. 25); melioris (v. 41); lapidatur (v. 50). 322
Il doppio disillabo era percepito come un unico mot-métrique di quattro sillabe e quindi era evitato nella
versificazione classica, a meno che non fosse preceduto da monosillabo. 323
In Virgilio e Ovidio la percentuale di clausole tetrasillabiche è meno dello 0,5%, mentre in Orazio siamo
su percentuali che vanno dallo 0,5% all’1%. In Lucrezio si registra una percentuale di tetrasillabi in clausola che
va dal 2% al 5%, mentre con Ennio siamo su percentuali che vanno dal 5% al 10%. L’epica arcaica, fino ad
arrivare a Lucrezio, conferiva all’esametro l’asprezza e la durezza ritmica che provenivano dall’uso
preponderante dello spondeo e delle clausole polisillabiche. Cfr. D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), p. 20.
-
137
Quanto alla prima categoria, il monosillabo che precede il tetrasillabo ha un valore per così
dire “mitigante”, poiché attenua l’asprezza della clausola polisillabica e la preponderanza
ritmica della cesura maschile al quinto piede (5m o posteftemimera324
), generalmente evitata
nella poesia classica, la quale, peraltro, rifuggiva dalle cesure maschili in tutto il secondo
emistichio dell’esametro325
. Questo tipo di clausola si afferma a partire dalla seconda metà del
IX secolo ed è utilizzata da quei poeti che rientrano nella tendenza antichizzante. Se il
monosillabo è preceduto in quarta sede da un dattilo, secondo lo schema seguente: –ˇˇ ‖ – ǀ ˇˇ–
ˇ, allora si realizza la dieresi bucolica326
(la divisione tra una parola e la successiva che
avviene tra quarto piede dattilico e quinto piede), secondo un uso che trova tanto favore nella
versificazione classica. Nel Synodus questo schema si trova ben 20 volte e precisamente nei
seguenti versi: 29: causis tribus et superati; 48: omnia cor tribulatum; 65: testis et hec
generando; 84: Noe sibi quos sociavit; 113: dictus pater est populorum; 131: sprevit et ad
Deitatem;179: utpote de veteranis; 202: recipit bona non peritura; 210: mundoque per hunc
renovato; 273: nescio quo retinente; 404: quod cito non superaret; 458: iugiter est operatus;
493: servans fuit in Babilone; 504: perdere sunt cruciati; 512: perdere nec peragebant; 527:
clero dedit et moriendi; 546: proceditis et seriatim; 553: flumen pede, cum voluisti; 583:
cantandoque nos recreastis; 589: tenditis ad paradisum.
Le clausole 1 + 4 non precedute da dattilo e quindi più prettamente medievali sono, invece,
16; esse si trovano nei versi: 18: hic iaceamus; 34: non superavit; 156: est odiosa; 160: qui
redivivus;165: se generatis; 185: nil referentes; 258: non veneratur; 260: sunt inimicis; 270:
sed meretricis; 339: vis inimica; 375: cor Samuelis; 456: iam morientem; 544: vos iterare;
556: per Benedictum; 562: est recreatus; 572: sunt modulamen.
Il totale, come si evince dalla tabella 6, è di 36 clausole quadrisillabiche precedute da
monosillabo. Se Guarnerio preferisce la soluzione del monosillabo preceduto da dattilo,
avverte come la dieresi bucolica renda il verso più armonico, avvicinandosi, così, almeno in
questo particolare, alla consuetudine versificatoria antichizzante.
La seconda categoria di tetrasillabo in clausola, 3 + 4, rientra nel gusto tipicamente
medievale e nel Synodus si incontra 26 volte per una percentuale assoluta del 4,32%. Ecco, di
sèguito, le occorrenze: 17: exemplum rationis; 19: expectans seniorem; 71: Domini coluere;
82: Dominus cataclismum; 100: confudit lathomorum; 126: precepti violatrix; 140: genitor
iugulare; 198: quadruplum reparatis; 201: detractant pharisei; 283: defunctos revocavit;
302: properas reprehendo; 316: pigeat meditari; 329: animo sapienti; 391: descensum
remoratur; 411: oblitus pietatis; 417: ubertas Salomoni; 481: Domino morituri; 482: divinas
perhibete; 490: secretum patefecit; 517: generis Machabei; 519: statuit seniores; 521: delictis
324
La definizione è di Alessandro di Villadei in Doctrinale (opera edita da D. REICHLING, in Monumenta
Germaniae Paedagogica, XII, Berlino 1893) 2420: postephtemimerim dat quinti syllaba prima. 325
Su questo argomento cfr. D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), p. 21 e ORLANDI, Metrica „Medievale‟ cit.
(nota 289), p. 336. 326
La dieresi bucolica spezza il verso in due parti, di cui la seconda è due volte più corta rispetto alla prima,
producendo un andamento ritmico armonico: es. Virgilio, Bucoliche 8, 68: ducite ab urbe domum, mea carmina,
‖ ducite Daphnim. Cfr. A. SALVATORE, Prosodia e metrica latina. Storia dei metri e della prosa metrica, Roma 1983, p. 43.
-
138
morientum; 524: placidis venerandus; 559: abbatem veteranum; 565: frumentum cumulavit;
588: etenim tribuentur.
Come si può constatare, tale clausola accentua oltremodo la cesura maschile al quinto
piede, che è evitata con accortezza dai poeti classici e il cui uso nella versificazione medievale
antichizzante viene molto limitato. Tale cesura imprime al verso un ritmo ascendente e
giambico che non si accorda con l’accento tonico della parola, rendendo vano quel processo
di chiarificazione ritmico-accentuativa che l’esametro classico persegue nella sua seconda
parte.
Le clausole tetrasillabiche restanti, che non rientrano cioè in nessuna delle due precedenti
categorie, restano in numero di 66 (il 10,98%) e sono per lo più precedute da bisillabo327
, ma
talvolta anche da quadrisillabo328
o polisillabo329
.
Per quanto riguarda la terza categoria di tetrasillabi particolari in clausola, il cui schema è 1
+ 2 + 2 e che ha una certa caratteristica antichizzante per via del monosillabo “mitigante”,
come accadeva nella prima categoria analizzata, nel Synodus si incontrano i seguenti 14 casi:
40: de grege munus; 66: os quoque Christi; 111: quos bene novit; 128: cum patre proles; 223:
quos sacra dantur; 279: plebs pia fovit; 303: sit satis isti; 318: lux mera prestat; 350: spem
dedit omen; 379: qui male vixit; 421: non fuit usquam; 452: qua fluit amnis; 467: non bene
certus; 495 est leve dictu.
Sono appena 6 i casi in cui il monosillabo è preceduto da un dattilo, in modo tale da
costruire la dieresi bucolica, che, come già rilevato, attenua ancora di più la cadenza ritmica
della cesura maschile al quinto piede: 32: tempore de patre natum; 77: pagina si bene credit;
115: Sare iacet in scrobe iunctus; 137: ducens pater ad sacra natum; 150: mox cadit in nece
iunctus; 590: adiuvet et Patre Natus.
Della quarta categoria di clausole tetrasillabiche particolari con schema 3 +2 + 2, nel
Synodus ci sono appena 8 attestazioni, che sono le seguenti: 64: adversos tibi Christe; 85:
foliis adit ales; 125: coniunx tua cladis; 176: rimatur sacer usus; 208: populo dare legem;
229: collatum tibi donum; 278: descendit nisi victis; 332: recolit tua festa. Tale soluzione
conferisce al verso un andamento ritmico stanco, per non dire forzato, e nient’affatto
antichizzante.
La clausola 2 + 2 è preceduta talvolta anche da un bisillabo330
e, qualche volta, da un
quadrisillabo331
.
Nel Synodus si rileva l’occorrenza di un solo monosillabo in clausola al v. 136: sanctis
exosus, ceu delectata luto sus. Si tratta di una clausola preceduta da bisillabo giambico
(secondo lo schema ˇ ǀ – ‖–) sul modello di apud nos, citato precedentemente (nota 26), a
327
Cfr. ad esempio il v. 6 praef: duos modulantes; il v. 7: sacris recreemur; il v. 25: mere prothoplastum. 328
Soltanto due i casi: v. 342: christicolas cruciabat; v. 457: multiplicem letaniam. 329
Un solo caso in tutto il Synodus: al v. 513, la clausola tetrasillabica è preceduta da un pentasillabo:
Desiderio superato. 330
Cfr. i vv. 69: summi Ducis Ortum; 110: sacri dator edit; 142 ensem quia iussit; 251: offert amor unus;
280: sanctis data pridem; 338: regem male sanum; 384 laudis tibi testem; 434: donec male sanus; 444: erat
prope stagna; 531: furtum sibi notum; 567 arvis prece fructum. 331
Cfr. i soli 5 casi: v. 146: declinantes quasi pestem; v. 148: iniciens tibi restim; v. 228: mortificans cruce
Christi; v. 235: angelicum timet ictum; 336: salvatorem dedit Aoth.
-
139
proposito del raro uso che ne ha fatto Ovidio332
. Certamente anche la chiusa monosillabica è
avvertita come irregolare dal gusto medievale cosiddetto antichizzante, eccetto il caso in cui il
monosillabo sia preceduto da altro monosillabo, con il quale si unisce in unica parola
metrica333
. Nel Synodus non si riscontra questo tipo di clausola.
Nel nostro poemetto ben rappresentate sono viceversa le clausole pentasillabiche: in tutto
si contano 37 casi, come si vede dalla tabella 6, con una percentuale del 6,15%. Si è già
rilevato come i pentasillabi in Virgilio siano costituiti da parole prevalentemente di origine
greca e che si incontrino soprattutto in Bucoliche, ed è stato citato l’unico caso di pentasillabo
costituito da parola latina in Eneide 11, 614: quadripedantum. Nelle Metamorfosi di Ovidio si
registra un solo caso di pentasillabo in clausola e precisamente al v. 705 del libro XV:
Rhonetiumque legit Caulonaque Naryciamque; anche qui si tratta di un termine di origine
greca che significa “naricio, locrese” (ύς), relativo alla città della Magna Grecia di
Locri.
Il pentasillabo in clausola non fa parte invece della consuetudine della versificazione
classica e non rientra, di conseguenza, nemmeno nel gusto “antichizzante” medievale. Si può
affermare che esso rappresenti uno dei tratti distintivi dell’esametro cosiddetto medievale e la
sua occorrenza così rilevante nel Synodus conferma ancora una volta la distanza dell’esametro
guarneriano rispetto ai modelli classici.
È utile a questo punto passare in rassegna i pentasillabi del Synodus e riflettere, per quanto
possibile, sulla loro qualità semantica e sul loro aspetto etimologico. Ecco l’elenco delle
occorrenze nei seguenti versi: 1 praef.: basiliensis; 9 praef: compositoris; 10: equiperantes;
42: simplicitate; 54: multiplicantes; 73: corripuerunt; 86: ebrietate; 103: discipulorum; 122:
mortificatur; 155: Omnipotenti; 173: gratificatum; 195: multiplicavit; 200: Omnipotentem;
243: opilionem; 247: sacrificantes; 385: vivificato; 289: clarificavit; 296: Aureliani; 317:
utilitatis; 324: Omnipotenti; 330: distribuisti; 333: allophilorum; 354: pontificatus; 371:
impietatis; 389: continuatis; 400: credulitatis; 403: auxiliante; 413: Ambrosiano; 435:
Omnipotentem; 460: exitialis; 502: anteferendus; 514: eripuisti; 532: corripuisset; 545:
conveniebat; 558: dilacerati; 577: historiarum; 584: insidiando.
Tra questi pentasillabi in clausola il termine basiliensis di v. 1 praef. è un toponimo
utilizzato da Guarnerio soltanto per indicare la propria provenienza geografica; Aureliani del
v. 296 è un nome proprio e il suo uso in clausola è attestato nell’opera De triumphis Italiae di
Flodoardo di Reims, storico e poeta vissuto tra l’894 e il 966, a cavallo tra l’ultima
generazione carolingia e la poesia del X secolo334
. Una riflessione particolare merita il
termine allophilorum del v. 333: esso non è presente in attestazioni classiche, ma esiste un
allophylus, che ha il significato di “filisteo”, perché si incontra nel lessico ecclesiastico; in
332
In tutte le Metamorfosi di Ovidio si trovano soltanto due clausole monosillabiche, in due versi contigui e
parallelli, attentamente studiati (il secondo di questi è costruito in golden line) con uno schema di clausola di 4 +
1: Metamorfosi 15, 30-31: Candidus Oceano nitidum caput abdiderat Sol / et caput extulerat densissima
sidereum Nox. 333
Per i dati relativi alle clausole riguardanti Ovidio cfr. R. LEOTTA, L‟esametro di Guglielmo il Pugliese, in
«Giornale Italiano di Filologia» 27 (1976), p. 294. 334
L’opera poetica di Flodoardo di Reims si trova in PL, 135, 491-886.
-
140
poesia il termine in clausola lo si ritrova in testimonianze quasi coeve a Guarnerio e sembra
costituire un’espressione legata ad una accezione antigiudaica, diffusa tra l’XI e il XII
secolo335
.
A testimonianza di come le suddette clausole pentasillabiche appartengano ad un lessico in
gran parte estraneo all’uso classico, si può isolare un nutrito gruppo di cristianismi, a
cominiciare da Omnipotenti, che ricorre, con varie desinenze ben 4 volte e segnatamente ai
vv.155, 200, 324 e 435336
. Al latino cristiano appartengono le parole pontificatus337
del v. 354,
Ambrosiano del v. 413, discipulorum del v. 103, nell’accezione neotestamentaria riferito ai
seguaci di Cristo338
. Anche il termine simplicitate, utilizzato in clausola già da Lucrezio nella
sua accezione fisico-naturalistica, nel latino cristiano indica, da una parte la virtù della
modestia, dall’altra, in senso teologico, l’unità trinitaria339
. Alla stessa area semantica
appartengono i quattro verbi: gratificatum340
del v. 173, mortificatur del v. 122, vivificato341
del v. 385 e clarificavit del v. 289342
.
I pentasillabi in clausola del Synodus si possono raggruppare ancora almeno in altre due
categorie di termini di uso classico: forme verbali in gran parte al tema del perfetto
(corripuerunt, multiplicavit, distribuisti, eripuisti, corripuisset), ma anche con altre
determinazioni morfologiche (equiperantes, multiplicantes, auxiliante, anteferendus,
dilacerati, insidiando, continuatis e conveniebat); forme sostantivali di vario caso (ebrietate,
opilionem, utilitatis, impietatis, credulitatis, exitialis, historiarum e compositoris). È evidente
come le parole raggruppabili in quest’ultime due categorie, seppure attestate nella latinità
335
Tre sono le testimonianze più importanti: 1) HERIGERUS LAUBACENSIS, (morto nel 1007), Vita Ursmari
(frammento dal libro I in PL, 139, 1125-1128) 1, 398: acriter Hebreum compresserat allophilorum; cfr. R. G.
BABCOCK, On the “Vita Ursmari” of Heriger of Lobbes, in «Millellateinisches Jahrbuch» 18 (1983), pp.105 e
ss. 2) Amarcio (circa 1100), Sermones (edizione critica a cura di K. MANITIUS in MGH, Quellen zur
Geistesgeschichte des Mittelalters 6, 1969) 3, 947: Iudeos rabie defendit allophilorum; 3) METELLO DI
TEGERNSEE, Eclogae (P. C. JACOBSEN, Die Quirinalien des Metellus von Tegernsee, Leiden/Köln 1965), 6, 29:
Ex devictorum spoliis David allophilorum. Come si può notare in tutte le occorrenze la parola indica gli stranieri
avversari degli Ebrei, come in Guarnerio, in cui gli allophilorum sono gli stranieri spietati a cui appartiene il re
Eglon che tormenta il popolo ebreo. 336
La clausola è assai diffusa, a partire da Prudenzio e Paolino da Nola, in tutta la poesia religiosa medievale,
soprattutto in periodo carolingio; ben 23 sono le occorrenze nell’opera Occupatio (edizione critica a cura di A.
SWOBODA, Lipsia 1900) di Odone di Cluny (878-942); 15 le occorrenze in Marbodo di Rennes (1035-1123),
mentre Guarnerio stesso, nell’opera Paraclitus, la utilizza al v. 653: qui non fallentis verbum putat Omnipotentis. 337
Anche questa clausola è attestata a partire dai poeti carolingi: la si incontra nel De sobrietate (edizione
critica a cura di L. TRAUBE, in MGH, Poetae III, pp. 557-675) di Milone di St. Amand (morto nell’871): quo
merito Finees fit heres pontificatus; ma poi è presente anche in Amarcio (circa 1110), Marbodo, Metello di
Tegernsee ed altri poeti religiosi del XII secolo. 338
La clausola si trova già molto spesso negli Evangeliorum Libri (CSEL 24 [1891]) di Giovenco, mentre
Guarnerio nel Synodus la utilizza anche nel seguente verso 103: Quin electorum caput aspice discipulorum. 339
Cfr. Lucr.1, 548: sunt igitur solida primordia simplicitate; nell’accezione teologica la utilizza Bernardo di
Cluny (sec. XII), De Trinitate, (BERNARDI CLUNIACENSIS Carmina de trinitate, recensuit K. HALVARSON,
Stockholm 1963), 143: qui nec in unius persone simplicitate. 340
Il verbo nella sua forma attiva si trova in Cassiodoro e soprattutto nella Vulgata. 341
Mortifico e vivifico sono due voci verbali che hanno un uso esclusivo nel latino ecclesiastico;
specialmente il secondo, nella sua forma participiale (vivificans), lo si incontra spesso nei poeti cristiani, sulla
scorta dell’uso che del termine si fa nel “Simbolo niceno-costantinopolitano” (il Credo della liturgia cattolica)
del sec. IV, in riferimento allo Spirito Santo: Et in Spiritum Sanctum Dominum et vivificantem, qui cum Patre et
Filio simul adoratur et conglorificatur. 342
Anche il verbo clarifico si trova come prima attestazione in Lattanzio, ma è largamente impiegato nella
Vulgata.
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141
classica, abbiano una scarsa qualità “poetica”, non solo per la loro estensione sillabica, bensì
anche per la loro quasi generalizzata asprezza fonetica. In poesia tali termini sono più diffusi
in àmbito medievale e a buon diritto entrano nell’esametro di Guarnerio, che, dall’analisi delle
clausole, risulta con molta evidenza tipicamente medievale.
3.14.4. Cesure e dieresi
Questo aspetto dell’analisi consiste nell’individuare e classificare i punti in cui le parole si
dividono all’interno dell’esametro. La divisione che cade all’interno di un piede si chiama
“cesura”, mentre quella che si verifica tra un piede e l’altro viene definita “dieresi”343
. Nel
Medioevo esiste una certa confusione sull’estensione del termine “cesura”: le teorie poetiche
tardo antiche e medievali, a partire da Aldelmo (640-709) e Bonifacio (675-754), avevano
teorizzato la cesura, ma non sono state mai concordi nell’adottare definizioni tecniche
precise344
; come è noto una sistemazione teorica arriva nel Medioevo tardivamente, alla fine
del XII secolo, con un’opera grammaticale dal titolo Doctrinale di Alessandro di Villadei
(1160/70 – 1240/50)345
. Tra XII e XIII secolo ricorrono numerose le testimonianze di teorici
della tecnica versificatoria, in concomitanza con la tendenza “antichizzante” in poesia
diffusasi in questo periodo346
.
343
Sugli aspetti relativi alla definizione dei due fenomeni, cfr. ORLANDI, Caratteri cit. (nota 289), p. 352. Il
dibattito su cosa sia cesura nella versificazione classica è molto lungo e complesso. I termini di una duplice
tendenza tra i metricologi, quelli che sostengono che la cesura non abbia rapporti con il senso e quelli che, al
contrario, sottolineano le implicazioni sintattico-semantiche delle cesure, sono ben riassunti da D’ANGELO,
Indagini cit. (nota 289), pp. 29-30. Lo studioso alla nota 62 di p. 30, attingendo al lavoro di A. W. DE GROOT,
Wesen und Gesetze der Caesur (Ein Kapitel der allgemeinen Versbaulehre), «Mnemosyne» 2 (1935), pp. 81-
154, riporta il parere del grande filologo Wilamowitz, sostenitore della tesi del valore semantico della cesura, a
proposito del verso greco: «Wer in griechischen Vers eine Caesur annimmt, wo keine syntaktische Grenze
vorhanden ist, versteht… nicht zu lesen, nur zu skandieren». Cfr. anche ORLANDI, The Hexameter cit. (nota
289), p. 379, nota 26. 344
Il quadro delle posizioni dei teorici tardoantichi e medievali è fornito da KLOPSCH, Einführung cit. (nota
289), pp. 65-74. 345
KLOPSCH, Einführung cit. (nota 289), p. 73, cita del Doctrinale i vv. 2413-2422 in cui le cesure vengono
messe in relazione con l’ectasis o productio ob caesuram, cioè l’allungamento della sillaba breve in arsi e in
corrispondenza di una cesura:
Ectasis esse solet, si producas breviandam.
Bis binas species habet ectasis, hasque vocamus
caesuras: faciet penthemimerim tibi terni
Syllaba prima pedis; ibi producis breviandam.
Semi- vel ante- preit, produceturque secundi
Prima pedis, ut in hoc poteris cognoscere versu.
Quarti prima pedis hephthemimerim tibi format
Producendo brevem: versus hoc denotat iste.
Posthepthemimerim dat quinti syllaba prima
curtam producens, sicut versus habet iste.
In questa testimonianza vengono teorizzate le cesure maschili (quelle cioè che cadono dopo la sillaba in arsi) al
secondo, terzo, quarto e quinto piede (2m, 3m, 4m e 5m). 346
Vanno ricordati, PAOLO CAMALDOLESE, Introductiones de notitia versificandi (seconda metà del XII
secolo, su cui cfr. l’edizione curata da V. SIVO, Il “Donatus” di Paolo Camaldolese, Spoleto 1990 e la
recensione relativa di A. BISANTI in «Schede Medievali» 20-21 [1991], pp. 189-191); GERVASIO DI MERKLEY
(XIII inc.), Ars poetica (ed. cit. nota 301); EBERARDO IL GERMANICO (XIII sec.), Laborintus (in E. FARAL, Les
Arts poètiques cit. [nota 1], pp. 336-377); GIOVANNI DI GARLANDIA (1195-1272), De arte prosaica metrica et
rithmica.
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142
Ovviamente uno studio analitico delle cesure e delle dieresi non può non muovere da dati
oggettivi: il computo assoluto e in percentuale delle divisione tra una parola e l’altra
all’interno del testo, a partire dalla cesura “femminile” al primo trocheo (1f), fino ad arrivare
alla cesura “maschile” al quinto piede (5m). Secondo la norma corrente, si dicono maschili, le
cesure che cadono dopo la prima sillaba lunga in arsi di un piede, femminili quelle che cadono
dopo la prima breve di un piede dattilico, altrimenti definite cesure “trocaiche”, perché
cadono dopo la successione lunga-breve. Le dieresi, sono indicate nelle seguenti tabelle con i
segni: 1/2 = dieresi tra primo e secondo piede; 2/3 = dieresi tra secondo e terso piede e così
via.
Quanto al Synodus di Guarnerio di Basilea le due tabelle seguenti sono relative
rispettivamente al primo e al secondo emistichio di ogni verso:
Tabella 7: cesure e dieresi nel primo emistichio dei versi del Synodus
1f 1/2 2m 2f 2/3 3m
76 344 218 58 1 601
12,64% 57,23% 36,27% 9,65% 0,16% 100%
Tabella 8: cesure e dieresi nel secondo emistichio dei versi del Synodus
3f 3/4 4m 4f 4/5 5m
9 214 301 81 310 169
1,49% 35,60% 50,08% 13,47% 51,58% 28,11%
I valori assoluti e le percentuali qui riportati calcolano tutte le divisioni delle parole, anche
quelle che occorrono tra monosillabi. Il monosillabo, infatti, soprattutto se breve, ha valore
proclitico e costituisce un tutt’uno con la parola seguente347
.
Il dato abbastanza prevedibile di questo quadro consiste nella presenza della cesura 3m nel
100% dei versi, perché ci si trova in presenza di esametri con rima leonina e per di più
bisillabica pura. Ciò comporta una divisione del verso in due unità ben distinte e molto spesso
provoca una sorta di sclerotizzazione non solo metrica, bensì anche logico-sintattica del verso
stesso. La cesura in 3m, tuttavia, è la più utilizzata non solo in ambito mediolatino, ma anche
nel mondo classico; nell’Eneide tale cesura ricorre per almeno l’85% dei casi e spesso è
accompagnata da una pausa aggiuntiva; se nell’esametro greco, e in Omero, era preferita la
cesura al terzo trocheo, la 3f, in àmbito latino, a partire da Ennio, si avvia una tendenza
nazionale a privilegiare la cesura 3m348
.
In Ovidio, in modo particolare nelle opere elegiache, tale propensione raggiunge il
massimo dell’applicazione, dal momento che la semiquinaria è assente solo nel 7-8% dei
versi; in ogni caso, se non c’è la cesura 3m, si trova la 3f, in modo tale che i versi privi di
347
Cfr. D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), p. 33. 348
Cfr. CUPAIUOLO, Esametro cit. (nota 290), p. 377.
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143
cesura al terzo piede si riducano soltanto allo 0,1%349
. La parola che termina in cesura
principale, cioè in 3m, è quasi sempre polisillabica. Anche nell’uso classico, infatti, se in 3m
occorre un monosillabo, esso è sempre preceduto o da altro monosillabo o da parola pirrichia
(cosa che comporta la presenza di un piede dattilico in seconda sede), che forma con il
monosillabo in cesura un mot-métrique350
. Anche i dati del Synodus dimostrano l’applicazione
di questa pratica classica: il solo caso relativo a dieresi in 2/3 si trova al v. 257: res monet hec
ne quis detractet legibus equis, in cui il monosillabo in arsi in 3m è preceduto da altro
monosillabo breve non accentato e quindi proclitico, formando un’unica parola anche ai fini
della costituzione della rima bisillabica nei due emistichi: ne quis-equis. Nel Synodus non si
trovano casi di bisillabi pirrichi che precedono un monosillabo in 3m, anche in considerazione
della scarsa percentuale di dattili in seconda sede (11,82%), come precedentemente rilevato.
Molto rara è nel Synodus anche la cesura in 3f, perché, presentandosi sempre la cesura 3m,
la contemporanea presenza della 3f impone l’uso di un monosillabo: tra i 9 casi riscontrati
nell’opera guarneriana, ricordiamo il v. 5 praef.: non veteri more sed eas scribendo canore, in
cui è evidente che il sed si appoggia, in quanto proclitico, al pronome eas. In ciò Guarnerio si
discosta molto dai modelli classici e dai modelli antichizzanti; in Ovidio, infatti, la cesura al
terzo trocheo (3f) si trova nell’8% dei casi e nell’esametro di molte commedie elegiache del
XII secolo, supera spesso la percentuale del 10%351
.
Il dato che più di tutti rivela la distanza del Synodus dai modelli antichizzanti e dagli
esempi classici è comunque la percentuale di cesure tra terzo e quarto piede (3/4); nella
versificazione classica era assoluto il divieto di far terminare la parola in questo punto, a
meno che non ci si trovasse, come per il precedente caso, in presenza di monosillabo
proclitico o di bisillabo pirrichio, anch’esso poggiante sul piano dell’accentazione ritmica e
tonica sulla parola successiva352
; nel Synodus troviamo ben 214 casi di dieresi in 3/4 con una
percentuale del 35,60%: anche volendo giustificare questa massiccia presenza con la
componente del monosillabo proclitico o con il bisillabo pirrichio, senza dubbio le scelte di
Gaurnerio non tengono conto della prassi antichizzante e del divieto di far terminare la parola
tra terzo e quarto piede. Un paio di casi possono essere citati a titolo di esempio: v. 4 praef:
349
Cfr. ORLANDI, Metrica „Medievale‟ cit. (nota 289), p. 338, n. 38. Tali dati sono desunti dallo studio di M.
PLATNAUER, Latin Elegiac Verse. A Study of Metrical Usages of Tibullus, Propertius and Ovid, Cambridge
1951, pp. 7-10. 350
ORLANDI, Metrica „Medievale‟ cit. (nota 289), p. 338, cita come esempio Ovidio, Ars amatoria 1, 9: ille
quidem ferus est et qui mihi saepe repugnet, in cui la parola ferus è appunto un pirrichio. 351
Si ricordi, ad esempio, il verso di Ov. Ars 1, 15 (per restare nell’ambito dell’Ovidio elegiaco): Quas
Hector sensurus erat, poscente magistro. La presenza di 3f nel Geta e nell’Aulularia di VITALE DI BLOIS (sec.
XII, edizione a cura di F. BERTINI, Commedie latine del XII e XIII secolo, I, Genova I, 1976; III, 1980) è
rispettivamente del 13,2% e dell’11,3%. Nelle Bucoliche di Marco Valerio (ed. cit. nota 213) la percentale è di
12,5%. Cfr. ORLANDI, Metrica „Medievale‟ cit. (nota 289 ), p. 338, nota 38. Nel Synodus gli altri 8 casi di cesura
al terzo trocheo (tutte con monosillabo proclitico) si trovano nei seguenti versi: 18: fiat dicamus nec inertes hic
iaceamus; 194: se deus afflictum, nec ab ullo turbine victum; 328: collum contrivit, sed, ut ille superna petivit;
338: in bellando manum, sed ut is regem male sanus; 348: reges turbabant et iniquo iure gravabant; 406: militis
uxorem, sed et ipsum propter amorem; 468: si demigraret quod ad atria summa volaret; 500: redditus est vite
per eum vir stirpis avite. 352
Cfr. a questo proposito Ov. Ars 1, 17 in cui è evidente la presenza del bisillabo pirrichio ego che si
appoggia sulla voce verbale sum: Aeacidae Chiron, ego sum praeceptor Amoris.
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rerum priscarum brevis editor atque novarum, in cui è presente il bisillabo pirrichio brevis; v.
11: mente iubes dia que precipis alma Sophia, nel quale è evidente il monosillabo proclitico,
che, in realtà, poiché per natura è lungo (que = quae, neutro plurale), può essere a tutti gli
effetti separato, in quanto autonomo sul piano dell’accento tonico, dalla parola successiva;
Guarnerio, tuttavia, non sembra tenere conto di questo e tratta il que come se fosse breve; è
evidente che nella versificazione guarneriana, lontana dai modelli “antichizzanti”, non
sussiste più la piena percezione della quantità delle sillabe. La consistenza del dato
guarneriano della dieresi in 3/4 si spiega alla luce di quella avvertenza metodologica che si
avanzava in precedenza: sono stati distinti tutte le divisioni di parola, mentre alcuni analisti
non considerano le divisioni che avvengono tra monosillabo breve e parola successiva. Il che
non vuole costituire una giustificazione neppure parziale dell’anomalia di questi dati in
contrasto con quelli ricavabili da qualsiasi modello classico e “antichizzante”.
Ulteriore dato rilevante è peraltro quello delle percentuali di cesure maschili all’interno
dell’esametro guarneriano; la presenza della cesura maschile caratterizza l’esametro
medievale, soprattutto nel secondo emistichio (4m e 5m), poiché imprime al verso un ritmo
ascendente che si può prolungare fino al quinto piede; nell’esametro classico e antichizzante
si preferisce, nel secondo emistichio, dare spazio alle cesure femminili dopo la pausa forte
della pentemimera, per conferire al ritmo del verso un andamento discendente speculare a
quello ascendente del primo emistichio. Inoltre, l’assenza di cesure maschili nella seconda
parte dell’esametro generalmente determina la coincidenza di ictus e accento tonico delle
parole, fenomeno che produce chiarezza nella catena fonico-ritmica del verso stesso.
Tale prassi, che si potrebbe definire “ovidiana” viene adottata anche dai poeti carolingi e
dal filone della poesia antichizzante del XII secolo. In Guarnerio la percentuale di 2m (36,
27%) è, tutto sommato, in linea con la tendenza della poesia della cosiddetta aetas horatiana
(i cui termini cronologici sono con la dovuta approssimazione 1050-1120) che registra un dato
relativo a 2m di 39%353
. Nei due seguenti versi del Synodus,
v. 19: servo seni ║ morem, minor expectans ║ seniorem
v. 23: ac titulos ║ rerum numero ║ conferte dierum
si nota come 2m sia correlata, nel primo caso, anche a 5m e come il ritmo del verso sia
chiaramente ascendente fino alle soglie della clausola trisillabica; nel secondo caso 2m è in
correlazione con 4m e il ritmo ascendente si arresta prima della clausola dattilico-spondiaca.
Tra i due versi quello più “medievale” è, per i motivi su esposti, il primo. In ogni caso, la
cesura tritemimera, anche secondo l’abitudine classica, è accompagnata sempre da un’altra
pausa354
.
353
Ci si riferisce ai dati forniti da ORLANDI, The Hexameter cit. (nota 289), p. 379. Lo studioso ha censito
ben 50 testi ordinati cronologicamente, partendo dai Gesta Apollonii (sec. X, ed. E. DÜMMLER, in MGH Poetae,
II, pp. 483-506) e da Rosvita (ca. 935-975) e giungendo fino ad Amarcio (ca. 1110), Eupolemio (1100-1125) e
Serlo di Bayeux (1050-1113/22). Per ogni opera Orlandi ha analizzato un campione rappresentativo di 200 versi. 354
Se, per esempio, si prende in considerazione Ov. met. 1, 1: In nova fert animus mutatas dicere formas, ci
si accorge come la 2m, segnata, peraltro da un monosillabo, sia correlata all’immancabile 3m, ma si vede come
nel secondo emistichio ci sia solo una dieresi in 4/5 che distende il verso nel suo ritmo discendente, in direzione
-
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Più diffusa nel testo di Guarnerio si rivela la cesura maschile al quarto piede (4m o
eptemimera), che è presente praticamente in metà dei versi dell’opera (50,08%). In ciò il
poeta medievale si allinea con la tendenza della versificazione classica secondo la quale la
cesura 4m deve essere più frequente di 2m di circa un 20%. Se si considera che nel Synodus la
cesura 3m è sempre presente si nota come in metà dei versi dell’opera il ritmo ascendente del
verso si protragga oltre il primo emistichio355
. Si veda ad esempio il v. 74 che vede la
compresenza di 2m, 3m e 4m: nec reprobo ║ dictum ║ cuntis ║ dubitare relictum.
Tuttavia più di tutte è la cesura enneamimera o maschile al quinto piede (5m) a
determinare la distanza dell’esametro guarneriano da quello antichizzante: essa è presente in
601 versi ben 169 volte con una percentuale del 28,11%. Quasi un terzo degli esametri del
Synodus mostra questa tendenza tipicamente medievale di porre l’ictus nell’ultima sillaba
della parola. Gli autori medievali, in altri termini, costruiscono il verso per apporto successivo
di parole aventi uno schema prosodico che prevede sempre la presenza dell’ultima sillaba
lunga; si tratta di una tecnica di scuola, molto semplicistica, che risulta, nella sua successione
iterativa, alquanto monotona356
; si veda ad esempio il v. 292, in cui sono presenti tutte le
cesure maschili (2m, 3m, 4m, 5m); il rilievo delle sillabe accentate rende chiarezza, anche
visiva, del fenomeno: tres iuvenés ║ iustós, ║ reddéns ║ illós ║ inadústos.
Ben rappresentata è anche la cesura al quarto trocheo o 4f, detta “legge o ponte di
Hermann”, che nella versificazione greca era assolutamente evitata, mentre in ambito latino
viene introdotta, anche se la sua presenza è limitata a causa del raro uso del dattilo in quarta
sede357
. Secondo i dati forniti dall’analisi di Cupaiuolo358
, nel primo libro dell’Eneide su 756
versi la cesura 4f si presenta 19 volte con una percentuale di 3,43%. Con Ovidio si ha un
leggero incremento di questa cesura anche se l’uso di essa rimane pur sempre limitato. Nel
Synodus si verifica una percentuale di presenza di 4f notevolmente superiore agli standard
classici, e precisamente del 13,47%. Il dato percentuale si riduce se consideriamo due
particolari tipologie di 4f:
1) ben 18 (2,99%) sono i casi in cui 4f si presenta in concomitanza con la dieresi 4/5, e ci si
trova, cioè in presenza di un monosillabo proclitico che si appoggia sulla parola dattilica in
quinta sede, come nel v. 44: fraude foras ductum; fert sanguis ║ ad ardua luctum. Con
l’inserzione del monosillabo la cesura 4f perde parzialmente la sua efficacia, poiché si
affievolisce il senso ritmico della distensione del dattilo in quarta sede. In questi casi, la
soluzione della cesura femminile al quarto piede risulta più facile.
della coincidenza ictus metrico-accento tonico. Questo verso ovidiano costituisce una sorta di paradigma della
chiarezza della versificazione antichizzante, cui si è fatto ripetutamente cenno nel corso della presente analisi. 355
Nei testi dell’ aetas horatiana analizzati da ORLANDI, The Hexameter cit. (nota 289), p. 379, la 4m
registra un dato molto simile a quello guarneriano: 53%. 356
Cfr. P. KLOPSCH, Pseudo-Ovidius cit. (nota 304), p. 130, il quale a proposito del verso del De Vetula
pseudo ovidiano (post 1150) parla di «Eindruck des Mühsamen und Schwerfälligen». D’ANGELO, Indagini cit.
(nota 289), p. 41, riporta il giudizio di J. SOUBIRAN, Prosodie et métrique des Bella Parisiacae Urbis d‟Abbon,
«Journal des Savants» (1965), p. 296: «technique simpliste, scolaire, qui engendre vite monotonie». 357
Cfr. D’ANGELO, Indagini cit, (nota 289), p. 41. 358
Cfr. CUPAIUOLO, L‟esametro cit. (nota 289), p. 377.
-
146
2) per 25 volte (il 4,15%) 4f si realizza grazie alla particella -que enclitica che si lega a
parola di aspetto prosodico giambico o anapestico, come nella successione dei due versi 225-
226: stupra frequentavit sacramque ║ fidem violavit / turpia sectando veteresque ║ vias
iterando. Questa soluzione sembra costituire piuttosto l’applicazione di un espediente
formulare, cosa che rende il verso abbastanza prevedibile nella sua costruzione. Nei casi
rimanenti, in numero di 38 (il 6,32%), la cesura 4f cade in concomitanza spesso con 5m,
oppure non è seguita da altra cesura: in questi casi si può parlare veramente di versi costruiti
con l’intento dell’autore di conformarsi al modello antichizzante; si veda per esempio il v.
326, il quale nella sua distensione dattilica del secondo emistichio, presenta un andamento
ritmico che potremmo definire classico: Sixtus papa sacer, simulacra colentibus acer.
Un altro dato significativo del Synodus è offerto dal numero delle dieresi 4/5, che è del
51,58%: ben 310 sono i casi di divisione di parola che avviene tra quarto e quinto piede. La
dieresi bucolica, quella, che si verifica, cioè, in presenza del dattilo nel quarto piede, nel
Synodus ha una percentuale di 20,63%, poiché si realizza ben 124 volte. Le percentuali
medievali (tra XII e XIV secolo), calcolate da Giovanni Orlandi359
, si aggirano su una media
del 28%, con punte anche del 40% in Pietro Riga (morto nel 1209), di 37% in Quilichino di
Spoleto (1236 circa). Passando in rassegna i primi 100 versi dell’Eneide, la cesura 4/5 si
realizza ben 53 volte, ma solo 12 sono le dieresi bucoliche. Nei primi 100 versi del I libro
delle Metamorfosi di Ovidio la dieresi bucolica si verifica per ben 19 volte, mentre nel
complesso la divisione di parole tra quarto e quinto piede si realizza 44 volte. Come si può
notare, i dati del Synodus relativi alla dieresi bucolica sono molto simili a quelli riscontrabili
nella produzione esametrica di Ovidio e un po’ più lontani da quelli relativi alle opere di
Virgilio; in ciò Guarnerio segue, solo apparentemente, la “Ovidian norm” e, quindi, la
tendenza “antichizzante” del XII secolo, poiché gran parte di queste dieresi in 4/5 si
realizzano a causa della sovrabbondanza di monosillabi tra quarto e quinto piede, ossia in quei
versi in cui occorrono insieme 4f e 4/5. A titolo di esempio si pensi al v. 65: ille prophetando,
tibi testis ║ et hic generando. È evidente che il monosillabo si unisce in mot-métrique o con
altro monosillabo che lo segue, come nel caso sopracitato, o si lega come proclitico con la
parola successiva, come nel seguente verso 181: nam canitis laute, iunguntur ║ et omnia
caute. Si può affermare che il monosillabo annulli la dieresi stessa, ma, in ogni caso, siamo in
presenza di una deminutio dell’efficacia ritmica della dieresi bucolica, per cui il dato
guarneriano, seppure superiore ai modelli virgiliano e ovidiano, non può venire interpretato
quale spia di una tendenza versificatoria “antichizzante”. Nei versi 102-103 del Synodus la
dieresi bucolica si realizza, secondo l’uso classico, senza l’inserzione di monosillabi, nel
primo caso col pirrichio in quarta sede, nel secondo con una parola quadrisillabica tra terza a
quarta sede: In cruce perpesso mortem, super │astra regresso, / pectora sanctorum merentia
│ discipulorum.
359
ORLANDI, Caratteri cit. (nota 289), p. 355, n.35.
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3.14.5. Ectasis o productio ob caesuram
Si tratta dell’allungamento in arsi e in cesura di una sillaba, per natura breve. La sillaba che
subisce l’allungamento può essere aperta o chiusa360
. È evidente che nel computo di questo
fenomeno non vanno considerate le sillabe che, seppur brevi per natura, per le leggi della
prosodia, nella catena della successione metrica delle sillabe, sono lunghe perché seguite da
due consonanti oppure da consonante doppia; in questo caso si tratta di un allungamento per
posizione, fenomeno che è teorizzato anche dai trattatisti medievali del XII secolo361
.
I casi di productio riguardano quindi:
1) sillaba chiusa in arsi + parola iniziante per vocale;
2) sillaba aperta in arsi + parola iniziante per consonante;
3) sillaba chiusa in arsi + parola che inizia per h.
Non si dà il caso di sillaba aperta + parola che inizia per vocale, perché allora interviene
l’elisione e non si realizza la cesura; nella versificazione medievale, priva di intenti
“antichizzanti”, peraltro, le elisioni e le aferesi sono evitate e sono assenti anche nel Synodus
di Guarnerio. Quanto al terzo caso contemplato, nel Medioevo la h era avvertita dai poeti
come consonante, ma in realtà era concessa al poeta la libertà di decidere sul suo valore
consonantico o sulla sua ininfluenza362
.
Nella poesia classica il fenomeno dell’ectasis è molto poco attestato: in tutta l’opera di
Virgilio è riscontrabile nello 0,4%, mentre gli elegiaci, Tibullo, Properzio e Ovidio,
presentano percentuali ancora inferiori363
. Nel Medioevo il fenomeno ha preso maggiore
consistenza forse perché i commentatori medievali di Virgilio lo misero in evidenza a tal
punto che fu considerato dai poeti un espediente cui ricorrere per risolvere le difficoltà della
versificazione per lo più dattilica364
. Probabilmente il fenomeno in un primo tempo fu messo
in atto abbastanza inconsciamente, mentre più tardi esso venne codificato dai teorici del XII
secolo; tra gli studiosi non manca chi sostenga365
che in corrispondenza delle cesure forti,
quelle che determinano una pausa sintattica e di senso, sarebbe ammessa una sillaba anceps, e
che quindi il fenomeno dell’ ectasis andrebbe connesso a considerazioni di carattere sintattico
e semantico. Purtroppo, queste teorie non hanno sempre riscontro nella versificazione
medievale, in cui l’ectasis si presenta anche in corrispondenza di cesure che non determinano
360 Nel Medioevo il fenomeno veniva chiamato ectasis come dice ISIDORO DI SIVIGLIA (560-636) in
Etymologiae 1, 35, 4 (cfr. ISIDORI HISPALENSIS EPISCOPI Etymologiarum sive Originum libri XX, ed. W.-M.
LINDSAY, 2 voll., Oxonii 1911, p. 75). ALESSANDRO DI VILLADEI (1160/70-1240/50), Doctrinale, vv. 2413-2415,
definisce la cesura il luogo in cui avviene l’ectasis: Ectasis esse solet, si producas breviandam. / Bis binas
species habet ectasis, hasque vocamus / Caesuras. Cfr. ORLANDI, Metrica „medievale‟ cit. (nota 289), p. 338, n.
41. 361
Cfr. ALESSANDRO DI VILLADEI (1160/70-1240/50), Doctrinale, vv. 1607-1608: quando vocalem duo
consona iuncta sequuntur / aut unum duplex, producit eam positura. Cfr. ORLANDI, Metrica „Medievale‟ cit.
(nota 289), p. 339, nota 44. 362
Cfr. D’ANGELO, Indagini cit. (nota 289), p. 97, nota 202. Lo studioso cita Beda, il quale formulò la legge
della libertà di scelta del valore fonico della h da parte dei poeti; cfr. SOUBIRAN, Prosodie cit. (nota 356), p. 242. 363
Cfr. KLOPSCH, Pseudo-Ovidius cit. (nota 304), p. 126. 364
Tutti nel Medievo conoscevano il famoso verso di Verg. ecl. 10,69: Omnia vincit Amor. Et nos cedamus
Amori, in cui ha un’evidenza particolare l’allungamento in arsi in corrispondenza delle cesura semiquinaria,
nella parola Amor. 365
Cfr. J. SOUBIRAN, Pauses de sens et cohésion métrique entre les pieds médians de l‟hexamètre latin,
«Pallas» 16 (1969), pp. 107-151.
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nessuna pausa di senso, che anzi, al contrario, sono legate alla successiva articolazione
sintattica del verso366
.
Nei poeti medievali la media complessiva del fenomeno è di circa il 4-5%, anche se ci
sono alcuni poeti che toccano percentuali altissime del 20%, come Benedetto di Aniane (VIII-
IX secolo) e Candido di Fulda (morto nell’845, autore di una Vita Aegili metrica)367
. I poeti
“antichizzanti” del XII secolo evitano quasi del tutto il fenomeno e la stessa tendenza si
registra in età umanistica368
.
I luoghi privilegiati in cui si verifichi l’allungamento sono le cesure maschili, la
tritemimera, la pentemimera e la eftemimera. Nella versificazione medievale, data la
preponderanza dell’occorrenza della cesura in 3m, tale fenomeno si verifica, proprio al centro
del verso. Nel Synodus, dal momento che tutti i versi hanno la cesura pentemimera, il
computo delle productiones è stato condotto solo in corrispondenza di tale divisione di parola:
i risultati dell’analisi sono i seguenti:
Tabella 9: Ectasis o productio in 3m
Sillaba aperta Sillaba chiusa Davanti ad h
21 3 1
3,49% 0,49% 0,16%
Nel Synodus risultano molto più frequenti i casi di productio in sillaba aperta che in si