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a cura di Massimo Birattari

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a cura di Massimo Birattari

La scrittura narrativa

L’inizio e i fondamenti

L’univErsO DELLE scritturE

il racconto

VOLUME 1

Scrivere Tecniche e percorsi per chi ama raccontareVolume 1

© 2013 Fabbri Publishing S.r.l. edizione “Io scrivo” 2011 a cura di RCS Libri S.p.A.

Pubblicazione periodica settimanaleAnno I, n. 1Registrazione in corso presso il Tribunale di MilanoDirettore ResponsabileAnna Maria Goppion

Iscrizione al ROC n. 23888

Collana a cura di Massimo Birattari

Fabbri Publishing s.r.l.Amministratore DelegatoMarcello Honorato GianiDirettore EditorialeAnna Maria GoppionCaporedattore Silvia SaibeneProduct Manager Michele BochicchioArt DirectorLuca Alberio

Realizzazione editoriale IF IdeaPartners - Milano Art directorFlavio Chiumento RedazioneGraziella Calatroni, Fabio Salvitto

Sezione La scrittura narrativa Testo tratto da: Franco Gaudiano, Manuale di scrittura creativa© 2000 Zanichelli editore S.p.A., BolognaHanno collaborato:Massimo Birattari, Franco Gaudiano, Piergiorgio Nicolazzini, Stefano Re, Enzo Verrengia

Sezione L’universo delle scritture – Il raccontoTesto:Elena Cantoni, Lello Gurrado, Ezio VerrengiaRubriche:Andrea Di Gregorio

Referenze fotografiche:Getty Images (immagini a bordo pagina e foto alle pp. 64, 68, 100)

Disegni:Flavio Chiumento

Presentazione dell’opera

Scrittori si nasce o si diventa? È una domanda alla quale non esiste una risposta valida per tutti. Di certo imparare a scrive-

re si può; di certo, senza studio, senza esercizio, il talento naturale non darebbe frutti e finirebbe per inaridirsi. Questo corso si rivolge in primo luogo a tutti coloro che hanno qual-cosa da raccontare e vogliono farlo al meglio attraverso la scrittura. La prima sezione di ogni volume, intitolata La scrittura narrativa, è una guida approfondita e completa che, lezione dopo lezione, svela i segreti del mestiere, e offre principi, strategie, suggerimenti prati-ci per immaginare, stendere, rifinire e rivedere una narrazione che può essere un racconto o un romanzo. La seconda sezione, che oc-cupa il resto del volume e tocca L’universo delle scritture, amplia gli orizzonti ed esamina con cura sia le forme e i generi letterari, sia il vasto territorio della scrittura non creativa, sia alcuni elementi fon-damentali legati alla lingua e al mondo dei libri.Gli aspiranti scrittori saranno particolarmente interessati alle lezio-ni sul racconto o sui generi fondamentali, da giallo e noir alle storie d’amore, dal romanzo storico al fantasy, da thriller e horror a fanta-scienza, avventura, comicità, scrittura di viaggio, letteratura per ra-gazzi per arrivare fino alla poesia. Tutti coloro che scrivono per la-voro o intendono farlo – studenti dei corsi di laurea e dei master di giornalismo e di comunicazione, aspiranti sceneggiatori, autori tea-trali, fumettisti, pubblicitari, traduttori, estensori di testi per il web, per le aziende, per gli uffici pubblici, creatori di videogiochi o di app – troveranno lezioni specifiche per i loro campi d’interesse, così co-me coloro che desiderano scrivere di sé e della propria vita, o ren-

dere più interessante il proprio blog. Tutti sapranno trarre vantaggio dalle lezioni sulla grammatica o sui mestieri dell’editoria, per non parlare delle nuove possibilità offerte dagli e-book, anche in vista dell’autopubblicazione: un’opportunità davvero alla portata di tutti, come vedremo nella sezione dedicata interamente al self-publishing.Sono due le idee portanti su cui si regge l’intero corso. La prima è che non si impara a scrivere bene semplicemente seguendo alcune regole: bisogna rubare i segreti agli autori che hanno qualcosa da insegnare, scavare nella loro opera, ricavare dal loro esempio con-creto gli spunti e le tecniche che tutti noi potremo utilizzare per da-re corpo alle nostre idee. Ecco perché in queste pagine troverete, nelle parti manualistiche e nelle rubriche, l’esame ravvicinato delle opere e dei brani dei migliori maestri dell’arte di scrivere: i grandi autori di ieri e di oggi, continuamente citati e analizzati.La seconda idea è che il confronto con esempi di scrittura lontani fra loro serve ad allargare le nostre prospettive, a metterci a contatto con stili, forme, modi diversi e diversamente efficaci. Uno scrittore può ricavare buone idee dalla lingua del fumetto o della pubblici-tà, un redattore di newsletter commerciali può migliorare l’efficacia del suo stile grazie all’esempio dei narratori e dei poeti. Lasciamoci contaminare, e ricordiamo che, se un corso di scrittura intende per forza fornire buoni modelli da analizzare e anche da imitare, il suo scopo ultimo è aiutare ogni aspirante autore a scoprire la sua vera voce, la sua vera strada.

Massimo Birattari

VOLUME 1

in questo volume

Cominciamo dall’inizio: dall’incipit e dagli elementi essenzia-li di un testo. Sono i temi delle due lezioni dedicate in que-

sto primo volume alla scrittura creativa: i segreti di un attacco memorabile e la ricognizione di uno degli aspetti chiave che de-finiscono una storia, cioè la trama. Come avverrà in tutto il cor-so, impareremo a costruire e a scrivere la nostra narrazione non solo in teoria, ma immergendoci nella pratica dei maestri del pas-sato e del presente: nelle molte rubriche che affiancano il testo manualistico esploreremo – insieme a Buzzati, Pavese, Calvino, Cormac McCarthy, Dan Brown e molti altri – le forme della cre-atività letteraria, le ragioni della perenne attualità dei classici e del successo dei bestseller, le confessioni degli scrittori sul loro mestiere e soprattutto brani significativi delle loro opere, analiz-zati in profondità per mostrare “dal vivo” come un testo realizza le intenzioni dell’autore.La sezione L’universo delle scritture è consacrata invece al rac-conto, il “formato” da cui di solito tende a partire chi si avvicina alla narrazione. Dal Decameron e dalle Mille e una notte ad Ali-ce Munro, che proprio in qualità di “maestra del racconto con-temporaneo” ha ricevuto nel 2013 il Premio Nobel per la lette-ratura, passando per un altro Nobel autore di memorabili short stories come Ernest Hemingway, esploreremo le potenzialità infi-nite e sempre attuali della scrittura breve.Alla fine delle lezioni troverete una ricca serie di esercizi guida-ti. Armatevi di carta, penna, computer, tablet, quello che preferi-te: l’importante è mettersi alla prova.

VOLUME 1

il racconto 76

L’arte della brevità 77

un genere antico 78La pratica del testo – Munro: la compattezza dei contrasti 100

L’essenzialità come regola 105

Lo schema 106il racconto oggi 113La pratica del testo – Hemingway e le idee semplici 120

Sintesi 124Bibliografia 125Esercizi 126

L’inizio e i fondamenti 10

Dare vita a un testo con un buon inizio 11

il corpo narrativo 12La pratica del testo – Le magie di Buzzati 18Questioni di lingua – Retorica, ovvero l’arte di usare bene le parole 22

un inizio efficace 24La pratica del testo – Così cominciava Pavese 34

Sintesi 38Bibliografia 39Esercizi 40

tessere la trama su cui costruire la storia 43

il filo conduttore 44La pratica del testo – Le cinque domande dell’Odissea 50La parola a chi scrive – Calvino elogia la brevità 54

Dall’idea alla trama 56La pratica del testo – McCarthy evoca un mondo fin dalle prime righe 64Perché un bestseller – Dan Brown e un Codice travolgente 68

Sintesi 72 Bibliografia 73Esercizi 74

LEziOnE 1

L’univErsO DELLE scritturELa scrittura narrativa

SOMMARiO

LEziOnE 2

VOLUME 1

CAPiTOLO 1

CAPiTOLO 2

LA SCRiTTURA nARRATiVA LEziOnE 1

Dare vita a un testo con un buon inizio

Avete voglia di esprimervi, avete un’idea, conoscete bene l’italiano. Tutto ciò è in-

dispensabile, ma non basta. È necessario che il vostro testo prenda vita. Che cosa significa? Lo scoprirete in questa lezione, che dà l’avvio al primo volume, dedicata alle “regole” della scrittura e alla creatività, introducendo due ar-gomenti: che cosa si intende per corpo nar-rativo e gli espedienti creativi che sottendono alla stesura di un inizio efficace. Vedrete come possano esservi d’aiuto strumen-ti impensabili suggeriti dall’antica arte della retorica, e perfino la grammatica e la sintassi, se usate creativamente, mentre a guidarvi sa-ranno gli esempi illustri di brani letterari trat-ti dalle opere di Dante, Buzzati, Pavese. E se siete impazienti di incominciare a scrivere, po-trete mettere subito in pratica i concetti appre-si con le esercitazioni e gli spunti creativi che troverete a fine lezione.

L’inizio e i fondamenti

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chi decide di mettersi a scrivere di solito lo fa perché ha “qualcosa da dire”. L’affermazione sembra banale e in-vece merita di essere presa sul serio, anche in considera-

zione del fatto che prima di noi l’ha pronunciata lo scrittore ameri-cano Francis Scott Fitzgerald (1896-1940), il quale sosteneva che “non si scrive perché si vuol dire qualcosa; si scrive perché si ha qualcosa da dire”.Bene, quello che “abbiamo da dire” non è altro che il contenuto del testo, l’espressione dei nostri pensieri, insomma, quello che si defini-sce il tema dello scrittore. Organizzare questi contenuti in un insieme di parole che raccontino una storia significa dar vita a un corpo narrativo.I temi della narrativa riguardano, tradizionalmente, i vari aspetti del-la condizione umana. Amore e morte, religione e giustizia, origini e destino, sofferenza e aspirazione alla felicità sono le principali tema-tiche tratte dall’esperienza umana che, nelle varie forme, costituisco-no da sempre degli spunti di riflessione per scrivere. I filosofi, sin dagli albori della civiltà, hanno analizzato queste tema-tiche fondamentali e le hanno discusse in saggi e trattati affascinanti che sono arrivati fino a noi e che sono sempre attuali.Avere un tema di cui poter parlare è un patrimonio di tutti. E quindi anche nostro. Quello che cambia è il modo di esporlo: sicuramente, la strada dell’aspirante romanziere sarà molto diversa da quella del-le persone che abbiamo appena citato perché chi sceglie di esprime-re le proprie idee attraverso una storia si trova di fronte a un proble-ma un po’ curioso. Infatti non può limitarsi a “dire”: deve anche far “vedere” quello che pensa.

scrivere: suscitare un’emozione

Suscitare una reazione emotiva, facendo vedere come stanno le cose, è molto più efficace che esporle in modo più o meno elaborato.Dire “ti amo” non è lo stesso che far sentire amata una persona: fat-te le debite proporzioni, se scrivendo una storia ci limitassimo a “dire” ciò che pensiamo, non daremmo vita a un corpo narrativo. Dire che i problemi dell’infanzia si ripercuotono sull’individuo adulto è un’affermazione perfettamente accettabile in bocca a uno psicologo ma un’opera letteraria, anche se può contenere interes-santi analisi sulla natura umana, non è un testo di psicologia. Un’opera letteraria non deve “descrivere”, bensì “far sentire”. Scri-vendo narrativa, il vostro scopo è trascendere i vostri pensieri e, tra-mite il linguaggio, offrire qualcosa di più di un semplice enunciato. Nel momento in cui incominciate a scrivere, certamente anche voi, come tutti, intendete esaminare alcuni aspetti dell’esistenza.Ma il vostro obiettivo non può limitarsi a esprimere un’opinione, né dovete dilungarvi in spiegazioni puramente razionali su come affron-tare o risolvere un dato problema. Il vostro compito è quello di dare qualcosa in più, in modo che il vero contenuto della sto-ria sia racchiuso al suo interno.

Mostrare senza dire

A volte il vero contenuto può essere addirittura nascosto tra le righe. Per esempio, supponiamo che vogliate esprimere quanto sia importante “cogliere l’attimo”, vivere il momento, insomma il famoso carpe diem.

“Il compito che mi spetta e che cerco di assolvere è di riuscire, col potere della parola scritta, a farvi udire, a farvi sentire... di riuscire, soprattutto, a farvi vedere.”

Joseph Conrad

Non basta scrivere “ti amo”. Bisogna mostrarlo.Le parole di una frase devono “far sentire”, più che “descrivere”.

Il corpo narrativo LEziOnE 1

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Il tema è già stato affrontato da molti scrittori, dal poeta latino Ora-zio in poi, e ruota attorno al concetto della precarietà della vita e del-la saggezza di chi sa cogliere l’attimo che fugge.Bene, se anche voi volete esprimervi su questo argomento, attenti a non dire semplicemente: “Attenzione, ché il tempo vola! È bene co-gliere e godere l’attimo fuggente, altrimenti le occasioni andranno perdute per sempre”. Questo tipo di discorso, per quanto convincen-te a livello razionale, difficilmente arriverebbe a toccare, a smuovere qualcosa nella persona che sta leggendo. Dovete invece sforzarvi di raccontare una situazione dalla quale emerga tale concetto.

coinvolgere il lettore

Perché questo esercizio riesca è indispensabile la collaborazione del lettore. E questo è un altro punto fondamentale da tenere sempre pre-sente. Il lettore non deve essere considerato un elemento passivo che legge e assorbe soltanto quello che gli dite, ma un elemento attivo che legge perché vuole ricercare, arricchirsi, apprendere qualcosa in più.Lettura come partecipazione, dunque, lettura come esercizio menta-le. Addirittura, secondo Marty Bickman, professore di scrittura cre-ativa all’Università americana di Boulder, Colorado, lettura come sport. Bickman era solito dire che “apprendere non è uno sport da spettatori”. Che cosa intendeva dire? Che apprendere è uno sport (una parola che già denota attività) in cui non basta stare seduti ad ascoltare. Bisogna partecipare, darsi da fare. Altrimenti l’apprendi-mento rimane passivo e sterile.

Prima di scrivere occorre saper leggere

Ecco perché chi vuole imparare a scrivere deve prima saper leggere, carpire i segreti di un corpo narrativo e farli suoi. È importante, per-

ché come dall’esercizio sportivo si trae un rafforzamento dei muscoli, dalla lettura attiva deriva un affinamento dei muscoli mentali. L’attivi-tà “sportiva” di un testo letterario è paragonabile per certi versi a una partita a tennis fra chi scrive e chi legge, dove l’autore esprime e il let-tore coglie il significato. La partita di cui parliamo, la letteratu-ra, è fatta di continui rimbalzi fra l’autore, che vuole esprime-re (ma senza dire) qualcosa, e il lettore, che cerca qualcosa in ciò che legge. Possiamo spiegare meglio questo concetto richiamando una particolare “figura” del discorso, uno dei tanti strumenti espressivi di cui dispone la retorica (dal latino ars rethorica, cioè l’arte e la tecni-ca di parlare e scrivere con efficacia persuasiva): l’allegoria. Ora, si ha un’allegoria quando il senso letterale (le parole che leggiamo nel testo, per intenderci) rimanda a qualcos’altro, a un significato nascosto, sot-tinteso, che non è subito evidente. Ma l’allegoria, in realtà, non si limi-ta a stabilire corrispondenze fra singoli termini o parole; un breve rac-conto o una lunga narrazione possono essere allegorici perché i singoli elementi che li compongono (parole, immagini, fatti e situazioni) sono collegati fra loro e, tutti insieme, rimandano a una “rete” di concetti o di significati nascosti, da interpretare.

senso letterale e significato allegorico

L’allegoria ha origine nel mito e nella religione, non a caso proprio nelle narrazioni che tentano di spiegare i fatti universali della natu-ra umana; tuttavia si ritrova nel corso dei secoli in una ricca varie-tà di forme letterarie, dalla favola alla poesia, dal teatro al romanzo. Già nel primo canto dell’Inferno di Dante (1265-1321), per esempio, le tre fiere, la Lonza, il Leone e la Lupa che si parano sul cammino del poeta (il senso letterale), rappresentano in realtà i vizi capitali dell’in-vidia, della superbia e dell’avarizia (il significato allegorico). Pensiamo, inoltre, alla favola di Esopo della cicala e della formica:

La lettura non è uno sport da spettatori.

“Esplorare” un testo narrativo per riconoscere stile e significati è un utile esercizio per imparare a scrivere.

LEziOnE 1il corpo narrativo

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qui il testo pone a confronto una cicala sfaccendata e gaudente e una formica che lavora instancabilmente, accumulando cibo per l’inverno. In realtà, le vicende del mondo animale (il senso lette-rale) riflettono vizi e virtù del mondo degli uomini, ovvero l’ozio e l’imprevidenza che si oppongono alla laboriosità e alla lungimiran-za (il significato allegorico).Ma anche un romanzo può essere allegorico. Tra i più noti ricordia-mo La fattoria degli animali di George Orwell (1903-1950), in cui le vicende che vedono protagonisti gli animali della fattoria Manor ri-mandano a una rappresentazione allegorica del comunismo sovietico. Intendiamoci, non tutta la letteratura è allegorica né obbedisce sem-pre a questi semplici meccanismi. Tuttavia, questa figura retorica è un ottimo esempio di come la scrittu-ra narrativa possa esprimere “qualcos’altro”. Rimbalzi di parole, rim-balzi di significati nascosti, di immagini, di azioni e reazioni. Spetta a ciascun lettore che pratica questo “sport” letterario intercettare il lan-cio che l’autore effettua al di là della rete del linguaggio. Lo sport, per lo scrittore, è saper porgere l’allegoria. Per il lettore è saperla cogliere.

Le domande essenziali: “che cosa?” e “come?”

Ogni volta che vi trovate davanti a un brano di narrativa, special-mente se già scrivete o state cominciando a farlo, provate sempre a chiedervi: “Che cosa?” e “Come?”. Sono due domande essenziali per esplorare e comprendere il contenuto e lo stile della storia. In altre parole: che cosa sta cercando di dire l’autore? Che cosa riu-sciamo a rilevare, noi, in questa lettura? Che cosa e come ci colpi-sce maggiormente? Come riesce l’autore a “dire senza dire”, ovvero a metterci davanti agli occhi il suo messaggio anche senza enunciarlo esplicitamente? Come ci coinvolge nella lettura?

Due strumenti utili: i personaggi e la trama

Le domande introdotte da “Che cosa?” e “Come?” che abbiamo ap-pena visto sono valide per qualsiasi narrazione. Ma quali sono gli strumenti a disposizione di uno scrittore di narrativa per “esporre” senza “dire” le proprie considerazioni? La rispo-sta è semplice e universalmente valida: i personaggi e la tra-ma. Questi due elementi sono propri della narrativa (rispetto, per esempio, alla dimensione puramente intellettuale del trattato filoso-fico) e sono strettamente collegati fra loro. La trama, o intreccio, vale a dire lo svolgimento dell’azione, non può sussistere senza qualcuno che la viva; quel “qualcuno” altri non è che il personaggio letterario, un alter ego, un sostituto che l’autore usa, in un certo qual modo, per vivere (e far vivere) un’esperienza significativa in quel piccolo gran-de universo che è il testo letterario. Torneremo in seguito su questi due elementi chiave – personaggi e trama – e vedremo in quale misu-ra permettano a uno scrittore di esprimere un’idea (e al lettore di co-glierla) al di là del significato letterale del testo.

suggerire tra le righe

Naturalmente esistono anche diversi tipi di scrittura in cui il messag-gio è reso in maniera esplicita dall’autore. Tuttavia, nel viaggio che ave-te appena incominciato nel mondo della scrittura creativa sarà mol-to più utile esercitarsi nel discorso del “detto ma non detto”. Starà poi a ciascuno di voi decidere cosa, quanto e come dire, a secon-da della vostra natura, formazione e inclinazione letteraria. Per comin-ciare, partiamo dunque dal presupposto che saper scrivere includa la capacità, da parte vostra, di suggerire qualcosa “tra le righe”, di tra-smettere un messaggio a livello profondo, visivo o allegorico.

La scrittura narrativa ha la capacità di esprimere “qualcos’altro”. Spetta al lettore cogliere il significato.

I personaggi e l’azione fanno sì che un testo letterario prenda vita.

LEziOnE 1il corpo narrativo

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Le magie di Buzzati

il breve racconto che vi proponiamo qui a fianco, e che vi invitia-mo a leggere con attenzione, è un ottimo esempio di corpo nar-

rativo vitale e articolato. Si tratta di I giorni perduti ed è tratto dalla raccolta Centottanta racconti di uno dei più grandi autori italia-ni del Novecento, Dino Buzzati. Nelle pagine precedenti abbiamo sottolineato alcuni elementi fondamentali: la trama come strumen-to per dare vita al corpo narrativo, la scelta delle parole per co-municare significati sottintesi, la tecnica con cui lo scrittore riesce a “mostrare”, pur tenendosi in disparte, anche grazie a espedien-ti retorici, anziché limitarsi a “dire”, e l’importanza di coinvolgere il lettore. Vediamo ora come quanto appreso possa essere applicato al racconto di Buzzati.

La pratica del testo

Buzzati è stato scrittore, giornalista e pittore. Dopo gli studi classici inizia

a collaborare con il “Corriere della Sera”, di cui è redattore e inviato. Tra le numerose opere di

narrativa pubblicate ricordiamo: Barnabo delle montagne (1933), Il segreto del Bosco Vecchio

(1935), Il deserto dei tartari (1940), I sette messaggeri (1942), La famosa invasione

degli orsi in Sicilia (1945), Paura alla Scala (1949), Il crollo della Baliverna (1954), I sessanta racconti, che vince il Premio

Strega nel 1956, Un amore (1963) e Le notti difficili (1971).

Qualche giorno dopo aver pre-so possesso della sontuosa villa, Ernst Kazirra, rincasando, avvi-

stò da lontano un uomo che con una cas-sa sulle spalle usciva da una porticina se-condaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto. E il camion fece una lunga strada, fino all’estrema periferia della città, ferman-dosi sul ciglio di un vallone.Kazirra scese dall’auto e andò a vedere. Lo sconosciuto scaricò la cassa dal ca-mion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro; che era ingombro di migliaia e mi-gliaia di altre casse uguali.Si avvicinò all’uomo e gli chiese: – Ti ho visto portar fuori quella cassa dal mio par-co. Cosa c’era dentro? E cosa sono tutte queste casse?Quello lo guardò e sorrise: – Ne ho ancora sul camion, da buttare. Non sai? Sono i giorni.– Che giorni?– I giorni tuoi.– I miei giorni?– I tuoi giorni perduti. I giorni che hai per-so. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?Kazirra guardò. Formavano un mucchio immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.

C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata, che se n’andava per sempre. E lui neppure la chiamava.Ne aprì un secondo. C’era una camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.Ne aprì un terzo. Al cancelletto della vec-chia misera casa stava Duk, il fedele ma-stino, che lo attendeva da due anni, ri-dotto pelle e ossa. E lui non si sognava di tornare.Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giusti-ziere.– Signore! – gridò Kazirra. – Mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi tre giorni. La supplico. Almeno questi tre. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole.Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per indicare un punto irraggiungi-bile, come per dire che era troppo tardi e che nessun rimedio era più possibile. Poi svanì nell’aria, e all’istante scomparve an-che il gigantesco cumulo delle casse mi-steriose. E l’ombra della notte scendeva.

Dino Buzzati, I giorni perduti, in Centottanta racconti,

Mondadori, 1982

dino Buzzati Belluno 1906 Milano 1972

LEziOnE 1

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Questo abile gioco di spostamenti del

significato e fra le parti del discorso è

un ottimo esempio di come l’ars rethori-

ca possa diventare uno strumento mol-

to efficace.

Ma non è tutto. Il gioco di ribaltamento

dei “furti” è sottolineato da altri due ele-

menti: il passaggio dal “tu” al “lei” e il

rovesciamento della posizione occupata

dai personaggi. All’inizio, il signor Kazir-

ra si rivolge spregiativamente con il “tu”

all’uomo che era uscito da una portici-

na secondaria della sua sontuosa villa:

“Ti ho visto portar fuori quella cassa dal

mio parco”. Poi, quando si rende conto

che il ladro è lui stesso, cambia comple-

tamente tono e il lettore lo vede, giù nella

scarpata, implorare: “Signore! Mi ascol-

ti. Lasci che mi porti via almeno questi

tre giorni. La supplico.” Kazirra, dal bas-

so, cerca pateticamente di corrompere

il “signore” offrendogli tutte le sue ric-

chezze, ma non è con i beni materia-

li che può recuperare gli affetti dei suoi

giorni perduti.

Mostrare senza direL’autore non ci “dice” niente. Anche l’e-

vidente morale che ne possiamo trarre

non è resa esplicita in nessun momento

del racconto: la “vediamo” con i nostri

occhi, la “sentiamo” qui, alla bocca del-

lo stomaco, ed è per questo che ci rima-

ne impressa a un livello non solo razio-

nale, ma più profondo.

Il vero contenuto del racconto si scopre

strada facendo, seguendo la gradua-

le presa di coscienza del protagonista.

Con Kazirra inseguiamo il camion delle

casse, ci fermiamo sul “ciglio” di un val-

lone e spalanchiamo gli occhi insieme a

lui che “guarda”, “apre” e infine “grida”,

quando vede che ormai è troppo tardi.

Rimanere in disparteIl significato che ognuno di noi può rav-

visare nel racconto è tanto più ampio

quanto più l’autore si è mantenuto in di-

sparte, dietro le quinte delle sue stesse

parole, trasformando noi stessi nel pro-

tagonista della storia attraverso i nostri

occhi di lettori, testimoni “in diretta” di

ciò che vede e sente il protagonista.

Quanto di tutto ciò costituisca un’attività

conscia o inconscia dipende solo da voi.

Una lettura attiva può regalarvi qualco-

sa di molto prezioso, un’esperienza che

unisce al “gusto” per un testo gradevole

e ben costruito il “sapore” della scoper-

ta di significati nascosti.

Ed è questo il “nutrimento” che alla fine

vi rimarrà dentro.

Lavorare con la trama Incominciamo con alcune osservazioni di

base. I personaggi sono due – il padrone

della villa e un “ladro” – e in un certo sen-

so anche le trame sono due: un apparen-

te furto, e la scoperta di ciò che realmente

viene rubato. È proprio sul tema del “furto”

che verte questa storia: dapprima in modo

apparentemente ovvio e lineare (un uomo

esce da una villa portandosi via una cassa

su un camion), poi, sottilmente, sul capo-

volgimento di chi è veramente il ladro, che

cosa ha rubato e come lo ha fatto.

In realtà il ladro è il padrone di casa, Ernst

Kazirra, “ladro” dei suoi stessi giorni, che

gli sono sfuggiti fra le dita. Si è derubato dei

propri rapporti umani per inseguire le sue

ambizioni di carriera.

Le cose rubate – il contenuto delle casse

– non sono beni materiali, ma al contra-

rio è il conseguimento dei beni materiali la

causa del vero “furto”, quello dei suoi af-

fetti, delle persone o del cane che gli era-

no affezionati.

Scegliere le paroleCome avviene questo colpo di scena? La

risposta è semplice: con una svolta les-

sicale e semantica nel mezzo della sto-

ria, ovvero attraverso la scelta attenta del-

le parole e del loro significato. Quelle che

all’inizio erano “casse” (sostantivo femmi-

nile) d’un tratto diventano “giorni” (sostan-

tivo maschile): “Scese giù per la scarpata

e ne aprì uno”. Il contrasto di significato è

evidenziato dal verbo “aprì”, ovviamente ri-

ferito alla cassa, accanto al pronome ma-

schile “uno”.

Il racconto, che era iniziato in tono reali-

stico, prosegue ora in uno stile che si po-

trebbe definire “realismo magico”, ove la

“magia” s’insinua in maniera sottile (anche

grammaticalmente) nello svolgimento del-

la trama. Essa viene accettata come par-

te integrante della realtà dal protagonista,

che vede nelle casse i suoi giorni perduti,

e quindi dal lettore che ravvisa il significato

nascosto del “furto dei giorni”.

Coinvolgere il lettoreIl lettore viene coinvolto nella storia gra-

zie alle scelte compiute dall’autore fra cui

l’impiego di un pronome “errato” (ma solo a

prima vista), come l’“uno” riferito alle cas-

se, scelto però appositamente per colpire

il lettore a un livello profondo, subliminale,

cioè al di sotto del livello di coscienza: “Si

sentì prendere da una certa cosa qui, alla

bocca dello stomaco”. L’uso di “qui”, con la

sua forza grammaticale di vicinanza, spo-

sta immediatamente l’emozione di Kazirra

alla bocca dello stomaco del lettore.

Il lettore diventa testimone di ciò che vede e sente il protagonista. In questo modo entra nella storia, “scoprendo” i suoi significati nascosti.

LEziOnE 1La pratica del testo

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Questioni di lingua

Al giorno d’oggi vi sarà certamente ca-

pitato di sentir usare la parola “retorica”

in senso spregiativo. Ciò deriva dal fat-

to che spesso la retorica viene utilizzata,

oggi come ieri, per fini non sempre mora-

li. Ma la retorica nel senso classico del

termine non è che un mezzo per organiz-

zare la forma e la sostanza di un discor-

so. È quindi quest’antica “scienza della

parola” che ci permette di tradurre idee

e pensieri in un corpo narrativo organi-

co ed efficace.

La retorica si sviluppò in campo giuridi-

co nella Magna Grecia, dove i legali si

sfidavano in gare d’eloquenza e risulta-

va vincitore chi meglio sapeva usare le

parole. Nel V secolo a.C., i primi maestri

di retorica della nostra civiltà, Empedo-

cle d’Agrigento e Corace, avevano già

stabilito il modo di organizzare un di-

scorso da tenere in pubblico. Le parti

essenziali erano queste: esordio, rela-

zione dei fatti, argomentazione o prova,

digressione, epilogo.

Se la retorica nacque nella Magna Gre-

cia, le sue basi vennero poi fissate nel

mondo latino da Cicerone, nel I seco-

lo a.C. Fu quest’ultimo a dettare le rego-

le che potete osservare nello schema qui

a lato, che illustra le modalità di espres-

sione dell’arte retorica classica. Si può

essere o no d’accordo su quest’ordina-

mento ma, a distanza di secoli, resta il

fatto che ognuno di noi, in maniera più o

meno consapevole, segue un certo sche-

ma mentale nell’atto di tradurre in paro-

le il proprio pensiero per comunicarlo

agli altri. Chi di noi, ai tempi della scuo-

la, non ha ricevuto una sorta di traccia

o di griglia per la composizione del tema

di italiano? Con il tempo questa traccia

ha cambiato nome: oggi si chiama “sca-

letta”, “scheletro” o altro, ma è la stes-

sa cosa (torneremo sulla validità di una

traccia quando affronteremo il tema del-

la stesura della trama). Ciò costituisce la

prova dell’imprescindibile forza della re-

torica classica.

LEziOnE 1

retorica, ovvero l’arte di usare bene le parole

rEcitarE iL DiscOrsO(actiO)

trOvarE cOsa DirE(invEntiO)

DisPOrrE in OrDinE ciÒ cHE si È trOvatO

(DisPOsitiO)

DarE FOrMa LinGuistica aLLE iDEE

(ELOcutiO)

stuDiarE iL DiscOrsO a MEMOria

(MEMOria)

ESORDIO

RELAZIONE DEI FATTI

ARGOMENTAZIONE

DIGRESSIONE

EPILOGO

COMMUOVERE

CONVINCERE

SCELTA DELLE PAROLE

ORDINAMENTO DELLE PAROLE

a

B

c

D

E

24 25

più propriamente incipit (che in latino significa “inizia”) – dram-matico e immediato, insieme a una struttura sintattica originale sono gli strumenti con cui lo scrittore può tentare di aprirsi un var-co nella giungla dell’editoria odierna. Ora, a meno che non siate già degli scrittori famosi e consacrati, è consigliabile seguire i ca-noni letterari di oggi, ovvero incominciare da metà, intermez-zare con l’inizio, e finire senza fine. Può sembrare solo un gio-co di parole, ma non dimentichiamo che, dopo tutto, l’arte è una sapiente manipolazione di vari elementi, per un fine tanto conte-nutistico quanto estetico. Ma vedremo meglio questi aspetti in seguito. Per il momento, è importante rendersi conto che una forma gradevole con una dispo-sizione vivace degli elementi narrativi è un gioco lecito in lettera-tura, anzi è il gioco di come-si-fa un testo letterario.

Esordire come... Dante

Prendiamo l’incipit “per eccellenza” della nostra letteratura: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscu-ra”. Credete che Dante non avrebbe potuto iniziare la Divina Com-media con “Mi ritrovai per una selva oscura / nel mezzo del cam-min...”? Ma entrare “nel mezzo” di qualcosa (e la preposizione “nel” già di per sé trascina intrinsecamente “dentro”) sortisce un effetto di immediata “immersione” nella storia. In aggiunta, il pro-nome “nostra”, riguardante universalmente tutti noi esseri umani a fianco dell’io narratore, coinvolge il lettore attivo nel “cammino” del poeta sin dall’inizio.

nelle primissime frasi di una narrazione c’è tutto un pic-colo universo, una miriade di stimoli e di relazioni che hanno la funzione di attirare il lettore al racconto come

un’ape al fiore. I colori e i profumi del “fiore” narrativo sono le parole, e il loro ventaglio in apertura di pagina è la corolla di petali che si schiude al sole del mattino. Capite anche voi, a questo punto, quanto sia cruciale disporre tali parole in modo che il lettore sia invogliato a passare l’intera giornata con esse.

L’unica regola: stimolare subito il lettore

Si sa che tradizionalmente una storia iniziava con “C’era una volta...”, cui seguiva l’azione. Oggi si tende invece a iniziare con l’azione, a cui segue un flashback, cioè un balzo indietro nel tempo narrativo per chia-rire quello che è successo in precedenza. Diciamo subito che non può esserci una regola fissa su dove o come ini-ziare un racconto, ma esiste una tendenza sempre più netta ad attac-care in medias res (in latino “a metà delle cose”), cioè nel mezzo del-la situazione o dell’azione. Infatti è bene stimolare subito il lettore con premesse-promesse che smuovano le acque sin dal primo istante.

cominciare da metà

L’inizio è un momento fondamentale della narrazione e sicuramen-te ne avrete già intuito l’importanza. Quindi un “attacco” – detto

Un inizio efficace

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita.”

dante alighieri

Trovare l’”attacco” giusto è fondamentale per catturare l’attenzione del lettore.

LEziOnE 1

26 27

una scelta coraggiosa

Passiamo dal sommo Dante a un’allieva di un corso di scrittura creativa. Questo è l’inizio di un suo racconto: “Lo aspettava ormai da troppo tempo; non credeva più che sarebbe arrivato.” Leggendo quest’inizio si è tratti in inganno. Che cosa ne dite di quel prono-me maschile “lo” che dà il via alla frase? Aspettava “qualcuno” o aspettava “qualcosa”? Ebbene, la protagonista di questa storia aspettava... un telegramma. Iniziare una narrazione con un pronome è una scelta sintatticamen-te audace, dato che il pronome dovrebbe sostituire un nome già comparso in precedenza. L’effetto che si crea con questo stratagem-ma retorico è quello di tenere in sospeso la comprensione glo-bale del discorso e ampliare la ricchezza di significato delle prime parole. Grazie a questo artificio si ottiene spesso un effetto-sorpresa e si offre al lettore attento un servizio in più nella partita a tennis che sta giocando con l’autore. Il risultato può essere molto gratificante per entrambi.

superare il blocco del foglio bianco

A volte anche chi scrive per professione si blocca. Vede davanti a sé il foglio bianco – o un file vuoto sullo schermo del computer – e non riesce a incominciare. Uno scrittore esperto, però, può fruga-re nel suo bagaglio di esperienze, ricorrendo ad alcuni trucchi ed espedienti che gli permettono di “rompere il ghiaccio” con la pa-gina. L’arnese di lavoro, quando l’idea c’è ma la parola manca, è quello strumento tanto odiato dagli studenti quanto corteggiato da-gli scrittori: sì, si tratta proprio della grammatica, ovvero l’“arte (o tecnica) della scrittura”: la parola greca grammatiké deriva infatti da gráphein (“scrivere”), attraverso gramma (“lettera”).

Tutti, prima o poi, vivono il cosiddetto “blocco dello scrittore”. La pratica e qualche utile suggerimento aiutano a superarlo.

trucco n˚ 1: la grammaticaConoscere le regole della grammatica, piegarle, o anche solo forzar-le un pochino, può essere un gioco divertente e uno strumento per sbloccarsi. Abbiamo già visto come lo spostamento di alcune parti del discorso possa dar luogo a effetti e risultati interessanti. Ma ave-te mai pensato come le parole possano essere usate in modo origina-le? Per esempio, se le disponete abilmente nella prima riga, saran-no pronte a sprigionare tutta la vostra energia creativa. Non è detto che tali giochi grammaticali portino sempre a capolavori d’arte lette-raria, ma certo sciolgono la timidezza iniziale dello scrittore di fronte alla pagina e possono aprire sbocchi creativi di considerevole portata.

trucco n˚ 2: la parola d’avvioEcco un altro espediente per superare il blocco dello scrittore: usare una qualsiasi parola d’avvio che nulla abbia a che vede-re con l’argomento da trattare. Usare una parola d’avvio serve per mettere in moto i vostri “cavalli creativi”. Proseguire alla ricerca di un legame sarà poi più produttivo che non starsene lì a pensare a vuoto. Infatti, invece di preoccuparsi su come iniziare, la mente cerca subito il modo per agganciare la parola data all’idea o al di-scorso che vuole esprimere.

L’“attacco” che emoziona

Carlos Castaneda (1925-1998), autore di bestseller tradotti in nu-merose lingue, cominciò la sua carriera di scrittore con uno studio scientifico-antropologico sull’uso del peyotl (un cactus dalle pro-prietà allucinogene diffuso nell’America Centrale). La sua opera finì per diventare un capolavoro di creatività letteraria, forse gra-zie al mistero insito nel suo personaggio principale, Juan Matus, uomo di conoscenza che la sapeva più lunga di lui...

“Giocare” con le parole e “forzare” la grammatica può aiutare a mettere in moto la creatività.

LEziOnE 1un inizio efficace

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Non solo “ciò che si dice” ma anche lo stile e il tono del discorso possono catturare l’attenzione, creando nel lettore aspettative su ciò che accadrà.

Mettere se stesso come autore-narratore incapace di compren-dere il mistero che veniva svelato tra le righe è stato uno degli espedienti più brillanti ed efficaci di questo straordinario auto-re, che è riuscito a coinvolgere il lettore in una specie di gara di acume con Carlos, protagonista, alter ego e vitti-ma dell’autore Castaneda. Soffermiamoci sull’inizio di uno dei suoi resoconti, che possiamo senz’altro considerare un romanzo.

Ebbi, d’un tratto, la premonizione che Pablito e Nestor non fossero a casa. Ne fui tanto persuaso che arrestai l’automo-bile. Ero giunto là dove la strada asfaltata finiva; e inten-devo riflettere se mi convenisse o no proseguire, quel gior-no stesso, per la strada ghiaiata, lunga, tortuosa, in salita, che conduceva al loro paese sperduto fra i monti del Mes-sico centrale.

Carlos Castaneda, La trasformazione di Doña Soledad, in Il secondo anello del potere [1990], BUR, 2008

Perché l’incipit di castaneda funziona

Vediamo ora le caratteristiche principali del brano.

L’“attacco” da metà Il primo stratagemma, classico e sempre valido, è l’“attacco” in medias res, cioè da metà. Il verbo in prima persona, “Ebbi”, secco come un lam-po, ci costringe sin dal primo istante a calarci nel narratore-protagonista

e a provare con lui un sussulto, arrivando alla locuzione “d’un tratto”, che segue immediatamente il verbo spezzando il ritmo della frase. L’impressione di una sorpresa in arrivo è istantanea, rafforzata dal complemento oggetto, la parola “premonizione”. Scopriamo in segui-to che si tratta soltanto dell’eventualità che due persone, Pablito e Nestor, “non fossero a casa”.

il tono incuriosisce il lettore Questo tono drammatico per una possibilità così banale può sembrare fuori luogo o gratuito, ma incuriosisce il lettore, che già a questo pun-to può chiedersi cosa c’è “sotto” veramente, chi sono queste due per-sone e dove mai saranno.

castaneda “mostra”, non “dice” L’autore a questo punto non ci “dice” niente sullo stato emotivo del protagonista, ma ci “fa vedere” la sua reazione. Egli si ferma a “riflet-tere”. Non sappiamo con certezza se abbia paura o meno, ma gli in-dizi di una certa palpitazione nel suo cuore sono lì, non soltanto nel contenuto della narrazione, ma nello stile, nel ritmo di queste prime righe, che vanno avanti con una serie di “spezzati”, dal verbo “Ebbi” fino all’arrestarsi dell’automobile.

il messaggio dell’immagine si insinua nel profondo Dopo aver catturato così l’attenzione e la curiosità del lettore, ecco descritto il luogo dell’azione: vediamo il protagonista al termine di una strada asfaltata, indeciso se proseguire o tornare indietro. Que-sta immagine trasmette un messaggio che riesce a insinuarsi nel profondo, al di sotto della coscienza: siamo sulla soglia di qualco-sa di sconosciuto; l’automobile e l’asfalto, due prodotti della civil-tà moderna e simboli del dominio dell’uomo sull’ambiente, finisco-no in quel punto.

LEziOnE 1un inizio efficace

30 31

Una semplice osservazione balza subito in mente: non potrebbero esserci due incipit più

diversi fra loro.

Osserviamoli bene: nel primo caso siamo entrati in un mondo narrativo molto diverso da

quello in cui viviamo (ce ne accorgiamo dall’accostamento impossibile di una misura di

lunghezza all’età dell’io narratore); nel secondo caso, possiamo tranquillamente viaggiare

nel passato con la mente e prepararci a richiamare le nostre conoscenze dell’epoca dov’è

ambientata la storia, che l’autore si è preoccupato di determinare subito con precise in-

dicazioni di tempo, di spazio e di azione. In entrambi i casi, l’obiettivo è raggiunto: l’incipit

coinvolge immediatamente il lettore.

Due esempi celebriLa sintassi si snoda tra simboli e parole chiave La narrazione prosegue con una sintassi che si snoda a mo’ di serpen-te tortuoso che sale misteriosamente nelle viscere di questa storia, proprio come la strada che entra, “lunga, tortuosa, in salita”, nelle montagne del Messico centrale. Non c’è bisogno di conoscere questa zona del Messico per intuire che si tratta di territori selvaggi, disabi-tati e soggetti a strane apparizioni o a stregonerie... Basta riconoscere – a un livello più o meno conscio, poco importa – alcuni simboli chia-ve, come la strada che si perde fra i monti sperduti, la fine e l’inizio di qualcosa, la salita, e tutto ciò che queste parole dense di significa-to possono trasmettere.

L’emozione del protagonista coinvolge il lettore Non c’è da meravigliarsi che il protagonista, e con lui il lettore, provi emozione all’idea di proseguire. Questa inquietudine non dichiarata, ma implicita nella descrizione oggettiva della scena, è ben più effica-ce che non una serie di aggettivi o dichiarazioni roboanti. Dire “aveva paura” sarebbe la fine del gioco. Farlo “sentire” è l’arte dello scrittore, che lascia spazio all’immaginazione dei lettori e così li coinvolge nell’atmosfera della storia.

Cominciare può essere divertente anche per chi legge. Infatti, puntare l’attenzione sui

modi in cui altri scrittori cercano di conquistare l’attenzione del lettore è un esercizio mol-

to istruttivo per affinare il vostro intuito e la vostra esperienza di lettori-scrittori. Leggete

con attenzione questi due incipit:

LEziOnE 1un inizio efficace

Avevo raggiunto l’età di seicentocinquanta miglia.

C. Priest, Mondo alla rovescia

Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò in Milano alla testa di quel giovane esercito che aveva passato il ponte di Lodi e dimostrato al mondo che, dopo tanti secoli, Cesare e Alessandro avevano un successore.

Stendhal, La Certosa di Parma

“... la strada ghiaiata, lunga, tortuosa, in salita...”Attraverso queste parole chiave l’incipit di Castaneda trasmette un messaggio che si insinua nel profondo.

32

Poniamo il caso che vogliate scrivere la sto-

ria di una donna che vi sta a cuore. Il tema è la

sua vita, ma non si tratta di una vita qualsiasi; è

la sua specialissima esistenza che vi ha spin-

ti a scrivere su di lei. Guai, allora, a comincia-

re con una frase banale o, peggio ancora, utiliz-

zare una formula anagrafica del tipo “È nata a...

il...”. Volete far sì che lo spirito di questa donna

venga subito messo in risalto, balzando agli oc-

chi del lettore? Com’è questa donna? Giovane?

Bella? Aggressiva? Bene, avete di che scrivere.

1. Individuate l’obiettivoPonetevi l’obiettivo di esprimere queste tre

qualità – bellezza, giovinezza, aggressività – sin

dall’apertura, per caratterizzare subito la pro-

tagonista. L’abbozzo immediato di una caratte-

rizzazione dovrebbe essere il vostro asso nel-

la manica, se volete agganciare il lettore al suo

personaggio. Lo vedremo meglio in seguito.

2. Siate creativi con la grammaticaAttenzione, però: non dovete limitarvi a “dire”

che la nostra protagonista possiede tali quali-

tà. Ci vuole uno stile che riecheggi il contenu-

to: in questo caso, uno stile anch’esso giovane,

bello, aggressivo. E qui interviene la grammati-

ca. Dovete fare del sostantivo, questo padre del

discorso, l’eroe degli agenti grammaticali. Sce-

gliete il sostantivo “ragazza”, che si riferisce ov-

viamente a “lei”, ma cercate subito di vivaciz-

zarne l’uso con un accorgimento grammaticale.

Questo sostantivo femminile singolare richie-

de, normalmente, l’articolo determinativo “la”

o l’indeterminativo “una”. Bene: voi farete a

meno dell’articolo! Iniziate quindi con il sostan-

tivo “ragazza”.

3. Continuate con una frase di aggancioPensateci un attimo. Dopo un “attacco” così

essenziale, si potrebbero introdurre, per esem-

pio, due persone il cui dialogo riprenda il tema

annunciato nella prima riga, con una frase di

aggancio quale: “Ragazza era e ragazza reste-

rà per sempre”. Questo commento, che intan-

to esprime la giovane età della protagonista,

lascia anche presagire qualcosa di fanciulle-

sco dietro le quinte delle parole... Prendete poi

l’aggettivo “bella”: banalissimo in sé, soprat-

tutto nella frase “bella ragazza”. Il dizionario

dei sinonimi può darvi un’infinità di alternati-

ve a “bella”, ma anche senza fare uso di que-

sto pur utilissimo strumento, invertendo l’ordi-

ne tipico delle due parole cambia qualcosa:

“ragazza bella” suona più incisivo di “bella ra-

gazza”, dà una carica in più sia a lei sia alla sua

bellezza. Questa inversione sostantivo/agget-

tivo può stimolare i sensi del lettore, che vorrà

poi vedere la bellezza della vostra protagonista.

4. Scegliete le parole in base al loro suonoPassiamo all’aggressività di questo personag-

gio. Volete trovare una parola che suoni aggres-

siva? Come vi suona “ragazza rapace”? L’allit-

terazione (un’altra figura retorica che prevede

l’accostamento ripetuto dello stesso suono o

sillaba) del suono “ra” ha in sé qualcosa di sel-

vaggio, come il grido di un uccello. “Rapace”,

tuttavia, rischia di caratterizzare il vostro per-

sonaggio in un modo insolito e particolare. Se

il termine non vi convince, ma vi richiama alla

mente il volo fiero e maestoso dell’aquila e vi

piace l’idea di delineare così il vostro personag-

gio, niente di più facile. Prendete allora il so-

stantivo “aquila”, e usatelo coraggiosamente

come qualificativo dell’altro, “ragazza”. Ed ecco

“ragazza aquila”.

5. Stimolate l’interesse per il personaggioQualcosa si sta muovendo nella biografia di

questa donna giovane, bella e aggressiva, vero?

Ma non basta. Per “agganciare” definitivamen-

te il lettore, potremmo dare maggior spessore

al personaggio e alle sue motivazioni. In al-

tre parole, aprire uno spiraglio sulla sua na-

tura profonda, insinuando nel lettore il dubbio

che dietro l’aggressività vi sia un conflitto irri-

solto (aperto e interiore), insomma un ostacolo

che in qualche modo impedisce al personaggio

di raggiungere il proprio obiettivo o di realizza-

re i propri desideri: in questo caso, una vita pie-

na, consapevole e matura, non più “fanciulle-

sca”. Se consideriamo che l’aquila suggerisce

anche un’immagine di libertà, oltre che di rapa-

cità, perché non puntare su una libertà non an-

cora realizzata, che genera delle attese nel per-

sonaggio e nel lettore? Per rafforzare l’effetto è

però importante mantenere l’analogia fra la “ra-

gazza” e l’“aquila”, per esempio con una solu-

zione del tipo: “... che attendeva di spiccare il

volo”. Dunque:

Ragazza era e ragazza resterà per

sempre. Questa ragazza aquila, che at-

tendeva di spiccare il volo...

Come vedete, ogni singola scelta di articoli, ag-

gettivi e sostantivi, così come ogni cambiamen-

to nelle relazioni grammaticali e di significato,

permette di delineare meglio e di completare il

ritratto del personaggio. Ecco l’incipit della sto-

ria. A voi la continuazione.

Proviamo a scrivere un incipit

LEziOnE 1un inizio efficace

34 35

così cominciava Pavese

aproposito dell’importanza di un inizio efficace, è d’obbligo il riferimento a Cesare Pavese, vero maestro nell’arte di intro-

durre il lettore nel suo mondo narrativo. Tutti gli esempi riportati qui a fianco sono incipit di suoi celebri racconti. Leggeteli con at-tenzione, concentrandovi sulla loro struttura sintattica, cioè la rela-zione fra le parti del discorso. Riuscite a scoprire l’elemento comu-ne che li contraddistingue?

Rappresenta in modo emblematico una generazione di narratori del nostro paese. Studia e traduce autori inglesi e americani e, nel 1936, dopo aver scontato una condanna al confino per attività antifasciste, pubblica il primo volume di versi, Lavorare stanca; nel 1941 i primi romanzi, Il carcere e Paesi tuoi. Nel dopoguerra si iscrive

al Pci ed è fra i protagonisti del mondo editoriale e culturale italiano come dirigente della casa

editrice Einaudi. Sono di questi anni Feria d’agosto (1946), Il compagno (1947), La casa in collina (1948), La bella estate (1949) con cui si

aggiudica il Premio Strega nel 1950, La luna e i falò (1950). Nell’agosto del 1950 muore suicida

a Torino. Tra le opere pubblicate postume, Il mestiere di vivere: diario 1935-1950, iniziato dall’autore mentre era confinato a Brancaleone

Calabro e continuato fino alla sua morte, costituisce la sua autobiografia.

L’estate

Di tutta l’estate che trascorsi nella città semivuota non so proprio che dire.

Il mare

Alle volte penso che se avessi avuto il coraggio di salire fino in cima alla collina, non sarei poi scappato di casa.

Storia segreta

Per questa strada passava mio padre. Passava di notte perché era lunga e voleva arrivare di buon’ora.

Notte di festa

Sull’aia liscia e soda come un tavolo di marmo saliva il fresco della sera.

Amici

Dal cortile di cemento un giovanotto a gola tesa gridava al terzo piano di ombre e sprazzi di luce: «State tranquilli, sono disoccupato».

Temporale d’estate

Sul casotto dell’“imbarco” ai piedi delle colline non giungeva ancora il sole.

Anni

Di quel ch’ero allora non resta più niente: appena uomo, ero ancora ragazzo.

Cesare Pavese

Cesare pavese Santo Stefano Belbo, Cuneo 1908 Torino 1950

LEziOnE 1La pratica del testo

36 37

Dare ritmo alla frase con la sintassiAvrete senz’altro notato che gli esempi

esordiscono tutti con una preposizione,

semplice o articolata, che imprime alla fra-

se una svolta decisa: poiché si reggono su

una “particella” secondaria del discorso,

vi sarete accorti che questi inizi costringo-

no il lettore ad avanzare di qualche parola

per scoprire la parte principale.

In altri termini, il ritmo della frase è tale da

provocare una lettura attiva. Vediamo co-

me. Innanzitutto, una struttura sintattica

come quella scelta da Pavese (diversa dal

solito schema soggetto-verbo-oggetto) dà

un certo impulso alla frase: il lettore ne è

colpito e si sofferma sulla posizione e sul

significato delle singole parole.

L’enunciato principale, situato alla fine

del periodo, invita a seguire con atten-

zione tutta la frase per coglierne il senso

completo. Il nuovo ordine delle parti del

discorso, inoltre, può arricchire il numero

dei significati possibili contenuti nell’in-

cipit, tutti quanti suggeriti dall’ambiguità

della preposizione all’inizio della frase.

Tenere il lettore in sospesoRileggiamo con attenzione due esem-

pi. Consideriamo l’incipit del racconto

intitolato L’estate: “Di tutta l’estate che

trascorsi nella città semivuota non so

proprio che dire.”

Iniziando più convenzionalmente con il

verbo, questo sarebbe il risultato: “Non

so proprio che dire di tutta l’estate che

trascorsi nella città semivuota”. Nota-

te la differenza? Un autore che inizi con

“Non so proprio che dire” rischia di

scoraggiare il lettore prima ancora che

questo arrivi alla “città semivuota”.

Pavese tiene il lettore in sospeso in-

vertendo le parti del discorso, attiran-

do l’attenzione sull’argomento “Di tutta

l’estate” (di cui ancora non sappiamo

nulla), retto da una preposizione che ri-

tarda lo svolgimento della frase.

L’autore ha raggiunto il suo obiettivo,

perché ci sentiamo invogliati a inda-

gare oltre.

Iniziando a leggere, forse a nessuno

di voi verrà in mente, a livello conscio,

di farsi domande del tipo: “Ma perché

parlare di tutta un’estate o di una cit-

tà semivuota, se non si sa che dirne?”.

L’importante è osservare che una fra-

se strutturata con quel “non so proprio

che dire” finale evoca alcune sensa-

zioni (perplessità, stupore, sospetto?)

che hanno un duplice effetto: avvolgo-

no tutto l’insieme di parole in un alone

di mistero e “suggeriscono” un signifi-

cato recondito che, a livello inconscio,

aggancia il lettore a ciò che seguirà.

Come la particella ci guida verso l’inte-

ro discorso, così l’inversione nella sin-

tassi riflette l’equilibrio instabile dell’e-

sistenza, che è poi quello che Pavese

vede e comunica in tutta la sua opera.

Conferire al testo una carica emotivaPrendiamo adesso Notte di festa:

“Sull’aia liscia e soda come un tavolo di

marmo saliva il fresco della sera.”

Un modo più convenzionale di comincia-

re questo racconto potrebbe essere: “Il

fresco della sera saliva sull’aia, liscia e

soda come un tavolo di marmo”.

Funziona? Certo, la costruzione è im-

peccabile, ma puntare subito l’atten-

zione sul “fresco della sera” trasmette

una sensazione di piacere o gradevo-

lezza; quindi, l’originale e caratteristi-

ca immagine dell’aia paragonata a un

tavolo di marmo rischia di passare in

second’ordine, quasi fosse soltanto un

abbellimento della proposizione prin-

cipale. Osservando invece la differen-

za fra le due diverse disposizioni del-

lo stesso insieme di parole, possiamo

quasi avvertire quell’impercettibile

brivido di freddo suggerito dalla simili-

tudine fra l’aia e il tavolo di marmo, po-

sta da Pavese all’inizio della frase. Il

“fresco della sera”, arrivando dopo ta-

le immagine, assume ben altri toni! La

narrazione acquisisce subito una qua-

lità emotiva diversa, una dinamica che

impregna le parole di significato.

Suggerire più livelli di letturaNotate, infine, l’effetto della preposi-

zione “su” all’inizio della frase. Essa

permette una varietà di possibili inter-

pretazioni, dovute non soltanto alla po-

sizione predominante della particel-

la, ma anche alla sua duplice funzione.

Considerando “su” come preposizione

di stato in luogo, ovvero “sulla super-

ficie dell’aia...”, verrebbe da chieder-

si: “Chi c’è sull’aia? Cosa vi sta acca-

dendo?”. Solo in un secondo momento

scopriamo, con il verbo “saliva”, che

“su” indica un moto a luogo, vale a dire

il moto dell’aria che sale “su”, dal bas-

so verso l’aia.

Una buona fetta di creatività, in lette-

ratura, consiste proprio nello sfruttare

la parola in tutte le diverse sfumature

di significato, per “insinuare” moltepli-

ci livelli di lettura.

L’inversione nella sintassi riflette l’equilibrio instabile dell’esistenza, che Pavese comunica in tutta la sua opera.

LEziOnE 1La pratica del testo

38 39

sintesi Bibliografia

Il corpo narrativo• Chi scrive non può limitarsi a “dire”; deve

“mostrare” il contenuto in modo indiretto.

Lo scrittore, quindi, deve saper “scrivere tra

le righe”.

• Occorre coinvolgere il lettore suscitando una

reazione emotiva.

• Per scrivere occorre prima saper leggere,

cioè individuare i segreti di un corpo narrati-

vo, attraverso lo studio del testo di un maestro,

per farli propri.

• Gli strumenti universali dello scrittore per

creare un corpo narrativo sono i personaggi

e la trama.

• Va inoltre sfruttata la flessibilità della gram-

matica e della sintassi, ricorrendo alle figure

retoriche, se necessario (in questa lezione ab-

biamo citato l’allegoria e l’allitterazione).

Un inizio efficace• Con l’incipit è bene interessare, coinvolgere

e stimolare subito il lettore.

• Una tendenza molto diffusa nella scrittura

contemporanea è quella di esordire nel mez-

zo della situazione o dell’azione (inizio in me-

dias res).

• Un incipit che funziona può incominciare con

una preposizione che dia ritmo alla frase, oppu-

re con un pronome che le conferisca una cer-

ta ambiguità per suggerire più livelli di lettura.

• È utile saper “giocare” abilmente con la

grammatica e la sintassi seguendo un ordine

non consueto delle parole.

• Per superare il blocco dello scrittore, talvol-

ta può essere efficace iniziare con una parola

che non abbia nulla a che fare con l’argomen-

to, magari con l’aiuto di un buon dizionario.

• Una breve ma piacevole introduzione all’uni-

verso della scrittura creativa si trova nel libro di

Wallace Stegner Come si diventa scrittori (Edi-

trice Archinto).

• Uno dei testi più influenti, letto con passione or-

mai da generazioni di studenti, è il manuale di un

autore di culto che ha insegnato a lungo scrittu-

ra nelle università americane, Raymond Carver:

Il mestiere di scrivere. Esercizi, lezioni, saggi di

scrittura creativa (Einaudi).

• Di tutt’altro impianto, ma ugualmente acuto, è

On Writing del genio dell’horror Stephen King

(Sperling & Kupfer).

• Se alla base della scrittura creativa c’è “l’ar-

te di saper usare bene le parole”, perché non

saperne di più sulla retorica? Vi sarà d’aiuto un

“classico” di Roland Barthes, La retorica anti-

ca (Bompiani).

• Dal realismo magico di Buzzati a quello di Ga-

briel García Márquez. Provate a esplorare il

suo mondo incantato in Cent’anni di solitudine

(Mondadori). Oppure, per un’atmosfera diversa

e uno stile insolito, Notti al circo di Angela Car-

ter (Corbaccio).

• Sull’incipit è difficile resistere alla tentazione di un

rapido e divertente colpo d’occhio su come hanno

affrontato e risolto il problema centinaia di autori più

o meno famosi. Procuratevi in biblioteca la raccol-

ta di Giacomo Papi e Federica Presutto In principio...

2001 modi per iniziare un romanzo (Baldini Castoldi

Dalai), oppure quella di Carlo Fruttero e Franco Lu-

centini, Incipit. 757 inizi facili e meno facili (Monda-

dori). Oltre tutto, è una soluzione originale per met-

tere a confronto la forza e l’efficacia dei vari modi di

iniziare una storia, cercando di scoprire quali sono

i più vicini alla vostra sensibilità. E per verificare se

un incipit funziona davvero, non resta che procurar-

si i libri che vi sono citati e continuare a leggere...

LEziOnE 1

40 41

LEziOnE 1Esercizi

Incominciamo con un esercizio banale ma non troppo, per “sgranchirvi le dita”.

Descrivete un piatto di pastasciutta utilizzando questi vocaboli:

che, per quanto, non sapevo, volendo, difficilmente, chiunque, poiché.

Suggerimento: iniziate con ciascuna delle parole elencate un aneddoto sulla ta-

vola imbandita.

Ora un esercizio più lungo. Descrivete la situazione e lo stato d’animo di una perso-

na che si accorge di essersi smarrita in un bosco di montagna sulla via del ritorno,

all’approssimarsi del crepuscolo. Lunghezza massima: una pagina.

Suggerimento: cercate di utilizzare le tecniche di composizione letteraria spie-

gate nelle pagine precedenti (“attacco” da metà, ribaltamento grammaticale e

sintattico, “mostrare senza dire”, immagini e parole in apparente contrasto o

con significati nascosti, ecc.).

Provate a descrivere, senza definirli, lo stato d’animo della noia e la sensazione

fisica delle vertigini.

Suggerimento: dipingete la noia senza usare la parola “noia”, il senso di vertigine

senza usare la parola “vertigine”. Eliminate anche sinonimi o locuzioni troppo ov-

vie: niente “sbadigli” per la noia, niente “paura di cadere” per le vertigini. Più l’im-

magine è originale, più colpirà il lettore.

Costruite una breve storia che illustri la verità di un proverbio, per esempio

“Chi non risica non rosica” o “Chi la dura la vince”, sostituendo al “chi” del

proverbio un personaggio inventato da voi e illustrando ciò che ottiene (o non

ottiene) nel corso di un episodio significativo. Lunghezza massima: una pagina.

Suggerimento: cercate di non “dire” al lettore niente di simile al proverbio; in-

somma, niente frasi fatte! Lasciate che l’azione e la reazione del personaggio

mostrino da sole la verità del proverbio che avete in mente. Per il momento

limitatevi a creare un corpo narrativo. In seguito tratteremo in modo più ap-

profondito le tecniche per sviluppare una trama letteraria e per creare diver-

si tipi di personaggi.

Ribaltate in positivo il racconto di Buzzati che avete letto a pagina 18, descriven-

do lo stato d’animo del protagonista di fronte a un bivio della vita.

Suggerimento: per esempio, andare a trovare un fratello all’ospedale o affronta-

re un colloquio decisivo per la carriera? Rivolgere la parola a una persona che si

incontra per strada, o ignorarla e tirar dritto? Questi sono solo degli spunti. Attin-

gete dalla vostra esperienza.

Come nell’esempio di pagina 32, scrivete un incipit che inizi con il pronome

femminile “la”, in modo da tenere in sospeso il lettore sull’identità della...

cosa? persona? animale? pianta? ... a cui il pronome si riferisce.

Suggerimento: cercate di portare avanti l’ambiguità il più a lungo possibile

in modo da creare un effetto a sorpresa quando la verità sarà svelata. Esi-

ste un’infinità di stratagemmi possibili intorno a questo genere di ambigui-

tà verbale. Provate a sfogliare le pagine di un buon dizionario: quante pa-

role chiave possono balzare agli occhi grazie a questo semplice atto così a

“portata di dito”!

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