A cura di Clelia Buccico Elusione e abuso del diritto Corso di Fiscalità dimpresa A.A. 2010-2011.

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a cura di Clelia Buccico Elusione e abuso del diritto Corso di Fiscalità d’impresa A.A. 2010-2011

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a cura di Clelia Buccico

Elusione e abuso del diritto

Corso di Fiscalità d’impresa

A.A. 2010-2011

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“L’elusione non è tanto un artificio ai limitidella legalità, quanto un atteggiamento

naturale dell’uomo, inteso come soggettoeconomico propenso ad assumere i

comportamenti che implicano il minorsacrificio (avuto riguardo al risultato che

intende perseguire)”.Adam Smith

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L’elusione fiscale

Al fine di definire l’elusione bisogna individuare i confini che esistono da un lato, con l’evasione che consiste nel sottrarsi all’obbligo di corrispondere le imposte, violando le norme di legge e dall’altro, con il lecito risparmio di imposta, che il contribuente può perseguire operando delle scelte che l’ordinamento gli offre per contenere gli oneri tributari

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Ad esempio il contribuente sceglie di acquistare una seconda abitazione anziché a Capua dove l’ICI è del 6 per mille a Caserta dove l’ICI è del 5 per mille.

Il risparmio lecito d’imposta

Il risparmio d’impostarisparmio d’imposta viene definito dalla teoria economica come rimozione del tributo, una fattispecie che si verifica quando il contribuente consapevole del legame esistente tra un determinato presupposto e l’obbligazione tributaria ad esso corrispondente rinuncia a porre in essere il comportamento specifico.

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Ad esempio il contribuente omette di dichiarare dei redditi conseguiti

L’evasione

L’evasioneL’evasione è il frutto di particolari comportamenti assunti dal contribuente per sottrarsi al debito tributario occultando situazione realmente verificatesi o alternativamente dichiarando elementi non corrispondenti alla realtà

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La simulazione consiste nella rappresentazione di una "volontà formale" diversa rispetto a quella effettiva

La frode consiste in situazioni e comportamenti attraverso i quali, mediante raggiri e artifici, sono ostacolati l'accertamento o la corretta qualificazione giuridica dei fatti rilevanti per l'applicazione del Tributo

La simulazione-la frode

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A differenza dell’ elusione , dove il comportamento messo in atto è realmente voluto dalle parti in causa , nella simulazione invece si vuole conseguire un risultato diverso da quello che traspare dagli atti posti in essere .

Si configura una violazione diretta della normativa; L’ elusione e la simulazione non sono assimilabili da un punto di vista definitorio ma, non si può escludere , che la prima possa essere attuata mediante la seconda dato che l’ attività simulatoria può rivelarsi per più scopi , anche illeciti .

Gli elementi che caratterizzano la simulazione sono tre : 1) l’ intenzione ingannatoria verso i terzi,2) la voluta non corrispondenza tra quanto dichiarato e le effettive volontà

delle parti 3) l’ accordo simulatorio sulla divergenza tra rapporto stipulato e quello

effettivo .L’ accordo simulatorio , destinato ad essere riservato , pattuisce il carattere fittizio del contratto simulato , incapace di realizzare gli effetti previsti ; la situazione giuridica permane quella precedente alla stipula del suddetto contratto oppure diviene quella attuata dal contratto nascosto .

La simulazione

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La donazione di area edificabile e la successiva cessione

Ai sensi dell'articolo 68, comma 2, quarto periodo, Tuir, infatti, "per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente.

Di conseguenza, nel caso il titolare del bene doni l'immobile, si ponga, al coniuge, ad un familiare in rapporto di parentela fino al quarto grado, la successiva alienazione di quest'ultimo a un soggetto terzo vedrà emergere una plusvalenza pari alla differenza tra il prezzo di vendita e il valore dichiarato nell'atto di donazione (soggetto a registrazione entro venti o sessanta giorni dalla stipula, a seconda che sia stato formato in Italia o all'estero).

L'alienazione diretta di un terreno a un acquirente interessato all'edificazione renderebbe invece tassabile la differenza tra il prezzo d'acquisto originario e quello di vendita, che, come si può immaginare in tema di terreni divenuti edificabili, può risultare notevole.

Cessione

Costo d’acquisto

€ 100.000

Prezzo di vendita €1.000.000

Plusvalenza € 900.000

Tassazione del 30% pari ad 270.000 €

Donazione

Costo d’acquisto

€ 100.000

Donazione

1.000.000

Imposta donazione (supponiamo ad esempio del10%)

Tassazione

pari a 100.000 €

La rivendita del terreno ad € 1.000.000 non farà emergere nessuna plusvalenza

Esempi di simulazione

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L’elusione fiscale può essere definita come la strumentalizzazione da parte dei contribuenti delle imperfezioni presenti nella normativa tributaria

L’elusione fiscale

L’elusione è l’abuso di uno strumento giuridico attraverso il quale il contribuente evita di applicare la normativa fiscale appropriata per quel risultato economico

Si tratta di una forma di risparmio conforme alla lettera della norma ma non alla ratio voluta dal legislatore

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L’elusione fiscale

L’elusione si manifesta attraverso un comportamento apparentemente lecito che non viola le norme tributarie nella forma ma nella sostanza

Si afferma che mentre l’evasione presuppone una condotta contra legem l’elusione presuppone una condotta extra legem

Il contribuente effettua un’operazione al solo fine di conseguire un risparmio d’imposta o adotta strumenti insoliti per raggiungere un determinato risultato economico evitando il peso fiscale

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Di seguito si analizza una tipologia di operazione elusiva che risulta frequentemente praticata dove la finalità dell’operazione è il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro ma i negozi giuridici praticati sono rappresentati dall’operazione di conferimento.

La sequenza elusiva si attiva con l'accensione di una passività su un immobile, in genere un mutuo ipotecario, che sarà poi oggetto di conferimento in una società, costituita ad hoc o già esistente. In questo modo il valore del conferimento, e quindi la base imponibile dello stesso ai fini dell'imposta di registro, è costituito dal saldo netto tra il valore dell'immobile e la passività imputata (così come previsto dall'articolo 50, comma 1, del Dpr n. 131 del 1986). Tale riduzione della base imponibile non rileva ai fini delle imposte ipotecaria e catastale, le cui aliquote continuano ad applicarsi al valore integrale del bene conferito. Segue un calcolo esemplificativo.

Esempi di elusione

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Gli strumenti anti elusivi

Le soluzioni possibili

Il legislatore dispone di due tecniche per fronteggiare l’elusione:

1) Norme a contenuto espressamente antielusivo;

2) Norme specifiche la cui antielusività risiede nella ratio, non nel contenuto

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L’elusione e i contratti in frode alla legge

Nel diritto civile l’art. 1344 cod.civ. stabilisce che è nullo il contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di norme imperative.Le norme fiscali non sono norme imperative nel senso dell’art. 1344 ossia norme che vietano o permettono determinati contratti per cui l’elusione fiscale comporta conseguenze soltanto fiscali.

L’art. 10 dello Statuto dei Contribuenti esclude che le violazioni tributarie possano causare la nullità dei contratti

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Norma a contenuto espresso antielusivo

Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

1. Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

2. L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.

Nel nostro ordinamento non esiste una norma antielusiva a carattere generale esiste una norma settoriale

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Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni:

a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

c) cessioni di crediti;

d) cessioni di eccedenze d'imposta; … segue

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Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni nonché il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società;

f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere da c) a c quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (plusvalenze);

f bis) cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo di cui all’articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi;

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Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

f ter) pagamenti di interessi e canoni di cui all'art. 26-quater,qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea;

f-quater) pattuizioni intercorse tra società controllate e collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, una delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale;

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Dalla lettura della norma in questione si evince coma la disposizione antielusiva in essa contenuta si renda applicabile qualora si verifichino, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

1. il contribuente ponga in essere atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, che comportino l’utilizzo di una o più operazioni fra quelle indicate al comma 3 dell’art. 37-bis (fusioni, scissioni, trasformazioni ecc.);

2. che tali atti, fatti e negozi siano complessivamente diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti;

3. che tali atti, fatti e negozi siano privi di valide ragioni economiche.

Norma a contenuto espresso antielusivo

Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

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Per quanto riguarda il primo punto, ovvero la previsione che il disegno elusivo possa compiersi attraverso più atti, anche collegati fra loro, si osservi quanto chiarito nella Relazione ministeriale che ha accompagnato l’introduzione dell’art. 37-bis, nella quale si legge che l’elusione

<<... in genere, non si esaurisce in una operazione, ma si basa su di una pluralità di atti tra loro coordinati. Il vantaggio fiscale non deriva quasi mai, ad esempio, da una mera fusione, da un mero conferimento o da un’altra operazione societaria, ma deriva anche da eventi preparatori o consequenziali, come l’acquisto o la cessione di partecipazioni sociali; è per questo che la norma pone l’accento sul disegno elusivo complessivamente architettato dal contribuente

Per quanto riguarda l’indebito vantaggio fiscale (...) non si riferisce alla libertà di scelta del contribuente tra diverse soluzioni possibili, ma quelle condizioni in cui alchimie finanziarie sorprendano la buona fede del legislatore portando a risultati da esso non previsti>>,

Norma a contenuto espresso antielusivo

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Le valide ragioni economiche l’espressione valide ragioni economiche non sottintende una validità

giuridica, ma una apprezzabilità economico-gestionaleapprezzabilità economico-gestionale. nel contesto della attività di impresa (...) per valide ragioni

economiche devono intendersi, ragioni aziendali apprezzabili, e cioè sufficienti a giustificare il compimento dell’operazione per finalità imprenditoriali, anche in assenza dell’eventuale vantaggio fiscale connesso al compimento dell’operazione

(...) Ciò significa che l’interesse all’operazione è economicamente apprezzabile se un operatore economico diligente, posto nelle condizioni in cui si trovava il contribuente al momento del compimento dell’operazione, l’avrebbe compiuta anche in assenza dei vantaggi fiscali collegati all’operazione stessa>>.

Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

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una società immobiliare a responsabilità limitata unipersonale (le cui quote erano detenute al 100% da un padre) si vorrebbe scindere con apporto di alcuni immobili ad una costituenda beneficiaria, e con successiva donazione delle quote della beneficiaria medesima ai tre figli.

Esempio di parere comitato antielusivo

Esempio di operazioni non valide economicamente

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nella pronuncia il comitato consultivo (oggi abrogato) ha affermato che “in merito alla rilevanza delle ragioni economiche, l'istante non adduce alcuna valida motivazione ed, anzi, pone l'accento sulla sussistenza di un mero interesse dell'unico socio di separare il patrimonio sociale con il fine ultimo di destinarne una parte ai figli, attraverso la donazione delle quote di partecipazione nella società beneficiaria neo-costituita. si evince, pertanto, l'assenza di una concreta motivazione economico-gestionale di natura produttiva o organizzativa volta, proprio attraverso la divisione del patrimonio originario ed una modifica degli assetti societari, a consentire il mantenimento di stabili condizioni di vita aziendale per entrambi gli organismi derivanti dall'operazione. (…) l'operazione di scissione de qua si sostanzia invece nella creazione di una mera società "contenitore" destinata ad accogliere beni da far circolare successivamente sotto forma di partecipazioni. l'unica ragione sottesa ad una siffatta operazione è la convenienza fiscale, così come peraltro affermato dall'istante, atteso che l'istituto alternativo dell'estromissione dei beni immobili dall'esercizio di impresa con conseguente assegnazione degli stessi all'unico socio - che sarebbe successivamente libero di provvedere alla donazione a favore dei figli - genererebbe consistenti plusvalori, tassabili ipso facto. viceversa, la scissione è operazione fiscalmente neutrale e priva di costi nell'immediato. del resto, l'alternativa di adottare una delle due soluzioni non è "fisiologica al sistema", attesa l'assoluta mancanza di ragioni economiche che giustifichino, nella fattispecie rappresentata, l'utilizzo della scissione rispetto al più adeguato ma meno conveniente, istituto sopra ricordato”.

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La società riferisce di essere proprietaria di un complesso industriale (che gestisce direttamente) diviso in due rami aziendali, ciascuno costituito da un distinto complesso di beni mobili e immobili organizzati con propria autonomia funzionale per l'esercizio di impresa che sarebbe strutturata in due rami d'azienda:

a) ramo aziendale per l'attività di carpenteria e quanto altro connesso b) ramo aziendale per l'attività di zincatura e quanto altro connesso.

La società, fin dalla sua costituzione, è stata sempre costituita unicamente dai due soci fondatori, in quote uguali, e precisamente dall'attuale amministratore unico della società istante e dal fratello.

Esempio di valide ragioni economiche

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L'istante insiste nel proprio onere descrittivo rappresentando che i due rami aziendali, in questi ultimi anni, sono stati colpiti dalla generale crisi economica che si è tradotta in una sostanziale sospensione della produzione carpenteria (caratterizzata dalla produzione di serre per l'agricoltura) e in un rallentamento di quella della zincatura.

Per il rilancio dei due rami d'azienda, gli amministratori avevano programmato e iniziato, di comune accordo, aggressive strategie aziendali, a partire da iniziali investimenti per impianti, macchinari e attrezzature industriali.

Il decesso di uno dei soci ha determinato l'attribuzione, per successione, come da regolare iscrizione sul libro dei soci, delle azioni del de cuius, pari al 50 per cento del capitale sociale, in parti uguali, ai figli, già tutti coadiuvanti attivamente nella gestione familiare dell'azienda, particolarmente nel ramo carpenteria.La prematura dipartita del socio avrebbe prodotto, per conflitto generazionale tra il socio superstite (fratello del socio deceduto) e gli eredi di quest'ultimo, gravi divergenze in ordine alla gestione e alle programmate strategie aziendali, condizionandone i presupposti di efficienza e di economicità, al punto che l'attività del primo ramo (carpenteria) attualmente risulta ancora ferma, mentre l'attività del secondo ramo (zincatura) è in progressivo rallentamento, con una perdita di esercizio 2004 notevole.Tali problemi rendono, oggi, indifferibile l'opportunità - sulla quale tutti i soci convengono - di procedere a una scissione parziale non proporzionale della società al fine di rilanciare le due attività.

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L'istante dichiara che la scissione è progettata interamente a valori contabili fiscalmente riconosciuti, senza emersione di plusvalenze e minusvalenze di sorta, senza sottrazione alcuna al regime dei beni di impresa e, altresì, con specifica dichiarazione che i soci non intendono procedere alla cessione delle loro partecipazioni in entrambe le società.La scissione voluta dall'interpellante rappresenta una scelta dettata dalle esigenze di carattere strategico emerse nella conduzione dell'impresa e rappresenterebbe il migliore deterrente alla situazione di dissidio esposta nell'interpello anche per il carattere fiscalmente neutrale che a essa viene attribuito dall'ordinamento tributario.

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Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

4. L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2.

5. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 42, l'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2.

6. Le imposte o le maggiori imposte accertate in applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 sono iscritte a ruolo, secondo i criteri di cui all'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, concernente il pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in pendenza di giudizio, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.

… segue

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Norma a contenuto espresso antielusivo Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

8) Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Con decreto del Ministro delle finanze da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, sono disciplinate le modalità per l'applicazione del presente comma.

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La relazione ministeriale di accompagnamento all’articolo 7 del d.lgs. n. 358/1997, introduttivo dell’articolo 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, precisa che la disposizione in commento “… introduce un principio di civiltà giuridica e di pari opportunità tra il fisco ed il contribuente. E’ noto che sono state introdotte nel nostro ordinamento una pluralità di norme sostanziali, con lo scopo di limitare comportamenti elusivi: spesso queste norme, a causa della loro inevitabile imprecisione, provocano indebite penalizzazioni per comportamenti che non hanno nulla di elusivo. Se le norme possono essere disapplicate quando il contribuente le manipola per ottenere vantaggi indebiti, occorre che lo siano quando condurrebbero a penalizzazioni altrettanto indebite”.

• L’elencazione della tipologia di norme antielusive specifiche non è tassativa ma aperta. Il comma 8 infatti, dopo aver accennato a deduzioni, detrazioni, crediti di imposta, chiude l’elencazione con un generico richiamo “ad altre posizioni soggettive”.

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INTERPELLO DISAPPLICATIVOE’ possibile chiedere al Direttore regionale delle Entrate la disapplicazione di una norma antielusiva specifica, dimostrando che nel caso di specie l’effetto elusivo che la norma mira a colpire non può verificarsi (art. 37-bis, comma 8, del d.P.R. n. 600/1973; Decreto del Ministero delle Finanze n. 259 del 19.6.1998)

da non confondere con

INTERPELLO ANTIELUSIVO Sull’applicabilità dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 ad una specifica operazione, compiuta o da compiere, è possibile chiedere, seguendo una determinata procedura, un parere alla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, per il tramite della Direzione Regionale delle Entrate competente in relazione al domicilio fiscale del richiedente (in precedenza anche al Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive) (art. 21 della legge n. 413/1991; Decreto del Ministero delle Finanze n. 195 del 13.6.1997)

Interpello disapplicativo ed interpello antielusivo

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L’interpello disapplicativo

Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

La tipologia di interpello in esame non è finalizzata a fornire al contribuente un parere in ordine ad una questione interpretativa, ma attraverso un provvedimento del Direttore Regionale, viene eccezionalmente disapplicata una norma antielusiva che, altrimenti, troverebbe applicazione nel caso specifico da lui prospettato

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L’interpello disapplicativo antielusivo

Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

La risposta del Direttore della D.R.E deve essere fornita entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza da parte dell’interessato

La procedura dell’interpello disapplicativo, da esaurirsi complessivamente in 90 giorni, prevede 2 fasi:

1. Una prima fase di istruttoria dell’istanza da parte dell’ufficio locale, al termine della quale esso redige un proprio parere motivato da trasmettere al Direttore Regionale, entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza;

2. Una seconda fase di istruttoria e di decisione, di durata pari a 60 giorni, presso la Direzione Regionale che termina con un provvedimento definitivo del Direttore Regionale da emanarsi entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza.

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L’interpello disapplicativo antielusivo

Art. 37-bis D.P.R. 600/1973

In caso di assenza di risposta da parte dell’A.F. la normativa di riferimento non prevede la formazione del silenzio assenso. L’A.F. è comunque tenuta a fornire una risposta

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L’interpello speciale antielusivo L.413/1991 art. 21

L’art. 16, comma 1, del D.L. n. 185/2008 - convertito nella L. n. 2/2009 - modifica la disciplina dell’interpello antielusivo di cui all’art. 21 della L. n. 413/1991, al fine di adeguare il relativo procedimento all’intervenuta soppressione del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, avvenuta ad opera dell’art. 29, comma 4, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, conmodificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248.

Sul punto, la circ. n. 40/E del 27 giugno 2007 aveva precisato che non era più possibile ricorrere al Comitato consultivo a fronte del silenzio-assenso della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso (trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza di interpello) ovvero qualora il contribuente non intendesse uniformarsi al parere ricevuto.

Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 16, comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008, il procedimento di interpello antielusivo risulta incardinato esclusivamente presso l’Agenzia delle Entrate.

Vedasi anche Circ. n. 5/E del 24 febbraio 2009

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L’interpello speciale antielusivo L.413/1991 art. 21

Consente al contribuente di richiedere all’Amministrazione finanziaria un preventivo parere sull’applicazione a casi concreti di talune disposizioni antielusive:

• operazioni elencate nella norma antielusiva (art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973); • redditi conseguiti attraverso interposizione di persona (art. 37, comma 3, del D.P.R. n.

600/1973); • qualificazione delle spese di pubblicità, propaganda e rappresentanza (art. 108,

comma 2, del Tuir); • operazioni concluse con imprese localizzate in paradisi fiscali extra UE (art. 110,

commi 10 e 11, del Tuir).

Si può richiedere il preventivo parere all’Agenzia delle Entrate fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata. La mancata comunicazione del parere da parte dell’Agenzia delle Entrate entro 120 giorni e dopo ulteriori 60 giorni dalla diffida ad adempiere da parte del contribuente equivale a silenzio-assenso

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L’interpello speciale antielusivo

L.413/1991 art. 21

L’Agenzia delle Entrate, tramite la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, deve comunicare il proprio parere al contribuente entro 120 giorni dalla richiesta (cioè dalla data di presentazione dell’istanza alla Direzione Regionale competente);

In caso di mancata risposta entro tale termine il contribuente potrà diffidare l’Agenzia ad adempiere entro i successivi 60 giorni;

La mancata risposta da parte della Direzione Centrale entro 60 giorni dalla data di ricevimento della formale diffida ad adempiere del contribuente equivale a silenzio- assenso sulla soluzione prospettata dal contribuente.

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Secondo la circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 3 marzo 2009, le risposte fornite dagli uffici a seguito della presentazione delle istanze di interpello (ordinario, antielusivo e disapplicativo) non sono impugnabili da parte dei contribuenti

La circolare precisa, infatti, che tali atti non hanno natura provvedimentale e non contengono la manifestazione di una pretesa impositiva: infatti, il contribuente è libero di uniformarsi o meno all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate.

Circolare n. 7/E del 3 marzo 2009: non impugnabili le risposte dell’Amministrazione

finanziaria alle istanze di interpello

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Con la circ. n. 7/E del 3 marzo 2009 fornisce istruzioni agli uffici in ordine alla gestione del contenzioso derivante dalla impugnazione dei pareri resi in relazione alle diverse tipologie di interpello:

• interpello ordinario (art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212), attivabile qualora ricorrano “obiettive condizioni di incertezza” sulla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie;

• interpello antielusivo (art. 21 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), strumentale all’ottenimento di un parere in relazione a talune fattispecie potenzialmente elusive;

• interpello disapplicativo (art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), strumentale alla disapplicazione di norme sostanziali di carattere antielusivo.

Circolare n. 7/E del 3 marzo 2009

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Tutte le tipologie di interpello sono accomunate dalle seguenti caratteristiche:

• la risposta vincola l’Agenzia delle Entrate esclusivamente nei confronti dell’istante, limitatamente al singolo caso prospettato (nell’ipotesi che la fattispecie concreta rappresentata sia completa e veritiera);

• la risposta non vincola il contribuente, il quale è libero di non uniformarsi al parere, ferma restando la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di verificare, in sede di accertamento, il rispetto della soluzione interpretativa fornita.

Circolare n. 7/E del 3 marzo 2009

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Il paragrafo 4) classifica gli interpelli in due categorie:

interpelli diretti ad acquisire un parere, riferito a un caso concreto, circa la corretta interpretazione di una norma tributaria (interpello ordinario) o sulla preventiva qualificazione di un’operazione come potenzialmente elusiva (interpello antielusivo);

interpelli diretti ad ottenere una valutazione circa la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione di uno specifico regime tributario o per la disapplicazione di disposizioni di carattere antielusivo (interpello disapplicativo).

In entrambi i casi, la risposta dell’Amministrazione non determina effetti vincolanti nei confronti del contribuente, che resta libero di uniformarsi o meno all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate .

Ne consegue che la risposta all’interpello non è impugnabile con ricorso alla Commissione tributaria provinciale.

Circolare n. 7/E del 3 marzo 2009

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Il paragrafo 4.1) precisa che “La non impugnabilità delle risposte all’interpello si giustifica, essenzialmente, alla luce della loro natura di atti amministrativi non provvedimentali”.Le risposte agli interpelli mancano, infatti, dei caratteri dell’autoritarietà e dell’esecutorietà, propri dei provvedimenti amministrativi, in ragione del carattere non vincolante della risposta nei confronti del contribuente, e del carattere della esecutività, dal momento che il parere “non produce nei confronti del richiedente effetti diretti ed immediati”.

Il paragrafo 4.2), inoltre, precisa chele risposte agli interpelli non hanno natura di atto impositivo, in quanto non contengono la manifestazione di una pretesa impositiva.L’esercizio del potere impositivo è, infatti, “rimandato ad un momento eventuale e successivo, coincidente con l’emanazione di un atto lesivo della sfera giuridica del contribuente e, come tale, impugnabile con ricorso alla Commissione tributaria provinciale territorialmente competente”

Circolare n. 7/E del 3 marzo 2009

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Con la decisione n. 414/2009, il Consiglio di Stato è intervenuto nuovamente sul tema del riparto di giurisdizione tra il giudice tributario e quello amministrativo.

Il procedimento in questione aveva ad oggetto l’impugnazione del diniego dell’Amministrazione finanziaria sulla richiesta di disapplicazione delle norme antielusive avanzata da una società e il giudice, confermando quanto statuito in primo grado, ha riaffermato la giurisdizione tributaria in base al principio della sua generalità.

Parallelamente, la decisione ha dichiarato non autonomamente impugnabile il provvedimento di diniego: i motivi di illegittimità di quest’ultimo potranno essere fatti valere dal contribuente solo in sede di impugnazione dell’eventuale successivo e consequenziale atto di accertamento adottato dall’Ufficio sulla base proprio di quelle norme antielusive di cui si chiedeva originariamente la disapplicazione.

Consiglio di Stato, n.414 del 26 gennaio 2009

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LE INTERRELAZIONI ESISTENTI TRA BILANCIO E REDDITO D’IMPRESA: LE SOLUZIONI POSSIBILIL’elusione mediante interposizione

art.37 del d.p.r. 600/1973

In sede di accertamento sono imputati al contribuente i redditi cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi precisi e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.

Esistono due soggetti il vero titolare del reddito (interponente) ed il soggetto apparentemente titolare (interposto).

Ad esempio le società di calcio corrispondevano ai calciatori somme di denaro per lo sfruttamento della loro immagine dell’immagine non direttamente ai calciatori ma a società estere da essi possedute.

Per il fisco si trattava di società interposte e i redditi sono stati imputati direttamente ai calciatori.

Il soggetto interposto può chiedere il rimborso delle imposte pagate per evitare la duplicazione di imposte legate ad uno stesso presupposto

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LE INTERRELAZIONI ESISTENTI TRA BILANCIO E REDDITO D’IMPRESA: LE SOLUZIONI POSSIBILINorme con ratio antielusiva

art. 110 del TUIR

Si tratta di norme che sono dettate con la finalità di impedire ai contribuenti di attuare pratiche elusive.

Art. 110 TUIR «I componenti del reddito (costi, ricavi, minusvalenze, plusvalenze, sopravvenienze, ammortamenti, ecc…) derivanti da operazioni con società (società di persone e società di capitali) non residenti nel territorio dello Stato (residenti anche in paradisi fiscali), che direttamente o indirettamente (cioè anche tramite un terzo soggetto) controllano (esercitano un’influenza economica dominante) l’impresa (cioè tutti quei soggetti ex art. 2082 c.c.che producono reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 Tuir, come imprese individuali, società di persone, società di capitali, enti commerciali, stabili organizzazioni di imprese estere, ecc…), ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (anche qui il controllo deve intendersi come influenza economica dominante), sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2 (il quale ci rimanda all’art. 9, comma 3, Tuir), se ne deriva un aumento del reddito;

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LE INTERRELAZIONI ESISTENTI TRA BILANCIO E REDDITO D’IMPRESA: LE SOLUZIONI POSSIBILINorme con ratio antielusiva

Art. 172 del TUIR

Art. 172 TUIR

« Le perdite delle società che partecipano alla fusione possono essere portate in diminuzione del reddito della societa' risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della societa' le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione e' stata deliberata,risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attivita' caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

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Il comma 7 dell’art. 172 del Tuir impone, ai fini del riporto delle perdite fiscali maturate ante fusione, di procedere ad un test di vitalità (della società che riporta le perdite) che implica di raffrontare gli ammontari di ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente, risultanti dal bilancio dell’esercizio precedente a quello nel corso del quale la fusione è deliberata, con la media dei corrispondenti ammontari risultanti dai due esercizi ulteriormente precedenti.

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EsempioFusione deliberata nel corso del 2008

a prescindere dalla eventuale retrodatazione fiscale della fusione,il raffronto deve essere operato tra:

• le risultanze dell’esercizio 2007, • e la media delle risultanze degli esercizi 2005 e 2006.

Con la ris. n. 116/E del 24 ottobre 2006 l’Agenzia delle Entrate ha tuttavia chiarito che la disposizione in esame, la cui ratio è quella di contrastare le operazioni di commercio delle c.d. “bare fiscali”, deve essere interpretata nel senso che i requisiti minimi di vitalità economica debbano sussistere non solo nel periodo precedente alla fusione, così come si ricava dal dato letterale, bensì debbano continuare a permanere fino al momento in cui la fusione viene deliberata.

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Nel caso, ad esempio, di una fusione perfezionata in data 31 luglio 2008, la possibilità di riportare le perdite fiscali, maturate nei periodi di imposta precedenti alla data di efficacia della fusione, deve intendersi subordinata al superamento del c.d. “test di vitalità” da parte della società che ha generato le perdite:

• non solo operando il raffronto: – tra ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente

dell’esercizio 2007, – e media dei ricavi caratteristici e spese per il personale

dipendente del biennio 2005 e 2006;

• ma anche operando il raffronto: – tra ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente

dell’esercizio compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 luglio 2008,

– e media dei ricavi caratteristici e spese per il personale dipendente del biennio 2006 e 2007.

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NOTA

L’Agenzia delle Entrate, in occasione della ris. n. 143/E del 10 aprile 2008, ha ribadito quanto già affermato in occasione della precedente ris. n. 116/E del 2006, precisando ulteriormente che:

• l’ulteriore raffronto, da operare avendo riguardo alla data di perfezionamento giuridico della fusione, deve essere eseguito anche nel caso in cui gli effetti fiscali dell’operazione siano stati retrodatati all’inizio del periodo di imposta nel corso del quale la fusione si perfeziona, ancorché tale circostanza implichi il fatto che non si genera alcun periodo di imposta autonomo ante fusione;

• ai fini del “test di vitalità”, l’ammontare dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e delle spese per prestazioni di lavoro, relativi all’intervallo compreso tra la data di perfezionamento giuridico della fusione e la data di chiusura dell’esercizio precedente a quello nel corso del quale la fusione si è perfezionata, deve essere ragguagliato ad anno, per consentire che il raffronto con la media dell’ammontare dei medesimi elementi contabili degli ultimi due esercizi precedenti sia effettuato tra dati omogenei.

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Esempio numericoSi ipotizzi una fusione tra due società Alfa e Beta con esercizio coincidente con l’anno solare,perfezionata in data 30 giugno 2008ed avente efficacia in pari data anche ai fini fiscali (assenza di

retrodatazione).

In tali casi, occorre confrontare:

• sia i dati risultanti dal bilancio al 31 dicembre 2007 (bilancio dell’esercizio precedente a quello di perfezionamento giuridico della fusione) con i dati relativi ai bilanci al 31 dicembre 2006 e al 31 dicembre 2005;

• sia i dati risultanti dalla contabilità per il periodo 1° gennaio 2008-30 giugno 2008 con i dati relativi ai bilanci al 31 dicembre 2007 e al 31 dicembre 2006.

In base alla prassi la possibilità di riportare post fusione le perdite fiscali maturate fino al 30 giugno 2008 è subordinata al superamento del “test di vitalità” con riferimento ad entrambi i predetti raffronti.

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Società Alfa

ESERCIZIO 2005 2006 20071° gennaio 2008-30

giugno 2008

Ricavi e proventi 10.000 8.000 4.500 1.500

Spese dipendenti 2.200 1.800 700 300

Società Beta

ESERCIZIO 2005 2006 20071° gennaio 2008-30

giugno 2008

Ricavi e proventi 10.000 10.000 7.500 2.000

Spese dipendenti 3.500 3.300 2.500 600

Si supponga che i bilanci delle due società partecipanti rilevino i seguenti dati

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La società risultante dalla fusione Gamma rileverà quanto segue

. Per quanto riguarda le perdite di Alfa: • con riferimento ai ricavi o proventi: – raffronto 40% media 2006 e 2005 con

2007: (10.000 + 8.000)/2 ( 40% = 3.600 < 4.500 (test di vitalità superato);

– raffronto 40% media 2007 e 2006 con 1.1.2008-30.6.2008: (8.000 + 4.500)/2 ( 40% = 2.500 < 3.000 (= 1.500 x 365 giorni / 183 giorni) (test di vitalità superato);

• con riferimento alle spese per lavoro dipendente:

– raffronto 40% media 2006 e 2005 con 2007: (2.200 + 1.800)/2 ( 40% = 800 > 700 (test di vitalità non superato);

– raffronto 40% media 2007 e 2006 con 1.1.2008-30.6.2008: (1.800 + 700)/2 ( 40% = 500 < 600 (= 300 x 365 giorni / 183 giorni) (test di vitalità superato).

. Per quanto riguarda le perdite di Beta: • con riferimento ai ricavi o proventi: – raffronto 40% media 2006 e 2005 con

2007: (10.000 + 10.000)/2 ( 40% = 4.000 < 7.500 (test di vitalità superato);

– raffronto 40% media 2007 e 2006 con 1.1.2008-30.6.2008: (10.000 + 7.500)/2 ( 40% = 3.500 < 4.000 (= 2.000 x 365 giorni / 183 giorni) (test di vitalità superato);

• con riferimento alle spese per lavoro dipendente:

– raffronto 40% media 2006 e 2005 con 2007: (3.500 + 3.300)/2 ( 40% = 1.360 < 2.500 (test di vitalità superato);

– raffronto 40% media 2007 e 2006 con 1.1.2008-30.6.2008: (3.300 + 2.500)/2 ( 40% = 1.160 < 1.200 (= 600 x 365 giorni / 183 giorni) (test di vitalità superato).

Le perdite fiscali realizzate dalla società Alfa dovranno essere “abbandonate”, mentre quelle di Beta potranno continuare ad essere riportate

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Limite del patrimonio nettoAi sensi del comma 7 dell’art. 172, le perdite delle società che superano il “test di vitalità” sono riportabili dalla società risultante o incorporante nei periodi di imposta post fusione solo nel limite dell’ammontare del patrimonio netto della società di cui si riportano le perdite, quale risultante:

• dall’ultimo bilancio d’esercizio della società medesima, • o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale eventualmente redatta ai fini della

fusione, ai sensi dell’art. 2501-quater del codice civile.

SCOPO DELLA NORMA

Neutralizzare il commercio delle c.d. “bare fiscali”, ossia l’acquisizione di società con perdite fiscali ingenti, spesso significativamente superiori al patrimonio netto della società medesima

Per evitare che la finalità della norma possa essere aggirata mediante ricapitalizzazioni strumentali, operate a ridosso della fusione, al solo scopo di ottenere un più elevato plafond di perdite riportabili è stato inoltre previsto che l’entità del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio (o dalla situazione patrimoniale ex art. 2504-quater del codice civile) deve essere calcolata senza tener conto degli eventuali versamenti e conferimenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui la situazione contabile si riferisce.

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Esempio numericoSi ipotizzi il caso di due società Alfa e Beta che si fondano nella società Gamma nel corso del 2008 e che rilevino i seguenti dati

SOCIETÀ Alfa

Perdite fiscali 1.000

PN risultante da bilancio al 31 dicembre 2007 920

PN risultante da bilancio intermedio al 30 giugno 2008 800

Versamenti e conferimenti ultimi 24 mesi -

SOCIETÀ Beta

Perdite fiscali 500

PN risultante da bilancio al 31 dicembre 2007 750

PN risultante da bilancio intermedio al 30 giugno 2008 700

Versamenti e conferimenti ultimi 24 mesi 150

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La società risultante dalla fusione Gamma potrà riportare: • le perdite di Alfa nel limite di 800 (patrimonio netto della

società rilevato alla data di riferimento della situazione patrimoniale ex art. 2501-quater del codice civile);

• le perdite di Beta per l’intero ammontare del 500 (l’importo di perdite riportabili, infatti, non eccede quelli del patrimonio netto del bilancio intermedio, ridotto dei versamenti effettuati negli ultimi 24 mesi).

SOCIETÀ Gamma

Perdite fiscali Alfa 800

Perdite fiscali Beta 500

Totale perdite riportabili 1.300

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I metodi interpretativi delle norme sono due: Metodi rigidi e formalistici Metodi non formalistici

I metodi rigidi sono quelli legati alla lettera della Legge ed al significato strettamente giuridico dei termini usati dalla Legge. Non si ammette che l’interprete possa distaccarsi dalla volontà del legislatore. La giustificazione ideologica di questo metodo di interpretazione sta nel richiamo alla certezza del diritto.

Quindi i metodi rigidi e formalistici non consentono interpretazioni antielusive

I metodi non formalistici favoriscono invece la possibilità di interpretazioni antielusive

Interpretazione delle norme elusione ed abuso del diritto

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Le tecniche attraverso le quali si può pervenire a tassare le fattispecie elusive sono due:

1. La prima consiste nell’interpretare la norma elusa in modo da applicarla anche a fattispecie che essa formalmente non prevede;

2. La seconda consiste nell’interpretare e ricostruire i negozi giuridici elusivi in modo da far emergere, al di là dell’apparenza formale ed esteriore, il vero affare ed il vero negozio posto in essere dalle parti. Viene così operata una riqualificazione del negozio ovvero un superamento della forma.

Interpretazione delle fattispecie elusive

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L’abuso del diritto - in ambito fiscale - si basa sull’impiego di una norma giuridica allo scopo di conseguire finalità diverse da quelle sue proprie e consiste nel «piegare a fini distorsivi» schemi contrattuali ed istituti ordinamentali, facendo in pratica assumere ad un negozio o comportamento gli effetti propri della regola aggirata.

Il tratto caratterizzante l’abuso è costituito, appunto, dal fatto che le parti vogliono «contemporaneamente » sia la causa tipica e legittima, sia quella illegittima perché contraria a norma imperativa.

L’abuso del diritto in ambito fiscale

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L’abuso non implica necessariamente la natura fraudolenta o fittizia dell’operazione economica. La frode è un comportamento volutamente finalizzato a trarre in inganno o, comunque, a rendere arduo all’Amministrazione finanziaria il cogliere la vera natura dell’operazione, presupponendo un certo artificio.

L’abuso si compendia nell’utilizzo «inesatto» di una norma giuridica in misura di regola «eccedente» la sua reale portata al fine di ottenere vantaggi fiscali che sarebbero leciti solo se rappresentanti l’«effetto naturale» della disposizione correttamente applicata alla fattispecie

L’abuso del diritto in ambito fiscale

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Il concetto di abuso del diritto e quello di elusione sono strettamente correlati in un rapporto di causa-effetto:

l’abuso del diritto è un comportamento che produce, come effetto, la sottrazione (illegittima) di materia imponibile al Fisco (l’elusione, appunto)

L’abuso del diritto in ambito fiscale

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La mancanza di una clausola antielusiva generale nell’ordinamento domestico ha indotto IN UNA FASE INIZIALE la giurisprudenza nazionale a colmare i vuoti recuperando il principio dell’«abuso del diritto» dalla giurisprudenza comunitaria, facendo propri i principi ricavati da regolamenti e direttive che la stessa Corte di giustizia ha demandato al giudice nazionale di applicare verificando in concreto se nella fattispecie sottoposta al suo esame sussistessero gli elementi costitutivi di un comportamento abusivo.

L’abuso del diritto in ambito fiscale

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Causa concernente una banca che suppliva servizi esenti da IVA.

La Banca ha costruito i suoi affari in tal modo di ottenere detraibilita’ dell’ IVA (tramite l’ incorporazione di svariate sussidiarie).

Ritenuta abusiva l’operazione economica connessa alla creazione di una società che aveva acquistato un immobile, aveva provveduto a ristrutturarlo e a rivenderlo, ed era subito dopo messa in liquidazione.

La Corte Europea di Giustizia stabili’ certe linee guida relative all’ abuso di diritto in tema di elusione fiscale.

L’interpretazione della giurisprudenza comunitaria L’abuso del diritto

Sentenza HALIFAX della Corte di Giustizia C-255/02 del 21 febbraio 2006.

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I Giudici della Corte negavano la detraibilità dell’imposta in caso di abuso di diritto,abuso di diritto,

da riconoscersi, secondo la Corte, ad ogni operazione conclusa essenzialmente per finalità antifiscali, e, comunque, senza valide ragioni economiche

In sostanza l’imposta sarebbe dovuta per ogni operazione riconducibile ad una cessione o prestazione di servizio nell’accezione assai lata riconosciuta dalla Corte, ma la detraibilità di quanto pagato a tale titolo sarebbe esclusa se l’operazione o il complesso delle operazioni collegate risultasse frutto di un abuso di diritto secondo la definizione appena anticipata.

L’interpretazione della giurisprudenza comunitaria L’abuso del diritto

Sentenza HALIFAX della Corte di Giustizia C-255/02 del 21 febbraio 2006.

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Principi Sentenza HALIFAX

Secondo giurisprudenza costante, la legge Communitaria non puo’ essere utilizzata per scopi abusivi o fraudolenti (Case C-367/96 Kefalas and Others Case, C-373/97 Diamantis).

L’applicazione della legge Comunitaria non deve risultare nell’ applicazione di pratiche abusive, vale a dire comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato del beneficio, senza un reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni ’ (Case 125/76 Cremer and Case C-8/92).

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La Sesta Direttiva deve essere interpretata in tale modo da precludere il diritto di un ente economico alla detraibilità dell’ IVA quando la prefigurazione di comportamenti è diretta a trarre un abuso.

C’ è l’ abuso di diritto se c’e, in primis, una costruzione di puro artificio.

C’è abuso se nonostante l’ aderenza formale ai requisiti della direttiva relativi alla detraibilità dell’ IVA gli atti sono volti a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni economiche che risultano eseguite in forma solo apparentemente corretta ma, in realtà, sostanzialmente elusiva; in queste ultime ipotesi scatta la indetraibilità dell'IVA

Principi Sentenza HALIFAX

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In Halifax si e’ elaborato una nozione di abuso in modo del tutto autonoma dalle ipotesi di frode, richiedendo che le operazioni, pur realmente volute e immuni da rilievi di validità, devono avere "essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale" (punto 86).

Principi Sentenza HALIFAX

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In tale sentenza, la Corte di Lussemburgo ha elaborato una nozione di abuso di diritto in materia di IVA.

Sono definite operazioni che comportano abuso del diritto le operazioni che , pur volute realmente ed immuni da rilievi di validità, hanno “essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”.

Tale espressione e’ apparsa, da subito, diversa da quella comunemente ricorrente nella precedente giurisprudenza comunitaria ed in altri testi normativi comunitari, nei quali si è sempre parlato di vantaggio fiscale come scopo esclusivo, o di operazioni compiute al solo scopo di ottenere un risparmio fiscale, ovvero, come nell’art. 11 della direttiva 23 luglio 1990 n. 90/434/CEE, in materia di regime fiscale sulle fusioni, scissioni societarie e conferimento di attivo, il quale autorizza gli Stati membri a considerare il compimento di tali operazioni, ove non effettuate “per valide ragioni economiche”, quale presunzione di frode o di evasione.

L’interpretazione della giurisprudenza comunitaria L’abuso del diritto

Sentenza HALIFAX della Corte di Giustizia C-255/02 del 21 febbraio 2006.

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1)1) Nel sistema nazionale la rilevanza dell’elusione era ed è sempre stata intesa e circoscritta in termini assolutamente tassativi (cioè l’elusione opera, anzi operava, solo per operazioni espressamente previste), ed è limitata alle imposte dei redditi, ex artt. 37 e 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, con esclusione di altri profili impositivi, Iva compresa, anzi, soprattutto in materia di Iva, nella cui specifica regolamentazione esula ogni previsione espressa di contrasto di elusione o di abuso.

2)2) Non a caso l’intento e l’impianto elusivo, una volta riconosciuti, e solo in materia di imposte sui redditi, determinano o determinavano, infatti, esclusivamente, l’inopponibilità dei relativi atti e negozi giuridici all’Amministrazione finanziaria (e non l’inefficacia o la nullità del contratto o delle altre operazioni collegate), mentre i relativi effetti non si estendono, o non si estendevano, all’Iva o ad altre imposte, dove non c’è alcuno spazio o, almeno, non c’era alcuno spazio per il contrasto (in sostanza l’alternativa si pone, o meglio si poneva soltanto tra evasione e adempimento dell’obbligo fiscale).

Effetti dell’orientamento comunitario

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Al contrario, altrove, e, in particolare, in Germania, il concetto e l’istituto dell’abuso di diritto sono assolutamente generali (nel senso che concernono ogni operazione o iniziativa giuridica) e si riflettono conseguentemente su ogni ramo dell’ordinamento tributario

TALE PRINCIPIO viene accettato e ribadito dalla Corte di Giustizia come REGOLA FONDAMENTALE DELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO

IM DISSONANZA con le direttive generali del nostro diritto internoladdove l’istituto dell’abuso non è mai stato formalmente ammesso e riconosciuto, verosimilmente perché in contraddizione con la riserva di legge, nonché con l’esigenza di certezza del diritto, oltre che con le garanzie riconosciute all’operatore

Effetti dell’orientamento comunitario

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l’imprenditore, e così ogni contribuente, può e deve conoscere in anticipo il carico fiscale di ogni operazione per meglio stimarne la convenienza economica, ciò che sarebbe impossibile con un istituto che concedesse troppo spazio alla discrezionalità del giudice con la relativa, conseguente e inevitabile incertezza operativa.

dalla regola della tassatività o, almeno, della legalità assai rigida del divieto di elusione, si passerebbe da noi, per effetto dell’intervento della Corte di Giustizia, al principio, in qualche modo opposto e certamente diverso, dell’abuso di diritto in termini generali, ciò che consentirebbe all’Amministrazione fiscale iniziative finora sconosciute, e forse addirittura inconcepibili

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Circolare n.67/E del 13 dicembre 2007

L’Amministrazione finanziaria ha aderito alla tesi secondo cui i principi comunitari sul divieto di abuso del diritto sono immediatamente efficaci nel nostro ordinamento. Il divieto di abuso delle forme giuridiche è immanente nel sistema della VI Direttiva (Dir. n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977) e, come tale, integra il contenuto dell’atto comunitario stesso, producendo, conseguentemente, effetti diretti nell’ordinamento nazionale, senza che occorra una norma positiva in materia. A giudizio dell’Agenzia, sulla base di tali premesse può dunque concludersi che la Finanza ha il potere di riconoscere comportamenti abusivi anche in assenza di una norma di legge

Ripercussioni sulla prassi amministrativa

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La suddetta interpretazione giurisprudenziale comunitaria, proprio per la sua novità e genericità, ha indotto, però, la Corte di Cassazione a riformulare alla Corte di Giustizia i seguenti due quesiti - ordinanza n. 21371 depositata il 4 ottobre 2006 - richiesta di interpretazione ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE

1. se la nozione di abuso del diritto, definita dalla succitata sentenza HALIFAX, come operazione essenzialmente compiuta ai fini di conseguire un vantaggio fiscale sia coincidente, più ampia o più restrittiva di quella non avente ragioni economiche diverse da un vantaggio fiscale;

2. se, ai fini dell’applicazione dell’Iva possa essere considerato abuso del diritto (o di forme giuridiche), una separata conclusione di contratti di locazione finanziaria (leasing), di finanziamento, di assicurazione e d’intermediazione, avente come risultato la soggezione ad Iva del solo corrispettivo della concessione in uso del bene, laddove la conclusione di un unico contratto di leasing secondo la prassi e l’interpretazione della giurisprudenza nazionale avrebbe come oggetto anche il finanziamento e, quindi, comporterebbe l’imponibilità Iva dell’intero corrispettivo.

L’interpretazione della giurisprudenza comunitaria L’abuso del diritto

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La Corte di Cassazione con l’ord. n. 21371 del 4 ottobre 2006, poneva alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale dell’esclusività o essenzialità dell’intento antifiscale nonché quella delle caratteristiche delle operazioni in questione, da ritenersi eventualmente indispensabili per essere riconosciute come abusive.

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1)Quanto alla prima questione i giudici comunitari ribadiscono il contenuto della ben nota sentenza Halifax e cioè che “l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale dell’operazione o delle operazioni controverse”. Il vantaggio fiscale deve quindi essere lo scopo essenziale e non necessariamente unico delle operazioni incriminate.

Sentenza Part ServiceC-425/06 del 21 febbraio 2008 della Corte di Giustizia

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2) Sulla seconda questione, la Corte afferma che:a) l’imprenditore o il contribuente ha il diritto di scegliere la

forma di conduzione dei propri affari che gli permetta di limitare, per quanto possibile, la sua contribuzione fiscale

b) sia pure in via di eccezione, più prestazioni formalmente distinte, e, quindi, tecnicamente soggette a tassazione separata, devono essere considerate come frammenti di un’unica operazione, se particolari circostanze rivelano, in modo consequenziale e convergente, che si tratta di prestazioni collegate finalisticamente nel senso che una appare come la prestazione principale, mentre le altre si rivelano accessorie o, comunque, assolutamente secondarie il trattamento fiscale per tutte le prestazioni è quello della prestazione principale. Si può sostenere di essere in presenza di una prestazione unica, agli effetti fiscali, quando due o più atti del soggetto passivo siano tanto connessi da formare una sola prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione assumerebbe carattere artificiale (punto 53).

Sentenza Part ServiceC-425/06 del 21 febbraio 2008 della Corte di Giustizia

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c) È compito del giudice nazionale valutare se gli elementi che gli vengono presentati configurino l’esistenza di un’operazione unica, al di là della struttura contrattuale di essa. In tale contesto, esso (il giudice nazionale) può dovere estendere la sua analisi attraverso la ricerca di indizi che rivelino l’esistenza di una pratica abusiva, nozione su cui verte la questione pregiudiziale, alla Corte rimanendo la potestà di fornire eventuali precisazioni dirette a guidarlo nell’interpretazione (punti 54, 55 e 56)

stabilire se l’operazione o le operazioni sospette siano frutto di una pratica abusiva, volta essenzialmente al conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (senza che la conclusione muti per l’esistenza di ulteriori finalità secondarie o collaterali), è compito esclusivo del giudice tributario nazionale che procede all’indagine su base anche meramente indiziaria (alla luce degli elementi di fatto emersi)

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MASSIMALa nozione di abuso del diritto nell’ambito dell’ordinamento comunitario deve ricondursi all’inammissibilità per gli operatori di avvalersi fraudolentemente delle disposizioni del diritto comunitario. Il contegno o comportamento abusivo deve risultare da un insieme di elementi di natura obiettiva comprovanti l’esclusività dello scopo perseguito dalle operazioni economiche, volte essenzialmente all’ottenimento di un vantaggio fiscale. A tale fine, qualora le operazioni investano una pluralità di prestazioni, occorre determinare se si versi nell’ipotesi di un unicum inscindibile ovvero di una sequenza di operazioni. Tale compito interpretativo è rimesso alla valutazione del giudice nazionale che ben può trarre il convincimento della realizzazione di una pratica abusiva analizzando i nessi giuridici, economici e personali dei soggetti partecipanti alle operazioni, anche riconoscendone il carattere fittizi

La giurisprudenza comunitaria Sentenza C-425/06 del 21 febbraio 2008 della Corte di Giustizia

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Si noti che:

Secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia – sentenze 14 febbraio 1995, C279/93;13 luglio 1993, C-330/91;12 aprile 1994, C-1/9; 15 maggio 1997, C250/95 – pure essendo l’imposizione diretta attribuita alla competenza degli Stati membri, gli stessi sono COMUNQUE VINCOLATI al rispetto dei diritti e principi fondamentali dell’ordinamento comunitario.

La giurisprudenza comunitaria

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La giurisprudenza comunitaria

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La giurisprudenza nazionale

La Corte di Cassazione – sezione tributariaSent. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345

1) l’autonomia contrattuale delle parti e la libertà di scelta del contribuente possono essere limitati solo da «specifiche» disposizioni di legge, per cui, «in difetto, si rimane nell’ambito della mera lacuna della disciplina tributaria»

NOTA: prima dell’introduzione da parte dell’art.7 comma 1, del Dlgs n.358/97, dell’art.37 bis NON ESISTEVA UNA CLAUSOLA GENERALE ANTIELUSIVA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO, anche per la non applicabilità retroattiva della norma, e considerato che neanche la stessa ha enunciato un principio di portata generale

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La giurisprudenza nazionale

La Corte di Cassazione – sezione tributariaSent. 29 settembre 2006, n.21221; 21 aprile 2008, n. 10257; 17 ottobre 2008, n.

25374

2) "non hanno efficacia nei confronti della amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano "abuso di diritto", cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico". (21 aprile 2008, n. 10257 e 29 settembre 2006, n.21221)

TALE PRINCIPIO E’ STATO IN PARTE CORRETTO

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“Per una corretta applicazione del principio il Collegio ritiene necessari alcuni chiarimenti sull’affermazione contenuta nella già richiamata sentenza della Corte n. 10257/2008, secondo cui l’onere di dimostrare che l’uso della forma giuridica corrisponde ad un reale scopo economico, diverso da quello di un risparmio fiscale, incombe al contribuente. Nel confermare tale principio, la Corte rileva che l’individuazione dell’impiego abusivo di una forma giuridica incombe all’amministrazione finanziaria, la quale non potrà certamente limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta. Si tratta della stessa regola contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e propria, come si è detto, di altri ordinamenti giuridici”. (17 ottobre 2008, n. 25374)

La giurisprudenza nazionale

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La giurisprudenza tributaria di legittimità, alla fine del 2008, ha distinto, poi, in materia di elusione fiscale, il settore

delle imposte armonizzate

da quello delle imposte non armonizzate

La giurisprudenza nazionale

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La Corte di Cassazione (Sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25374), per il settore armonizzato, ha affermato un potere dell’ufficio e del giudice tributario di ritenere non opponibili al Fisco (in ogni stato e grado del giudizio) gli effetti di una o più operazioni di scambio laddove queste, nel loro concreto atteggiarsi, manifestando il vantaggio fiscale quale scopo principale ancorché non esclusivo, non siano fondate su ragioni economiche diverse dal risparmio fiscale e, quindi, siano state assoggettate ad un’applicazione “abusiva” del diritto (tributario) comunitario.

La giurisprudenza nazionale

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La giurisprudenza nazionale

Per il settore non armonizzato, la stessa Suprema Corte ha ammesso la “esportabilità” del citato principio, in quanto alla ratio dell’esercizio dei diritti sottesi alle libertà garantite dal Trattato UE sarebbe aliena la principalità della motivazione di risparmio fiscale che ricorrerebbe nell’operazione effettuata proprio nell’esercizio di tali libertà; tale orientamento, senza espressamente sancire la natura solo esemplificativa e non esaustiva del disposto dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, nel riempire di contenuto il generico e mai esplicitato principio del divieto di abuso del diritto comunitario, sembra aver attribuito rilevanza risolutiva alla presenza o meno di valide ragioni economiche

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Come sancito dalle sentenze 21 aprile 2008, n. 10257 e 29 settembre 2006, n.21221 anche la sentenza n.8772 del 4 aprile 2008 stabilisce che “Non hanno efficacia nei confronti della amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano “abuso di diritto”, cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico”.

Nell’imposta di registro, l’art. 20 del relativo Testo Unico rappresenterebbe esplicazione del principio di abuso del diritto e consentirebbe di interpretare gli atti e di collegarli in ragione degli obiettivi economici perseguiti dai soggetti coinvolti. In questa ottica, il conferimento di ramo di azienda, seguito dalla cessione delle partecipazioni nel soggetto conferitario, andrebbe tassato come «cessione diretta», con applicazione dell’imposta in misura proporzionale.

Non sono opponibili all’Amministrazione gli atti che costituiscono “abuso di Non sono opponibili all’Amministrazione gli atti che costituiscono “abuso di diritto” e il principio trova applicazione in tutti i settori dell’ordinamento diritto” e il principio trova applicazione in tutti i settori dell’ordinamento tributario, e, dunque, anche nell’ambito delle imposte dirette.tributario, e, dunque, anche nell’ambito delle imposte dirette.

La giurisprudenza nazionale

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La nozione di abuso di diritto viene fissata dalla Cassazione come a) una tipologia di operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, b) senza alcuna necessità che gli atti siano fittizi o fraudolenti o simulati.

Il proprium del comportamento abusivo consisterebbe proprio nel fatto che, a differenza delle ipotesi della frode, il soggetto pone in essere operazioni reali, assolutamente conformi a modelli legali senza mutazioni del vero o rappresentazioni incomplete della realtà

La giurisprudenza nazionale

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In tale ottica non può disconoscersi all’imprenditore o al contribuente il diritto di scelta dell’operazione con il minore carico fiscale,

mentrementre, sul piano processuale, compete proprio al contribuente allegare e provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non marginale o meramente tecnico, specie quando l’ipotetico abuso dia luogo ad un elemento negativo del reddito o dell’imposta.

l’esistenza di importanti ragioni economiche alternative, da provarsi a cura del contribuente, funzionerebbe come limite negativo del requisito dell’essenzialità del motivo antifiscale

le singole norme antielusione devono essere inquadrate, non più come eccezioni ad una regola, ma come positivo sintomo dell’esistenza della regola opposta, quella della validità in generale del principio validità in generale del principio dell’abuso. dell’abuso.

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Principio comunitario antiabusoLa Sezione tributaria della Corte di Cassazione aveva ritenuto che il principio comunitario antiabuso, benché formulato (nella sentenza leader Halifax) con riguardo ad un tributo comunitario come l’IVA, potesse essere esteso anche ai tributi «non armonizzati» e, in particolare, alle imposte sui redditi, in quanto si trattava di operazioni lesive dei principi fondamentali sanciti dai Trattati comunitari, come la libera concorrenza, la libertà di stabilimento, la libera circolazione dei capitali.

MASe così fosse, esso avrebbe potuto operare solo nei confronti di imprenditori e lavoratori autonomi e non nei confronti di persone fisiche come tali.

3) Le Sezioni Unite, traendo il principio antiabuso direttamente dalle norme costituzionali di cui all’art. 53, ne hanno ampliato l’ambito soggettivo, dato che destinatari sono tutti i contribuenti, anche se «privati».Sulla scia di tale orientamento, la Corte di Cassazione, tra la fine del 2008 ed i primi del 2009, nelle sentenze 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057 e 21 gennaio 2009, n. 1465 ha sviluppato ulteriormente l’implementazione del principio nel settore delle imposte non armonizzate, modificando nettamente la prospettiva, con alcune variabili non indifferenti

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NovitàNovitàVIENE CONFERMATA LA VALIDITA’ DEL PRINCIPIO VIENE CONFERMATA LA VALIDITA’ DEL PRINCIPIO DELL’ABUSO DEL DIRITTO NEGANDONE PERO’ LA DELL’ABUSO DEL DIRITTO NEGANDONE PERO’ LA DERIVAZIONE DAL DIRITTO COMUNITARIO E LO SI AGGANCIA DERIVAZIONE DAL DIRITTO COMUNITARIO E LO SI AGGANCIA ALLA COSTITUZIONEALLA COSTITUZIONE

Il principio dell’abuso di diritto non nasce in ambito comunitario, ma addirittura a Il principio dell’abuso di diritto non nasce in ambito comunitario, ma addirittura a livello Costituzionale (livello Costituzionale (art. 53 della Costituzione), con riferimento ai principi della capacità contributiva e dalla progressività dell’imposizione.

E’ la necessità di un compromesso

In sostanza si verificava una situazione singolare: l’elusione nel nostro ordinamento risulta combattuta esclusivamente, e solo in parte, in materia di imposte sui redditi, e non in materia di Iva, a livello europeo l’impostazione antielusiva vale esclusivamente e per effetto dell’intervento della Corte di Giustizia, in materia di Iva, e non in materia di imposte sui redditi che non sono armonizzate.

La Cassazione si era, però, ormai spinta, a seguito delle pronunce e dei riferimenti della Corte di Giustizia, bene al di là degli ambiti specificamente previsti dal nostro ordinamento, e ben difficilmente sarebbe ritornata indietro sui propri passi.

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La giurisprudenza nazionale

Cassazione - Sent. n. 30055 del 23 dicembre 2008 (ud. del 2 dicembre 2008) - Sent. n. 30056 del 23 dicembre 2008 (ud. del 2 dicembre 2008)

Massime - La cognizione del giudice tributario è rivolta essenzialmente all’accertamento della sussistenza della pretesa fiscale fatta valere - e contestata dal contribuente - secondo gli elementi di fatto e le considerazioni di diritto formulate nell’atto impositivo impugnato, conformemente alla posizione di “attore sostanziale” del processo tributario dell’Amministrazione finanziaria, sulla quale incombono gli ordinari oneri probatori ex art. 2697 c.c.. L’indagine del giudice tributario può rivolgersi a differenti temi (nella specie, esistenza, validità ed opponibilità dell’attività negoziale del privato nei confronti dell’Erario) rispetto all’iniziale assunto formulato dall’Amministrazione finanziaria (nella specie, disconoscimento di un componente negativo di reddito) all’esito delle deduzioni ed allegazioni della difesa del contribuente.

I principi costituzionali della capacità contributiva e della progressività dell’imposizione che informano l’ordinamento tributario ostano al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti attraverso strumenti giuridici l’adozione ovvero l’utilizzo dei quali sia unicamente rivolto, in assenza di ragioni economicamente apprezzabili, al risparmio d’imposta - anche laddove non ricorra alcuna violazione o contrasto puntuale ad alcuna specifica disposizione.

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La fonte del principio antielusivo dell’ abuso del diritto si trova non nella norma comunitaria ma nei nostri principi costituzionali e, in particolare, nel principio di capacità contributiva e di progressività di cui all'articolo 53 della Costituzione.

Afferma infatti la Corte che "i principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale".

La giurisprudenza nazionale

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SI RITIENE INVECE

CHE il concorso alle spese pubbliche, in ragione della capacità contributiva di ognuno, e il principio di progressività del sistema sono il risultato, anzi devono essere il risultato dell’applicazione concreta e positiva delle norme in vigore, concepite per lo scopo in parola, al punto che, se non vi fosse uno specifico principio o una specifica normativa antielusione o antiabusiva, il contribuente potrebbe esigere l’applicazione delle disposizioni a lui più favorevoli, senza alcuna possibilità di contrasto da parte delle autorità finanziarie. La norma costituzionale potrebbe essere da lui invocata a propria tutela, e non il contrario.

Spunto critico

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La giurisprudenza nazionale

Cassazione - Sent. n. 30057 del 23 dicembre 2008 (ud. del 2 dicembre 2008)

Massima - E' inopponibile all'erario - in virtu' di un generale principio di divieto di abuso del diritto in materia tributaria, desumibile dall'art. 53 Cost., - il negozio con il quale viene costituito, in favore di una societa' residente nel territorio dello Stato, un diritto di usufrutto sulle azioni o sulle quote di una societa' italiana, possedute da un soggetto non residente, in modo da consentire al cedente di trasformare il reddito di partecipazione in reddito di negoziazione (esente dalla ritenuta sui dividendi di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3) ed alla cessionaria di percepire i dividendi,sui quali, oltre a subire l'applicazione della ritenuta meno onerosa di cui al D.P.R. n.600 del 1973, art. 27, comma 1, (oltretutto recuperabile in sede di dichiarazione annuale) essa puo' avvalersi del credito di imposta previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, ed inoltre di dedurre dal reddito di impresa, pro quota annuale, il costo dell'usufrutto, allorche' risulti che il negozio stesso non ha altre ragioni economicamente apprezzabili al di fuori di quella di conseguire un vantaggio tributario.

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Si possono trarre sinteticamente i seguenti principi oggi necessari per individuare l’abuso del diritto nel campo tributario, tenendo conto della succitata, recente giurisprudenza comunitaria e nazionale.

1) Innanzitutto, esiste un principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in un abuso del diritto, riconosciuto peraltro anche in campi diversi dal diritto tributario

2) Costituiscono “abuso del diritto” le operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, e cioè non esclusivo, il che non esclude l’esistenza dell’abuso quando concorrano altre ragioni economiche.

3) L’individuazione dell’impiego abusivo di una forma giuridica incombe sempre all’Amministrazione finanziaria, la quale non potrà certamente limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta. In ogni caso, è opportuno ribadire che lo strumento dell’abuso del diritto deve essere utilizzato dall’Amministrazione finanziaria con particolare cautela.

segue

La giurisprudenza nazionale

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4) Il soggetto che ha utilizzato forme giuridiche non usuali deve sempre essere posto in grado di dimostrare l’esistenza di seri (e non meramente ipotetici o marginali) contenuti economici. E ciò deve essere fatto da parte del contribuente sia nella preventiva fase amministrativa che in quella successiva contenziosa. Per esempio, dovrebbe essere chiaro che quando un’operazione consente la continuità aziendale del soggetto che la pone in essere, nel senso che senza quella operazione l’azienda avrebbe perso i requisiti civilistici di sopravvivenza, le valide ragioni economiche si sono realizzate.

5) Il generale principio antielusivo trova la sua fonte, anche con effetti retroattivi: nella giurisprudenza comunitaria, per quanto riguarda i tributi “armonizzati” (quali l’IVA, le accise ed i diritti doganali); nei principi costituzionali (art. 53 Cost.) per i tributi “non armonizzati” (quali le imposte dirette).

La giurisprudenza nazionale

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Le sentenze esaminate tendono a ricondurre nell’ambito di applicazione del principio antiabuso tutti gli atti, negozi o comportamenti che -considerati singolarmente o in collegamento tra loro- si pongono in contrasto con i predetti principi,le operazioni «potenzialmente abusive» saranno assai più numerose di quelle (circoscritte) che il diritto positivo italiano qualifica «disposizioni antielusive»

ne deriva, pertanto, una ulteriore efficacia espansiva del perimetro «oggettivo» delle operazioni «da indagare» o, quanto meno, da «monitorare»

Conseguenze

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Ci si chiede quale relazione si instauri tra il principio generale antiabuso elaborato dalla giurisprudenza italiana e le specifiche disposizioni antielusive che il legislatore italiano ha predisposto per affrontare il fenomeno.

L’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui, in considerazione della derivazione costituzionale del principio antiabuso, le disposizioni specifiche altro non sono che sintomi dell’esistenza di quel principio immanente (per cui queste ultime sarebbero non innovative, ma confermative di un comportamento illecito già desumibile dall’ordinamento) non può essere condiviso.

Se fosse così, dalle disposizioni che introducono restrizioni o limitazioni a determinate deduzioni o detrazioni si potrebbe desumere un giudizio negativo sulle condotte antecedenti che non rientra nella volontà del Legislatore, che con la nuova disposizione si propone - normalmente - di modificare le regole per il futuro e non di interpretare norme preesistenti.

Principio generale antiabuso e norme specifiche antielusione

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Le Sezioni Unite ritengono inopponibili all’Amministrazione finanziaria, in quanto frutto di abuso, i vantaggi tributari che il contribuente trae indebitamente dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio d’imposta. Il difetto di «ragioni economicamente apprezzabili» non pare determinare di per sé «utilizzo distorto» di strumenti giuridici; il quale sembra un elemento «ulteriore», necessario per concretare l’abuso del diritto. Ma la Sezione tributaria pare di diverso avviso …

MA

va segnalato che una recente pronuncia della Sezione tributaria (Cass., 8 aprile 2009, n. 8487) sembra dedurre la qualificazione (abusiva o meno) dello strumento giuridico direttamente dall’assenza di ragioni economiche dell’operazione.

Ragioni economicamente apprezzabili e utilizzo distorto di strumenti giuridici

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A) Cassando senza rinvio (con le sentenze nn. 30055 e 30056) le sentenze di secondo grado in tema di dividend washing, le Sezioni Unite hanno confermato in toto gli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio finanziario, per ciò stesso convalidando anche le sanzioni che erano state irrogate (per infedele dichiarazione). Alle stesse conclusioni era pervenuta, in precedenza, la Sezione tributaria (sino alla sentenza 25374 del 2008); mentre le Commissioni di merito sono orientate diversamente (Comm. trib. prov. di Milano, 13 dicembre 2006, n. 278 e Comm. trib.prov. di Vicenza, 28 gennaio 2009, n. 6 ).

Una apertura verso la non sanzionabilità sembra potersi scorgere (anche se poi il dispositivo è confermativo dell’intero accertamento erariale) nella sentenza della Sezione tributaria 8 aprile 2009, n. 8487 in cui si legge (a proposito dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973) che «la norma di contrasto all’elusione non ha come finalità quella di penalizzare il contribuente che non ha commesso nessuna violazione, bensì quella di garantire l’uguaglianza del trattamento fiscale. L’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, tende soltanto a riportare sotto il regime della disciplina fiscale comune una operazione che a tale regime è stata sottratta senza ragione» (con ciò riportandosi alla sentenza «Halifax »).

Abuso del diritto e sanzionabilità del comportamento

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b) La Corte di giustizia UE - dopo aver affermato l’obbligo, per il contribuente, di «restituire» all’Amministrazione finanziaria «il beneficio tributario» indebitamente fruito per effetto del comportamento abusivo – esclude (esplicitamente) che possano essere irrogate sanzioni amministrative a carico del contribuente:«la constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco».

Nello stesso senso depone (e dispone) anche l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che - in applicazione del principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. – prescrive che le sanzioni (tributarie) debbano essere esplicite e riguardare fattispecie tipizzate.

Abuso del diritto e sanzionabilità del comportamento

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c) L’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 non affronta il problema delle sanzioni amministrative*anche perché - allora - era in corso la completa revisione (attuata due mesi dopo) della materia. Gli Uffici accertatori non sembra che, finora, si siano dati carico del (rilevante) problema, dato che – in sede di emissione dell’avviso di accertamento – applicano senz’altro la sanzione per «infedele dichiarazione », in quanto dal comportamento «inopponibile» all’Amministrazione finanziaria deriva un maggior imponibile e, quindi, una maggiore imposta.

* nota: Si ricorda che i tre decreti sulle sanzioni amministrative (D.Lgs. nn. 471, 472 e 473) sono posteriori (18 dicembre 1997, in vigore dal 1° aprile 1998) rispetto a quello (D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, in vigore dall’8 novembre 1997) che ha introdotto l’art. 37-bis nel D.P.R. n. 600/1973.),

Abuso del diritto e sanzionabilità del comportamento

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d) La pretesa di applicare sanzioni alla (ben più ampia) categoria di atti, negozi e comportamenti che potranno essere ricompresi nell’«abuso del diritto» (secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite) desta ancora maggiori perplessità, in considerazione del fatto che il contribuente potrebbe non avere avuto coscienza e consapevolezza che certe condotte - non previste e, soprattutto, non vietate da «specifiche norme di legge» - sarebbero non compatibili con l’ordinamento tributario.

Abuso del diritto e sanzionabilità del comportamento

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e) Quando, poi, si discute - come è avvenuto nel caso delle vertenze in tema di dividend washing e di dividend stripping esaminate dalle SS.UU. della Corte di cassazione di operazioni che sono state realizzate prima del D.L. 372/1992 e che avevano trovato conferma - per lunghi anni, in termini di legittimità da parte della Suprema Corte (fino all’ottobre del 2005), come è possibile dubitare della sussistenza dei presupposti di «obiettiva incertezza normativa»? .

Quanto meno per le vertenze di più di venti anni orsono dovrebbe valere (anche) il principio di tutela dell’«affidamento» e della «buona fede» di cui nell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, certamente applicabile anche ai fatti antecedenti all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente ; anzi, facendo leva sul comma 2 di detto arti colo, andrebbero escluse non solo le sanzioni, ma anche gli interessi di ritardato pagamento.

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Abuso del diritto:continua l’incertezza con le ultime sentenze della Cassazione – Sezione tributaria

Le (tre) sentenze delle Sezioni Unite aprono un fronte di marcata «incertezza» nel settore tributario;incertezza che è alimentata dalle sentenze della Sezione tributaria che le hanno seguite: La prima (21 gennaio 2009, n. 1465) sembrava aver interpretato gli ultimi eventi giurisprudenziali – e in particolare quelle sentenze - in termini tali da valorizzare le scelte «in concreto» degli operatori economici; La seconda e la terza (rispettivamente le nn. 8481 e 8487 dell’8 aprile 2009), invece, sembrano riportarsi a posizioni ancora più rigide … e interessare non solo operazioni ritenute «sofisticate», ma anche operazioni molto diffuse nelle medie e piccole imprese.La quarta (13 maggio 2009, n.10981) risottolinea l’immanenza all’ordinamento tributario italiano di una clausola antielusiva non scritta

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Sent. n. 1465 del 21 gennaio 2009 (ud. del 17 dicembre 2008) Massima - In tema di abuso del diritto, l’amministrazione finanziaria deve precisare gli aspetti che fanno ritenere che l’operazione del contribuente è priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta. Incombe all’amministrazione finanziaria ridefinire l’alternativa accettabile all’operazione ritenuta abusiva del contribuente.

Il perno dell'abuso del diritto consiste nell'individuazione del vantaggio fiscale illegittimamente raggiunto solo grazie all'aggiramento delle norme o, meglio, solo grazie alla formale predisposizione di operazioni non "fisiologiche“

La Corte ha anche affermato che l’elusione non può essere circoscritta a specifici settori predeterminati dal legislatore o ad ipotesi tassative, dal momento che la clausola generale antiabuso, definita come il “nucleo fondante dell’elusione ricavato dall’elaborazione della Corte di giustizia”, è applicabile in ogni stato e grado, anche a prescindere da specifiche deduzioni delle parti

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Sent. n. 8481 del 8 aprile 2009 (ud. del 22 gennaio 2009) Massima - L'operazione di sale and leaseback, posta in essere fra due società appartenenti al medesimo gruppo, integra una fattispecie elusiva e concreta di un'ipotesi di abuso di diritto per effetto della detrazione dei canoni della locazione finanziaria e della duplicazione della procedura (e deduzione delle quote) di ammortamento.

“L’abuso del diritto … è oggetto di un divieto che supera le limitazioni temporali … perché esso ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create …”

Sent. n. 8487 del 21 gennaio 2009 (ud. del 17 dicembre 2008) Massima - La garanzia di uguaglianza di trattamento fiscale è l’unico obiettivo della disciplina di contrasto ai fenomeni di elusione nel pagamento delle imposte. L’ordinamento tributario è indifferente rispetto all’esercizio dell’iniziativa economica privata, la cui libertà è assicurata dall’art. 41 Cost.. Tuttavia, il limite dell’utilità sociale contemplato dal secondo comma della citata disposizione osta all’effettuazione di operazioni poste in essere esclusivamente in prospettiva dell’ottenimento di un risparmio d’imposta - non rilevando l’eventuale carattere fraudolento delle medesime - essendo sufficiente la lesione del principio di solidarietà ed il nocumento all’Erario in virtù del minor gettito conseguito.

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Sent. n. 10981 del 13 maggio 2009 (ud. del 16 aprile 2009) Corte Cass., Sez. tributaria

Massima - Ai fini del concorso alla formazione della base imponibile del reddito di impresa, l’elemento rilevante è il reddito prodotto dal contribuente senza potersi fare riferimento alle posizioni giuridiche di terzi, ancorché soci, i quali fiscalmente conservano identità ed autonomia. Né è consentito al contribuente, secondo il principio fondamentale di divieto di abuso del diritto di conseguire vantaggi fiscali utilizzando in modo difforme da quanto previsto dalla relativa disciplina istituti e strumenti giuridici al solo scopo di conseguire un risparmio d’imposta in carenza di ragioni economiche meritevoli di apprezzamento

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Sent. n. 1372 del 21 gennaio 2011 Corte Cass., Sez. tributaria

Massima - Per la Cassazione non rivestono carattere “abusivo” le operazioni di ristrutturazione aziendale poste in essere da un’impresa al fine di migliorarne struttura e funzionalità, anche se comportano un risparmio di imposta. In particolare, l’abuso di diritto non è applicabile quando “l'operazione rientra in una normale logica di mercato” e vi sia “compresenza, non marginale, di ragioni extra fiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell'operazione ma possono essere anche di natura meramente organizzativa, e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell' impresa. Tale è la regola emergente dal sistema sul modello comunitario che prende in considerazione soltanto il contenuto oggettivo dell'operazione a differenza di altri ordinamenti”.

Abuso del diritto:continua l’incertezza

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Sent. n. 10549 del 13 maggio 2011 (udienza del 4 febbraio 2011) Corte di cassazione

Massima - Costituisce oramai giurisprudenza consolidata quella secondo cui nel nostro ordinamento vige un principio generale in forza del quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi dall’uso distorto di strumenti giuridici che pur non contrastando di per se stessi con alcuna specifica disposizione, siano stati posti in essere al solo o principale scopo di contenere il debito tributario. Trattandosi di principio comune anche all’ordinamento europeo, preesistente alla emanazione delle singole leggi antielusive, questa Suprema Corte ne ha conseguentemente affermato la deducibilità per la prima volta in cassazione, nonché l’applicabilità anche a fattispecie realizzatesi prima dell’introduzione del DPR n. 600 del 1973, art. 37 bis, o ad esso non riconducibili, sempre che ricorressero gli estremi dell’abuso del diritto e, cioè, del compimento di atti privi di apprezzabili ragioni economiche ed essenzialmente diretti a ridurre il carico fiscale

Abuso del diritto:continua l’incertezza

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Una legislazione tributaria instabile e incerta, una prassi amministrativa debole e ondivaga, una giurisprudenza di legittimità invasiva e oscillante

indurranno sempre più le imprese italiane (di una certa dimensione) a delocalizzarsi all’estero e le imprese straniere a evitare l’Italia per i loro insediamenti.Da sempre, infatti, uno dei fattori di attrazione o di avversione nella scelta, da parte degli imprenditori, del Paese in cui collocare le proprie strutture produttive e commerciali è il «sistema fiscale », inteso non solo in termini legislativi, ma anche amministrativi e, soprattutto, giurisprudenziali; con una valutazione che non è solo di tipo quantitativo, cioè di pressione tributaria, ma anche - e soprattutto - di tipo qualitativo, cioè di affidabilità in concreto.

Osservazioni

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In tema di disposizioni antielusive, paiono maturi i tempi per implementare l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, superando i limiti di tipicità imposti dal terzo comma, mediante la formulazione di una regola generale (ancorché residuale) che sanzioni quei comportamenti «innominati» a carattere abnorme od eccessivo, rispetto alle finalità da conseguire, destinati a provocare una «sproporzione ingiustificata» tra vantaggio perseguito e mancata percezione del giusto tributo. Una regola legislativa in tal senso servirebbe, tra l’altro, a superare le perplessità ermeneutiche avanzate dalla dottrina in merito all’indistinto richiamo ai parametri antiabuso ricavati dai principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria.

Osservazioni