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Martedì 31 ottobre 2017 Vita Ecclesiale 6 N ella formazione che offro ai giovani, terminato il percor- so dei dieci comandamenti, propongo – nella massima libertà - un percorso sui sette segni del Vangelo di Giovanni, che continua per altri tre anni di formazione. Ac- compagno il percorso con i sette momenti fondamentali della vita della beata vergine Maria nel Nuo- vo Testamento. E’ molto importan- te imparare la fede da Maria per- ché non c’è una fede più grande della sua. Noi diciamo che Abramo è il padre nella fede. Se noi, però, ci chiedessimo qual è la fede più perfetta, troviamo appunto Ma- ria, colei che ha creduto. Spiego ai ragazzi che la nostra strategia è prendere dal vangelo di Giovan- ni il “cosa” credere e da Maria il “come” credere. Infatti, quello di Maria è un percorso straordinario. Anche semplicemente parlare di questo, sarebbe estremamente in- teressante ed efficace. Ma c’è un altro aspetto, apparen- temente estraneo, che va tenuto presente: qualunque cosa si capi- sce “dalla fine”. Quando si inizia l’anno liturgico si comincia con l’Avvento. Perché il primo tema che si affronta nell’Avvento è la fine del mondo? La prima e la seconda do- menica d’Avvento sono tutte cen- trate su questo tema. Non si pensa subito al Natale, si pensa, nelle prime due settimane, al fatto che ci sarà un termine a tutto. Perché? Perché qualunque cosa noi voglia- mo fare, dobbiamo sempre chie- derci qual è il termine. Ogni atto umano è un atto intenzionale, cioè qualunque cosa faccio, voglio rag- giungere uno scopo. Una persona che non ha un motivo per le cose che fa e non ha una meta, vive a casaccio e questa è una situazione pericolosa. S. Agostino dice che due sono le condizioni terribili per l’uomo: la prima è quella di non avere spe- ranze, cioè non avere una meta. Oggi c’è una generazione di giova- ni che non credono più alle mete, non hanno bersagli da colpire, hanno solo da sopravvivere; a con- seguenza della spersonalizzazione informatica, hanno una visione del mondo tutta frammentata, senza unità, e l’assenza di visione unita della realtà li porta a non avere una visione di niente, per cui non hanno più voglia di provare a co- struire niente. Ci sono molti ra- gazzi che stanno in questa tristis- sima condizione; ma questa non è la situazione peggiore, perché c’è un’altra situazione ancora più drammatica. La seconda è la condizione di co- lui che ha una speranza falsa, cioè che ha una meta sbagliata; questa condizione è molto più complicata. Ad un disperato puoi dare speran- za, ma ad un ingannato non si ri- esce a parlare, in genere, se non dopo che fallisce… Tornando all’Avvento: se il mondo non lo capisci secondo il suo sco- po, come una direzione verso il Regno dei cieli, la vita non la ca- pisci; è come un viaggio di cui non intendi la meta. Ma un bel viaggio qual è? E’ quello che passa per bel- lissimi panorami e magari finisce in uno schianto contro un muro, oppure può essere un viaggio an- che difficile, angusto, faticoso, ma che finisce nel posto più bello del mondo? La meta decide tutto. Se la meta è sbagliata si campa male; se uno si sposa avendo una meta sbagliata pensando, ad esempio, che il matrimonio ti fa stare bene, sbaglia tutto. Il matrimonio non è per star bene, il matrimonio è per amare, il matrimonio è per impara- re a perdere la vita per il coniuge e per i figli. Il matrimonio è perdersi, non è per acquisire. Se uno entra nel matrimonio come un luogo dove stare benissimo, se la meta della vita è stare comodi, tranquilli, allora non rimane che attendere la tomba, dove non ci sono disturbi, non ci sono suoni, non ci sono tas- se da pagare ecc. La vita è imprevisto, è instabilità, la vita è una serie di interruzioni interminabili, la vita è movimento. E noi dobbiamo arrivare all’amo- re, la vita è per amare! Tutti i fatti della nostra vita sono assurdi, se non li capiamo così. Voi venite da una tragedia, quella del terremoto. Ecco, la vita ti morde, e devi capi- re cosa ti vuole dire, dove ti vuole portare. Ad imparare ad amare. E se fosse che i problemi in parroc- chia sono per volersi bene? E se fosse che noi siamo tutti difettosi e sbagliamo e le cose crollano fuori e dentro perché dobbiamo impara- re e stare aggrappati a Dio che è la paternità che tutto ricostruisce? E se fosse che noi dovremmo sem- pre stare attenti a lasciarci dera- gliare per andare sempre di nuovo verso il Regno dei cieli? Se noi stiamo andando verso l’e- ternità tutto si spiega, ma se non c’è questa dimensione … Ho pensato di prendere un testo che nessuno spiega mai sulla Be- ata Vergine, e per arrivarci par- tiamo da Cana di Galilea. Se ci domandiamo: dove compare La Beata Vergine Maria nel Nuovo Testamento? Fondamentalmente compare nel Vangelo di Luca in 5 quadri, che sono le sequenze dei misteri Gaudiosi: Annunciazione, Visitazione, Natività, Presentazio- ne e il Ritrovamento al tempio. Poi abbiamo la scena di Cana nel Vangelo di Giovanni che sarà pa- rallela all’ultima scena di Giovanni. Mi sono dedicato abbastanza ai 7 segni di Giovanni, e Cana di Galilea è il primo ed è quello fondamen- tale. L’apertura che sembra assurda è proprio quando Maria gli dice a Cana: “guarda che non hanno più vino”. E lui risponde: “che c’è fra me e te o donna? Una lettura più profonda ci fa ve- dere che è che Maria Colei che fa passare dall’Antico al Nuovo Testamento, Lei nel suo corpo ini- zia il Nuovo Testamento. La festa di Cana si svolge nel sesto giorno del racconto di Giovanni, che ha iniziato con le stesse parole della Genesi, “in principio”. Questa fe- sta di nozze è nel sesto giorno ed è la prima settimana del Vangelo di Giovanni. E va focalizzato che il sesto giorno è venerdì, nel nostro computo, perché il settimo è il ri- poso, lo shabbat, il sabato. Ci sarà un’altra settimana, l’ultima, e nel sesto giorno, nel venerdì dell’ulti- Maria, madre e modello di Comunione nella Chiesa Aquilana Testo della relazione che don Fabio Rosini, responsabile del servizio vocazioni del Vicaria- to di Roma, ha tenuto all'Assemblea diocesana lo scorso 30 settembre.

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Martedì 31 ottobre 2017Vita Ecclesiale6

Nella formazione che offro ai giovani, terminato il percor-so dei dieci comandamenti,

propongo – nella massima libertà - un percorso sui sette segni del Vangelo di Giovanni, che continua per altri tre anni di formazione. Ac-compagno il percorso con i sette momenti fondamentali della vita della beata vergine Maria nel Nuo-vo Testamento. E’ molto importan-te imparare la fede da Maria per-ché non c’è una fede più grande della sua. Noi diciamo che Abramo è il padre nella fede. Se noi, però, ci chiedessimo qual è la fede più perfetta, troviamo appunto Ma-ria, colei che ha creduto. Spiego ai ragazzi che la nostra strategia è prendere dal vangelo di Giovan-ni il “cosa” credere e da Maria il “come” credere. Infatti, quello di Maria è un percorso straordinario. Anche semplicemente parlare di questo, sarebbe estremamente in-teressante ed efficace. Ma c’è un altro aspetto, apparen-temente estraneo, che va tenuto presente: qualunque cosa si capi-sce “dalla fine”. Quando si inizia l’anno liturgico si comincia con l’Avvento. Perché il primo tema che si affronta nell’Avvento è la fine del mondo? La prima e la seconda do-menica d’Avvento sono tutte cen-trate su questo tema. Non si pensa subito al Natale, si pensa, nelle prime due settimane, al fatto che ci sarà un termine a tutto. Perché? Perché qualunque cosa noi voglia-mo fare, dobbiamo sempre chie-derci qual è il termine. Ogni atto umano è un atto intenzionale, cioè qualunque cosa faccio, voglio rag-giungere uno scopo. Una persona che non ha un motivo per le cose che fa e non ha una meta, vive a casaccio e questa è una situazione pericolosa. S. Agostino dice che due sono le condizioni terribili per l’uomo: la prima è quella di non avere spe-ranze, cioè non avere una meta. Oggi c’è una generazione di giova-ni che non credono più alle mete, non hanno bersagli da colpire, hanno solo da sopravvivere; a con-seguenza della spersonalizzazione informatica, hanno una visione del mondo tutta frammentata, senza unità, e l’assenza di visione unita della realtà li porta a non avere una visione di niente, per cui non

hanno più voglia di provare a co-struire niente. Ci sono molti ra-gazzi che stanno in questa tristis-sima condizione; ma questa non è la situazione peggiore, perché c’è un’altra situazione ancora più drammatica. La seconda è la condizione di co-lui che ha una speranza falsa, cioè che ha una meta sbagliata; questa condizione è molto più complicata. Ad un disperato puoi dare speran-za, ma ad un ingannato non si ri-esce a parlare, in genere, se non dopo che fallisce…Tornando all’Avvento: se il mondo non lo capisci secondo il suo sco-po, come una direzione verso il Regno dei cieli, la vita non la ca-pisci; è come un viaggio di cui non intendi la meta. Ma un bel viaggio qual è? E’ quello che passa per bel-lissimi panorami e magari finisce in uno schianto contro un muro,

oppure può essere un viaggio an-che difficile, angusto, faticoso, ma che finisce nel posto più bello del mondo? La meta decide tutto. Se la meta è sbagliata si campa male; se uno si sposa avendo una meta sbagliata pensando, ad esempio, che il matrimonio ti fa stare bene, sbaglia tutto. Il matrimonio non è per star bene, il matrimonio è per amare, il matrimonio è per impara-re a perdere la vita per il coniuge e per i figli. Il matrimonio è perdersi, non è per acquisire. Se uno entra nel matrimonio come un luogo dove stare benissimo, se la meta della vita è stare comodi, tranquilli, allora non rimane che attendere la tomba, dove non ci sono disturbi, non ci sono suoni, non ci sono tas-se da pagare ecc. La vita è imprevisto, è instabilità, la vita è una serie di interruzioni interminabili, la vita è movimento.

E noi dobbiamo arrivare all’amo-re, la vita è per amare! Tutti i fatti della nostra vita sono assurdi, se non li capiamo così. Voi venite da una tragedia, quella del terremoto. Ecco, la vita ti morde, e devi capi-re cosa ti vuole dire, dove ti vuole portare. Ad imparare ad amare. E se fosse che i problemi in parroc-chia sono per volersi bene? E se fosse che noi siamo tutti difettosi e sbagliamo e le cose crollano fuori e dentro perché dobbiamo impara-re e stare aggrappati a Dio che è la paternità che tutto ricostruisce? E se fosse che noi dovremmo sem-pre stare attenti a lasciarci dera-gliare per andare sempre di nuovo verso il Regno dei cieli? Se noi stiamo andando verso l’e-ternità tutto si spiega, ma se non c’è questa dimensione … Ho pensato di prendere un testo che nessuno spiega mai sulla Be-ata Vergine, e per arrivarci par-tiamo da Cana di Galilea. Se ci domandiamo: dove compare La Beata Vergine Maria nel Nuovo Testamento? Fondamentalmente compare nel Vangelo di Luca in 5 quadri, che sono le sequenze dei misteri Gaudiosi: Annunciazione, Visitazione, Natività, Presentazio-ne e il Ritrovamento al tempio. Poi abbiamo la scena di Cana nel Vangelo di Giovanni che sarà pa-rallela all’ultima scena di Giovanni. Mi sono dedicato abbastanza ai 7 segni di Giovanni, e Cana di Galilea è il primo ed è quello fondamen-tale.L’apertura che sembra assurda è proprio quando Maria gli dice a Cana: “guarda che non hanno più vino”. E lui risponde: “che c’è fra me e te o donna? Una lettura più profonda ci fa ve-dere che è che Maria Colei che fa passare dall’Antico al Nuovo Testamento, Lei nel suo corpo ini-zia il Nuovo Testamento. La festa di Cana si svolge nel sesto giorno del racconto di Giovanni, che ha iniziato con le stesse parole della Genesi, “in principio”. Questa fe-sta di nozze è nel sesto giorno ed è la prima settimana del Vangelo di Giovanni. E va focalizzato che il sesto giorno è venerdì, nel nostro computo, perché il settimo è il ri-poso, lo shabbat, il sabato. Ci sarà un’altra settimana, l’ultima, e nel sesto giorno, nel venerdì dell’ulti-

Maria, madre e modello di Comunione nella Chiesa AquilanaTesto della relazione che don Fabio Rosini, responsabile del servizio vocazioni del Vicaria-to di Roma, ha tenuto all'Assemblea diocesana lo scorso 30 settembre.

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Martedì 31 ottobre 2017 Vita Ecclesiale 7ma settimana ri-comparirà Maria e comparirà ai piedi della croce e capiremo che il dialogo comincia-to a Cana finisce lì, sotto la Croce. Questo lo dice il Catechismo della Chiesa Cattolica.1 L’imponderabile frase di Gesù: “che c’è fra me e te, o donna?” è, tec-nicamente, un segno di rottura di rapporto. Nell’Antico Testamento questa è la frase che si dice quan-do due persone stanno rompendo la relazione, è una frase durissima. La seconda frase la continuiamo ancora a tradurre come un’affer-mazione, ma secondo la sintassi greca, però, è una domanda: “è giunta la mia ora?” Quando giun-gerà la sua ora, infatti, continuerà il discorso, sotto la croce: “donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua ma-dre”. Maria entra nella sua mis-sione. Infatti, sant’Agostino dice che la seconda frase di Maria alle nozze di Cana è il secondo fiat di Maria”; ai piedi della croce Lei non parla. Il testo dice: c’era lì la madre di Gesù e c’era anche - vediamo che è la stessa successione con le nozze di Cana fra Maria e Gesù – questa volta il Discepolo Amato. Se il primo fiat nell’Annunciazione in Luca è 1’“avvenga di me secon-do la Tua parola”; il secondo fiat, secondo Sant’Agostino, sarebbe “fate quello che vi dirà”. Così lei entra nel suo ministero di madre e inizia a fare la madre dei discepoli, dicendo ad essi: “fate quello che dice, assecondate la Parola, acco-gliete la Parola, obbedite alla Paro-la”. Ecco, questa è la maternità di Maria e lei diventa madre nostra. La madre di Gesù fa il salto per diventare madre di tutti noi, e - al contrario di Abramo che non vedrà morire Isacco per generare un po-polo – accetta di vedere morire il suo figlio. E in questo lei è molto più grande di Abramo.Sotto la croce il ‘mio’ e il ‘tuo’ non sono un assoluto, verranno modi-ficati, e quel che è di uno diventa di un altro. E mia madre diventa la tua. E una donna, che vede morire suo figlio, si deve occupare di uno di cui poteva non interessarsi per niente, il discepolo. Il ‘mio’ diventa ‘tuo’: è l’amore! Molti maestri della fede nella Chiesa sottolineano la passione di Maria nell’Addolorata. Ecco Maria vide suo figlio morire e in quel momento inizia ad occupar-si di un altro: è piuttosto assurdo! Questi sono i momenti “topici”; su questi momenti costruisco il percorso su Maria: quelli che ri-

1 Catechismo della Chiesa Cattolica 2618: Il Vangelo ci rivela come Maria preghi e interceda nella fede: a Cana la Madre di Gesù prega il Figlio suo per le necessità di un banchetto di nozze, segno di un altro Banchetto, quello del-le nozze dell’Agnello che, alla richiesta della Chiesa, sua Sposa, offre il proprio Corpo e il proprio Sangue. Ed è nell’ora della Nuova Alleanza, ai piedi della croce, che Maria viene esaudita come la Donna, la nuova Eva, la vera “madre dei viventi”.

cordiamo nei misteri gaudiosi dal Vangelo di Luca e i due momenti, a Cana e sotto la Croce, in Giovanni. Però c’è un altro momento: l’ultima apparizione di Maria nel Nuovo Te-stamento, negli Atti degli Apostoli. È quello ci cui vorrei parlare. Siamo nel primo capitolo e siamo subito dopo che Gesù è Asceso al cielo: “detto questo mentre lo guardavano fu elevato in alto e una nube lo sottraesse ai loro occhi”. E’ la scena dell’Ascensione. “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tor-nerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Prima, nel versetto 8 , dice “rice-verete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sa-rete testimoni a Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. Dal versetto 12 comincia uno di quei testi che i biblisti chiamano “i sommari degli Atti degli Apostoli”. Gli Atti degli Apostoli, infatti, sono organizzati come delle brevi immagini come, ad esempio, “erano assidui nello spezzare il pane”. “Allora ritornarono a Gerusalem-me, al monte detto degli ulivi che è vicino a Gerusalemme, quanto il cammino permesso il giorno di

sabato, entrati in città salirono nel-la stanza al piano superiore dove erano soliti riunirsi, vi erano Pie-tro e Giovanni, Giacomo, Andrea, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo”. “Tutti questi erano per-severanti e concordi nella preghie-ra, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù e ai fratelli di lui”. Poi inizia il racconto di come Pietro inizia a innescare il processo che porterà all’elezione di Mattia, il dodicesimo apostolo, che sostitui-rà Giuda. Questi due versetti sono profondamente illuminanti. Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, dove Gesù ascende, che è vicino Geru-salemme, quanto il cammino per-messo nel giorno di sabato. Allora vi spiego due regole. La prima è questa: quando in un rac-conto c’è un elemento che non è necessario vuol dire che c’è un mo-tivo. Allora vediamo il movimento di questi 3 versetti. “Entrati in città salirono nella stanza al piano su-periore dove erano soliti riunirsi”. Non bastava dire: “andarono nel-la stanza dove erano soliti riunir-si”? La sala al piano superiore. Vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo, Andrea, Filippo, Tommaso, Bar-tolomeo, Matteo, Giacomo, figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giu-da figlio di Giacomo”. Perché dire i nomi? Bastava dire che c’erano gli 11! Luca l’autore del Vangelo e degli Atti ci rifà l’elenco, perché manca un nome e vuole dire che allora il corpo degli apostoli è un corpo ferito.Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria, la ma-dre di Gesù e i fratelli di lui. Vediamo un po’: “Allora ritorna-rono a Gerusalemme”. Gesù è asceso, perché tornare a Geru-

salemme? E addirittura aggiun-ge “che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato”. Queste sono le regole ebraiche, questa è la Legge. Se voi andate a vedere il momen-to in cui Gesù viene presentato al Tempio, c’è un ritornello: “secondo la legge del Signore… “quando fu tutto adempiuto secondo la legge del Signore”. Le cose si cambiano dall’interno! Il Messia non pren-derà e butterà via tutto, non lo fa mai! “Non sono venuto ad abolire ma a dare compimento”. Noi abbiamo la voglia di cambiare le cose. Perché bisogno di cam-biare tutto e mettere tutto nuovo? Oggi c’è la mania. Allora arriva un parroco e deve rifare la parrocchia, deve rifare il presbiterio, deve rifa-re la struttura, ma non possiamo tenerci quella che abbiamo? Il vero cambio è nel cuore delle cose, per-ché si può cambiare tutto, ma se non si cambia dal di dentro non serve a niente. Ad esempio, se ti metti un bell’abito, sei un indivi-dualista vestito meglio, ma sempre individualista.Tutti pensano che io arrivi e dica qualcosa di inaudito. A me piace dire le cose che già la Chiesa dice e dirle con gioia, con passione e con amore, e riscoprire ancora una volta quanto salvano veramente. Bisogna farsi piacere la vita, entra-re nella vita che si ha, entrare nel proprio corpo, entrare nella propria famiglia, entrare nella propria par-rocchia. Le cose si cambiano dal di dentro. Questa mania di prendere e buttare via tutto, in realtà è as-senza di vera creatività. La vera creatività non si identifica con il bi-sogno di distruggere, ma è quella che sempre e comunque costrui-sce. Nella Chiesa noi abbiamo una cosa meravigliosa che si chiama Tradizione, cioè consegna. Matteo 13 dice: “Molti profeti avrebbero

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Martedì 31 ottobre 2017Vita Ecclesiale8desiderato quello che voi vedete e non lo videro” - e noi lo vedia-mo perché loro l’hanno desiderato. Molti profeti e giusti hanno desi-derato vedere il Concilio Vaticano II e noi l’hanno visto. Molti profeti e giusti hanno desiderato vedere la Chiesa, che noi abbiamo oggi, che è bellissima: credetemi, certi archeologismi, certe nostalgie del-la chiesa dei tempi che furono, ma che cosa sono? Noi abbiamo una Chiesa bellissima, abbiamo una sequenza di Papi Santi, un Magi-stero straordinario che si evolve e che ci dice cose bellissime. Noi tante volte pensiamo che cambia-re gli occhiali ci cambia lo sguardo: invece è sul cuore che bisogna la-vorare. Allora si sta dentro quella logica. Dove arriverà la Penteco-ste? Dove arriverà lo Spirito Santo? Stando lì dove si è, fermi. Infatti nel Vangelo di Luca si dice: “…stavano nel tempio e lodavano Dio”. Alla fine, il posto dove si riuniran-no sempre i cristiani sarà il porti-co di Salomone, dentro il tempio, nella spianata del tempio: vuole dire dentro le cose, non fuori dalle cose. “Entrati in città”, non fuori dal mondo, dentro il mondo: non sono persone che vanno lontano. “En-trati in città”, non è un’alienazione. Bisogna stare dentro le cose, stare dentro la realtà, non scappare, per-ché il bene si trova lì: lì ci aspetta la sorpresa di Dio. “Salirono nella stanza al piano su-periore dove erano soliti riunirsi”. Allora, salire alla stanza al piano superiore, che cosa vuol dire? Dovremmo vedere nella Scrittu-ra il tema della stanza superiore. Ad esempio la stanza del profeta compare nella storia di Eliseo. Vie-ne fatta una stanza al piano supe-riore, dove la donna, che ha avuto tanto del bene da lui, gli fa una stanza per ospitarlo. Ma il piano superiore qual è? Voi pensate il popolo che sta ai piedi del Sinai e Mosè che sale al livel-lo superiore e riceve la parola che dovrà dare al popolo. Vescovo è

colui che guarda d’alto, dal gre-co “epískopos”. Ci sono cose che solamente il vostro arcivescovo capisce di questa Chiesa aqui-lana, perché vanno a finire tutte addosso a lui. Si chiama “tetto psi-cologico”. Il tetto psicologico della Chiesa dell’Aquila ce l’ha il vostro Vescovo, non può che averlo lui; da quel punto d’osservazione, capisce tante cose che nessuno capisce, che gli stessi preti spesso non ca-piscono. “Epískopos” è lo sguardo di Dio, il punto di vista di Dio, è la trasfigurazione, il piano superio-re. Li porta in un monte altissimo, perché gli vuol far vedere un’altra prospettiva, gli svela il suo volto, la sua verità. E’ la prospettiva per cui tu guardi le cose non dal punto di vista orizzon-tale, delle ansie di questo mondo, ma le guardi dall’alto. Da dove si capisce la vita? Dal Paradiso: dal-la stanza superiore! Stiamo tutti andando alla stanza superiore. Ascese al cielo e siede alla destra del Padre, cioè lì è il posto d’arrivo. Gesù è in pellegrinaggio verso il Padre. E’ la natura nuova, la natura redenta, è il livello in cui si guarda una cosa secondo la fede. C’è un testo interessantissimo, non analizzato in questa chiave: quan-do compare il ragazzo epilettico ed il padre chiede ai discepoli di gua-rirlo, e non ci riescono. Arriva Gesù e gli dicono “i tuoi discepoli non ci sono riusciti” e lui guarisce questo ragazzo. Il problema è: da dove viene Gesù? Viene dalla Trasfigura-zione. Lui con altri tre ascendono e altri nove sono rimasti. I nove non sono riusciti a risolvere il problema, questi arrivano e lo risolvono. Per-ché? I nove stanno sull’orizzontale, sul piano del mondo, loro vengono dalla Trasfigurazione. Perché bisogna pregare? Perché non si può vivere senza pregare, perché bisogna sempre scende-re dal Tabor per vivere. “Pregate, vegliate per non entrare in tenta-zione”. Non dice: “quando siete tentati pregate”, no! Quello fatelo pure, ma è tardi. E’ tardi quan-

do già scorrazza nella tua trincea il nemico. Prima si prega: Dio è il primo, Dio è uno, Dio viene prima delle cose, si parte da Dio per le cose, si guardano le cose dopo aver contemplato Dio. Bisogna venire dal bello, dal superiore. E’ il luogo della Chiesa. Perché le chiese devono essere fatte bene? Perché devono essere belle? Perché devono dire in un lin-guaggio architettonico che la bel-lezza è la nostra fede, la bellezza è la nostra salvezza, la bellezza è la Santissima Trinità. L’Eucarestia ci fa toccare il cielo, diventiamo una carne sola con Gesù Cristo. Da questo si parte per vivere. Non ci mettiamo qui con le nostre idee, con le nostre circonferenze crani-che, da quattro soldi. Si parte dal silenzio al cospetto di Dio: prima parli Lui, perché ogni nostra attivi-tà abbia in Lui il suo inizio e il suo compimento, dice una bellissima orazione della Chiesa. Il piano su-periore della Chiesa. Certe volte vai in Chiesa e vai al “piano inferiore”, trovi tutte dina-miche orizzontali. Trovi gente che pensa solo alle emergenze. Oc-chio! perché nella vita, se vai die-tro alle emergenze, fai solo cose inconsistenti, cose evanescenti. Bisogna stare nelle cose che ven-gono prima, bisogna coltivare le priorità, e bisogna che siano quelle che Dio ti dà: perché le priorità non si scelgono, si accolgono. Se sei sposato la priorità è tua moglie, e quello è un disegno di Dio nella tua vita. È un disegno provvidenzia-le, altrimenti vivi di emergenza in emergenza: un figlio è una priorità. La stanza superiore “dove erano soliti riunirsi”. Questo termine ci ri-porta alla scena di Tommaso. Lui è quello che torna a casa e trova tut-ti straniti, tutti contenti. “Abbiamo visto il Signore”. Dove lo avete vi-sto? Dove sta? Io non lo vedo! “Se non metto il dito nel costato, se non tocco con mano “… se non lo vedo come faccio a credere? Tom-maso dice: “voi avete fatto questa esperienza. Ora me la fate fare an-

che a me? Io dovrei credere così? Fatemi vedere che il suo vero cor-po è risorto ed io ci credo”. Com-pare dopo otto giorni: “Pace a voi”. Quello che ha fatto con i discepoli lo fa anche con Tommaso, perché Cristo bisogna toccarlo. Non puoi pretendere che la gente creda o addirittura obbedisca a Dio, se prima non ha fatto un’espe-rienza reale della fede. Noi stiamo dalla mattina alla sera a spossare il popolo santo di Dio, pretenden-do atti di fede senza avergli dato ciò che provoca la fede. Spesso gli diamo norme, regole e basta. I die-ci comandamenti vengono dopo il mar Rosso, e non prima. Non è che prima obbedisci e poi ti libero. Io ti libero e poi obbedisci, tu mi tocchi e poi ti credo. Un giorno crederai senza vedere, quando ti identifi-cherai, quando non avrai bisogno di guardarlo fuori di te il Signore, perché sarai un corpo solo con Lui. Un giorno non avrai bisogno di vedere per credere, perché sarai ciò che bisogna credere: cioè sarai Cristo, sarai la Chiesa, il Corpo di Cristo, sarai una cosa sola con Lui. Prima ci vuole l’esperienza, prima ci vuole che uno tocchi con mano. Come si fa a toccare Cristo oggi? Tocchi i cristiani. Allora Tommaso lo deve vedere Gesù, lo deve toccare, ma quan-do lo toccherà? Otto giorni dopo, cioè una settimana dopo, cioè il primo giorno dopo il sabato. Dopo il sabato successivo: inizia la re-golarità, la scansione, la costanza con cui la Chiesa si incontra ogni giorno dopo il sabato. Come fa Tommaso ad incontrarlo? In mez-zo ai fratelli nel giorno del Signore. Si incontra il Signore, nell’appun-tamento dell’assemblea. Dove la gente troverà Cristo? Dove sono due o tre riuniti nel mio nome. E dove? Dove erano soliti riunirsi. E’ molto importante che le cose si facciano nell’ordinario. La Chiesa si costruisce con la perseveranza, quindi con la regolarità. Facciamo la politica degli eventi. Oggi noi siamo qui, ma se anche questo non avrà continuità non servirà a nulla. Un bambino si cresce con gli orari regolari. Oggi abbiamo questa cultura in cui tut-ti i giorni si mangia straordinario. Il punto cruciale, invece, sta nell’ “essere soliti riunirsi”, cioè avere un ritmo. La vita spirituale non è fatta di re-gole, ma di ritmi, la crescita di un gruppo è la ripetizione. L’apprendi-mento si ha solo con la ripetizione. La ripetizione dà la sapienza; la ripetizione dà l’apprendimento. Ve-dete: questa è la Chiesa, la Chiesa ha una sua liturgia. Il cammino di fede della Chiesa è l’anno liturgi-co, con la sua regolarità, con il suo ciclo del tempo. Perché il tempo è più importante dello spazio, come dice Papa Francesco. Il punto è che noi abbiamo bisogno di capire che cosa è la Chiesa, la stanza al piano

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Martedì 31 ottobre 2017 Vita Ecclesiale 9superiore dove si vive la regolarità della bellezza, dove si sta in una di-sciplina di bellezza. “Vi erano Pietro e Giovanni, Gia-como, Andrea, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo”. Sono nomi, cioè sono persone, non sono idee, non sono astrazioni, e sono 11 non 12: un pezzo di Giuda ce l’hanno tutti, perché tutti hanno un po’ fallito. Pensiamo al rinnega-mento di Pietro. Gesù viene inter-rogato e lui rinnega la terza volta, allora il Signore si volta e lo guar-da. Voi pensate cosa possa essere stato quello sguardo! Pietro usci e pianse amaramente. Pietro ha un’autorità enorme nella chiesa primitiva. Cosa ci avrebbe messo a cancellare la memoria del suo rin-negamento? Anche perché duran-te il rinnegamento ci stava lui solo con il Signore. E’ Pietro stesso che ha raccontato il suo rinnegamen-to! Questo vuol dire che dobbiamo sapere da dove si nasce, perché la fede non nasce dal fatto che tu sei bravo, coerente, perfetto. No! La fede nasce dal fallimento, la fede nasce dalla disillusione, la fede na-sce dal fatto che sei ridimensiona-to. Il Signore Gesù bisogna incon-trarlo, in un certo senso, scoprire di averlo tradito, e trovarsi così amati da Lui. La fede nasce dalla mise-ricordia, la fede cristiana è conse-guenza di un amore scandaloso, inaccettabile. Noi mai avremmo scelto come principe degli Apostoli un rinnegato, perché “se l’ha fatto una volta forse lo rifarà”. Noi pen-siamo così delle persone: molto spesso non crediamo al perdono di Dio. Pietro per tutta la vita dovrà ricordare che lui ha tradito il suo Signore. Noi siamo questo corpo ferito, noi siamo gente povera. Che il Signore ci conceda di essere poveri che annunciano il Vangelo ad altri poveri, perché se siamo gente che non sta nella stanza superiore, ma invece sta nella sac-cenza del credersi chi sa chi, sia-mo come i farisei. I farisei, in realtà stanno ancora qui, stanno in mezzo a noi: siamo noi. Il combattimento contro l’ateismo è una balla. Il vero combattimento è mostrare il Dio vero. Quando mostri qualcosa che profuma di Cristo, l’ateismo non è il problema. Noi abbiamo mostra-to un cristianesimo inguardabile, abbiamo un tesoro straordinario e lo teniamo in cantina. Possiamo vivere da figli e viviamo da bastardi o da orfani. Abbiamo il Padre Cele-ste e viviamo come se tutto dipen-desse da noi. Dobbiamo ricordarci sempre di essere poveri: “Beati i poveri in spirito, di essi è il regno dei cieli”. Dico ai ragazzi che terminano i per-corsi formativi: “tenetevi stretta la vostra povertà, perché grazie alla vostra povertà vi aggrapperete al Signore! State attenti, perché le vostre qualità vi metteranno solo

in competizione con le persone e sarà sempre una grande sfida. Sarete impegnati nell’asservire le qualità alla carità. Portate le vostre qualità all’amore e non portatele al vostro ego”. Durante il successo si fanno gli errori più grandi, nel fallimento si impara a ricominciare con umiltà.“Insieme e concordi nella preghie-ra”. Essere concordi vuol dire avere un cuore che ha lo stesso impulso interiore degli altri cuori. Si tratta di unità di intenti, cioè si tende tutti alla stessa cosa. La cosa più im-portante è andare verso il Regno dei cieli ed andarci insieme. Perché in cielo ci si va insieme. Le nostre chiese sembrano super-mercati dove ognuno prende il tuo

stesso barattolo di marmellata, ma non ti conosce. Si chiamano socio-logicamente i “non-luoghi”, dove se ci sei o non ci sei non se ne ac-corge nessuno. Anche la Chiesa può essere un “non-luogo”.“Insieme ad alcune donne” dice Luca. Queste donne sono molto importanti per Luca. Le donne per Luca e gli altri evangelisti sono il paradigma del discepolato, sono quelle che spontaneamente vivo-no il Signore Gesù. E’ interessan-te la scena della risurrezione di Matteo: “Gesù incontra le donne e dice loro di andare a dire ai suoi discepoli che vadano in Galilea e lì lo vedranno”. Stiamo a Gerusalem-me, ma perché non vederci qui? E’ la differenza tra uomo e donna. Le donne prima incontrano quindi vanno; gli uomini prima vanno e poi incontrano. Per le donne viene prima la relazione, quindi l’azio-ne; per gli uomini prima l’azione, e quindi la relazione. Sono schemi belli entrambi: un uomo per deci-dere deve pensare, una donna per decidere deve parlare. Le donne seguono spontaneamente, Dio chiama le donne dal cuore, i ma-schi li chiama dai fatti.Dobbiamo anche considerare che c’era una diatriba latente fra i di-scepoli e i parenti di Gesù. Quando i parenti di Gesù lo cercano e gli dicono: “tu sei dei nostri!” Gesù ri-

sponde: “colui che ascolta la paro-la del Padre mio e la mette in prati-ca questi è per me fratello, sorella e madre”. Questo Gesù lo dice per unirli. “Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre”. E’ l’unione dei due gruppi: la famiglia di Gesù e i discepoli; il discepolo amato e la madre amata e diventano una fa-miglia sola. La madre di Gesù e i parenti stanno tutti insieme, questa è la Chiesa. La Chiesa è la comunione, l’assiduità, il sedersi vicini, non per semplice coincidenza di posto: erano uniti di cuore e di corpo. Bisogna stare nel-lo stesso posto per entrare in rela-zione e bisogna muoversi perché il cuore si unisca: queste sono le due caratteristiche di questo gruppo, nella “stanza superiore”.

Cosa vi volevo dire, con tutto que-sto discorso? Non dobbiamo esse-re uguali, uguali sono i soldati di un esercito: noi dobbiamo essere uni-ti. Nel corpo ogni parte è separata, qui ci sono discepoli, la madre, le donne, i fratelli. Sono tutti diversi gli uni dagli altri, però stanno tutti nello stesso luogo. Sarà poi questa la scena della Pentecoste. Bisogna salire al “piano superiore”, dal vec-chio al nuovo, ciò che ci unisce non può essere una dinamica umana, ciò che ci unisce non è il pensar-la tutti allo stesso modo. Ciò che ci unisce è il nuovo che è l’opera di Dio. Bisogna accettare la gente concreta con cui Dio mi chiede di stare, quei giovani concreti da ser-vire, quella missione specifica da fare. Bisogna allora passare dall’in-vidia alla Chiesa. Voi dite: “che c’entra?”. L’invidia che cosa è? E’ la rivalità! La Chiesa che cosa è? La comunione: il suo contrario! Il contrario della Chiesa è l’invidia; il contrario della Chiesa è la compe-tizione. Se stai nella Chiesa e vai in competizione, quella non è la Chie-sa. La Chiesa è una, santa, cattoli-ca, apostolica. C’è il secondo articolo del Cre-do che è imbarazzante: “Credo in Gesù Cristo suo unico Figlio e no-stro Signore”. Nessuno è figlio di Dio per conto proprio, c’è un solo Figlio di Dio Gesù Cristo, è si è figli di Dio in un corpo solo con Lui: si è figli nel Figlio, non siamo Figli di Dio autonomamente. Io non sono figlio di Dio per una corsia prefe-renziale che c’è fra me e Gesù, no! Io sono figlio di Dio se sono un cor-po solo con Cristo. Il nostro gran-de problema è l’individualismo, il nostro grande problema è la stru-mentalizzazione delle cose cristia-ne a fini privati, a fini individuali, personali. Maria sta con loro, Maria la trovi qui. Perché quando fai un favore a mio fratello, è come se lo facessi a me. Se un prete ha accolto mio fratello, ha accolto me, perché mio fratello è un pezzo del mio cuore. Questa è la Chiesa. Chi ha detto

che noi siamo gli uni degli altri? Chi ha detto che voi dovete avere ri-spetto ed obbedienza nei confronti del vostro Vescovo, e che il vostro Vescovo deve dare la sua vita per voi? Chi l’ha detto questo? Gesù dalla Croce: “questo è tuo figlio, questa è tua madre”. Ci ha stabi-lito in relazione con Lui. Guardate, noi non siamo figli di Dio da soli. Noi vorremmo stare in simmetria con Gesù. Non si agisce “come” Gesù, ma si agisce “con” Gesù. Ad Eva gli è stato proposto di essere “come” Dio ed a lei, come a noi, era riservato di essere “con Dio”: questo cambia tutto. Ed allora ne deriva che la vocazio-ne e la Chiesa sono la stessa cosa. Scindere Cristo dalla Chiesa può essere solo opera del maligno.Chi porta una persona a Gesù Cri-sto senza portarlo alla Chiesa è un demonio. Il diavolo è satana, che non è un’idea, o una categoria fi-losofica, è un principio di male per-sonale, esistente, e lavora in tutti noi, costringendoci a ragionare in maniera mediocre. Così abbiamo una fede da ridere, mediocre. Stia-mo poco appoggiati nel Signore e siamo distratti da cose da quattro soldi.La sfida è tra l’uomo che è un in-dividualista e l’uomo ecclesiale. Chiamata ed ecclesia sono prati-camente la stessa parola in greco. La Chiesa è una chiamata, la Chie-sa è LA chiamata di Dio. Noi ab-biamo una sola chiamata: costru-ire la Chiesa. Non hai la chiamata di fare il catechismo, ma di costru-ire la Chiesa. Non hai la chiamata di far parte di un movimento, ma di costruire la Chiesa. La Chiesa, il mondo se lo mangerebbe in tre giorni, se non fosse irrigata di ‘sco-munione’, irrigata di invidia, irriga-ta di competitività.

Allora questo come si risolve? Da dove si comincia? Da me e da te. Una famiglia non è una consocia-zione di interessi plurimi: è un cor-po solo. Chi nella Chiesa non com-pie la sua specifica parte, quella che Dio gli dice di fare oggi, è simi-le alla cellula di un cancro. Se nel corpo, che è la Chiesa, tu non fai il tuo compito, sei un cancro, e tutto il corpo muore. La comunione è più importante della ragione. Hai la ra-gione dalla tua parte, ma se spezzi la comunione, guai a te! Se difendi la comunione, allora sei un uomo di Dio, sei Chiesa. La mia carne o è carne ecclesiale o è carne da in-ferno; o è carne per la comunione o è scandalo. E aggiungo: per me è la Parroc-chia è importantissima. Dico ai ragazzi: “andate nella vostra par-rocchia, mettetevi a servire lì, le cose si cambiano dal di dentro. Se non ami la tua parrocchia, non ami nessuna parrocchia, se non ami la tua comunità parrocchiale, non ami nessuna comunità par-rocchiale.