54 TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA · e senza l’uso di utensili, di oggetti di geometria...

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 54 -TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 54 54 TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA Sinossi urante lo sviluppo di un nuovo prodotto, si presenta invariabilmente la necessità di realizzarne un singolo esemplare (il prototipo) prima di allocare grandi risorse per la produzione definitiva (eventualmente su larga scala). Il prototipo consente di valutare il progetto, di individuare eventuali errori e effettuare test preliminari. Nel caso vengano messe in luce manchevolezze o possibilità di miglioramento, il processo di sviluppo del prodotto può comportare più iterazioni. Se affrontato con un approccio tradizionale, ciò implica costi elevati/tempi lunghi: infatti la produzione di un singolo componente complicato con tecniche produttive convenzionali può risultare molto difficoltosa. Un ulteriore aspetto, talvolta ancor più rilevante, risiede nella velocità con cui un prodotto evolve dalla fase concettuale a quella di vendibilità commerciale (time-to-market): in un contesto competitivo come quello dell’aerospazio, i prodotti che vengono introdotti prima dei loro concorrenti, in genere conquistano una quota di mercato maggiore e risultano più profittevoli Per queste ragioni è necessario portare sul mercato i prodotti (specie se di elevato contenuto tecnologico) il più velocemente possibile. In questo giocano un ruolo fondamentale le tecniche di prototipazione rapida, che sono in grado di produrre, in poche ore e senza l’uso di utensili, oggetti anche complessi, direttamente a partire dal loro modello matematico realizzato con sistema CAD tridimensionale. 54.1 La prototipazione rapida a prototipazione rapida o, più correttamente, la prototipizzazione rapida (RP) è una tecnologia innovativa che rende possibile la produzione, in poche ore e senza l’uso di utensili, di oggetti di geometria comunque complessa, direttamente dal modello matematico dell’oggetto stesso, realizzato con un sistema CAD tridimensionale. Tecnicamente, il prototipo è il primo esemplare di una serie, sebbene il termine possa assumere significati diversi a seconda della tipologia del prodotto e del settore produttivo dell’azienda: per un’azienda che produce satelliti, il prototipo costituisce il prodotto finale (esemplare di volo o esemplare da sottoporre ai test); per un’azienda che produce piccoli componenti per l’allestimento interno della cabina di un velivolo commerciale, lo sviluppo del prodotto può richiedere alcune decine di prototipi prima che il progetto venga considerato definitivo. Dal punto di vista dell’impiego, il prototipo può essere usato per effettuare: prove funzionali prove di integrazione o montaggio verifiche estetiche e di stile. D L

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 54 -TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

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CAPITOLO

54

54 TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA

Sinossi

urante lo sviluppo di un nuovo prodotto, si

presenta invariabilmente la necessità di

realizzarne un singolo esemplare (il prototipo) prima di

allocare grandi risorse per la produzione definitiva

(eventualmente su larga scala). Il prototipo consente di

valutare il progetto, di individuare eventuali errori e

effettuare test preliminari. Nel caso vengano messe in

luce manchevolezze o possibilità di miglioramento, il

processo di sviluppo del prodotto può comportare più

iterazioni. Se affrontato con un approccio tradizionale,

ciò implica costi elevati/tempi lunghi: infatti la

produzione di un singolo componente complicato con

tecniche produttive convenzionali può risultare molto

difficoltosa. Un ulteriore aspetto, talvolta ancor più

rilevante, risiede nella velocità con cui un prodotto

evolve dalla fase concettuale a quella di vendibilità

commerciale (time-to-market): in un contesto

competitivo come quello dell’aerospazio, i prodotti

che vengono introdotti prima dei loro concorrenti, in

genere conquistano una quota di mercato maggiore e

risultano più profittevoli Per queste ragioni è

necessario portare sul mercato i prodotti (specie se di

elevato contenuto tecnologico) il più velocemente

possibile. In questo giocano un ruolo fondamentale le

tecniche di prototipazione rapida, che sono in grado di

produrre, in poche ore e senza l’uso di utensili, oggetti

anche complessi, direttamente a partire dal loro

modello matematico realizzato con sistema CAD

tridimensionale.

54.1 La prototipazione rapida

a prototipazione rapida o, più correttamente, la

prototipizzazione rapida (RP) è una tecnologia

innovativa che rende possibile la produzione, in poche ore

e senza l’uso di utensili, di oggetti di geometria comunque

complessa, direttamente dal modello matematico

dell’oggetto stesso, realizzato con un sistema CAD

tridimensionale. Tecnicamente, il prototipo è il primo

esemplare di una serie, sebbene il termine possa assumere

significati diversi a seconda della tipologia del prodotto e

del settore produttivo dell’azienda:

per un’azienda che produce satelliti, il prototipo

costituisce il prodotto finale (esemplare di volo o

esemplare da sottoporre ai test);

per un’azienda che produce piccoli componenti per

l’allestimento interno della cabina di un velivolo

commerciale, lo sviluppo del prodotto può richiedere

alcune decine di prototipi prima che il progetto venga

considerato definitivo.

Dal punto di vista dell’impiego, il prototipo può essere

usato per effettuare:

prove funzionali

prove di integrazione o montaggio

verifiche estetiche e di stile.

D

L

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Dal punto di vista dell’uso, il prototipo può servire per:

verificare un’idea (progettazione)

saggiare la risposta del mercato (marketing)

verificare un ciclo di fabbricazione (produzione)

Durante la fase di sviluppo di un prodotto, vengono

realizzate le seguenti tipologie di prototipi:

concettuali (per verificare l’idea)

funzionali (per valutare ingombri, montaggi)

tecnici (p.e. per effettuare prove di galleria)

pre-serie (per l’allestimento della produzione).

La tecnologia per la fabbricazione dei prototipi era

tradizionalmente affidata ai modellisti i quali, sulla

base delle indicazioni dei progettisti, li realizzavano

con costi e tempi incompatibili con le odierne esigenze

di time-to-market (tempo di immissione del prodotto

sul mercato). La prototipazione rapida consente di

ridurre i tempi/costi di fabbricazione dei prototipi,

grazie al fatto che ha come punto di partenza il

modello matematico dell’oggetto da realizzare. La

tecnologia parte dal presupposto che qualsiasi oggetto

può essere pensato come l’insieme di numerose

sezioni di spessore molto piccolo. Il prototipo viene

così realizzato sezione dopo sezione, trasformando il

problema tridimensionale in problema bidimensionale.

Il processo consta di tre fasi principali:

determinazione, dal modello CAD, di un numero di

sezioni aventi spessore finito s;

realizzazione della prima sezione;

costruzione delle sezioni successive, le quali

vengono fatte aderire alla precedente.

L’oggetto viene quindi ottenuto per progressiva

aggiunta di materiale (tecnologia additiva)

contrariamente a quanto avviene nelle tecnologie

convenzionali per deformazione, asportazione o

solidificazione a partire dal liquido.

La possibilità di materializzare un prototipo disegnato

con il CAD costituisce un aspetto chiave della

concurrent engineeering1 e permette di ottenere

numerosi vantaggi:

possibilità di ridurre tempi/costi di produzione;

possibilità di realizzare forme molto complesse;

possibilità di correggere errori di disegnazione;

possibilità di valutare funzionalmente l’oggetto.

Le fasi di passaggio dalla descrizione matematica

dell’oggetto alla realizzazione tangibile sono (Figura

54.1):

1 La concurrent engineering è quell’insieme organico di

metodologie, tecniche e strumenti che consente un approccio alla

progettazione integrata di un prodotto e del relativo processo produttivo.

Figura 54.1 - Realizzazione del prototipo a partire dal

modello CAD

1. trasformazione del file CAD in un formato

compatibile con il software di gestione della

macchina RP. Attualmente tale standard grafico è

l’.STL (solid-to-layer). Ciò consiste (Figura 54.2)

nella rappresentazione semplificata di tutte le

superfici tramite faccette triangolari piane;

Figura 54.2 - Triangolarizzazione delle superfici

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2. lettura del file .STL per consentire la generazione

dei supporti e l’ottimizzazione dell’orientazione

(Figura 54.3) dell’oggetto;

Figura 54.3 - Supporti per sostenere le parti sporgenti

3. esecuzione dello slicing (Figura 54.4), che

consiste nell’intersezione del modello con una

serie di piani con normale parallela alla direzione

di fabbricazione (distanza tra i piani 0.05-0.5mm);

Figura 54.4 - Slicing: a) a spessore costante; b) a

spessore adattativo

4. definizione del file dati da inviare al SW di

gestione della macchina RP, che consiste nelle

coordinate dei punti delle singole sezioni, divise

in forme geometriche semplici (tassellizzazione)

5. costruzione fisica delle varie sezioni;

6. esecuzione dell’eventuale post-trattamento;

7. rimozione dei supporti e finitura manuale.

Il procedimento introduce due sorgenti di errore:

facetting, che deriva dall’approssimazione delle

superfici con triangoli piani;

staircase, dovuto alla costruzione di sezioni con

spessore finito (slicing).

I sistemi RP sono additivi: lavorano costruendo

l’oggetto per sovrapposizione di strati. Ciascuno strato

ha uno spessore compreso tra 0,05 e 0,25mm; essi

devono quindi depositare tra gli 80 ed i 200 strati per

ogni centimetro di altezza. I sistemi RP sono di per sé

lenti se paragonati alle moderne macchine utensili a

controllo numerico (tecniche sottrattive), tuttavia i loro

prodotti sono definiti rapidi perché vengono ottenuti

direttamente dal modello matematico tridimensionale

senza il bisogno di calcolare il percorso utensile. Le

tecniche RP utilizzano tecniche di solidificazione o di

legame selettivo di particelle liquide o solide, attraverso

polimerizzazione o reazione chimica. Per questo motivo,

esse verranno classificate nel seguito in base alla natura

del precursore, che può essere solido, liquido o in forma di

polvere (precursore particellare).

54.2 Tecniche con precursore solido

i quelle descritte nel seguito, le tecniche fused

deposition modelling e laminate object

manufacturing sono consolidate; la tecnica desktop fused

deposition modelling è emergente; le tecniche metal sheet

stratification e sheet laser forming sono in sviluppo.

fused deposition modelling (FDM) – è una tecnologia che

utilizza materiali differenti (poliammide, ABS, MABS,

elastomero, cera per microfusione), sotto forma di fili per

la costruzione del prototipo, con l’obiettivo di generare

elementi funzionali con prestazioni analoghe a quelle

ottenibili con tecnologie convenzionali (Figura 54.5).

Figura 54.5 - Schema della tecnologia fused deposition

modelling

Le modalità di processo sono suddivise nelle seguenti fasi:

preparazione del file macchina (predisposizione dei

supporti e esecuzione dello slicing);

costruzione delle sezioni: il sistema realizza le sezioni

con la deposizione del filo polimerico termoplastico

allo stato fuso da parte di una testa di estrusione. Le

temperature dell’estrusore e della camera devono

mantenere in materiale ad una temperatura appena al

di sopra del punto di plastificazione per evitare il

formarsi di gocce, mentre il gradiente termico tra il filo

estruso e gli strati già deposti deve essere limitato per

evitare scarsa adesione e ridotta resistenza meccanica;

pulizia e finitura: non è necessario alcun post-

trattamento, ma solo l’eliminazione dei supporti e

(eventuale) levigatura.

laminate object manufacturing (LOM) – si tratta di una

tecnica idonea a costruire prototipi di grandi dimensioni in

tempi ridotti rispetto a quanto si può ottenere con gli altri

sistemi RP. Essa consiste nel progressivo incollaggio di

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fogli di carta, rivestiti da un film di polietilene sulla

faccia inferiore, sui quali viene successivamente

ricavata la sezione del pezzo mediante taglio Laser

(Figura 54.6).

Figura 54.6 - Schema della tecnologia laminate object

manufacturing

Il processo è costituito dalle seguenti fasi:

preparazione del file macchina, cioè esecuzione

dello slicing, ma senza necessità di supporti;

incollaggio e taglio delle sezioni, tramite:

posizionamento del foglio; incollaggio per mezzo

del passaggio di rullo caldo; contornatura Laser;

abbassamento del supporto di una quantità pari allo

spessore del foglio; iterazione. Alla fine si ottiene

un parallelepipedo stratificato, dal quale si deve

estrarre, con grande attenzione, il pezzo;

finitura: il materiale ha l’aspetto e la consistenza

del compensato. Esso è fortemente ortotropo: va

sigillato lungo i bordi per evitare l’assorbimento di

umidità e le delaminazioni.

desktop fused deposition modelling (FDM) – la

tecnica, molto simile a quella fused deposition

modelling descritta sopra, è basata sull’estrusione di un

polimero tramite un ugello riscaldato, partendo da una

barretta di materiale termoplastico. Le differenze

risiedono nel fatto che:

il materiale di alimentazione è sotto forma di

barrette disposte in un opportuno caricatore;

la macchina lavora con un unico estrusore;

la movimentazione deriva dalla tavola portapezzo

nel piano X-Y, anziché dalla testa di estrusione.

metal sheet stratification (MSS) – la filosofia del

metodo è simile a quella della laminate object

manufacturing e come materiale vengono utilizzati

fogli di lamiera tagliati Laser. Essi vengono

successivamente impilati, incollati e bloccati

meccanicamente, così da ottenere un elemento metallico.

Si possono ottenere punzoni e matrici per l’imbutitura e la

piegatura delle lamiere o stampi per l’iniezione delle

materie plastiche. Durante il taglio è possibile generare sia

i riferimenti per il successivo strato, sia i canali di

raffreddamento nel caso di tratti di uno stampo.

L’inconveniente del metodo è rappresentato dall’effetto

staircase, determinato dallo spessore delle lamiere. Esso

può risolversi con un’operazione di elettro-erosione di

finitura con elettrodo ricavato da rapid tooling o mediante

taglio inclinato dei bordi delle lamiere.

sheet laser forming (SLF) – la metodologia sfrutta le

deformazioni indotte sulla lamiera dal passaggio della

radiazione Laser (di potenza minima 1 kW), per ottenere

una piegatura con un determinato angolo. Il fascio Laser

viene focalizzato sul foglio piano di lamiera e guidato in

modo da seguire il percorso di piegatura. L’interazione del

Laser col metallo produce un forte gradiente termico tra le

due superfici della lamiera, che determina la sua piegatura

con un angolo di circa 2° per ogni passata. La tecnica

consente di ottenere componenti di lamiera stampata, ma

senza l’utilizzo di stampi. D’altra parte essa ha

l’inconveniente dei lunghi tempi ciclo e degli elevati

investimenti richiesti dalla stazione Laser.

54.3 Tecniche con precursore liquido

di seguito sono descritte tecniche consolidate

(stereolitography e solid ground curing), tecniche

emergenti (multi jet modelling e sanders prototype inc.) e

tecniche in corso di sviluppo (light sculpting e three

dimensional welding).

stereolitography (STL) – è stata la prima tecnica di RP

resa commercialmente disponibile, 1987: è attualmente la

più diffusa. Essa coinvolge quattro differenti tecnologie:

Laser, ottica, chimica dei fotopolimeri e software. Il suo

fondamento risiede nella polimerizzazione di un

monomero liquido sottoposto ad una radiazione luminosa.

Il processo, mostrato in Figura 54.7, è suddiviso in quattro

fasi principali, a partire dal file .STL del modello CAD

tridimensionale:

Figura 54.7 - Schema della tecnologia stereolitography

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preparazione del file macchina: esecuzione dello

slicing e generazione dei supporti;

fotopolimerizzazione: il fascio di una sorgente

Laser a gas o allo stato solido (potenze: qualche

centinaio di mW) viene focalizzato, mediante un

sistema di ottiche sulla superficie della vasca che

contiene il monomero allo stato liquido. Questo si

reticola e solidifica. Il movimento del fascio nel

piano X-Y consente la realizzazione della prima

sezione del pezzo su una piastra di acciaio forata

(elevatore). A questo punto l’elevatore trasla verso

il basso, per consentire che un film di monomero

liquido ricopra la sezione appena realizzata.

Ottenuto il corretto livellamento, il processo si

ripete, in modo da ottenere un nuovo strato

aderente a quello sottostante. Per ragioni di tempo,

il Laser non solidifica integralmente le sezioni, ma

solo i loro perimetri interni e esterni, nonché alcune

linee che li congiungono. Perciò, al termine di

questa fase, la parte prodotta (green part) contiene

ancora liquido intrappolato: per tal motivo, la sua

consistenza meccanica viene migliorata con un

post-trattamento ultravioletto;

post-trattamento: esso completa la reazione di

fotopolimerizzazione delle parti già solidificate dal

Laser e reticola il monomero liquido rimasto

intrappolato all’interno. Il post-trattamento consiste

nell’esposizione alla luce ultravioletta per un

tempo dipendente dalla complessità della parte e

dal tipo di resina. Al termine si ottiene la cosiddetta

red part.

pulizia e finitura: consiste nell’asportazione dei

supporti e nella finitura manuale della superficie.

L’impianto di stereolitografia è costituito da:

calcolatore per la generazione dei dati-macchina;

calcolatore di controllo

camera di produzione

I principali fattori che possono influenzare la qualità

del pezzo sono legati:

al materiale

○ viscosità

○ tensione superficiale

○ uniformità e stabilità

alla macchina

○ potenza del Laser

○ dimensioni dello spot del Laser

○ precisione dell’elevatore

○ uniformità del ricoprimento

ai parametri di processo

○ spessore dello strato

○ velocità di scansione

○ strategia di scansione

○ tecnica di tassellizzazione (hatch)

○ compensazione del ritiro volumetrico

ai parametri di post-processo

○ pulizia

○ post-trattamento

○ finitura

I tipici difetti di prototipi prodotti con questa tecnica sono:

curl distortion: deflessione delle parti sporgenti dovute

al ritiro di solidificazione;

swelling: incremento di volume dei primi strati

depositati (che rimangono immersi a lungo) a causa

della migrazione di monomero entro il materiale già

solidificato.

I fotopolimeri usati nella tecnica stereolitografica sono di

tipo acrilico, epossidico, vinilico ed elastomerico, ma in

ogni caso devono comprendere i seguenti componenti:

monomeri a basso peso molecolare controllo

viscosità;

monomeri a alto peso molecolare prestazioni

meccaniche;

fotoiniziatori catalizzatori della reazione;

stabilizzatori conferiscono la stabilità finale.

Infine, è necessario poter calcolare lo spessore di resina

reticolabile dal Laser, tramite la curva di lavoro del Laser:

Cp = Dpln(E/Ec)

dove:

Cp = spessore di resina reticolata [mm]

Dp = coefficiente di penetrazione [mm]

E = energia specifica del Laser [mJ/mm2]

Ec = energia di attivazione [mJ/mm2]

solid ground curing (SGC) – è una tecnica che intende

ovviare ai due inconvenienti della stereolitografia: la

necessità di predisporre dei supporti e di eseguire un post-

trattamento. Il materiale utilizzato è un fotopolimero, ma a

differenza della stereolitografia, l’intera sezione viene

reticolata e solidificata con una lampada ultravioletta ad

alta potenza. Le fasi del processo (Figura 54.8) sono:

sull’elevatore (tavola porta-pezzo) viene deposto un

sottile strato di polimero liquido;

la geometria della sezione, ricavata dal processo di

slicing, viene utilizzata per generare, su una lastra di

vetro, una maschera del negativo della sezione stessa;

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la lastra viene posizionata sopra l’elevatore e la

successiva esposizione a radiazioni ultraviolette

comporta la solidificazione dell’intera sezione;

l’elevatore trasla sotto la stazione di aspirazione

per eliminare la resina non reticolata;

l’elevatore si sposta sotto una stazione dove

avviene, sull’intera sezione, la deposizione di uno

strato di cera liquida. Tale strato viene poi

solidificato tramite la piastra raffreddante posta

nella stazione successiva;

la sezione inglobata nella cera viene posizionata sotto

la stazione di lavorazione, dove viene fresata per

uniformarne lo spessore;

infine, l’elevatore viene abbassato di una quantità pari

allo spessore della sezione e riportato nella stazione

dove avverrà una nuova deposizione di cera liquida.

Contemporaneamente, la lastra di vetro viene ripulita

ed il processo viene iterato.

Figura 54.8 - Schema della tecnologia solid ground curing

Al termine si ottiene un blocco compatto di resina e

cera solidificate: il lavaggio finale con una soluzione

di acqua e acido citrico a 60 °C permette l’evacuazione

della cera e l’estrazione del prototipo. I vantaggi

rispetto alla stereolitografia sono:

assenza dei supporti;

solidificazione contemporanea della sezione;

assenza del post-trattamento;

spessore uniforme delle sezioni;

assenza di problemi di livellamento;

basso costo della sorgente ultravioletta

Per contro, rispetto alla stereolitografia sussistono

degli svantaggi:

inclinazione del profilo della sezione a causa della

divergenza delle radiazioni ultraviolette;

poiché il blocco di cera ha sempre le stesse

dimensioni, per ridurre lo spreco di cera, vanno

prodotti più prototipi contemporaneamente;

esistono problemi di smaltimento della cera;

il sistema di aspirazione genera bolle d’aria;

il sistema è meccanicamente più complesso rispetto

alle altre tecniche RP (due sistemi di movimentazione

+ stazione di fresatura).

multi jet modelling (MJM) – è una tecnica adatta alla

costruzione di modelli concettuali di ausilio al progettista

durante lo sviluppo del prodotto. I modelli vengono

generati tramite una tecnica simile a quella della stampa a

getto d’inchiostro, la terza dimensione derivante dallo

spostamento in Z della piattaforma di lavoro

Figura 54.9).

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Figura 54.9 - Schema della tecnologia multi jet

modelling

Il cuore del sistema risiede in una testina stampante ad

ugelli multipli e indipendenti, che eiettano un polimero

liquido. Il materiale rilasciato dagli ugelli solidifica ed

aderisce allo strato precedentemente deposto. Le fasi

del processo sono le seguenti:

posizionamento della testina sopra la piattaforma di

lavoro;

generazione del primo strato, con la testina che

trasla in direzione X;

riposizionamento della piattaforma sull’asse Y; la

testina continua a muoversi lungo l’asse X;

traslazione verso il basso della piattaforma ed

inizio della deposizione dello strato successivo;

iterazione, fino al completamento del prototipo;

eliminazione dei supporti.

Lo spessore del singolo strato deposto è di circa

0,033mm depositato 3 volte per ottenere la risoluzione

finale lungo Z di 1mm. Il materiale utilizzato è un

termo-polimero basso-fondente con una contrazione

lineare di circa il 2%. I modelli generati non

possiedono proprietà meccaniche tali da sopportare

l’applicazione di carichi rilevanti.

sanders prototype inc (SPI) – la tecnica è

un’evoluzione del plotter a getto d’inchiostro, con

l’aggiunta dell’asse verticale e la sostituzione

dell’inchiostro con polimero termoplastico. Il sistema

è adatto per applicazioni entro l’ufficio tecnico, ma

non per applicazioni RP industriali. La filosofia di

funzionamento, esemplificata in Figura 54.10, è quella

del plotter a getto d’inchiostro liquido-solido con asse

Z separato. L’oggetto è costruito su una piattaforma

che scende di una quantità pari allo spessore di uno

strato.

Figura 54.10 - Schema della tecnologia sanders prototype inc

Il processo impiega due testine a getto movimentate nel

piano X-Y: la prima deposita il polimero termoplastico, la

seconda la cera di supporto. Il polimero, liquido in uscita

dalla testina, solidifica e aderisce allo strato deposto in

precedenza. A questo punto, la seconda testina deposita,

ove richiesto, la cera di supporto per sostenere le parti a

sbalzo e le cavità del modello durante la costruzione. Una

volta completato lo strato, un dispositivo di spianatura

(fresa elicoidale) elimina il materiale in eccesso e regola la

dimensione in Z, per preparare la deposizione dello strato

successivo. La prima testina deposita prima i perimetri

interni ed esterni e poi il materiale per riempire l’interno.

Il tempo di costruzione di uno strato dipende dalla

dimensione e dalla complessità della sezione e varia da 2 a

8 minuti. Al termine dell’operazione, la cera di supporto

viene evacuata mediante immersione in solvente

light sculpting (LS) – è una metodologia basata sulla

polimerizzazione di un fotopolimero tramite una lampada

fluorescente e si colloca in un settore alternativo sia alla

stereolitografia che al solid ground curing. Il processo,

illustrato in Figura 54.11, necessita di una maschera che

ricopi in negativo la sezione da realizzare. Tale maschera

viene interposta tra la lampada ed una lastra di vetro sulla

cui superficie inferiore viene depositato il fotopolimero.

Figura 54.11 - Schema della tecnologia light sculpting

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A questo punto una prima esposizione provoca la

parziale polimerizzazione della sezione, poi l’elevatore

si porta a contatto con questa e la polimerizzazione

viene completata da una seconda esposizione. Il

processo continua sino alla completa costruzione del

prototipo, senza che questo rimanga immerso nella

resina liquida: viene così limitato lo swelling. Inoltre la

polimerizzazione contemporanea di tutta la sezione

riduce la presenza di tensioni interne. Uno strato di

PTFE interposto tra la lastra di vetro e la resina liquida

impedisce l’adesione durante l’esposizione.

La costruzione di uno strato avviene in 30 secondi

circa.

three dimensional welding (3DW) – il metodo

consente la costruzione di corpi cavi di forma anche

complessa mediante la deposizione di materiale

metallico tramite il processo di saldatura MIG (cfr.

Cap.16). La testa di una saldatrice MIG installata sul

polso di un robot, genera per strati successivi

l’elemento desiderato. Il risultato è un elemento

costituito da un materiale metallurgicamente simile al

definitivo, sul quale è possibile effettuare lavorazioni

meccaniche di finitura. Il metodo non ha ancora

trovato applicazioni industriali soprattutto per la scarsa

risoluzione, tolleranza e rugosità superficiale. Una

volta risolti questi problemi, i componenti prodotti con

questa tecnica potrebbero essere usati come prototipi

per prove funzionali, punzoni per la lavorazione delle

lamiere e stampi per l’iniezione dei polimeri

termoplastici.

54.4 Tecniche con precursore particellare

ra le tecniche che utilizzano come precursore una

polvere, una è consolidata (selective laser

sintering), altre due sono emergenti (ballistic particle

manufacturing e three dimensional printing), mentre

laser generating e multiphase jet solidification sono in

corso di sviluppo.

selective laser sintering (SLS) – è una tecnologia che

usa le polveri di materiali differenti (polimeri

termoplastici, metalli, cera, sabbia) per la costruzione

del prototipo, con l’obiettivo di generare elementi

funzionali caratterizzati da prestazioni analoghe a

quelle ottenute con le tecnologie tradizionali. Le

modalità operative del processo (il cui schema è

riportato in Figura 54.12) sono suddivise nelle fasi

descritte qui di seguito:

Figura 54.12 - Schema della tecnologia selective laser

sintering

del file macchina: viene eseguito lo slicing per

determinare la geometria delle sezioni. Contrariamente

alla stereolitografia, non si devono generare i supporti

per la parti sporgenti.

sinterizzazione delle sezioni: è la costruzione del

prototipo sotto il controllo del calcolatore di processo.

Uno strato di polvere viene depositato e pressato

sull’elevatore. La camera ove avviene la

sinterizzazione è mantenuta a una temperatura

prossima a quella di fusione della polvere per

minimizzare sia l’energia richiesta al Laser CO2 (con

potenze variabili tra 50 W e 200 W), sia gli effetti del

cambiamento di fase. Successivamente la radiazione

porta a fusione i granelli di polvere che si uniscono

l’un l’altro dando origine alla sezione. L’elevatore

viene quindi abbassato di una quantità pari allo

spessore della sezione ed il processo riprende fino alla

completa costruzione del prototipo. Va sottolineato il

fatto che qui la parola sinterizzazione viene utilizzata

in maniera impropria, dal momento che si ha fusione

delle polveri in tempi molto rapidi, sotto il solo effetto

del riscaldamento indotto dal Laser; manca del tutto

l’effetto della pressione anche se la polvere ha subito

una certa compattazione. La polvere non sinterizzata

funge da supporto del pezzo.

pulizia e finitura: una volta concluso il processo di

sinterizzazione, il prototipo deve essere estratto dal

letto di polvere che lo circonda. L’operazione deve

essere effettuata solo dopo che l’intero blocco

(prototipo + polvere) è stato riportato alla temperatura

ambiente, per evitare shock termici che si

tradurrebbero in distorsioni del pezzo. Il processo

necessita di una delicata operazione di pulizia delle

polveri non sinterizzate, soprattutto all’interno delle

piccole cavità. La finitura del pezzo, vista la sua

caratteristica costruttiva, non può essere effettuata con

tela abrasiva: si ricorre pertanto ad operazioni di

infiltrazione con cera o più semplicemente alla

verniciatura con resina epossidica per eliminare le

porosità superficiali.

T

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Tecnica simile al selective laser sintering SLS è quella

dell’electron beam melting (EBM), che si differenzia

per il fatto che il fascio energetico non è costituito da

un raggio laser, bensì da un flusso di elettroni

accelerato e focalizzato da un cannone elettronico

(electron beam). Le diverse peculiarità delle due

tecniche fanno sì che esse siano adatte a metalli e

leghe metalliche diverse (acciai inossidabili per il SLS

e leghe di titanio per l’EBM).

ballistic particle manufacturing (BPM) – il processo

realizza le varie sezioni del prototipo tramite il lancio

di gocce di materiale termoplastico ad alta velocità da

parte di un eiettore. Il cuore del sistema è

rappresentato da un eiettore ceramico installato sulla

tavola di posizionamento a 5 assi controllati

(caratteristica unica tra i sistemi RP), illustrato

schematicamente in Figura 54.13, che consente il

corretto orientamento del flusso di materiale sul

modello.

L’eiettore, comandato da un oscillatore piezoelettrico,

lancia 12.000 particelle/sec alla velocità di 25 ms-1

.

Esse hanno un diametro di circa 0,075mm e si

schiacciano fino a un diametro di 0,05mm dopo

l’impatto. L’aderenza allo strato precedente è

assicurata dall’elevata energia cinetica delle particelle,

che all’impatto si fondono parzialmente e si legano

con legami simili a quelli dell’incollaggio. In un

secondo tempo, una testina riscaldata agisce sullo

strato deposto (non ancora completamente solidificato)

per migliorarne la morfologia superficiale. Data la

struttura multiassiale del sistema, esso è adatto alla

realizzazione di oggetti cavi di forma qualsiasi, a parete

sottile o nervata inoltre i 5 gradi di libertà permettono

di ridurre l’effetto staircase, grazie alla realizzazione,

per ciascuno strato, di pareti laterali inclinate secondo

la normale locale alla superficie. I supporti, laddove

necessari, sono costruiti con lo stesso materiale del

pezzo e la sezione di attacco viene opportunamente

ristretta per facilitare la rimozione.

Figura 54.13 - Schema della tecnologia ballistic particle

manufacturing

three dimensional printing (3DP) – è una tecnologia nata

inizialmente per la produzione di gusci ceramici, che ha

trovato applicazione anche per la produzione di elementi

metallici. La sequenza operativa, mostrata in Figura

54.14, si differenzia dalla stereolitografia per il metodo

impiegato nell’aggregare le polveri, che qui è costituito da

un collante spruzzato da una testina, con tecnica simile a

quella della stampa a getto di inchiostro.

Figura 54.14 - Schema della tecnologia three dimensional

printing

Il prototipo non richiede supporti, ma deve essere estratto

dal letto di polvere con attenzione. La soluzione spruzzata

deve possedere le seguenti caratteristiche:

alta percentuale di adesivo

bassa viscosità

leggera conduttività

rapida asciugabilità

Al termine del processo si ottiene la green part; è poi

necessaria una fase di post-trattamento termo-chimico per

evitare la segregazione della polvere e per conferire alla

red part migliori caratteristiche meccaniche. Vengono

utilizzati due materiali: la polvere refrattaria e l’adesivo;

non vi sono limitazioni teoriche sul materiale costituente

la polvere. Nel caso si vogliano produrre gusci ceramici,

viene impiegata polvere di alumina Al2O3 e come adesivo

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gel di silice. L’adesivo deve possedere bassa viscosità:

infatti la velocità di infiltrazione, in m, della colla

nella polvere, può essere espressa dalla relazione di

Washburn:

V = dcos()/8h

dove:

V = velocità di infiltrazione dell’adesivo tra 2

grani di polvere, la cui distanza in m è d

= tensione superficiale dell’adesivo

= viscosità dell’adesivo

= angolo di contatto tra il flusso di adesivo e

lo spazio compreso tra 2 grani di polvere

Fluidi con scarsa bagnabilità o ad alta viscosità non

sono adatti, in quanto penetrano lentamente tra i

granelli di polvere e rallentano il processo di

produzione. Questa tecnologia viene utilizzata per

realizzare:

gusci e anime ceramiche per microfusione;

scaffold ceramici porosi per realizzare materiali

compositi tramite processo di infiltrazione;

elementi metallici ottenuti infiltrando sottovuoto

con un metallo basso fondente una green part di

polvere metallica sinterizzata.

Contrariamente alle altre tecniche RP, il three

dimensional printing, anziché fornire l’elemento

funzionale, realizza il guscio e consente la produzione

diretta dell’elemento metallico pronto per le verifiche

funzionali. Esso evita la necessità di produrre modelli

in cera e rende conveniente il processo di colata anche

per applicazioni quali la produzione di stampi per

pressofusione o per l’iniezione di termoplastici,

completi di canali di raffreddamento.

laser generating (LG) – il processo, schematizzato in

Figura 54.15, deriva dalla tecnologia dei rivestimenti

con il Laser dove la radiazione fonde un flusso di

polvere metallica opportunamente addotta alla zona

focalizzata.

Le gocce di metallo fuso si depositano su di un

supporto generando per strati il prototipo. Il Laser e

l’alimentatore della polvere devono muoversi

solidalmente durante la costruzione. Il materiale

costituente la polvere metallica deve essere tale da non

riflettere la radiazione Laser e per questo vengono

impiegate miscele a base nickel, cobalto o acciaio

inox. La risoluzione dipende essenzialmente dalla

dimensione dello spot del Laser; lo spessore dello

strato deposto può variare tra 0,05 e 0,1mm, mentre si

possono ottenere corpi cavi con spessore della parete

variabile tra 0,5 e 0,7mm. I problemi principali

risiedono nell’elevata durezza e fragilità del manufatto,

che lo rendono difficilmente lavorabile alla macchina

utensile, nei fenomeni di ritiro termico che possono

danneggiare lo strato deposto e nell’attuale impossibilità

di realizzare parti sporgenti o dotate di chiusure

orizzontali.

Figura 54.15 - Schema della tecnologia laser generating

multiphase jet solidification (MJS) – il principio di

funzionamento, schematizzato in Figura 54.16, si basa

sulla deposizione di uno strato di materiale mediante

estrusione. Inizialmente è stata usata una lega basso-

fondente a base di stagno-bismuto, estrusa ad una

temperatura variabile tra i 70 °C e gli 80 °C in dipendenza

della composizione: i risultati non erano però stati

soddisfacenti, in conseguenza della bassa viscosità del

materiale. Inoltre i manufatti possedevano resistenza

meccanica e temperatura di fusione inadeguate. Sono state

quindi adottate polveri metalliche o ceramiche legate con

adesivo. Conclusa la deposizione, l’adesivo viene

evacuato tramite riscaldamento e la polvere sinterizzata.

Figura 54.16 - Schema della tecnologia multiphase jet

solidification

Tabella 54.1 - Confronto tecnico/economico delle principali tecniche RP

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Nel caso di polveri in acciaio inox, come legante viene

usata una miscela di paraffina e copolimero EVA e

tale miscela viene estrusa alla temperatura di 100°C,

ottenendo la green part. L’adesivo è eliminato tramite

immersione in un solvente, per procedere poi alla

sinterizzazione della polvere (che comporta una

contrazione di circa il 30%). I vantaggi di questa

tecnologia sono l’ampia disponibilità di materiali e la

possibilità di finitura della green part prima della

sinterizzazione. D’altra parte, i problemi risiedono

nelle limitazioni dimensionali (<100mm), negli

spessori minimi piuttosto elevati (>15mm) e nel

pericolo di distorsioni durante la sinterizzazione.

Ciononostante, tale tecnologia è in grado di produrre

prototipi funzionali.

Da ultimo, nella Tabella 54.1 vengono riassunte le

specifiche tecniche ed economiche delle principali

tecnologie RP.

54.5 Modellazione geometrica

e varie tecniche di RP consentono la realizzazione

di particolari, anche complessi, a partire dal

modello matematico realizzato da un sistema CAD 3-

D o da un’immagine ottenuta con tecniche di reverse

engineering (cfr. paragrafo seguente) e sottoposte a un

post-processo. Il modello matematico è costituito da

una rete di relazioni matematiche realizzate in modo

da simulare la realtà che si vuole rappresentare. A tale

scopo è necessario prima di tutto individuare le variabili

che si ritengono principali ed in secondo luogo le relazioni

esistenti tra di esse. Il modello ottenuto al calcolatore, che

rappresenta la base di partenza di tutti i processi di RP,

viene approssimato con delle faccette triangolari e salvato

nel formato standard .STL (solid-to-layer). Il file .STL

creato realizzando la sfaccettatura del modello funge da

interfaccia per il software, che da esso deve acquisire

valori opportuni per i dati di processo. Le informazioni

contenute nel file .STL possono essere immagazzinate sia

in formato ASCII che in quello binario. Quando il file

.STL è pronto, si esegue l’operazione di slicing, ovvero si

seziona il modello discretizzato con piani paralleli, al fine

di ottenere le coordinate del contorno di ogni sezione.

Tale operazione, che condiziona pesantemente la

precisione del prototipo, è eseguita dal calcolatore che

controlla il sistema RP, ma è consolidata la tendenza a

trasferirla in ambiente CAD. La qualità del sistema CAD

condiziona il risultato del processo RP. Il modello

generato dal computer deve descrivere l’intera porzione di

spazio occupata dal modello fisico, non solo la sua

superficie esterna; se la rappresentazione CAD non è

completa, pure incompleto risulterà anche il prototipo, che

potrà collassare durante la costruzione. Inoltre, la scelta

del valore opportuno nel sistema di tolleranze del CAD

condiziona anche la bontà della sfaccettatura e la sua

corretta esecuzione. Una tolleranza molto stretta (ad

esempio 0,001mm) implica che le superfici adiacenti

risultino sicuramente chiuse e che la faccettatura sarà

L

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eseguita correttamente (continuità tra faccette

adiacenti, nodi contigui agganciati). Il sistema di

tolleranza influisce anche sullo slicing e sulla qualità

del prototipo fisico. I modellatori CAD sono di tre tipi:

modellatori wireframe – presentano problemi come la

percezione prospettica talvolta scorretta, l’area

compresa tra i lati non definita, la porzione di spazio

occupato dal modello non interamente descritta.

Poiché i sistemi RP sono per definizione fatti per

costruire volumi e un modello wireframe non ne

definisce uno vero e proprio volume, tale modellatore

non è adatto alla RP;

modellatori di superficie – in genere una superficie

CAD è un ente geometrico abbastanza complesso,

descritta da un polinomio quando è delimitata da

quattro bordi: di solito i sistemi CAD offrono superfici

di tipo B-spline o pezze di Bèzier. Errori possono

nascere in corrispondenza delle curve di confine tra

due superfici a causa di arrotondamenti, tolleranze e

definizioni differenti: ciò può portare a buchi, fessure,

sovrapposizioni nel modello;

modellatori solidi – il modello viene costruito usando

primitive solide e operazioni booleane, ovvero

mediante l’unione e l’intersezione di coni, cilindri,

cubi, etc. Ciò permette di costruire modelli in tempi

brevi, ma con grande dispendio di memoria. Dato che

l’oggetto viene costruito utilizzando primitive solide, il

suo volume è reale e quindi l’operazione di

sfaccettatura è facilitata e non è necessario alcun post-

processing delle immagini.

Ogni volta che occorre trasferire un modello da un

sistema CAD ad un altro, è richiesto un file in formato

standard. Sebbene non sempre rispondenti a tutte le

esigenze, anche i sistemi RP usano tali formati: VDA-

FS sviluppato dalla Volkswagen e, più

frequentemente, IGES.

Il trasferimento dei dati fra i sistemi CAD e le

macchine RP è basato essenzialmente su formati di

scambio dati in grado di rappresentare modelli

faccettati. Il formato standard .STL consiste in una lista

non ordinata di faccette triangolari, senza alcuna

informazione topologica oltre a quella relativa

all’orientazione di ogni singola faccetta. Il formato

.RPI rappresenta invece una forma più compatta e

semplice del formato .STL da cui deriva: infatti

elimina le ridondanze di lati e vertici e mantiene le

informazioni topologiche. Nonostante gli svantaggi, il

formato .STL è divenuto uno standard industriale per

trasferire i modelli CAD alle macchine di

prototipazione. Gli interventi correttivi richiesti dal file

.STL possono richiedere un tempo maggiore della fase

di produzione stessa. L’aumento della precisione e

delle dimensioni dell’area di lavoro dei sistemi RP

consente l’aumento delle dimensioni dei modelli che si

desiderano produrre; per questo l’efficienza dei

programmi applicativi deve essere considerata

attentamente. Abbastanza spesso vengono utilizzati

modelli non perfettamente faccettati, da cui gli errori

possono risultare numerosi: i modelli possono contenere

buchi e discontinuità, facce mancanti o perse, facce con

normali scorrette, le facce possono intersecarsi in punti

scorretti, lo stesso lato può essere comune a più di due

facce. Le cause di questi errori vanno ricercate

nell’applicazione che ha prodotto il modello CAD 3-D,

nell’applicazione che ha generato la sfaccettatura oppure

nell’operatore. Molte interfacce .STL, in sistemi CAD,

non informano l’utente quando la triangolarizzazione è

errata ed il problema rimane nascosto finché il produttore

non tenta di realizzare il modello fisico. Per ovviare a

questi errori occorre tener conto che la gestione di grandi

insiemi di dati geometrici richiede speciali strutture dati.

L’utilizzo di uno schema adattativo di suddivisione dello

spazio, per la verifica della correttezza del modello,

consente di ridurre l’approssimazione che si crea quando

si cercano gli elementi limitrofi a un dato oggetto fissato.

Un esempio di tale sistema è quello detto suddivisione

dello spazio CELL, una variante del metodo quadtrees.

La difficoltà di scambio dati fra sistemi CAD si ripropone

al momento dell’interfacciamento CAD/RP. Se l’utente

scopre un’anomalia nel solido geometrico in seguito alla

realizzazione fisica di una sua parte, sarebbe ragionevole

rimandare questi dati anomali al sistema CAD e

modificare i dati geometrici esistenti, senza dover tornare

al modello geometrico iniziale. Tale questione è ancora

insoluta e solleva il problema della competenza riguardo

l’elaborazione dei modelli solidi in linee di scansione.

L’approccio ideale è quello di accettare descrizioni

geometriche 3-D dall’ambiente CAD ed eseguire il

successivo slicing e altre elaborazioni (controllo dei ritiri,

correzioni morfologiche, etc.) nella macchina RP. Esiste

quindi la possibilità di costruire qualunque modello fisico

ricevendo dati da ogni sistema CAD da cui la macchina

RP sia indipendente. L’ideale sarebbe limitarsi a formule

matematiche comuni scelte per approssimare il modello e

fare sì che tutti i modelli possano essere approssimati da

queste. Un approccio generale basato su NURBS2 è

relativamente generale e può rappresentare la maggior

parte delle forme reali, ma può risultare esuberante se la

maggior parte dei componenti è costituita da semplici

elementi geometrici e implica un carico computazionale

sovrabbondante ed ingiustificato. Usando un elemento di

superficie polinomiale di basso grado sono necessari più

elementi per avere miglior precisione rispetto all’uso di un

elemento polinomiale di alto grado, con il quale è

possibile un risparmio di dati fino all’80%. Generalmente

i files contenenti elementi di superficie a più alto grado,

forniscono maggiori informazioni geometriche e migliore

approssimazione. D’altra parte, elementi di basso grado

implicano algoritmi più semplici per lo slicing, con una

computazione più veloce. La maggior complicazione degli

2 NURBS: Non-Uniform Rational B-Splines

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algoritmi deriva dal fatto che gli input geometrici sono

più complessi e non esiste una singola forma

geometrica che soddisfi diverse esigenze. Di fatto,

oggi l’industria ha scelto come standard le

rappresentazioni faccettate, ovvero l’approssimazione

a triangolo planare. Sfortunatamente, quando è

richiesta un’alta precisione, le facce triangolari

diventano molto numerose.

54.6 Reverse engineering

alvolta la macchina RP non deve allestire un

nuovo progetto, bensì una copia accurata di un

oggetto esistente. In questo caso, i dati da fornire alla

macchina possono essere preparati da uno speciale

dispositivo che legge la sagoma tridimensionale

dell’oggetto e la traduce in una rappresentazione

computerizzata (tecnica di reverse engineering), che

può essere in un formato pronto per la macchina

(codice CN o STL) o in un formato leggibile da un

programma CAD, che lo controlla ed elabora prima di

mandarlo in macchina. Il campo della digitalizzazione

geometrica è altrettanto vasto e complesso quanto

quello del RP. I suoi aspetti più importanti sono:

i livelli di dettaglio ottenibili dal digitalizzatore;

i tre elementi del digitalizzatore 3-D: sensore di

materia, scanner e software interpretazione dati;

tipi di sensori disponibili.

livelli di digitalizzazione – in dipendenza del grado di

sofisticazione del metodo usato per raccogliere i dati, i

livelli disponibili sono quattro: rilievo in piano o nello

spazio e dettagli superficiali o spaziali.

rilievo in piano: è il caso più semplice, quando la

forma dell’oggetto è determinata rispetto ad un

certo piano (come in topografia, quando si misura

la quota di un monte dal livello del mare);

rilievo nello spazio: quando la forma si determina

rispetto ad una superficie di riferimento non piana,

come nella misurazione topografica del globo

terrestre rispetto allo sferoide immaginario a livello

del mare;

dettagli superficiali: oltre a leggere la quota

rispetto a ogni punto della superficie di riferimento

(come nel caso del rilievo spaziale), può essere

necessaria la determinazione della forma della

superficie più dettagliatamente, tenendo conto di

cavità aperte e di convoluzioni;

dettagli nello spazio: anziché misurare soltanto la

superficie dell’oggetto, lo si mappa totalmente,

all’esterno ed all’interno. Si identificano e si

rappresentano le cavità chiuse interne

elementi dei digitalizzatori – gli elementi principali

dei digitalizzatori 3-D sono tre:

sensore di materia: è il cuore del sistema, che rivela la

presenza o l’assenza di materia in una zona. Esso può

lavorare su un solo punto alla volta (sonde, sensori

LiDAR), su una serie di punti allineati (sensori per

linee continue), su di una schiera di punti nel piano

(interferometro piano) o su di una schiera di punti

nello spazio (sensori CT e NMR);

scanner: nell’interferometria piana, una sola lettura del

sensore può fornire tutti i dati necessari, di solito

servono invece più letture. Il sensore deve quindi

spostarsi sull’oggetto per raccogliere dati in aree o con

angolazioni diverse. Per esplorare oggetti di forme e

dimensioni varie, lo scanner deve possedere una sua

intelligenza o deve essere comandato dall’uomo;

software di interpretazione dati: i dati raccolti dal

sensore sono di solito in una forma costituita da punti

discreti nello spazio, non direttamente utilizzabili da

programmi CAD o dalle macchine RP. Serve un

programma di interpretazione dati che colleghi i punti

e formi una rappresentazione leggibile delle superfici

così definite. Il software deve essere in grado di

individuare e di gestire il rumore, i dati ridondanti,

quelli con insufficiente risoluzione.

tipi di sensori disponibili – il sensore del digitalizzatore è

un dispositivo che rivela la presenza/assenza di materia

nello spazio. Qui di seguito se ne descrivono i più comuni:

sensori a contatto: reagiscono alla resistenza opposta a

un’astina. Il metodo è lento, ma può essere più preciso

(1m) di metodi concorrenti. Il contatto fisico è

problematico con materiali cedevoli o instabili. I

sensori a contatto possono fare misure discrete o

continue. L’esplorazione può essere automatizzata

(montando il sensore su una macchina di misura a co-

ordinate o su un centro di lavoro CNC) o guidata

manualmente (montando il sensore su un braccio che

registri la posizione). La velocità tipica delle misure

discrete è molto bassa (3-5 letture/sec) per avere un

grado di risoluzione accettabile;

sensori comandati: funzionano come i sensori a

contatto, perché esplorano un punto alla volta. Però,

anziché avere un sensore che reagisce alla resistenza

della superficie, in questo caso un operatore guida il

sensore nel punto voluto e ne comanda l’azione, in

modo meccanico/elettrico. In tal modo, la tecnica

consente di misurare superfici cedevoli. Inoltre,

diverse tecniche di posizionamento consentono di

misurare oggetti di notevoli dimensioni, quali aerei

full-scale. L’inconveniente principale risiede nel fatto

che la tecnica, per sua natura, non è automatizzabile.

sensori ottici: i tre tipi descritti qui di seguito si basano

sul principio di triangolazione. Se un raggio di luce

arriva su una superficie da una data direzione e si

osserva il raggio riflesso da un’altra direzione, la

posizione della superficie è deducibile dalla direzione

T

TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 54 -TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA

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con cui la luce riflessa viene percepita

dall’osservatore (Figura 54.17):

Figura 54.17 - Schema di funzionamento di un sensore

punto-a-punto

I due primi tipi di sensori a triangolazione, punto a

punto e per linee continue, sono oggi tra i più

comunemente usati per i digitalizzatori 3-D. La

semplice triangolazione può servire a calcolare un

rilievo nel piano perché consente di misurare le

variazioni di altezza da punto a punto. Spostando il

sensore sull’oggetto o con diversi sensori orientati

diversamente e correlati, si può rilevare tutta la

superficie. Tutte e tre le tecniche richiedono una

superficie opaca, in modo da diffondere e non

riflettere la luce. Per evitare che taluni dettagli

restino in ombra, si usano sensori bioculari per

catturare la luce riflessa dai due lati.

I sensori punto-a-punto emettono un raggio laser e

misurano la direzione della luce riflessa. Il

procedimento viene ripetuto esplorando tutta la

superficie e misurando tutti i punti necessari per

avere la risoluzione voluta (50-200 punti/sec, pari a

1-3min per cm2 con risoluzione 0,1mm). Nei

sensori per linee continue, il fascio luminoso

emesso dal sensore si espande in una direzione,

così da proiettare una linea retta sulla superficie da

misurare. Come risultato della triangolazione, la

retta viene deformata dall’andamento della

superficie. La deformazione viene registrata con

calcoli di triangolazione su ogni punto della retta.

Questo tipo di sensore equivale dunque a più

sensori punto-a-punto in tandem. La velocità

aumenta a spese della precisione (Figura 54.18).

Figura 54.18 - Schema di funzionamento del sensore a linee

continue

Se la linea è abbastanza lunga, si può esplorare

l’oggetto spostando il sensore in una sola direzione,

altrimenti occorre lavorare per fasce. Da ultimo, il

metodo dell’interferometria piana combina la

triangolazione con l’effetto Moirè: il sensore invia una

griglia bidimensionale di luce coerente sulla superficie

da misurare, le cui irregolarità deformano le righe della

griglia come nel caso del sensore lineare.

L’interferenza tra la griglia deformata e la griglia

originaria fornisce un’immagine a frange di Moirè che

consente di ricostruire la superficie. Se l’area della

griglia è sufficientemente grande e la curvatura della

superficie modesta, basta una lettura, altrimenti

servono diverse letture con diverse angolazioni, che

devono poi essere correlate.

sensori spaziali: i sensori spaziali leggono tanto

l’esterno quanto l’interno dell’oggetto. Gli esempi più

significativi sono la risonanza nucleare-magnetica

(RNM), usata in medicina come metodo radio-

diagnostico, e la tomografia computerizzata (TAC o

CT scan), usata sia in medicina che nelle discipline

tecniche. Nella RNM, un magnete oscillante genera

un’onda elettromagnetica che attraversa l’oggetto.

Essa viene sintonizzata sulla frequenza di risonanza

dei nuclei di un particolare atomo. Allorché l’onda

colpisce quel tipo d’atomo, il nucleo ne assorbe

l’energia e diventa opaco. Le armoniche che

attraversano l’oggetto senza essere assorbite vengono

registrate e consentono di calcolare la distribuzione di

quel tipo di atomi. La tecnica non funziona con i

metalli perché essi dissipano le onde magnetiche

attraverso correnti elettriche. Nella TAC o CT scan, un

fascio espanso di raggi X viene diretto sull’oggetto e

viene assorbito in ragione dello spessore e della natura

fisica del materiale che costituisce l’oggetto. Un

rilevatore posto dietro l’oggetto registra i raggi che

l’hanno attraversata. L’oggetto (o l’emettitore) ruota e

la procedura si ripete più volte, ottenendo profili di

opacità dell’oggetto presi da diverse orientazioni. Sulla

base di questi dati è possibile ricostruire la mappa

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tridimensionale dell’oggetto in base alla resistenza

mostrata alla penetrazione dei raggi-X.

54.7 Meccanismi chimico-fisici

due procedimenti additivi di più comune utilizzo

nel settore del RP sono la fotopolimerizzazione e la

sinterizzazione selettiva. Nel seguito ne vengono

descritti i fondamenti scientifici ed i modelli

matematici.

fotopolimerizzazione – la polimerizzazione è il

processo chimico mediante il quale molecole

organiche, monomeri, si aggregano, per rottura del

doppio legame carbonio, dando origina a

macromolecole, polimeri. La reazione può essere

innescata, secondo i casi, dalla temperatura, dalla

pressione, da radiazioni con l’ausilio di catalizzatori. Si

parla di fotopolimerizzazione se il fattore scatenante

sono i fotoni della luce (spesso la reazione è

esotermica, cosicché la luce costituisce solo un

acceleratore della cinetica chimica). Il complesso delle

reazioni chimiche si può dividere in tre fasi evolutive

ben distinte:

1. inizio: l’energia del fotone crea radicali liberi;

2. propagazione: si genera la macromolecola;

3. terminazione: la reazione si completa e conclude.

Si deve altresì osservare che:

la temperatura ha un ruolo marginale;

il processo è spazialmente non omogeneo;

la diffusione delle specie chimiche all’interno del

film costituisce il meccanismo di controllo della

velocità del processo che non può essere omesso

nel modello.

La scrittura del modello analitico del processo deve

portare ad un sistema di equazioni differenziali non

lineari alle derivate parziali che descrive la dinamica di

un continuo, ove specie differenti sono in

competizione tra loro e variano le proprie

concentrazioni nel tempo e nello spazio. Pertanto, le

variabili indipendenti sono tempo t e spazio x,y,z,

mentre le funzioni incognite, cioè le variabili di stato

del sistema, sono:

S = concentrazione del fotoiniziatore

M = concentrazione del monomero

P = concentrazione del polimero

Ti = concentrazione dei terminatori di catena

R* = concentrazione dei gruppi radicali

J = intensità luminosa

Si fanno inoltre due assunzioni generali:

la capacità diffusiva è attribuita al monomero ed ai

terminatori di catena;

il meccanismo prevalente di terminazione consiste

nella reazione con i terminatori.

Si considera una sorgente luminosa che irradia lungo

l’asse z con una distribuzione arbitraria Io = I(x,y,z = 0; t)

dell’intensità luminosa sulla superficie superiore di uno

strato fluido quadrato di lato L e spessore w (Figura

54.19).

Figura 54.19 - Schema del processo di fotopolimerizzazione

Il consumo di fotoiniziatore in un punto è proporzionale al

prodotto tra il numero dei fotoni incidenti ed il numero di

molecole di fotoiniziatore rimaste nel punto considerato

S/t = -sSI

c.i. : S(x,y,z,; t=0) = So

essendo s il coefficiente di estinzione del fotoiniziatore.

La variazione nel tempo di concentrazione di monomero

contiene, oltre al termine che rappresenta il consumo di

monomero che incrementa le catene polimeriche, il

termine di diffusione:

M/t = - KpMR* + Dm2M

c.i. : M(x,y,z; t = 0) = Mo

c.c.: M/x(x=L,y,z,t) = M/y(x,y=L,z,t)=

= M/z(x,y,z=0,t) = M/z(x,y,z=w,t)

dove Kp rappresenta la costante cinetica chimica e Dm la

costante di diffusività molecolare del monomero nel

mezzo. Le condizioni al contorno impongono l’azzerarsi

della derivata in direzione normale per tutte le superfici di

frontiera dello strato fluido. Ogni monomero che

interviene nella reazione va a incrementare la formazione

di polimero, per il quale si può scrivere:

P/t = KpMR*

c.i. = P(x,y,z,t=0) = 0

Per i terminatori si possono scrivere equazioni nella stessa

forma di quella relativa al monomero:

Ti /t = - K Ti Ti R* + DTi2Ti

c.i. : Ti (x,y,z; t = 0) = Ti o

c.c.: Ti /x(x=L,y,z,t) = Ti /y(x,y=L,z,t)=

I

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= Ti /z(x,y,z=0,t) = Ti /z(x,y,z=w,t

KTi e DTi sono le costanti di velocità di terminazione

della catena e la diffusività nel film per ciascun

terminatore.

Per i gruppi radicalici, il bilancio è semplice: il loro

numero aumenta per la reazione di iniziazione e

diminuisce per le reazioni di terminazione. Non si

considera la diffusione perché le catene che

contengono i gruppi radicalici hanno in media un peso

molecolare alto.

Pertanto si ha:

R*/t = -2S/t – iKTiTiR*

c.i. : R*(x,y,x,t=0) = 0

dove R* = r*j, essendo r*j la concentrazione di

radicali appartenenti a catene con j unità

monomeriche. Si noti che per ogni molecola di

fotoiniziatore che viene eccitata si formano due

radicali M (inizio fotopolimerizzazione).

Per quanto riguarda l’intensità luminosa, non si può

scrivere come nei casi precedenti la derivata rispetto al

tempo, bensì la derivata rispetto alla coordinata z, cioè

la variazione lungo la direzione di propagazione, vale

a dire:

I/z = -I[iS + m(M + P)]

c.i. : I(x,y,z;t=0) = I0(x,y;t)

tuttavia, di solito, l’assorbimento di luce da parte di

monomero e polimero è trascurabile rispetto a quello

dell’iniziatore.

sinterizzazione selettiva – nel processo di

sinterizzazione con il Laser delle polveri di materiali

termoplastici, i fenomeni fisici-chimici differiscono

dalla sinterizzazione tradizionale delle polveri, infatti:

si ha solo l’effetto del riscaldamento indotto dal

Laser e manca l’effetto della compattazione

isostatica;

le polveri sono mantenute ad una temperatura

prossima a quella di fusione, per ridurre l’energia

richiesta al Laser;

le polveri vengono portate alla loro reale

temperatura di fusione;

il tempo disponibile per fondere ogni coppia di

particelle è una frazione di secondo, contro le

decine di minuti della sinterizzazione di massa.

Le variabili di ingresso sono la potenza del Laser e la

velocità di scansione, mentre la variabile di uscita è la

qualità del sinterizzato. Il processo è influenzato da:

temperatura iniziale delle polveri;

condizioni di ventilazione;

proprietà termo-ottiche reologiche della polvere;

morfologia e granulometria della polvere.

In Figura 54.20 è rappresentato il modello concettuale

della sinterizzazione selettiva; esso è costituito da tre

blocchi:

Figura 54.20 - Modello concettuale della sinterizzazione

selettiva

blocco ottico, che riceve in input la potenza del Laser

e, attraverso le proprietà della polvere, determina la

quantità di calore in input al blocco termico;

blocco termico, dove viene applicata l’equazione di

trasmissione del calore per valutare l’incremento di

temperatura della polvere;

blocco di sinterizzazione, che valuta le caratteristiche

reologiche della polvere una volta nota la variazione di

temperatura. Tali caratteristiche vengono impiegate

nell’equazione di sinterizzazione per calcolare la

densità del materiale finale.

Nel modello matematico presentato qui di seguito non si

considera il modello ottico, ipotizzando di conoscere la

quantità di calore introdotta dal Laser nel blocco termico.

Nel modello termico il problema della trasmissione del

calore è descritto dalla consueta equazione alle derivate

parziali:

Cp(T/t) =(KT) + g(x,t) [1]

dove :

T = incremento di temperatura nella posizione x

= densità apparente

Cp = calore specifico

K = conducibilità apparente polvere nel punto x

g (x,t) = sorgente interna di calore

L’effetto della radiazione Laser viene considerata come

condizione al contorno, mentre viene posta a 0 la sorgente

interna. L’equazione [1] affronta il problema

tridimensionale, ma può essere semplificata in 2

dimensioni a simmetria radiale. L’andamento della densità

nella direzione z può essere ricavata da un’equazione

mono-dimensionale, a patto che:

N = vb/2> 3 [2]

dove:

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v = velocità di scansione del Laser

b = dimensione dello spot del Laser

= diffusività termica apparente della

polvere

Nella sinterizzazione Laser, il valore di N è

tipicamente

> 1000, così l’equazione [1] diventa mono-

dimensionale:

Cp(T/t) =zz

con le seguenti condizioni al contorno:

-K(T(0,t)/z) = q(t) per 0<t<oppure 0 per t>T(z,t) 0 per z infinito, t > 0 [4]

Le grandezze , Cp e K variano durante la

sinterizzazione a causa della variazione della porosità

del materiale. Cp della polvere è uguale a quello del

materiale massivo se la massa d’aria presente nella

polvere è trascurabile, mentre e K possono essere

calcolate dalle espressioni:

K )[Ks/(1+Ks/Kg)] =s(1-) [5]

dove:

= percentuale di vuoti nella polvere

Ks = conducibilità termica del metallo

massivo

Kg = conducibilità termica dell’aria

s = densità del metallo massivo

sperimentalmente si verifica che:

= 1,0 = 0,02 102(-0,3)

[6]

Il modello di sinterizzazione considera il

riscaldamento della polvere, la sua fusione, l’unione

delle particelle per tensione superficiale, il

raffreddamento, la solidificazione.

Il modello matematico della sinterizzazione viscosa di

materiali porosi, approssimata con una struttura

cilindrica, fornisce un legame di tipo esplicito tra la

variazione della porosità , la tensione superficiale ,

la viscosità e la geometria della zona sinterizzata:

/t = -(M/cdcd

s

/t = -(M/s/ s

M = /a0[3/4]1/3

[7]

dove:

a0 = raggio della particella (sferica) di polvere

c = costante pari a 1,2

d = fattore geometrico dato dal rapporto tra

raggio e lunghezza del cilindro che approssima il

collare di giunzione tra le particelle

La percentuale dei vuoti può essere legata alla variazione

di porosità ed al fattore geometrico tramite le relazioni:

= 1 – 3d2 + 8(2d

3)1/2

= 1 – (1 – 0)-3e

[8]

Il modello fornisce dunque un legame tra la geometria e la

temperatura che influenza le caratteristiche reologiche

della polvere e l’effetto principale è la variazione della

viscosità, valutabile con la formula di Arrhenius:

= AeE/RT

[9]

Dove il coefficiente A e l’energia di attivazione E

possono essere valutati con un test standard di viscosità.

Infine, questo modello matematico può essere risolto

numericamente con il metodo delle differenze finite.

54.8 Rapid tooling

e applicazioni industriali della prototipazione rapida

(RP), altresì conosciute come rapid tooling (RT), o

attrezzaggio rapido, sono un insieme di tecniche mirate

alla costruzione in tempi brevi di attrezzature destinate

alla realizzazione della pre-serie. Si può facilmente

comprendere la loro importanza: in primo luogo la

realizzazione di attrezzature per la produzione rappresenta

una delle fasi più lunghe e costose nello sviluppo di un

nuovo prodotto, per cui qualunque passo in avanti nel

settore comporta consistenti risparmi sia in termini di

tempo che di costi. Inoltre, molti tra i metodi correnti,

utilizzati per produrre componenti sia metallici che

polimerici, sono stati pensati per grandi volumi di

produzione; tali tecniche tradizionali risultano poco

appropriate per la maggior parte degli attuali prodotti che,

per soddisfare le esigenze della committenza, dovrebbero

essere continuamente aggiornati. Questo stato di fatto ha

determinato un crollo nella durata del ciclo-vita dei

prodotti e nella consistenza quantitativa dei lotti di

produzione (produzione just-in-time). Per essere più

competitivi, sono dunque necessari processi più

economici e rapidi per la realizzazione di attrezzature per

la produzione, processi da applicarsi sia nella fase di

prototipazione rapida che in quella di produzione vera e

propria. Ovviamente l’attrezzatura prototipale non potrà

essere sottoposta alle identiche sollecitazioni meccaniche

e termiche delle attrezzature definitive (p.e. stampi di

colata) ed assolveranno al loro compito solo se adoperati

con precauzione e per serie limitate. Questi metodi

esistono già, ma dipendono inevitabilmente dalla

disponibilità di un modello campione (master) del

prodotto, sulla cui disponibilità e accuratezza non sempre

è possibile contare. Una potenziale soluzione a tale

L

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problema è offerta dalle tecniche RP, che sono in

grado di fornire il modello con i requisiti richiesti.

L’azione combinata dei vantaggi derivanti

dall’applicazione delle tecniche RP sia in fase di

sviluppo del prodotto che in quella della produzione

degli utensili può assicurare consistenti risparmi nei

costi e nei tempi di consegna (fino al 70%). Oltre a

questi vantaggi, l’adozione dei processi di RP/RT è

divenuto un requisito indispensabile per adottare

tecniche di concurrent engineering: infatti la

continuità del processo di sviluppo del prodotto

ottenuta applicando la tecnologia RP, dal progetto

iniziale fino alla realizzazione ultima, permette di

vedere il complesso delle fasi come un unicum. I

prototipi rapidi non sono propriamente idonei ad

essere impiegati come master nell’applicazione delle

tecnologie di attrezzaggio rapido per i motivi elencati

nei paragrafi precedenti. Qualora fossero destinati ad

un tale utilizzo, ad essi dovrebbero essere apportate

alcune modifiche, come per esempio:

diminuzione della rugosità superficiale;

conferimento di caratteristiche indispensabili per il

successivo utilizzo, quali inserimento di angoli di

spoglia, maggiorazione delle dimensioni per tener

conto dei ritiri, etc.

Garantendo tali attributi già ai prototipi viene

scongiurato il rischio dell’insorgere di problemi

durante la fase di fabbricazione. È opportuno ricordare

che i master ottenuti per RP devono essere utilizzati

immediatamente dopo la loro produzione, stante la

loro scarsa stabilità nel tempo. Le tecniche

dell’attrezzaggio rapido possono essere classificate in:

tecniche dirette, ove il processo RP produce

direttamente l’attrezzatura;

tecniche indirette, che combinano il RP con

processi tradizionali per ottenere l’attrezzatura.

Un secondo criterio di classificazione è il seguente:

tecniche per la produzione di stampi leggeri (tempi

ridotti di costruzione, serie produttiva limitata al

centinaio di esemplari);

tecniche per la produzione di stampi rigidi (tempi

di approntamento più lunghi, possibilità di

realizzare fino a 10.000 esemplari).

tecniche dirette di rapid tooling – sono in grado di

produrre attrezzature idonee a garantire prestazioni

quali:

inserti per stampi per l’iniezione di cera per

microfusione;

inserti per stampi da iniezione, soffiaggio,

termoformatura dei polimeri termoplastici;

stampi per l’imbutitura delle lamiere;

gusci per microfusione;

forme ed anime per la colata in sabbia.

Alcuni processi industriali di prototipazione rapida, come

SLA, SLS, SGC e LOM possono generare inserti per

stampi di iniezione della cera (50-100 esemplari).

tecniche indirette di rapid tooling – questi processi sono

precedenti alla diffusione delle macchine di RP veloce,

tuttavia l’interesse è divenuto più generale e le tecniche

sono state migliorate grazie alla disponibilità di modelli

realizzati a strati. I modelli RP da usare come master di

partenza , possono essere più ricchi di dettagli, e tanto più

il modello è dettagliato, tanto più è interessante realizzarlo

con le tecniche a strati piuttosto che con le tecniche

tradizionali. La possibilità poi di fabbricare per addizione

di materiale, partendo dal modello matematico, modelli

limitati alla linea di divisione, semi-modelli con i relativi

piani di chiusura stampi e da questi gli attrezzaggi relativi,

rende più semplice e quindi più veloce il ciclo di

fabbricazione rapida di più pezzi prototipali. I metodi

indiretti, per il rapid tooling indiretto, industrialmente più

utilizzati sono i seguenti:

stampi in silicone: è una delle tecniche più utilizzate

nella costruzione rapida di attrezzature che

garantiscano la produzione di un limitato numero di

particolari (5-50) in un materiale prossimo a quello

definitivo da destinare alle prime verifiche funzionali.

Gli stampi sono realizzati in elastomero siliconico

flessibile e permettono di contenere i costi di gestione,

manodopera, materiale e i tempi di esecuzione.

L’attrezzatura per realizzarli è costituita da una

macchina sottovuoto, una camera adiabatica, un

miscelatore meccanico, un forno d’essicazione e un

sistema computerizzato di controllo. Gli stampi

vengono realizzati colando attorno ad un master la

resina siliconica (ad elevata resistenza termica,

chimica, meccanica -durezza Shore 30-) Tali stampi

possono poi essere utilizzati con materiali aggressivi,

come poliuretani, resine epossidiche, poliestere,

acriliche, calcestruzzo, cera, gesso e leghe

bassofondenti. In Figura 54.21 è mostrata la sequenza

di costruzione di uno stampo di silicone e della

successiva colata della resina per la realizzazione di

una piastra per calcolatrice tascabile

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Figura 54.21 - Esempio di costruzione di uno stampo in silicone: 1. master, 2. cassetta, 3. colata silicone, 4. vulcanizzazione, 5.

sformatura stampo, 6. miscelazione/degasaggio resina, 7. colata resina sotto vuoto, 8. reticolazione resina, 9. sformatura pezzo

Una tecnica alternativa è quella dello spin casting.

La sequenza operativa (cfr. Figura 54.22) è

Figura 54.22 - Fasi del processo spin casting

costituita dall’impilamento di dischi di silicone non

vulcanizzato, in cui si ricava l’alloggiamento del

master. Completata la vulcanizzazione in una

pressa a piani caldi, lo stampo in silicone è pronto

per essere utilizzato con una tecnica di colata

centrifuga (Figura 54.23) descritta nel Cap.X.

Figura 54.23 - Spin casting: schema del processo di colata

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stampi in resina rigida: i sistemi che utilizzano

resine additivate, in particolare resina epossidica,

rappresentano le tecniche più diffuse per la

produzione di stampi su piccola scala (anche di

grandi dimensioni) con trascurabili investimenti in

attrezzature. Gli stampi in resina rigida

garantiscono sino a 500 stampate ad iniezione di

termoplastici, 5000 di cera per microfusione e

10.000 copie con il processo gomma/gesso;

stampi in gesso: in questo processo, illustrato in

Figura 54.24, dal modello RP vengono ricavate

delle copie in gomma siliconica che, in seguito,

vengono utilizzate per la realizzazione di stampi in

gesso a perdere, all’interno dei quali potrà essere

colato il metallo fuso (che può consistere in leghe

di alluminio o leghe di zinco)

Figura 54.24 - Fasi della produzione di uno stampo in

gesso

L’impiego di tale tecnica è limitato da numero dal

numero di passaggi necessari ad ottenere lo stampo

partendo dal master; inoltre è possibile colare solo

leghe a bassa temperatura di fusione;

stampi in lega basso-fondente: i materiali usati per

la realizzazione degli stampi sono leghe al

bismuto3 a basso punto di fusione (max. 300 °C),

che vengono colate in maniera del tutto analoga a

quanto avviene per la realizzazione di stampi in

resina rigida o in silicone. Il master può venir

ricavato da tecniche di prototipazione rapida;

stampi ottenuti per metal spraying: la tecnica del

metal spraying viene utilizzata per fabbricare

stampi a partire da un modello realizzato con le

tecniche convenzionali o RP. In Figura 54.25 viene

illustrato il processo, che consiste nello spruzzare

3 Il bismuto ha la rara proprietà di espandersi del 3,3% del suo

volume al momento della solidificazione. Calibrando la composizione ed il contenuto in bismuto, è possibile produrre una

gamma di leghe che fondono dai 200 °C ai 300 °C e si dilatano, si

contraggono o rimangono dimensionalmente stabili all’atto della solidificazione.

metallo fuso (tipicamente una lega bassofondente allo

zinco/alluminio) direttamente sul prototipo, previa la

deposizione di distaccante, formando così un

rivestimento superficiale che dà origine, una volta

solidificato, allo stampo. Il processo è rapido (bastano

15 minuti per ricoprire 1000 cm2 di superficie con uno

spessore di 1,5mm), ma il guscio è poco resistente e

deve essere rinforzato con resina epossidica

elettricamente conduttiva.

Figura 54.25 - Schema del processo di thermal spraying

stampi ottenuti per elettroformatura: si tratta di una

tecnica usata per migliorare la caratteristiche di una

superficie tramite la deposizione galvanica di un sottile

strato di cromo o nickel. Lo stesso processo (il cui

schema è riportato in Figura 54.26), può essere

utilizzato per rivestire a spessore un master ottenuto

con tecniche RP, raggiungendo spessori idonei a

conferire sufficiente resistenza meccanica. Il materiale

utilizzato è il nickel, in considerazione della durezza,

resistenza, bassa porosità e lunga durata.

L’inconveniente del processo risiede nella lentezza di

deposizione (0,02mm/h) e la difficoltà di penetrazione

entro cavità profonde. Il metodo è molto adatto per

produrre elettrodi per l’elettroerosione a tuffo.

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Figura 54.26 - Schema del processo di elettrodeposizione

modelli e anime per la colata in sabbia: possono

essere realizzati per RP e poi utilizzati come

descritto nel Cap.X, relativo ai metodi colata.

elementi per microfusione: la tecnologia, detta pure

“fusione in cera persa”, anch’essa descritta nel

Cap.X, è un procedimento antico e necessita di un

modello sacrificale in cera identico all’oggetto

finale che si intende ottenere. L’uso del RP (con le

tecniche STL, FDM, SLS, LOM) consente la

fabbricazione diretta dei modelli sacrificali non

richiedendo lo stampo d’alluminio.

54.9 Aspetti economici e produttivi

a tecnologia della prototipazione rapida può

essere considerata a pieno titolo insieme ad altre

tecniche come la reverse engineering, la concurrent

engineering e il quality function development un

mezzo per lo sviluppo rapido del prodotto (rapid

product development). Ciò è dovuto a diversi fattori:

crescita del numero di varianti, riduzione del ciclo

vita, incremento della complessità e contenimento

dei tempi di consegna del prodotto;

crescita esponenziale del costo delle varianti al

procedere dello sviluppo del progetto;

un ritardo di alcuni mesi nell’immissione del

prodotto sul mercato determina una perdita degli

utili di circa il 30%, mentre un incremento del 50%

dei costi di sviluppo causa una perdita trascurabile

(circa il 3-5%);

i tempi di sviluppo degli stampi (5-15 mesi) e dei

prototipi convenzionali (20-30 mesi) sono troppo

elevati.

Nonostante non siano ancora in grado di garantire tutte

le specifiche in termini di tolleranze, rugosità,

caratteristiche meccaniche, le tecniche RP sono molto

promettenti, se si tiene conto che la realizzazione del

modello matematico è finalizzata anche all’analisi FEM,

alla determinazione del percorso utensile ed alla

progettazione degli stampi. Le tecniche RP consentono di

ridurre il time-to-market e di velocizzare lo sviluppo del

prodotto in quanto:

riducono tempi e costi della fase di costruzione del

prototipo;

velocizzano altri stadi di sviluppo;

riducono costose sequenze di iterazioni;

ottimizzano la sequenza delle fasi di sviluppo.

riduzione tempi e costi di prototipazione – la riduzione

dei tempi per la costruzione del prototipo riduce l’intero

tempo di sviluppo. Naturalmente ciò vale solo se la fase di

prototipazione è un fattore critico di sviluppo: se la

fabbricazione del modello richiedesse alcuni mesi,

l’opportunità di risparmiare poche ore sarebbe poco

significativa. La Tabella 54.2 confronta le tempistiche dei

sistemi di prototipazione convenzionale e rapida.

Tabella 54.2 - Confronto tra le tempistiche di produzione

convenzionale (lavorazione CNC) e rapida (stereolitografia)

velocizzazione altre fasi di sviluppo – l’impiego della RP

in alcuni casi può accelerare lo sviluppo di un’operazione

successiva, per esempio se la disponibilità di un modello

fisico permette al progettista di definire più velocemente

gli stampi per la produzione finale (Figura 54.27).

L

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Figura 54.27 - riduzione dei tempi totali di sviluppo

grazie alla RP

riduzione sequenze di iterazioni – i benefici derivanti

da un prototipo nel ridurre rischi, tempi e costi di

iterazione devono essere confrontati con i costi ed i

tempi di realizzazione del modello. Prodotti con un

alto rischio connesso con i costi di iterazione e con

l’introduzione di una nuova tecnologia, traggono

beneficio da un prototipo rapido; prodotti a basso

rischio, in genere non necessitano di un modello

(Tabella 54.3).

Tabella 54.3 - Valutazione costi/incertezze per la fase di

protipizzazione

Far precedere le fasi di costruzione del pezzo e di

verifica con la prototipazione consente di ottenere

probabilità molto alte di eliminare le costose iterazioni

(Figura 54.28)

Figura 54.28 -Riduzione di iterazioni tramite l’adozione di

tecniche RP

Approssimativamente l’80% dei costi di progetto dipende

dalle iterazioni dovute a modifica. Indicando con Cm, Cl e

Cp rispettivamente i costi dovuti a materiale, lavorazione e

preparazione, il costo base del progetto Cx si esprime

come:

Cx = Cm, + Cl + Cp

mentre il costo della variazione può essere espresso come:

Cvar,1 = Cx,1(fvar,1)e

fvar,1 = Cvm/Cvo

essendo:

Cvar,1 = costo della generica variazione

Cx,1 = costo base del progetto

Cvm = valore monetario della modifica

Cvo = valore non monetario della modifica4

e = esponente tabulato

Il costo totale delle variazioni sarà pertanto:

Cvar,tot = a1Cvar,1e1

+ a2Cvar,2e2

+ ... + anCvar,nen

ottimizzazione fasi di sviluppo – alcuni stadi che di solito

sono condotti in modo sequenziale, possono venir

sviluppati simultaneamente. Poiché un prototipo RP può

essere ottenuto con materiali e caratteristiche simili a

quelli del prodotto finale, è possibile avviare alcune fasi

senza dover aspettare necessariamente la disponibilità di

quest’ultimo.

Il fattore tempo rappresenta per l’azienda un elemento

determinante (possibilità di anticipare la concorrenza, di

4 Cvo potrebbe essere, per esempio, l’aumento di lunghezza di una vite,

mentre Cvm in questo caso rappresenterebbe il costo monetario derivante dal tale aumento.

TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 54 -TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 23 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

non incorrere in penali, etc.). Per questo è conveniente

dividere i vantaggi della RP in strategici e produttivi:

- vantaggi strategici:

riduzione tempi/costi di realizzazione modelli

riduzione dei tempi di lancio del prodotto

possibilità di produzione simultanea

rapidità di gestione delle modifiche

capacità di individuare precocemente gli errori

maggior flessibilità

superiore soddisfazione del cliente

maggior competitività

- vantaggi produttivi:

individuazione errori prima di produrre stampi

modelli utilizzabili per fusione in cera persa

riduzione numero attrezzature di prova

modello CAD interfacciabile con CAE e CAM

miglioramento qualità finale del prodotto.

La RP consente di ottenere prodotti più rapidamente ed

economicamente, come mostrato nel grafico di Figura

54.29.

Quando si tende ad uno sviluppo rapido del prodotto,

le correzioni ed i cambiamenti non possono essere

apportati in qualsiasi momento, ma devono essere

concentrati nelle fasi iniziali del processo di sviluppo,

che consiste in:

ideazione

concettualizzazione

progettazione

prototipazione

sperimentazione

ingegnerizzazione,

produzione

commercializzazione

Figura 54.29 - Possibile riduzione di tempi e costi grazie alla

RP

Sul grafico di Figura 54.30, che riporta sia l’impatto dei

cambiamenti sui costi di produzione, sia i costi derivanti

dai cambiamenti, si deve definire il punto di equilibrio A,

oltre il quale non è più conveniente apportare modifiche.

Figura 54.30 - Andamento dell’impatto dei cambiamenti e

dei costi derivanti dai cambiamenti rispetto al ciclo di

sviluppo prodotto

Le tecniche RP dovrebbero quindi essere posizionate alla

sinistra del punto A per sfruttarne appieno le potenzialità.

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