Salvatore Berlingò (già ordinario di Diritto ecclesiastico ...
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“416 bis articolo esclusivo del Codice Penale?Rivelazioni di una dottrina Canonista dell’art.416.bis Aspetti Pratici e Giuridici ”
A cura di
Francesco Angelone
Prefazione - Introduzione - Mafioso e Cristiano sono termini inconciliabili - La Questione Meridionale: embrione della criminalità organizzata? – Aspetti utili di lotta e repressione alla criminalità organizzata
1
Prefazione
In un aspetto complesso e critico verso la realtà Calabrese, ho ritenuto opportuno in virtù degli studi accademici superati con amore e dedizione affrontare uno dei temi più scottanti ed, ahimè, turisticamente strumentalizzato dai media locali e nazionali come colonna portante della amata mia Terra.Sto parlando, nella fattispecie, della Ndrangheta e di tutto il suo sistema assertorio.Obiettivo primario di questo mio breve lavoro umile e diversamente povero rispetto a qualsiasi lavoro accademico è quello di oggettivare l’attenzione sull’art.416 bis, dando a quest’ultimo una lettura non esclusivamente penalistica ma anche Canonistica.Partendo dal Convegno di Studi in Occasione del XXV anniversario della Promulgazione del Codex Iuris Canonici, per poi proseguire al documento Episcopale “Per un Paese Solidale, Chiesa Italiana e Mezzogiorno”, il nostro sarà un breve viaggio che ci porterà non solo a conoscere l’importanza della Chiesa tutta nell’abbattimento di questa grande barriera ma anche di conoscere le viscere di questa piaga.Chiedo scusa se quasi sicuramente ometterò qualche passaggio fondamentale ma la prematura esperienza: vogliatemi perdonare!Nel licenziare le bozze desidero esprimere un sincero Ringraziamento al Professor Faustino de Gregorio, per l’amore regalatomi nelle sue preziose lezioni, chiedo venia anticipatamente se non sarò degno di benemerenza.Un ringraziamento va al Professor Francesco Zanchini di Castiglionchio che con profonda umiltà mi ha regalato preziosi accorgimenti.Iniziato in un momento particolare della mia Vita, la stesura del saggio mi ha accompagnato nelle giornate più tristi, terminando ora in una carica di Gioia.Dedico dunque al Professor Faustino de Gregorio, nel ricordo degli attimi felici passati insieme, luce in un periodo buio della mia Vita.A mio padre ed a mia madre per i tanti sacrifici giunga il ringraziamento più sentito.
F. A.
2
Introduzione
Mi sembra opportuno iniziare a discutere sull’argomento posto in questione
partendo dall’analisi del concetto che la “religione è libera di una libertà
non religiosa perché è più della libertà religiosa”1, in questa frase si possono
osservare in maniera intrinseca le straordinarie aspirazioni culturali,
sociologiche e dottrinali della scienza del diritto Ecclesiastico.
Si parla appunto di scienza in quanto il metodo con il quale il diritto
ecclesiastico si trova a dover interloquire muta con la stessa frequenza del
divenire Eracliteo, fino all’amara consapevolezza che nulla è servito oppure
che ciò che è stato servito non basta.
E’ questa forse la consapevolezza che la Chiesa Romana deve accettare,
ripartire dalle linee guida dettate dal Concilio Vaticano II che non è un
lontano ricordo ma che è vivo, essenziale per gettare via le vesti
conservatrici che per troppo tempo hanno fatto annebbiare la via maestra
della salus animarum.
Per dirla alla Heidegger, Essere e Tempo2 sono elementi inscindibili di
valutazione; nella Lettera sull’Umanismo – scritto polemico contro il saggio
di Sartre intitolato “L’esistenzialismo è un umanismo”, in cui questo
afferma che l’esistenzialismo è una filosofia dove conta principalmente
l’uomo - scrive che non siamo su un piano dove c’è principalmente l’uomo,
ma su un piano dove c’è principalmente l’essere.
L’Essere in questione non è un qualcosa di astratto, come se fosse il dio
della tradizione religiosa: è l’ essere nel suo complesso, cioè la società, il
mondo, le trasformazioni, la tecnologia e noi dobbiamo in qualche modo
1 Mario Tedeschi, Sulla Scienza del Diritto Ecclesiastico, Giuffè, Milano, 2007, p. 742 Gianni Vattimo, Heidegger e la Filosofia della crisi, La Biblioteca di Repubblica ,Roma, 2011, p. 29
3
rispondere a queste chiamate attivamente, assumendoci la responsabilità
storica come singoli, a partire dalla consapevolezza della nostra mortalità.
Mi scuso con il lettore se, da queste mie parole, non appare ancora
concepito il fulcro della trattazione, ma ho ritenuto essenziale soffermarmi
su concetti elementarmente fondamentali; è un ragionamento a ritroso che
se da una parte tende ad evidenziare i doveri della Chiesa dall’altro non può
esimersi dall’analizzare il comportamento dei credenti.
Se, dunque, si accetta che l’essere della società è in continuo divenire è
altrettanto vero che il credente si trova di fronte a vivere la propria
religiosità in maniera differente - in melius o in pejus - da come poteva
viverla in passato.
Nella critica della ragione3, Kant afferma che il piacere del piacevole è
legato ad un interesse, piacevole è ciò che piace ai sensi nella sensazione e
nella ragione, chiamiamo qualcosa di utile quando essa ci piace soltanto
come mezzo; un'altra invece, che ci piace per se stessa, la diciamo buona in
sé. In entrambi è sempre contenuto il concetto di uno scopo.
Sulla base quindi di queste affermazioni il concetto/ oggetto di Dio alle
soglie del XXI secolo che ruolo assume?
E’ un Dio oggetto, o meglio un Dio per buona parte della società credente
utilizzato secondo interesse.
Se prima l’approccio verso Dio incuteva una sorta di timore referenziale
del credente, vittima e carnefice del giudizio universale, adesso questo
lascia spazio al Santo Rosario digitale, alla applicazione iphone/ipad a
tema.
3 Gianni Vattimo, Estetica Moderna, Il Mulino, Bologna, 1977, pp. 62 e ss.4
Che l’innovazione stia dando un contributo importante è fuori discussione;
va bene anche richiamare la tecnologia per le forme più disparate di
preghiera, purché sia vera preghiera.
E’necessario, tuttavia, che la libertà individuale del Credo sia
indissolubilmente guidata dai cardini Biblici, fonte prima da dove far partire
il cammino verso la salus animarum.
La Genesi4 parla chiaro: l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio,
ma appare evidente come nel passare del tempo sia l’uomo a fare di Dio la
propria somiglianza, c’è chi lo crede e ne rispetta a pieno i dogmi, c’è chi lo
crede apparentemente, c’è chi non lo crede.
Sulla prima ( il vero credente ) e sulla l’ultima fattispecie ( il non credente)
ritengo che ci sia molto da dire ma non è il caso di trattare l’argomento in
questa sede, tengo piuttosto a soffermarmi sul credente apparente, quel
credente che credendo in Dio lo utilizza, quasi come scudo crociato
addirittura per compiere del male: sto parlando dei Boss Calabresi, sto
parlando di Ndrangheta.
4 Genesi 1: 26-275
Il 24 - 25 Gennaio 2008, nell’aula del Sinodo in Vaticano, si è svolto un
Convegno di studi in occasione del XXV anniversario della Promulgazione
del Codex Iuris Canonici5.
Durante tale convegno di studi l’attenzione si è soffermata principalmente
sul ruolo che lo stesso Codex Iuris Canonici ha assunto nel corso del tempo
all’interno della società cattolica e non.
Di importanza notevole è stato l’intervento dell’ Em.mi Card. Julián
Herranz, il quale, ricordando le parole di Giovanni Paolo II, ha evidenziato
il ruolo del Codex Iuris Canonici; àncora risolutoria alla crisi attraversata
dalla Chiesa.
Il Codice del 1983 è stato una vera e propria pietra miliare nella vita del
completamento metodologico del Diritto Canonico.
Nella fattispecie astratta, il Codice Canonico corrisponde in pieno alla
natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal Magistero del
Concilio Vaticano II.
Spina dorsale dell’intero Codice Canonico è il Canone 2046 che riporto in
seguito:“I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo
mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi
nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo,
sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la
missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.”
Sulla scia di questo ultimo dettato può dirsi basare l’intero assetto della
Chiesa Romana e della Cristianità tutta.
Non va dimenticato, nel corso di questo mio empio lavoro, l’intervento del
Card. Giovanni Battista Re il quale, recuperando la costituzione dogmatica
5 pubblicato ufficialmente nel 15826 Codice Diritto Canonico
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Lumen Gentium7, ha esordito durante il convegno di studi affermando che la
cattolicità non si nutre soltanto della comunione per così dire verticale tra le
singole Chiese particolari e la Chiesa Universale e il Successore di Pietro,
ma anche della comunione orizzontale che lega le diverse Chiese Particolari
fra di loro.
Non da meno il teologo Karl Barth8 definiva il diritto della Chiesa un diritto
esemplare.
Gli interventi stabiliti dal Concilio Vaticano II9, la quale riflessione si
addentra sul valore ecumenico, di apertura cioè della Chiesa Cattolica nei
confronti delle altre Chiese, sono riportati interamente all'interno della
Conferenza episcopale italiana sul Mezzogiorno conclusasi con la stesura
del documento :“Per un paese solidale. Chiesa Italiana e Mezzogiorno”,
datato 21 Febbraio 2010.
Attraverso la Conferenza Episcopale Italiana sul Mezzogiorno, svoltasi ad
Assisi, i vescovi riuniti per la loro sessantesima assemblea hanno potuto
discutere in maniera costruttiva dei problemi e delle prospettive che
riguardano la gente partendo non da un clima continuamente polemico
bensì da istituzioni educative come la famiglia e la scuola in un ambiente
soprattutto martoriato come quello del Mezzogiorno.
Riprenderà il documento “Per un paese solidale. Chiesa Italiana e
Mezzogiorno” che non è possibile mobilitare il Mezzogiorno senza che esso
si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie
energie.
7 21 novembre 19648Karl Barth ( Basilea, 10 maggio 1886 – 10 dicembre 1968 ) fu un teologo ed un pastore riformato svizzero, considerato il più importante teologo riformato dai tempi di Giovanni Calvino.9 Si svolse in nove sessioni e in quattro periodi, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI. Promulgò quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti.
7
La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi
dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato
di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico
del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una
forte limitazione, se non addirittura al coma vegetativo, dell’autorità dello
Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della
collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro,
manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema
delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio
nazionale.
«La mafia sta prepotentemente rialzando la testa», hanno denunciato i
Vescovi della Calabria. «Di fronte a questo pericolo, si sta purtroppo
abbassando l’attenzione. Il male viene ingoiato. Non si reagisce. La società
civile fa fatica ed ha paura – aggiungo - a scuotersi. Chiaro per tutti il giogo
che ci opprime. Le analisi sono lucide ma non efficaci. Si è consapevoli ma
non protagonisti».
In questa situazione, la Chiesa è giunta a pronunciare, nei confronti della
malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente
evangeliche, come “peccato”, “conversione”, “pentimento”, “diritto e
giudizio di Dio”, “martirio”, le sole che gli permettono di offrire un
contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e
civile10.
Queste parole sono state proferite con singolare caparbietà da Giovanni
Paolo II il 9 maggio 1993, nella Valle dei Templi, presso Agrigento e,
mostrando una straordinaria forza profetica, sono state capaci di dare 10 Cfr. per tutti sul punto Francesco Zanchini di Castiglionchio, “ Su alcuni episodi ricorrenti di infiltrazione criminale a margine di espressioni collettive della pietà popolare nel Mezzogiorno”, Rivista Telematica Stato e Chiese, Ottobre 2011.
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visibilità alla testimonianza di quanti hanno fatto, in questi ultimi vent’anni,
della resistenza alla mafia.
E’ doveroso ricordare i numerosi testimoni immolatisi per la sete di
giustizia:magistrati, forze dell’ordine, politici, sindacalisti, imprenditori e
giornalisti, uomini e donne di ogni categoria.
Le comunità cristiane del Sud hanno visto emergere luminose
testimonianze, come quella di don Pino Puglisi11, di don Giuseppe Diana12 e
del giudice Rosario Livatino13, il giudice Antonino Scopelliti14,il giudice
Giovanni Falcone15 e Paolo Borsellino16, i quali − ribellandosi alla
prepotenza della malavita organizzata soprattutto proponendo
effettivamente e non solo discutendo sui salotti televisivi − hanno vissuto la
loro lotta in termini specificamente cristiani:consegnandosi con
consapevolezza nelle mani Dio.
Si deve riconoscere che le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la
lezione di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia.
La testimonianza di quanti hanno sacrificato la vita nella lotta o nella
resistenza alla malavita organizzata rischia così di rimanere un esempio
isolato.
Solo l’annuncio evangelico di pentimento e di conversione, in riferimento al
peccato-mafia, è veramente la buona notizia di Cristo che non può limitarsi
alla denuncia, perché è destinato a incarnarsi nella vita del credente.
11Nacque a Palermo il 15 Settembre 1937 e morì sempre a Palermo il 15 Settembre del 1993.12Nacque a Casal di Principe il 4 luglio 1958 e morì sempre a Casal di Principe il 19 Marzo del 199413Nacque a Canicattì il 3 Ottobre 1952 e morì ad Agrigento il 21 settembre del 1990.14Nacque a Campo Calabro il 20 Gennaio 1935 e morì a Piale il 9 Agosto del 1991. 15Nacque a Palermo il 20 Maggio del 1939 e morì sempre a Palermo il 23 Maggio del 1992.16Nacque a Palermo il 19 Gennaio 1940 e morì sempre a Palermo il 19 Luglio del 1992.
9
Le giustificazioni a tale piaga sembrano essere le condizioni di povertà, la
disoccupazione in cui vivono determinate zone del Sud, in special modo
della Calabria, dove giovani senza mestiere e anziani padri di famiglia per
sfamare la propria famiglia si arruolano in cosche mafiose per venire
retribuiti mensilmente, costi quel che costi, anche mettendo a repentaglio la
propria Vita.
E’ durissimo ammetterlo, ma l’antico posto fisso di lavoro sta diventando
quello di affiliarsi a tali soggetti criminosi, i quali, sfruttando la mancanza
di possibilità di lavoro onesto si arricchiscono sempre più facendo perdere
la Vita in Cristo e dentro Cristo, allontanando cioè quell’Io spirituale che
accomuna tutta l’Umanità, sia essa di qualsiasi origine religiosa.
Per cercare si soccombere a tale piaga la Chiesa ha sostenuto diversi
progetti di aiuto sociale, soprattutto giovanili.
Tra i tanti mi sento obbligato a soffermarmi sul Progetto Policoro promosso
dalle diocesi di Calabria, Basilicata e Puglia, a cui si sono uniti
successivamente le diocesi di Campania, Sicilia, Abruzzo - Molise e
Sardegna, con l’intento di affrontare il problema della disoccupazione
giovanile, attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro,
promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità giovanile e costruendo
rapporti di reciprocità e sostegno tra le Chiese del Nord e quelle del Sud.
Il “Progetto Policoro” costituisce una nuova forma di solidarietà e
condivisione, che cerca di contrastare la disoccupazione, l’usura, lo
sfruttamento minorile e il “lavoro nero”.
I suoi esiti sono incoraggianti per il numero di diocesi coinvolte e di
imprese sorte, per lo più cooperative, alcune delle quali lavorano con terreni
e beni sottratti alla mafia.
10
Non sono mancati gli appelli dell’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova,
Vittorio Luigi Mondello, presidente della Conferenza episcopale calabra,
“si continua a parlare della questione meridionale ma molti non sono
convinti che essa esita davvero. Di fatto è un problema che si è sempre
posto e non si è mai risolto. Ma la soluzione non sta certo in quello che si è
tentato di fare finora: imitare il Nord! È una via che lascia il Sud sempre più
povero e non valorizza le sue ricchezze”.
Sulla base di quanto detto all’uopo sento la necessità di arrivare al cuore
della discussione di questo saggio, in particolare come la chiesa condanni
l’opera dei mafiosi – camorristi - 'ndranghetisti.
Partendo da un’analisi attenta, sottopongo alla vostra attenzione un articolo
di Famiglia Cristiana n.4 del 31-1-99 secondo il quale la Chiesa si è fatta
sempre più chiara e conflittuale contro ogni tipo di mafia.
Mafioso e cristiano sono termini inconciliabili.
Chi appartiene all’organizzazione mafiosa, dal livello più basso al più alto,
è da considerarsi pubblico peccatore. Come tale, è escluso dalla comunione
con la Chiesa e non può essere ammesso ai sacramenti - come previsto dal
Codice Canonico 843,117 fino a che non si pente e cambia vita.
La mafia, in quanto organizzazione criminale, va individuata e combattuta
dagli organi dello Stato.
Ma la mafia non è solo organizzazione criminale, è anche una mentalità e
un costume di vita adottato da moltissimi che mafiosi non sono: omertà,
illegalità, tornaconto personale, protezionismo ed, a mio avviso, un po’
17 I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano ben disposti e non ne abbiano dal diritto la proibizione di riceverli.
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forse troppo pungente, blasfemia di una cristianità che esiste esclusivamente
nella mentalità contorta.
Basti pensare ad esempio al battezzo con il quale vengono affiliati gli
aspiranti mafiosi: intrecci di formule religiose utilizzate come forme di
protezione per il lavoro becero che verrà svolto in futuro.
Nel dettaglio, l'iniziato nella 'Ndrangheta18 si definisce “contrasto onorato”
e quando diventa Picciotto d'onore deve compiere il rito di battesimo (o
anche rito di rimpiazzo o rito di taglio della coda), nome preso dalla
tradizione cristiana che lo farà entrare nella onorata società.
Un affiliato, il quale garantisce per lui con la vita, lo presenta davanti agli
altri componenti della ‘ndrina che devono essere almeno 5 più un anziano
della famiglia che celebrerà il rito.
Ed ancora, il capobastone dirà:”Calice d’argento, ostia consacrata, parole
d’omertà è formata la società”.
Il Contrasto Onorato viene presentato dal suo garante al Capo - Società che
affermerà: « Prima della famiglia, dei genitori, dei fratelli, delle sorelle
viene l’interesse e l’onore della società; essa da questo momento è la vostra
famiglia e se commetterete infamità, sarete punito con la morte. Come voi
sarete fedele alla società, così la società sarà fedele con voi e vi assisterà nel
bisogno, questo giuramento può essere infranto solo con la morte. Siete
disposto a questo? ».
Il contrasto onorato è anche chiamato a giurare nel nome di “ Nostro
Signore Gesù Cristo”.
18 Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Fratelli di Sangue, Pellegrini, Cosenza, 2006,pp. 238 e ss.12
Dovrà giurare con la figura di San Michele Arcangelo tra le sue mani
mentre brucia e dovrà pronunciare le seguenti parole: “Io giuro dinanzi a
questa società di essere fedele con i miei compagni e di rinnegare padre,
madre, sorelle e fratelli e se necessario, anche il mio stesso sangue”.
In un articolo de “La Stampa” del 20 maggio 2008 l’autore Francesco La
Licata scrive: «Gesù io confido in te». E così recitavano, scolpiti sull’effigie
di Cristo in croce, i 73 santini – tutti uguali - trovati addosso al padrino
Bernardo Provenzano, insieme alla copiosa produzione di «pizzini», quando
fu catturato a Montagna dei Cavalli.
Già, «pizzini» e religione: un tema – quello della «simbologia ossessiva» e
del richiamo a Dio - che molto ha fatto discutere.
La magistratura ha addirittura affidato ad un sacerdote «specializzato»
l’analisi della produzione epistolare di Provenzano, comparata con
l’utilizzazione - in chiave di comunicazione - che il mafioso faceva delle
Bibbie trovate nel suo nascondiglio.
Nel libro “La Mafia devota” l’autrice Alessandra Dino afferma che
l’enigma Provenzano è soltanto una tappa di approfondimento di un
fenomeno antico e ben più vasto e radicato nel tempo; due mondi che nulla
dovrebbero avere in comune e che, invece, sembrano andati avanti come
due rette parallele che più di una volta si sono incrociate in uno scenario di
lotta ed assassinio frutto di un Dio riprodotto a propria immagine e
somiglianza, inscritto in un universo religioso totalizzante19diverso
sicuramente da quello posto dal Prof. Piero Bellini.
19 Faustino de Gregorio, Omnis potestas a Deo tra romanità e cristianità, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 136 e ss.13
La Questione Meridionale: embrione della Criminalità
Organizzata?
Secondo alcuni studiosi, la parola Mafia può derivare dal grido di battaglia
adottato da alcuni gruppi di ribelli durante i vespri siciliani del 1282 a
Palermo, con il significato di Morte alla Francia Italia Anela.
Altri definiscono il termine con etimologiche diverse, c’è chi lo fa derivare
dalla parola araba Ma-Hias ( spacconeria) o da Mu’afak ( protezione dei
deboli).
Nell’aprile del 1865 l’associazione malandrinesca o mafia viene
menzionata in un documento riservato firmato dal prefetto di
Palermo,Filippo Gualterio e nel 1871 una legge di pubblica sicurezza si
riferisce a “ oziosi,vagabondi,mafiosi e sospetti in genere”.
La storia della Mafia è ricca di insidie nel campo storico, l’originaria
struttura la vede prima costituirsi in una sorta di associazione o comunità di
sangue volta all’aiuto e alla solidarietà verso i deboli ed i meno fortunati.
Per meglio apprendere, il contesto utile da richiamare alla mente è quello
della cosiddetta “Questione Meridionale”.
La storia della questione meridionale comincia ad essere tracciata tra la fine
dell’800 e l’inizio del’ 900, quando quello del Sud si è ormai collocato tra i
problemi nazionali di maggior rilievo.
Un elemento assai utile per la comprensione del particolare svolgersi della
questione meridionale è stato così indicato nel nascere e nel primo
svilupparsi, nell’ambito della questione sociale, del ribellismo popolare.
Le rivolte contadine che si susseguirono nel Sud tra il 1860 e il 1870
appaiono allora una prima sia pur non massiccia espressione di lotta di
14
classe20; il brigantaggio,una guerriglia degli oppressi e non solo il prodotto
della reazione borbonica e del malandrinaggio21; i Fasci siciliani, un
tentativo di organizzazione politica della protesta.
Nel periodo precedente all’unità, il Nord aveva avuto uno sviluppo
industriale che per quanto limitato, accennava già decisamente a
concentrare nelle fabbriche alcune tra le più importanti produzioni.
Nel Sud questo processo era appena agli inizi e salvo casi sporadici,
nonostante la più grande estensione territoriale del mercato delle Due Sicilie
, i risultati non sembravano molto incoraggianti.
Non si trattava soltanto di due differenti fasi di sviluppo industriale: era
tutto l’ambiente economico e sociale del Sud che differiva profondamente
da quello del Nord.
La rovina dell’industria a domicilio contribuisce non poco a far cadere il
Mezzogiorno in uno stato di marasma non solo industriale ma anche
agricolo.
La separazione tra agricoltura e industria si viene compiendo nel Sud, come
nel Nord, e crea uno stato di disagio e di squilibrio nelle aziende contadine,
che si vedono private di una delle loro risorse più importanti.
Ma mentre al Nord la scomparsa dell’industria a domicilio si trova più che
compensata dallo sviluppo di una grande industria, che impegna crescenti
masse di mano d’opera, il Sud soggiace ad un processo di vera e propria
regressione, e la massa di lavoro che le popolazioni contadine impegnavano
in altri tempi rimane inutilizzata.
Sulla scia di questo paesaggio, i moti contadini di carattere economico
-sociale vennero da principio orientati dalla reazione politica, ma il rapporto 20 Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane, Oriente, Milano, 1966, pp. 388 e ss.21 Franco Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli, Milano, 1966, pp. 14 e ss.
15
dialettico tra politica e contenuto sociale del brigantaggio si risolse ben
presto in un netto prevalere del secondo sulla prima.
E’ difficile perciò negare al Brigantaggio il carattere di movimento di
classe.
Il movimento contadino postunitario del Mezzogiorno, in certe sue
ispirazioni si rifà alla situazione economico-sociale precedente ai
mutamenti di carattere strutturale collegati alla formazione del mercato
capitalistico nazionale ed al travaglio economico dell’unificazione.
I salariati-briganti aspiravano soltanto al pane, alla libertà e alle vendette,
come forma di rozza giustizia, mossi da impulsi distruttivi.
Il Brigantaggio si presenta, perciò, come una manifestazione
estrema,armata, di un movimento rivendicativo e di protesta che si eleva
fino a rozze forme di lotta di classe, da parte di una classe contadina
arretrata,con forti sopravvivenze feudali, e che si potrebbe definire,
nell’insieme, economicamente sottosviluppata anche nel secolo XIX.
Sotto il profilo politico militare, non si centralizzava mai e non conduceva
mai grandi azioni di masse considerevoli con obiettivi strategici e politici.
Tuttavia, se il brigantaggio non è una guerra contadina contro lo Stato
Unitario, non è soltanto una reazione alla repressione statale.
Infatti in esso appaiono combinati indivisibilmente sia la protesta armata
contro gli eccessi repressivi delle forze statali e contro i gravami imposti
dallo Stato unitario, sia l’uso della violenza armata per vendicare le
sopraffazioni e i tradimenti dei galantuomini e, soprattutto per estorcere ai
proprietari una aliquota della rendita agraria negata sistematicamente.
Indubbiamente le azioni brigantesche e gli orientamenti delle masse
contadine che sostenevano le bande apparivano in una certa
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misura,condizionate dall’influenza della parte antiunitaria , o
potenzialmente trasformista della borghesia agraria.
Però dove il movimento contadino era più forte, l’influenza dei possidenti
era minore e questa influenza va generalmente decrescendo via via che il
brigantaggio persisteva.
Alla fine, anche quella parte della borghesia agraria che tentava di
controllare il brigantaggio per i propri scopi finisce, nel suo insieme, per
affidare alle forze statali la propria salvezza.
In quella lotta disperata, condotta in forme rozze e primitive, corrispondente
alla loro arretratezza e alla loro insufficiente maturità politico e sociale, i
contadini meridionali dettero prova di combattività e di energie indomite
che, dopo la sconfitta, si riversarono sulle anguste vie dell’emigrazione.
Indubbiamente, tra i briganti non pochi furono quelli che la miseria,
l’ignoranza, la mancanza di un lavoro certo e anche gli istinti perversi,
spinsero al malaffare e a porsi fuori dalla legge comunemente accettata per
soddisfare ciechi impulsi di vendetta e di rapina; andò cosi nascendo la
criminalità organizzata.
La Chiesa in Italia ha sempre, seppure in modi diversi, condiviso le sorti
della popolazione nelle varie parti del Paese, fedele alla sua missione
pastorale.
Ciò segnala in particolar modo come il processo unitario abbia avuto una
sua incidenza sul modo di comprendersi della Chiesa in relazione al
territorio e all’Italia, e sul modo di rapportarsi delle sue componenti,a
cominciare dagli stessi vescovi.22
22 Luigi Sturzo, Politica di quest’anni. Consensi e Critiche, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2003, pp. 321 e ss.17
E’ indiscussa un’influenza della tradizione cattolica degli italiani sul senso
stesso di italianità e sullo sviluppo del processo di unificazione.
La questione meridionale si configura in un ambito non secondario in cui la
Chiesa23 segnala un’ apporto significativo al cammino di unificazione della
nazione, in rapporto al fermento sociale suscitato nel tempo.
Nasce, poco dopo più di un decennio l’Unità,l’Opera dei Congressi, ma
nasce anche una rete di organismi cattolico-sociali profondamente legati
alla base parrocchiale cattolica e all’organizzazione ecclesiastica con
l’effetto di inserimento di generazione di contadini, piccoli proprietari
agricoli,artigiani,lavoratori delle manifatture rurali, piccoli borghesi delle
città.24
La distanza che si era formata tra Nord e Sud non aveva interessato
inizialmente gli stessi vescovi delle regioni meridionali tenuto conto che la
nomina dei vescovi del Nord avveniva spesso per le diocesi del Sud.
Si deve arrivare al secondo dopoguerra per incontrare le prime autorevoli
prese di posizione.
Il primo documento è dei Vescovi pugliesi25 sui problemi della popolazione
della Regione.
Porta la data del 19 Giugno 1945 un documento dei vescovi di Calabria in
cui si chiede un nuovo ordinamento sociale.
Il 25 Gennaio 1948 è il documento dell’Episcopato dell’Italia Meridionale
su “ I problemi del Mezzogiorno” redatto dall’arcivescovo di Reggio
Calabria,Antonio Lanza26.
23 Bruno Pellegrino, Vescovi Borbonici e Stato liberale, Laterza, Bari, 1992, pp. 6 e ss.24 Guido Formigoni, L’Italia dei Cattolici. Dal Risorgimento a oggi, Il Mulino, Bologna, 2010,p. 45 .25 Per la rinascita delle popolazioni Pugliesi,Lecce,27-28 aprile 1944.26 Citazione tratte da Giorgio Rumi, Questione meridionale e questione settentrionale nella riflessione dei vescovi italian,p. 425, cit. in V. De Marco, Vescovi del Sud per i problemi del Sud nel secondo dopoguerra .
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Pur non avendo raggiunto l’obiettivo esso presenta una posizione ecclesiale
organica sui problemi del Mezzogiorno incentrata sulla ricostruzione di un
ordine sociale giusto.
La motivazione che spinge la Chiesa è quella di non rimanere inerti di
fronte alla persistente miseria di alcune classi del popolo, alla precarietà
della vita, all’evidente ingiustizia di alcune forme contrattuali e soprattutto
all’insufficienza di alcune strutture economiche.
Sulla scia del documento del 1948 e in seguito alla riforma agraria del 1950,
i Vescovi lucani e pugliesi fondano nel 1952 la Charitas socialis27, una
sorta di comitato per l’assistenza religiosa, morale ed educativa verso le
popolazioni più disagiate.
Ci si ritrova cosi faccia a faccia ad un nuovo meridionalismo della Chiesa
locale volto alla lotta della criminalità in tutte le sue forme.
27 Roberto Pasquale Violi, La Chiesa e il Mezzogiorno in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, Rubettino, Soveria M. ( CZ), 2003, p. 498.
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Aspetti utili di lotta e repressione alla criminalità organizzata:
Scomunica Latae Sententiae
Nuove proposte
“La scomunica dei mafiosi e' latae sententiae, cioe' automatica”, osserva
Vincenzo Noto, prete giornalista, direttore di Novica. “Non occorre,
dunque, un pronunciamento formale, come una condanna o una
incriminazione della magistratura”.
La scomunica e' una sanzione che colpisce lo spirito, una questione privata
tra il mafioso e Dio.
Essendo messo al bando dalla Chiesa, il boss scomunicato non può sposarsi,
non può fare la comunione, non può ricevere il battesimo né partecipare a
tutte le attività della comunità cristiana né riceve l’estrema unzione.
Inutile prendere in giro il sacerdote, nascondendogli la qualità di uomo
d'onore.
I sacramenti estorti con l' inganno non hanno alcun valore.
La scomunica - spiega Vincenzo Noto - e' reversibile e per cancellarla basta
il pentimento quello vero, quello cristiano.
In Calabria Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, ex vescovo di Locri -
Gerace, una delle zone a più alta densità di omicidi per criminalità
organizzata d’Italia, aveva preso carta e penna ed aveva inviato una lettera a
tutti i parroci della diocesi con la quale bandiva dalla Chiesa coloro che
commettono violenze, sparano e uccidono e fanno abortire la vita dei
giovani.
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"Condanno – scriveva il vescovo - nel più forte dei modi questa ripetuta
violazione della santità della vita nella Locride. La condanno con la
scomunica”.
Quella stessa scomunica che la Chiesa lancia contro chi pratica l’aborto, in
applicazione estensiva del Canone 139828 è ora doveroso, purtroppo,
lanciarla contro coloro che fanno abortire la vita dei nostri giovani
uccidendo e sparando sulle nostre terre, avvelenando i nostri campi, perché
sentendo questa grave sanzione giuridica tutti di certo prenderemo sempre
più coscienza del tanto male che ci avvolge, per poi saper reagire con
fermezza e ulteriore impegno nel bene, nella difesa della vita, nella
preghiera sempre più intensa per chi fa il male, nella formazione in
parrocchia, seminando speranza nelle scuole, negli oratori, nei gruppi
ecclesiali.
Sulla base di quanto detto ritengo doveroso affermare, in ultima mia analisi,
che l’esercizio svolto da parte della Chiesa appare lento e faticoso oltre che
premuroso e definito nell’essere insieme allo Stato Italiano collaboratore in
primo piano alla lotta alla criminalità organizzata.
Non è difficile appurare come, all’interno dello stesso codice canonico
sopracitato, sarebbe opportuno indicare i delitti compiuti dalla criminalità
organizzata, per dare maggiore forza e risposta alla lotta di questa piaga in
quanto la stessa Chiesa è chiamata a rispondere non solo perché vengono
compiuti atti ignobili, e mi ricollego qui alla salus animarum29, ma anche
28 Chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae29Faustino de Gregorio, Argomenti di Storia e diritto canonico: approfondimenti concettuali di alcuni istituti del diritto canonico e di storia del diritto, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 10 e ss.
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perché la criminalità organizzata si serve di fattori cristiani quasi
giustificatori o, oserei dire, quasi protettori di un sistema ignobile.
A mio modesto avviso, la Chiesa dovrebbe prendere spunto dall’opera
compiuta dallo Stato il 13 Settembre 1982 tramite la legge 646, detta
“Rognoni- La Torre, con il quale si introduceva per la prima volta il reato
per associazione mafiosa previsto dall’art.416 bis30 c.p.
Quando dico potrebbe prendere spunto dalla Stato non vuole dire che essa
dovrebbe copiare o tanto meno sostituirsi ad esso, ma camminare in
simbiosi con gli organi istituzionali per dare quella maggiore forza alla lotta
alla criminalità organizzata.
E’ opportuno, contrariamente a quanto afferma Don Noto, evidenziare il
dovere pastorale di una scomunica pubblica del mafioso, è necessario
abbandonare le vesti di Don Abbondio per indossare quelle di fra
Cristoforo;esempio può essere eliminare e denunciare a testa alta le tappe
svolte sotto le abitazioni dei mafiosi durante le processioni .
Sarebbe un sogno se queste procedure, lette nella stessa chiave ecumenica
del Concilio Vaticano II, fossero applicate da tutte le Chiese per la lotta alle
varie criminalità organizzate che soffocano la società giusta che a stento
riesce ad alzarsi.
30 Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.
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In un incontro tra Gianni Vattimo e Reneè Girard è profondissima la
consapevolezza comune e rara che, nel momento in cui si trova la verità,
ci si trova d’accordo, si realizza la Caritas; nel contesto calabrese una delle
tante verità è che esiste la Ndrangheta, quindi, partendo dalla condivisione
ontologica del problema, ritengo siano innumerevoli gli spunti di
riflessione.
Durante questa ricerca sono apparsi evidenti problemi dottrinali e le strade
da percorrere sembrano tortuose ma, consapevolmente, sento di affermare
che l’unico certo traguardo sia quello della Speranza.
Nella fattispecie, Gioacchino da Fiore31 con la metodologia a lui congeniale,
pone in evidenza come la salvezza degli eletti è data dalla volontà salvifica
di Dio e quindi dalla risposta dell’uomo alla grazia divina,la quale potenzia
le risorse del libero arbitrio.
Il libero arbitrio, in realtà, è per così dire l’espressione della capacità della
grazia che salva, alla stessa maniera in cui l’occhio riceve la luce, o i vasi
accolgono il dolce miele delle api.
31 Francesco D’Elia , Gioacchino da Fiore “Un Maestro della civiltà Europea”, Rubettino, Soveria M. ( CZ), 1993, pp. 52 e ss.
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