2.Oncologia - 8.10.14 - Approccio Al Paziente Oncologico

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08/10/2014 (Sono state aggiunte informazioni presenti nella sbobinatura del 2013 ma non dette quest’anno dal prof). APPROCCIO AL PAZIENTE ONCOLOGICO Nell’approccio al paziente oncologico, dobbiamo imparare a capire quali sono i momenti nella storia di una malattia; questo è molto importante e quando farete tirocinio dovrete imparare a guardare le cartelle cliniche e a capire in quale momento della storia della malattia ci troviamo (fase di terapia, fase di osservazione, fase decisionale…). Ci sono dei momenti, dei checkpoint, in cui bisogna prendere una decisione su cosa fare. Vedremo come si costruisce un percorso, cioè cosa vuol dire una linea guida e su che basi prendiamo una decisione. Iniziamo a vedere come si inquadra il paziente neoplastico, cioè cosa dobbiamo fare per gestire questo tipo di paziente. L’inquadramento del paziente neoplastico è diviso in una serie di momenti, che sono: 1. la valutazione della malattia; 2. la valutazione del paziente; 3. la scelta del trattamento; 4. la ristadiazione; 5. Checkpoints successivi. Valutazione della malattia La valutazione della malattia, ovvero come facciamo a dire che quel paziente ha una neoplasia. Di ogni paziente dobbiamo conoscere fondamentalmente due cose: la diagnosi, che è sempre una diagnosi istologica ; l’unico caso in cui si può parlare di paziente neoplastico, quindi si può fare una diagnosi, in assenza dell’esame istologico, è quello della malattia trofoblastica gestazionale. Poiché

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08/10/2014

(Sono state aggiunte informazioni presenti nella sbobinatura del 2013 ma non dette quest’anno dal prof).

APPROCCIO AL PAZIENTE ONCOLOGICO

Nell’approccio al paziente oncologico, dobbiamo imparare a capire quali sono i momenti nella storia di una malattia; questo è molto importante e quando farete tirocinio dovrete imparare a guardare le cartelle cliniche e a capire in quale momento della storia della malattia ci troviamo (fase di terapia, fase di osservazione, fase decisionale…).Ci sono dei momenti, dei checkpoint, in cui bisogna prendere una decisione su cosa fare.Vedremo come si costruisce un percorso, cioè cosa vuol dire una linea guida e su che basi prendiamo una decisione.

Iniziamo a vedere come si inquadra il paziente neoplastico, cioè cosa dobbiamo fare per gestire questo tipo di paziente.L’inquadramento del paziente neoplastico è diviso in una serie di momenti, che sono:

1. la valutazione della malattia;2. la valutazione del paziente;3. la scelta del trattamento;4. la ristadiazione;5. Checkpoints successivi.

Valutazione della malattiaLa valutazione della malattia, ovvero come facciamo a dire che quel paziente ha una neoplasia. Di ogni paziente dobbiamo conoscere fondamentalmente due cose:

la diagnosi, che è sempre una diagnosi istologica; l’unico caso in cui si può parlare di paziente neoplastico, quindi si può fare una diagnosi, in assenza dell’esame istologico, è quello della malattia trofoblastica gestazionale. Poiché molte volte l’esame istologico non è sufficiente dato che le malattie neoplastiche sono molto eterogenee anche nell’ambito di neoplasie apparentemente molto simili, l’istologia va integrata sempre più spesso con dati di caratterizzazione molecolare: oggi abbiamo una serie di biomarcatori che ci guidano nella scelta della terapia. Da quanto detto, emerge che è fondamentale una stretta collaborazione tra il laboratorio di anatomia patologica e quello di genetica molecolare.La diagnosi istologica si effettua per confermare un sospetto diagnostico, che può derivare dalla presenza di segni o sintomi (che spesso possono essere molto lievi e sfumati) o dal referto di un esame strumentale eseguito per altri motivi. Il prof mostra varie immagini, fra cui foto di neoplasie del cavo orale e un’RX toracica di un paziente con neoplasia del polmone; si vede un’area di atelettasia1, una massa e un’area di

1 L'atelectasia di un organo è la sua mancata distensione. In particolare si parla di atelectasia polmonare, cioè una zona di polmone priva d'aria, che non si espande.

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linfangite2; questo è proprio il quadro tipico di una neoplasia primitiva del polmone. Pur avendo un quadro estremamente suggestivo di neoplasia polmonare, questo rimane solo un sospetto diagnostico che dovrà poi essere confermato dall’esame istologico…come detto prima, la diagnosi delle malattie neoplastiche non può prescindere dall’istologia.Dovremo quindi fare una biopsia che ci permetterà di arrivare ad una definizione diagnostica; per molti anni si è cercato di rendere il prelievo bioptico meno invasivo e traumatico possibile; oggi invece la priorità è data ad avere delle biopsie quanto più rappresentative possibile; questo perché molto spesso abbiamo la necessità di affiancare all’esame morfologico del tessuto anche l’esame molecolare, e quest’ultimo richiede una certa integrità del tessuto. Alla luce di quanto detto, di capisce come mai si ricorre sempre di meno all’uso dell’ago aspirato e sempre di più alla biopsia con ago tracciante che, se condotta bene, permette un campionamento assolutamente più ricco.

la stadiazione. Parlando della malattia neoplastica, la diagnosi non è l’unica cosa che dobbiamo conoscere; l’altra è la stadiazione. Esistono dei criteri di stadiazione delle neoplasie, che variano da una neoplasia all’altra sia in termini di stadiazione locale sia di stadiazione a distanza, sulla base delle caratteristiche biologiche della malattia. La stadiazione3 è la definizione della estensione anatomica della neoplasia (malattia d’organo, malattia localmente avanzata, malattia disseminata…).Come ogni altro atto diagnostico, anche il processo di stadiazione deve seguire una logica e viene razionalizzato nell’ambito di specifiche linee guida al fine di poter sfruttare al meglio le risorse sanitarie disponibili, evitando atti diagnostici inutili e risparmiando quindi sulla diagnostica più che sulla terapia. Ad esempio, una scintigrafia ossea può essere utile per stadiare i tumori che metastatizzano frequentemente alle ossa (es: carcinoma della prostata o della mammella), soprattutto se il paziente lamenta dolori ossei; sarà invece non indicata in un paziente con cancro dell’ovaio, dato che questo metastatizza all’osso molto raramente.Il TNM4 (T=Tumor; N=Nodes; M=Metastasis) è uno dei principali sistemi di stadiazione ma non è utilizzabile in tutte le neoplasie (per esempio i linfomi, in cui non è presente il tumore primitivo); quindi neoplasie diverse potrebbero avere metodi di stadiazione diversi.

Valutazione del paziente

2 Per linfangite si intende qualunque malattia (o altro evento morboso) che interessa i vasi linfatici (nella pratica la quasi totalità delle cause di un loro interessamento patologico è da collegarsi ad un evento di tipo infettivo).

3  Stadiazione: determinazione dello stadio, cioè della fase di svolgimento o di sviluppo, di una malattia. 4 La classificazione TNM dei tumori maligni è un sistema di classificazione dei tumori internazionale, a partire da cui si può ricavare lo stadio della malattia. Ogni tumore viene classificato attraverso questa sigla, che ne riassume le caratteristiche principali, contribuendo a determinare la stadiazione, da cui deriveranno, insieme ad altri fattori, le scelte terapeutiche e la prognosi (probabilità di guarigione) associata. A partire dalla conoscenza dei parametri della classificazione TNM, si può ricavare lo stadio in cui si trova il tumore maligno, cioè l'estensione della malattia. Il parametro T indica la grandezza del tumore, N indica lo stato dei linfonodi vicini al tumore ed M indica la presenza di metastasi a distanza.

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Poi c’è la valutazione del paziente; non dobbiamo mai dimenticare che di fronte a noi non c’è una patologia, ma c’è una persona, e questa persona ha delle caratteristiche peculiari, come il grado di performance status, l’eventuale presenza di comorbidità, la fragilità(nel caso di pazienti anziani); quindi qualunque decisione che noi prendiamo deve tenere conto delle caratteristiche di quel paziente.

Performance statusUn fattore di estrema rilevanza in oncologia è quello che noi chiamiamo performance status; questa locuzione può essere tradotta in italiano come “stato di validità” del paziente ed indica quanto il paziente è performante. La valutazione del performance status è un dato di estrema rilevanza per stabilire la prognosi della patologia in quel paziente, dal momento che una riduzione del performance status del paziente corrisponde ad una minore risposta di quest’ultimo alla terapia e ad un maggior rischio tossicità della stessa (basti pensare che un ECOG = 1 dimezza le probabilità di ottenere un giovamento terapeutico).

Per valutare il performance status, Karnofsky5 (un oncologo che ha lavorato nel Memorian Sloan Kettering Cancer Center di New York negli anni ’70 ed è stato uno dei padri dell’oncologia moderna) ha inventato una scala che va da 100 a 0, che riflette la percentuale del performance status di cui è in possesso il paziente.

Un valore dell’indice di Karnofsky pari a 100 è quello del paziente completamente performante, capace di condurre un’attività normale, quindi un paziente totalmente asintomatico e privo di qualunque impedimento nel condurre le normali attività.

Un valore dell’indice di Karnofsky pari a 80 (il paziente ha un performance status pari all’80% del normale) è quello del paziente sintomatico ma ambulatoriale, cioè il paziente che è ancora in grado di condurre le normali attività ma nota che da qualche mese le sue capacità funzionali si sono ridotte (ha ad esempio qualche difficoltà a salire le scale).

Un valore dell’indice di Karnofsky pari a 40 è quello del paziente incapace di prendersi cura della propria persona che necessita di assistenza anche per svolgere le normali attività quotidiane.

5 La scala di Karnofsky (nome originale Karnofsky performance status scale) è una scala di

valutazione sanitaria dei pazienti con tumori maligni tenendo conto della qualità della vita del paziente

attraverso la valutazione di tre parametri:

Limitazione dell'attività

Cura di se stessi

Autodeterminazione

La scala ha come scopo quello di stimare la prognosi, definire lo scopo delle terapie e determinarne la

pianificazione. La valutazione dello stato di salute finale del paziente è necessaria affinché si possa decidere

la migliore cura possibile nei vari stadi di malattia (guarigione, prolungamento della vita, restituzione

funzionale, palliazione).

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Un valore dell’indice di Karnofsky pari a 0 è quello del paziente deceduto a causa della neoplasia.

Un altro indice usato per valutare il performance status del paziente è l’indice ECOG (Eastern Cooperative Oncology Group) che, a differenza della scala di Karnofsky, non ha un andamento decrescente, ma crescente; va da 0 a 5:

ECOG = 0 : è quello di un paziente completamente performante; corrisponde ad un Karnofsky pari a 100

ECOG = 1 : è quello di un paziente sintomatico ma ambulatoriale, con lievi deficit funzionali; corrisponde ad un Karnofsky tra 90 e 70

ECOG = 2 : è quello del paziente che trascorre allettato <50% del tempo; corrisponde ad un Karnofsky tra 70 e 50

ECOG = 3 : è quello del paziente che trascorre allettato >50% del tempo; corrisponde ad un Karnofsky tra 50 e 30

ECOG = 4 : è quello del paziente che trascorreallettato tutta la giornata (100% del tempo); corrisponde ad un Karnofsky tra 30 e 0

ECOG =5 : indica il paziente deceduto a causa di una neoplasia; corrisponde ad un Karnofsky pari a 0

L’indice di Karnofsky è un po’ più dettagliato rispetto all’indice ECOG dato che consta di una scala che va da 100 a 0 ma nella pratica clinica è in genere sufficiente la valutazione del performance status mediante l’indice ECOG.

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Tabella

100 %ECOG =

0Nessun disturbo, nessun segno di malattia.

90 %ECOG =

0Possibili le normali attività, Sintomatologia molto sfumata.

80 %ECOG =

1Normali attività possibili con difficoltà. Sintomi evidenti.

70 %ECOG =

1Cura di se stessi. Normali attività e lavoro non possibili.

60 %ECOG =

2Necessario qualche aiuto, indipendente nei bisogni personali.

50 %ECOG =

2Aiuto spesso necessario, richiede frequenti cure mediche.

40 %ECOG =

3Disabile. Necessario un aiuto qualificato.

30 %ECOG =

3Severamente disabile. Ospedalizzazione necessaria ma senza rischio di morte.

20 %ECOG =

4Estremamente malato. Richieste misure intesive di supporto alla vita.

10 %ECOG =

4Moribondo. Processi di malattia fatali rapidamente progressivi.

0 % ECOG = Morte.

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5

Come detto prima, la valutazione del performance status è uno dei principali fattori prognostici in ambito oncologico; infatti un ECOG = 1 indica un dimezzamento della probabilità di ottenere un giovamento tramite la terapia; un paziente con ECOG = 2 è un paziente che molto difficilmente potrà trarre giovamento dalla terapia; pazienti con ECOG 3 o 4 NON devono essere trattati, dato che non trarrebbero alcun giovamento dalla terapia.

La determinazione del performance status può essere fatta anche dall’infermiere ed è una determinazione di tipo esclusivamente anamnestico, cioè si basa sull’obiettività clinica. Al fine di valutare il performance status del paziente è essenziale instaurare un rapporto franco con esso, dato che molto spesso il paziente può mostrarsi in maniera diversa da quello che è il suo reale performance status (il prof fa l’esempio di un paziente che si lamenta molto col medico ma poi durante la visita si preoccupa del fatto che forse non ha parcheggiato bene la macchina; è ovvio che se il performance status fosse compromesso in maniera importante come dice il paziente, quest’ultimo non si preoccuperebbe della macchina).Una cosa molto importante è che la valutazione del performance status deve essere fatta riconoscendo ed escludendo fattori che possano inficiarla; ad esempio un paziente oncologico che si frattura una gamba e passa la totalità della giornata allettato non è certo un ECOG 4 (anche se la frattura fosse di natura patologica e quindi secondaria alla neoplasia), dato che l’allettamento non riflette una riduzione/perdita dello stato di validità del paziente, ma è dovuto alla frattura (che può quindi inficiare la valutazione del performance status) e regredirà quando guarirà la frattura.

Alcune neoplasie, come il carcinoma del polmone e tutti i tumori disseminati, hanno un forte impatto sul performance status; viceversa in caso, ad esempio, di carcinoma localizzato della mammella, non si ha quasi mai un’alterazione del performance status.Non c’è, inoltre, un rapporto diretto tra massa tumorale e riduzione del performance status; ci sono infatti pazienti che hanno una malattia neoplastica poco estesa eppure hanno un’importantissima riduzione del performance status; questa correlazione tra neoplasia e riduzione del performance status, sebbene non sia ancora completamente chiarita, si pensa che debba tener conto di fattori legati alla neoplasie, come lo stato infiammatorio, che possono avere un impatto importante sul performance status e possono ad esempio determinarne una brusca riduzione anche in caso di neoplasie non molto estese.

ComorbiditàIl medico deve guardare al paziente nella sua totalità ed un paziente neoplastico presenta spesso delle comorbidità, ovvero le eventuali altre patologie del paziente, indipendenti dalla neoplasia ma magari accomunate ad essa per quanto riguarda i fattori eziologici; ad esempio, un paziente con un cancro del polmone è in genere un fumatore, quindi è probabile che sia cardiopatico o che abbia una broncopatia cronica, dato che tutte queste patologie presentano il fumo di sigaretta tra i fattori eziologici.

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La valutazione delle comorbidità è molto importante dato che potrebbe avere un ruolo nella pianificazione terapeutica; ad esempio, in un paziente con un tumore al polmone resecabile, che però possiede anche una grave BPCO con insufficienza respiratoria, è evidente che, se il chirurgo opera una importante resezione polmonare, la funzionalità respiratoria potrebbe risentirne eccessivamente e l’intervento provocherebbe più danno che beneficio. Questo esempio mette in luce la differenza tra i termini “resecabile” e “operabile”.

FragilitàOggi si parla di oncologia geriatrica perché gran parte dei pazienti oncologici sono dei pazienti anziani, a causa dell’incremento dell’aspettativa di vita; in passato c’era un atteggiamento estremamente rinunciatario nei confronti del paziente anziano, per cui fino a 15-20 anni fa il paziente veniva trattato con la chemioterapia solo se aveva meno di 70 anni; oggi questo concetto è totalmente superato e non esiste più un limite anagrafico. Per decidere se trattare o meno quel paziente quindi non ci si basa più sull’età ma sulla valutazione della fragilità del paziente. La fragilità del paziente deve essere valutata mediante un approccio interdisciplinare (da parte dell’oncologo e del geriatra), basandosi sia sulla presenza di comorbidità (tramite degli indici di comorbidità, che indicano quali comorbidità pesano di più e quali di meno), sia sulla valutazione delle sue capacità cognitive (es. perdita delle capacità relazionali, sintomi depressivi).Al paziente fragile non faremo un trattamento chemioterapico perché in tale paziente la malattia ha una prognosi estremamente sfavorevole, con un’aspettativa di vita di pochi mesi a prescindere dalla malattia neoplastica; un paziente fragile dovrebbe essere gestito soltanto con trattamenti sintomatici.Anche se qualche elemento può essere comune, il concetto di fragilità è profondamente diverso da quello di performance status.

Fa l’esempio di una sua paziente di 87 anni con una neoplasia del colon in stadio avanzato, con altissimo rischio operatorio e molte comorbidità ma con ECOG = 0 e senza disturbi cognitivi; sulla base di queste ultime informazioni, la paziente può essere candidata ad un intervento chemioterapico nonostante l’età avanzata. Questo esempio rimarca il concetto che è importante valutare caso per caso la fragilità del paziente e il suo performance status per stabilire se quel paziente può essere candidato ad un trattamento o meno, indipendentemente dalla sua età anagrafica.

Come detto prima, sono presenti degli indici di comorbidità che indicano il peso delle varie comorbidità nel contribuire alla fragilità del paziente; uno dei principali indici di comorbidità è il Charlson Comorbidity Index che dà all’infarto del miocardio un peso piccolo rispetto ad un’emiplegia o una malattia epatica; l’attribuzione di un peso maggiore o minore alle varie comorbidità si basa ovviamente sulla capacità del paziente con quella comorbidità di tollerare un trattamento (es. chemioterapico); il peso non è invece sempre correlato alla gravità della patologia (es. l’infarto del miocardio è una condizione molto grave ma come detto ha un peso molto basso).

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Ricapitolando, nella valutazione della fragilità di un soggetto si valuta sicuramente la presenza di comorbidità e il peso di queste ultime (tramite gli indici di comorbidità); è importante però valutare anche altri fattori, che globalmente costituiscono lo score di vulnerabilità.Lo score di vulnerabilità non tiene conto delle comorbidità che vengono considerate insieme a tale score nella valutazione della fragilità del paziente ma si basa su:

Età: ad un’età <75 anni si dà un punteggio pari a 0; ad un’età compresa tra 75 e 85 anni si dà un punteggio pari ad 1; ad un’età >85 anni si dà un punteggio pari a 3

Self reported health: indica come il paziente giudica il proprio stato di salute Capacità di svolgere autonomamente le attività quotidiane: ad esempio, all’incapacità di fare

il bagno senza aiuto si assegna un punteggio pari ad 1; si valuta inoltre la capacità di camminare, scrivere, lavare i piatti, fare shopping, ecc.

Se lo score di vulnerabilità è uguale o superiore a 4, il paziente ha un rischio di declino funzionale o di morte superiore al 50 %, quindi è un paziente molto fragile.

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Scelta del trattamentoDopo aver fatto la diagnosi e la stadiazione della malattia e dopo aver valutato il performance status e la fragilità del paziente e la presenza di comorbidità, possiamo pianificare una strategia terapeutica. La scelta della terapia dovrebbe essere un momento decisionale comunitario, nel senso che l’oncologo, il chirurgo e il radioterapista devono collaborare per pianificare la strategia terapeutica; quest’ultima può comprendere un trattamento medico, un trattamento chirurgico, un trattamento chemioterapico o un trattamento radiante, ma spesso in oncologia la terapia è complessa dal momento che comprende più di uno di questi tipi di trattamento.

La scelta del trattamento non è un processo unidirezionale ma dovremo, come dicono gli anglosassoni, to offer a treatment; offrire un trattamento vuol dire condividere una scelta terapeutica con il paziente, senza emettere sentenze e lavorando in un regime di assoluto consenso informato. Per consenso informato non intendiamo un modulo firmato dal paziente in cui sono contenute una serie di informazioni, il più delle volte incomprensibili dal paziente, ma intendiamo il consenso emesso dal paziente cui è stata fornita un’informazione adeguata, cioè comprensibile, riguardo la storia della sua patologia, la prognosi (anche se infausta), le possibili alternative diagnostico-terapeutiche e i rischi e i benefici di ognuna di esse; il paziente deve essere infatti ben informato riguardo ai benefici potenziali che quel trattamento può, in termini statistici, offrirgli e sul prezzo che deve pagare in termini di tossicità.L’informazione è di proprietà del paziente, quindi deve essere data solo a lui stesso, non ai familiari o ad altre persone, se non dietro consenso del paziente.Quando parliamo di scelta del trattamento, ricordatevi quindi che è sempre una scelta condivisa con il paziente che quindi non può avvenire se non in un regime di estrema chiarezza e informazione. Uno dei principi della bioetica è l’autonomia degli individui, che implica il fatto che il paziente deve poter decidere del proprio futuro, condividendo con il medico la scelta terapeutica.

Per quanto riguarda la scelta del trattamento, in passato ci si basava sul dogma dell’inoperabilità del paziente in caso di diffusione metastatica; di conseguenza, in un paziente con tumore localizzato si faceva un trattamento chirurgico, mentre in un paziente con metastasi si faceva un trattamento medico; questo concetto era inoltre alla base di una certa sequenzialità, secondo la quale la malattia nelle prime fasi necessita di un trattamento chirurgico, in fase intermedia necessita di un trattamento chemioterapico e in fase avanzata necessita di un trattamento radioterapico. Oggi questo concetto è stato superato: si è visto sia che alcuni tumori in fase precoce (neoplasia localizzata) possono essere trattati con la chemioterapia e non con la chirurgia (es. microcitoma polmonare o carcinoma a piccole cellule del polmone), sia che alcuni tumori in fase tardiva (neoplasia con disseminazione metastatica) possono giovarsi di un trattamento chirurgico (es. nefrectomia in caso di cancro del rene; trattamento chirurgico in caso di metastasi epatiche da cancro del colon-retto). Di conseguenza il dogma secondo cui il paziente deve essere operato in caso di tumore localizzato e non deve essere operato in caso di diffusione metastatica rimane vero in linea generale, ma bisogna valutare in base al tipo di neoplasia dato che ci sono delle eccezioni.

Il prof non commenta il seguente algoritmo ma dall’osservazione dello stesso, si evince comunque che:

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In caso di malattia metastatica, la prima scelta è la chemioterapia; possibili alternative possono essere la radioterapia o in alcuni casi la chirurgia. In caso invece di malattia localizzabile bisogna valutare se la malattia sia resecabile o meno; se il tumore non è resecabile, si può tentare di renderlo resecabile riducendone le dimensioni tramite radioterapia (prima scelta) o chemioterapia. Se il tumore è invece resecabile, bisogna valutare se tale paziente sia operabile o meno; se il paziente è operabile, ovviamente la prima scelta sarà la chirurgia, a cui possiamo associare radioterapia o chemioterapia.

Fattori prognostici e predittiviCos’è un fattore prognostico 6 ? È un fattore che ci permette di conoscere la prognosi della malattia (come procederà quella malattia) cioè quale sarà la probabilità di sopravvivenza di quel paziente su un piano prettamente statistico. Per esempio, sapremo che il 50% di quei pazienti sarà vivo a 5 anni o a 10 anni.

Cos’è un fattore predittivo 7 ? È un fattore che fornisce indicazioni riguardo l’efficacia o l’inefficacia di uno specifico trattamento in una particolare condizione di malattia; tali fattori possono fornire o meno indicazioni anche riguardo la prognosi, cioè un fattore predittivo può essere o meno anche un fattore prognostico; un esempio sono le analisi molecolari, che hanno un importante valore predittivo. Ad esempio, nel carcinoma della mammella si parla di recettori ormonali, come Erb2 o i recettori per estrogeni e progestinici, la cui presenza è un fattore prognostico (ad es, i tumori che esprimono recettori estrogenici e progestinici sono tumori che in genere hanno un outcome più favorevole) ma è anche un fattore che ci predice (fattore predittivo) la risposta alla terapia ormonale. Questi fattori, quindi, non solo ci dicono come andrà la malattia (prognosi), ma ci predicono anche se quel soggetto potrà trarre o meno beneficio da quel tipo di terapia (in questo caso la terapia ormonale). Erb2 è un fattore prognostico altamente sfavorevole ma è predittivo di risposta ad una serie di farmaci. I fattori predittivi sono quindi quelli che ci aiutano a scegliere il trattamento

6 Si parla di fattore prognostico per indicare una caratteristica biologica della neoplasia tale da modificare la prognosi della paziente, cioè la sua sopravvivenza libera da malattia (DFS).

7 Si parla di fattore predittivo per indicare quel carattere in grado di anticipare l'efficacia di un trattamento. I fattori classici restano le Dimensioni, il numero di Linfonodi, il Grado di differenziazione e la quantità di Recettori Ormonali presenti.

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I fattori prognostici e predittivi devono essere validati, cioè accettati dalla comunità scientifica, per poter entrare a far parte delle linee guida e poter essere usati per orientarci nella valutazione della prognosi e nella scelta del trattamento.

Tipi di trattamentiI trattamenti antitumorali possono essere:

Terapia chirurgica , eseguita dal chirurgo. In passato era utilizzata solo nei tumori localizzati, quindi diagnosticati in fase precoce, mentre i tumori con disseminazione metastatica erano considerati inoperabili; oggi invece, sebbene tale assioma rimanga vero, si è a conoscenza della presenza di eccezioni a tale dogma. Nella maggior parte delle neoplasie, il trattamento chirurgico ha un significato solo se è radicale; ci sono però anche neoplasie in cui lo scopo dell’intervento chirurgico può essere anche cito-riduttivo (es, in caso di tumori dell’ovaio); questo dipende dalle caratteristiche biologiche della neoplasia. In oncologia bisogna distinguere tra malattia resecabile e malattia operabile; resecabile indica un tumore tecnicamente asportabile (un tumore che invade il cuore è per definizione non resecabile), mentre operabile indica che ci sono le condizioni cliniche affinchè il paziente possa essere operato e trarre beneficio dall’intervento. Un tumore resecabile non è sempre operabile: un esempio, un tumore al polmone resecabile in un paziente che però possiede anche una grave BPCO con insufficienza respiratoria; è evidente che se il chirurgo opera un’importante resezione polmonare, la funzionalità respiratoria potrebbe risentirne eccessivamente e l’intervento provocherebbe più danno che beneficio. L’operabilità si valuta in base al performance status del paziente, alla presenza di comorbidità e alle caratteristiche biologiche della neoplasia (es, un microcitoma polmonare è un tumore resecabile ma non operabile)

Terapia radiante : viene eseguita dal radioterapista Terapia medica : viene eseguita dall’oncologo. La terapia medica consta di:

- chemioterapia, - ormonoterapia e - l’immunoterapia (o a target molecolare).

Quando parliamo di terapia a target molecolare non abbiamo una contrapposizione logica rispetto alla chemioterapia tradizionale, dato che anche quest’ultima si basa sull’utilizzo di farmaci diretti contro target molecolari (es farmaci inibitori delle chinasi); la differenza riguarda il fatto che i farmaci chemioterapici sono stati utilizzati per molti anni senza conoscere il loro meccanismo d’azione, mentre la terapia a target molecolare comprende farmaci creati appositamente per andare ad inibire o attivare specifiche molecole. In realtà quindi tutta la terapia medica può in un certo senso essere considerata a target molecolare.

Per quanto riguarda la chemioterapia, i trattamenti possono essere monochemioterapici (basati sulla somministrazione di un solo farmaco) o polichemioterapici (basati sull’associazione di più farmaci). Negli ultimi anni venivano usati soprattutto i polichemioterapici ma oggi in molte patologie (es nel cancro della mammella) si è ritornati a trattamenti monochemioterapici, in genere sequeziali (cioè si dà un farmaco per un certo periodo di tempo, poi si cambia e se ne da un altro per un altro periodo, poi si cambia e si passa ad un terzo); questo ritorno alla monochemioterapia è dovuto al fatto che sono stati creati farmaci molto più efficaci di quelli presenti in passato, che danno un risultato migliore se dati da soli, che in associazione ad altri.

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Questi cambiamenti hanno non soltanto migliorato l’efficacia dei trattamenti, ma anche aumentato la tollerabilità ai trattamenti e ridotto i costi.

Questi diversi tipi di terapia medica (chemioterapia, ormonoterapia e radioterapia)sono altamente integrati tra loro; ad esempio nel caso del melanoma, si utilizzerà prima una chemioterapia e poi l’immunoterapia, oppure con i due trattamenti in concomitanza.

La terapia antineoplastica è caratterizzata da un’elevata tossicità; è importante quindi valutare seguendo un grading ben preciso, non solo la sintomatologia del paziente, ma anche la tossicità del trattamento. Quest’ultima può essere graduata secondo una scala che va da G1 a G5 e non si tratta mai un paziente con quel farmaco se si verifica una tossicità superiore a G1; se si verifica una tossicità di grado G2, si deve aspettare che essa torni a G1 per continuare il trattamento.Un aspetto importante della tossicità è che la sua valutazione deve essere effettuata dal medico con metodi oggettivi (a differenza ad esempio della qualità di vita, che viene valutata dal paziente con criteri soggettivi); spesso infatti il paziente valuterebbe in modo erroneo la gravità della tossicità, dato che per lui, ad esempio, potrebbe essere più grave un rush (dato che ha una sintomatologia) rispetto alla tossicità ematologica (che può essere asintomatica o paucisintomatica).

Terapia palliativa8

Bisogna considerare sempre che non esiste solo la terapia antitumorale ma esiste anche la terapia palliativa, ovvero l’insieme dei trattamenti sintomatici (quelli rivolti a trattare i sintomi del paziente, es il dolore); quest’ultima non viene fatta solo alla fine della storia di un paziente neoplastico, cioè non è sempre rivolta al paziente in stadio terminale ma spesso inizia già nelle prime fasi della malattia; questo perché non bisogna soltanto cercare di eliminare la neoplasia, ma anche trattare i sintomi del paziente. Un esempio importante è la terapia del dolore, che è importante quanto la terapia antineoplastica.Oggi consideriamo la figura del palliativista come integrata nella figura dell’oncologo, ma in realtà ci sono scuole di specializzazione per chi vuol fare il palliativista; l’opinione del prof è però che ogni oncologo dovrebbe saper fare il palliativista.

Obiettivi terapeutici

8 Le cure palliative, secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte. Il termine palliativo vuol dire che non agisce sulla causa della malattia (terapia eziologica). Per esempio quando il dolore è dovuto ad un cancro, la cura eziologica è la rimozione del cancro, ma quando questo non è possibile si può comunque eliminare il dolore senza eliminarne la causa, si realizza quindi una terapia palliativa.

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Qual è l’obiettivo della terapia del cancro? Ci sono endpoint forti (che sono quelli che ci servono veramente) ed endpoint surrogati (che possiamo ottenere a breve termine e che sono predittivi di un endpoint forte, cioè che ci permettono di prevedere un endpoint forte).Ad esempio, nel caso di un trattamento antineoplastico il cui obiettivo primario è allungare la sopravvivenza del paziente, l’endpoint forte sarà la sopravvivenza globale (overall survival), ovvero quanto vivono i pazienti che fanno quel trattamento (es 32 mesi in caso di tumore del colon retto metastatico). Un endpoint surrogato potrebbe essere la durata del periodo di tempo per cui il paziente controlla la malattia, ovvero la cosiddetta sopravvivenza libera da progressione (progression free survival). Essendo un endpoint surrogato, questo predirà la overall survival (l’endpoint forte); ad esempio un paziente con carcinoma metastatico del colon-retto che ha una progression free survival di 10 mesi, probabilmente avrà una overall survival di 32 mesi.

Quando parliamo di terapia è importante definire gli obiettivi della strategia terapeutica: l’intervento terapeutico può essere curativo (o meglio guaritivo) quando sappiamo che quel paziente può guarire (il che può avvenire anche se il paziente ha una malattia disseminata); una terapia è invece palliativa quando sappiamo che il paziente non può guarire.Gli obiettivi della terapia antineoplastica sono essenzialmente due:

Aumentare la sopravvivenza del paziente Migliorare la qualità di vita del paziente

Un tumore del colon retto metastatico aveva un’aspettativa di vita di 6 mesi; oggi la sopravvivenza mediana è di 32 mesi (ma alcuni vivono anche 60-70 mesi), quindi l’aspettativa di vita è cambiata radicalmente rispetto al passato e le neoplasie sono diventate delle patologie croniche.È sicuramente importante cercare di allungare la sopravvivenza del paziente ma è anche importante migliorare la sua qualità di vita; in altre parole dobbiamo permettere ai nostri pazienti la vita in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi.

Il concetto di qualità di vita deriva da una definizione della WHO (cioè l’OMS) che ha definito il well-being (cioè lo star bene)non semplicemente come assenza di malattia ma come uno star bene in chiave sociale e personale; quindi la qualità di vita non vuol dire semplicemente non avere dolore, ma avere un rapporto adeguato con se stesso e con la società (stesso concetto della definizione di salute data dall’OMS: la salute non è intesa come assenza di malattia ma come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale).I cosiddetti domini della qualità di vita riconosciuti a livello internazionale:

Physical and functionalwell-being (lo star bene fisico e funzionale); è chiaro che dolore, nausea, calo ponderale, alopecia, ecc. peggiorano la qualità della vita.

Emotionalwell-being (lo star bene emozionale); l’ansia, la depressione, il disagio causato da un’alterazione dell’immagine corporea (es per mastectomia radicale in una donna), l’idea stessa di avere il cancro, peggiorano la qualità della vita.

Social Functioning (lo star bene nella società); la riduzione della capacità di trarre piacere dalle attività della vita, l’isolamento sociale, la perdita della capacità di avere relazioni sociali peggiorano la qualità della vita.

Occupationalwell-being ; la perdita della capacità occupazionale, sia per quanto riguarda il lavoro sia le faccende domestiche. Questo aspetto è molto importante soprattutto perché le neoplasie sono patologie con cui il paziente spesso deve convivere per molti anni, quindi è impensabile tenere queste persone fuori dal mondo del lavoro.

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Come facciamo a valutare tutti questi fattori? Il medico non è in grado di misurare la qualità della vita del paziente; solo il paziente stesso può farlo. Esistono quindi una serie di questionari validati a livello internazionale, come il FACT-G Questionnaire (in America) e il QLQ C30, che sono costituiti da una serie di moduli che riguardano il benessere funzionale, emozionale e sociale, e l’attività fisica (in pratica indagano i vari domini della qualità di vita. Si utilizzano 4-5 moduli che sono comuni per tutti i pazienti, indipendentemente dalla patologia (quelli appena elencati), e poi un modulo che sarà diverso in base alla patologia; ad esempio in un paziente che ha una patologia per cui è richiesta ormonoterapia, come cancro della mammella o della prostata, avrà alterazioni della libido che vanno a compromettere la qualità della vita; un altro esempio è il caso di una donna che deve fare una mastectomia, la quale avrà un’importante alterazione dell’immagine corporea.Per ogni risposta si dà un punteggio che va da 0 (funzione conservata) a 4 (funzione compromessa) ed è valutando il punteggio complessivo, derivante dalla somma dei punteggi attribuiti alle varie risposte, che valuteremo la qualità di vita del paziente in un determinato momento, sempre sulla base di quanto detto dal paziente nel questionario (solo il paziente percepisce la sua qualità della vita); si potranno costruire quindi dei grafici che riflettono l’andamento della qualità della vita per tutta la durata del trattamento, che possono essere confrontati con quelli di altri trattamenti.Perché un modulo di valutazione della qualità di vita costruito ad esempio in America deve essere validato in Italia? Perché è diverso lo stile di vita e soprattutto la percezione della qualità lavorativa, che noi possiamo definire come scala valoriale; la percezione della qualità di vita è in funzione di quella che è la nostra scala valoriale, cioè i parametri che vengono considerati più importanti; i moduli per la valutazione della qualità di vita dovranno quindi obbligatoriamente tenere conto della scala valoriale della società in cui vengono utilizzati.L’endpoint del miglioramento della qualità di vita non è meno importante di quello della durata della vita, tant’è che gli enti regolatori internazionali oggi considerano come endpoint quantitativo non gli anni che vive in più una popolazione a causa di quel trattamento ma l’anno corretto per qualità (QALY: Quality-adjusted Life Year).

Oncologia nel territorioL‘effetto centro è il motivo per cui un paziente, se trattato in un centro oncologico, ha un’aspettativa di vita migliore di quella di un paziente trattato da un altro centro; questo dato è in rapporto a quelli che sono i volumi di trattamento (in parole povere il numero dei casi trattati da quel centro in un anno); ad esempio un centro ottimale di chirurgia toracica dovrebbe effettuare almeno 50-60 interventi maggiori all’anno. I volumi riflettono non soltanto l’abilità di chi opera ma anche la corretta scelta dei pazienti da operare (un centro ad alti volumi stadierà bene la patologia del paziente) ed altri fattori; il volume è quindi espressione della performance di sistema della struttura.Un centro che si occupa di determinate aree complesse della chirurgia oncologica deve avere determinati volumi, nel senso che una struttura che, ad esempio, cura il cancro dell’ovaio dovrebbe avere un certo numero di pazienti operati all’anno, uno specialista oncologo fortemente interessato alla patologia in questione e almeno uno studio clinico controllato di alto profilo controllato nell’ambito di quella unità; al di sotto di questi volumi è meglio che non si operi, dato che una struttura che opera 4 cancri dell’ovaio all’anno farà sicuramente degli interventi sub-ottimali. È importante quindi che in una regione la chirurgia toracica venga confinata in uno o 2 centri che abbiano dei volumi adeguati; c’è bisogno di creare quindi una rete oncologica.

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Dobbiamo imparare a fare sul territorio tutto ciò che è possibile al fine di migliorare il trattamento dei pazienti oncologici. Gli obiettivi includono: garantire il miglior trattamento possibile (cioè il trattamento in una struttura con volumi adeguati) e garantire il trattamento quanto più vicino possibile al domicilio del paziente. La principale strategia per raggiungere questi obiettivi consiste nell’effettuare un trattamento chirurgico in una struttura con volumi adeguati e poi nell’effettuare una terapia medica in una struttura vicina al domicilio del paziente.Il problema principale è quello della radioterapia dato che, fra le varie terapie antitumorali, è quella che richiede le tecnologie più avanzate e costose.

RistadiazioneDopo avere scelto ed eseguito un trattamento, un punto importante è la ristadiazione, che è un checkpoint importante in cui si decide come procedere sulla base della risposta al trattamento; varie possibilità:

Continuare il trattamento in atto, se il paziente ne ha tratto giovamento Cambiare il tipo di trattamento in atto, se il paziente non ne ha tratto giovamento Interrompere il trattamento e inserire il paziente in un regime di follow-up, se si è ottenuto il

massimo risultato ottenibile da quel paziente.

Nella ristadiazione è importante utilizzare gli stessi esami utilizzati per effettuare la stadiazione iniziale, in modo da poter effettuare un confronto tra condizione pre-trattamento e post-trattamento; è importante utilizzare però anche degli strumenti che tengano conto del tipo di trattamento effettuato, dato che il paziente può rispondere in modo diverso a trattamenti diversi.

Follow-upPer follow-up9 si intendono i controlli che facciamo ad un paziente che non ha malattia attiva (almeno apparentemente). Un esempio di strategia di follow-up è quello delle donne operate per carcinoma della mammella che stanno facendo o hanno fatto un trattamento adiuvante che è cambiato radicalmente nel corso degli anni; in passato si facevano PET, TAC, risonanze, oggi invece la strategia di follow-up consiste in una mammografia ed una visita clinica annuali, perché si è visto che nessun tipo di esame né tanto meno il dosaggio dei cosiddetti marcatori è utile nel follow-up. Con la visita clinica dobbiamo cogliere se ci sono dei segni clinici di recidiva (es insorgenza di un dolore osseo importante); in tal caso saremo noi a richiedere gli esami ma gli esami sopra elencati non vengono fatti di routine.

9 Il termine follow-up indica una serie di controlli periodici programmati a seguito di un'azione o intervento.