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ARACNE

Posizionamentonarrativo e azioni

La ricerca computer–assistitain psicologia sociale della devianza

Eugenio De Gregorio

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1320–5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: settembre 2007

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Indice

Introduzione 7

CAPITOLO 1 – Le cornici di contesto e i riferimenti teorici 131. I contesti di riferimento 131.1 Le prospettive teoriche ed epistemologiche 131.2 Gli studi sull’accountability (nei contesti legali) 152. La costruzione narrativa dell’azione 192.1 L’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi 233. La costruzione narrativa del S� 303.1 Il posizionamento discorsivo e narrativo 36

CAPITOLO 2 – I metodi e gli strumenti 491. I metodi qualitativi 492. Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva 523. Le interviste qualitative: biografiche e narrative 573.1 Le interviste biografiche 593.1.1 Le autobiografie 603.1.2 Le storie e i racconti di vita 623.1.3 Le interviste narrative 64

CAPITOLO 3 – Le analisi delle narrazioni 711. Le analisi qualitative dei contenuti narrativi 711.1 L’analisi del contenuto classica 711.2 L’approccio della “Grounded theory” 732. Le analisi qualitative delle strutture narrative 802.1 La metodologia “Comparative narratives” 832.2 Le strutture profonde delle narrazioni 842.3 La “Event Structure Analysis” 882.4 L’ “Evaluation model” 903. Contenuti o strutture: integrazione possibile? 94

CAPITOLO 4 – La ricerca 991. Obiettivi 991.1 La costruzione narrativa in termini di contenuti 1001.2 La costruzione narrativa in termini di struttura 1012. Il contatto con gli intervistati 1022.1 Il setting e la conduzione delle interviste 1033. La costruzione della traccia d’intervista 104

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Indice

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4. Descrizione dei partecipanti alla ricerca 1125. Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti 1175.1 La creazione dell’unit� ermeneutica 1185.2 La codifica delle interviste 1195.2 L’aggregazione in “families” 1255.3 La verifica di ipotesi nella ricerca qualitativa 1285.3.1 La verifica di relazioni su sottoinsiemi di documenti 1326. I risultati 1326.1 I contenuti narrativi 1336.1.1 I temi ricorrenti 1336.2 Le strutture narrative: presenza delle dimensioni 1716.2.1 Verifica delle relazioni e del modello 1726.3 Relazioni specifiche per categorie (reati ed esperienza) 1856.4 Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa? 2037. I criteri di validit� e attendibilit� nella ricerca qualitativa 2098. Conclusioni e implicazioni 221

Bibliografia 229

Appendice A 257Appendice B 259Appendice C 265Appendice D 267Appendice E 269

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Introduzione

– Che fai? – mia moglie mi domand�, vedendomi insolitamente indugiare da-vanti allo specchio.– Niente, – le risposi, – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Pre-mendo avverto un certo dolorino.Mia moglie sorrise e disse: – Credevo che ti guardassi da che parte ti pende.Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:– Mi pende? A me? Il naso?E mia moglie placidamente: – Ma s�, caro. Gu�rdatelo bene: ti pende verso destra.Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia perso-na. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammet-tono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cio� sia da sciocchi invanire le proprie fattezze. La sco-perta improvvisa e inattesa di quel difetto perci� mi stizz� come un immeritato castigo. Vide forse mia moglie molto pi� addentro di me in quella stizza e ag-giunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi pure, perch� il naso mi pendeva verso destra, cos�…– Che altro?Eh, altro! altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circon-flessi, ^ ^, le mie orecchie erano attaccate male, una pi� sporgente dell’altra; e altri difetti…Eh s�, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nelle gambe (no, storte no!), la destra, un pochino pi� arcuata dell’altra: verso il ginocchio, un pochino.Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allo-ra, scambiando certo per dolore e avvilimento la meraviglia che ne provai su-bito dopo la stizza, mia moglie per consolarmi m’esort� a non affligermene poi tanto, ch� anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo.Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ci� che come dirit-to ci � stato prima negato. Schizzai un velenosissimo �grazie� e, sicuro di non aver motivo n� d’addolorarmi n� d’avvilirmi, non diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero vissuto senza mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracci-glia e quelle orecchie, quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettar di pren-der moglie per aver conto che li avevo difettosi.

Cos� Luigi Pirandello inizia a descrivere le vicende di Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno e centomila: a lui l’Autoreaffida le riflessioni sul concetto di s� e sul senso di identit� personale

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Introduzione

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che – a partire da una definizione altrui (quella della moglie) – innesca meccanismi di attribuzione, di giustificazione, di strategie retoriche di autopresentazione.

Pirandello anticipa le correnti pi� recenti della psicologia culturale e dell’interazionismo simbolico: la letteratura precorre le scienze u-mane ed evidenzia gli aspetti di costruzione sociale dell’identit� indi-viduale; da questo momento in poi, anche le azioni di Vitangelo Mo-scarda dipendono da questa definizione.

Analogamente, l’attribuzione sociale da parte degli altri di aver commesso un crimine ingenera nell’autore meccanismi di riflessione e di rendicontazione di tali eventi che – sebbene non siano letteraria-mente comparabili con la grottesca, tragica, narrazione di Moscarda –sono esemplificativi di un “modus narrandi” condiviso; questo sar� il filo conduttore di questo lavoro, inclusa la ricerca che verr� presentata nella seconda parte: che ci siano contenuti e strutture condivise nella narrazione di eventi criminosi e che gli attori principali di tali eventi –i detenuti – condividano una loro “cultura del resoconto” che abbiamo cercato di delineare; in questo senso, l’attribuzione di identit� deviante operata dagli altri incontra (talvolta si scontra, altre volte completa) la descrizione di S� e della propria azione operata dal protagonista. A tali costrutti ci siamo riferiti nei termini delle recenti formulazioni della Teoria del posizionamento discorsivo (cap. 1 � 3.1).

Gli obiettivi di conoscenza sono stati perseguiti facendo esplicita-mente riferimento agli approcci costruttivisti e narrativi: � evidente che essi non esauriscono il panorama delle prospettive degli studi sulla narrazione dell’azione e di S�, ma in questa sede abbiamo operato una scelta (fra le molte che saranno descritte nel corso del lavoro), quella di eleggere un punto di vista specifico e di impostare un disegno di ri-cerca qualitativa coerente con esso.

� proprio sulla base della coerenza fra obiettivi, metodi e scelte re-lative all’intero percorso e all’impostazione della ricerca che un pro-getto di questo tipo pu� essere valutato, com’� stato autorevolmente sostenuto in ambito nazionale (Mantovani 2003) e internazionale (Seale 1999; Silverman 2000; Steinke 1999).

La struttura del lavoro comprende una prima sezione teorica: in es-sa vengono illustrate le prospettive teoriche ed epistemologiche. Coe-rentemente con le cornici teoriche ed epistemologiche di riferimento, nel secondo capitolo la mia attenzione si � rivolta ai metodi qualitativi e, in particolare, all’intervista narrativa. Vengono descriveti i logici e metodologici che giustificano tali scelte.

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Introduzione

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Analogamente, per quanto riguarda la scelta dell’approccio all’analisi delle informazioni rilevate con le interviste narrative, nel terzo capitolo sono descritte le strategie di analisi disponibili nel pano-rama della ricerca nazionale e internazionale: in questa sezione, in particolare, viene evidenziata l’importanza di considerare le narrazioni come testi analiticamente complessi, cio� come fonti di informazioni sia rispetto ai contenuti che veicolano sia per gli aspetti struttura-li/linguistici (Clandinin 2007; Chiarolanza e De Gregorio 2007). I due ambiti (le analisi dei contenuti narrativi e quelle delle strutture narrati-ve), infatti, non sono stati adeguatamente e proficuamente integrati in nessun settore della ricerca psicologica e psicologico-sociale. Ne � prova il fatto che quasi tutti i riferimenti bibliografici citati afferiscono ad aree diverse dalla psicologia sociale: la sociologia, la sociolingui-stica, l’antropologia culturale. Il capitolo si chiude con una proposta di analisi integrata contenuti-strutture che viene descritta nel quarto e ul-timo capitolo. In esso, la ricerca condotta viene descritta ampiamente: dall’articolazione degli obiettivi (generali e specifici), al contatto con gli intervistati fino all’analisi delle informazioni condotta (e illustrata in maniera dettagliata) con il programma ATLAS.ti; in questa sezione, in particolare, va evidenziata la funzione innovativa che il lavoro con-dotto pu� assumere per la ricerca in psicologia sociale della devianza,non tanto (o non solo) per l’utilizzo del programma in s� stesso, ma per la proposta di strategie di analisi specifiche, di raffinate soluzioni e scelte tecniche, di modalit� di reporting dei risultati.

A conclusione, l’ampio corredo bibliografico (completato con rife-rimenti relativi ad altri settori delle scienze umane e sociali) che spero sia utile a quanti, da questo momento in poi, siano interessati a intra-prendere percorsi di ricerca analoghi augurando loro di ritrovarvi al-trettanta motivazione, interesse e soddisfazione.

Questo libro viene pubblicato a meno di un anno dalla scomparsa di Gaeta-no De Leo, Maestro a cui si deve molto del valore delle riflessioni qui propo-ste, ai suoi insegnamenti sul senso dello studio della devianza in una prospet-tiva narrativa, alle sue riflessioni – poco espresse, ma sempre estremamente chiare – sulla pertinenza di un lavoro qualitativo sui significati dell’azione deviante e delle azioni della vita quotidiana. A lui dedico questo mio primo libro come unico autore, con la consapevolez-za piena che – in qualche modo – continueremo a lavorare insieme. Grazie, grande Prof.

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Background teorico

Aprii gli occhi. Che vidi?

Niente. Mi vidi. Ero io, l�, aggrondato, carico del mio stesso

pensiero, con un viso molto disgustato.

M’assal� una fierissima stizza e mi sorse la tentazione di tirarmi

uno sputo in faccia. Mi trattenni. […] Ah, finalmente! Eccolo l�!

Chi era? Niente era. Nessuno. […] Chi era colui? Nessuno. Un

povero corpo, senza nome, in attesa che qualcuno se lo pren-

desse.

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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Capitolo 1 Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

1. I contesti di riferimento

Ci sembra utile iniziare la trattazione dello studio che abbiamo condotto facendo alcuni brevi cenni alle prospettive di base che – dal punto di vista epistemologico – forniscono una chiave di lettura per le attivit� di ricerca.

Come si sa, la scelta di un approccio epistemologico a un dato fe-nomeno sociale indica (e implica) una modalit� di relazionarsi con l’oggetto di studio: nello scegliere una prospettiva, il ricercatore im-plicitamente comunica quale immagine ha della realt� sociale e in che termini ritiene di porsi rispetto al proprio oggetto di studio.

1.1 Le prospettive teoriche ed epistemologiche

A costo di semplificare eccessivamente proponiamo la classica e-semplificazione fra positivismo e costruttivismo al fine di delineare con chiarezza (attraverso l’approfondimento del secondo) quale � il contesto di riferimento nel quale abbiamo scelto di collocarci.

Gli approcci variamente rifabili al positivismo (e alle sue riformu-lazioni pi� recenti) hanno chiaramente dichiarato di preferire una let-tura della realt� sociale come oggettivamente conoscibile: il ricercato-re e l’oggetto della ricerca fanno parte di due universi ontologicamen-te separati e la realt� esiste esterna al sistema cognitivo del ricercatore e a prescindere dalle forme di conoscenza impiegate da questo (Harr�1989a).

Al contrario, chi afferisce a un approccio costruzionista valorizza una prospettiva secondo cui il ricercatore esclude a priori qualunque ipotesi di “realismo” (o “oggettivismo”: esclude cio� che esista una realt� esterna oggettivamente conoscibile). Contro l’artificiosit� della

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Capitolo I

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ricerca di laboratorio, i costruttivisti1 prendono spunto dall’antropologia e propongono di entrare – letteralmente – nel conte-sto che stanno studiando, di incontrare i partecipanti alla ricerca nel loro contesto di vita (la scuola, la famiglia, l’azienda o – come descri-veremo nel corso di questo lavoro – i contesti detentivi). Secondo que-sti approcci (l’uso del plurale dipende dalla consapevolezza delle arti-colazioni interne alla prospettiva pi� generale), l’obiettivo della ricer-ca sociale e psicologica � la comprensione dell’oggetto-nel-contesto, non la formulazione di leggi generali in forma di ipotesi “se… allo-ra…”:

ci� che prendiamo per conoscenza oggettiva e vera � il risultato del punto di vista. Conoscenza e verit� sono create, non scoperte nella mente. [I costruttivisti] enfatizza-no la natura pluralistica e plastica della realt�: pluralistica, nel senso che la realt� si pu� esprimere in una variet� di simboli e sistemi linguistici; plastica, nel senso che essa � adattata e modellata alla luce degli obiettivi di agenti umani dotati di intenzio-nalit� (Schawandt 1994, p. 125).

Nel quarto capitolo descriveremo come i partecipanti alla ricerca abbiano chiaramente indicato di preferire raccontare i reati che hanno commesso e il percorso di carriera nella devianza a un ricercatore: di-chiaravano apertamente di non voler relazionarsi in tal senso con nes-suna delle figure che a vario titolo erano deputate a raccogliere la loro voce (avvocati, magistrati, assistenti sociali) in quanto ritenevano che solo con una persona totalmente esterna al contesto carcerario poteva-no sentirsi liberi di raccontare il loro punto di vista senza costrizioni di sorta. Questa breve anticipazione descrive chiaramente in che termini intendiamo valorizzare una prospettiva costruttivista allo studio dell’azione deviante: i ragazzi che abbiamo incontrato nelle sezioni di Regina Coeli e di Rebibbia hanno ricostruito con il ricercatore una loro immagine della realt� che hanno vissuto indipendentemente da cosa il sistema giudiziario abbia accertato essere “vero”: evidentemen-te, l’obiettivo che siamo posti non era relativo all’accertamento della verit� processuale, ma era piuttosto orientato a rilevare le costruzioni soggettive, le attribuzioni di senso, l’unicit� della prospettiva degli at-tori che aveva attuato azioni giuridicamente e socialmente ritenute “devianti”.

1 Vedremo pi� avanti che la stessa categoria generale pu� essere messa in discussione in fun-zione delle sue articolazioni interne.

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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Come riporta Schwandt (1994), la prospettiva costruttivista ha su-bito delle revisioni in un duplice senso: da una parte, una radicalizza-zione dovuta al lavoro di Ernst von Glaserfeld secondo il quale �non si pu� conoscere una cosa come indipendente e oggettiva totalmente staccata dalla nostra esperienza di quella stessa cosa. Quindi, non pos-siamo parlare di conoscenza di qualcosa come rappresentazione corri-spondente, come uno specchio, di quel mondo� (Schwandt 1994, p. 127); dall’altra, la proposta di Gergen (1985) amplia la prospettiva: la conoscenza dei fenomeni sociali � un processo tutt’altro che individu-ale, esso invece vede la compartecipazione di una molteplicit� di atto-ri. Questa prospettiva, nota come “socio-costruzionismo”, implica che

i resoconti sul mondo hanno sede nei sistemi condivisi di intelligibilit� – solitamente nei testi orali o scritti. Questi resoconti non sono visti come espressioni esterne ai pro-cessi interni del parlante (quali cognizioni o intenzioni), ma come espressione delle relazioni fra persone (Gergen 1985, p. 78 cit. in Schwandt 1994).

Questa revisione dell’approccio costruttivista � stata approfondita dagli esponenti della c.d. “psicologia dialogica” (Shotter 1995): a par-tire dai quotidiani flussi di comunicazione, l’attenzione viene spostata all’analisi delle funzioni del parlato in contesti specifici. Nel secondo capitolo approfondiremo la trattazione degli approcci discorsivi nella ricerca psicologica; adesso ci preme evidenziare la natura che il lin-guaggio (la comunicazione, in senso lato) assume: esso viene definito come uno strumento, un mezzo, che consente agli individui di perse-guire specifici obiettivi. Questo uso del linguaggio implica una con-vergenza fra azioni di attori diversi:

nelle nostre negoziazioni e contese momento per momento con altri con cui sia coin-volti [in situazioni comuni], continuiamo a interagire fino alla costruzione di un risul-tato che sia soddisfacente per tutte le parti. Nel fare questo, invece di agire esclusiva-mente come individui isolati […], dobbiamo anticipare quello che gli altri possono fare o dire in risposta a ci� che noi facciamo o diciamo. In altre parole, gli individui non sono entit� isolate, ma occupano situazioni condivise (Shotter 1995, p. 166).

1.2 Gli studi sull’accountability (nei contesti legali)

Gi� da queste prime pagine, � evidente come costruire narrativa-mente un’azione deviante significhi necessariamente dover render conto di un comportamento contrario a un sistema normativo (formale e/o informale) vigente. In tal senso, diventa centrale lo studio delle ar-

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Capitolo I

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gomentazioni (in termini di contenuto) e delle strategie retoriche (in termini discorsivi) – che a partire dalle pionieristiche ricerche di Scott e Lyman (1968) e di Semin e Manstead (1983) – sono utilizzate da un attore (detto “accounter”) per assumersi o, al contrario, spostare da s� la responsabilit� a lui attribuita da un altro (detto “reproacher”)2.Buttny (1993) chiama “funzione trasformativa” (o “riparativa”) la ca-ratteristica prettamente discorsiva degli account orientata a modificare – appunto - una valutazione altrui negativa3.

La necessit� per l’accounter di instaurare un circuito discorsivo di questo tipo � dovuta alla necessit� di mantenere una positiva immagi-ne di s� (Wetherell e Potter 1989), di evitare (o comunque allontanare il pi� possibile) le attribuzioni negative (Semin e Manstead 1983; Fel-son e Ribner 1981), di riparare i conflitti relazionali causati dall’evento critico (Bies, Shapiro e Cummings 1988): tali obiettivi(come � stato ampiamente dimostrato) vengono perseguiti attraverso strategie discorsive che – nelle formulazioni pi� recenti – sono vicine alle tecniche “neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza 1957; Fritsche 2002) e ai meccanismi di “disimpegno morale” (cfr., fra letante fonti, Bandura 1997; 1999) di cui parleremo diffusamente in se-guito.

Scott e Lyman (1968) hanno identificato due categorie di account:

– le scuse, con cui l’accusato ammette di aver causato un danno ma nega di esserne pienamente responsabile,

– le giustificazioni, con cui ci si assume la responsabilit� di un’azione sanzionabile, ma si nega la sua effettiva gravit� o, addi-rittura, se ne evidenziano le conseguenze positive.

Questa categorizzazione ha avuto, nel corso degli anni, diverse ri-visitazioni, conferme empiriche in vari contesti e significativi am-pliamenti fra i quali sottolineiamo quello operato da Sch�nbach (1980) che ha introdotto il concetto di “sequenze di account” (evento riprovevole, accusa della parte offesa, account dell’attore “deviante”, valutazione della validit� dell’account) e due forme discorsive aggiun-tive a quelle proposte da Scott e Lyman:

2 Scott e Lyman hanno chiamato questo scambio di accuse e difese “valutative inquiry”, evi-denziando la funzione valutativa - nei confronti di chi ha commesso l’azione riprovevole - del contesto rappresentato dall’accusatore (Cody e McLaughlin 1990, p. 227).

3 Per la contestualizzazione dell’accontability nelle situazioni di “rottura” delle routine inte-rattive si vedano Semin e Manstead (1983) e Hewitt (1996, trad. it. 1999).

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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– le concessioni: l’attore semplicemente ammette le proprie respon-sabilit�,

– il diniego: si nega con forza qualsiasi attribuzione di responsabilit� e anzi, talvolta, si nega l’autorit� dell’accusatore.

Il collegamento fra responsabilit� e accountability � infatti uno de-gli aspetti che meritano maggiore attenzione: come ha efficacemente sottolineato Buttny (1993), attribuire a s� (versione autoresponsabiliz-zante) o ad altri, oppure a cause esterne non controllabili (versione au-toassolutoria) ha immediate implicazioni pratiche sulle azioni e sulle interazioni:

in qualit� di individui agenti, noi di solito conosciamo meglio di altri le condizioni, le circostanze e i vincoli delle nostre azioni. Queste “condizioni”, se veicolate attraverso i resoconti e combinate con conoscenze condivise, possono trasformare il significato degli eventi. L’evento pu� essere “visto differentemente” per la riconfigurazione delle sue condizioni soggiacenti, o per le circostanze precedentemente sconosciute o sotto-valutate (Buttny 1993, p. 5).

In questo senso, la responsabilit� diventa un “gioco discorsivo”, una versione pi� o meno plausibile dei fatti, una dialettica fra attribu-zioni, intenzioni, attori coinvolti, cause interne ed esterne: �nel costru-ire un resoconto un attore pu� far riferimento a una ampia gamma di condizioni contestuali e precedenti che possono alterare la compren-sione e la valutazione dell’episodio in questione� (ibidem, p. 6) con evidenti implicazioni in termini di attribuzione di responsabilit�. Il si-gnificato degli eventi diventa una questione di “punto di vista”, inte-rattivamente negoziabile.

L’accountability � dunque una pratica discorsiva diretta a porre in una luce diversa l’attore e, in ultima analisi, lo facilita ad allontanareda S� la responsabilit� di aver compiuto un’azione sanzionabile.

Un altro collegamento importante si pu� fare fra il resoconto e la narrazione: le forme di giustificazione, di scusa, di diniego e di auto-colpevolizzazione assumono infatti una forma narrativa in quanto so-no sempre inseriti in contesti discorsivi caratterizzati da dimensioni e vincoli spaziali e temporali. Dare una struttura logica agli eventi, ar-gomentare le cause e le conseguenze delle azioni e ridefinire le rela-zioni passate e future impone all’attore (come vedremo pi� approfon-ditamente nel cap. 2) di organizzare i contenuti secondo una forma narrativa (Sarbin 1986a): l’account � dunque una narrazione che pu�,a sua volta, essere inserita in una storia pi� ampia.

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Capitolo I

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Complessivamente, la ricerca ha consolidato alcuni risultati signi-ficativi: gli account che si sviluppano in contesti interattivi assumono una forma canonica nella quale la sequenzialit� evento - - accusa - -account - - valutazione � soggetta ad articolazioni dipendenti dai con-testi specifici (Cody e McLaughlin 1988; 1990).

Per quanto riguarda – in particolare – i contesti legali, Danet (1990, p. 538) ha sostenuto che �ci sono grandi differenze nei temi studiati, nei fondamenti teorici, nei metodi di ricerca e nella rilevanza dei setto-ri specifici per l’applicazione a contesti sociali�. Bisogna ricordare che questo tipo di ricerca ha visto la prevalenza del processo penale come contesto privilegiato: in tale settore, sono stati fondamentali i contributi di O’Barr (1983), Atkinson e Drew (1979), Drew (1985),Penman (1987) e Drew e Heritage (1993). Si tratta di studi pionieristi-ci, dalla forte valenza applicativa, che hanno privilegiato una prospet-tiva sociolinguistica, discorsiva e/o conversazionalista.

Dal punto di vista strettamente metodologico, gli studi citati hanno privilegiato un approccio quantitativo ai dati coerentemente con l’obiettivo di spiegare le relazioni fra costruzioni discorsive specifi-che, variabili contestuali e personali degli attori (Cody e McLaughlin 1988; Antaki 1985; 1988; Bies e coll. 1988; Riordan, Marlin e Kel-logg 1983; Felson e Ribner 1981)4.

Con particolare riferimento ai nostri interessi bisogna sottolineare tuttavia che il contesto carcerario � stato trascurato, probabilmente per i problemi di accessibilit� che (per ragioni di riservatezza e di sicurez-za) il ricercatore incontra5.

Questi brevi riferimenti agli studi sull’accountability hanno avuto l’obiettivo di delineare un contesto; nelle prossime pagine saranno spesso richiamati i concetti espressi in questo paragrafo: si tratter� di collegamenti necessari, dovuti all’importanza delle strategie di rendi-contazione dell’azione che – sebbene non centrali rispetto ai nostri o-biettivi – ne costituiscono un momento di confronto imprescindibile.

4 In lingua italiana si veda - ad esempio - Mannetti, Catellani, Fasulo e Pajardi (1991).5 Fanno eccezione pochi studi, fra i quali – come descriveremo dettagliatamente in seguito –

riveste particolare interesse quello di O’Connor (1994; 1995).

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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2. La costruzione narrativa dell’azione

Le premesse di contesto appena descritte lasciano emergere e avva-lorano la nostra ipotesi per lo studio dei modi in cui l’azione deviante penalmente sanzionabile viene narrativamente (ri)costruita dall’autoreal fine di presentarla (e in ugual modo presentare s� stesso) in maniera socialmente accettabile o, quanto meno, passibile di sanzioni meno pesanti. Riteniamo infatti che le prospettive descritte nel paragrafo precedente (gli approcci discorsivi e conversazionalisti), seppure spe-cificamente orientati a rilevare le strategie di rendicontazione e giusti-ficazione utilizzate, lascino per lo pi� in secondo piano i complessi meccanismi di costruzione narrativa vera e propria: in altre parole, fo-calizzandosi sulle interazioni in cui era espressamente richiesta unaspiegazione delle ragioni e delle cause per l’aver compiuto un’azione riprovevole, gli studi citati hanno finito col focalizzarsi su un ambito,a nostro avviso, ristretto, quello della “botta e risposta”, dello scambio dialogico “punto per punto” (come se gli attori in quel momento coin-volti nel processo discorsivo fossero – metaforicamente – paragonabilia due tennisti impegnati in uno scambio). La loro unit� di analisi mi-nima analizzabile �, pi� esattamente, il turno specifico nel quale –come abbiamo descritto – si succedono rapide sequenze “evento - -accusa - - account - - valutazione” (Cody e McLaughlin 1988; 1990; Scott e Lyman 1968; Semin e Manstead 1983).

Per queste ragioni abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzio-ne su obiettivi di pi� ampio respiro – la ricerca sulle narrazioni riferiti a contesti non inquisitivi – e su unit� d’analisi6 (le costruzioni narrati-ve, appunto) meno ancorate alla richiesta contingente di una “giustifi-cazione” vera e propria7. Come descriveremo nel cap. 4, la richiesta di raccontare liberamente il proprio punto di vista, l’azione come si � svolta senza condizionamenti o censure ha prodotto argomentazioni e temi che non sono direttamente e completamente riconducibili a un approccio giustificazionista. Dal punto di vista metodologico, si tratta, come � evidente, di una proposta che si affianca (senza pretesa di so-stituzione) a quelle esistenti e proprio in ragione di questa continuit� logica riteniamo opportuno iniziare la descrizione dei modelli teorici

6 Pi� avanti nel corso di questo lavoro, illustreremo con maggiore precisione cose abbiamo inteso con “unit� di analisi”.

7 Si tratta di un rilievo critico che � mosso anche da O’Connor (1995), in uno studio che de-scriveremo approfonditamente pi� avanti.

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di riferimento a partire dalla letteratura di afferente agli approcci di-scorsivi per spostarci poi sugli approcci interazionisti e interpretativi.

Facendo riferimento agli approcci riferibili alla psicologia discor-siva, si prefigura una divaricazione in quanto la costruzione narrativa dell’azione � essa stessa un’azione: il principale riferimento teorico � dato dal DAM (Discoursive Action Model) proposto da Edwards e Pot-ter (1992) nell’ambito degli studi sulla memoria e sull’attribuzione causale. Si tratta di un insieme di principi (pi� che di una teoria vera e propria) secondo i quali – come scrivono De Grada e Bonaiuto (2002)– i contenuti di cui si parla, in una situazione discorsiva, (spiegazioni di eventi, resoconti di esperienze, etc.) non sono prodotti sulla base di processi psicologici esclusivamente intraindividuali, ma sono �retori-camente costruiti per servire scopi pratici, interpersonali o sociali, e perci� costituiscono azioni� (ibidem, p. 158)8. I fenomeni e processi psicologici avrebbero, secondo questo approccio, una realt� differen-ziata a seconda degli eventi conversazionali in cui sono inseriti: in un processo penale o in un’intervista sull’azione deviante, la costruzione dell’azione va incontro a criteri di plausibilit� mediante i quali lo stes-so discorso viene impostato in maniera da soddisfare tali criteri: con-vincere gli altri della veridicit� della propria versione dei fatti, allon-tanare da s� la responsabilit�, accusare altri. La costruzione vera e propria, inoltre, si serve di dispositivi retorici9 che agevolano il pro-cesso di rappresentazione dell’accaduto come un quadro fedele della realt�: si tratta (come � evidente da quanto scritto fino a ora) di mano-vre persuasive che tuttavia rinforzano l’idea di un apparato concettua-le e metodologico specificamente adatto per lo studio dei processi per-suasivi, piuttosto che della costruzione ordinaria, colloquiale, degli eventi.

Analogamente, la proposta di Harr� e Gillett (1994) si colloca nel panorama della cosiddetta “svolta discorsiva” allo studio dei processi psicologici (ne parleremo approfonditamente nel cap. 2 � 2), ma – a differenza dei rappresentanti del DAM – gli Autori propongono una ri-valutazione del ruolo del soggetto che produce la narrazione nei ter-mini di “agentivit�” (o capacit� di agire) all’interno di una costruzione discorsiva e di intenzionalit� della riproduzione dell’azione non neces-sariamente confinata in un obiettivo persuasivo. Secondo Harr� e Gil-lett (1994), la valutazione dell’evento e della ricostruzione operata dal

8 Sullo stesso argomento si veda anche Melucci (2001).9 Per una dettagliata analisi i tali dispositivi rinviamo a De Grada e Bonaiuto (2002).

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soggetto che l’ha attuata deve essere fatta con riferimento al contesto specifico in cui si � svolta. Senza tale riferimento, si perderebbe il si-gnificato che effettivamente l’azione ha avuto nel momento in cui si sono svolti i fatti: per questa ragione, una ricostruzione operata in tri-bunale ha necessariamente un carattere artificioso perch� prodotta in un contesto differente (Bruner 2002) nel quale oltretutto gli obiettivispecifici della ricostruzione stessa sono riferibili alla necessit� di evi-tare una pesante condanna e/o allontanare da s� parte della responsabi-lit�, riparare la propria immagine da eventuali attribuzioni negative:�il compito delle teorie discorsive dell’azione � perci� reinserire il soggetto agente nella storia, l’unico che inizia l’azione, l’unico che, in qualche modo, ha un ruolo cruciale nell’attribuire significati a ci� che fa e a ci� che �� (Harr� e Gillett 1994, trad. it. 1996, p. 128). Il concet-to di “agentivit�” � qui proposto nel senso di capacit� dell’individuo di riposizionarsi al centro del proprio universo di significati che com-prende l’azione su cui � chiamato a rispondere o l’identit� che intende assumere (De Fina 2004). Pi� avanti (e nel corso dell’intero lavoro) questo concetto sar� ripreso pi� volte secondo una duplice accezione: da una parte quella, che abbiamo appena descritto, di azione intenzio-nale nel contesto della rievocazione (Harr� 1995b) e dall’altra – se-condo una definizione tradizionale e pi� consolidata – nel senso di as-sunzione della responsabilit� e della capacit� d’agire individuale ri-spetto all’azione specifica nel momento in si � svolta (Bandura 1986).

In entrambe le situazioni, ci troviamo dinnanzi a formulazioni a posteriori operate in contesti specificamente deputati alla ricostruzione di versioni plausibili di eventi (Bruner 1991; 2002), secondo criteri e modelli che descriveremo nel capitolo 2.

O’Connor (1994; 1995) si � dedicata specificamente allo studio delle costruzioni narrative di azioni devianti operate in contesti in cui non veniva espressamente richiesto un account, una giustificazione. La ricercatrice ha effettuato 19 interviste in carceri degli Stati Uniti: si trattava dunque di una situazione “colloquiale” in cui un detenuto sce-glie, dapprima, di incontrare un ricercatore e, successivamente, di rac-contare e raccontarsi in forma libera, non vincolata da tempi e doman-de pressanti, n� da costrizioni giuridiche, senza il rischio di instaurare situazioni tendenti alla conflittualit�:

Diversamente dai discorsi formulati in tribunale, dove le sequenze domanda-risposta elicitano fatti criminosi, il discorso prodotto nelle narrazioni autobiografiche studiate in questa sede � meno diretto e pi� aperto, e consente ai detenuti di riferire con lunghi passaggi narrativi (O’Connor 1995, p. 430).

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Oltre alla condivisione di queste osservazioni, le ragioni di interes-se della ricerca di O’Connor sono molte:

– l’utilizzo di narrazioni autobiografiche orientate a cogliere il puntodi vista dei protagonisti dell’evento (cfr. cap. 2),

– il riferimento ai temi dell’agentivit� e della assunzione di respon-sabilit� (di cui abbiamo parlato in precedenza e che riprenderemo nel quarto capitolo),

– il collegamento fra i concetti di “agency” e “posizionamento di-scorsivo” (quest’ultimo sar� approfondito nel � 3.1 in questo capi-tolo) che riprenderemo alla fine di questo percorso di ricerca, par-lando dei risultati e delle loro implicazioni operative.

L’agentivit�, in particolare, � stata operazionalizzata dall’Autrice facendo riferimento a un ideale continuum di ammissione e assunzio-ne di responsabilit�: a un estremo, si collocano le narrazioni prodotte dai soggetti che cercano di spostare le attribuzioni negative fuori dalla propria persona (“deflecting agency”); all’altro polo, si trovano coloro che si assumono pienamente la responsabilit� delle azioni che hanno compiuto (“claiming agency”); ci sono poi una serie di strategie in-termedie proprie di chi prova a “problematizzare”, a contrattare, l’attribuzione di responsabilit� (“problematizing agency”). Si tratta, a nostro avviso, di un’utile tripartizione (e, in generale, la valutazione pu� essere estesa all’impostazione di ricerca) che – pur nella sua sem-plicit� – ha un’evidente funzione euristica per almeno due ragioni: in primo luogo, ci consente di collegare stabilmente il concetto di agen-tivit� all’imputazione di responsabilit� penale; inoltre, la gradazione in livelli differenti di ammissione di responsabilit� favorisce una mag-giore analiticit� nell’analisi delle produzioni narrative in correlazione con altri aspetti dei resoconti narrativi: � ragionevole cio� supporre che una dislocazione della responsabilit� totalmente all’esterno (o un tentativo di mediare le attribuzioni negative pur riconoscendo le pro-prie colpe) si colleghi a uno stile narrativo (in termini di contenuti e di struttura delle argomentazioni, come descriveremo nei capitoli 3 e 4) specifico che comprende altri aspetti specifici relativi, ad esempio, alla descrizione dell’azione in s�, alle intenzioni, alle dimensioni del posizionamento attuale e retrospettivo, al tipo di reato commesso e cos� via.

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2.1 L’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi

Un utile spunto di riflessione (rispetto alla costruzione narrativa dell’azione deviante e allo sviluppo del progetto di ricerca che abbia-mo condotto) arriva dal modello teorico della Goal Directed Action (GDA o Teoria dell’Azione), secondo la formulazione originaria di Mario von Cranach e Rom Harr� (1982; von Cranach, Kalbermatten, Inderm�lhe e Gugler 1982; von Cranach e Valach 1983).

� bene precisare subito che la proposta degli Autori non � ricondu-cibile direttamente alle costruzioni narrative (cos� come i modelli pre-cedenti), ma si tratta di un riferimento che in lavori precedenti di que-sto tipo (De Leo, Patrizi e De Gregorio 2004a; De Leo e Patrizi 1992; 1999) e in contesti clinici (De Leo 1995; De Leo, Bosi e Curti Gialdi-no 1986; De Leo e Bollea 1984) si � dimostrato euristicamente fecon-do: sulla base di tali evidenze abbiamo infatti ritenuto utile strutturare la traccia di intervista narrativa utilizzata in questa ricerca e che verr� descritta in dettaglio nel quarto capitolo (� 2). Come vedremo in que-sto paragrafo la sua funzione applicativa in tale contesto � rilevabile in particolare con riferimento a una delle tre dimensioni, quella dei signi-ficati sociali, maggiormente implicata nei processi ricostruttivi e attri-butivi sul senso delle azioni devianti. Per contestualizzare adeguata-mente questa implicazione ci sembra utile accennare brevemente alle caratteristiche salienti dell’intero modello, rimandando il lettore al quarto capitolo per una dettagliata argomentazione della sua applica-zione alla strutturazione della traccia di intervista narrativa.

Secondo le formulazioni originarie, l’azione umana � rappresenta-bile – a fini didattici e divulgativi – con un “triangolo concettuale” (v. Fig. 1), composto dalle seguenti dimensioni: il comportamento mani-festo, la cognizione (cosciente), il significato sociale.

Il Teorema dell’azione chiarisce le interazioni fra le tre dimensioni:

Nell’agire finalizzato (nell’associazione di azioni) il comportamento manifesto � gui-dato (parzialmente) da cognizioni coscienti, che a loro volta sono (in parte) di origine sociale; in tal modo la societ�, attraverso il controllo delle cognizioni (parzialmente),produce e controlla l’agire dell’individuo, che, d’altra parte, attraverso le proprie a-zioni, modifica le strutture sociali (von Cranach e Ochsenbein 1994, p. 80).

Il modello enfatizza l’orientamento all’obiettivo dell’azione: il concetto di “obiettivo” � centrale perch� gli scopi sono presenti in tut-te le azioni, in quelle pi� complesse come in quelle automatiche e non-intenzionali (Bargh e Chartrand 1999; Bargh e Ferguson 2000;

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Bargh, Chen e Burrows 1996; Aarts e Dijksterhuis 2000). Tutte le a-zioni, anche quelle quotidiane, ordinarie (come le ha chiamate von Cranach: cucinare, andare al cinema, etc.) sono sempre orientate da scopi: in esse gli obiettivi, seppure non pi� evidenti, si sono automa-tizzati, le azioni sono cio� diventate routinarie (sono diventate abitua-lizzazioni: Berger e Luckmann 1966) ed in esse lo scopo � diventato implicito ed � quindi fuori dalla consapevolezza dell’attore. Come ab-biamo argomentato altrove (De Leo e coll. 2004a), � possibile indivi-duare uno scopo persino nelle azioni apparentemente non pianificate: i c.d. “raptus”, ad esempio, sono considerati azioni con uno scopo e-mergente: da questo punto di vista, anche persone con problemi psi-chiatrici, a cui difficilmente potrebbe essere imputata un’intenzionalit�, in realt� manifestano scopi che hanno senso, per lo-ro, nel loro sistema cognitivo.

Il triangolo di von Cranach e Harr� consta (come accennavamo in precedenza) di tre dimensioni fortemente collegate sia dal punto di vi-sta teorico, sia (come vedremo in seguito) da quello empirico. Sebbe-ne l’originaria proposta degli Autori preveda (come mostra la figura 1) un metodo di studio specifico per ciascuna di esse (portando quindi a una frammentazione dell’unit� di analisi) abbiamo proposto l’utilizzo dei metodi narrativi e biografici come strumento di integrazione e di coerenza con l’unitariet� teorica.

Figura 1. Rappresentazione grafica del modello Goal-Directed Action (fonte: von Cranach e Harr� 1982, adattato da De Leo e Patrizi 1992).

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La prima dimensione � nell’ambito di cui ci stiamo occupando, la devianza di tipo criminale, il comportamento manifesto osservabile, di ispirazione comportamentista, � quella, che manifesta una maggiore (evidenza forse anche di ovviet�): essa fornisce, proprio in virt� del suo richiamo agli esiti visibili, un immediato riferimento empirico al ricercatore che sia interessato a studiare l’azione in quanto “sequenza di comportamenti”10. Si tratta tuttavia anche di una dimensione che problematicamente pu� essere utilizzata a fini empirici in contesti rea-li: la difficolt� sta nella difficolt� a effettuare analisi dirette (per cos� dire “in tempo reale”) dal momento che il ricercatore, l’investigatore e il criminologo si trovano sempre di fronte a ricostruzione successive degli eventi.

Come si vede nella figura 1, il comportamento manifesto pu� esse-re studiato in maniera empirica solo attraverso metodi di osservazione sistematica. Allo stesso modo, come vedremo a breve, anche le “co-gnizioni coscienti” e i “significati sociali” verrebbero ricondotti a di-verse opzioni metodologiche, restringendo cos� il campo delle possibi-lit� di integrazione – anche teorica – all’interno di un concetto (l’azione sociale, appunto) che assume senso proprio nell’integrazione fra le dimensioni costitutive.

Gli aspetti cognitivi dell’azione (la seconda dimensione e ulteriore lato del triangolo nella figura 1) possono essere sono operazionalizzati – seguendo la trattazione di von Cranach e Ochsenbein (1994) – con riferimento a indicatori quali:

– gli obiettivi espliciti, che costituiscono il filo conduttore fra presen-te, passato e futuro e sono ordinati gerarchicamente in funzione della meta: molti obiettivi spesso riconducono a movimenti routi-nari, abitualizzati, ed emergono come obiettivo solo nel caso di imprevisto;

10 In un lavoro recente, condotto nell’ambito del Laboratorio di Psicologia Investi-gativa della Facolt� di Psicologia 2 e la cui pubblicazione dei risultati � ancora in cor-so, abbiamo utilizzato il modello della GDA con particolare riferimento alla dimen-sione del comportamento manifesto: in quel contesto avevamo a disposizione 23 fil-mati di videosorveglianza relativi a rapine condotte in banche, farmacie e gioiellerie (si tratta di materiali privi di audio) rispetto ai quali abbiamo cercato di rilevare even-tuali pattern di azione condivisi e consolidati nel modus operandi degli autori di reato(De Leo, Volpini e De Gregorio 2006).

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– piani d’azione e strategie: danno avvio al processo atto a raggiun-gere una meta, consentendo successivamente di monitorare l’intero percorso;

– intenzioni: �possono riferirsi alle mete e ai piani: la loro realizza-zione viene vissuta soggettivamente come atto di volont�� (von Cranach e Ochsenbein 1994, pp. 44-45);

– mete di processo, tappe intermedie verso il raggiungimento dell’obiettivo principale; all’interno della dimensione cognitiva, una caratteristica fondamentale dell’azione sociale � il continuo monitoraggio che ristruttura gli obiettivi: si tratta di un controllo in itinere (durante e dopo).

– emozioni che precedono, accompagnano e seguono l’azione.

Rimandiamo agli Autori (von Cranach e Ochsenbein 1994; von Cranach e coll. 1982) per ulteriori dettagli sulla definizione delle co-gnizioni coscienti e dei relativi indicatori e risultati empirici. Quello che ci preme sottolineare in questo contesto � la rilevanza che hanno gli aspetti cognitivi, secondo il modello appena descritto; essi avvalo-rano la tesi di una specifica attenzione che la GDA pone al controllo consapevole dell’azione: poca attenzione viene data ai processi auto-matici, non controllati dalla coscienza (si parla di “sub-routine” di tipo non conscio)11.

Il significato sociale (la terza dimensione, che esplicitamente con-sente di costruire un ponte fra il livello individuale e quello sociale di spiegazione) rappresenta il senso dell’azione, sia nei termini pi� ampi della cultura che in quelli circoscritti della situazione. Esso richiama l’importanza del contesto in cui l’azione � attuata: i contesti sociali possono attribuire significati diversi ad analoghe azioni o lo stesso si-gnificato ad azioni diverse; le azioni, in altri termini, diventano intera-zioni e acquistano significato a seconda del contesto in cui si svolgono e il contesto costruisce le azioni attraverso i significati che ad esse vengono attribuiti.

Dal punto di vista metodologico, Harr� e coll. (1985) propongono di studiare i significati sociali mediante tecniche di tipo intensivo. Tali

11 � recente l’enfasi che questi hanno ricevuto sia nelle premesse di intenzionalit� e controllo razionale dell’azione (Searle 2001), sia per quanto riguarda la verifica spe-rimentale delle ipotesi sui meccanismi automatici del comportamento sociale (Bargh e Chartrand 1999; Bargh e Ferguson 2000; Bargh, Chen e Burrows 1996; Aarts e Di-jksterhuis 2000).

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tecniche – distinte da quelle estensive, che fanno uso di elaborazioni statistiche di dati raccolti su ampi campioni – sono adatte allo studio dei sistemi di credenze che individui, da una parte, e piccoli gruppi, dall’altra, utilizzano come veicolo nell’azione quotidiana. Si tratta, se-condo gli Autori, dei metodi pi� adatti per mettere in evidenza le strut-ture di significati che contribuiscono alla definizione degli atti sociali.

Anche nel caso dei significati sociali, come per il comportamento manifesto e le cognizioni coscienti, il focus empirico rischia di fram-mentare il senso di unitariet� dell’azione.

De Leo e Patrizi (1992, 1999), che hanno affrontato lo studio dell’azione deviante entro un paradigma socio-costruzionista, a partire dallo schema concettuale della Goal-Directed Action, hanno appro-fondito lo studio delle possibili anticipazioni dei percorsi d’azione. In particolare, si sono chiesti:

quali sono le funzioni specifiche di quell’azione per quel soggetto in quel dato momento storico?

rispetto a quali contesti e persone/sistemi di riferimento? in che modo, secondo quali criteri interpretativi e rispetto a quali

ambiti di rilevazione, l’attore anticipa le conseguenze delle sue scelte comportamentali?

Hanno differenziato due principali tipologie di effetti, intesi come anticipazioni che orientano all’azione: effetti pragmatici-strumentalied effetti espressivo-comunicazionali.

I primi riguardano ci� che la persona concretamente cerca di otte-nere: si tratta di qualcosa di immediato e tangibile. � tuttavia possibile avvicinarsi alla devianza considerandone gli aspetti comunicativi: o-gni nostra azione � infatti guidata anche da anticipazioni di tipo e-spressivo. Sono effetti il cui scopo � desumibile solo con un atto inter-pretativo, non � cio� immediatamente rintracciabile. Questa tipologia rinvia a una tradizione di studi che spazia dagli studi filosofici di Wit-tgenstein e della Teoria degli atti linguistici di J. Austin (1962), alla Pragmatica della comunicazione umana della Scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin e Jackson 1967).

Secondo Sykes e Matza (1964), la devianza possiede uno struttura-le potere di amplificare la comunicazione, di evidenziare messaggi: nel corso dello sviluppo ontogenetico e sociale l’individuo impara dall’esperienza che la trasgressione � un forte attrattore di interesse e

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reazioni da parte del contesto. Tali reazioni sono sempre in qualche modo riferite alla “lettura” che gli organismi di controllo, le agenzie di socializzazione ed eventualmente i mezzi di comunicazione hanno fat-to di quelle trasgressioni.

Gli esempi di situazioni come quella descritta sono sotto gli occhi di tutti: la cronaca quotidiana parla di casi in cui a una debole (talvolta apparentemente assente) funzione strumentale si affiancano obiettivi rispetto ai quali sembra prevalere una dimensione espressiva: la scelta dell’azione (talora violenta ed eclatante), della vittima (si pensi alle “vittime designate” di molti serial killer), del tipo di arma sono casi in cui la “spiegazione strumentale” non soddisfa: in essi (si pensi a molti casi di omicidio) l’azione � prima di tutto “sociale” in virt� della pre-valenza della dimensione espressiva su quella strumentale (De Leo e Bollea 1984; De Leo, Bosi e Curti Gialdino 1986). C’� sempre un re-ferente simbolico-normativo, un destinatario dell’azione-comunicazione.

L’esperienza clinica e le indagini empiriche hanno mostrato come sul piano espressivo-comunicazionale siano individuabili quattro prin-cipali effetti che l’attore sociale anticipa attraverso la devianza:

– gli effetti S�: si tratta di messaggi (proseguendo sul modello-metafora della comunicazione) che l’attore riferisce a se stesso come sistema agente e sulla sua organizzazione. Si immagini la si-tuazione in cui un individuo agisce situazioni che poi rivede (come se fosse osservatore esterno a se stesso) e rispetto alle quali enuclea implicazioni, riferimenti, valutazioni: in questo senso, � possibile sostenere che egli invii messaggi al S� agente e – rivedendosi – as-sume feedback sul proprio operato. Tale esemplificazione � coe-rente con l’approccio drammaturgico (Goffman 1959; 1967) per cui ogni azione rappresenta anche una fonte di indicazioni su quell’identit� che l’ha attuata12;

– gli effetti di relazione: sono connessi agli effetti S�, ma riguardano in particolare la valenza comunicativa dell’azione compiuta

12 Gli studi sull’identit� sociale, d’altra parte, offrono molti spunti in proposito con riguardo agli schemi di s�, alla gestione delle impressioni, alla conformi-t�/negoziazione rispetto alle norme, alla costruzione e al mantenimento di un senso di coerenza di s� anche attraverso il riferimento ai gruppi di appartenenza (si vedano a titolo esemplificativo i recenti manuali in lingua italiana: Arcuri 1995; Mannetti 2002; Moghaddam 2002).

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all’interno di una relazione reale o immaginata, significativa per l’attore. In generale, comunicare qualcosa all’interno della relazio-ne pu� significare ridefinirla in termini di ruoli e di dimensioni di potere: in chiave interazionista-simbolica, gli effetti di questo tipopossono riguardare direttamente la vittima o ci� che essa rappre-senta (pensiamo ai reati omicidiari di tipo seriale, dove la vittima � spesso un bersaglio simbolico), ma possono essere rivolti ad altri sistemi di relazione dell’autore – significativi nella sua attuale fase di vita o rispetto alla sua storia passata13;

– gli effetti di controllo: possono essere considerati come una speci-ficazione degli effetti relazionali, come riconducibili a una relazio-ne specifica e particolare, quella con le agenzie di controllo (fami-glia, forze dell’ordine) e con i sistemi normativi formali e culturali. Secondo la formulazione pi� classica dell’approccio etogenico, si pu� dire che l’azione sociale � sempre guidata da regole: l’azione deviante, in particolare, nel seguire delle regole deve necessaria-mente trasgredirne altre in contraddizione con le prime (De Leo e coll. 2004a; De Leo e Patrizi 1999);

– gli effetti di cambiamento riconducono ad un’impostazione di ta-glio sistemico secondo la quale i rapporti fra individui e fra sistemisono legati da criteri di interdipendenza: per questa ragione, cia-scun cambiamento (inclusi quelli omeostatici, cio� diretti a ristabi-lire un equilibrio) apportato a una sola componente del sistema ha ripercussioni sull’intero sistema. Nello specifico contesto della de-vianza, �l’effetto che l’autore ricerca pu� andare nella direzione di “rompere” organizzazioni sistemiche (equilibri) che appaiono stati-che, disfunzionali rispetto allo sviluppo di s� o, al contrario, � pro-prio la staticit� ad essere ricercata e ipotesi di cambiamento, avver-tite come minacciose, possono rappresentarsi come oggetto di con-trasto. La cronaca mostra molti possibili esempi di azioni eclatanti in cui gli obiettivi di cambiamento (nel duplice senso di obiettivi ricercati o evitati) subordinano gli effetti pi� strumentali di elimi-nazione di figure o personaggi� (De Leo e coll. 2004a, pp. 51-52).

13 Si pensi, ad esempio, ai casi di violenza sessuale operata da un gruppo in cui � possibile leggere la valenza relazionale dell’azione secondo una duplice direzione: (a) verso la vittima con cui gli autori instaurano una relazionalit� (reale o fittizia) distorta, (b) fra i componenti del gruppo, rispetto ai quali - ad esempio - il leader “comunica” il suo ruolo egemone nel determinare il destino della vittima e il gregario manifesta (nel peggiore dei modi, secondo criteri di accettabilit� morale) la sua appartenenza al gruppo.

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3. La costruzione narrativa del S�

L’argomento del quale parleremo in questo paragrafo � collegato a quello del precedente. Si tratta tuttavia di un collegamento che abbia-mo rilevato empiricamente nel corso di svolgimento dello studio qui presentato e che ci sembra importante illustrare ai fini di un’accurata analisi della costruzione narrativa dell’azione deviante. Durante la conduzione delle interviste ci siamo infatti resi conto che i partecipanti inserivano – nel corso dei resoconti sulle azioni – importanti aspetti che li descrivevano sia con riferimento specifico all’evento remoto nel momento in cui si � svolto sia (e questa ci � sembrata la cosa pi� im-portante) per quanto riguarda le (auto)attribuzioni sviluppate nei mesi e negli anni successivi. In altre parole, la descrizione degli eventi nar-rati procedeva di pari passo alla presentazione di S� in un duplice con-testo (Tedeschi e Reiss 1981) come � stato evidenziato anche da O’Connor (1995, p. 438):

Nella narrazione di un evento attuale si possono presentare non solo le azioni, ma an-che il s� durante quegli eventi. In questo modo, nel contesto delle interviste, attraverso la cornice del resoconto di una storia, la narrazione d� una doppia lettura dell’agentivit� del parlante e del posizionamento, attraverso le azioni riferite e attra-verso gli stati d’animo descritti.

La costruzione narrativa dell’identit�14 non pu� non dipendere dai contesti specifici in cui viene effettuata: come ha scritto recentemente Mancini (2001, p. 263),

l’identit� si costruisce attraverso un percorso a spirale dove ogni processo realizza prodotti che innescano nuovi processi in una logica di cambiamento continuo, ma non necessariamente e sempre nella direzione di uno sviluppo lineare.� difficile immaginare la realizzazione di questo percorso al di fuori dei contesti rela-zionali, sociali, storici e culturali in cui le persone vivono […]. Il contesto sociale for-gia le immagini che le persone hanno di s� a diversi livelli: attraverso le interazioni pi� quotidiane ed immediate ed il gioco di reciproco rimando alle proprie immagini di s�; attraverso le appartenenze che definiscono il proprio posto e i propri ruoli all’interno della matrice sociale; […] L’identit� non � tuttavia solo il prodotto di tali

14 � importante precisare che nel corso di tutto il lavoro condotto i concetti di “S�” e di “identit�” sono utilizzati in maniera intercambiabile. Pur nella consapevolezza delle diverse tradizioni di ricerca e contesti applicativi, infatti, riteniamo che solo una prospettiva integrata potesse consentirci di cogliere sia la costruzione consolidata dell’immagine di S� (con enfasi sulla storia pregressa e sugli eventi che hanno caratte-rizzato lo sviluppo della persona) sia gli aspetti di cambiamento, tensione al futuro e alla (ri)costruzione di questa immagine.

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influenze, ma � anche creativit�, innovazione, tensione aperta verso il futuro […] per-ch� le influenze esterne acquistano significato e diventano parti dell’identit� solo pas-sando attraverso processi psicologici di tipo ricostruttivo.

Da questi primi introduttivi riferimenti � chiaro quale sar� il filo conduttore della ricerca qui presentata: privilegeremo un approccio interazionista e costruzionista15 (Harr� e Gillett 1994) allo studio dell’azione (e del S�) e a partire da questa scelta epistemologica di fondo guideremo il lettore attraverso i percorsi di ricerca sui metodi di rilevazione delle informazioni e della loro analisi fino alla presenta-zione di un impianto metodologico coerente con le scelte via via effet-tuate. Tutto ci� nella consapevolezza della parzialit� del punto di vista adottato: � bene infatti precisare che gli studi sul S� non sono riducibi-li esclusivamente agli approcci costruttivisti e narrativi (Mancini2001); in questa sede, abbiamo operato la scelta di privilegiare un punto di vista specifico e di impostare un disegno di ricerca qualitativa coerente con esso.

Secondo queste prospettive, il passato, il presente e il futuro sono collegati nella ricostruzione attuale che un attore-narratore opera in un contesto di resoconto (Hewitt 1996)16. Si tratta, come � ovvio, di una duplice ricontestualizzazione del S�: nella situazione in cui si sono svolti gli eventi, “l� e allora”, e nel presente della richiesta di fornire un resoconto, “qui e ora” (Bruner 1990; Leone 2001; Stame 2004): nel tentativo di stabilire una coerenza narrativa fra le due condizioni, � possibile che il soggetto rielabori la propria esperienza passata alla lu-ce delle conseguenze che essa ha avuto e che (questo � un passaggio particolarmente cruciale rispetto al contesto di cui ci stiamo occupan-do) vengono rivisitate alla luce di nuovi obiettivi riformulate, adattateal dover rendere conto (Bruner 2002; Lorenzetti e Stame 2004).

15 Per proposte di impostazione e prospettive diverse di veda, ad esempio, il con-cetto di “Life Story Schema” (Bluck e Habermas 2000; Habermas e Bluck 2000; Ha-bermas e Paha 2001): secondo questo modello, pur non escludendo completamente le influenze culturali, la struttura narrativa del S� fa fa riferimento a uno schema cogni-tivo interindividuale. McAdams, Diamond, de St. Aubin e Mansfield (1997) propon-gono invece una metodologia quantitativa per la codifica e l’analisi delle interviste autobiografiche.

16 A questo riguardo, l’Autore ha sostenuto che �la realt� della persona � individu-ale e sociale, ancorata alle numerose situazioni della vita quotidiana e creata nuova-mente in ogni situazione e nelle biografie che ognuno si costruisce o che altri costrui-scono per lui o lei� (Hewitt 1996, trad. it. 1999, p. 100).

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Secondo Bruner (1990; 1991; Bruner e Weisser 1995), la realt� – e tutti gli elementi in essa presenti – ha una struttura narrativa che con-sente al narratore di ancorare gli eventi a un modello consolidato, cul-turalmente disponibile, che favorisce l’interpretazione delle ambiguit� e la comunicazione intersoggettiva17. Nella narrazione autobiografica, il soggetto attribuisce un significato alle sue azioni18 (Ornaghi 1999; Ruth, Birren e Polkinghorne 1996), confermando quindi il collega-mento logico e teorico fra costruzione narrativa dell’azione e costru-zione narrativa del S�. La spinta a iniziare un percorso narrativo (im-pegnarsi nella ricostruzione, rischiare di cadere nelle trappole della memoria) � data un evento problematico: la difficolt� (uno degli ele-menti della c.d. “pentade scenica”), come argomenteremo pi� avanti, pu� consistere in un elemento tecnico della scena, ma (con particolare riferimento alla devianza, al contesto di applicazione della presente ricerca) � problematica anche l’attribuzione altrui di uno status devi-ante, il riconoscimento (spontaneo o forzato) di S� come persona che non rispetta le regole della convivenza. Nel prossimo paragrafo ci oc-cuperemo specificamente della collocazione interazionale e discorsiva del S� e delle proprie azioni rispetto ai sistemi normativi condivisi (il concetto di “posizionamento discorsivo”).

Smorti (1997; 2007), che si � occupato della costruzione narrativa del S� in quanto forma testuale, ha definito (rifacendosi a Sommers1992) – “narrazioni ontologiche” quelle relative alla descrizione della propria identit� che si fondano sulla memoria autobiografica. Esse so-no da sempre oggetto di studio della psicologia. Le “narrazioni con-cettuali” sono i modelli culturali, gli schemi, che vengono utilizzati per interpretare le narrazioni ontologiche. Esse sono tradizionalmente studiate in antropologia, in linguistica, in letteratura19 (nel prossimo paragrafo ci riferimento ad esse nei termini delle “story line”). Questa distinzione ci � utile per introdurre il tema della circolarit� che si in-staura, in primo luogo, fra eventi e modelli interpretativi ma anche e soprattutto fra narratore e ascoltatore: ogni ricostruzione di S� � sem-pre inserita in un contesto di altri attori cui il narratore – esplicitamen-te o implicitamente – rivolge la sua autodescrizione. Tale contesto fornisce le coordinate al primo (il narratore) per dare una forma (di-

17 Su questo tema si vedano anche Smorti (1997) e Sarbin (1986a).18 In linea con quanto descritto nel paragrafo precedente.19 L’articolazione di Sommers (1992), ripresa da Smorti (1997), � in realt� quadri-

partita e include anche le “narrazioni pubbliche” e le “metanarrazioni”.

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scorsivamente e narrativamente) adeguata al modello condiviso con i secondi (gli ascoltatori) e ad essi per reinterpretare il messaggio, anco-rarlo al gi� noto, anticiparne gli sviluppi:

Il processo di interpretazione comporta un particolare tipo di rapporto tra soggetto conoscente ed oggetto: questo rapporto non avviene in senso lineare (soggetto og-getto), ma circolare. Il soggetto conosce l’oggetto attraverso un processo di compren-sione basato sull’assunzione di un punto di vista. Questo punto di vista, o presupposto dal quale il soggetto parte, non � altro che il contesto che egli sceglie per inquadrare l’oggetto. In questo modo l’oggetto pu� essere compreso solo in rapporto ad un conte-sto, ma questo contesto a sua volta viene modificato dal significato che viene attribui-to all’oggetto. Cos� fra oggetto e contesto si attiva un processo circolare senza che sia in effetti possibile stabilire un vero punto di partenza (Smorti 1997, p. 13).

Nell’ultimo capitolo, questo aspetto della “situativit�” delle argo-mentazioni sul S� e sulla propria azione sar� evidente: i partecipanti alla ricerca hanno infatti fatto ampiamente uso di repertori di signifi-cati contestualmente idonei a “riferire” sulla propria azione senza compromettere l’immagine di S�. Ci riferiamo, specificamente, alle tecniche di neutralizzazione della norma (vedi infra cap. 4 � 6), che verranno discusse nella loro applicazione specifica all’ambito di ricer-ca nel contesto penitenziario.

Il considerare la narrazione autobiografica come un testo ha due ordini di conseguenze:

1. da una parte, come sottolinea lo stesso Smorti (1997), rende ne-cessario un processo di interpretazione intesa come processo di attri-buzione di intenzioni all’autore (del testo e dell’azione, allo stesso tempo). Considerare la narrazione autobiografica come testualizzabile significa operare nei suoi confronti gli stessi procedimenti interpreta-tivi che si mettono in atto con qualunque altro testo. Ma con una im-portante particolarit�: che le intenzioni dell’autore di un testo (suppo-niamo letterario) sono diverse da quelle dell’autore di un “testo che parla di un reato e di chi lo ha commesso”: in questo caso infatti la dissimulazione, la creazione di un falso contesto storico, il gioco delle accuse e delle giustificazioni (come abbiamo descritto nel paragrafo sull’accountability: � 1.2 in questo capitolo) rendono difficile e com-plessa l’interpretazione dell’azione, delle intenzioni del suo autore e l’anticipazione delle conseguenze seguendo un modello condiviso. Sembrerebbe quasi superflua una sottolineatura del concetto di “attri-buzione di intenzioni” dal momento che stiamo trattando di un conte-sto, quello penale, in cui l’imputazione di responsabilit� per un’azione

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delittuosa � assolutamente centrale. Tuttavia, come argomenteremo pi� avanti, la costruzione narrativa dell’azione deviante e dell’attore (cio�, le argomentazioni che un autore di reato utilizza per descrivere se stesso e il reato che ha commesso) ha qualcosa di diverso dal testo letterariamente inteso:– dal punto di vista dei contenuti ha un obiettivo palesemente strategi-co, quello di presentare come “giustificabile” un’azione penalmente rilevante,– dal punto di vista delle strutture narrative, ha delle configurazioniche non sono state ancora adeguatamente analizzate nella ricerca cri-minologica e psicologico-sociale;

2. dall’altra parte, il metodo di analisi di un testo di questo tipo non pu� prescindere dal fatto che esso � ottenuto in una situazione dialogi-ca in cui un intervistatore/ricercatore e un intervistato/detenuto si in-contrano e concordano di esplorare – per obiettivi di conoscenza del primo – qualcosa che attiene alla sfera esistenziale del secondo20. L’impostazione metodologica (e ancora prima quella epistemologica) deve essere adeguata a cogliere la complessit� dei processi (discorsivi, interpretativi, logici) implicati. In tal senso, come argomenteremo in tutto il capitolo 4, la proposta del complesso impianto metodologico � un tentativo di completare i modelli esistenti per le analisi delle in-formazioni qualitative, modelli consolidati nella ricerca psicologico-sociale che hanno favorito una caratterizzazione della ricerca qualita-tiva come ancillare rispetto a quella quantitativa (Seibold 2002). Nel capitolo 3 verranno descritti metodi con fondamenti teorici che solo in tempi recentissimi sono entrati nel campo di applicazione della ricerca in psicologia sociale.

Smorti (1997, p. 22), inoltre, fa una precisazione che – alla luce dei nostri obiettivi – ha un’importanza fondamentale:

L’attribuzione di significato al testo (orale o scritto) richiede dunque un esame delle intenzioni del suo autore, le quali, a loro volta potranno essere meglio comprese se collocate in un contesto, ad esempio, quello fornito dalle altre opere. Questo apparente allontanamento dal testo, lungi dal determinare uno smarrimento di senso, porter� un arricchimento che contribuir� ad una migliore interpretazione di quel brano e consen-tir� di decidere se l’autore aveva voluto dire effettivamente quello che noi abbiamo pensato di capire. […] Questa attribuzione di intenzionalit� � indispensabile non solo per un’adeguata comprensione del significato delle affermazioni contenute nel testo, ma anche per l’interpretazione del significato delle azioni.

20 Fra i tanti possibili riferimenti sull’intervista intesa come processo di costruzio-ne delle conoscenze si veda Furlotti (1998).

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Il legame fra analisi del testo e analisi dell’azione – che abbiamo ipotizzato di poter studiare – � confermato almeno a livello teorico. Rimane da identificare il livello di specificit�/generalit� dell’unit� di analisi. Secondo la Teoria degli atti linguistici (Austin 1962; Ninio 1986), le parole – in virt� della loro forza illocutoria – consentono di fare concretamente delle cose: ma a quale livello dell’articolazione del parlato � possibile rintracciare questo collegamento fra testo e azione? A un livello di analisi (che possiamo definire “micronarrativo”), gli studiosi si sono occupati dell’uso che nella costruzione narrativa viene fatto dei pronomi e delle forme verbali (Harr� 1989b; 1995a,b; 1998;Shotter 1989; Lorenzetti 2004; De Fina 2004). Si tratta di un focus che in questa sede scegliamo di non utilizzare perch� complessificherebbe notevolmente il collegamento fra aspetti teorici ed empirici della nar-razione: gli studi in questo settore infatti sono stati svolti prevalente-mente nei Paesi di lingua e cultura anglosassone per cui (a causa di un’eccessiva specificit� rispetto alle convenzioni linguistiche e cultu-rali del parlato) sarebbero di difficile applicazione nel contesto italia-no. Riteniamo pertanto che il livello di studio dell’uso dei pronomi e delle forme verbali, sebbene indicativo di una possibile costruzione narrativa del S�, non sia adeguato per lo studio dell’azione.

La prospettiva degli approcci afferenti all’analisi della conversa-zione e alla psicologia discorsiva (Bonaiuto e Fasulo 1998) manten-gono l’interesse per un’unit� di analisi a un basso livello di astrazione.Da una parte, la “sequenza conversazionale”, il “turno”, le “sovrappo-sizioni”, la “coppia adiacente” sono i focus dell’attenzione degli stu-diosi conversazionalisti: l’enfasi � sulla struttura delle argomentazioni e sulle modalit� con cui lo scambio comunicativo viene attuato; dall’altra, i “dispositivi retorici” e i “repertori linguistici” consentono di analizzare i contenuti delle argomentazioni (Potter e Hepburn 2005). In entrambi i casi, tuttavia, il ricercatore non ha l’accesso ai si-gnificati pi� ampi, a un livello di astrazione pi� elevato, non ha – a nostro avviso – l’accesso all’intellegibilit� dell’azione. Nel capitolo 4, verranno descritte le proposte di metodo e le scelte tecniche riguardan-ti lunit� di analisi “azione deviante”; per il momento, riteniamo utile riportare i rilievi critici che Bruner (1990, trad. it. 1992, p. 101) muo-ve al procedimento di scelta di un impianto metodologico per lo studio del S�:

� ormai chiaro che la ricerca in qualsiasi campo produrr� dati che rispecchiano le procedure sperimentali usate nell’osservazione o nella misurazione. La scienza inven-

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ta una realt� che si adatta alla teoria. Quando noi “confermiamo” la nostra teoria per mezzo di “osservazioni”, non facciamo altro che escogitare procedure che andranno a corroborare tale plausibilit�.

3.1 Il posizionamento discorsivo e narrativo

Una proposta completa e organica sulla costruzione narrativa del S� � la Teoria del posizionamento proposta a partire dagli anni Novan-ta da Harr� (Davies e Harr� 1990; Harr� e van Langenhove 1999a; Harr� e Moghaddam 2003a). Il termine “posizionamento” � mutuato dal linguaggio del marketing: indica la collocazione di un prodotto o di un servizio nel panorama commerciale comprendente sia le propo-ste delle ditte concorrenti sia i prodotti di linee differenti dello stesso brand. Pi� esattamente, con il termine “Positioning Theory” si intende l’impostazione teorica e metodologica per lo studio delle ricostruzioni(operate in situazioni discorsive) del S�, degli interlocutori e dei si-stemi di relazione a cui l’individuo appartiene (Wortham 2000; Geor-gakopoulou 2000; Bamberg 1997; 1999; Lucius-Hoene e Deppermann2000; Bercelli 2004). In questa sede, si � scelto di definire il costrutto di “posizionamento” con specifico riferimento alle peculiarit� dei contesti narrativi e delle narrazioni come strumenti di ricerca. In tali ambiti, la presenza fisica di un interlocutore – sebbene non necessaria n� vincolante per la produzione di storie in forma narrativa – � rappre-sentata dalla “presenza simbolica”, dall’interiorizzazione di un inter-locutore altro, coerentemente con un’impostazione costruzionista di cui si � parlato. Per questo motivo, la distinzione fra contesti narrativi e pratiche discorsive non sar� approfondita e il concetto di “posizio-namento discorsivo” sar� inteso come intercambiabile con “posizio-namento narrativo”.

In psicologia, il posizionamento consiste in una cornice concettuale e metodologica in base alla quale l’individuo si colloca, per mezzo dipratiche discorsive, in un sistema di coordinate che ne identificano e limitano le possibilit� d’azione: �un posizionamento implicitamente limita l’entit� ci� che � logicamente possibile dire e fare e delimita a-deguatamente una parte del repertorio delle azioni possibili in un dato momento in un contesto specifico, incluso ci� che riguarda gli altri. Questo � il confine delle azioni socialmente consentite� (Harr� e Mo-ghaddam 2003b, p. 5). La posizione costituisce uno dei tre vertici del c.d. “triangolo posizionale” (Harr� e Moghaddam 2003b; Harr� e van Langenhove 1992) costituito anche dalle strutture degli atti (o delle

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azioni) linguistiche e dalla “story-line”, che secondo Harr� e Moghad-dam 2003b, pp. 5-6) sono definibili nei termini seguenti:

- “Posizione”: un insieme di diritti e doveri per svolgere determinate azioni con specifici significati, gli atti, ma che possono anche includere proibizioni o divieti di accesso ad alcuni repertori locali di atti significativi […].

- Atti linguistici e altri atti: ogni azione socialmente significativa, movimento deli-berato, ogni parola deve essere interpretato come un atto, un comportamento so-cialmente espressivo e significativo. Una stretta di mano � un’azione intenzionale: esprime un saluto, un addio, congratulazioni, suggella un accordo, o qual-cos’altro? Ha un significato solo all’interno dell’episodio in cui � inserito. Una volta interpretato soggiace alle regole e agli standard di correttezza, non solo per se stesso ma anche per l’adeguatezza delle sue premesse e conseguenze.

- Story line: […] gli episodi sociali non si sviluppano in maniera casuale. Tendono a evolversi ripercorrendo pattern gi� consolidati, che – per convenienza – sono stati chiamati story line. Ognuna di esse � esprimibile in un ampio insieme di con-venzioni narrative21.

Il posizionamento � dunque un processo in divenire la cui caratte-rizzazione momento per momento dipende dalla configurazione che assumono i tre elementi appena descritti: la loro interrelazione d� for-ma all’azione discorsiva (v. Fig. 2) mediante la quale l’attore sociale descrive s� e gli altri (“posizionamento di primo livello”) ed � a sua volta ricollocato nel sistema sociale dai discorsi altrui (“posiziona-mento di secondo livello”)22 secondo le formulazioni di Harr� e van Langenhove (1992).

Una “posizione” � un complesso insieme di auto- ed eteroattribu-zioni, variamente strutturate ma sempre discorsivamente veicolate, che servono a identificare l’attore sociale all’interno di un contesto (gruppo, comunit�, classe sociale): tale caratterizzazione attiene speci-ficamente alla assegnazione flessibile23 di sistemi di diritti e doveri, di

21 Il concetto di “story line” in quanto modello narrativo consolidato � stato precisato impli-citamente anche da Bruner (2002, pp. 102-103) che ha affermato �Le trasgressioni dell’ordinario, una volta addomesticate narrativamente, recano l’impronta della cultura, […] un’approvazione in forma di “Oh, ecco di nuovo la vecchia storia”. Una volta nobilitate come genere o come “roba vecchia”, esse divengono legittimate e interpretabili come trasgressioni o infortuni o errori di giudizio umano - il figlio integrato, il coniuge infedele, il servitore ladro. Diventano l’imprevisto di repertorio e noi ci facciamo consolare che sotto il sole non ci sia nulla di nuovo�.

22 Dobbiamo precisare per completezza che � possibile un “terzo livello di terzo livello”, quello operato da un osservatore esterno che assiste all’evento (come farebbe il telecronista di un evento sportivo: Boxer 2003).

23 �L’agente � tematizzato come un insieme di collocazioni soggettive, che non hanno una relazione predeterminata l’una rispetto alle altre e non possono essere fissati in nessun tipo di unit� stabile� (T�rr�nen 2001, p. 314).

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obblighi verso altri individui e di crediti sociali24 da essi assunti (Harr� e van Langhenove 1999c).

Figura 2. Azione discorsiva tripolare nel posizionamento di primo livello (le frecce nere) e di secondo livello (le frecce grigie) [fonte: Boxer, 2003, p. 256].

Tale dinamismo (al quale tutti gli scritti citati in questo paragrafo fanno pi� o meno direttamente riferimento) ha portato Boxer (2003) a proporre un’analogia fra i processi sociali implicati nel posizionamen-to e le leggi fisiche sui campi magnetici: le dinamiche che si instaura-no fra generatori elettrici che causano campi magnetici sono simili alle “forze” che i componenti la scena sociale mettono in campo. Il risulta-to di questo gioco di componenti � – metaforicamente – un “flusso so-ciale”. Ma quali sono esattamente questi aspetti della vita sociale che innescano processi posizionali? Secondo le pi� recenti riformulazioni delle proposte originarie, si tratta di un complesso sistema di dimen-sioni interagenti (v. Fig. 3):

– il sistema locale (ma culturalmente condizionato) dei diritti25,– i doveri e gli obblighi legati ai ruoli sociali ricoperti,– le azioni (discorsive e non) attuate in contesti pubblici e nei discorsi

interiori,– l’ordine morale del contesto specifico.

Come prodotto discorsivo (emergente cio� dalle pratiche comuni-cative quotidiane), il posizionamento ha la caratteristica di essere

24 Si veda a questo riguardo il concetto di “capitale sociale” (Putnam 1993; 2000) che – pur non essendo esplicitamente collegato dagli Autori all’interno della cornice teorica della Teoria del Posizionamento – ci sembra mostrare ampi margini di sovrapposizione:

25 Ulteriori specificazioni e dettagli sui concetti di “diritto” e “dovere” e sulle loro implica-zioni di carattere culturale si vedano Moghaddam, Slocum, Finkel, Mor e Harr� (2000) e Bathia (2000).

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sempre in qualche modo contrattato (ridefinito, culturalmente condi-zionato dalle prassi narrative consolidate) sulla base delle interazioni con altri (Tschuggnall 1999).

Figura 3. Interazione fra le componenti del sistema sociale nella formazione ed evolu-zione dell’azione discorsiva (fonte: Boxer 2003, p. 259).

� una concezione che si inscrive esplicitamente nell’approccio eto-genico (Davies e Harr� 1999; 1990; Harr� 1977) e in un panorama co-struzionista (Harr� 2002; Boxer 2003; Howie e Peters 1996), ma con delle importanti distinzioni rispetto alle proposte pi� estreme del co-struzionismo sociale (Gergen 1985). Esso, infatti, pur essendo una pratica che si manifesta sempre in un contesto sociale (reale o imboli-co, ha anche una connotazione intraindividuale nella misura in cui cia-scun individuo ha un ruolo attivo nella ridefinizione dei posiziona-menti di S� operati da altri (svilupperemo pi� in dettaglio a breve que-sta affermazione) e allestisce una rappresentazione di s� anche nei “di-scorsi privati”, nella conversazioni locali fra s� e s�. In tal senso, � sta-to definito anche “posizionamento riflessivo” (Moghaddam 1999; Harr� e van Langhenove 1999c; Jones 1997; Tan e Moghaddam 1995; Taylor, Bougie e Caouette 2003) e spiegato nei termini seguenti:

allo stesso modo in cui gli aspetti autobiografici delle conversazioni sono il requisito fondamentale per il posizionamento interpersonale, quello riflessivo � un processo l’individuo – intenzionalmente o non intenzionalmente – si colloca in una storia per-sonale raccontata a se stesso. Questo processo pu� assumere varie forme, la pi� elabo-rata delle quali potrebbe essere la scrittura di un diario o di una autobiografia.Poche vite, comunque, sono scritte in queste forme: la maggior parte sono presentate “localmente”, come frammenti di storie personali di un parlante rese manifeste a se stesso. L’autovalutazione di una propria prestazione, la giustificazione per aver con-dotto una certa azione, l’attribuzione di azione a forze soprannaturali, la spiegazione data a se stessi per essere stati da altri in un modo o nell’altro (e la risposta che sup-

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poniamo di ricevere dall’ascoltatore) sono esempi del modo in cui ciascuno posiziona se stesso per se stesso nell’arco della giornata. Infatti, ciascuno inevitabilmente collo-ca se stesso nei discorsi interni che produce (Moghaddam 1999, pp. 75-76).

A nostro avviso, il concetto di posizionamento discorsivo apre pro-spettive di ricerca e percorsi di riflessione che non sono stati prece-dente tenuti in considerazione nella ricerca classica sul S� secondo gli approcci socio-cognitivi. Dalla prospettiva proposta infatti emerge un attore attivo costruttore di immagini di S� con un ruolo tanto pi� attivo quanto pi� variegate e complesse sono le situazioni sociali che incon-tra: l’ottica del posizionamento consente di superare la staticit� delle letture precedenti in base alle quali il S� era definibile con riferimento a uno schema cognitivo, a una struttura solo parzialmente variabile nel corso dell’arco di vita, ma sostanzialmente stabile e coerente nelle di-verse situazioni quotidiane. L’immagine di un S� dentro il sistema co-gnitivo della persona, che pu� essere richiamato alla memoria e che � soggetto a distorsioni (“biases”), non soddisfa i sostenitori degli ap-procci narrativi (Sarbin 1986a,b) e gli stessi teorici del posizionamen-to26. Secondo costoro, infatti, il ricercatore dovrebbe occuparsi della ricostruzione narrativa che il soggetto opera di S� in situazione rispet-to a una serie di eventi passati ma allo stesso tempo dovrebbe rilevare la descrizione che emerge dalla stessa situazione in cui la rievocazione� richiesta (durante un’intervista, un colloquio, in un’autobiografia, in un discorso pubblico, etc.) e in collegamento con i posizionamenti o-perati da altri (Mishler 1986a).

In secondo luogo, inoltre, � necessario ripensare alla “veridicit� storica” della narrazione autobiografica. Lucius-Hoene e Deppermann(2000) hanno puntualizzato efficacemente questo problema: secondo gli Autori, quando un individuo narra una storia autobiografica � con-vinto di farlo rispettando una verit� storica (ad esempio, seguendo a-deguatamente l’ordine cronologico27, collocando ogni evento e ogni personaggio al proprio posto e cos� via); tuttavia, anche il fatto stesso di produrre una narrazione autobiografica all’interno di una situazione di ricerca ha l’implicazione di indurre nel narratore la tendenza a col-legare gli elementi dello scenario in modo che il quadro complessivo appaia coerente e a fornire un’immagine di S� quanto pi� possibile positiva (Brockmeier 1999; Tedeschi e Reiss 1981):

26 In particolare, la tesi che stiamo trattando � sviluppata in Harr� e Van Langen-hove (1999c) e Van Langenhove e Harr� (1993).

27 Brockmeier (1995a,b; 2000).

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Le interviste narrative mettono di fronte all’intervistato la necessit� di fornire un reso-conto rappresentativo della sua identit� narrativa. Le narrazioni quotidiane, comun-que, solo molto di rado meritano di essere considerate rappresentazioni biografiche complete. […] Dunque le narrazioni che emergono nelle interviste a scopi di ricerca devono essere considerate come artefatti scientifici che richiedono specifiche attivit� e abilit� riflessive e comunicative. Al narratore � richiesto di assumere un nuovo punto di vista (che pu� essere meravigliato o imbarazzato) sulla propria vita e questo obiet-tivo pu� essere piacevole e gratificante, ma anche frustrante o deprimente (Lucius-Hoene e Deppermann 2000, p. 205).

Si tratta di considerazioni che suggeriscono cautela anche nell’utilizzo delle interviste narrative e che dimostrano che l’artificiosit� delle situazioni empiriche (la distanza da contesti reali) � comune sia agli approcci positivistico-quantitativi che a quelli costru-zionistico-qualitativi. Nella consapevolezza che non esiste una solu-zione tecnica che risolva il problema della discrasia fra verit� storica e verit� narrativa, nel corso del lavoro qui presentato scegliamo di privi-legiare la seconda: optiamo cio� per la considerazione delle narrazioni (che verranno analizzate e che sono state rilasciate dai partecipanti alla ricerca) come “verit� narrative”, intendendo con questo termine la fe-delt� del resoconto solo ai criteri di coerenza, plausibilit� e realismo che il narratore ritiene funzionali alla costruzione di un’adeguata im-magine di S� e della propria condotta (Elliott 2005). In altri termini, non ci porremo mai il quesito se i fatti che vengono raccontati siano pi� o meno reali, pi� o meno veri, ci chiederemo semmai quale signi-ficato il narratore intende veicolare nella formulazione di quella esatta versione dei fatti.

Questa scelta ci consente peraltro di valorizzare il collegamento virtuoso fra modello teorico dell’azione e degli effetti comunicativi (� 2.1 in questo capitolo) e posizionamento cos� come � stato definito in questo paragrafo: il tema dei significati (o, meglio, i “temi significati-vi”) � l’elemento di congiunzione che d� coerenza e pertinenza all’intero sfondo teorico: in questo senso, ho avuto modo di confron-tarmi con l’Autore di entrambi i modelli, il prof. Rom Harr� (comuni-cazione personale), che ha confermato in una recente corrispondenza l’utilit� di stabilire un collegamento empiricamente fondato fra narra-zione sull’azione e posizionamento discorsivo.

Come evidenziato gi� dai primi articoli sulla teoria (Davies e Harr� 1990; Harr� e van Langenhove 1992), il posizionamento discorsivo viene esplicitamente proposto come l’alternativa “costruzionista” al concetto di “ruolo”: quest’ultimo infatti veicola una sorta di staticit�

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nella definizione dell’identit� in senso psicologico-sociale. In partico-lare, il posizionamento – rispetto al ruolo – focalizza l’attenzione sui processi e sull’evoluzione:

dobbiamo chiederci se i concetti di “ruolo” e “posizione sociale” possano essere usati nell’analisi delle interazioni della vita quotidiana in maniera complementare a quello di “posizionamento”, oppure se semplicemente occupano porzioni delle stesse aree concettuali. Ruolo e posizionamento sono collegati […] nel senso che “un ruolo” sta al “posizionamento” come “colore” sta a “rosso”. Un altro ruolo pu� essere collegato ad altri posizionamenti come “figura” sta a “quadrato”, etc. Adottando o avendo asse-gnato un ruolo fisso, sono possibili solo una gamma di posizionamenti compatibili con quel ruolo. La posizione sociale e il posizionamento sono a volte complementari […] Certamente avere una posizione sociale in un conversazione o in qualunque altra interazione sociale significa al tempo stesso avere un posizionamento il suo utilizzopu� richiedere l’esplicitazione o l’attribuzione di caratteristiche personali che non so-no rilevanti per il raggiungimento di una posizione sociale (Harr� e van Langenhove1999b, pp. 195-196).

Analogamente, i concetti di “episodio” e di “sequenze d’azione” (che si leggono spesso negli articoli riferiti al posizionamento) non sono sovrapponibili agli analoghi proposti da Goffman (1967) in quanto il lavoro di quest’ultimo �si � focalizzato principalmente sulle interazioni fra individui e l’ambiente sociale in cui operano. Poca at-tenzione � stata posta agli aspetti generali delle interazioni fra le per-sone, data la situazione in cui essi stessi si trovano� (Harr� e Van Langenhove 1999c, p. 60, corsivo nostro).

Dal punto di vista metodologico, i sostenitori della teoria del posi-zionamento si dedicano all’analisi – prevalentemente con metodi in-terpretativi – dei testi, dei discorsi e delle conversazioni in cui si as-sume che vengano riportate rappresentazioni di individui e gruppi. Gli obiettivi di ricerca devono tenere conto della complessit� del modello di riferimento: �specificamente, la teoria del posizionamento fornisce un framework per l’esplorazione dei significati condivisi dagli indivi-dui. Il livello di analisi adeguato deve aver luogo nei discorsi� (Taylor e coll. 2003, p. 204) mediante i quali gli individui si scambiano, con-trattano e ricostruiscono reciprocamente “pezzi di rappresentazioni sul mondo e sulla propria identit�”.

Harr� e van Langenhove (1992) hanno dedicato ampio spazio alle implicazioni metodologiche della teoria del posizionamento. Le con-siderazioni pi� rilevanti, a nostro avviso, sono quelle relative alla tem-poraneit� delle collocazioni posizionali: trattandosi di propriet� forte-mente ancorate alle pratiche discorsive, esse hanno una natura talvolta

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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effimera (che dipende da molteplici fattori non sempre facilmente ri-conoscibili e codificabili), altre volte possono essere tanto radicate da risultare addirittura non modificabili (rappresentazioni stereotipiche o pregiudiziali: cfr. van Langenhove e Harr� 1995b; 1999a). Inoltre, se il posizionamento � rilevabile nelle produzioni discorsive che dinami-camente vengono scambiate fra gli attori sociali, allora un elemento importante per l’impostazione dei progetti di ricerca sta nella conce-zione che lo scienziato sociale ha del comportamento e della natura umana (“real life behaviour”).

Infine, come hanno sostenuto Harr� e van Langenhove (1992, p. 405)

� importante evidenziare che, cos� come tutte le conversazioni coinvolgono sempre una sorta di posizionamento, l’atto conversazionale dell’intervistare o chiedere a qual-cuno di rispondere alle domande di un questionario, deve necessariamente essere inte-so nei termini della triade “posizione-atto linguistico-story line”. Ci� significa che concetti come “atteggiamento” o “tratto” hanno un senso nella misura in cui si ritiene che c’� qualcosa di personale che pu� essere rilevato dallo scienziato sociale. Chiede-re a qualcuno di rispondere sul locus of control, per esempio, o sui comportamenti autoritari � una forma di posizionamento e deve essere intesa come tale: ci dice qual-cosa su come le persone si posizionano nel rispondere a un questionario somministra-to da un ricercatore.

Oltre alle dimensioni descritte, gli Autori hanno adottato ulteriori differenziazioni che distinguono fra:

– il posizionamento operato nei confronti di altri individui o di col-lettivit� nel qui e ora o in una ricostruzione narrativa,

– la simmetricit�/asimmetricit� e la concordanza/discordanza dei po-sizionamenti reciproci fra attori in interazione,

– la collocazione deliberata, o al contrario imposta da altri.

Si tratta, come � evidente, di diversi criteri di classificazione delle dimensioni teoriche che caratterizzano il posizionamento discorsi-vo/narrativo. Come filo conduttore del presente lavoro e al fine di ope-razionalizzare adeguatamente il modello, riteniamo utile descrivere brevemente le dimensioni che – trasversalmente ai diversi contributicitati – consentono di applicarlo allo studio descritto nel quarto capito-lo. L’obiettivo (circoscritto a questa fase ma coerente con gli scopigenerali della ricerca) � quello di definire un “modello di posiziona-mento” che caratterizzi le narrazioni nei contesti legali: in accordo con Harr� e van Langenhove (1995), infatti, cercheremo di delineare un

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modello ideale condiviso di collocazione posizionale nei contesti lega-li28:

gli stereotipi sono evidenti come posizioni e come personaggi nelle story line nei di-scorsi di tutti i tipi. In questo modo, il terzo elemento nel triangolo posizionale, la story line, pu� essere interpretata come veicolo di stereotipi. Una story line, o uno sti-le narrativo, incorpora non solo un corso di eventi […] ma anche di personaggi. […] per la ricerca da qui avviata c’� una grandissima opportunit�, quella di identificare e classificare il tipi di personaggi che figurano nelle presentazioni discorsive di storie controverse come – ad esempio – i dibattiti scientifici, i discorsi sull’ambiente e cosi via (Harr� e van Langenhove 1995, p. 369).

A partire dal pionieristico articolo di Davies e Harr� (1990; cfr. an-che Harr�, 1984), le dimensioni prevalenti29 sono state identificate in:a) ordine morale: indica il posizionamento rispetto ai sistemi culturali e locali di doveri e diritti, obblighi e crediti; include le attribuzioni, le credenze, gli atteggiamenti, i valori;b) ordine sociale: indica il posizionamento rispetto al sistema degli in-terlocutori (si veda il concetto di “matrice condizionale” nel cap. 3 � 1.2) secondo le declinazioni di tipo sociologico-anagrafico, i ruoli agi-ti e vissuti, le collocazioni storiche e attuali,c) ordine spaziale: indica la collocazione in un contesto reale delimita-to da confini e caratterizzazioni definite; corrisponde alla localizza-zione fisica dell’evento narrato;d) ordine temporale: indica il posizionamento in un momento storica-mente definito e ridefinibile narrativamente; dal punto di vista della rilevazione empirica, corrisponde la collocazione in un duplice conte-sto: quello del momento in cui si sono svolti i fatti (“l� e allora”) e quello della rievocazione narrativa attuale (“qui e ora”).

Rimandando agli Autori per ulteriori approfondimenti (e per le di-stinzioni concettuali fra posizionamento di primo e di secondo ordine, tacito o intenzionale, “performative/accountive positioning”), ci preme tuttavia ricordare l’ampia gamma di applicazioni che la teoria ha avuto

28 Questo obiettivo di definizione di un modello generale non significa tuttavia dimenticare la natura situazionale dei posizionamenti discorsivi (cos� come sono stati fin qui descritti): ci riferiamo infatti a un modello valido per il gruppo specifico di rispondenti considerando essi come rappresentanti (non rappresentativi) dei detenuti che hanno compiuto reati analoghi. Le narrazioni prodotte hanno quindi (come verr� ampiamente descritto nel cap. 2) carattere situa-zionale, costruttivo di (e costruito in) contesti specifici pur nella generale tendenza programmati-ca verso la definizione di un modello condiviso fra i partecipanti della ricerca.

29 Precisiamo - anticipando un argomento che verr� approfondito in seguito (cap. 3 � 1.2) -che il “livello di astrazione” delle dimensioni � relativo alla distanza concettuale, logica e opera-tiva fra i concetti (e le dimensioni che li compongono) e gli indicatori empirici rilevabili..

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Le cornici di contesto e i riferimenti teorici

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negli ultimi anni: gli studi sulla personalit� (Davies e Harr�, 1990; 1999), la definizione delle identit� di genere (Moghaddam, Hanley e Harr� 2003; McKenzie e Carey 2000; Lynn Adams e Harr� 2001; 2003), le relazioni interculturali (Slocum e van Langenhove 2003; Tan e Moghaddam 1995; 1999; Moghaddam 1999), l’uso di stereotipi (van Langenhove e Harr�, 1999a; 1995), la struttura delle argomentazioni scientifiche (van Langenhove e Harr� 1999b), la costruzione narrativa dell’identit� sociale, nazionale o professionale (Harr� e van Langen-hove 1992; 1999c; Berman 1999; Carbaugh 1999; Taylor e coll. 2003; Phillips, Fawn e Hayes 2002), la partecipazione alle comunit� di prati-che lavorative (Linehan e McCarthy 2000), il linguaggio della proget-tazione e valutazione delle tecnologie (van Langenhove e Bertolink 1999), la comunicazione mediata da nuove tecnologie (Riva e Galim-berti 1997), lo studio delle opinioni pubbliche conflittuali (Harr� e Slocum 2003a,b), la costruzione narrativa del disagio e della malattia (Sabat 2003; Wetherell 2003; Sabat e Harr� 1999; Wortham 2000; Georgakopoulou 2000), l’espressione delle emozioni e delle motiva-zioni (Apter 2003; Gerrod Parrott 2003; Walton, Coyle e Lyons 2003; Benson 2003).

In conclusione, la teoria del posizionamento offre una ampia e complessa chiave di lettura degli eventi quotidiani cos� come li vede e li descrive un attore-osservatore partecipante che nella definizione del-la situazione (implicitamente o esplicitamente) narra pezzi della sua identit� in quel contesto; � possibile che il lettore di queste pagine ne ricavi un’idea di vaghezza e scarsamente approfondito impianto meto-dologico e, in effetti, gli stessi autori ne precisano natura e obiettivi:

La teoria del posizionamento non dovrebbe essere ritenuta una “teoria generale” che richiede un’applicazione deterministica a specifiche applicazioni. Non � come la teo-ria gravitazionale. Piuttosto, pu� essere considerata come un punto di partenza per riflettere su molti differenti aspetti della vita sociale (Harr� e van Langenhove 1999d, pp. 9-10).

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La teoria del metodo

Non c’� niente di pi� pratico di una buona teoria.

Kurt Lewin (1890-1947)

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Capitolo 2 I metodi e gli strumenti

Dalle premesse teoriche descritte in precedenza � chiaro che – dal punto di vista metodologico – la scelta deve indirizzarsi verso metodi e tecniche di ricerca capaci di cogliere e valorizzare la complessit� dell’oggetto di studio.

La nostra attenzione si dunque � orientata verso la ricerca qualitati-va e le tecniche di rilevazione delle informazioni di tipo narrativo. De-scriveremo adesso brevemente questo contesto (che abbiamo chiamato “teoria del metodo”) e le ragioni della scelta. Ci dedicheremo poi alla discussione dei “modelli culturali” pi� generali che fanno da sfondo alla ricerca presentata nei prossimi capitoli. Infine, nel prossimo capi-tolo, faremo una rassegna delle tecniche specifiche di rilevazione (le interviste narrative) e di analisi delle informazioni (analisi delle strut-ture narrative analisi dei contenuti).

1. I metodi qualitativi

Sotto il profilo epistemologico e metodologico, la posizione di chi scrive � caratterizzata da una preferenza per i metodi qualitativi.

Non � questa la sede per rispolverare la vecchia (forse ormai supe-rata) dicotomia fra metodi qualitativi e metodi quantitativi, ovvero fra orientamenti positivi (e post- o neopositivisti: Mannetti 1998; Guba e Lincoln 1994) e orientamenti (socio)costruzionisti (Gergen 1985; 2004; Kruglanski e Jost 2000). Ci limitiamo qui a sottolineare alcuni termini salienti del dibattito pi� recente, che – pi� che esacerbare ed enfatizzare le differenze – cerca di ricomporle in un coerente quadro dei rispettivi obiettivi e delle implicazioni sulla natura della conoscen-za. Come sostiene Mazzara (2002, p. 23), �l’opposizione fra le due modalit� di concepire la scienza, e pi� in generale la conoscenza, � molto meno radicale e netta di quanto potrebbe apparire�: nonostante

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le resistenze che ancora da pi� parti si registrano, infatti, i diversi filo-ni di studio sembrano poter essere collocati lungo il continuum delle polarit� con posizionamenti graduati e intermedi.

Su questo tema Mazzara (2002, pp. 26-27) afferma che

si pu� osservare una contrapposizione fra concezioni definibili rispettivamente come minimaliste e massimaliste […]. Per le prime la scelta fra quantit� e qualit� � solo un problema di metodo, o addirittura di tecnica, e ciascuno pu� legittimamente utilizzare metodi diversi, anche in combinazione tra loro, in funzione degli scopi della ricerca o della specifica fase in cui ci si trova, ma anche in funzione del tempo e delle risorse che si hanno a disposizione, senza che questo implichi scelte di base a livello episte-mologico. Per le seconde, al contrario, il contrasto � in primo luogo un’opposizione fra paradigmi interpretativi, sicch� i due mondi della quantit� e della qualit� esprimo-no scelte di campo diverse e per molti aspetti incompatibili circa la natura stessa della conoscenza.La prima opzione, sovente descritta in termini di “eclettismo metodologico”, ha rac-colto numerose critiche, centrate sul carattere eccessivamente pragmatico o in qualche caso addirittura opportunistico delle scelte effettuate, ma riguardanti soprattutto la scarsa definizione del modo in cui i risultati conseguiti vanno a inserirsi in un com-plesso sistema di conoscenza. La seconda opzione, che si qualifica per una pi� rigoro-sa attenzione per gli aspetti teorici ed epistemologici, ha finito per diventare, specie se interpretata in maniera molto rigida, una barriera alla comunicazione fra i due approc-ci e un reale ostacolo alla loro reciproca fecondazione. […] valido e interessante pu� considerarsi l’obiettivo di migliorare complessivamente le nostre capacit� conoscitive attraverso un pi� fecondo interscambio fra le due prospettive, ciascuna delle quali pre-senta indubbiamente vantaggi specifici dei quali sarebbe opportuno approfittare e che vengono invece sacrificati in una logica di contrapposizione rigida.

In termini molto generali e considerando gli obiettivi di conoscen-za consentiti da ciascun approccio, possiamo sostenere che il ricerca-tore che preferisca servirsi di metodi qualitativi avr� un maggiore inte-resse per la comprensione e l’interpretazione del fenomeno, mentre chi predilige metodi quantitativi probabilmente mira alla spiegazione in termini (positivisti) di previsione e controllo. I metodi qualitativi consentono di catturare la ricchezza dei temi emergenti nel parlato del rispondente piuttosto che ridurre le risposte a categorie quantitative1

(Smith 1995).Marecek, Fine e Kidder (1997) hanno sostenuto che �il cuore

dell’orientamento qualitativo � il desiderio di dare un senso all’esperienza�; per questa ragione �gli approcci qualitativi sono meno

1 Per ulteriori approfondimenti sul rapporto fra metodi qualitativi e metodi quanti-tativi suggeriamo al lettore i recenti contributi di Mazzara (2002), Mantovani (2003) e Corbetta (2003a).

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prescrittivi e pi� flessibili dei metodi della psicologia ortodossa. Infat-ti, alcuni sostengono che tali metodi debbano essere chiamati “modo di lavoro” pi� che “metodi” in senso stretto� (p. 637).

Secondo gli Autori, infatti, la misurazione di manifestazioni indi-viduali (dei “punti di vista”) mediante scale, questionari e test impone che queste vengano forzatamente ricondotte entro le categorie teoriche definite a priori dai ricercatori. Un approccio qualitativo invece valo-rizza l’attribuzione di senso che – individualmente (nei processi cogni-tivi dell’attore), ma anche ricostruttivamente (nelle interazioni finaliz-zate alla rilevazione di dati empirici) – viene data alle peculiari espe-rienze di vita di ciascuno (Leone 2001; Bercelli 2004; Stame 2004).

A sostegno di questa “utilit�” dei metodi qualitativi per lo studio di oggetti sociali complessi, Cicognani (2002a, p. 17) afferma che �nella misura in cui l’oggetto di indagine � costituito dai significati, per ana-lizzarli occorre un’attivit� di interpretazione e di concettualizzazione che non pu� essere affidata (o non pu� essere affidata solamente) agli strumenti di misurazione convenzionali, ma richiede inevitabilmente l’intervento del ricercatore e delle sue capacit� e risorse interpretati-ve�: al ricercatore � richiesta un’attenzione allo scambio che si realiz-za fra gli attori coinvolti e una partecipazione del ricercatore alla co-struzione dell’unit� di analisi. Tuttavia, �l’indifendibilit� della dico-tomia qualit�/quantit� sul piano logico non esclude che attraverso di essa passino abitudini, forme mentali, stili cognitivi profondamente radicati e – in qualche misura – davvero alternativi� (Ricolfi 1997, p. 38).

Dal nostro punto di vista, riteniamo che per cogliere l’unicit� e il senso soggettivo che l’attore sociale ha inteso dare alla sua azione – in virt� degli effetti comunicaivi di cui si � parlato nel capitolo preceden-te – sia opportuno preferire modalit� di rilevazione delle informazioni2

che limitino le costrizioni categoriali in favore di una maggiore possi-bilit� di espressione libera, da parte del narratore, e di comprensione in profondit�, da parte del ricercatore (Silverman 2000).

Da queste premesse, diverr� via via sempre pi� evidente come l’interesse per i significati soggettivi (cio�, la costruzione soggettiva-mente rilevante) ci abbia portati a scegliere il testo (cio�, la trascrizio-ne di questa costruzione in forma narrativa) come unit� di analisi (Leccardi 1997). La soluzione che proponiamo costituisce il caso in-

2 Sull’utilizzo del termine “informazioni” al posto di “dati” si veda pi� avanti il capitolo 4 e De Gregorio e Mosiello (2004).

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termedio, nella terminologia di Ricolfi (1997), fra i dati ad alta orga-nizzazione e i dati a bassa organizzazione3: si tratta delle ricerche che operano sui testi sottoponendoli a processi di organizzazione tipici de-gli approcci qualitativi ed ermeneutici:

Una volta che si concepisce il compito di comprendere il comportamento umano co-me qualcosa che comporta interpretazione ed empatia, piuttosto che predizione e con-trollo, le auto-descrizioni (self-reports) delle persone che si stanno studiando diven-gono molto importanti in ogni progetto di ricerca psicologica (Harr� e Gillett 1994, trad. it. 1996, p. 24).

2. Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva

Un orientamento come quello appena descritto si collega a sfondi culturali generali rispetto ai quali esso assume maggiore coerenza e prospetta utili implicazioni di tipo tecnico-metodologico.

La psicologia narrativa, intesa come struttura dei processi di pen-siero e di ricostruzione degli eventi, � uno di questi contesti culturali(Sarbin 1986a,b; Murray 1995): secondo i suoi princ�pi, infatti, �gli esseri umani pensano, percepiscono, immaginano e sognano secondo una struttura narrativa. Dati due o tre input sensoriali, un essere uma-no li organizzer� all’interno di una storia o, almeno, nella cornice di una storia� (Mancuso e Sarbin 1983, p. 234); in altri termini l’individuo d� agli eventi un ordine e una trama (= plot) ponendo cos� le basi per una descrizione narrativa della realt� alla luce delle inten-zioni dell’attore-narratore (Biancheria e Cavicchioli 1998; Melucci2001):

Le espressioni narrative deriverebbero […] dal bisogno degli individui di comprende-re e interiorizzare la realt� circostante attraverso un lavoro interpretativo che consenta loro di diventare parte integrante della realt� raccontandola. […] Si tratta di narrare e comunicare la propria visione della realt�, di rendere pubblico tramite rappresentazio-ni simboliche il significato interiorizzato, di far emergere le proprie credenze, inten-zioni e i propri sentimenti che a loro volta diventano interpretabili (Groppo, Ornaghi, Grazzani e Carruba 1999, pp. 23-24).

3 Con “organizzazione dei dati”, Ricolfi (1997, p. 24) definisce �il processo attra-verso cui le informazioni vengono trasformate in dati e immerse in strutture pi� o me-no rigide e pi� o meno complesse�: “dati ad alta strutturazione” sarebbero quelli la cui analisi si basa sulla matrice, “dati a bassa strutturazione” sono quelli che si basa-no sulla mera ispezione informale dei testi (interviste in profondit� e storie di vita).

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Il racconto di eventi – come � stato ampiamente argomentato (Bru-ner, 1991) – rappresenta una forma convenzionale trasmessa cultural-mente. Tale natura culturale e condivisa fa s� che il racconto (scritto o orale che sia) � un prodotto costruito in-relazione con altri e con obiet-tivi sovra-individuali (Gergen e Gergen 1983; 1988).

Date queste premesse di “narrativit�” della vita quotidiana, di na-tura culturale e costruita dei processi di pensiero, lo studio delle narra-zioni assume un ruolo di rilievo tale che emergono paradigmi erme-neutico-interpretativi per i quali i significati diventano l’unit� di anali-si privilegiata. Secondo Bruner (1990) il comportamento (nel nostro caso “l’azione”: per una distinzione concettuale fra i due concetti ri-mandiamo a De Leo e coll. 2004a) � comprensibile facendo emergere dall’individuo la capacit� di narrare: in questo modo (e coerentemente con quanto gli esponenti della “svolta discorsiva” hanno affermato sulle strutture dei processi cognitivi: cfr., fra i tanti, Harr� e Gillett1994; 1995) l’azione diventa intelligibile secondo il punto di vista del suo protagonista che le d� una “forma narrativa” in accordo con i ca-noni culturali di riferimento (Bruner e Weisser 1995; Harr� e Van Langenhove 1999c) e le regole dei generi narrativi (Feldman 1991).

La struttura portante di un racconto �, quindi, caratterizzata da una componente individuale (scelta di cosa narrare, attribuzione dei signi-ficati, processi cognitivi: memoria, emozioni, pianificazione) e da una culturale (scelta di come narrare, condivisione dei significati, processi storico-sociali): si tratta di ci� che in altra sede (De Leo e coll. 2004a)abbiamo chiamato “la forma del pensiero” e che ha la sua origine nella corrente della psicologia narrativa. Individualit� e “culturalit�” si in-contrano e il prodotto di questo incontro � la narrazione di un evento personale (in questo caso, l’azione deviante).

Ma come � possibile conciliare aspetti cognitivi individuali e rife-rimenti culturali? La letteratura sull’argomento ha fatto ampiamenteriferimento ai pionieristici studi di Bartlett (1932) sul racconto di sto-rie: descriviamo, a questo riguardo la rivisitazione che ne hanno fatto Robinson e Hawpe (1986). Centrale � il concetto di “schema cogniti-vo”: secondo gli Autori, la flessibilit� del pensiero narrativo � radica-ta (“rooted”) in schemi cognitivi che fanno da base per la generazionedi ogni possibile storia. Si tratta di canoni generali sulla base dei quali identificare le informazioni fondamentali che rendono ogni storia nar-rabile.

Il passaggio fondamentale su cui ci preme richiamare l’attenzione � quello di un necessario fit fra un evento critico da narrare (l’azione

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deviante, ad esempio) e il modello narrativo (“narrative plan”): l’aderenza dell’uno all’altro diviene patrimonio individuale come sto-ria di un evento: �Le storie sono il modo per interpretare gli eventi co-struendo un pattern causale che integra ci� che � noto di un evento con ci� che � congetturale ma rilevante per l’interpretazione� (Robinson e Hawpe 1986 p. 112).

L’intenzionalit� di tale (ri)costruzione di pattern esperienza-schema narrativo da parte del soggetto narrante � evidente dall’organizzazione che egli d� ai contenuti. Introduciamo qui il con-cetto di “salienza del contenuto narrativo”4 a indicare chel’emittente/narratore, guidato dall’esperienza e dagli schemi narrativi, valuta cosa inserire come rilevante e cosa no e il destinatario, a sua volta guidato da schemi narrativi complementari, ricostruisce (decodi-fica) ci� che il narrante ha codificato come saliente.

Come mostra la figura 4, in ogni atto comunicativo esiste uno spa-zio comune nel quale emittente e ricevente (es., intervistato e intervi-statore) condividono una parte dei significati di cui ciascuno di essi � portatore nel proprio contesto sociale e cognitivo (i “contesti informa-tivi”).

Figura 4. Significati soggettivi e significati condivisi nell’inter-atto comunicativo ( fonte: Anolli e Ciceri 1995, p. 94).

4 Ne riparleremo nel prossimo capitolo.

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La selezione delle informazioni rilevanti, il confronto fra esperien-za5 e modelli narrabili, e l’inferenza di dati dall’esperienza sono atti-vit� cognitive che �giocano un ruolo chiave come intermediari fra gli obiettivi della storia in costruzione, il fatto da narrare e l’esperienza del narratore� (Robinson e Hawpe 1986, p. 116).

A questo punto attraverso il concetto di “intenzionalit�”, diventa evidente il collegamento che il presente lavoro ha con il secondo sfondo culturale premesso nel titolo: la psicologia discorsiva, �lo stu-dio delle modalit� e delle strategie che le persone utilizzano, in quanto soggetti attivi e pianificatori, attraverso sistemi simbolici in contesti a volte pubblici a volte privati al fine di attuare progetti e di raggiungere scopi� (Pagliaro 1996, p. 11).

La dimensione narrativa, secondo le definizioni che ne abbiamo dato in precedenza (in questo paragrafo), costituisce il punto di contat-to fra la cultura e la natura intenzionale dell’azione:

l’agente torna a essere considerato depositario di intenzionalit�, gradi di consapevo-lezza e controllo, ragioni e significati che organizzano il suo modo di agire, nonch� di responsabilit� rispetto agli effetti d’azione, soggettivit� e “unicit�” definite dai posi-zionamenti e dai punti di intersezione non replicabili nell’ambito dei discorsi e delle relazioni costitutivi della sua vita mentale pubblica e privata. Di qui la rilevanza attri-buita alla capacit� delle persone di produrre discorsi intorno alle loro azioni; di costru-ire resoconti giustificatori o esplicativi in base a svariati criteri morali, etici, situazio-nali, normativi, culturali, e cos� via; di proporre il loro punto di vista rispetto a se stes-si e al mondo che li circonda; di esplicitare i sistemi di credenze, convinzioni, valori, credo ideologici di diversa natura; di dispiegare le loro competenze narrative co-struendo e ricostruendo le storie personali nelle dimensioni temporali canoniche (pas-sato, presente e futuro); di selezionare, attivare e negoziare concettualizzazioni e si-gnificazioni rispetto al proprio e altrui modo di agire, attingendo al vasto repertorio di pratiche discorsive culturalmente accessibili, in rapporto alle opportunit�, ai posizio-namenti e ai vincoli regolativi normativi e convenzionali che esse implicano. Il lin-guaggio ordinario, socialmente costitutivo della conoscenza di senso comune, emerge come dimensione appropriata per la comprensione dei mondi personali e la “creazio-ne” di racconti utili e plausibili in rapporto agli obiettivi, cambiamento compreso (Pa-gliaro e Dighera 1996, pp. 244-245).

5 Con il termine “esperienza”, Robinson e Hawpe (1986) intendono anche le storie precedenti cio� le narrazioni divenute fatti a cui ancorare le narrazioni attuali. Esem-plificano questa tesi con un parallelismo fra costruzione “ingenua” delle narrazioni e processi decisionali nei contesti legali anglo-americani in cui le sentenze diventano dei “precedenti” e come tali danno fondamento alle decisioni successive.

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Nel corso degli anni Novanta, la psicologia sociale ha incrociato le correnti maggiormente rappresentative della cosiddetta svolta discor-siva: in particolare, gli studi che hanno inteso il legame fra azione e linguaggio secondo la duplice accezione di produzioni discorsive sull’azione sociale (Harr� e Gillett 1995; 1994; De Leo 1995; Melucci2001) oppure produzioni discorsive come azione sociale (vedi, fra i tanti, Edwards e Potter 1993; De Grada e Bonaiuto 2002). La seconda rivoluzione cognitiva – come � stata anche chiamata questa rinata en-fasi sugli aspetti discorsivi dei processi cognitivi6 – ha diversi aspetti in comune con le recenti ipotesi socio-costruttiviste dell’azione7: su questa comune base logica ed epistemologica che si fonda la nostra ipotesi di studio dell’azione deviante e della sua manifestazione pi� rilevante sul piano empirico: la narrazione.

De Leo e Gnisci (1996) hanno parlato a questo riguardo di costru-zione dell’azione e delle sue implicazioni psicologiche, relazionali e organizzative: il riferimento principale � ai contesti applicativi di area specificamente giuridico-criminologica nei confronti dei quali � pos-sibile ipotizzare utilizzi dei concetti appena illustrati: cos�, ad esem-pio, i significati culturali che strutturano l’attivit� e la presentazione che un individuo fa di S� (Baumeister e Newman 1994) ci porta a ri-flettere su qual � il significato che il soggetto d� all’azione deviante. L’enfasi sulla relazione con il contesto e sulle norme interattive, d’altra parte, si collega a topics tradizionali della riflessione in crimi-nologia (culture e sottoculture, teoria delle associazioni differenziali).La considerazione, infine, che agli eventi e agli oggetti viene attribuito un significato attraverso i discorsi in cui appaiono e in relazione a ci� che viene espresso si attualizza nella ricostruzione di un crimine in tribunale (Bruner 2002): si tratta di una serie di collocazioni situazio-nali-interattive e normativo-simboliche che definiscono i confini del contesto inteso come

insieme complesso, ma nel contempo finito e definito, di elementi normativi e con-venzionali, di regole interpretative e prescrittive, procedure formali e informali, cultu-re locali e organizzative, definizioni di ruoli e posizionamenti, sistemi di aspettative reciproche, rappresentazioni sociali e repertori d’azione condivisi, quadri di significa-to in qualche misura negoziabili, in relazione a cui gli attori organizzano, dirigono e controllano le proprie azioni essendone, entro certi limiti, circolarmente e riflessiva-mente organizzati, diretti e controllati. Il contesto, a differenza del generico ambiente,

6 Inclusa la pianificazione dei percorsi d’azione e il resoconto di essi.7 Vedi oltre, nel paragrafo successivo.

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� caratterizzato sul piano simbolico […] e diviene cos� cornice e sfondo rispetto a cui l’attore agisce di volta in volta diverse immagini e rappresentazioni del S� (Pagliaro e Dighera 1996, p. 148).

Queste le proposte di sostegno teorico allo studio narrativo dell’azione deviante: riteniamo infatti che i concetti espressi, e soprat-tutto le ragioni teoriche ed epistemologiche esposte possano essere applicati allo studio delle narrazioni sull’azione e, in particolare, sull’azione deviante. Tale ipotesi � sostenuta da una serie di riflessioni e studi di provenienza sociologica (Leccardi 1997), secondo i quali attraverso i testi (che come trascrizioni di interazioni con una loro au-tonomia di significato) sarebbe possibile ricostruire il senso di un’azione. Ci sono evidenze infatti che, nel momento in cui il soggetto narra la sua storia personale, inevitabilmente conferisce un significato per la sua azione e, mediante questo significato, si posiziona nel si-stema simbolico e culturale di appartenenza (Groppo e coll. 1999; Bruner 1991).

3. Le interviste qualitative: biografiche e narrative

Come rendere a ottenere testi per le analisi delle narrazioni sulle azioni devianti?

Il nostro interesse si � rivolto alle interviste narrative come partico-lare declinazione delle interviste qualitative. In questo paragrafo pro-veremo a tracciare il percorso che ha portato alla scelta di questa tec-nica: a questo fine, proponiamo una discussione sulle interviste8, strumento elettivo per cogliere il punto di vista degli attori (l’attribuzione di significati soggettiva e situazionale) e rendere te-stualizzabile (per le ragioni illustrate nel paragrafo precedente) l’unit�di analisi.

Cosa si intende per “intervista qualitativa”?

una forma di conversazione professionale che segue regole e impiega tecniche speci-fiche, […] uno scambio di opinioni su una base di sincerit�, tra due persone che si confrontano su un tema di interesse comune producendo conoscenza (Cicognani2002a, p. 47).

8 Pi� avanti il termine “intervista” verr� ulteriormente declinato nelle sue concrete applicazioni empiriche.

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Essa viene utilizzata con l’obiettivo generale di avere un “accesso” alla prospettiva dei rispondenti a un’indagine (Corbetta, 2003b). Come strumento di rilevazione delle informazioni risente di concezione par-tecipativa della ricerca qualitativa: in essa l’intervistato e l’intervistatore sono in un rapporto di reciprocit�, orientato alla co-costruzione del processo di conoscenza, e in cui i significati �scaturi-scono dalla tendenza dialettica […] tra chi parla e chi ascolta� (Pao-licchi 2002, p. 195)9.

�, in altri termini, un’interazione in cui un attore (l’intervistatore) cerca di ottenere informazioni, in maniera non precodificata, da parte di un altro attore (l’intervistato) che le detiene: le due parti coinvolte hanno ruoli diversi e definiti (nella situazione specifica si tratta, come detto, di ruoli asimmetrici). Una situazione di questo tipo presenta di-verse peculiarit�: le dinamiche di potere ad esempio (in senso lato, dalla competenza alla posizione, dalla relazione alle influenze delle variabili di genere) �sono continuamente giocate all’interno di una cornice che vede di volta in volta la prevalenza, ora di chi detiene le informazioni, ora di chi pu� dirigere il corso dell’interazione stessa con una maggiore o minore direttivit�� (De Leo e coll. 2004a, p. 67).

Si tratta comunque di definizioni difficilmente generalizzabili tout court: se infatti la ricerca qualitativa in genere valorizza il contributo degli intervistati e degli intervistatori alla co-costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium 1997; Lucius-Hoene e Depper-mann 2000; Losito 2004), succede spesso che l’inevitabile disposizio-ne di una specifica tecnica di rilevazione delle informazioni su un con-tinuum direttivit�/apertura costringe tale processo entro cornici tempo-rali e contenutistiche previste e dominate in primis dal ricercatore.

Si evince dalle osservazioni appena esposte che interazione e com-plessit� sono i criteri guida da tenere presenti gi� dalle prime fasi di progettazione di una ricerca o di un intervento che utilizza le interviste qualitative.

Numerose sono le declinazioni di intervista qualitativa presenti in letteratura: intervista in profondit� (Miller e Glasser 1997), intervista motivazionale (Castiello D’Antonio 1994; Levati e Sara� 2002), inter-vista ermeneutica (Montesperelli 1998), intervista discorsiva (Carda-no 2003), intervista semi-strutturata (Cicognani 2002a; Smith 1995),

9 L’atteggiamento costruttivo � coerente con le pi� recenti formulazioni della rivo-luzione contestuale in psicologia sociale (Bruner 1990, trad. it. 1992): cfr. la “Psico-logia discorsiva” di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.

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intervista focalizzata (Flick 1998) e – nello specifico settore di cui ci stiamo occupando – intervista investigativa (Fielding 2004; Kuhns1998). Non ci dilungheremo sulle rispettive definizioni, sulle analogie e differenze10: ci interessa soprattutto sottolineare come spesso l’etichetta con cui viene nominata una tecnica, corrisponde a una sua specifica caratteristica (relativa allo stile di conduzione generale, o al contenuto specifico, oppure alla maggiore o minore standardizzazione delle domande).

Rispetto ai nostri obiettivi, approfondiremo invece le strategie di intervista che pi� si avvicinano alla generale definizione di intervista qualitativa e che, soprattutto, rappresentano gli orientamenti teorici ed epistemologici descritti nel paragrafo precedente.

3.1 Le interviste biografiche

Si caratterizzano per la definizione composita e complessa, poich� nell’aggettivo “biografico” � inclusa una duplice caratterizzazione sia, in termini prettamente metodologici, sul ruolo dell’intervistatore (De Waele e Harr� 1979), sia una caratterizzazione temporale: si tratta di una macrocategoria all’interno della quale � possibile identificare di-versi tipi di intervista accomunati dall’interesse per l’autobiografia, il resoconto sull’esperienza individuale. La scelta fra uno fra questi di-versi aspetti in cui si declina l’autobiografia (come vedremo a breve) � soggettiva e dipende dallo specifico oggetto della ricerca.

A questo proposito, Atkinson (1998, trad. it. 2002, p. 33), ha notato che

bench� alla narrazione autobiografica si possa applicare una metodologia di ricerca piuttosto uniforme […] l’intervista autobiografica pu� implicare una certa dose di soggettivit�, e persino di casualit�. Lo stesso ricercatore pu� usare domande diverse con diversi intervistati. […] l’intervista autobiografica � sostanzialmente un modello, che si applicher� diversamente in situazioni diverse, circostanze diverse o ambienti diversi.

Per l’Autore, in altri termini, l’intervista ideale sarebbe possibile solo adattando lo stile, la traccia e l’interazione alle specifiche circo-stanze.

10 Ne abbiamo gi� parlato nel capitolo 3 in De Leo e coll. (2004a) a cui rimandia-mo.

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Faremo adesso una breve rassegna delle tecniche incluse sotto il termine di “intervista biografica”.

3.1.1 Le autobiografie

Una delle prime interpretazioni di come deve essere un’intervista focalizzata sul percorso evolutivo individuale � stata fornita da De Waele e Harr� (1979): con il termine “autobiografia” hanno inteso un account retrospettivo e individuale formulato in un dato momento del-la propria vita: le narrazioni autobiografiche e i temi che ne fanno par-te forniscono un accesso alla matrice cognitiva dell’attore, al suo si-stema organizzato di conoscenze sociali a cui attinge per agire e per rendere conto delle proprie azioni (De Waele e Harr� 1979; Bichi 2004).

Come gli stessi Autori notano, si tratta di uno strumento di difficile applicazione per lo studio dell’azione sociale: in prima istanza, per ra-gioni epistemologiche, � messa sicuramente in secondo piano l’importanza dell’interazione fra soggetto/fonte di informazioni e un intervistatore/ricercatore che stimola e coordina lo svolgimento dell’incontro, e inoltre

Problemi di oggettivit�, validit� e affidabilit� fanno perdere ai metodi biografici il confronto con i metodi psicometrici e la loro utilit� � stata valutata semmai come strumento di studi preliminare o esplorativo: di fatto l’autobiografia naive non do-vrebbe essere considerata come un obiettivo in se stessa ma come uno strumento di ricostruzione biografica che integra e completa i dati provenienti da altre fonti (De Waele e Harr� 1979, 179).

Oltre a questo, De Waele e Harr� (1979) affermano che i metodi autobiografici sono generalmente ignorati dagli psicologi probabil-mente, a loro avviso, per una forma di autocritica sulla presunta non-validit� dei propri strumenti o forse per l’elevato dispendio di risorse che comporterebbe il loro utilizzo nel momento in cui si cercasse di andare oltre un’analisi di superficie per mettere in relazione le catego-rie dei significati a livelli di astrazione maggiore (Strauss e Corbin 1990).

Per inciso, diciamo che il problema della “validit�” delle indagini qualitative � stato affrontato, negli anni pi� recenti, secondo diverse prospettive. Ne parleremo nell’ultima parte di questo lavoro, limitan-doci qui a indicare l’approccio intersoggettivo (implementato anche nelle funzioni di utilizzo di ATLAS.ti), quello che confronta i risultati

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ottenuti da fonti diverse (Denzin 1978 cit. in Mantovani 2003), la pro-spettiva di Silverman (2000), secondo il quale la bont� di una ricerca di tipo qualitativo si valuta prima di tutto dalla coerenza interna del percorso logico e metodologico mediante il quale sono state raggiunte le conclusioni.

Lo strumento principale per la conduzione di un’intervista biogra-fica secondo questo approccio � il Biographical Inventory: si tratta di uno strumento composto da domande aperte, questionari e scale di va-lutazione che vengono utilizzati per integrare i dati provenienti da fon-ti diverse (incluse le autobiografie propriamente dette e i “diari”). Lo schema di codifica consta di una lista di topics che possono essere usati dall’analista per “leggere” sistematicamente il corpus di dati da differenti punti di vista e desumere da esso le informazioni utili alla compilazione dell’inventario. Questo �, in altre parole, del tutto simile a una griglia di analisi del contenuto di molteplici fonti di dati con-temporaneamente.

In questo modo, la tecnica/strategia di intervista consiste in una se-rie di focalizzazioni successive orientate a fare emergere le dimensioni pi� esplicative sui significati riferiti al comportamento sociale.

La logica sottostante l’approccio appena descritto � sintetizzata da-gli Autori e ha diversi aspetti in comune con i nostri obiettivi di cono-scenza sull’azione:

Al cuore della spiegazione del comportamento sociale c’� l’identificazione dei signi-ficati soggiacenti. Parte dell’approccio orientato alla loro scoperta coinvolge l’acquisizione di resoconti – le stesse affermazioni dell’attore sulle azioni in oggetto –su quali significati sociali sono dati alle azioni dall’attore e dagli altri. Tali informa-zioni devono essere raccolte e analizzate e spesso portano alla scoperta delle regole che stanno alla base del comportamento stesso. La spiegazione tuttavia non � comple-ta finch� diversi resoconti sono negoziati (De Waele e Harr� 1979, pp. 197-198).

La proposta appena descritta ha alcuni aspetti di interesse: l’integrazione multi-metodologica – con la convergenza di diverse tecniche (questionari, diari, etc.) – � senza dubbio il suo punto di for-za. Ma non possono essere trascurati gli elementi di criticit�: se infatti (e come pi� recentemente � stato sottolineato e come abbiamo scritto nei paragrafi precedenti), la situazione di intervista � essa stessa un e-pisodio sociale, la mancanza di un’interazione effettiva (“faccia-a-faccia”) fra intervistato e intervistatore (che caratterizza questa tecni-ca) elimina una componente fondamentale dell’incontro ermeneutico: l’azione del “fare un resoconto” – l’account (come abbiamo scritto nel

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primo capitolo) – � influenzata in maniera decisiva dal tipo di episodio sociale in cui � inserita: ogni azione (o meglio, ogni azione discorsi-va), secondo questo modello prende la forma del contesto in cui viene attuata11. Secondo il Discoursive Action Model, in particolare, le for-mulazioni discorsive che vedono impegnati gli attori sociali �vengono retoricamente costruite per servire scopi pratici, interpersonali o socia-li, e perci� costituiscono azioni� (De Grada e Bonaiuto 2002, p. 158):

Il carattere di azione sociale delle formulazioni verbali, soprattutto di quelle che ri-guardano le cognizioni di eventi, trova riscontro nella possibilit� che, riguardo a uno stesso evento, tali formulazioni, pur senza essere oggettivamente scorrette, possano prevedere un numero pressoch� infinito di versioni differenti (ibidem, p. 159).

3.1.2 Le storie e i racconti di vita

Secondo Bichi (2002), all’interno dei metodi biografici possiamo distinguere i racconti di vita (Bertaux 1998) e le storie di vita (Bichi2000): la differenza sta nel fatto che i primi centrano l’attenzione (e la consegna iniziale) su un arco temporale ridotto o su un fatto specifico, mentre le “storie di vita” partono dalla generica richiesta di “parlare di s�”. A questa apparente semplicit� a livello di definizioni dobbiamo tuttavia affiancare le molteplici caratterizzazioni delle concrete prassi empiriche: la stessa Bichi (2002, p. 28) infatti ci informa che �dietro l’etichetta “storia di vita” si cela […] una vasta complessit� strumenta-le; questo tipo ideale trova, infatti, nella pratica, innumerevoli conta-minazioni�. Esiste comunque un filo conduttore che accomuna tutte le varianti e sta nella modalit� di gestione della situazione e di “sommi-nistrazione”12 delle domande: si tratta infatti di situazioni non-strutturate nelle quali l’intervistatore – pur avendo una traccia articola-ta e complessa che consente di prevedere i possibili percorsi dell’interazione – guida l’intervistato in un processo di continua sco-perta del proprio percorso biografico.

Comune a tutte le forme di intervista � la tecnica di conduzione: ogni intervista biografica (dopo l’indispensabile fase di presentazione dell’intervistatore e della ricerca) parte da una domanda narrativa ge-

11 Pensiamo, ad esempio, all’adattamento che un’intervista focalizzata subisce nel momento in cui diventa l’interrogatorio di un testimone in un processo penale.

12 Il termine “somministrazione” � virgolettato in quanto viene qui utilizzato per estensione, essendo tradizionalmente usato a proposito degli item di un test o di un questionario.

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nerativa (Flick 1998), che ha l’obiettivo di stimolare il racconto libero da parte dell’intervistato lungo una direttrice coerente (la “narrativa principale”). Come avverte Cicognani (2002a, pp. 61-62)

la domanda generativa deve essere formulata in termini molto ampi. […] � seguita da domande pi� specifiche in cui i frammenti narrativi che non erano stati trattati in mo-do esaustivo o non erano chiari vengono ripresi dall’intervistatore con un’altra do-manda generativa e completati (ad esempio, “Mi ha detto che prima � passato da X a Y. Non mi � molto chiaro come si � verificata la malattia dopo questo. Potrebbe rac-contarmi pi� dettagliatamente questa parte della storia?”).

Un altro aspetto comune sta nella partecipazione congiunta di in-tervistatore e intervistato alla produzione delle informazioni: le due figure non sono separate ma implicate insieme nella situazione di in-tervista, che � intesa come

l’insieme degli avvenimenti che consentono lo sviluppo di un’azione sociale comples-sa, costruita dialogicamente da due o pi� attori e attraverso la quale viene raccolta-prodotta un’intervista biografica. � una situazione nella quale gli attori agiscono entro “ruoli” definibili, con finalit� e aspettative […] la situazione d’intervista delinea, allo-ra, un tipo particolare di azione sociale, che va definito e circoscritto, analizzato e in-terpretato e nel quale trova posto anche la pratica scientifica del ricercatore (Bichi2002, p. 37).

L’enfasi � sulla natura interazionale dell’intervista biografica, un evento in cui le due parti mostrano un’intenzione di conoscenza, una motivazione all’incontro:

il racconto dell’esperienza viene ritenuto una situazione sociale nella quale, come in tutte le situazioni sociali, ha luogo la costruzione, la riproduzione e la comunicazione di forme di socialit�. Questo processo, vissuto nell’interazione sociale provocata dall’intervista, consente all’intervistato di spiegarsi e argomentare, di dare – con le parole – un senso alla propria esperienza, di ri-costruire connessioni e modelli, di va-lutare e comparare in funzione del proprio divenire sociale (ibidem, p. 39).

Questa attribuzione di intenzionalit� (assente nell’autobiografia proposta da De Waele e Harr�) rende ogni intervista una situazione assolutamente singolare e irripetibile, un’azione sociale, appunto, in cui ogni sequenza comportamentale risponde a (e pretende risposte da) un’altra in una duplice escalation dialogica: fra attore e intervista-tore, da un lato, e fra la realt� storica della vicenda e la realt� ricostrui-ta nella narrazione, dall’altro (De Leo e coll. 2004b).

Alcune considerazioni sugli sviluppi successivi dell’intervista: la domanda narrativa generativa, come abbiamo visto, deve essere for-

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mulata in maniera ampia e onnicomprensiva con l’obiettivo di stimo-lare la maggior quantit� possibile di “informazione spontanea”; la traccia successiva (che verr� formulata sotto forma di domande vere e proprie solo nel caso in cui le aree previste non vengano toccate dal racconto libero dell’intervistato) dovr� essere tanto articolata da inclu-dere in s� una completa mappatura del percorso logico-metodologico che articola il concetto (argomento della ricerca) nelle sue dimensioni definitorie e costitutive e queste ultime negli indicatori empirici rile-vabili (Lazarsfeld 1958; Losito 1998; De Gregorio 2006. Vedi anche il � 1.2 nel prossimo capitolo). Rimandando alle fonti citate per ulteriori approfondimenti sull’articolazione concetto-dimensioni-indicatori, ci preme sottolineare un aspetto importante riguarda il rischio che l’intervistatore possa suggerire contenuti e risposte all’intervistato e che, di conseguenza, la “libert� d’espressione” di quest’ultimo riman-ga un obiettivo e non venga concretizzata.

Un ultimo aspetto da approfondire riguarda i criteri di strutturazio-ne che hanno guidato la costruzione della traccia di intervista biografi-ca (sia essa racconto o storia di vita): essi potranno sempre essere messi in discussione, coerentemente con gli orientamenti pi� estremi nella ricerca qualitativa13. In altri termini, la traccia di intervista infatti avr� una sua strutturazione iniziale ma dovr� essere “aperta” e com-prendere le concettualizzazioni che il ricercatore va via via costruendo lungo il percorso di ricerca. Dovr� dunque essere aperta alle revisionisulla base delle indicazioni e informazioni che – emergendo dalla si-tuazione di intervista – porteranno nuovi contributi al processo di co-struzione di conoscenza, intesa come impresa congiunta di attore e ri-cercatore (Holstein e Gubrium 1997). 3.1.3 Le interviste narrative

Secondo Cortese (2002), � possibile includere nel termine “intervi-sta narrativa” tre principali accezioni:

– nella story un singolo intervistato racconta brevemente un’esperienza su un tema specifico come risposta a specifici inte-ressi del ricercatore,

13 Per una rassegna su tali orientamenti rimandiamo - fra i tanti - a Silverman (1993; 1998).

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– nella life-story14 l’intervistato racconta estensivamente le esperien-ze durante tutto l’arco di vita; pu� essere riferita anche a un perio-do circoscritto rispetto al quale si chiede il resoconto di un evento significativo,

– nella history il ricercatore effettua una sintesi dell’esperienza di un altro protagonista e la riferisce in terza persona15.

La schematizzazione appena esposta – sebbene utile a fini espositi-vi – � tuttavia spesso smentita dalla prassi: nella realt� empirica infatti coesistono modelli che possono essere assimilati ora a forme ibride con caratteristiche che comprendono l’una e l’altra, ora ad altre inter-viste narrative che costituiscono metodi alternativi: infatti �anche se la dizione “intervista narrativa” � ormai diffusa in letteratura, il suo si-gnificato varia a seconda della prospettiva teorico-metodologica di ri-ferimento e della sua traduzione in concreti disegni di ricerca� (Pao-licchi 2002, p. 193).

Il filo conduttore che ci consente di parlare di “interviste narrative” come di un insieme di tecniche organico e coerente (anche a prescin-dere dalle specifiche opzioni del ricercatore e dalla contingenze delle singole situazioni di rilevazione) � l’atteggiamento di apertura e di flessibilit� dell’intervistatore:

non ci riferiamo solo a una generica “capacit� di ascolto”, ma ad una vera e propria competenza (da apprendere con un training specifico e da affinare con l’esercizio) di guidare l’interazione, facilitando un processo aperto i cui contenuti sono da lui stesso previsti ma non imposti. Attore e protagonista dell’intervista narrativa rimane dunque l’intervistato al quale il ricercatore deve proporsi con interesse “sincero” e senza cer-care di dirigere il corso dei pensieri e delle argomentazioni verso le sue categorie in-terpretative (De Leo e coll. 2004a, pp. 75-76).

Si ripropongono, in questo caso, le riflessioni esposte in preceden-za sul rischio dell’interferenza fra ruoli e l’ingerenza delle categorie cognitive dell’intervistatore su quelle del rispondente: � un rischio sempre presente tanto che Cicognani (2002a, p. 61) ha sostenuto che �in questa prospettiva, il ricercatore si astiene dall’esercitare ogni forma di influenza ed � l’intervistato che determina, dal suo punto di

14 Chiamata da Cicognani (2002a) anche “life history interview”.15 � una modalit� simile all’autobiografia di cui parlano De Waele e Harr� (1979),

cfr. � 3.1.1 in questo capitolo.

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vista particolare, ci� che � rilevante e ci� che non lo �. L’intervistato � il vero esperto della situazione di intervista� .

Nelle interviste narrative l’intervistatore mantiene un atteggiamen-to non direttivo, orientato a stimolare l’approfondimento, se necessa-rio, con tecniche di rilancio e di probing al fine di non perdere nessuna informazione utile e, se possibile, di fare emergere i significati latenti (Smith 1995):

sia l’intervistatore che l’intervistato sono coinvolti in una ricerca di significato che trasforma l’intervista in un processo attivo, necessariamente collaborativo. […] L’intervista pi� efficace, di conseguenza, sar� quella in cui l’intervistatore pu� fare un passo indietro, osservare il processo mentre � in corso, decidere in quale direzione conviene orientarlo e stabilire in anticipo quali domande porre. Essere un’abile guida, in grado di prevedere esattamente quello che deve accadere nel prosieguo, � davvero essenziale per un’intervista ben riuscita. […] La parte pi� difficile dell’intervista sta nell’adottare uno stile personale, o per meglio dire interpersonale, che induce l’intervistato a raccontare la sua vicenda umana con un profondo coinvolgimento e-motivo (Atkinson 1998, trad. it 2002, pp. 66-67).

Anche in questo caso la qualit� delle informazioni raccolte si fonda quindi sulla positivit� della relazione (con particolare enfasi sulla col-laborazione e sul ruolo attivo di entrambi gli attori), sulla flessibilit�del percorso conoscitivo (che forse pu� mancare nelle fasi iniziali di conoscenza reciproca), sulla condivisione di obiettivi e aspettative re-ciproche rispetto ai ruoli specifici, alla situazione, ai contenuti:

Una tradizione ormai lunga di studi critici sulle interviste ha infatti evidenziato le di-storsioni prodotte dall’intervento di variabili diverse dall’opinione dell’intervistato, che si vuole oggettivare: da minime variazioni nella forma linguistica della domanda o nella comunicazione non verbale da parte dell’intervistatore, agli effetti della posi-zione di una domanda nella sequenza dell’intervista, all’interpretazione dell’intervistato circa gli scopi e i presupposti del ricercatore. Tutto ci� ha diffuso la convinzione che l’idea di uno stimolo standard sia una chimera, ed ha ridato forza all’ipotesi che la variabilit� del modo in cui gli intervistatori fanno domande sia cen-trale nella tecnica dell’intervista ma non possa essere risolta con la standardizzazione (Mischler 1986), e debba quindi essere utilizzata per capire ci� che interessa realmen-te, il significato e non la formulazione verbale della domanda e della risposta (Pao-licchi 2002, pp. 193-194).

Tutto quanto abbiamo appena esposto � facilmente collegabile ai temi della psicologia sociale: ci� che interessa al ricercatore � infatti la possibilit� di attuare un duplice �approccio rivolto a cogliere sia i mo-di in cui la cultura � riflessa nel soggetto, sia i modi in cui questo se ne appropria venendo a costituirsi come punto di vista storicamente situa-

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I metodi e gli strumenti

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to e autore di una storia dotata di una sua essenziale singolarit�� (Pao-licchi 2002, p. 196): l’intervista narrativa diventa �scambio comunica-tivo, fondato su un’essenziale tensione dialettica tra dimensione indi-viduale e sociale, tra produzione di significati attraverso la capacit� simbolica di ogni singola mente e condivisione, fra la peculiarit� della singola storia e il suo essere interna al contesto della situazione comu-nicativa attuale e a un pi� ampio contesto culturale� (Paolicchi 2002, p. 200).

L’utilizzo del parlato (o in generale dei metodi discorsivi) come “strumento di rilevazione dei significati” � una caratteristica centrale della psicologia sociale secondo l’approccio etogenico (Harr� 1977), �basato sull’assunto che le fonti cognitive dell’azione si possono rin-tracciare soltanto nello studio integrato di comportamento umano e discorso che lo accompagna; l’approccio divide le azioni sociali, da una parte, in sequenze-azioni nel cui svolgimento la realt� sociale � creata e mantenuta e, dall’altra, in comportamenti nei quali il livello precedente diviene oggetto di resoconti16 e racconti� (De Waele e Har-r� 1979, p. 183).

In questo senso, tornano utili i riferimenti fatti nel paragrafo prece-dente sulla psicologia narrativa (� 2, in questo capitolo) con specifica attenzione ai processi di pensiero intesi come strutture narrative me-diante le quali dare un senso alle esperienze quotidiane (Atkinson 1998; Bruner 1991): la prospettiva narrativa � l’osservatorio privile-giato per tentare di cogliere quelle relazioni fra azione e resoconto dell’attore.

Adottando tale approccio diventa imprescindibile un’attenzione a-gli aspetti ermeneutici della lettura del testo-intervista (Montesperelli1998) con un ritorno, se possibile, a un livello di complessit� maggio-re, delle variabili di relazione, di (ri)costruzione di senso, di dialettica fra il contesto attuale e il contesto rievocato.

16 In accordo con Baumeister e Newman (1994), considereremo termini “narrazio-ne”, “resoconto” e “storia” come sinonimi.

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Capitolo II

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Background metodologico

� un grosso errore teorizzare prima di avere dei dati: spesso si al-

terano i fatti per adattarli alla teoria, anzicch� adattare la teoria ai

fatti.

Arthur Conan Doyle (1859-1930)

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Capitolo 3 Le analisi delle narrazioni

1. Le analisi qualitative dei contenuti narrativi

1.1 L’analisi del contenuto classica

La ricerca sociologica e psicologica ha elaborato diversi metodi dianalisi dei contenuti narrativi. Dal punto di vista storico, merita una citazione la c.d. “semantica quantitativa” (Losito 1993; Amaturo1993): si tratta di un insieme di tecniche (Verbal-Adjective Quotient, l’Analisi delle contingenze, l’Analisi preposizionale, l’Analisi dei modi dell’argomentazione etc.) che – a partire da informazioni quali-tative (i testi) – applicano sistemi di classificazione del contenuto al fine di ottenere dati quantificabili (variabili metriche) da sottoporre ad analisi statistiche (Gemini e Russo 1998). Queste tecniche sono acco-munate da procedimenti in base a cui la validit� delle indagini � su-bordinata alla chiara enunciazione delle regole di classificazione adot-tate per garantire l’obiettivit� e la replicabilit� di tutte le fasi di ricer-ca: tutte le analisi del contenuto consistono, di fatto, in una scomposi-zione dell’unit� che si vuole analizzare; tale sistematicit� � agevolata dall’uso di software appositi che (a partire dagli anni Sessanta) hanno facilitato il trattamento dei dati testuali (Cipriani e Bolasco 1995):

L’analisi del contenuto nasce con intenti precipuamente “quantitativi”, sull’onda lun-ga del neo-positivismo e nella convinzione che il conteggio della frequenza con cui, all’interno di un testo, compaiono determinate parole o categorie di significato costi-tuisca un elemento indisputabile di valutazione.A ben vedere, un uso cos� rudimentale di uno strumento di raccolta dei dati limita ri-gorosamente il campo d’applicazione, distanziandosi considerevolmente dai propositi di analisi sistematica del messaggio che tante altre analisi del contenuto si sono pro-poste.Tuttavia, […] ci si proponeva, inizialmente, proprio il consolidamento di una proce-dura di indagine che, forte del rigore metodologico, evitasse di offrire il fianco ad e-ventuali riserve sulla correttezza dell’interpretazione di un testo (Nobile 1997, p. 26).

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Capitolo III

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Tecnicamente, l’analisi del contenuto consiste in una scomposizio-ne del testo che viene successivamente ri-categorizzato secondo di-mensioni teoriche previste dal ricercatore: �tale scomposizione deve per� avvenire in modo sistematico, utilizzando cio� criteri espliciti e standardizzati, da applicare all’intera unit� in oggetto; successivamen-te, gli elementi individuati sono classificati in un sistema di categorie, e dunque trasformati in variabili categoriali o ordinali che � possibile sottoporre a trattamenti statistici di vario tipo� (Ghiglione 1995, p. 35).

Gli studi che hanno applicato le analisi del contenuto hanno foca-lizzato l’attenzione soprattutto sui testi scritti (come aspetti manifesti e “oggettivabili” della comunicazione): tuttavia, per la complessit� delle espressioni narrative come oggetto di ricerca, i sostenitori della fun-zione semiotica della comunicazione hanno evidenziato i rischi della reificazione insita nel conteggio di frequenze di simboli e parole-chiave:

nella polemica � stata sostanzialmente sottolineata la complessit� dei processi comu-nicativi, che rende improponibili analisi centrate esclusivamente sul contenuto di un messaggio, ignorando che la sua comprensione non pu� prescindere n� dai processi interattivi che si stabiliscono fra gli interlocutori […] n� tanto meno dalla molteplicit� di significati che � possibile rintracciare all’interno del messaggio stesso, di cui � sempre possibile una lettura a molti diversi livelli (Amaturo, 1993, p. 24).

Seguendo Nobile (1997), si pu� per� sostenere che – essendo gli obiettivi dell’analisi del contenuto orientati a �cercare nel materiale analizzato le risposte a specifiche domande di ricerca […] rispetto alle ipotesi formulate� (Amaturo 1993, p. 29) e non a rintracciarne i signi-ficati profondi – essa rientra a pieno titolo negli approcci orientati alla verifica delle ipotesi e quindi, in senso lato, non pu� che essere inseri-ta nel panorama della ricerca quantitativa.

Nonostante questa caratterizzazioni, possiamo affermare che la scelta del livello di scomposizione, la scelta dell’unit� di analisi (paro-la, tema, frase), la creazione di un sistema di categorie a priori ha molto in comune con approcci in cui la tensione qualitativa � maggio-re:

non si pu� trascurare infatti che una tipica scheda di analisi del contenuto (Losito 1993) � del tutto simile a una traccia di conduzione di un’intervista narrativa (o […] di una storia di vita), fatta eccezione forse per il minore rigore metodologico imposto a queste ultime in termini di validit� e affidabilit� (De Leo e coll. 2004a, p. 99).

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Le analisi delle narrazioni

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Un discorso analogo pu� essere fatto rispetto alla c.d. “statistica te-stuale” (Bolasco 1995; 1997; 1999), sia per quanto riguarda le ragioni della loro eventuale scelta sia per le implicazioni teoriche e metodolo-giche della loro applicazione:

tali approcci al testo infatti – enfatizzando gli aspetti statistici, talvolta anche molto complessi – lasciano, a nostro avviso, in secondo piano le componenti di significato, di interazione fra osservatore e soggetto osservato che invece (coerentemente con quanto affermato a proposito della ricerca qualitativa tout court) risultano le condizio-ni crucialmente rilevanti dei processi di costruzione di conoscenza (Silverman, 2000). In altri termini, anzich� “dalle parole ai numeri” (Amaturo e Gambardella 1995), pre-feriamo passare dalle parole ai significati (De Leo e coll. 2004a, p. 100).

Nonostante questi rilievi critici, non mancano elementi di interesse e di comunanza fra questi approcci e quello descritto nel prossimo ca-pitolo: ad esempio, la necessaria accuratezza nella scelta delle unit�d’analisi; come rileva Bolasco (1999, pp. 193-194):

In certi casi, risulta determinante anche l’ampiezza del frammento di testo, visto come unit� di contesto, su cui operare una ricerca per la cattura di un’occorrenza. Ci� al fine di indagare sulle co-occorrenze di due o pi� termini. I frammenti possono infatti esse-re naturalmente gi� definiti, come nel caso delle risposte libere in un questionario o dei titoli di articoli della stampa, o dei paragrafi e/o commi di un testo giuridico. Ma possono invece non esserlo, come nel caso dei testi letterari e di interviste non diretti-ve. Allora, l’incertezza delle scelte � elevata, poich� non vi sono regole generali per la segmentazione del corpus.

1.2 L’approccio della “Grounded theory”

Si tratta di un approccio alla ricerca qualitativa di tipo interpretati-vo (De Gregorio e Mosiello, 2004), pi� che di una tecnica di analisi, che � stato proposto un ambito sociologico a partire dagli anni Sessan-ta (Glaser e Strauss 1967) e – con poche rivisitazioni – � arrivato fino ai giorni nostri (Strauss e Corbin 1990; Charmaz 2006; Cicognani 2002b; Strati 1997; Pandit 1996). La Grounded theory – o, pi� corret-tamente, la grounded theory methodology (Strauss e Corbin 1994; 1998) – la cui tradizione � ampiamente consolidata in sociologia (Stra-ti 1997) ma da poco tempo nota in psicologia (Cicognani 2002b; Henwood e Pidgeon 1992) – privilegia la scoperta di una teoria emer-gente dai dati piuttosto che la ricerca in essi di costrutti preesistenti alla rilevazione stessa: viene dunque proposta come la soluzione me-todologicamente pi� idonea a “mettere ordine” in grandi quantit� di

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Capitolo III

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informazioni, identificando temi ricorrenti e relazioni fra essi (Rennie 2000; Rennie e Fergus 2006). Analogamente al paradigma neopositi-vista di verifica (al quale tuttavia si oppone rispetto all’enfasi che que-sto d� alle “ipotesi”, agli obiettivi di controllo e previsione) la Groun-ded theory ha sviluppato un proprio apparato epistemologico, ambiti di applicazione e propri criteri di validit� che consentono anche a chi fa ricerca qualitativa di condurre studi rigorosi e sistematici (Silver-man 2000; Corbin, 1998).

Secondo Charmaz (1995), infatti, la Grounded theory consente di apportare nella ricerca qualitativa gli stessi requisiti di sistematicit� e validit� che caratterizzano gli studi secondo il paradigma neopositivi-sta. Secondo le prassi – proposte inizialmente da Glaser e Strauss (1967) e successivamente ridefinite in maniera pi� organica da Strauss e Corbin (1990) – il ricercatore dovrebbe accostarsi ai soggetti che co-stituiscono il campione del suo studio senza alcun modello teorico che guidi la conduzione dell’intervista, n� l’ordine delle domande e, natu-ralmente, neppure l’interpretazione delle interviste. Dovrebbe, invece, (anche con l’ausilio di recenti software creati sulla base del modello proposto), intraprendere un processo iterativo fra dati, interpretazione e teoria emergente dalla loro interazione. Tale processo, in cui l’interpretazione inizia fin dalla prima intervista raccolta (v. Fig. 5)1, ha l’obiettivo di �costruire la realt� sociale dal punto di vista dei par-tecipanti, tentando di determinare i significati simbolici […] hanno per gruppi di persone mentre interagiscono le une con le altre� (Cicognani 2002a, p. 45).

Il materiale narrativo pu� essere analizzato rispetto a una molteplicit� di dimensioni, come il contenuto, la struttura, lo stile del parlato, le caratteristiche affettive, le moti-vazioni, gli atteggiamenti e le credenze del narratore, il suo livello cognitivo. Inoltre, i dati sono influenzati dall’interazione fra l’intervistatore e l’intervistato e da altri fatto-ri contestuali. Un’altra caratteristica della ricerca narrativa riguarda il ruolo delle ipo-tesi: negli studi narrativi di solito non ci sono ipotesi a priori. Le direzioni specifiche dello studio emergono dalla lettura del materiale raccolto. Inoltre, il lavoro eseguito � interpretativo, e un’interpretazione � sempre parziale, personale e dinamica. […] Nel corso del processo, il lettore della storia entra in un processo interattivo con la narrati-va e diventa sensibile alla voce e ai significati del narratore. Le ipotesi e le teorie sono pertanto generate durante la lettura e l’analisi delle narrative, in un processo circolare (Cicognani 2002a, p. 108).

1 Nella figura i termini “formale” e “sostantiva” fanno riferimento al livello di ge-neralit�/specificit� della spiegazione teorica: le prime si limitano al singolo fenomeno sociale, le seconde li includono classi pi� ampie.

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Figura 5. Il processo di ricerca nella Grounded theory (fonte: adattato da Steinke 1999, p. 26).

Come abbiamo scritto anche in altra sede (De Leo e coll. 2004b) e come evidenziato da autorevoli studiosi (Charmaz 2006; Clark 2005), tuttavia, la certezza di poter “mettere da parte” le categorie teoriche di riferimento ci sembra un’operazione ingenua perch� non tiene conto del fatto che inevitabilmente il ricercatore porta nell’intero processo di ricerca (dalla formulazione delle domande dell’intervista all’analisi delle informazioni) i propri orientamenti e inclinazioni, gli interessi di ricerca, la soggettivit�, incluso l’angolo visuale della propria forma-zione teorica e del proprio gruppo di riferimento (comunit� scientifi-ca).

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� utile, a questo riguardo, la nozione di “concetti sensibilizzanti” (proposta da Blumer 1969), con cui ci si riferisce proprio ai punti di partenza (espliciti o impliciti) dell’analisi, le premesse teoriche, rispet-to alle quali il ricercatore valuta (ribadiamo: esplicitamente o implici-tamente) e l’aderenza (“fit”) con i dati che emergono dalla situazione di ricerca (ad esempio, l’incontro con l’intervistato). Si tratta, in altre parole, di un processo di “doppia significazione” in cui il cuore dell’analisi qualitativa sta nell’interpretazione che il ricercatore attri-buisce alle interpretazioni dell’attore, intese come modi di concettua-lizzare la propria esperienza.

Il processo di ricerca complessivo appare dunque caratterizzato da una divergenza di fondo rispetto agli approcci neopositivisti: piuttosto che una sequenza standardizzata di fasi, come quella descritta nella figura 6 (tipico della ricerca tendenzialmente quantitativa), il metodo qualitativo viene solitamente descritto come un processo circolare(Gobo 1998), che non si sviluppa attraverso una sequenza lineare di fasi sequenziali, ma si muove in avanti e indietro fra dati e evidenze empiriche, sempre aperto a innovazioni e aggiustamenti.

Figura 6. Il modello lineare del processo di ricerca (fonte: Cicognani 2002a, p. 26)

In questo modo, si ha l’opportunit� di modificare in itinere alcuni aspetti dell’indagine, confermandoli o correggendoli in ogni momen-to.

Generalmente, il punto di partenza � costituito da una “domanda cognitiva” (Cardano 2003) – piuttosto che da un’ipotesi da verificare – riferita ad un problema specifico che necessita di trovare una risposta. La raccolta dei dati2, attraverso la scelta di una tecnica appropriata alla natura della domanda, procede di pari passo con la loro inter-pretazione. Nel momento in cui il ricercatore inizia a raccogliere il materiale, quanto pi� possibile ricco e dettagliato, comincia la sua attivit� di riflessione orientata a far

2 Per comodit� espositive utilizzeremo d’ora in poi il termine “dati” insieme a quello di “informazioni”, sebbene il primo tenda a richiamare un’impostazione ogget-tivista che si allontana dall’orientamento di tipo qualitativo. Si rimanda comunque al capitolo 4 per una maggiore articolazione delle differenze d’uso fra i termini “infor-mazioni”, “dati” e “osservazioni” (cfr. anche Mannetti e Pierro 1998).

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emergere i significati racchiusi nelle informazioni che di volta in volta vengono codi-ficate. Esemplare in questo senso � il concetto proposto da Strauss e Corbin (1990) di “matrice condizionale”, un diagramma utile alla descrizione del contesto legato al fe-nomeno oggetto di studio. Tale matrice permette di collegare contemporaneamente –attraverso la struttura logica a cerchi concentrici – i diversi livelli pertinenti all’oggetto di studio (De Gregorio e Mosiello 2004, p. 19).

La matrice condizionale pu� essere rappresentata come mostra la figura 7:

Figura 7. Rappresentazione grafica della matrice condizionale secondo Strauss e Cor-bin (1990, p. 163).

Il principale elemento di divergenza dagli approcci quantitativi � quindi dato dalla direzione del percorso di ricerca: nel procedimento logico – formulato analiticamente da P.F. Lazarsfeld (1958) e rappre-sentato nella figura 8 – un concetto ad elevato livello di astrazione (ad esempio, il concetto complesso di “rappresentazione dell’oggetto so-ciale X”) viene trasformato in una variabile del disegno della ricerca a un livello di complessit� inferiore, viene cio� tradotto in concrete ope-razioni di ricerca (Marradi 1984; Losito 1998).

cultura

nazione

comunit�

organizza-zione

gruppo

individuo

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Figura 8. Il passaggio dai concetti agli indicatori secondo il paradigma lazarsfeldiano (fonte: Cannav� 1999, p. 131).

Il passaggio � possibile attraverso una precisa definizione del con-cetto di partenza e una sua scomposizione nelle dimensioni che lo co-stituiscono (nella figura 8: da C1 a D1, D2 e D3). Tale scomposizione pu� portare a dimensioni concettualmente semplici – a un basso livel-lo di astrazione – e quindi facilmente traducibili in indicatori e nelle relative definizioni operative (es.: le domande di un questionario), come in D2 e D3; oppure, pu� essere necessario un ulteriore passaggio di definizione concettuale e di scomposizione in sottodimensioni, al fine di specificarne la complessit� e rendere possibile l’identificazione degli indicatori empirici (De Gregorio, 2006).

Il procedimento proposto dalla Grounded theory, inverte i termini del modello: si parte dai dati (a un livello di astrazione vicino a quello degli indicatori) per arrivare ai concetti teorici e produrre una spiega-zione che renda conto delle relazioni tra i dati e dei processi che orga-nizzano tali relazioni.

Complessivamente, l’approccio si caratterizza per una coerenza in-terna descritta da una serie di concetti-chiave che hanno, in un certo senso, l’obiettivo di delineare un percorso ideale per la conduzione di una ricerca secondo la prospettiva grounded. Della matrice condizio-nale abbiamo gi� parlato, gli altri concetti-chiave sono:

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campionamento teorico: la formazione del campione3 della ricerca step-by-step sulla base delle informazioni che emergono nel corso dell’analisi delle informazioni e servono per la costruzione della teoria: � guidato da interessi teorici contingenti e ha l’obiettivo di collezionare eventi e situazioni che siano indicativi (non necessa-riamente rappresentativi) delle categorie, delle loro propriet� e di-mensioni, delle relazioni fra queste (Gust, Bunce e Johnson 2006);

saturazione teorica: rappresenta la situazione in cui non � pi� pos-sibile evincere informazioni rilevanti rispetto a un concetto teorico rilevante, le relazioni fra categorie sono stabilizzate e ogni nuovo elemento non aggiunge nulla di nuovo ai risultati ottenuti.

Un ultimo aspetto d’interesse riguarda le opzioni di codifica (a cui accenniamo ma che verranno riprese nel prossimo capitolo): esse sono differenziate in

a) codifica aperta (“open coding”, nella terminologia di Strauss e

Corbin 1990): consiste nel ricondurre i dati a concetti generali che ne riassumono contenuto e significato e nello sviluppare da questi categorie e dimensioni del fenomeno oggetto di studio4; ci� al fine di �di concettualizzare e non di descrivere, di indicare e non di ri-assumere, di etichettare i processi caratteristici delle interazioni in corso, di cogliere e utilizzare le etichette in uso impiegate dai sog-getti di quelle interazioni� (Strati 1997, p. 154),

b) codifica assiale (“axial coding”): a partire dai codici ottenuti dalla fase precedente, implica un perfezionamento concettuale. Vengo-no scelte le dimensioni pi� rilevanti ai fini dell’analisi (con o sen-za riferimenti teorici diretti) e vengono definite le relazioni fra lo-ro in termini di causalit�, contiguit�, opposizione, inclusione, etc.5,

c) codifica selettiva (“selective coding”): ha l’obiettivo di strutturare un quadro teorico pi� definito attraverso l’identificazione della dimensione principale (“core category”) e delle sue relazioni con

3 Giova precisare che nella ricerca qualitativa in generale il termine “campiona-mento” non implica alcuna pretesa di rappresentativit� rispetto a una popolazione di riferimento: si riferisce infatti a un “set di documenti” o a un “gruppo di soggetti”.

4 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “codi-ci”.

5 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “fami-lies”.

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tutte le altre6. Essa infatti verr� sistematicamente “incrociata” conle altre man mano che prosegue la raccolta delle informazioni, e la loro analisi, fino alla definizione della story line7 (Strauss e Cor-bin 1990) che sintetizza il processo oggetto di studio.

Tale versione della Grounded theory � stata criticata in quanto –come sostiene Silverman (2000, trad. it. 2002, p. 211) – mostra una

incapacit� di riconoscere il ruolo delle teorie implicite che guidano il lavoro sin dalle prime fasi. Inoltre, risulta pi� chiara sulla produzione di teorie e meno sul loro con-trollo. Utilizzata in modo non intelligente, pu� anche degenerare in una costruzione abbastanza vuota di teorie o in una cortina di fumo impiegata per legittimare ricerche puramente empiriche.

Come abbiamo detto in precedenza, sarebbe ingenuo ritenere che il ricercatore possa accostarsi al proprio oggetto di studio senza alcun parametro (scientifico, culturale, orientamento personale) che ne indi-rizzi e, inevitabilmente, ne condizioni la lettura del fenomeno. Ovvia-mente, per quanto riguarda l’ambito psicologico si tratta di una critica fondamentale. A riguardo, condividiamo le riflessioni di Cicognani (2002b, p. 44) a proposito della revisione costruttivista dell’approccio(Charmaz 2006; Bryant 2003; Mills, Bonner e Francis 2006):

si ritiene che i ricercatori debbano possedere alcune risorse teoriche (di varia prove-nienza: ad esempio conoscenze teoriche, esperienza) e una prospettiva dalla quale ini-ziare l’analisi, senza tuttavia applicarla automaticamente a dati, problemi e contesti nuovi, ma piuttosto, cercando di raggiungere un equilibrio delicato fra l’avere un grounding nella disciplina e spingerla un po’ oltre.

2. Le analisi qualitative delle strutture narrative

Una ulteriore possibile strategia di analisi � relativa alle strutture narrative. La letteratura, soprattutto di ispirazione sociolinguistica, ha proposto alcune soluzioni interessanti sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico. In questa sede, proponiamo una breve sintesi delle proposte principali con particolare attenzione a due modelli spe-

6 Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione nei termini delle “network”.

7 Sul concetto di “story line” si veda il � 3.1 nel capitolo 1.

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Le analisi delle narrazioni

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cifici. Prima per� � necessario comprendere cosa � una struttura narra-tiva.

Le origini di questo tipo di studi si fanno solitamente risalire al la-voro di V. Propp (1928)8: le sue ricerche sulle “funzioni narrative” delle fiabe di magia russe hanno segnato una tappa importante degli studi sulle strutture delle narrative che – sempre facendo esplicito rife-rimento a lui, nonostante la specificit� dei testi di partenza – hanno proposto modelli di analisi molto diversi.

Propp, in particolare, aveva rilevato nelle fiabe di magia sistemi di associazione specifici che si presentavano secondo strutture condivise fra le diverse narrazioni; tale modello – sebbene molto complesso (l’Autore ha identificato 31 funzioni complessive) – ha una duplice funzione: da una parte consente al ricercatore di semplificare la lettura della fiaba a prescindere dalla molteplicit� delle forme del contenuto; dall’altra, suggerisce implicitamente al lettore uno schema (uno script, nei termini cognitivisti di Schank e Abelson 1977) sulla base del quale prevedere il percorso e l’esito delle narrazioni stesse. Questo tipo di operazione (la semplificazione dei contenuti narrativi in strutture ste-reotipate) consente, per inciso, la differenziazione fra generi narrativi diversi (Feldman 1991)9: il lettore, o il moderno spettatore di un film, tenta infatti di anticipare lo svolgimento di una storia di cui � testimo-ne proprio attraverso l’applicazione di un modello strutturale social-mente condiviso (Smorti 2003; Bruner 2002). Il come si svolge una storia (il canovaccio di una piece teatrale, la trama di un romanzo o di un film) � solitamente condizionato da questa condivisione fra autore e lettore/spettatore (Eco 1979).

Bruner (2002), riapplicando le tesi di Burke (1945) ai contesti lega-li, ha proposto il concetto di “pentade scenica” come modello di con-venzione narrativa. Ogni storia consta di cinque elementi fondamenta-li (che potremo chiamare “dimensioni narrative”) che la caratterizza-no: un attore, in una situazione, compie un’azione, per raggiungere un fine con un mezzo. La narrazione di un evento, secondo questo ap-proccio � necessaria nel momento in cui si presenta

8 Il filone di studi che pi� direttamente deriva dagli studi del formalismo russo (rappresentato da Propp) � noto oggi come “narratologia” (Murray 1995; Manning e Cullum-Swan 1994; 1998).

9 Per un’applicazione del concetto di “genere narrativo” all’analisi delle interazioni discorsive si vedano, ad esempio, i lavori di Fasulo (1997; 2003).

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una difficolt�, un impedimento, una contraddizione fra i cinque elementi (il “proble-ma”) che rende necessario un resoconto del corso d’azione (Bruner 2002): la narra-zione ha cio� un senso sulla base delle difficolt� che rendono narrabile l’esperienza […]. Gli aspetti interessanti della vita di ciascuno (ci� che merita di essere narrato) non sono quelli che fanno parte della quotidianit� routinaria, ma gli eventi salienti. La narrazione appare quindi come costrutto utile ai fini della comprensione di un’azione, ma necessita di un’adeguata struttura di analisi qualitativa che consenta di cogliere i nodi attorno a cui la narrazione stessa � organizzata: di cogliere, in altri termini, i si-gnificati rilevanti per il soggetto, i passaggi secondo cui il narratore imposta la reso-contabilit� della propria esperienza, ovvero il senso con cui tale esperienza � stata soggettivamente costruita ed elaborata (De Leo e coll. 2004a, pp. 112-113).

Si tratta, in altri termini, della violazione della canonicit� (Smorti2003; Bruner 2002) che – soprattutto nei contesti legali, di cui ci stia-mo occupando – assurge a criterio fondamentale per la “resocontabili-t�” dell’azione: approfondiremo nel prossimo capitolo le implicazioni narrative specifiche del contesto, per ora ci preme sottolineare l’importanza di una prospettiva che collega due ambiti narrativi diver-si, quello “realista” in cui l’azione non-canonica � avvenuta e quello “narrativo” in cui la stessa azione viene rievocata. Entrambi questi ambiti costituiscono dei contesti narrativi rilevanti ai fini di un’accurata ricostruzione dell’evento: in ciascuno la violazione della canonicit� assume un ruolo fondamentale per la costruzione narrativa dell’azione: nel passato, il fatto-reato e la violazione hanno la forma narrativa dell’episodio con inizio e fine definiti. Nel presente, la viola-zione (delle norme e della canonicit� narrativa) assumono il carattere dell’episodio dotato di senso rispetto al quale si amplia la cornice in-terpretativa: in altri termini, l’attore contestualizza l’azione deviante in un sistema di altri eventi (precedenti e successivi) in cui questa viene connotata secondo codici comunicativi, per esempio, riconducibili alle categorie teoriche dei meccanismi di disimpegno morale e delle tecni-che di neutralizzazione della norma:

� un resoconto fatto da un narratore nel “qui ed ora” e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome e che � esistito nel “l� ed allora” e la storia finisce nel presen-te, quando il protagonista si fonde con il narratore. Gli episodi narrativi che compon-gono la storia della vita hanno una struttura tipicamente laboviana10 rigorosamente aderente alla sequenza e alla giustificazione per eccezionalit�. Ma la storia nel suo complesso presenta un elemento fortemente retorico, come se volesse giustificare per-ch� era necessario (non in senso causale ma morale, sociale, psicologico) che la vita prendesse quella determinata direzione. Il S� come narratore non si limita a racconta-

10 Del modello di Labov parleremo fra poco nel corso di questo paragrafo.

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re, bens� giustifica. E il S� come protagonista � sempre, per cos� dire, orientato al futu-ro. Quando sentiamo affermare, per riassumere la storia di un’infanzia: “Ero un gra-zioso ragazzino ribelle”, di solito questa valutazione a posteriori pu� essere intesa an-che come una profezia (Bruner 1990, trad. it. 1992, p. 117).

Dal punto di vista pi� specificamente analitico, la letteratura offre un panorama composito che proviamo a riassumere nelle prossime pagine.

2.1 La metodologia “Comparative narratives”

Secondo Abell (1984), l’azione sociale � studiabile attraverso le forme narrative in cui � descritta. Secondo l’Autore, gli esseri umanidescrivono le loro azioni utilizzando una forma narrativa orientata a fornire una visione della realt� sociale, oltre che del proprio compor-tamento.

Questa prospettiva pu� essere riassunta nei seguenti termini:

a) per spiegare gli accadimenti del mondo sociale, bisogna descrive-re le azioni che avvengono;

b) ogni azione pu� essere spiegata da punti di vista multipli: ciascu-no offre un punto di vista non esclusivo;

c) ciascun attore (da ciascun punto di vista) genera una storia in for-ma narrativa in cui diverse azioni sono interrelate;

d) quando di cerca di spiegare (o descrivere) due o pi� eventi identici o correlati si devono necessariamente confrontare due o pi� narra-zioni.

Questo il quadro teorico. Abell descrive inoltre la metodologia qualitativa che sottende allo studio delle azioni/narrazioni: questa ne-cessita prima di tutto di una sintassi mediante la quale descrivere (co-dificare) gli eventi e consiste in:

1. un set di azioni vere e proprie: a1, a2, a3, a4, etc.;2. un insieme di attori: α, β, γ, δ, etc.;3. una dimensione temporale lungo cui collocare le azioni: t1, t2, t3,

etc.;4. un insieme di relazioni possibili, per cui a1 L a2 (significa che a1

transitivamente compie un’azione verso a2).

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Da questo punto in poi, l’analisi delle narrazione assume una forma matematica che implica la costruzioni di matrici e tabelle di contin-genza: le analisi consentite hanno alcune ristrettezze quali, ad esem-pio, l’arbitrariet� del punto di partenza (da quale evento iniziare la ri-costruzione del modello) e il fatto che ogni percorso d’azione possibi-le deve essere unidirezionale (non sono possibili processi ricorsivi): in questo modo, � possibile confrontare due narrazioni prodotte dallo stesso parlante, in due momenti diversi, ma a differenti livelli di astra-zione, oppure le narrazioni di uno stesso evento prodotte da due attori diversi (i due punti di vista). La procedura � resa possibile dalla sche-matizzazione a cui viene sottoposto il materiale verbale e dalla ricon-duzione a simboli e codici matematici che rendono possibili operazio-ni (anche molto complesse) di confronto fra dimensioni rese, in questo modo, logicamente equivalenti.

Nonostante, l’Autore ritenga di poter applicare questo metodo an-che a complessi processi interattivi (ad esempio, le folle di una mani-festazione) e pur ritenendo inappropriata una categorizzazione delle proprie ipotesi sotto l’etichetta positivista, bisogna tuttavia riconoscere che il modello di Abell soffre di una forse troppo drastica tendenza al-la schematizzazione e alla formalizzazione matematica: la stessa enfa-si sulla necessaria unidirezionalit� delle azioni studiabili limita senza dubbio le possibili applicazioni a situazioni e contesti reali11.

Si tratta di analisi qualitative che non rinunciano alla quantifica-zione e implicano relazioni causali.

2.2 Le strutture profonde delle narrazioni

Nel corso degli anni Ottanta, diverse equipe di ricercatori hanno cercato di mettere a punto metodologie per rilevare l’eventuale pre-senza di strutture soggiacenti nelle produzioni linguistiche e narrativesia per quanto riguarda le singole frasi che rispetto a vere e proprie storie (Mandler 1987; Mandler e Goodman 1982; Gee e Grosjean1984). Prendendo spunto dalle analisi letterarie e linguistiche, Gee (1986); Gee e Kegl (1983) e Gee e Grosjean (1983; 1984) si sono in-terrogati su due aspetti in particolare:

11 � pur vero che un modello analogo a quello di Abell � stato applicato, in ambito sociologico, alla ricerca di modelli condivisi nelle carriere dei musicisti (Abbott e Hrycak 1990), ma in questo caso � stata dichiarata la matrice positivista (sul modello delle scienze naturali) delle procedure di codifica e analisi dei materiali.

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1) quali siano le strutture delle narrazioni sia nell’attivit� del reso-conto sia per quanto riguarda la loro collocazione in memoria.Gee e Kegl (1983) hanno identificato una struttura schematica che illustra quali sono (e che relazioni intercorrono fra esse) le parti che compongono una narrazione. La figura 9 mostra la strutturacome a tutti gli eventi: in essa, l’intero Testo appare formato da due componenti principali, un’Introduzione e la Storia vera e pro-pria. La Storia si divide in Iniziazione e Conclusione: nella prima di esse il narratore inserisce episodi specifici caratterizzati da un’Azione e da una Risoluzione (“Result”) che a sua volta – a se-conda della complessit� dell’evento – pu� essere ulteriormente sottodimensionata in sequenze azione-risoluzione (tale operazione pu� essere retoricamente sfruttata per allontanare la Conclusione e generare nel lettore/spettatore uno stato emotivo di attesa o suspense). Allo stesso modo, la Conclusione pu� essere descritta come una sequenza di Interrogativi e Risposte fino alla completa chiusura dell’evento narrativo;

Figura 9. Struttura gerarchica della narrazione secondo Gee e Kegl (1983, p. 248).

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2) quale elemento del discorso dovesse, in particolare, essere consi-derato unit� di analisi privilegiata (Gee 1986). I concetti di “epi-sodio” e “sezione” rendono evidente che ci stiamo muovendo in uno scenario di studi sulle strutture narrative: la “stanza” specifi-camente � l’unit� di testo che – a un livello di astrazione interme-dio fra la linea di testo e la sezione – racchiude un tema ristretto e specifico. Essa � pi� informativa della linea di testo (che pu� non esaurire tutte le informazioni sull’oggetto di interesse), ma allo stesso tempo ha un carattere pi� limitato e preciso della sezione narrativa (in cui possono insistere diversi temi). � l’unit� cruciale anche perch� rispetto a un tema ristretto, essa consente di caratte-rizzarlo in tutte le sue caratteristiche definitorie: il tempo e lo spa-zio di svolgimento dell’evento, l’interconnessione con altri attori, la prospettiva individuale e il punto di vista di uno spettatore e-sterno. L’identificazione di una sequenza, una concatenazione, di stanze consente al ricercatore di ricreare la storia nel suo insieme e di dare coerenza all’intero evento.

Secondo gli Autori, oggetto dell’interesse dei ricercatori non deve essere tanto il problema se la narrazione ha o no una struttura gerar-chica (come quella descritta nella figura 9), ma piuttosto su quali me-todologie sono pi� adeguate per studiare strutture narrative complesse. Non si pu� infatti trascurare che la maggior parte dei riferimenti citatiin questa sezione hanno utilizzato testi sempre molto brevi(nell’ordine di 10-12 righe al massimo) e che la “narrativit� quotidia-na” (sia essa riferita a situazioni normative o ad eventi particolari co-me le azioni devianti) invece si sviluppa spesso lungo criteri spazio-temporali pi� estesi.

Lehnert (1981) ha condotto degli studi di particolare interesse sugli aspetti di rievocazione mnestica delle narrazioni: l’ipotesi di partenza � che quando un individuo legge una storia ricostruisce nella sua me-moria una rappresentazione, un modello schematico interno, mediante il quale la rievocazione successiva � favorita:

se chiediamo a chi legge una storia di riassumerla successivamente, una gran quantit� di informazione residente in memoria � selettivamente ignorata per produrre una ver-sione semplificata della narrazione originaria. Questo processo di semplificazione si basa su una struttura globale della memoria che consente di focalizzare l’attenzione sugli elementi centrali della storia ignorando i dettagli periferici (Lehnert 1981, p. 294).

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In questo quadro, � centrale la nozione di “plot” (la struttura della storia): secondo l’Autrice, ogni unit� strutturale – una frase, un con-cetto, anche una singola parola – ha una sua colorazione affettiva che consente al lettore (e al ricercatore) di “marcarla” secondo quest’accezione. Questa operazione � semplice e consiste nell’associazione ad ogni passaggio narrativo di un simbolo che di-stingue gli eventi positivi (+), da quelli negativi (–) e da quelli emo-zionalmente neutri (M). Utilizzando l’esempio fornito dall’Autrice:

La macchina di John non parte – (evento a caratterizzazione negativa)John deve partire M (evento a caratterizzazione neutra)Paul fa partire la macchina di John + (evento a caratterizzazione positiva)

In questo semplice esempio, � possibile stabilire delle relazioni causali fra gli eventi in cui il terzo risolve gli altri due, ma ogni narra-zione avr� configurazioni pi� complesse e le relazioni fra eventi sa-ranno di vario tipo anche in base alla sequenza temporale degli eventi fino alla applicazione di una vera e propria sintassi delle strutture nar-rative che lega tutte le possibili configurazioni di “–”, “+” e “M”. Tan-to pi� lunga e tematicamente complessa � la narrazione tanto pi� arti-colata sar� la configurazione degli stati emotivi. Allo stesso modo, il ricercatore potr� facilmente verificare la coerenza intra-narrativa at-traverso l’identificazione di strutture simmetriche speculari e/o com-plementari.

In tempi pi� recenti (e parallelamente all’evoluzione delle tecnolo-gie informatiche), alcuni Autori, soprattutto in ambito sociologico, hanno proposto metodi di analisi delle narrazioni che forniscono utili spunti di riflessione per la nostra proposta di analisi delle narrazioni di azioni devianti. Ci riferiamo, in questo caso alla cosiddetta ricerca su base logica (Agodi 1997). In questo tipo di studi �il computer produce diagrammi relativi a questi eventi e permette all’utente di esplorare e verificare le relazioni logiche tra gli eventi, incrociando narrative di-verse; permette inoltre di comparare le diverse strutture narrative� (Silverman 2000, trad. it. 2002, p. 235).

Si tratta, in ogni caso, al pari di quelli sui modelli matematici, di studi che enfatizzano gli aspetti quantitativi delle analisi narrative: la riconduzione di corpora informazioni in forma narrativa a schemi e-lementari consente l’operazionalizzazione di questi in variabili metri-che. La maggior parte di questi studi infatti � orientata dalla verifica di ipotesi specifiche sui modelli in differenti contesti. La valenza qualita-

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tiva dell’approccio rimane dunque a livello di unit� di analisi (i testi), � parziale nel momento della codifica e scompare nella fase di analisi vera e propria delle informazioni: un meccanismo di questo tipo � an-cora pi� evidente nell’approccio descritto nel prossimo paragrafo.

2.3 La “Event Structure Analysis”

La proposta di analisi delle narrazioni di Heise (1988; 1989; 1991)ha caratteristiche peculiari su cui � utile soffermarsi. L’Autore propo-ne un modello di analisi delle strutture che � coerente con l’idea che le storie siano costruzioni narrative caratterizzate da uno svolgimento li-neare e da sequenze comuni di eventi sovrapponibili. Si tratta di un’attualizzazione della proposta di Propp (1928), ma, per cos� dire, modernizzata con la proposta di modelli automatici di codifica e anali-si delle informazioni. Heise, dal punto di vista disciplinare della socio-logia e dell’antropologia cognitiva, ritiene infatti che ogni narrazione (dall’ autobiografia alla favola) sia la ricostruzione fedele di una real-t� di per s� logica e (auto)organizzata: da questa premessa deriva la conseguenza – sul piano metodologico – che la struttura narrativa re-ale pu� essere rintracciabile con opportuni metodi: l’obiettivo delle sue ricerche � stato dunque quello di mettere a punto un impianto me-todologico per la ricostruzione qualitativa di tali strutture logiche (Heise 1989), supponendo che siano esse a guidare l’azione umana (individuale e collettiva) e la sua ricostruzione in termini narrativi (Heise e Durig 1997): l’azione umana sarebbe caratterizzata da se-quenze ordinate, unidirezionali, di eventi secondo la formula “se…, allora…”. Il conflitto fra situazioni (cio� la possibilit� che una rico-struzione incontri un bivio o che il narratore possa essere tradito nella sua ricostruzione da un’interferenza) � risolta con il criterio della prio-rit�: viene attivato il percorso narrativo che l’attore elegge come pre-valente in termini di salienza e di coerenza con gli obiettivi. Tutte le componenti esterne al sistema agente non sono negate: esse invece contribuiscono alla definizione delle priorit�.

Il “principio della commutazione” prevede le strutture degli eventi possano essere rappresentate graficamente con un inizio e una fine de-finiti ma senza fare ricorso a meccanismi ciclici.

Si tratta di un modello di azione (anche narrativa) che – alla luce degli sviluppi pi� cognitivisti della ricerca nelle scienze sociali (inclu-sa la psicologia) – potremo definire “cibernetica”, sebbene anche le proposte pi� estreme di modelli computazionali dell’azione umana

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abbiano sempre previsto sistemi di retroazione: il modello e la meto-dologia di Heise sono “costruiti” coerentemente a una data immagine della realt� sociale (di tipo deterministico) che esclude a priori che una storia possa avere una deviazione dalla norma (essendo prevista come una sequenza ordinata di eventi).

Operativamente, gli eventi sono codificati in maniera univoca (vengono assegnate delle etichette verbali, ciascuna delle quali identi-fica un solo evento) e vengono stabilite le relazioni logiche fra di essi(la “grammatica delle azioni”: Heise 1991): il computer12 si occupa poi di strutturare modelli che – trasversalmente alle diverse storie –tengano conto delle eventuali priorit� assegnate dal ricercatore.

Lo stesso Heise ha ammesso la preferenza che il metodo di analisi proposto venga applicato a fenomeni routinari (Heise 1988), rispetto ai quali il ricercatore definisce i possibili percorsi di svolgimento e il computer verifica empiricamente in narrazioni diverse: per questa ra-gione il modello di analisi proposto da Heise ci senza di indubbio inte-resse per lo studio di eventi semplici e routinari: la sua applicazione a contesti (di azione e di narrazione) di maggiore complessit� prospetta tuttavia diversi problemi di ordine epistemologico e metodologico. Se infatti assumiamo come eccessivamente semplicistica la descrizione della realt� sociale come sequenza ordinata di eventi secondo il mo-dello “se… allora…”, anche la scelta di un software come ETHNO, de-gli assunti di relazioni unidirezionali fra codici narrativi, dei criteri di priorizzazione degli eventi diventano difficilmente accettabili.

Analogamente ai modelli presentati nelle pagine precedenti, quello proposto da Heise sembra caratterizzato da un’intrinseca tendenza al riduzionismo dei fenomeni sociali (inclusi i prodotti culturali) che –sebbene avvalorati da una loro coerenza interna e da raffinati modelli di analisi – rimandano a scelte epistemologiche diverse da quelle de-scritte nei capitoli precedenti e preferite nell’ambito di questo studio.

Per questa ragione, l’interesse che essi rivestono non va al di l� di una “consapevolezza storica” su ci� che le scienze sociali hanno pro-posto sul tema delle analisi delle strutture narrative: pi� convincenti, invece, riteniamo le proposte di Labov, che sono descritte nel prossi-mo paragrafo.

12 Heise ha creato un software apposito per le analisi di strutture di questo tipo, ETHNO.

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2.4 L’ “Evaluation model”

Secondo William Labov (1982; 1997; Labov e Waletsky 1967),che da decenni studia le narrazioni secondo una prospettiva sociolin-guistica, la narrazione � un mezzo per rappresentare e ricapitolare l’esperienza passata per mezzo di una sequenza ordinata di afferma-zioni13 �che corrispondono all’ordine degli eventi originari� (Labov1997, p. 398). L’Autore ha distinto due propriet� fondamentali delle narrazioni: da una parte, esse hanno delle caratteristiche formali basatesu pattern ricorrenti di asserzioni (cio�, una struttura invariante delle narrazioni); dall’altra, Labov ne ha identificato una propriet� funzio-nale in base alla quale ogni narrazione riveste una duplice funzione:

– la prima, detta referenziale, ha l’obiettivo di fornire all’interlocutore/lettore le informazioni sull’esperienza del narrato-re,

– l’altra, detta valutativa14, ha la funzione di trasmettere a chi ascol-ta/legge i significati che l’attore-narratore ha attribuito alla propria esperienza.

Labov e Waletsky hanno dimostrato che la comprensione della nar-razione � riconducibile a un una struttura formale, soprattutto per quanto riguarda la fondamentale definizione delle narrazioni come possibilit� di scelta di repertori linguistici specifici per riferire gli e-venti passati. La cornice teorica sviluppata da Labov e Waletsky per le narrazioni orali dell’esperienza personale si � dimostrata utile per lo studio di un’ampia gamma di situazioni narrative, incluse le memorie riportate oralmente, le fiabe popolari, i racconti, le interviste in conte-sti terapeutici e, ancora pi� importante, le semplici interviste della vita quotidiana. Questi studi hanno dimostrato che le narrazioni sono la forma privilegiata del discorso e che esse giocano un ruolo centrale in quasi tutte le conversazioni (Labov 1997)15.

13 Questa definizione � condivisa anche da Cortazzi (1993) e da Baeger e McA-dams (1999).

14 Da cui prende il nome l’intero modello.15 Uno studio, in particolare, � riferito allo studio delle propriet� formali delle nar-

razioni di azioni violente (Labov 1982).

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Labov ha identificato sei elementi che compongono la struttura formale delle narrazioni: li riportiamo (nei termini originali) nella ta-bella I.

La narrazione, estendendo il modello di Labov, � definibile non so-lo come magazzino di informazioni, ma anche come vero e proprio mezzo per ri-organizzare la struttura percettiva, la memoria (Riessman 1993) e il S� autobiografico (Baumeister e Newton 1994; Bluck e Ha-bermas 2000).

In anni pi� recenti, lo stesso Labov (2003) ha spostato l’attenzione alle conversazioni ordinarie con il concetto di “riportabilit�” una nar-razione: �un evento riportabile � non definito in termini assoluti, ma in relazione alla situazione narrativa. Se un turno in una conversazione � una singola fase in s� conclusa, una narrazione � caratterizzata da una estensione maggiore di questo. […] Un evento riportabile � quello che giustifica l’automatica assegnazione al narratore del ruolo di par-lante�16 (p. 5).

Tabella I: Le fasi della struttura narrativa secondo Labov (1982; 1997): adattato da De Leo e coll. (2004a)

Abstract � uno dei due elementi opzionali della struttura narra-tiva, che introduce l’argomento riassumendone i punti principali.

Orientation (o Setting)

Il narratore fornisce i dettagli sulle variabili conte-stuali all’evento narrato: tempo, luogo, partecipanti, situazione. Di solito, � espressa da espressioni verbali in forma passata. Esprime l’antefatto dell’evento.

Complication Similmente alla “pentade scenica” (secondo il riadat-tamento di Bruner), descrive l’elemento problematico che spinge a costruire intorno a esso la narrazione stessa: �, per questa ragione, il nucleo della narrazio-ne.

16 Un’analoga definizione della narrazione in termini conversazionalisti (come am-pio turno di un parlante) � presente in Riessman (1993).

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Evaluation Comprende una serie di elementi valutativi che illu-strano l’orientamento del narratore nei confronti degli eventi narrati in termini di attribuzioni di significati agli eventi, colorazione emozionale, riferimento al punto di vista di attori esterni.

Result Descrive la fase di risoluzione dell’evento. Dal punto di vista strutturale pu� seguire sia la sezione valutati-va sia la descrizione dell’elemento problematico.

Coda (o Termina-tion)

Opzionale come l’abstract, chiude la narrazione ri-portando gli attori alla situazione attuale. Spesso vie-ne declinata nei termini di “morale della favola”.

Questa prospettiva fa capire anche perch� spesso si raccontino e-venti che in s� per s� non hanno valenza di riportabilit�: si tratta di un modo per mantenere il turno e incrementare l’attesa dell’ascoltatore (Labov 2004)17.

Dal punto di vista pi� direttamente metodologico, pu� sorgere il dubbio di una indebita sovrapposizione fra narrazioni come prodotti culturali e condivisi e interviste qualitative secondo un approccio nar-rativo: utilizzando queste ultime infatti (secondo le differenziazionidescritte nel capitolo precedente), ci si pu� chiedere se � possibile stu-diare le risposte a un’intervista come se fossero delle narrazioni. In al-tri termini, � possibile studiare scientificamente un prodotto culturale e idiosincratico allo stesso tempo18?

Gli stessi studi di Labov hanno evidenziato, in particolare, che an-che le narrazioni orali (e non c’� dubbio che le forme di intervista rientrano in questa categoria) hanno una struttura tipica che pu� essere indagata con metodi scientifici.

17 Recentemente Labov (2003) ha introdotto il concetto di “concatenazione narra-tiva” (“narrative chain”) e le “regole della costruzione narrativa”, sempre seguendo un approccio conversazionalista.

18 In questo modo possiamo infatti definire le narrazioni poich� esse forniscono un modello che rende intelligibili sia una specifica realt� individuale sia i canoni culturali che contribuiscono a definirla (Brockmeier e Harr� 1997).

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Riessman, collegando esplicitamente le due forme narrative, so-stiene che �l’obiettivo � vedere come i rispondenti alle interviste met-tono ordine al flusso di esperienza per dare un senso agli eventi e alle azioni dello loro vite. L’approccio metodologico esamina la storia dell’informatore e analizza come questo mette insieme le risorse cul-turali e linguistiche� (1993, p. 2).

Un’ulteriore conferma viene dal successo che il modello di Labov ha avuto anche in psicologia, come sostiene Mishler (1986b, pp. 240-241):

quando si teorizza sulla struttura, le forme e le regole dell’azione sociale si richiede questo tipo di analisi, o uno equivalente, che preservi il complesso ordine delle azioni e delle reazioni che costituiscono la realt� sociale. L’interpretazione di offerte, richie-ste e le risposte conseguenti dipende dai modelli di analisi che includono le loro reci-proche concatenazioni. Questa (analisi) non pu� essere come quegli approcci standard in cui ogni sequenza � isolata dal suo contesto, codificata nel quadro di un sistema di codifica definito e poi aggregata fra popolazioni diverse di rispondenti e soggetta ad analisi statistiche. � questo il notevole contributo di metodi di analisi narrativa: la sto-ria contiene la sequenza di atti socialmente significativi senza la quale non ci sarebbe la storia stessa; la sua analisi dunque fornisce la base per un’interpretazione diretta di una complessa unit� di interazione sociale, in contrasto con gli approcci standard in cui tali inferenze sono basate su porzioni minime decontestualizzate.

Per questa ragione, abbiamo scelto di valorizzare il contributo ap-pena descritto (rispetto a quelli precedenti)19 ricercando un’applicabilit� all’oggetto di studio su cui verte il presente lavoro. Si tratter� – come descriveremo approfonditamente nel prossimo capitolo – di un’analisi dei testi alla luce delle categorie strutturali descritte da Labov: l’obiettivo specifico di questa fase � funzionale a una migliore comprensione delle produzioni narrative in contesti giudiziari, piutto-sto che a una mera verifica empirica del modello (gi� ampiamente di-sponibile in letteratura).

Prima, tuttavia, � necessario trattare ancora un aspetto delle analisi narrative: la scarsa attenzione che la ricerca ha dedicato all’integrazione fra aspetti strutturali e aspetti contenutistici: a questo argomento � dedicato il prossimo paragrafo.

19 Un’ampia rassegna e una discussione critica dei modelli di analisi strutturale con particolare attenzione all’ordinamento temporale degli eventi e alla coerenza narrativa � presentata in Mishler (1986b; 1995).

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Capitolo III

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3. Contenuti o strutture: integrazione possibile?

Come � chiaro da quanto abbiamo illustrato in questo capitolo, le analisi delle strutture narrative e quelle dei contenuti hanno seguito, per la loro evoluzione storica e metodologica, percorsi diversi che le hanno fatte considerare sempre soluzioni alternative fra loro.

In occasione dello studio sulle costruzioni narrative del serial killer M.P. (De Leo e coll., 2004a), abbiamo proposto una soluzione integra-tiva per tenere conto di entrambi gli aspetti: ci siamo avvalsi del con-tributo di G. Rosenthal (1993) che, in uno studio sulle ricostruzioni narrative nelle storie di vita, ha ipotizzato una soluzione di integrazio-ne per includere i due aspetti e valorizzarne le reciproche interazioni:

Lo scopo dell’analisi delle narrazioni sulle storie di vita � la ricostruzione del signifi-cato attuale delle esperienze e la ricostruzione dell’ordine temporale della storia evo-lutiva sia essa scritta o narrata oralmente. L’analisi riguarda in particolare la scoperta dei meccanismi di selezione che guidano la scelta degli elementi testuali (o delle sto-rie) in relazione al generale orientamento tematico dell’intervista. L’oggetto di questa fase analitica – chiamata Thematic Field Analysis – � la ricostruzione della forma e della struttura della narrazione, cio� del modo in cui la narrazione stessa � temporal-mente e tematicamente ordinata nell’intervista (Rosenthal 1993, p. 40).

L’organizzazione temporale (la struttura) e quella tematica (i con-tenuti) consentono al ricercatore di ottenere dal testo un’informazione pi� completa perch� orientata da criteri di pertinenza e di salienza: l’ordine di elicitazione dei contenuti, la loro sequenzialit� nel discor-so, l’interconnessione con temi affini o, al contrario, antitetici. Si tratta di criteri che sicuramente spiegano di pi� della semplice frequenza di occorrenza nei testi delle parole-chiave:

Studiando la sequenza delle storie nelle interviste, le connessioni tematiche e lingui-stiche fra esse, un ricercatore pu� vedere quanto gli individui legano fra loro gli even-ti significativi e le relazioni importanti nelle loro vite. L’analista identifica i segmenti narrativi, riduce le storie al loro nucleo (“core”), esamina la scelta del lessico, la strut-tura, le preposizioni, le sequenze di azioni (Riessman 1993, p. 40, corsivo nostro).

Le analisi delle strutture narrative possono aiutare il ricercatore aricostruire il sistema dei significati presenti nella narrazione. La The-matic Field Analysis consente dunque di ricostruire il significato delle azioni individuali all’interno di un contesto unitario quale � la narra-zione di un percorso evolutivo complessivo:

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Le analisi delle narrazioni

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le storie […] non possono essere considerate come una serie di esperienze isolate, di-sposte in ordine cronologico come se fossero strati di rocce sedimentarie; le esperien-ze individuali sono sempre incluse in contesti coerenti e significativi, in una costru-zione biografica (Rosenthal 1993, p. 62).

La Thematic Field Analysis consiste in due operazioni congiunte:(a) una segmentazione delle unit� narrative, (b) un’analisi dei temi emergenti e delle loro connessioni sia dal punto di vista della “realt� storica” sia da quello della loro attualizzazione nella situazione di in-tervista.

Nell’ultima parte del prossimo capitolo descriveremo un possibile utilizzo di questo metodo finalizzato all’analisi delle interviste sull’azione deviante.

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Declinazioni operative

Studia prima la scientia e poi seguita la pratica nata da essa scien-

tia. Quelli che s’nnamorano di praticha senza scientia sono come li

nocchieri che entran in naviglio senza timone o bussola.

Leonardo da Vinci (1452-1519)

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La ricerca

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Capitolo 4 La ricerca

Alla luce delle premesse teoriche e metodologiche descritte nei ca-pitoli precedenti, lo studio � stato progettato e impostato nei termini che verranno descritti nei prossimi paragrafi.

1. Obiettivi

Gli obiettivi sono stati molteplici, spesso rielaborati, perfezionati, complessificati, alla luce dei criteri di conduzione degli studi di tipo qualitativo. Rispetto alle specificazioni operative, essi possono essere formulati come segue.

Area dei contenuti: � possibile rilevare nelle produzioni narrative di individui che hanno commesso reati dei pattern comunicativi e narrativi condivisi e consolidati? Esistono cio� dei temi narrativi sottostanti che danno coerenza e credibilit� ai resoconti prodotti dagli autori di reato? Questo obiettivo generale pu� essere artico-lato in declinazioni pi� specifiche e formulato nei termini seguen-ti:

quali sono le principali analogie e differenze rispetto ai modelli teorici disponibili in letteratura?

esistono differenze qualitativamente apprezzabili nelle costruzioni narrative riferite a differenti tipi di reato?

Area delle strutture� possibile definire univocamente una struttura delle narrazioni prodotte in contesti penali non inquisitivi? In altri termini, esiste – anche per la narrazione delle azioni devianti – unmodello strutturale delle narrazioni cos� come gli studi linguistici

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Capitolo IV

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e sociolonguistici hanno rilevato in altri contesti discorsivi e con-versazionali? Anche questo obiettivo generale pu� essere sottoar-ticolato in quesiti di ricerca pi� specifici:

la struttura narrativa dei resoconti di azioni devianti � conforme ai modelli narrativi consolidati e acquisiti nella letteratura scientifi-ca?

esistono differenze qualitativamente apprezzabili nella struttura delle narrazioni riferite a diversi tipi di reato e all’esperienza degli intervistati nel circuito della devianza di tipo penale?

1.1 La costruzione narrativa in termini di contenuti

Una prima classe di obiettivi � relativa i contenuti espressi dai par-tecipanti allo studio1: in particolare, la costruzione dello studio � fina-lizzata conoscere i nuclei concettuali elicitati nelle risposte alla traccia di intervista. Tali nuclei concettuali, o “temi narrativi” (come, in alter-nativa, li abbiamo chiamati in lavori precedenti: De Leo e coll. 2004a) sono riferiti alle salienze soggettivamente percepite rispetto all’oggetto della narrazione. Si tratta, in altri termini, di ci� che gli in-dividui ritengono importante precisare rispetto al tema su cui sono chiamati a rispondere. Il termine “salienza” ha diverse implicazioni:

da un lato, infatti, ha a che fare con i riferimenti valoriali e norma-tivi condivisi in un dato assetto culturale o sub-culturale: � saliente ci� che attiene alla sfera dei valori, delle norme e, in senso pi� a-stratto, della costruzione intersoggettiva di un ordine nelle cose (Marsh, Rosser e Harr� 1978). Ha dunque una dimensione psicolo-gico-sociale;

dall’altro – a livello soggettivo – esso richiama inevitabilmente i processi di (ri)costruzione mnestica, di attribuzione di senso a epi-sodi del passato, di attualizzazione di questi nel presente, nella pro-

1 Iniziamo, fin da adesso, a chiamare “partecipanti” (o “rispondenti”) gli individui che hanno accettato di prendere parte alla ricerca: questa scelta ha motivazioni teori-che ed epistemologiche precise; l’utilizzo del termine “partecipante” � stato preferito a quello di “soggetto”, in virt� della connotazione di attivit�/attivazione rispetto alla costruzione delle informazioni della ricerca. Per ragioni analoghe, pi� avanti si parler� di “gruppo di partecipanti” invece che di “campione della ricerca”, non avendo il re-quisito della rappresentativit�: il reclutamento � avvenuto infatti su base volontaria (vedi oltre).

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La ricerca

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spettiva scenari futuri2: si tratta dunque di una dimensione che sug-gerisce ampi riferimenti all’ambito sociale (seppure molti temi nar-rativi sembrino spesso legati a una “desiderabilit� sociale”), ma la cui dinamica e fenomenologia si colloca a un livello prioritaria-mente individuale.

Un primo assunto � dunque che i contenuti delle narrazioni indivi-duali siano salienti.

In secondo luogo, si auspica che ci sia una convergenza intersog-gettiva su tali temi: nel corso delle analisi infatti dovrebbero essere e-videnti le ricorrenze di temi narrativi trasversalmente alle diverse nar-razioni. In tal senso, lo studio si prefigge l’identificazione dei nuclei concettuali che dovessero risultare qualitativamente prevalenti e inter-soggettivamente salienti. La descrizione e la definizione concettuale di tali temi costituir� obiettivo di conoscenza e di approfondimento.

A un differente livello di complessit�, tali temi narrativi verranno analizzati – sfruttando le potenzialit� del software ATLAS.ti (che ver-r� descritto in seguito) – alla luce delle possibili co-occorrenze: si cer-cheranno infatti eventuali pattern di associazione fra temi narrativi con l’obiettivo di ricostruire stili narrativi con contenuti condivisi; partico-lare enfasi verr� data alla presenza nelle costruzioni narrative di temi riferiti ai modelli teorici del “Disimpegno morale” (Bandura 1997; Caprara e Malagoli Togliatti 1996; Caprara 2000) e alle “Tecniche di neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza 1957; Fritsche 2002).

1.2 La costruzione narrativa in termini di struttura

Un ulteriore livello di conoscenza attiene alle strutture delle co-struzioni narrative. Tale ambito (che nel capitolo precedente abbiamo chiamato “analisi delle strutture narrative”) � qui sviluppato nella ri-cerca un livello prevalentemente esplorativo: la letteratura sull’argomento infatti mostra un panorama ampio in cui tuttavia � dif-

2 Nello specifico contesto di applicazione dello studio (la realt� penitenziaria) i ri-ferimenti temporali al presente, al passato e al futuro assumono un significato partico-lare: si tratta infatti (si vedr� pi� avanti) di dimensioni fortemente caratterizzate dal tema del cambiamento e della responsabilizzazione. Il cambiamento, in particolare, si collega al passato (una situazione normativamente connotata su un versante negativo: il reato) e a una previsione/aspettativa futura di comportamenti intenzionalmente o-rientati a un versante positivo (il rispetto delle regole, la riconciliazione con la vittima, le prospettive risocializzanti, etc.).

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ficile trovare modelli consolidati; una variabile importante � l’estensione dei testi da sottoporre ad analisi: da una parte, sono stati forniti risultati interessanti con testi brevi (Labov e Waletsky 1967; Labov 1982; 1997), dall’altra, l’analisi di lunghe interviste ha favorito il consolidamento di modelli di analisi di tipo matematico-quantitativo (Abbott e Hrycak 1990; Abell 1984; 1993).

In questo caso, la natura qualitativa dello studio ci porta a preferire la prima area con particolare attenzione all’Evaluation Model (a cui abbiamo fatto riferimento nel capitolo precedente, � 2.4): proveremo dunque ad applicare questo a testi estesi quali le trascrizioni delle in-terviste narrative per lo studio dell’azione deviante.

Trasversalmente alle categorie di obiettivi descrittivi, sar� oggetto di interesse e valutazione un’analisi dei pattern di associazione fra te-mi narrativi, aspetti strutturali e tipi di reati commessi dai rispondenti: si ipotizza infatti che diversi reati siano connessi a diversi stili e con-tenuti narrativi. Tale differenza, sia di tipo quantitativo che qualitati-vo, se effettivamente esistente, ha importanti implicazioni per la co-municazione e l’intervento.

2. Il contatto con gli intervistati

Ai fini della rilevazione delle informazioni necessarie per imple-mentare le analisi qualitative descritte in precedenza � stato necessario percorrere un iter burocratico per ottenere le formali autorizzazioni da parte degli organismi competenti.

In una prima fase, � stata inviata una richiesta preliminare di auto-rizzazione all’Ufficio Segreteria Generale e Direzione Generale Dete-nuti e Trattamento.In un secondo momento, ottenuta l’autorizzazione da parte della Se-greteria Generale, sono stati presi contatti con l’Istituto Penale “Regi-na Coeli” (Roma).

Infine, � stato possibile accedere alle Sezioni dell’Istituto. In parti-colare, sono state frequentate le seguenti sezioni:

II: riservata principalmente ai detenuti con problemi di tossicodi-pendenza,

IV e V: riservate principalmente ai detenuti coinvolti in reati co-muni,

VI: riservata principalmente ai detenuti lavoranti,

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VIII: riservata principalmente ai detenuti coinvolti in reati a sfondo sessuale o soggetti a isolamento.

Un iter analogo era stato seguito in precedenza per contattare un gruppo di detenuti presso l’Istituto Penale “Rebibbia Nuovo Comples-so” (Roma), dove � stata svolta una fase pilota nell’ambito di una tesi di laurea curata dalla cattedra di Psicologia Giuridica dell’Universit� degli Studi di Roma “La Sapienza” (prof. Gaetano De Leo): in tale occasione sono state effettuate in totale 38 interviste (18 delle quali sono state incluse nella base empirica della presente ricerca)3 ed � sta-ta perfezionata la traccia di intervista narrativa (descritta nel prossimo paragrafo). Le interviste svolte a Rebibbia sono state effettuate frafebbraio e marzo 2003. Il periodo di svolgimento delle interviste a Regina Coeli � compreso fra ottobre e dicembre 2003.

2.1 Il setting e la conduzione delle interviste

A ciascun detenuto � stata proposta la partecipazione in forma as-solutamente anonima alla ricerca. I volontari che hanno accettato lo hanno fatto mostrando un particolare interesse al dialogo e al confron-to con un ricercatore totalmente esterno al contesto carcerario: per questa ragione, tutti coloro che hanno partecipato hanno parlato molto e volentieri mettendo in campo anche episodi di vita personale e a-spetti emotivi legati alle relazioni sociali (familiari, con le vittime dei reati, con le istituzioni).

Tutte le interviste si sono svolte negli spazi riservati ai colloqui con gli operatori (assistenti sociali, psicologi, sacerdote) previo consenso degli agenti di polizia penitenziaria della specifica sezione: tali am-bienti consistono in stanze di circa m 2 x 4, arredati da un tavolo, due sedie e un piccolo armadio, illuminati da luce prevalentemente artifi-ciale. L’esordio consisteva sempre in una breve descrizione della ri-cerca e dell’intervistatore; era importante instaurare un clima di fidu-cia, apertura e dialogo: per questa ragione, prima di iniziare l’intervista tutti gli intervistati sono stati informati sui diritti che – in quanto partecipanti alla ricerca – avevano nei confronti delle informa-zioni scambiate. L’Appendice C mostra il modulo che ciascuno di essi

3 Tale operazione, in ottemperanza ai principi del “campionamento teorico” (cfr. Strauss e Corbin 1990: vedi anche capitolo precedente), � stata necessaria per ottenere interviste con rispondenti accuati di omicidio: a “Rebibbia” infatti si riscontra una maggiore quantit� di detenuti per tale reato.

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Capitolo IV

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ha letto e sottoscritto in duplice copia (una per s� stesso e uno da tene-re agli atti dell’amministrazione del carcere). In esso sono contenute anche tutte le informazioni sulla tutela della privacy.

Tutte le informazioni sono state riportate sui protocolli di intervista (App. B) e trascritte (lo stesso giorno della conduzione) in formato di-gitale in file Microsoft Word per l’analisi qualitativa mediante ATLAS.ti.

Purtroppo, data la particolare natura del contesto di rilevazione (il carcere) e la delicatezza delle informazioni (dettagli sui reati, sui per-corsi di carriera deviante, altre informazioni personali) non � stato possibile audioregistrare nessuna intervista. Per questa ragione, l’intervistatore ha effettuato le prime interviste con un obiettivo esplo-rativo di messa a punto dei protocolli, dei metodi di trascrizione velo-ce, della conduzione complessiva del colloquio anche rispetto alle tec-niche di rilancio, di riformulazione delle domande e di probing(Zammuner 1996).

La durata media delle interviste � stata di 1 ora e 15 minuti circa.

3. La costruzione della traccia d’intervista

Rispetto agli obiettivi descritti nel paragrafo precedente e in virt� degli orientamenti teorici ed epistemologici descritti nei capitoli pre-cedenti, abbiamo scelto di utilizzare – come strumento di rilevazione delle osservazioni4 – un’intervista narrativa.

Tale strumento ci consente di lasciare ampio spazio all’intervistato per l’espressione individuale: come abbiamo scritto altrove (De Leo e coll. 2004a), l’obiettivo di ricostruire narrativamente l’azione devian-te pu� essere perseguito mediante una tecnica di ricerca qualitativa che consente di valorizzare la capacit� tipicamente umana di attribuire significati soggettivamente e interattivamente co-costruiti nella stessa situazione di intervista.

Il percorso che ci ha consentito di optare per l’intervista narrativa (fra le tecniche di ricerca qualitativa disponibili) � stato diffusamente

4 Si deve a Mannetti e Pierro (1998), la distinzione fra “osservazioni” e “dati”: gli Autori hanno efficacemente sostenuto la connotazione maggiormente positivista che il secondo termine implica. Da parte nostra, tendiamo dunque a privilegiare il termine “osservazioni” o - come scritto altrove (De Gregorio e Mosiello 2004) - quello di “in-formazioni”.

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descritto in un lavoro precedente (De Leo e coll. 2004a e nel capitolo 2): in quella sede abbiamo trattato delle interviste qualitative (in gene-rale) e di quelle specificamente dedicate allo studio dell’azione devi-ante. Ne riprendiamo adesso i punti principali iniziando da una defini-zione generale di “intervista qualitativa”: l’intervista � un’interazione5

tra un intervistato e un intervistatore, con finalit� di tipo conoscitivo, guidata in maniera pi� o meno direttiva dall’intervistatore sulla base di uno schema di interrogazione (Bichi 2002; Corbetta 2003b); essa con-sente di

studiare i processi in cui la parola � il vettore principale (azioni passate, saperi sociali, sistemi di valori e di norme) e anche di studiare “la parola” in s� (attraverso l’analisi delle strutture discorsive, dei fenomeni di persuasione, dell’argomentazione, etc.). � un dispositivo d’indagine che consente di superare molte resistenze dell’intervistato ed � dunque utile alla conoscenza dei progetti di senso, � un modo d’accesso efficace alle rappresentazioni e alle opinioni individuali, � uno strumento utile allo studio dei processi di categorizzazione, permette di leggere la profondit� temporale e dunque il divenire processuale dei fenomeni studiati, consente di ridurre l’opacizzazione provo-cata dalla standardizzazione (Bichi 2002, p. 10).

Sebbene inevitabilmente condizionata da vincoli temporali e da dimensioni legate all’intrinseca dinamica fra ruoli (con implicazioni rispetto al “potere” di gestire e indirizzare la relazione) l’intervista qualitativa valorizza il contributo degli intervistati e degli intervistato-ri alla comune costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gu-brium 1997; Losito 2004)6.

L’intervista narrativa che ha fatto da base per la rilevazione delle informazioni (la cui traccia � riportata in Appendice B) tiene conto degli aspetti teorici ed epistemologici che abbiamo appena descritto e di quelli a cui si � fatto riferimento nel capitolo precedente.

Essa si fonda su due domande aperte, dette “generative” (Bichi2002) interamente riportare nella finestra 1. La traccia completa � ri-portata anche in De Leo e coll. 2004a).

La due domande, da cui (come vedremo a breve) originano due tracce di intervista affini ma distinte, si caratterizzano per un diverso

5 L’accezione di “relazione interattiva” � presente anche in alcune definizioni del concetto di “narrazione”: essa �� una transazione sociale. Ci� che si scambia � una storia: la stessa narrazione assume la forma che assume proprio perch� c’� una storia che transita. La narrazione � dunque la pratica sociale in cui due o pi� persone metto-no in comune una storia� (Jedlowski 2000, p. 66).

6 Vedi a questo riguarda anche il capitolo precedente (� 3).

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orientamento conoscitivo. La prima (domanda A) � stata inizialmente sottoposta a tutti rispondenti: essa punta l’attenzione su un singolo e-vento-reato rispetto a cui la persona sceglie l’azione che reputa pi� si-gnificativa ai fini della narrazione oppure quella che lo espone meno dal punto di vista degli errori in cui � possibile incorrere o delle con-traddizioni.

Finestra 1. La formulazione delle domande generative.

APotrebbe raccontarmi il reato per cui si trova in carcere o un reato che � stato particolarmente importante? Un’azione che ha avuto conseguenze penali e di cui le andrebbe di parlar-mi?La prego di raccontare dal suo punto di vista. Non intendo un riassunto di quello che � successo, ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne sa niente, che � molto interessato al racconto e che ha molto tempo a di-sposizione.7 (Specificare che il rac-conto pu� iniziare da un qualunque momento temporale, dalle conse-guenze o dagli antecedenti, e da qua-lunque sua sequenza).

BLe nostre vite cambiano continua-mente, ma alcuni sono cambiamenti cruciali, cambiamenti di direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in genere, sono legati ad episodi ri-levanti. Ripensando a lei, alla sua storia, pu� individuare alcuni di que-sti episodi (2 o 3)? Pu� raccontarme-li brevemente spiegando anche le ragioni per cui li considera cos� rile-vanti?

Tale scelta implica anche la dimensione temporale che verr� valo-rizzata: si pu�, ad esempio, scegliere un’azione recente o una pi� lon-tana nel tempo, iniziare il racconto a partire dagli antecedenti o dai suoi effetti.

In ogni caso, e come � nella natura delle domande generative, la ri-sposta pu� essere esauriente di tutti i temi importanti dell’intervista e salienti per la persona: l’intervista, in questo caso, si esaurirebbe qui. Se la persona si mostra disponibile e collaborativa (interessata e moti-vata all’approfondimento dei temi emersi), allora l’intervistatore pu� assecondare l’intervistato inserendo, al momento opportuno, richieste di chiarimento secondo quanto previsto dalle domande di approfondi-mento.

7 La formulazione di quest’ultima richiesta � stata tratta, con gli opportuni aggiu-stamenti, da Bruner e Feldman (1999).

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La domanda B � stata sottoposta a quei rispondenti che riferivano di aver avuto una lunga serie di episodi-reato e rispetto ai quali poteva essere utile ricercare una costruzione narrativa della carriera deviante.

Entrambe le domande favoriscono una elaborazione “aperta” delle risposte lasciando al soggetto la possibilit� di scegliere da dove inizia-re il racconto e quale contenuto privilegiare come saliente (vedi � 1 in questo capitolo) orientando – a partire dai contenuti emersi e in ma-niera progressiva – specifici percorsi di approfondimento.

Per quanto riguarda la traccia A, alla domanda riportata nella fine-stra 3 potevano seguire ulteriori domande con eventuali specificazioni su temi non adeguatamente approfonditi. Si trattava ad esempio, di temi:

– a cui l’intervistato aveva accennato per aver poi cambiato argo-mento, oppure

– intorno a cui girava il discorso, ma che non erano mai stai appro-fonditi, o ancora

– che sulla base delle interviste condotte in precedenza andava assu-mendo contorni definiti e rilevanti (questa ultima opzione � in linea con i principi dell’approccio Grounded theory).

Tali domande erano fondate sugli indicatori riportati in AppendiceA e riferite – proprio in virt� di questa articolazione interna – a model-li teorici rilevanti nel contesto della disciplina. Nella strutturazione della traccia infatti abbiamo fatto particolare riferimento alle dimen-sioni presenti nella Goal-Directed Action (il “triangolo concettuale” di von Cranach e Harr� (1982) nelle successive elaborazioni con partico-lare riguardo alle funzioni strumentali ed espressive dell’azione devi-ante (De Leo e Patrizi 1992; 1999).

La traccia A tiene conto degli aspetti teorici descritti nel capitolo 1. Nella sezione successiva alla domanda generativa costituita dalle do-mande 1 e 2 (da questo punto in poi cfr. App. B) – esamina la dimen-sione oggettiva e oggettivabile dell’azione (il comportamento manife-sto, secondo il modello di von Cranach e Harr� 1982) esplorando i di-versi elementi costitutivi della situazione:

– contesto (tempo, spazio, partecipanti e loro relazioni);– situazione immediatamente precedente;

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– comportamenti specifici (facendo riferimento eventualmente anche a movimenti, posture, etc.);

– interazioni;– reazioni.

Si chiede di descrivere cosa � successo nel momento in cui l’azione ha avuto luogo, valorizzando una prospettiva (il pi� possibile) “esterna” all’attore-narratore.

La sezione successiva (domande da 3 a 13) ricerca informazioni sugli aspetti cognitivi (le cognizioni coscienti: von Cranach e Harr�1982) che hanno accompagnato il corso d’azione:

– le convinzioni consapevoli sulle scelte fattuali (prima, durante, do-po l’azione);

– gli obiettivi che hanno preceduto l’inizio dell’azione;– l’intenzionalit� soggettiva rispetto allo scopo;– l’anticipazione delle conseguenze;– l’importanza percepita del ruolo che altri hanno avuto rispetto al

corso d’azione.

In particolare, vengono indagate le ragioni/motivazioni autoattri-buite, legate all’azione, a s�, agli altri partecipanti, alle conseguenze attese.

Nella quarta sezione dell’intervista (domande da 14 a 24) si esplora il senso dell’azione secondo il punto di vista, soggettivamente elabora-to dall’autore, dei diversi attori coinvolti, della cultura di appartenen-za, delle norme e regole vigenti in quel contesto (i significati sociali); vengono indagate le funzioni – anticipatorie rispetto all’azione, con-temporanee e conseguenti – riguardanti:

– il S�;– gli altri significativi (famiglia, gruppi di appartenenza e di riferi-

mento);– la vittima;– il controllo informale;– le agenzie del controllo sociale formalizzato.

In particolare, rispetto all’ultimo referente, viene esaminata la fo-rensic awareness (la consapevolezza di “giocare” con le forze dell’ordine), quale variabile presente e critica nell’agire deviante, co-

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me mostrano alcuni casi di cronaca recente (si pensi al caso di Una-bomber).In questo contesto, si colloca l’analisi dei vissuti personali e dei signi-ficati che l’attore riferisce al contesto in cui l’azione deviante � stata perpetrata (la situazione, gli altri partecipanti, la vittima, i referenti normativi, il controllo sociale formale e informale). In questa parte dell’intervista, pi� in particolare, si evidenziano i riferimenti alle fun-zioni svolte dall’azione: si tratta della distinzione (di cui abbiamo gi� parlato nel cap. 1 � 2.1) fra gli effetti strumentali (gli obiettivi diretti e concreti che l’attore ha, consapevolmente, perseguito) e gli effetti e-spressivi (quali comunicazioni, secondo una prospettiva pragmatica, egli ha voluto inviare?). Il resoconto rappresenta, in questo senso, lo strumento attraverso cui l’attore sociale riporta al livello di consape-volezza queste tensioni comunicative (gli effetti espressivi attengono, spesso, in qualche modo, a una soglia pre-attentiva, latente).

Le tre domande di chiusura (da 26 a 28) suggeriscono alla persona di pensare a possibili scenari alternativi, di evocare le ipotesi effettua-te di percorsi non attualizzati o di esprimere quanto di soggettivamen-te rilevante non � stato previsto dalle domande poste.

Per quanto riguarda gli aspetti pi� tecnici della formulazione delle domande, abbiamo fatto riferimento alle indicazioni proposte da Gei-selman, Fisher, Firstenberg, Hutton, Sullivan, Avetissian e Prosk (1984) e da Geiselman, Fisher MacKinnon e Holland (1986) riguardo alla conduzione di interviste con vittime o con testimoni di reati8. In tali circostanze infatti la necessit� di interrogare sul reato le vittime che lo avevano subito ha prodotto una particolare attenzione alle tec-niche di recupero dell’informazione. Basandosi sul Principio della specificit� di codifica9 (Tulving e Thomson 1973), Geiselman e coll. (1984) hanno proposto un metodo di rievocazione guidata che si avva-le di quattro memotecniche la cui validit� � stata ampiamente dimo-strata in studi di laboratorio:

1. rivivere mentalmente il contesto ambientale e lo stato d’animo personale “vissuti” al momento dell’evento criminoso: l’obiettivo � di

8 Per una trattazione ulteriore e un’applicazione al contesto italiano si vedano an-che Cavedon (1994) Scali, Calabrese e Biscione (2003), Scali e Calabrese (2002) e Gulotta e Cutica (2000; 2004).

9 Secondo questo principio, �il ricordo di un evento � migliore quando tutto il con-testo relativo al momento dell’immagazinamento e della codifica dell’evento � simile al contesto al momento del recupero� (Gulotta e Cutica 2000, p. 536).

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favorire la memoria episodica attraverso la ricostruzione delle sequen-ze comportamentali o la rivisitazione della scena del crimine;

2. riferire qualunque cosa, anche le informazioni apparentemen-te secondarie: l’incoraggiamento dell’espressione libera, incensurata, contribuisce a rendere i resoconti pi� completi;

3. riferire gli eventi variandone l’ordine di esposizione: partico-larmente utile quando il testimone � un soggetto in et� evolutiva, con-sente di rilevare particolari diversi rispetto alla semplice rievocazione cronologica;

4. rievocare gli eventi da un punto di osservazione diverso da quello in cui il soggetto si trovava al momento dello svolgimento del fatto: l’adozione della prospettiva di altri testimoni (o della vittima, se il rispondente � l’autore del reato) consente di variare sia la prospetti-va visuo-spaziale sia quella psicologica.

La traccia B ha come principali presupposti teorici il concetto di “carriera morale” (Harr� 1979; 1993; Goffman 1961) e il modello car-riere devianti (Becker 1963).

Secondo Harr� (1993, trad. it. 1994, pp. 274-275),

una carriera morale [...] � la storia di un individuo elaborata in riferimento agli altrui atteggiamenti e opinioni, nonch� agli atteggiamenti e alle opinioni che l’individuo sviluppa verso se stesso, formati sulla base dell’interpretazione degli atteggiamenti e delle opinioni manifestate dagli altri.

Dal punto di vista psicologico, le credenze che una persona sviluppa rispetto agli av-venimenti della propria vita e ai valori che producono sono cruciali per quel che ri-guarda la pianificazione del futuro e la memoria del passato. [...] proprio al livello in cui le credenze sono significative per la persona che conduce una determinata esisten-za e per le persone che la circondano, ogni vita � unica e differente da qualsiasi altra (ibidem, p. 272).

Questo orientamento invita a considerare l’agire deviante, le sue conseguenze, come un “filtro” che organizza il modo in cui la persona stessa interpreta e riferisce il percorso di vita.

Secondo l’ipotesi contenuta, in particolare, nella seconda edizione de La spiegazione del crimine (De Leo e Patrizi, 1999), � importante poter collocare la singola azione all’interno di un percorso deviante (anche se i concetti potrebbero essere applicati a qualunque carriera in qualunque settore) e, in senso pi� ampio, all’interno di un intero percorso biografico, per cogliere il senso con cui la persona interpreta e dota di senso l’azione rispetto alla propria storia e, continuamente, reinterpreta quest’ultima alla luce del proprio agire e del proprio narrare di quell’agire. La storia di vita � uno stru-

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La ricerca

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mento di ricerca qualitativa che – dagli studi pionieristici di Howard S. Becker – � stato ampiamente usato proprio per lo studio delle carriere (De Leo e coll. 2004a, pp. 118-119).

� al prezioso contributo di Becker (1963) che dobbiamo l’avvio pi� sistematico dello studio sulle carriere devianti. Tale modello � sta-to ripreso e ampliato da De Leo (1992), De Leo e Patrizi (1992; 1999) che hanno delineato uno schema concettuale per analizzare il proces-so, articolato in tre fasi, che conduce all’assunzione di un’identit� de-viante.

Le fasi e il processo sono descritti qui contestualmente all’illustrazione della traccia B dell’intervista la cui struttura prevede infatti tre sezioni. La prima sezione consta della domanda generativa B riportata in precedenza nella finestra 1: in essa il percorso di carriera viene operazionalizzato facendo riferimento ai “punti di svolta”10 che l’hanno caratterizzato. Per quanto riguarda le aree successive, la do-manda n. 4 � riferita, specificamente, al percorso di devianza. La trac-cia prevede, poi, una serie di domande di approfondimento degli a-spetti eventualmente non compresi nelle risposte precedenti del narra-tore (domande da 5 a 19)11.

La formulazione delle domande ha l’obiettivo di orientare la per-sona ad esplicitare la percezione di S� e della sviluppo evolutivo (“processualit�”) dell’azione deviante. La traccia prevede, pertanto, approfondimenti sulle tappe della carriera:

– antecedenti storici (comprensivi degli incidenti critici): si tratta delle condizioni iniziali nel percorso di vita del soggetto con parti-colare riferimento alla storia familiare, alle relazioni in ambito sco-lastico e/o lavorativo, alle esperienze maturate all’interno del grup-po dei pari. Tali condizioni antecedenti, soggettivamente percepite e vissute, possono essere considerate come indicatori di rischio a-specifici: questo perch�, pur essendo presenti nella maggior parte

10 �Con “punti di svolta”, Bruner intende i momenti chiave di cambiamento e di rottura degli schemi canonici di riferimento, sono dei veri e propri nodi nelle strutture narrative e […] costituiscono le ragioni di squilibrio che producono il resoconto. Essi assumono una particolare rilevanza dal punto di vista del nostro lavoro, poich� rap-presentano il modo con cui l’attore cadenza soggettivamente e socialmente la propria vita e, all’interno di essa (secondo la prospettiva teorica delle carriere), i passaggi cru-ciali nel percorso della devianza� (De Leo e coll. 2004a, p. 124).

11 Il procedimento generale (con l’utilizzo interattivo delle domande di approfon-dimento) � quello gi� descritto per l’intervista sull’azione, alla quale pertanto si ri-manda.

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delle carriere devianti, non hanno necessariamente come esito quello della devianza;

– crisi ed esordio delle azioni devianti: rappresenta la fase pi� ri-schiosa dell’intero processo (rispetto alla possibilit� che si instauri un percorso di carriera deviante) e consiste in episodi soggettiva-mente percepiti in maniera negativa. In questa fase, i rischi a-specifici della prima fase (antecedenti storici) possono acquisire una direzione specifica verso la devianza;

– prosecuzione: dalle prime esperienze, l’attore sociale scopre i van-taggi strumentali o simbolici delle sua azioni. Avviene in questa fase il riconoscimento da parte degli altri del proprio “saper fare nella devianza”: la persona sperimenta “con successo” situazioni, le trasgressioni penali, dove il confronto fra le attese altrui, le sfide proposte e le proprie capacit� di gestione appare, seppure pericolo-so, pi� “semplice” ed immediato questa sperimentazione di succes-so, che ha importanti implicazioni anche a livello dell’autostima individuale e della “stima” degli altri, verr� in seguito rintracciata e sostenuta dal tema narrativa dell’autoefficacia;

– stabilizzazione: fa riferimento alla probabilit� che il percorso della devianza si possa consolidare. � una fase che (rispetto alle altre)pu� avere lunga durata ed essere foriera di componenti emotive forti che stabilizzano il percorso: si tratta di aspetti che – unitamen-te a un riconoscimento di S� come deviante e dei contesti di appar-tenenza (famiglia, altri significativi) – suggeriscono un consolida-mento del percorso stesso12: diciamo qui che il consolidamento dei percorsi d’azione attiene, secondo la classica interpretazione dei teorici del labelling (Becker 1963), alla convergenza fra la defini-zione di S� (dell’attore) e l’attribuzione di uno status da parte degli osservatori esterni (il controllo, la comunit�, etc.).

4. Descrizione dei partecipanti alla ricerca

La rilevazione delle variabili descrittive � stata effettuata alla fine di ciascuna intervista per due ragioni: da una parte si voleva evitare di “indisporre” la persona con domande molto dirette e personali, dall’altra, avendo inizialmente instaurato un clima di cordiale fiducia,

12 Nei prossimi paragrafi, illustrando i risultati, si parler� spesso della costruzione narrativa dell’azione deviante come “percorso inevitabile”.

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era utile iniziare le interviste con argomenti di maggiore centralit� ri-spetto agli obiettivi dell’indagine.

L’intero gruppo di partecipanti alla ricerca finale, presentata in queste pagine, � composto da 33 individui che hanno un’et� compresa da 18 a 65 anni. La tabella II mostra la descrizione rispetto alla varia-bile anagrafica13: come si vede, la fascia di et� pi� rappresentata � quella fra 31 e 35 anni, quella che ha una frequenza pi� bassa (et� compresa fra 50 e 55 anni) conta un solo soggetto.

Tabella II. Distribuzione per fasce d’et� dei partecipanti alla ricerca.

Come mostra il grafico 1, la maggior parte di essi sta scontando una pena per aver commesso un omicidio (30%), in due casi (6%) nel corso di una rapina. Il 46% ha commesso solo rapine o furti e il 21% � dedito allo spaccio e/o al traffico di stupefacenti.

Grafico 1. Reato per cui si sconta l’attuale detenzione.

13 Si intende l’et� al momento della rilevazione.

4 12,13 9,18 24,25 15,26 18,22 6,11 3,02 6,12 6,1

33 100,0

et� compresa fra 18 e 25 anniet� compresa fra 26 e 30 anniet� compresa fra 31 e 35 anniet� compresa fra 35 e 40 anniet� compresa fra 40 e 45 anniet� compresa fra 45 e 50 anniet� compresa fra 50 e 55 anniet� compresa fra 55 e 60 anniet� oltre 60 annitotale

frequenza %

46%

24%

6%

21%

3%

rapina / furto

omicidio

rapina con omicidio

spaccio (o traffico) di stupefacenti

ricettazione

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Il 24% sta scontando la prima detenzione, il 34% invece � pluri-pregiudicato (tabella III).Tabella III. Sintesi delle detenzioni precedenti.

numero di detenzioni Frequenza percentuale

Nessuna 8 24 %

Una 7 21 %

Due 6 18 %

Tre 1 3 %

pi� di tre 12 34 %

Un altro elemento descrittivo del gruppo � la provenienza geogra-fica (grafico 2). Spicca la provenienza dal Centro-Italia (in particolare dal Lazio), due soli intervistati vengono da Paesi extracomunitari (uno dal Nord Africa) e uno dall’Est europeo.

Per quanto riguarda il livello di scolarizzazione (grafico 3: a questo item hanno risposto 32 intervistati)14, la maggior parte degli intervista-ti ha frequentato un istituto tecnico (38 %) e molti di loro conseguito solo la licenza media (31 %).

Grafico 2. Provenienza geografica degli intervistati.

14 Solo uno di essi ha preferito non rispondere, non ricordando esattamente quale livello di scolarizzazione aveva conseguito.

9%

67%

18%

3% 3%

Nord Italia

Centro ItaliaSud Italia

Estero, Europa OrientaleNord Africa

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Grafico 3. Livello di scolarizzazione degli intervistati.

Per quanto riguarda la descrizione di questa caratteristica, abbiamo ritenuto opportuno inserire nella categorizzazione anche due livelli non strettamente corrispondenti a “titoli di studio”: questo perch� al-cuni dei rispondenti hanno tenuto a precisare di aver frequentato i primi anni dell’universit� (3 %) e un biennio successivo alla scuola media (13 %), senza tuttavia terminare i corsi di studio.

Nel periodo precedente l’attuale detenzione, la met� degli intervi-stati erano disoccupati (grafico 4):

Grafico 4. Occupazione precedente all’arresto.

(N = 32)

50%

3%3%

19%

13%

3%9% nessuna occupazione

ope raio

artigiano

impie gato

commerciante

libe ro profe ssionista

altro

(N = 32)

9%

31%

13%

38%

6% 3%

scuola elementare scuola media

scuola media e 2-3 anni di scuola superiore istituto tecnico

liceo universit� incompiuta

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Rispetto ai temi della traccia di intervista narrativa, eravamo inoltre interessati conoscere verso quali “altri significativi” i rispondenti indi-rizzavano le loro riflessioni, chi ne � il referente simbolico: abbiamo dunque chiesto – sempre a livello di informazione di sfondo – da quante e quali persone era composto il nucleo familiare. Non sorpren-de che alcuni abbiano indicato la famiglia di origine (genitori, fratelli e sorelle), altri la famiglia acquisita (moglie e figli). Il grafico 5 illu-stra i dettagli delle percentuali:

Grafico 5. Composizione del nucleo familiare.

Il 29 % dichiara di provenire da una famiglia estesa o numerosa (genitori, zii, cugini o molti figli), il 23 % fa riferimento esclusiva-mente alla moglie (e a uno o due figli), solo il 3 % vive ancora con i entrambi i genitori, mentre il 10 % ha solo un genitore ancora in vita. Solo due persone hanno preferito non rispondere.

Infine, per un migliore inquadramento del gruppo di rispondenti, ci sembrava interessante capire quanto tempo avevano trascorso in car-cere per l’attuale detenzione (grafico 6) e qual � l’entit� della pena an-cora da scontare (grafico 7).

La maggior parte dei volontari che hanno scelto di rispondere all’intervista ha gi� scontato pi� di tre anni di detenzione (47 %: grafi-co 6) e – in linea con le imputazioni – il 57 % di loro deve ancora tra-scorrere in carcere un periodo superiore a tre anni:

(N = 31)

13%3%

10%

23%29%

6%

16%

ne s s una fa m ig lia 3 pe rs one , c o n m a dre e pa dre

fa m iglia m onopa re nta le m o glie e fig li (3-4 pe rs one )

fa m iglia e s te s a o num e ros a fra te lli e /o s ore lle

a ltra c o m pos izio ne

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Grafico 6. Tempo trascorso in carcere (al momento della rilevazione).

Grafico 7. Tempo da trascorrere in carcere (al momento della rilevazione).15

5. Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti

ATLAS.ti � un software di supporto all’analisi del contenuto di ti-po interpretativo: esso � stato progettato in Germania nella prima met� degli anni Novanta. Come abbiamo discusso altrove a proposito dei “Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software” (De Grego-

15 Il dato riportato nel grafico 7 si riferisce a 28 soggetti, in quanto 5 erano ancora in attesa della sentenza definitiva.

29%

12%12%

47%meno di 6 mesifra 6 mesi e 1 anno e mezzofra 1 anno e mezzo e 3 annioltre 3 anni

18%

7%

18%57%

meno di 6 mesifra 6 mesi e 1 anno e mezzofra 1 anno e mezzo e 3 annioltre 3 anni

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rio e Mosiello 2004; Chiarolanza e De Gregorio 2007), ATLAS.ti16 � un software pensato coerentemente con un approccio Grounded the-ory: per questa ragione molte delle operazioni implementabili sono caratterizzate dall’iterativit�, dalla ricorsivit�, dal progressivo avvici-namento alla definizione (o meglio, al perfezionamento) di un modello teorico emergente dai dati.

La progettazione di ATLAS.ti rientra nel pi� generale fermento tecnico-metodologico a cui la letteratura anglosassone fa spesso rife-rimento con l’acronimo CAQDAS (Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software): sono programmi che consentono di gestire l’analisi dei dati qualitativi (Coffey, Holbrook e Atkinson 1996; Fiel-ding e Lee 1991; 1998; Bringer, Johnston e Brackenridge 2006; Le-wins e Silver 2007; Bazeley 2007). I CAQDAS facilitano il lavoro del ricercatore in vario modo:

– automatizzando alcune fasi delle analisi,– rendendo confrontabile il lavoro interpretativo svolto da analisti

diversi sullo stesso materiale,– tenendo memoria di tutte le fasi di analisi anche attraverso la crea-

zione di annotazioni (memos), file di testo in cui il ricercatore pu� scrivere definizioni, idee, esplicazioni, note etnografiche, prassi da condividere con altri membri dell’equipe,

– velocizzando la creazione di output grafici, tabelle, reti di relazioni per la sintesi dei risultati.

La maggior parte dei CAQDAS oggi disponibili consente di tratta-re, integrare, analizzare le informazioni in maniera estremamente ver-satile. Le differenze fra i principali software attengono, da una parte, ai modelli teorici dei rispettivi fondatori (Kelle 1997; 2005) e, dall’altra, alle potenzialit� di ciascuno di essi rispetto alle esigenze a-nalitiche dei ricercatori (Barry 1998).

Anche in Italia, negli ultimi anni, i CAQDAS stanno avendo larga diffusione di pari passo a un incremento della ricerca qualitativa nel suo complesso nelle scienze sociali (Cipriani e Bolasco 1995; Cipriani 1997; Bichi 2002), anche in psicologia: si vedano, fra i tanti, Milesi e Catellani (2002), Moscardino (2003), Albanesi (2002), Manetti, Mi-gliorini e Venini (2002).

16 Da adesso in poi ci riferiremo spesso al software come “A5” indicando quindi la versione 5.0 di ATLAS.ti, quella che abbiamo utilizzato.

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5.1 La creazione dell’unit� ermeneutica

La prima fondamentale fase del lavoro in ATLAS.ti � la creazione dell’unit� ermeneutica (d’ora in poi verr� spesso chiamata HU: Her-meneutic Units): si tratta, nel gergo del software, del “file” principale che comprende al suo interno diversi elementi fra cui i testi17 da sotto-porre ad analisi. � bene tuttavia limitare la denominazione di “file” a questi ultimi (i documenti originari), in quanto l’utilizzo generico del termine potrebbe far confondere fra i singoli testi e l’intera HU.

� bene sottolineare inoltre che i testi (nel nostro caso si tratta delle trascrizioni delle interviste condotte con i partecipanti alla ricerca), una volta inseriti nell’unit� ermeneutica, assumono la denominazione di “documenti primari” (PD: Primary Documents, o Primary Docs).

La figura 10 mostra l’HU e le sue principali componenti. In essa, oltre all’area dedicata ai Primary Documents, (il PD Manager e il PD Pane, sono rispettivamente la sezione in cui sono “catalogati” tutti i file e quella in cui viene mostrato il documento attivo su cui sta lavo-rando, ad esempio, operando una codifica) sono evidenti altre sezioni(per la descrizione di ciascuno rimandiamo alla figura 10): il Quota-tions Manager, il Code Manager, il Memo Manager.

Sulla parte destra dello schermata si trova la “Margin area”, in cui sono visualizzati i codici in corrispondenza delle righe di testo a cui sono stati assegnati (posizione strutturale).

Nella parte superiore e lungo il bordo sinistro della schermata sono presenti i pulsanti di scelta rapida (icone) delle principali funzioni di-sponibili in A5.

5.2 La codifica delle interviste

� la fase successiva alla creazione dell’HU e all’inserimento dei documenti da analizzare. Corrisponde a quella che Strauss e Corbin (1990) hanno chiamato “codifica aperta”: come abbiamo scritto nel cap. 3 � 1.2, essa consiste nella riconduzione dei contenuti dei testi da analizzare (ma lo stesso discorso � valido con qualunque tipo di mate-riale: audio, video, etc.) a nuclei concettuali che ne riassumono l’informazione. In A5, si opera nel modo seguente:– si seleziona con il mouse una parte di testo,

17 ATLAS.ti consente di analizzare anche file di immagini e video (un esempio del lavoro con i filmati � disponibile in De Leo, Volpini e De Gregorio 2006).

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2004

, p.

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– si clicca su “Codes Coding Open Coding” (o su “Code by list”, oppure “Code in vivo”, a seconda che si preferisca associare un codice non ancora presente nell’HU, uno dalla lista definita oppure se si vuole utilizzare lo stesso testo che diventa codice e codificato contemporaneamente),

– si digita il codice nella finestra di dialogo che appare e questo vie-ne “acquisito” nel Code Manager e nella Margin area.

Un approfondimento merita, a nostro avviso, la decisione (densa di implicazioni) su quale parte di testo selezionare: � intuitivo che essa dovr� essere una sezione in qualche modo “significativa”, ma per co-sa? E soprattutto, rispetto a quali obiettivi?

Una prima soluzione � quella della codifica line-by-line: in questo caso, avr� scelto come unit� di codifica la riga di testo, a prescindere dalla sua salienza contenutistica. � una scelta coerente con l’approccio conversazionalista: si pu� infatti codificare linea per linea con una ap-parente decontestualizzazione dell’unit� di analisi per poi “ricompor-la” nelle fasi di analisi successive.

In alternativa il ricercatore pu� optare per una codifica “per episo-di” (van Dijk 1982) o “per topic” (Shuy 1982)1. In questo caso, coe-rentemente con le prospettive discorse ed etnometodologiche, l’attenzione sar� rivolta all’identificazione nei testi di eventi strutturati con funzione semantica: in tal senso �un episodio � prima di tutto concepibile come parte di un tutto con un inizio e una fine ben definiti e con una caratterizzazione temporale� (van Dijk 1982, p. 179), questa demarcazione pu� essere attuata con dispositivi retorici relativi a crite-ri sintattici e/o grammaticali o mediante l’uso di verbi o pronomi con carattere definitorio.

Infine, si pu� decidere di operare una codifica sui “temi narrativi” (Braun e Clarke 2006; Ryan e Bernard 2003; Silverman, 2000): � l’opzione (vicina all’approccio Grounded theory) in base alla quale l’unit� prescinde dalle dimensioni dell’estratto di testo (es.: criteri di riga o di paragrafo) e dalla pregnanza contenutistica propria dell’episodio. Il tema narrativo infatti viene identificato dal ricercatore con esclusivo riferimento alla sua intrinseca natura di nucleo concet-tuale in s� per s� concluso; in altri termini, ogni narrazione si compo-ne di insiemi di temi narrativi ciascuno con una propria autonomia

1 Le due formulazione sono accomunate dalla comune aderenza all’approccio di-scorsivo.

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all’interno della narrazione stessa; ogni tema pu� essere sviluppato per diversi paragrafi, oppure pu� essere ben rappresentato da una sola pa-rola (se la sua forza illocutoria2 dovesse essere tanto densa di senso da costituire essa stessa un evento significativo).

La codifica � dunque la prima fondamentale fase di trattamento dei dati qualitativi. Apriamo una breve parentesi per riportare nella fine-stra 2 l’efficace descrizione che ne fa C. Seale (1999).

Finestra 2. La definizione del concetto di codifica secondo Seale (1999).

2 Il concetto di “atto illucutorio” si deve a Austin (1962; cfr. anche Searle 1979) e identifica l’elemento discorsivo mediante cui le azioni �si compiono attraverso il par-lare medesimo e che corrispondono alle intenzioni comunicative del parlante […]. Il modo con cui � interpretato un enunciato e lo stesso risultato di un atto linguistico di-pendono dalla forza contenuta (forza illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore� (Anolli 2002, pp. 10-11).

�Le osservazioni e le registrazioni dei dati non possono mai essere pienamen-te libere dai valori, dagli assunti e dalle prospettive teoriche del ricercatore, sebbene qualcosa pu� essere fatto per mostrare ai lettori quali sono questi as-sunti, in modo da fondare i giudizi di credibilit�. L’uso di descrittori a basso livello di astrazione chiaramente aiuta. Una volta chei dati sono descritti tut-tavia diventa rilevante fare inferenze sul loro significato […].La codifica �, naturalmente, un tentativo per fissare il significato, costruire una particolare visione del mondo che non esclude altre possibili visioni del mondo. […]. Comunque, la codifica che definisce significati troppo presto nel processo di ricerca pu� rendere vano il processo creativo, bloccare la ca-pacit� dell’analista di vedere nuove cose. Le prime fasi di codifica sono dun-que pi� appropriatamente chiamate indicizzazione (“indexing”) e agiscono come segnaposti per interessanti unit� di dati piuttosto che rappresentare la versione finale dei significati.[…] A questo punto siamo passati gradualmente dall’indicizzazione alla co-difica. La chiarezza concettuale, per cui i fenomeni sono esposti a definizioni pi� rigorose ed esclusive per poter essere facilmente distinti da altri fenome-ni, diventa importante. A questo punto, � importante chiedersi se altri soggetti vedano le cose allo stesso modo. In questo senso, un esercizio di attendibilit� fra codificatori pu� essere inteso come prova della potenziale leggibilit� di un report di ricerca, per esaminare il grado in cui questo veicola coerentemente significati condivisi� (Seale 1999, p. 154).N.d.A.: � importante precisare che indicizzazione e codifica (come le de-scrive Seale) corrispondono, in ATLAS.ti, alla definizione rispettivamente di “codes” e “code families”. Analogamente � necessario precisare che il con-cetto di indicizzazione � presente nell’utilizzo di altri software CAQDAS con significati non direttamente riconducibili alla codifica.

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La scelta fra le soluzioni proposte dipende prima di tutto dagli o-biettivi della ricerca sia da modelli teorici, ma anche da preferenze ne-gli approcci e dalle idiosincrasie del ricercatore. Nello specifico di questa ricerca, abbiamo scelto l’ultima delle strategie descritte, la co-difica per temi narrativi.

Per questa ragione, ci sembra utile approfondire le implicazioni di tale scelta: un’immediata conseguenza � che i temi narrativi possono essere fra loro in diversi tipi di relazione: possono essere seguenti l’un l’altro, oppure possono “innestati” uno dentro l’altro o sovrapposti in alcuni punti e non in altri; da questo punto di vista, l’analisi per temi narrativi � pi� complessa, ma allo stesso tempo pi� completa perch� consente di cogliere tutta la variet� di significati che il narratore ha vo-luto dare alle sue parole. Nonostante ci� non si pu� dire che essa valo-rizzi esclusivamente la prospettiva di chi narra: infatti, la scelta di quando il tema narrativo � concluso dipende dal ricercatore. Questa situazione (ed � qui la seconda implicazione) rende l’analisi del conte-nuto di tipo interpretativo (quella di cui ci stiamo occupando) partico-larmente difficile e onerosa in quanto necessita di tempi maggiori (per rileggere i testi alla ricerca di tutti i temi narrativi in essi presenti), ma la rende anche, a nostro avviso, pi� completa in quanto consente di ot-tenere una vera e propria mappa dei concetti/temi rilevanti per il nar-ratore3.

Un ulteriore aspetto che ci sembra utile sottolineare a proposito delle operazioni di codifica riguarda la scelta dei loro nomi: � utile che il ricercatore assegni ai codici (fin dalle prime fasi) delle etichette ver-bali chiaramente identificabili anche in assenza del testo cui il codice � riferito: questo perch� nelle operazioni successive (che si basano ap-punto sui codici) non sempre sar� possibile risalire agevolmente al te-sto di partenza (ne verrebbe meno la funzione “riassuntiva” del codice stesso). In altri casi, il codice pu� essere nominato con due parti di-stinte indicanti, ad esempio, un’azione concreta e il suo significato funzionale. In ogni caso, comunque, la soluzione dipende da scelte e-splicite del ricercatore che a loro volta sono fondate sugli obiettivi: in tal senso, A5 fornisce uno strumento utile per operazioni che dipendo-no prima di tutto dal ricercatore. In altri termini, � possibile adattare ATLAS.ti (e adattarsi come ricercatori) ad un uso creativo dello stru-

3 Mediante gli strumenti offerti da ATLAS.ti � possibile anche verificare la salien-za di ogni tema narrativo e le sue relazioni con altri temi (come vedremo approfondi-tamente in seguito).

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mento: analogamente al concetto di “artefatto” nella psicologia cultu-rale (Mantovani 1998; Mecacci 2000), il software in questo caso di-venta una periferica della mente del ricercatore e come tale, a parit� di prestazioni tecniche, pu� essere adattato ad usi pi� creativi di quelli per cui � stato progettato.

Alla luce degli obiettivi specifici dello studio – l’analisi delle co-struzioni narrative delle azioni devianti – abbiamo ritenuto opportuno effettuare delle analisi che tenessero conto sia dei contenuti dei temi narrativi relativi (il modello teorico del Posizionamento discorsivo, la GDA, le teorie sul “Disimpegno morale” e sulla “Neutralizzazione della norma”, i modelli sull’autoefficacia e sull’agentivit�, i riferimen-ti in genere riconducibili alla prospettiva dell’accountability), sia di tutti gli altri aspetti strutturali della narrazione. Tecnicamente, la codi-fica si � svolta operando due distinte unit� ermeneutiche composte da-gli stessi 34 documenti primari (le trascrizioni delle interviste): unaper le analisi sui contenuti e l’altra per la codifica secondo le strutture. Per questa seconda fattispecie � stato scelto come punto di riferimen-to, fra i modelli descritti nel capitolo 3, l’Evaluation model di Labov (Labov e Waletsky 1967) in quanto offre un sistema semplice di cate-gorie, ampiamente validato nella ricerca sulle narrazioni. Inoltre, que-sta scelta ha dato la possibilit� di applicare il modello di Labov a testi estesi pi� di quelli su cui di solito viene utilizzato. La scelta di creare due distinte HU � stata dettata anche da ragioni pratiche: da una parte, ci � sembrato utile tenere distinte le dimensioni di contenuto da quelle strutturali, confidando nel fatto che – secondo l’approccio di Rosen-thal (1993) – sarebbe stato possibile, in una fase successiva, integrare utilmente i due aspetti; dall’altra, sarebbe stato oltremodo oneroso la-vorare su un’unica HU comprendente tutti i codici.

L’intera fase di codifica � stata divisa in due parti: dapprima sono stati letti e codificati (secondo le modalit� descritte in precedenza) i primi 15 documenti primari (PD); in seguito, prima di proseguire con le successive codifiche, � stato utile sistematizzare l’elenco dei codici rilevati fino a quel punto. Come suggerito da tutti i principali metodo-logi che si sono occupati di ricerca secondo l’approccio della Groun-ded theory, il processo di ricerca segue un percorso – intrinsecamente coerente – di tipo ricorsivo e iterativo (comportando un continuo spo-stamento dell’attenzione dai dati alle teorie e fra dati) sebbene com-plessivamente progressivo verso la definizione di un modello teorico organico. In questo modo, tutti i codici sono stati riletti con attenzione alla ricerca delle inevitabili ridondanze dovute al lavoro di codifica: �

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possibile infatti che, dovendo analizzare grandi quantit� di testi, si tenda a creare pi� codici di quelli effettivamente necessari rendendone ridondanti alcuni: in altre parole, � stato necessario cercare nell’HU tutte quelle situazioni in cui inavvertitamente (soprattutto per l’elevato numero di codici) certi temi narrativi risultavano (sia pure con formu-lazioni dei codici leggermente diverse) esser presenti pi� volte: si � trattato di un lavoro di “ripulitura” dell’HU e di omogeinizzazione della lista dei codici operata soprattutto mediante l’opzione “Codes Miscellaneous Merge Code” (unione di codici di si-gnificato affine).

Queste operazioni sono state svolte in due modi concomitanti: ma-nualmente (leggendo e rileggendo le liste di codici) e automaticamen-te mediante l’opzione di “Coding analyzer”4 di A5.

Alla conclusione di tutta la fase di codifica, analogamente, sono state effettuate operazioni di “ripulitura” della lista dei codici e di per-fezionamento dell’output relativo alla codifica di entrambe le unit�ermeneutiche.

Complessivamente sono emersi 580 codici relativi a tutte le aree di interesse.

5.2 L’aggregazione in “families”

La fase successive ci ha consentito di concretizzare la c.d. “codifi-ca assiale” (Strauss e Corbin 1990, cfr. anche cap. 3 � 1.2 in questo lavoro); in essa i codici rilevati in precedenza sono stati aggregati se-condo due criteri prevalenti:

(a) l’evidente riferimento a dimensioni teoriche consolidate in let-teratura (es.: i “meccanismi di disimpegno morale” identificati da Bandura 1997; 1999; o le tecniche di “neutralizzazione della norma” secondo la formulazione di Sykes e Matza 1957, e la revisione di Fri-tsche 2002);

(b) una logica attinenza a temi rilevanti nell’ambito dello studio ma non direttamente riconducibili a un modello teorico consolidato (o,

4 Il tool denominato “Coding analyzer” consente al ricercatore di rilevare tutte le porzioni di testo (quotations) in cui uno stesso codice � ridondante, essendo queste adiacenti, sovrapposte, innestate una nell’altra (in tutti questi casi sarebbe pi� utile unirle e identificarle con un unico codice).

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importante, non ad un unico modello: � il caso delle emozioni che ab-biamo distinto in “positive”, “negative” e neutre”).

Complessivamente, l’HU ha compreso 78 famiglie di codici. il Family Manager � mostrato nelle figura 11.

Ma qual � la funzione della famiglie? Esse raccolgono l’informazione contenuta (a un livello di astrazione inferiore) nei co-dici: le famiglie sono delle vere e proprie dimensioni teoriche che in-cludono le informazioni degli indicatori empirici (in questo caso i co-dici). Come abbiamo descritto nel � 1.2 nel cap. 3, � come se avessi-mo operato un processo inverso a quello che nella ricerca quantitativa � noto come “paradigma di Lazarsfeld” (Lazarsfeld 1958), che con-sente di scomporre un concetto teorico (ad elevato livello di astrazio-ne) in dimensioni (ed eventualmente anche in sotto-dimensioni) e que-ste a loro volta in indicatori empirici che consentono (in virt� del loro basso livello di astrazione) di passare alle definizione operative del concetto di partenza. Questo percorso logico consente l’operazionalizzazione di un concetto al fine, ad esempio, di costruire(o, meglio, perfezionare) gli item di un questionario.

Figura 11. Il Family Manager con alcune famiglie e i codici assegnati e da assegnare.

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Nella ricerca qualitativa, in questo specifico approccio alla ricerca qualitativa, l’obiettivo � invece quello di “costruire” un modello teori-co su un fenomeno, un oggetto sociale, a partire dalle evidenze empi-riche (nel nostro caso, le risposte a un’intervista): in questo senso, si pu� dire che abbiamo proceduto secondo un percorso inverso a quello del paradigma di Lazarsfeld.

Un’altra categoria di families � ricavabile a partire dai documenti primari.

Oltre alle famiglie di codici, abbiamo ritenuto utile (alla luce di o-biettivi specifici e per le analisi successive) definire anche alcune “famiglie di documenti primari” (“PD families”). In A5, � possibile infatti raggruppare i testi (o video, o immagini) in categorie per effet-tuare analisi pi� specifiche su sottogruppi di documenti e ottenere ri-sultati pi� dettagliati.

Nel caso dello studio che stiamo presentando abbiamo ritenuto uti-le, anche in funzione degli obiettivi specifici, creare 7 famiglie di do-cumenti primari (v. Fig. 12):

Figura 12. Esempio di famiglie di documenti primari.

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– da una parte, infatti, eravamo interessati a capire se percorsi di de-vianza differenti (i reati) suggerivano ai loro autori modalit� di rendicontazione e di costruzione narrativa altrettanto differenziata. Alla luce di questo obiettivo, tutte le interviste sono state divise in 4 families in base al tipo di reato commesso (omicidi, reati legati agli stupefacenti, rapine e furti);

– dall’altra, abbiamo ritenuto utile distinguere i partecipanti alla ri-cerca in base all’“esperienza” nel settore della devianza per capire se in base a questa variabile le strutture e i contenuti narrativi pre-sentassero differenze. A tal fine, abbiamo fatto riferimento alle ca-tegorie descritte da R. Matthews (2002) nei suoi studi sui rapinato-ri: l’Autore distingue 3 categorie: dilettanti (o novizi), i rapinatori con meno esperienza che pianificano poco le azioni e scelgono, in genere, obiettivi facilmente accessibili; gli intermedi, si impegnano in adeguati livelli di pianificazione dei reati e hanno una carriera criminale abbastanza lunga, di solito partecipano ad azioni di grup-po e non vivono la devianza come parte della loro identit�; i pro-fessionisti (o esperti) che vivono con forte coinvolgimento l’essere devianti tanto che la riconoscono come parte della propria identit� sociale e come un vero e proprio mestiere: in tal senso, pianificano accuratamente le azioni, scelgono obiettivi ambiziosi e motivanti (astenendosi anche al rischio di essere catturati).

La segmentazione del gruppo di partecipanti alla ricerca risponde dunque a criteri di maggiore analiticit� rispetto agli obiettivi che sia-mo prefissati. Nelle pagine seguenti questi obiettivi verranno articolati in specifici interrogativi di ricerca che � possibile rivolgere al softwa-re.

5.3 La verifica di ipotesi nella ricerca qualitativa

L’ultimo aspetto tecnico che riteniamo utile illustrare, prima di passare ai risultati delle analisi delle interviste, � il fondamentale strumento di verifica delle relazioni fra i codici: il Query tool. Si tratta di una finestra mediante la quale il ricercatore chiede al software di rilevare l’eventuale presenza di relazioni fra i codici o le Code fami-lies nell’intera HU o in gruppi di documenti primari (PD families).

L’aspetto generale del Query tool � rappresentato nella figura 13.

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Il funzionamento di base � descritto nella pagine successive in mo-do da rendere chiara la logica sottostante al suo utilizzo e l’uso che se ne � fatto nella ricerca qui presentata.

Ogni codice di interesse5 per il ricercatore in una specifica richiesta (o le famiglie di codici) viene inserito (mediante un doppio click sul suo nome) nell’area delle operazioni: l’area dei risultati (in basso a de-stra) mostrer� l’elenco delle porzioni di testo (quotations) associate a ciascun elemento selezionato in questo modo. Affinch� si possa defi-nire adeguatamente un’operazione di ricerca, i codici e le famiglie de-vono essere inseriti nell’ordine in cui si ipotizza che siano in relazione (A B � diverso da B A) e sempre prima degli operatori che li collegano.

Figura 13. L’area di lavoro nel Query tool.

Cosa s’intende esattamente con “operatori” in ATLAS.ti? Sono i criteri mediante i quali il ricercatore chiede al software di estrarre le porzioni di testo attraverso i codici ad esse associati: � infatti attraver-so le porzioni di testo (le quotations) che � possibile rilevare l’eventuale associazione fra i codici che (come abbiamo descritto nel � 4.2 in questo capitolo) le sintetizzano. Come descritto in De Gregorio

5 � possibile (fino alla versione di ATLAS.ti attualmente in commercio) effettuare ricerche sulle relazioni fra due elementi per volta.

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e Mosiello (2004) e in Chiarolanza e De Gregorio (2007), in A5 sono disponibili tre gruppi di operatori.

Operatori booleani (o logici): sono i classici criteri, utilizzati in tutti i sistemi di ricerca delle informazioni, riconducibili a semplici relazioni di compresenza o esclusione:OR: chiede di estrarre le porzioni di testo in cui sono presenti uno solo o entrambi i codici selezionati;XOR: chiede di estrarre citazioni in cui � presente esclusivamente uno dei codici selezionati (e non anche l’altro);AND: chiede di estrarre le citazioni in cui entrambi i termini sono pre-senti;NOT: consente di formulare una richiesta in cui si esclude un codice da un insieme pi� ampio (es., tutti i codici i una famiglia meno uno).

La figura 14 chiarisce i termini delle differenze all’interno di quest set di operatori.

Operatori semantici: consentono di esplorare le relazioni all’interno di reti concettuali definite precedentemente dal ricercatore6. Ad esempio, il concetto “emozione” (come mostra la figura 15) pu� essere articolato almeno con riferimento alle polarit� positivo-negativo: in questo modo, si stabiliscono delle reti concettuali rispetto a cui � possibile verificare la coerenza in modelli teorici differenti op-pure fra soggetti partecipanti allo stesso studio. Gli operatori semantici sono:

Figura 14. Le relazioni di tipo logico fra i codici (fonte: Muhr 2004, p. 164)7.

6 Questa classe di operatori sono utilizzabili solo con i codici (e non con le fami-glie di codici).

7 Nella figura 15:

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SUB: opera la ricerca nelle reti concettuali a partire dai livelli superiori e verso quelli inferiori,UP: opera la ricerca di estratti di testo dai livelli di astrazione inferiori verso il livello superiore,SIBling: ricerca tutte le quotations connesse al codice selezionato e ad ogni altro codice ad esso associato.

Operatori di prossimit�: consentono di testare l’eventuale re-lazione di tipo spaziale (o strutturale) fra le porzioni di testo e i relativi codici: mediante gli operatori di prossimit� � possibile verificare, ad esempio, l’ipotesi che gli estratti in cui � presente un certo tema (sup-poniamo il tema A) narrativo siano sempre precedenti a quelli in cui � presente il tema B. Gli operatori di prossimit� comprendono relazioni di inclusione/esclusione (di un codice in un altro), precedenza (di A su B o viceversa), sovrapposizione.

Figura 15. Esemplificazione delle gerarchie di concetti su cui sono utilizzabili gli ope-ratori semantici (fonte: De Gregorio e Mosiello 2004, p. 81).

Rimandando al manuale del software per ulteriori esempi e mag-giori dettagli sulle logiche sottostanti l’utilizzo degli operatori (Muhr2004), che gli operatori descritti possono essere utilizzati anche in query di ricerca anche molto complesse: ATLAS.ti dispone infatti di una vera e propria “grammatica” (secondo cui, per esempio, vanno in-seriti sempre prima gli operandi/codici e poi gli operatori) in base alla quale � possibile impostare query in cui diversi operatori vengono in-

- A e B sono le etichette che rappresentano i codici,- Q1, Q2, Q3, Q4, Q5 rappresentano le porzioni di testo richiamate a in base alla

combinazione dei codici.

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crociati con l’obiettivo di definire modelli teorici via via sempre pi� stringenti e complessi.

I risultati di ogni query possono essere salvati come se fossero dei codici aggiuntivi: ottenuto un risultato che sembra particolarmente significativo e interessante, il ricerca-tore pu� (cliccando su “Create Super Code”) creare un codice (il Supercodice, appunto) che sintetizza l’informazione appena ottenuta; il Supercodice pu� essere uti-lizzato e trattato come qualunque altro codice e (in qualit� di “sintesi di altri codici”) consente di impostare ulteriori query di ricerca pi� complesse e sofisticate. Essi sono visibili nel Code Manager e sono contraddistinti per il colore rosso dell’icona: la prin-cipale caratteristica � la loro dinamicit�: il contenuto (di codici inclusi e di quotations) varia al variare delle elaborazioni e delle relazioni fra gli elementi che sono inclusi in esso. Un ultimo aspetto che ci interessa sottolineare � il seguente: la ricerca delle rela-zioni mediante il Query tool � funzionale all’elaborazione teorica; quando si opera qualunque richiesta, si sta cercando di definire “pezzi” di una teoria sottostante ai dati e fondata nelle informazioni di partenza: per questa ragione, il risultato di ogni query� un set di quotations. Sono esse infatti che hanno un collegamento diretto con i testi di partenza ed � attraverso di esse che il ricercatore pu� (di)mostrare l’esito della sua elaborazione (De Gregorio e Mosiello 2004, p. 82).

5.3.1 La verifica di relazioni su sottoinsiemi di documenti

Una specifica opzione disponibile a partire dalla finestra principale del Query tool consente di circoscrivere la ricerca in sottoinsiemi spe-cifici di documenti primari: attraverso la funzione “Scope” (v. Fig.13) � possibile limitare la ricerca a singoli documenti primari o a PD-families.

Come descriveremo a breve, questa opzione ci consente di verifica-re l’esistenza di eventuali differenze nelle costruzioni narrative opera-te da soggetti che hanno compiuto reati di gravit� e natura diversa. � infatti ipotizzabile che la costruzione narrativa dell’azione “rapina” sia diversa dalla quella dell’azione “omicidio” e che queste differenze siano rilevabili a partire dai testi analizzati. Dei risultati relativi a que-sto obiettivo specifico parleremo nel � 6.3 (in questo capitolo).

6. I risultati

In questo paragrafo verranno illustrati i risultati delle analisi del contenuto e delle strutture narrative. Al fine di rendere pi� chiari i percorsi concettuali che emergono dalle narrazioni analizzate, abbia-mo scelto di illustrare i risultati sulle due diverse aree secondo fasi di-

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stinte: dapprima verr� fornito un quadro descrittivo generale sia per quanto riguarda i temi narrativi principali e le dimensioni strutturali presenti nell’intero corpus dei dati; in una seconda fase, si illustrano i risultati sulle relazioni fra codici e verr� definito il modello strutturale generale sottostante a tutte le narrazioni; infine, a un successivo livello di specificit� verranno descritti i risultati relativi alle famiglie di reati e le narrazioni verranno confrontate fra loro (dal punto di vista del contenuto e delle strutture) rispetto al tipo di reato di cui trattano.

6.1 I contenuti narrativi

6.1.1 I temi ricorrenti

Il primo basilare passo nell’analisi delle informazioni � relativo al-la rilevazione dei temi narrativi che vengono utilizzati per raccontare l’azione: si tratta di un obiettivo totalmente esplorativo e introduttivoalle fasi successive. Esso consiste in una iniziale mappatura concettua-le dei testi mediante l’identificazione dei temi pi� salienti (quelli che mostrano un maggiore utilizzo) per i partecipanti alla ricerca8.

.

Figura 16. Code Manager con elenco di codici ordinati secondo la salienza nell’HU.

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Per verificare questa evenienza, abbiamo chiesto al software l’output di una tabella in cui i codici vengono incrociati con tutti i do-cumenti primari in modo da verificare la distribuzione dei primi nell’unit� ermeneutica (tabella IV)1.

Tabella IV. La distribuzione del codici pi� salienti in tutte le interviste-PD.

In altre parole, � possibile che qualunque codice fra quelli mostrati nella figura 16 sia particolarmente rilevante per alcuni degli intervista-ti e che quindi costoro ne determino l’elevata frequenza rilevata nell’HU.

In ATLAS.ti, � possibile attuare questa fase attraverso la predispo-sizione di output che evidenziano la presenza (in termini quantitativi) di codici riferiti a temi specifici. In particolare, attraverso il Code Manager si possono ordinare i codici secondo il criterio Grounded1

(che esprime quanto ogni codice � “radicato” nei testi che compongo-no l’HU) e metterli in ordine di “salienza”, di presenza in tutti i testi.In ATLAS.ti, � possibile attuare questa fase attraverso la predisposi-zione di output che evidenziano la presenza (in termini quantitativi) di

8 Del concetto di salienza nell’economia di un’unit� ermeneutica abbiamo gi� trat-tato nel � 1.1 in questo capitolo.

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codici riferiti a temi specifici. In particolare, attraverso il Code Manager si possono ordinare i codici secondo il criterio Grounded1

(che esprime quanto ogni codice � “radicato” nei testi che compongo-no l’HU) e metterli in ordine di “salienza”, di presenza in tutti i testi.

In essa � evidente, ad esempio, come il codice pi� frequente (“Car-cere come riflessione e cambiamento”: 50 quotations) sia richiamato maggiormente dal soggetto che ha prodotto l’intervista n. 17 (in 5 pas-saggi della sua narrazione � rilevato questo tema narrativo); i codici “Movente strumentale del reato” (32 quotations complessive) e “Mo-vente strumentale del percorso di carriera” (24) hanno una distribu-zione diversa: il primo � particolarmente saliente per gli intervistati nn. 20 e 29 (che da soli ne parlano in ben 9 estratti delle loro narrazio-ni), mentre il secondo � distribuito in maniera pi� bilanciata in tutta l’HU. Analogamente, gli intervistati nn. 1 e 30 sono quelli che mo-strano un pi� elevato senso di autoefficacia (ne parlano rispettivamen-te in 5 e 4 estratti di testo). L’intervistato n. 8 � quello che pi� di tutti gli altri imputa la causa delle azioni che lo hanno portato in carcere all’immaturit� e all’ignoranza: egli descrive tali fattori come le pre-messe che hanno condizionato la possibilit� di scegliere i percorsi d’azione pi� adeguati. L’intervistato n. 26 � quello che pi� degli altri descrive comportamenti specifici: si tratta delle narrazioni di eventinarrati come se fossero visti da un osservatore esterno (ad esempio: recarsi sul luogo del reato, afferrare l’arma, minacciare la vittima, prendere la refurtiva, etc.).

Molti intervistati (in 18 porzioni di testo complessive) ammettono di aver pianificato accuratamente i reati prima di commetterli (rispetto al tema della pianificazione rimandiamo comunque alle sezioni suc-cessive in quanto la precisione di questa informazione dipende forte-mente dal tipo di reato trattato): coloro che non fanno cenno al proces-so di pianificazione sono tuttavia la maggior parte dei soggetti con particolare riferimento all’intervistato n. 20 che in tre passaggi della sua intervista precisa di non aver definito i dettagli delle azioni com-piute. In 13 situazioni (soprattutto l’intervistato n. 26) viene dichiarato di non aver mai avuto intenzione di far male alle vittime: per loro (si tratta esclusivamente di individui che hanno compiuto rapine) era im-portante recuperare la refurtiva rapidamente e preservando nell’incolumit� fisica delle vittime e dei testimoni dei reati. In 13 e 11 quotations gli intervistati affermano chiaramente di essere preoccupati per le conseguenze negative che la loro detenzione pu� avere – rispet-tivamente – sulla famiglia e sui figli.

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Per quanto riguarda gli effetti espressivo-comunicativi dei reati (che abbiamo descritto nel cap. 1 � 2.1: De Leo e Patrizi 1992; 1999), dobbiamo sottolineare che:

– le comunicazioni indirettamente inviate verso il S� (le azioni con valenza comunicativa verso la propria identit�) sono quelle chel’intero gruppo di intervistati elicita con maggiore frequenza (l’intervistato n. 26, in particolare, ne fa un filo conduttore di tutta la propria narrazione),

– i messaggi di cambiamento (presenti in 12 porzioni di testo) sono distribuiti equamente in tutte le interviste,

– gli effetti di relazione (meno presenti dei precedenti: 10 volte) so-no particolarmente salienti per l’intervistato n. 28 che in quattro passaggi della sua narrazione vi fa riferimento.

Fin qui la descrizione del quadro concettuale al livello pi� sempli-ce, quello dei codici: si tratta come abbiamo descritto nel corso del pa-ragrafo precedente degli elementi dell’unit� ermeneutica che hanno una maggiore aderenza ai testi (le narrazioni) di partenza. Come de-scritto nel paragrafo 5.2, i codici sono aggregabili – per le fasi succes-sive – in famiglie (le “Code families”): nelle prossime pagine descri-veremo le principali. La presentazione delle famiglie di codici pu� av-venire in due modi differenti: una visualizzazione grafica medianterete concettuale (“Network view”), in cui ogni famiglia di codici viene descritta per mezzo dei suoi collegamenti con i codici che ne fanno parte e una visualizzazione testuale mediante un semplice elenco dei codici. Il vantaggio della prima soluzione � di fornire una leggibilit� immediata della composizione di ciascuna rete di codici; essa tuttavia otterrebbe l’effetto contrario se la numerosit� dei codici fosse eccessi-va. La visualizzazione mediante elenco invece � di comprensione me-no immediata, soprattutto perch� nell’output di ATLAS.ti non include il numero delle quotations per ciascun codice: in questi casi ovviere-mo presentando i codici pi� rilevanti con un layout diverso (in tutte le finestre sui Code families essi verranno indicati in grassetto).

La Code family che include il maggior numero di codici � quella che abbiamo chiamato “Strategie per un’autopresentazione positiva”(finestra 3): si tratta di una dimensione non direttamente riconducibile a un modello teorico univoco.

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Finestra 3. Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione po-sitiva”.

All’interno di essa i codici sintetizzano contenuti riferiti ai tentativi di dare (nonostante l’ammissione di colpevolezza) un’immagine posi-tiva di S� (l’enfasi sulla funzione responsabilizzante del carcere e del-le misure alternative; la preoccupazione per le implicazioni della de-tenzione sui familiari, la precisazione della scarsa responsabilit� nella

Code Family: Strategie di autopresentazione (+)Codes (78): ["mi vengono i brividi se penso a questa cosa"] [accusa ingiusta][affidamento al servizio sociale] [arresto per ingenuit�] [arresto per vecchi reati] [arresto/morte: anticipazione delle conseguenze possibili] [aspettative sulle re-lazioni con i figli] [assenza da luogo del reato/non partecipazione all'azione devi-ante] [attivit� artistiche in carcere] [attivit� editoriale] [attuale consape-volezza dell'illegalit�] [auto-imputazione di responsabilit� e affidabilit�] [auto-vittimizzazione] [autoattribuzione di onest�] [autoattribuzione di responsabilit�/interna] [autoefficacia e orgoglio per i traguardi raggiun-ti] [bisogno di espiazione della colpa] [carcere come miglioramento delle re-lazioni] [carcere come riflessione, maturazione e cambiamento] [commis-sione del reato per evitare che lo facessero altri] [comprensione della famiglia] [consapevolezza dei propri errori] [continua idea di smettere e ricaduta] [enfa-si sulla propria vittimizzazione/ingiustizia] [estraneit� (capita sempre agli altri)] [famiglia normale, benestante] [fattore protettivo: famiglia] [figli, moglie, no devi-anza] [funzione maturativa e responsabilizzante del carcere] [funzione positiva del reinserimento] [funzione positiva e protettiva del lavoro] [funzione positiva e rinforzante degli altri] [funzione responsabilizzante del teatro] [funzione responsabilizzante e maturativa della religione] [imparare dall'e-sperienza/dagli errori] [importanza del confronto] [imputazione di non-pericolosit�] [incastro] [ingresso in carcere da anziano] [intenzione di non coinvolgere la famiglia] [lavoro e opportunit� per smettere] [movente strumentale che annulla gli altri] [movente strumentale del reato] [movente strumentale per il percorso di carriera] [non intenzionalit� di commettere il reato] [obiettivo di non fare male alle vittime] [omicidio accidentale] [omicidio non pianificato] [opportunit� di una vita dignitosa (perch� s'inizia)] [pentimento/rimorso] [positivit� dell'in-fanzia e principi sani] [precedenti per piccoli reati] [preoccupazione per gli affetti che rimangono fuori] [preoccupazione per il figlio cresciuto senza padre] [preoccupazione per l'immagine di s�] [preoccupazione per la famiglia] [preoccupazione per la sorte dei figli] [reato come punto di svolta e ri-flessione] [responsabilizzazione legata alle relazioni umane] [ricordi e rim-pianti] [rifiuto della violenza e delle armi] [riflessioni su come si poteva evitare il reato] [rimpianto per non aver studiato] [riscoperta dei veri valori] [scelta esplici-ta fra reati] [scelta esplicit� fra bene e male] [senso di colpa per essere stato lon-tano dalla compagna malata] [senso di giustizia/voglia di morire] [senso di utilit� e gratificazione] [serenit� per la situazione carceraria] [smettere per non far soffrire i cari] [Somalia] [spirito ribelle] [tendenza al miglioramento] [tentativo di essere un buon padre] [tossicodipendenza e identit�] [valori importanti della giovinezza] [vi-ta felice e serena prima della commissione del reato]Quotation(s): 322

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commissione dei reati ascritti; la descrizione delle origini e delle pri-me fasi di vita come positive e lontane dai circuiti della devianza). La finestra 5 sintetizza i risultati elencando i 78 codici che definiscono la famiglia, fra i quali abbiamo messo in grassetto quelli pi� rappresenta-ti nell’HU. Tutta la famiglia include, come mostra l’ultima riga della finestra, 322 estratti di testo complessivi.

Dall’altra parte, ci sono stati diversi episodi in cui il narratore si � descritto facendo riferimento a categorie di senso opposto che abbia-mo chiamato “Strategie di autopresentazione negativa” (in basso nella figura 17). Ci� dimostra che – contrariamente a quanto si potrebbe i-potizzare seguendo il senso comune – non sempre chi � imputato di reati ha la tendenza a disimpegnarsi dalle attribuzione esterne e a ten-tare di fornire sempre e solo un’immagine positiva di S�. La famiglia di codici “Percorso: eventi critici” fa riferimento alle fasi dell’evoluzione della carriera deviante: si tratta di una dimensione e-splicitamente prevista nel modello di sviluppo della carriera (De Leo e Patrizi 2002; De Leo e coll. 2004a). Nell’HU che abbiamo analizzato sono presenti 48 codici (riconducibili a 122 estratti di testi) che sono riportati nella finestra 6. Come si nota dalla lettura dei codici principa-li, l’imputazione di criticit� ad un evento rispetto alla possibilit� di in-nescare un percorso di devianza � riferita a:

Figura 17. Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione ne-gativa”.

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– fattori legati alle prime detenzioni e alle loro implicazioni (in ter-mini di stile di vita, di relazioni, di norme a cui adeguarsi),

– conflittualit� con persone rilevanti nel proprio percorso di vita,– eventi legati alle relazioni interpersonali (inclusi precari stati di sa-

lute propri o altrui),– eventi legati allo stato di tossicodipendenza.

Analogamente, per quanto riguarda la famiglia “Percorso: fasi di contatto con la devianza” (38 codici distribuiti in 157 quotations) si evidenziano i temi legati alle frequentazioni (fino ai contatti con la criminalit� organizzata) e i tentativi per evitare di commettere reati nonostante le difficolt� economiche della vita quotidiana (finestra 7).

Finestra 6. Indicatori della famiglia di codici “Percorso: eventi critici”.

Gli incidenti critici (come descritto in precedenza da De Leo e Pa-trizi, 2002) si collocano in un percorso evolutivo che include una serie di altri antecedenti storici.

Nell’analisi delle narrazioni che stiamo presentando abbiamo scel-to di estrapolare da tale contesto quegli antecedenti identificati come

Code Family: percorso: eventi critici

Codes (48): ["io ho sempre rubato"] [abbandono da parte della moglie] [abbandono dalla persona amata] [aborto della compagna dopo l'omicidio] [arresto dei figli] [attivit� onesta e ricaduta nella devianza] [attivit� poli-tica] [cambiamento lavorativo ed economico] [carcerazione (e regole)] [carcerazione dei figli] [carcerazioni frequenti] [conferma del tradimento] [conflittualit� con la madre] [continui scontri con le agenzie di controllo] [crisi d'identit�] [debolezza, uso della cocaina] [escalation del percorso di de-vianza] [fare la bella vita] [Hiv della compagna] [il reato come incidente criti-co] [importanza dell'uso della droga] [incidente del figlio] [inizio carriera dopo matrimonio] [latitanza e necessit� di lasciare gli affetti] [lavoro per lo Stato e reato contro il patrimonio] [lunga storia di istituzionalizzazione] [malatti-a] [mancata comprensione delle proprie esigenze] [momenti positivi e ricadu-ta nella droga/devianza] [morte di un congiunto] [necessit� di trovare soldi] [omosessualit�] [perdita del lavoro] [pianificazione della rapina e difficolt�: omicidio] [porto d'armi] [precedenti penali del padre] [problemi di relazione (ambiente, gruppo)] [scelta di lasciare il lavoro] [separazione dei genitori] [tentazioni dell'et� adulta] [tossicodipendenza] [tossicodipendenza del padre] [tradimento dal complice] [trasferimento in Italia] [uccisione della madre] [u-scita dal carcere e tentativi di trovare lavoro] [uscita dalla comunit� e disorientamento] [vicende negative destabilizzanti]Quotation(s): 122

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aventi valenza negativa e riconducibili specificamente all’ambiente familiare (v. Fig. 18) e alla situazione pi� ampia (v. Fig. 19).

Finestra 7. Indicatori della famiglia di codici “Percorso: fasi di contatto con la devian-za”.

Figura 18. Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento familiare”.

Code Family: percorso: fasi di contatto con la devianza____________________________________________________________________

Codes (38): [abbandono/orfanotrofio] [ambiente di violenza] [atti-vit� onesta e ricaduta nella devianza] [attribuzione all'ambiente (cultura, periferia)] [attribuzione droga/psicofarmaci/alcool] [condanne precedenti] [contesto come antecedente] [criminalit� organizzata] [debolezza, uso del-la cocaina] [disoccupazione ed espedienti] [droga come mezzo per la socialit�] [droga come reazione] [il reato come incidente critico] [importanza del contesto] [inevitabilit� del percorso di devianza] [omosessualit�] [porto d'armi] [precedenti per piccoli reati] [primo reato a 14 anni] [primo re-ato a 15 anni] [primo reato a 17 anni] [primo reato a 18 anni] [primo reato a 19 anni] [primo reato a 20 anni] [primo reato a 21 anni] [primo reato a 24 anni] [primo reato a 28 anni] [primo reato a 29 anni] [primo reato a 35 anni] [primo reato a 43 anni] [primo reato a 7-8 anni] [problemi con la mafia] [rab-bia verso le forme di controllo] [stile di vita violento] [tentazioni dell'et� adul-ta] [uscita dal carcere e tossicodipendenza della compagna] [vita burrascosa] [vita di strada e primi reati] Quotation(s): 157

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La famiglia � chiamata in causa in particolare rispetto agli aspetti di violenza che hanno pervaso la giovinezza e l’infanzia dei protago-nisti. Altri fattori che descrivono la dimensione e su cui � necessario fare un cenno riguardano le relazioni che si strutturavano nei contesti familiari: le narrazioni fanno riferimento, in questi casi, sia alla fami-glia di origine (composta da genitori e fratelli) sia alla famiglia acqui-sita (composta da moglie e figli); un ultimo aspetto riguarda i fattori meno controllabili della vita in famiglia, in particolare le morti e le condizioni di indigenza economica.

Il contesto pi� ampio (oltre la famiglia) diventa preponderante nel-la sua influenza sul percorso di carriera sotto diversi punti di vista. Le principali agenzie chiamate in causa come influenti nell’evoluzione della carriera deviante sono: le condizioni lavorative, i contatti con la criminalit� organizzata, il gruppo dei pari, le istituzioni e la partecipa-zione politica.

Figura 19. Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento del contesto allargato”.

La famiglia e il contesto allargato sono chiamati in causa anche nella loro valenza positiva e supportante: le figure 20 e 21 descrivono i percorsi concettuali implicati in questa valutazione.

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Figura 20. Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento familiare”.

Evidenziamo comunque come i temi narrativi elicitati per queste descrizioni sono pochi e concettualmente meno significativi rispetto a quelli visti nelle due figure prevedenti.

Fin qui per quanto riguarda gli aspetti descrittivi dei percorsi di carriera e di azioni devianti. Dalle narrazioni tuttavia emergono altre dimensioni teoriche.

Figura 21. Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento del contesto allargato”.

Il concetto di responsabilizzazione emerge spesso nelle narrazioni dei detenuti che hanno scelto di partecipare alla ricerca: si tratta di una rete di codici (v. Fig. 22) fra essi concettualmente associati i cui colle-gamenti ruotano intorno alla “Funzione maturativa e responsabilizzan-te del carcere”.

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I principali elementi richiamati nelle narrazioni (alcuni di essi han-no frequenze molto elevate9) fanno riferimento alle attivit� socializza-tive, ma alcune persone sottolineano la valenza che le relazioni inter-personali assumono rispetto alla propria responsabilizzazione e all’esito positivo del percorso di reinserimento.

Figura 22. La rete concettuale della responsabilizzazione.

Quello dell’esperienza detentiva come momento di crescita e cam-biamento � un tema narrativo che vede convergere le riflessioni dimolti intervistati e la cui rete concettuale include ampi riferimenti agli aspetti morali del reato, le preoccupazioni per i familiari (soprattutto per i figli) che rimangono fuori dal carcere, la progettualit� sulla vita fuori dal carcere al termine della pensa da scontare.

Per quanto riguarda l’azione vera e propria, il reato che gli intervi-stati hanno scelto di raccontare durante l’intervista, si pu� dire che le narrazioni hanno spesso fatto riferimento agli aspetti cognitivi impli-cati. � necessario evidenziare come la componente cognitiva dell’azione sia stata narrativamente riferita all’azione vera e propria e ai suoi sviluppi successivi, ma quasi mai alle fasi precedenti.

Per quanto riguarda i fattori relativi all’azione narrata (v. Fig. 23), i codici emersi dall’intero corpus di interviste fanno riferimento soprat-tutto alla pianificazione (scelta del luogo del reato, dell’arma, della vittima, dei tempi, la stima del bottino e la costituzione di un team con

9 Cio� sono collegati a numerose porzioni di testo rappresentate dal primo numero all’interno della parentesi vicino al nome del codice.

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ruoli definiti10); nella stessa dimensione sono presenti anche aspetti metacognitivi: l’idea che per fare un’accurata pianificazione sia neces-saria molta esperienza e specializzazione nel settore di attivit�, il con-tenimento delle emozioni e le soluzioni per fronteggiare l’eventuale reazione della vittima. Un’importante aspetto cognitivo, fortemente collegato alla pianificazione, � l’anticipazione delle conseguenze futu-re dell’azione: si tratta di un fattore al quale abbiamo dato in prece-denza molta enfasi (cfr. cap. 1 � 2.1 sulla Teoria dell’azione ed effetti comunicativi) e che richiama direttamente la previsione del “cosa suc-cede se…” con particolare riferimento agli eventuali imprevisti.

Un altro fattore che merita approfondimento (e sul quale, per que-sta ragione, torneremo anche pi� avanti) il senso di “autoefficacia e di orgoglio” che emerge con forza in ben 24 estratti di testo e che mostra come tutte le azioni sfidanti e complesse, anche quelle socialmente ri-provevoli e penalmente sanzionabili, ingenerino nell’autore una soddi-sfazione che viene descritta in tutti con enfasi anche a distanza di mol-to tempo da quando si sono verificate.

Nella nostra esperienza di conduzione di queste interviste, � stata particolarmente significativa la constatazione della vividezza della riattualizzazione nella realt� che taluni eventi (anche temporalmente molto distanti) avevano per gli attori che ne erano stati protagonisti: queste narrazioni diventavano ancora pi� articolate e dettagliate pro-prio quando l’attore-narratore si cimentava sulla valutazione del S�-in-situazione, soprattutto se l’azione era andata a buon fine.

In molti casi, i rispondenti all’intervista hanno chiaramente am-messo di non attuare alcuna forma di pianificazione. Come abbiamo riportato nella parte bassa della figura 23 (da destra verso sinistra), in 18 passaggi narrativi gli intervistati fanno riferimento ad una “Pianifi-cazione preliminare rigorosa” che tuttavia in altri casi � in contraddi-zione con quanto riferito in altri estratti e da altri intervistati: l’altra faccia della medaglia � infatti una totale assenza di pianificazione (13 quotations) o una pianificazione tutt’al pi� vaga (5 quotations). In un solo caso, � stata descritta una pianificazione operata solo per reati pi� grossi e che coinvolgono pi� di una persona: quello degli “Aspetti co-gnitivi dell’esecuzione dell’azione” � un tema narrativo che fornisce

10 In particolare, i codici “Pianificazione collaborativa/ruoli” e “Identificazione del leader e importanza del gruppo” fanno emergere l’idea di un vero e proprio lavoro di squadra sottostante alle azioni: in questo caso, come � intuitivo, si tratta narrazione di eventi-rapine.

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un’adeguata veste empirica (e allo stesso tempo completa dal punto di vista concettuale) ai modelli teorici di riferimento sugli aspetti cogni-tivi dell’azione sociale. La teoria di von Cranach e Harr� (1982), an-che nelle recenti formulazioni di von Cranach e Ochsenbein (1994), nel tentativo di articolare con maggiore specificit� le dimensioni teori-che, ha rischiato di perdere di vista l’azione come unit� significativa di comportamento (la sua intrinseca “molarit�”): non erano mai state af-frontate adeguatamente le variabili cognitive relative alla pianificazio-ne di un reato, alle scelte operate, all’anticipazione delle conseguenze e dei possibili imprevisti, alla valutazione dei percorsi e delle vie di fuga, alla cooperazione con i complici. L’analisi effettuta in questa se-de risolve molti di questi vuoti teorici.

Figura 23. Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi dell’azione”.

Per quanto riguarda la descrizione degli aspetti cognitivi successivi allo svolgimento dell’azione, la figura 24 evidenzia gli aspetti di valu-tazione dei percorsi d’azione attuati:– emergono da una parte i temi narrativi della vittimizzazione e del

senso di ingiustizia subita, l’attribuzione di responsabilit� alle vit-time, l’attribuzione alla malattia mentale come formula di giustifi-

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cazione e assoluzione e soprattutto la motivazione reattiva e difen-siva del reato commesso;

– la stessa HU tuttavia include temi narrativi in cui la valutazione del percorso di devianza si sposta verso una maggiore responsabilizza-zione e ammissione di colpevolezza: la consapevolezza degli erro-ri, l’orgoglio per i traguardi raggiunti rispetto al percorso di reinse-rimento sociale e di uscita dai circuiti della devianza, la funzione maturativa e responsabilizzante della detenzione, le ipotesi e le previsioni di scenari futuri.

Figura 24. Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi successivi al reato”.

Per quanto riguarda gli aspetti emotivi che accompagnano e seguo-no l’azione, la Network view relativa a questi fattori (v. Fig. 25) evi-denzia diversi elementi di interesse: in primo luogo, si nota come (a fronte di 38 codici afferenti a questa Code family11) in 7 passaggi nar-rativi gli intervistati ammettono di non aver provato alcuna emozione (parte alta della figura 25).

Tutti i riferimenti alla descrizione di stati emotivi sono stati codifi-cati con riferimento alla loro valenza negativa o positiva:

11 Per motivi grafici e di sintesi nella rete abbiamo scelto di rappresentare solo al-cuni di essi.

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Figura 25. Indicatori della famiglia di codici “Aspetti emotivi contemporanei all’azione e successivi”.

– la parte della destra della figura 25 illustra i primi evidenziando in particolare come tutte le emozioni di senso negativo siano narrati-vamente riferite al periodo successivo alla commissione dell’azione e alla situazione detentiva (il pentimento, i sensi di colpa, la rassegnazione, i sentimenti di perdita e di sconfitta, etc.),

– la parte sinistra, invece, illustra le emozioni positive che, come si nota, sono riferite (tranne nel caso della “Solidariet� delle persone care” e un solo rispondente che manifesta “Serenit� per la situa-zione carceraria”) all’attuazione diretta delle azioni: l’orgoglio per il compimento efficace dell’azione, il senso di autoefficacia, la soddisfazione fino alla descrizione dei correlati fisiologici (“l’adrenalina” a cui ben 8 passaggi narrativi fanno riferimento).

Un ulteriore obiettivo di conoscenza era relativo all’articolazione narrativa dell’ “agency”, una nozione ampiamente e variamente utiliz-zata in psicologia. Il riferimento principale � sicuramente la formula-zione di “human agency”, proposta da A. Bandura (1986; 2001). Con tale concetto si intende la capacit�, tipicamente umana, di agire nel mondo non solo reattivamente ma attraverso la costruzione di attiva-

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zioni, di simbolizzazioni, di anticipazioni12; ma si � inteso anche la co-struzione narrativa di un attore intenzionalmente orientato a ricono-scersi come fonte delle proprie azioni (Bruner 1997) fino alle pi� re-centi formulazioni a forte connotazione empirica negli studi sulle au-tobiografie di O’Connor (1995) e di McAdams, Hoffman, Mansfield e Day (1996).

Nello studio che abbiamo condotto i temi narrativi riferibili all’agency sono stati categorizzati secondo due accezioni (v. Fig. 26): la capacit� d’azione (propriamente detta) e il tema delle scelte che so-no rese narrativamente nei termini della intenzione di percorrere linee d’azione alternative (“lavoro vs. reato”, “devianza vs. attivit� legali”, “bene vs. male”), della capacit� di riemergere dalle difficolt� dellavita quotidiana, della decisione consapevole e intenzionale di perpe-trare proprio quel reato in quel momento specifico, dell’imputazione all’ignoranza e/o all’immaturit� della causazione di scelte sbagliate. Nella figura 26 abbiamo riportato alcune delle 16 porzioni di testo che riassumono le dimensioni appena descritte (rispettivamente codificate come “agency” o come “scelte”).

Ogni estratto, secondo la notazione di ATLAS.ti, riporta le coordi-nate del testo in cui si trova, la prima riga dell’estratto (che solitamen-te identifica la quotation vera e propria) e l’intero segmento codificato (cio�, considerato come tematicamente significativo in fase di codifica aperta o by list: cfr. � 5.2 in questo capitolo).

I temi dell’agency e della scelta di percorsi d’azione specifici sono stati studiati nella letteratura scientifica anche con riferimento al con-testo detentivo (O’Connor 1995): i risultati relativi a questa dimensio-ne narrativa tuttavia ampliano il panorama offerto dagli studi prece-denti in cui l’agentivit� era stata operazionalizzata con riferimento e-sclusivo alla collocazione rispetto al sistema agente (interna o disloca-ta). La ricerca svolta ne chiarisce le articolazioni narrative specifiche.Un analogo percorso descrittivo � possibile per quanto riguarda i temi narrativi relativi all’attribuzione interna di responsabilit�: nella figura27 abbiamo riportato alcune delle quotations che illustrano la rappre-

12 Va detto per precisione e completezza che il concetto di “agency” ha un percor-so decisamente pi� ampio di quello che ci limitiamo a descrivere in questa sede: a par-tire dalle formulazione in ambito interazionista simbolico (Harr� e Secord 1972) fino alla gi� citata Teoria dell’azione (Harr� e von Cranach 1982) e alla psicologia discor-siva (Harr� e Gillett 1994).

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sentazione fornita dai rispondenti all’intervista sul tema dell’assunzione delle responsabilit� per i reati commessi.

Figura 26. Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi della capacit� di agire.

Tutti gli estratti narrativi sono stati ricondotti a tre codici (a loro volta compresi nella Code family “Attribuzione interna di responsabi-lit�”) che abbiamo indicato come: (a) “immaturit� (ignoranza o inge-

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nuit�) come cause della devianza”: � un codice che comprende tutti quei passaggi narrativi in cui gli autori imputavano ai fattori indicati la causa delle loro azioni; abbiamo scelto di riportare, a titolo esemplifi-cativo, solo alcuni dei 21 estratti che caratterizzano questo fattore;

Figura 27. Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi dell’attribuzione interna di responsabilit�.

(b) “ammissione di colpevolezza”: comprende tutte le porzioni di te-sto in cui gli intervistati (seppure non attribuendosi chiaramente la re-sponsabilit�) si descrivono direttamente o indirettamente come artefici

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del proprio destino. Essi non chiamano in causa fattori esterni e incon-trollabili, piuttosto le loro ammissioni sono velatamente caratterizzate da una sorta di rassegnazione e inevitabilit� del percorso che essi stes-si hanno scelto di intraprendere; (c) “consapevolezza dei propri erro-ri”: sono i passaggi narrativi maggiormente caratterizzati dal senso di l’inevitabilit� del percorso di devianza instaurato. Come � evidente dagli esempi riportati nella figura 27, si tratta di estratti tipicamente riferiti all’uso di sostanze stupefacenti che risultano la principale cau-sa della commissione dei reati in senso diretto e strumentale (per la necessit� di ottenere rapidamente somme ingenti di denaro) e indiret-tamente (come fonte di deterioramento delle condizioni psicofisiche e della capacit� di giudizio e valutazione). In questi casi, la responsabili-t� dei reati � dunque indirettamente attribuita a S� attraverso la media-zione delle droghe, l’uso delle quali diventa la principale causa della commissione dei reati e vera ragione del rammarico manifestato.

Le attribuzioni a cause esterne da s�, che pure sono ampiamente presenti nelle interviste che abbiamo analizzato, sono riferibili a fonti chiaramente identificate. Per le attribuzioni esterne di responsabilit�, la collocazione della causazione fuori da s� viene attuata facendo am-pio ricorso all’ironia sull’entit� della pena da scontare e sulle colpe delle istituzioni nella determinazione della scelta di commettere reati;

La figura 28 illustra l’articolazione interna di questa dimensione con riferimento ai seguenti indicatori (per ciascun codice della rete grafica abbiamo riportato a titolo esemplificativo una sola quotationche fosse semanticamente rappresentativa del codice indicato e, per suo tramite, della Code family “Attribuzione esterna”): le droghe e/o gli psicofarmaci, la vittima, le agenzie di controllo sociale, le istitu-zioni, la subcultura della periferia (borgata), una generica attribuzione alla sfortuna, una persona chiaramente identificabile (es.: la cogna-ta/convivente) o (pi� genericamente) gli altri, la famiglia.

Per quanto riguarda gli altri elementi che sono emersi dalle narra-zioni, abbiamo rilevato una presenza di temi narrativi vicini ai mecca-nismi di disimpegno morale (Bandura 1997; 1999: figure 29, 30 e 31) e alle tecniche di neutralizzazione della norma (Sykes e Matza 1957).

Pi� articolato � il quadro che riguarda le Tecniche di neutralizza-zione della norma per la cui analisi abbiamo fatto riferimento alle pi� recenti riformulazioni e ampliamenti di Fritsche (2002) e Minor (1981): nella codifica delle interviste � stata rilevata spesso la presen-za di temi narrativi riferibili al modello proposto da Sykes e Matza (1957).

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Figura 29. Esemplificazione del tema narrativo della Minimizzazione del danno se-condo il modello del Moral disengagement.

Figura 30: Esemplificazione del tema narrativo dell’Etichettamento eufemistico se-condo il modello del Moral disengagement.

Le codifiche, in questo caso, sono state effettuate in due fasi: una codifica per temi (l’assegnazione del codice specifico) e successiva-mente un’aggregazione dei codici in Code families. Tutte le dimensio-ni riscontrate sono rappresentate mediante Network view a partire dal-la Code family e per mezzo dei codici che la compongono (si veda a questo riguardo l’articolazione concetto-dimensioni-indicatori secon-do il modello di Lazarsfeld: cap. 2).

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Figura 31. Esemplificazione del tema narrativo della Dislocazione della responsabili-t� secondo il modello del Moral disengagement.

Ciascuna rete riporta inoltre le quotations (estratti di testo) da cui sono ottenuti i codici al fine di rendere chiaro il percorso logico sotto-stante all’analisi dei materiali empirici.

La rappresentazione delle tecniche di neutralizzazione � ottenutadai temi narrativi (riportati nelle figure nelle prossime pagine) con i quali gli autori dei reati cercano di giustificare l’azione o mitigare il peso delle attribuzioni negative:

– “Appeal to higher loyalties” (“Richiamo a ideali superiori”): figura32.– “Denial of responsability” (“Negazione della responsabilit�”): figura33.– “Denial of victim” (“Attribuzione di colpa alla vittima”): figura 34.– “Condanna dei giudici”: figura 35.

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Figura 32. Articolazione della famiglia di codici “Appeal to higher loyalties”.

Figura 32. Articolazione della famiglia di codici “Appeal to higher loyalties”.

Figura 33. Articolazione della famiglia di codici “Denial of responsability”.

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Figura 34. Articolazione della famiglia di codici “Attribuzione di colpa alla vittima” (secondo l’ampliamento di Fritsche 2002).

– “Defence of necessity” (“Difesa dello stato di necessit�”): figura 36.– “Metaphor of the ledger” (“Richiamo all’esperienza passata”): figu-ra 37.– “Reference to sin of others”, (“Confronto vantaggioso”): figura 38.– “Defence of necessity” (“Difesa dello stato di necessit�”): figura 36.– “Metaphor of the ledger” (“Richiamo all’esperienza passata”): figu-ra 37.

In due circostanze, la codifica operata ci ha fatto rilevare una so-vrapposizione fra i meccanismi banduriani e le tecniche di neutraliz-zazione, da una parte (si tratta dell’Attribuzione di colpa alla vittima, “Denial of victim” nei termini di Sykes e Matza, 1957: v. Fig. 36), e il modello di Fritsche (“Reference to sin of others”, il c.d. “Confronto vantaggioso” per Bandura: v. Fig. 37).

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Figura 36. Articolazione della famiglia di codici “Defence of necessity” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981).

Fin qui la descrizione in termini di dimensioni (code families) indicatori (codici) estratti di testo (quotations) secondo i modelli teorici tradizionali di Bandura e Sykes-Matza.

La letteratura sull’argomento tuttavia ha evidenziato l’esistenza di ulteriori meccanismi di disimpegno morale e neutralizzazione della norma. In particolare, i contributi di Fritsche (2002) e Schahn (1993) hanno consentito di gettare nuova luce sui meccanismi implicati nel resoconto e nella narrazione delle azioni devianti.

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Figura 37. Articolazione della famiglia di codici “Metaphor of the ledger” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981).

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Figura 38. Articolazione della famiglia di codici “Confronto vantaggioso” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002).

Gli Autori hanno parlato specificamente di:

– assenza di intenzione di commettere il reato (“Reference to lack of intentionality”): v. Fig. 39,

– futura astensione dal comportamento sanzionato (“Promised re-form”): v. Fig. 40,

– mancata assunzione delle responsabilit� per gli eventi successivicollegati (“Refusal to take responsability for the future”): v. Fig. 41,

– imputazione alla pigrizia (“Reference to laziness”): v. Fig. 42, – ammissione di colpevolezza (“Acceptance of guilt”): v. Fig. 43.

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Figura 41. Articolazione della famiglia di codici “Refusal to take responsability for the future” (secondo l’ampliamento di Schahn 1993).

Rispetto a quanto descritto nelle pagine precedenti, un approfon-dimento merita l’articolazione dei temi narrativi relativi al Posiziona-mento discorsivo (di cui abbiamo parlato nel cap. 1 � 3.1). Si tratta, come evidenziato in precedenza, di un modello teorico che solo in tempi recenti ha ricevuto la necessaria attenzione e ha avuto appro-fondimenti dal punto di vista empirico: per questa ragione, non � an-cora possibile definire un adeguato iter logico e metodologico di arti-colazione in dimensioni e indicatori empiricamente rilevabili del con-cetto di posizionamento.

Nella ricerca condotta e qui presentata abbiamo quindi preferito (diversamente da quanto fatto rispetto ai temi narrativi descritti nelle sezioni precedenti) operare una codifica a un livello di astrazione maggiore (le aree principali che definiscono il posizionamento nei termini di collocazione nel sistema di coordinate definito dall’ordine morale, l’ordine sociale, l’ordine spaziale e quello temporale: Davies e Harr� 1990; Harr� e van Langenhove 1992): alla lettura dei testi ha fatto seguito una codifica in termini di specifiche implicazioni discor-sive rispetto ai quattro livelli di collocazione.

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Figura 42. Articolazione della famiglia di codici “Reference to laziness” (secondo l’ampliamento di Schahn 1993).

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Nelle sezioni seguenti vengono riportati l’output dei codici catego-rizzati per ogni Code family. Abbiamo scelto di distinguere fra due dimensioni alternative ma interrelate:

– il posizionamento di S� vs. il posizionamento di altri,– la connotazione su un versante positivo vs. la connotazione su un

versante negativo.

In particolare, per quanto riguarda il Posizionamento discorsivo di S� nell’ordine morale secondo un’accezione negativa (Finestra 6), so-no emersi 38 estratti di testo complessivi riferibili ai temi della scelta di dedicarsi alle attivit� criminali, della deresponsabilizzazione e del-la costruzione discorsiva del disimpegno, del pentimento.

Finestra 6. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del S� con connotazione negativa.

Sul versante della connotazione positiva della stessa dimensione (il S� nell’ordine morale) gli intervistati si sono espressi in maniera pi� ampia con 78 quotations complessive riferite a temi narrativi del senso di autoefficacia derivante dal successo delle imprese (inclusa la defi-nizione di S� come “professionista del crimine”), ma anche del senso di responsabilit� e dell’autocolpevolizzazione, del rispetto per le vit-time (non uso delle armi da fuoco e nessuna minaccia all’incolumit� fisica) e per famiglia (che potrebbe subire gli effetti negativi delle at-tribuzioni negative altrui), del disimpegno rispetto alle ragioni della scelta di commettere i crimini. L’output dei risultati � riportato nella finestra 7. Il posizionamento degli altri in termini negativi (sempre secondo le coordinate dell’ordine morale: finestra 8) � manifestato se-condo una serie di strategie discorsive implicanti una causazione nella direzione altri-S�: la colpevolizzazione delle istituzioni (tema narrativo gi� trattato nella sezione precedente), delle vittime e dei complici, le

Code Family: Posizionamento discorsivo del S� nell'ordine morale (versan-te negativo)

Codes (10): [deresponsabilizzazione] [estraneazione] [minimizzazione] [poca voglia di lavorare] [rapine = lavoro normale] [ridimensionamento della propria posizione] [scelta consapevole della devianza] [scelta delle rapine] [tentativo di suicidio] ["io ho sempre rubato"]Quotation(s): 38

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reazioni violente dei familiari (quelle delle forze dell’ordine), l’influenza del contesto sono tutte che lasciano intendere un’influenza esterna sul comportamento deviante messo in atto dall’attore.

Finestra 7. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del S� con connotazione positiva.

Finestra 8. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine mora-le degli altri con connotazione negativa.

Analogamente, la direzione delle influenze per quanto riguarda la connotazione positiva del Posizionamento degli altri nell’ordine mora-le (finestra 9) � collocata dall’esterno (la famiglia, gli estranei suppor-tanti, la vittima collaborativa) verso il S�. Purtroppo la bassa frequen-za di porzioni di testo riferibili a questa dimensione non ci consente di estrarre altri risultati.

� da notare infatti la forte differenza fra il numero totale di quota-tions riferite all’influenza negativa degli altri verso il S� (finestra 8) e quella riferita alle influenze positive (finestra 9).

Code Family: Posizionamento discorsivo del S� nell'ordine morale (versan-te positivo)

Codes (15): [autoefficacia e soddisfazione] ["professionista" affidabile e attento] [autocolpevolizzazione/responsabilit�] [brava persona] [criminale per necessit�] [dialogo] [estraneit� ai fatti] [famiglia e vita regolare] [fur-bizia] [gratitudine/riconoscenza] [maturazione e responsabilit�] [non coinvolgomento della famiglia] [non collusione con la mafia] [non far male a nessuno] [padre affettuoso e attento] Quotation(s): 78

Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versante negati-vo)

Codes (20): [nessun supporto dalla famiglia] [abbandono dalla compagni-a] [colpevolezza dei complici] [colpevolizzazione delle istituzioni] [compor-tamenti deleteri per s�] [deresponsabilizzazione degli assistenti sociali] [famiglia sfasciata] [fratelli devianti] [fratello traditore] [Governo] [libert� sessuale] [moglie prudente (abbandono)] [moglie tossicodipendente] [padre cattivo e violento] [polizia violenta] [poliziotto in malafede] [rea-zione negativa della famiglia] [reazione violenta della famiglia] [sfiducia] [vittima disonesta] Quotation(s): 66

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Finestra 9. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine mora-le degli altri con connotazione positiva.

Questo primo set di risultati riguardanti le caratterizzazioni narrati-ve del S� e degli altri secondo accezioni negative e positive conferma-no quando gi� evidenziato dalla letteratura sull’attribuzione causale (De Grada e Mannetti 1988; Felson e Ribner 1981): l’enfasi (che tutto sommato possiamo interpretare come equivalente) che i rispondenti pongono sulla caratterizzazione in termini moralmente positivi del S� (78 quotations: finestra 7) e in termini negativi degli altri (66 quota-tions: finestra 8) merita ulteriori approfondimenti con ricerche struttu-rate e con una metodologica rigorosa.

Le collocazioni nell’ordine sociale appaiono meno approfondite intermini narrativi. Come abbiamo descritto nel capitolo 1 (� 3.1), il li-vello sociale della costruzione narrativa di S� e degli altri � relativo alle caratterizzazioni di tipo sociologico-anagrafico, i ruoli storica-mente agiti e vissuti. I due codici caratterizzanti questa dimensione sono illustrati nella figura 44 unitamente agli estratti di testo che li e-semplificano.

Analogamente, gli indicatori narrativi del S� nell’ordine sociale (sia con connotazione positiva che negativa) mostrano una scarsa sa-lienza rispetto ai temi della collocazione al livello morale (finestra 12).

Il versante positivo evidenzia i temi della “normalit� della vita quo-tidiana” e delle aspirazioni per un futuro positivo; in altre narrazioni, spicca una caratterizzazione in senso negativo che coinvolge la defini-zione dell’ambiente di vita del soggetto (la povert� e lo stato di neces-sit�, i tentativi di emergere anche con atteggiamenti aggressivi, talvol-ta violenti).

Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versione positivo)

Codes (8): [sostegno dagli estranei] [cittadini onesti] [famiglia integerri-ma] [famiglia meravigliosa] [fratelli non devianti] [importanza delle rela-zioni affettive/interpersonali] [vicinanza della famiglia] [vittima 'buona'] Quotation(s): 18

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Figura 44. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine socia-le degli altri.

Finestra 10. Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento sociale del S�.

L’ultimo aspetto del Posizionamento discorsivo riguarda la collo-cazione nel sistema di coordinate spazio-temporali. Si tratta di una dimensione che evidenzia tutta la variet� delle caratterizzazioni possi-bili: i rispondenti-narratori si sono orientati in maniera diversa fra loro rappresentando un’ampia gamma delle localizzazioni in senso tempo-rale e/o spaziale.

In questo senso, i “luoghi” citati in cui vengono ambientate le sto-rie narrate sono (se consideriamo il livello spaziale della narrazione)quelli in cui i reati si sono svolti (rappresentati mediante i codici nella parte sinistra della figura 43). � utile notare che tutte le porzioni di te-sto rappresentate da questi codici sono 10, a testimonianza della scarsa salienza attribuita alle caratterizzazioni di tipo spaziale.

Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del S� (versante positivo)Codes (3): [famiglia benestante] [famiglia e vita regolare] [tentativo di essere un buon padre] Quotation(s): 9

Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del S� (versante negativo)Codes (7): [infanzia brutta] [lavoro per motorino] [rabbia] ["� mio e me lo prendo"] [ambiente deviante] [bisogno di potere] [famiglia povera] Quotation(s): 12

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In maniera simile, i temi narrativi afferenti al livello temporale (parte destra della figura 45) consentono di evincere una localizzazio-ne delle origini dell’azione narrata ora in tempi remoti (“nell’infanzia”, “nella giovinezza”, etc.), ora in un momento definito (“ad Agosto”, “luned�”, “il giorno delle pensioni”).

Figura 45. Indicatori narrativi della collocazione nei contesti spazio-temporali.

� totalmente assente una riattualizzazione della narrazione nel qui e ora in cui essa si svolge, come se gli eventi del passato – seppure vi-vidamente collocati nel loro contesto storico – fossero localmente va-lidi senza una necessit� di confronto o di rimessa in discussione rispet-to alla situazione presente.

L’interpretazione complessiva di queste evidenze riconduce al con-testo specifico in cui le narrazioni sono state ottenute: si � trattato di resoconti inseriti in colloqui condotti in carcere con individui che era-no imputati di reati vari (rapine, omicidio, detenzione, spaccio e/otraffico di sostanze stupefacenti, truffa e ricettazione). In tale situazio-ne, � possibile che i meccanismi implicati nel render conto (diretta-mente o indirettamente) delle ragioni dei reati abbiano fatto preferire agli attori-narratori una collocazione di S� in un “contesto di giustifi-cazione” (da cui l’enfasi sui meccanismi di disimpegno morale e di neutralizzazione della norma) e di messa in discussione dei criteri di definizione degli obblighi e dei doveri, nei sistemi culturali e locali che includono attribuzioni, credenze, valori.

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6.2 Le strutture narrative: presenza delle dimensioni

Per quanto riguarda la presenza, in tutti i testi analizzati, di estratti riconducibili al modello strutturale preso in esame (l’Evaluation model di W. Labov: cfr. cap. 3 � 2.4) possiamo dire che si tratta di una valutazione del tutto introduttiva poich� sulle categorie di cui trattia-mo (le dimensioni di tipo strutturale, appunto) sar� opportuno effettua-re delle analisi pi� specifiche mediante gli operatori di prossimit�.

In via preliminare, possiamo dunque riassumere le informazioni facendo riferimento alla tabella V.

Come � evidente dai totali di ciascuna dimensione strutturale, la componente valutativa (Evaluation) � la pi� rappresentata nelle 34 narrazioni (83 estratti di testi): le narrazioni n. 22 e n. 1 sono quelle nelle quali essa si presenta con maggiore frequenza (rispettivamente 11 e 8 volte).

Tabella V. Riepilogo della presenza delle dimensioni strutturali in tutti i documenti primari.

L’Abstract (che come riferito nel cap. 3 � 2.4 � una componente opzionale che ha la funzione di introdurre e riassumere contenuti pre-senti nell’intera narrazione) si presenta in 32 quotations. L’intervistato n. 25 � quello che produce un percorso narrativo con un maggior nu-mero di riassunti introduttivi: � come se egli, nel corso della stessa in-tervista, sviluppasse una serie di micronarrazioni, ciascuna in s� stes-sa completa e conclusa (comprendente cio� tutte le dimensioni preva-lenti che, in termini strutturali, definiscono una narrazione) con una forte caratterizzazione in senso valutativo (5 quotations, peraltro co-muni con l’intervistato n. 2 ma decisamente inferiori a quelle dell’intervistato n. 22).

La dimensione meno frequente nell’intero corpus dei dati � quella relativa all’illustrazione degli esiti dei percorsi d’azione e degli eventi (Result): si tratta di una evidenza che pu� sorprendere se valutata in

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assoluto. A nostro avviso, questo risultato � da ricondurre alla natura degli eventi narrati: si tratta di catene di eventi le cui conclusioni sono spesso negative per il protagonista dell’azione stessa (l’arresto) e, per certi aspetti, anche autoevidenti; fra gli eventi critici su cui gli intervi-stati ritenevano utile produrre una narrazione e intorno a cui impernia-vano gli altri fatti significativi, gli intervistati hanno spesso scelto il reato che li ha portati all’attuale detenzione: in questo senso, il “risul-tato” – la conclusione – dell’azione � ovviamente l’arresto e quindi la situazione detentiva nella quale si trovano al momento dell’intervista.

In diverse interviste (le nn. 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 18, 32) non � stato possibile rilevare alcuna componente strutturale: si tratta di testi molto destrutturati nei quali i narratori appaiono poco propensi a sviluppare narrazioni organiche e tematicamente integrate. Esse sono state tuttavia particolarmente utili per quanto riguarda l’analisi dei contenuti di cui abbiamo trattato nei paragrafi precedenti. Riprende-remo pi� avanti questo discorso cercando di capire quali sono le im-plicazioni dell’assenza di strutture narrative in alcuni testi.

6.2.1 Verifica delle relazioni e del modello

Per quanto riguarda la verifica delle relazioni fra le dimensionistrutturali delle narrazioni (con riferimento al modello di Labov) ci siamo avvalsi delle potenzialit� della funzione Query tool di ATLAS.ti.

La prima relazione riguarda la sequenza iniziale del percorso narra-tivo “Abstract Setting/Orientation”: secondo il modello di Labov (cfr. tab. I nel cap. 3), le due dimensioni strutturali comprendono ri-spettivamente una sezione opzionale che riassume i tratti salienti dell’evento e la descrizione delle informazioni di contesto (l’inquadramento all’interno del quale � collocata la scena narrata): attori, luoghi, situazione. La verifica di tale relazione implica che il ricercatore debba “testare”, attraverso il Query tool, diverse possibili relazioni strutturali.

Ad esempio, nella figura 46 abbiamo indicato la variazione dei ri-sultati sulla relazione di precedenza (“precedes”) fra “Abstract” e “Setting/Orientation” (cio�: i temi riconducibili alla dimensione “Ab-stract” precedono quelle relative alla dimensione “Set-ting/Orientation”?) a seconda della distanza in linee di testo con cui si presentano nelle narrazioni. In questa fase, tutte le possibili relazioni e le operazioni con Query tool sono condotte su tutte le interviste.

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La prima schermata della figura 46 mostra che ponendo fra i codici “Abstract” e “Setting/Orientation” una sola riga di testo ATLAS.ti e-strae 4 quotations evidenziate nella parte entro l’ovale (esse sono e-lencate anche nella parte in basso a destra nell’area dei risultati): in altri termini, si pu� dire che solo in 4 estratti narrativi Abstract prece-de Setting/Orientation.

Se cambiamo l’impostazione di default della distanza fino a 5 righe i risultati mostrano 5 quotations complessive; se portiamo a 10 le ri-ghe di testo (parte bassa della figura 46) le porzioni estratte diventano 11 ma � chiaro che, in termini concettuali, si tratta di una forzatura: non sembra possibile infatti considerare strutturalmente collegate due sequenze narrative che distano 10 righe di testo. Per questa ragione logica, abbiamo illustrato questa prima verifica in tutta la sua com-plessit�, ma nelle pagine successive ci limiteremo a rappresentare in maniera pi� sintetica solo le evidenze che sono logicamente plausibili.

E infatti, proprio per gli stessi codici (“Abstract” e “Set-ting/Orientation”) sono possibili altre relazioni strutturali: una verifica completa comporta la necessit� di mettere alla prova ogni eventuale relazione fra i codici indicati utilizzando tutti gli operatori di prossimi-t� disponili in ATLAS.ti (che abbiamo descritto nella figura 13 nelle pagine precedenti).

Nel caso specifico, come mostra la tabella VI, � necessario con-frontare il risultato di diverse operazioni di ricerca. Per maggiore semplificit�, l’output dei risultati riporta tutti i risultati in numero di quotations in un’unica tabella.

L’esito di questa prima verifica delle relazioni fra i temi narrativi riconducibili all’“Abstract” e quelli relativi al “Setting/Orientation” mostra che la relazione prevalente � quella in cui essi sono sovrapposti (“overlapping”): pi� esattamente, in 15 quotations (sulle 32 teoriche possibili)1 la dimensione della descrizione del contesto inizia durante la narrazione della sintesi dell’intero evento come � esemplificato nell’estratto n. 1 in cui viene narrato un omicidio.

1 Il concetto di “quotation teoriche”, fa riferimento all’eventualit� che tutte le cita-zioni del termine meno rappresentato (32 citazioni per il codice “Abstract”) possano essere tutte teoricamente in relazione a quelle del termine pi� rappresentato (Setting = 48). Nel caso specifico, il codice “Abstract” ha, nell’intera HU, 32 quotations delle quali 15 sono comuni con “Setting”.

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La ricerca

175

Tabella VI. Sintesi delle possibili relazioni fra i codici “Abstract” e “Set-ting/Orientation” nell’intera HU.

Estratto n. 1Domanda: Potrebbe raccontarmi il reato che ha commesso? Risposta: � successo che una settimana prima che succedesse ho pensato di farlo

e pensando alla fine della settimana ero molto deciso, poi mi sono posto il problema di come farlo. Ho pensato alla pistola ma poi ho avuto difficolt� nel repe-rirla, ho pensato al coltello, ma poi ho scartato anche que-sto, alla fine un cavo d'acciaio. Ho aspettato che mia madre tornasse dal lavoro e le ho messo il cavo intorno al collo e l'ho praticamente uccisa guardandola negli occh; e questa cosa ha fatto molto scal-pore al processo, poi ho portato il corpo in un'altra stanza e ho aspettato che mio padre tornasse, mi sono seduto su una sedia all'ingresso, s� all'ingresso e ho aspettato, quan-do � entrato ho fatto la stessa cosa anche a lui. Poi ho spo-stato il corpo nella stessa stanza di prima e sono uscito e

2 Il numero fra parentesi indica il numero complessivo di quotations relative a quello specifico codice.

3 Nel caso specifico (e nelle tabelle successive) tutte le relazioni strutturali oltre “precedes” non sono logicamente passibili di differenze in dipendenza dalla distanza in linee di testo fra i codici.

Dimensione strutturale_1

Operato-re

Dimensione strutturale_2

Risultato_1quota-

tions/righe

Risultato_2quota-

tions/righe

Risultato_3quota-

tions/righe

ABSTRACT (32)2 precedes SETTING (48)

4 quota-tions

/1 riga

5 quota-tions

/5 righe

11 quota-tions

/10 righe

ABSTRACT (32) follows SETTING (48) 1 quotation3

ABSTRACT (32) overlaps SETTING (48) 1 quotation

ABSTRACT (32)

overlap-ped by SETTING (48) 15 quotations

ABSTRACT (32) within SETTING (48) 4 quotations

ABSTRACT (32) encloses SETTING (48) 1 quotations

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Capitolo IV

176

sono andato a farmi una pera. Sono tornato la mattina per occultare i corpi e ho abbassato i sedili della macchina e l'ho messi l�, si vedevano ma non mi vide nessuno.

In maniera analoga � stata testata la relazione strutturale fra la di-

mensione narrativa “Setting/Orientation” e quella in cui viene descrit-to l’evento precipitante che ha condotto al compimento del reato (“Complication”). La sintesi dei risultati, nei due sensi logicamente possibili (“Setting” “Complication” oppure “Complication” “Setting”), � riportata nelle tabelle VII e VIII4:

Tabella VII. Sintesi delle possibili relazioni “Setting/Orientation” “Complication” nell’intera HU.

Dimensione strutturale_1 Operatore Dimensione strut-

turale_2Risultato_1

quotations/righeRisultato_2

quotations/righe

SETTING (48) precedes COMPLICATION (46)

6 quotations/1 riga

11 quotations/5 righe

SETTING (48) follows COMPLICATION (46)

3 quotations/1 riga

6 quotations/5 righe

SETTING (48) overlaps COMPLICATION (46) 1 quotation

SETTING (48) overlapped by

COMPLICATION (46) 6 quotations

SETTING (48) within COMPLICATION(46) 4 quotations

SETTING (48) encloses COMPLICATION (46) 8 quotations

Complessivamente i risultati sono di difficile interpretazione: l’elemento pi� certo � che in nessun caso (zero quotations estratte) i codici riferibili all’evento critico (“Complication”) precedono quelli della descrizione del contesto (“Setting/Orientation”); in tutti i casi, l’intensit� della relazione � molto bassa: 11 � il numero di quotationspi� alto che si ritrova “Complications” follow “Setting” con distanza di 5 righe che � speculare a “Setting” precedes “Complication” con distanza di 5 righe. In questi casi, tuttavia, la proporzione fra il nume-

4 D’ora in poi, tralasceremo di riportare i passaggi tecnici esemplificati dalle schermate di ATLAS.ti, ritenendo che sia ormai chiara al lettore la logica sottostante alle procedure eseguite.

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La ricerca

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ro di quotations estratte (11) e le quotations teoriche (46) non consen-te di interpretare il risultato come particolarmente interessante: � come se dicessimo che in soli 11 passaggi di tutte le narrazioni gli intervista-ti descrivono il contesto specifico in cui il reato ha avuto luogo prima di aver spiegato il perch� l’hanno effettivamente messo in atto. � pos-sibile dunque che le categorie narrative riferite alle due dimensioni siano sostanzialmente indipendenti e diffuse per tutta l’estensione del-le interviste senza che sia possibile definire univocamente una rela-zione specifica.

Tabella VIII. Sintesi delle possibili relazioni “Complication” “Setting/Orientation”nell’intera HU.

Dimensione strut-turale_1 Operatore Dimensione

strutturale_2Risultato_1

quotations/righeRisultato_2

quotations/righe

COMPLICATION (46) precedes SETTING (48) 0 quotations

/1 riga6 quotations

/5 righe

COMPLICATION (46) follows SETTING (48) 6 quotations

/1 riga11 quotations

/5 righe

COMPLICATION (46) overlaps SETTING (48) 6 quotations

COMPLICATION (46)

overlapped by SETTING (48) 1 quotation

COMPLICATION (46) within SETTING (48) 4 quotations

COMPLICATION (46) encloses SETTING (48) 8 quotations

Nel momento in cui entra nel gioco delle relazioni fra dimensioni narrative quella da cui il modello di Labov prende il nome, l’Evaluation, i tentativi di scoprire la struttura intrinseca delle narra-zioni sulle azioni devianti diventano pi� complessi, ma – allo stesso tempo – i risultati pi� evidenti.

Seguendo l’approccio esplorativo che abbiamo proposto nelle ul-time pagine, infatti, � utile proseguire attraverso confronti fra le di-mensioni a due a due. In questo modo, si pu� dedurre, dall’interpretazione degli esiti di ogni sequenza di confronti, una strut-tura comune in tutta l’HU.

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Capitolo IV

178

La tabella IX mostra i diversi pattern di co-occorrenze. La dimen-sione “Evaluation” risulta essere fortemente interrelata sia alla descri-zione degli eventi critici (“Complication”) – senza tuttavia una netta prevalenza in termini di precedenza o sequenza – sia, in termini quali-tativamente e quantitativamente ancora pi� importanti, con la defini-zione del contesto in cui l’azione ha avuto luogo (“Set-ting/Orientation”).

Tabella XI. Sintesi delle possibili relazioni fra “Evaluation” e le altre dimensioni strutturali nell’intera HU.

Dimensione strut-turale_1 Operatore Dimensione strut-

turale_2Risultato_1

quotations/righeRisultato_2

quotations/righe

COMPLICATION (46) precedes EVALUATION

(83)8 quotations

/ 1 riga14 quotations

/ 5 righe

COMPLICATION (46) follows EVALUATION

(83)9 quotations

/ 1 riga17 quotations

/ 5 righe

COMPLICATION (46) within EVALUATION

(83) 4 quotations

COMPLICATION (46) encloses EVALUATION

(83) 4 quotations

COMPLICATION (46)

overlapped by

EVALUATION (83) 8 quotations

COMPLICATION (46) overlaps EVALUATION

(83) 5 quotations

EVALUATION (83) precedes COMPLICATION

(46) 9 quotations

/ 1 riga14 quotations

/ 5 righe

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La ricerca

179

EVALUATION (83) follows COMPLICATION

(46) 8 quotations

/ 1 riga17 quotations

/ 5 righe

EVALUATION (83) within COMPLICATION

(46) 5 quotations

EVALUATION (83) encloses COMPLICATION

(46) 4 quotations

EVALUATION (83)

overlapped by

COMPLICATION (46) 5 quotations

EVALUATION (83) overlaps COMPLICATION

(46) 8 quotations

EVALUATION (83) precedes ABSTRACT (32) 1 quotation

/ 1 riga6 quotations/ 5 righe

EVALUATION (83) follows ABSTRACT (32) 3 quotations

/ 1 riga9 quotations

/ 5 righe

EVALUATION (83) within ABSTRACT (32) 1 quotation

EVALUATION (83) encloses ABSTRACT (32) 1 quotation

EVALUATION (83)

overlapped by ABSTRACT (32) 0 quotations

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Capitolo IV

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EVALUATION (83) overlaps ABSTRACT (32) 2 quotations

SETTING (48) precedes EVALUATION (83)

11 quotations/1 riga

20 quotations/5 righe

SETTING (48) follows EVALUATION (83)

12 quotations/1 riga

16 quotations/5 righe

SETTING (48) overlaps EVALUATION (83) 4 quotations

SETTING (48) overlapped by

EVALUATION (83) 13 quotations

SETTING (48) within EVALUATION (83) 1 quotation

SETTING (48) encloses EVALUATION (83) 5 quotations

EVALUATION (83) precedes SETTING (48) 12 quotations

/1 riga16 quotations

/5 righe

EVALUATION (83) follows SETTING (48) 11 quotations

/1 riga21 quotations

/5 righe

EVALUATION (83) overlaps SETTING (48) 13 quotations

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La ricerca

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EVALUATION (83)

overlapped by SETTING (48) 4 quotations

EVALUATION (83) within SETTING (48) 6 quotation

EVALUATION (83) encloses SETTING (48) 1 quotation

In entrambi i casi (“Complication” overlapped by “Evaluation”,“Setting” overlapped by “Evaluation” e – naturalmente – nelle rela-zioni a loro speculari), � evidente una forte co-occorrenza in termini di sovrapposizione: riteniamo questa evidenza particolarmente degna di nota e densa di implicazioni: il fatto che le dimensioni di valutazione vera e propria degli eventi siano cos� concatenati con gli altri temi strutturali e strutturanti delle narrazioni costituisce una implicita con-ferma dell’Evaluation model anche in contesti di costruzione narrativa non consueti per l’applicazione di tale modello quale quello del quale ci stiamo occupando.

A sostegno della bont� del modello, c’� l’evidenza che i risultati delle co-occorrenze fra “Evaluation” e “Abstract” non sono partico-larmente significativi: molto bassa la quantit� di estratti di testo che collegano le due dimensioni e, conseguentemente, altrettanto trascura-bile la qualit� di tali associazioni. A considerare questa parte dei risul-tati, la relazione � destinata a essere trascurabile: tuttavia, come ab-biamo avuto modo di verificare variando la distanza in righe di testo fra “Evaluation” e “Abstract”, � intuibile che all’interno delle stesse narrazioni (almeno di quelle pi� estese) una nuova sequenza narrati-va inizi alla conclusione della precedente. Si tratta probabilmente di quelle sequenze narrative che abbiamo identificato come momenti di passaggio fra la fine di una narrativa principale e l’esordio di un’altra all’interno della stessa narrazione: all’interno di sequenze discorsive molto estese (come quelle che abbiamo analizzato), infatti, � stato possibile rilevare una “circolarit� strutturale” per cui al termine della narrazione di un serie di eventi di per s� conclusi (chiaramente circo-scrivibili nei confini di apertura e chiusura) la narrazione prosegue con una nuova sequenza a partire dalla dimensione strutturalmente deputa-

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Capitolo IV

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ta all’esordio di una nuova serie di eventi (l’Abstract). Una chiara e-semplificazione di questo meccanismo di “circolarit� strutturale” � presente nell’estratto n. 2:

Estratto n. 2:Risposta: Nel frattempo ho fatto quello che ho potuto del mio... di-

ciamo... secondo lavoro..., per cui dalle 18 alle 22 (se va bene) faccio quello che devo fare: comprare e vendere ero-ina e cocaina. In realt� torno a casa verso le tre del mattino: ho solo cor-so... non ho tempo per me, lo scooter segna 70, 80, 100 km al giorno, con la macchina ne faccio altri 500 a settimana. Poi ci sono i problemi, clienti da trovare, merci da assag-giare... questo significa che torni alle 7 di notte: non ho mangiato, non ho avuto tempo per me, non ho avuto tempo per la persona a cui voglio bene, che mi ha prepara-to la cena, che sperava che tornassi alle 22... che ha pi� bi-sogno di me di quanto io ne ho di lei... dalle tre alle otto � il tempo per me e per lei... per� sotto il mattone c'� qualche soldo in pi�. Tutto questo con l'idea di realizzare un so-gno... Allora la situazione � la seguente... la famiglia nes-sun appoggio... a lei non piace... come non � piaciuta a nessuna ragazza. Lo stipendio migliore offertomi sono 1000 euro al mese, appena sufficienti per camparci... per cui razionalmente non ho fatto altro che continuare sul-la strada che mi � stata indicata chiaramente dai tanti col-loqui fatti, o dalle tante possibilit� offertemi... il sogno � prendere lei � andare a Srinagar, nel Kashmir (fra Cina, Afghanistan e India): tre-quattro secoli fa gli In-glesi passavano dal Kashmir per andare in India... gli abitanti del luogo permisero loro di passare ma non di costruire nulla sulla terra: gli Inglesi, furbissimi, costrui-rono le case sull'acqua, le boohouse; portare l� lei, la bambina (o maschietto) che deve nascere... e stare l� tranquillo... con l'affitto dell'appartamento di Roma... stare l� in quel posto lontano. E' un posto cos� buono dove il reato pi� grave che succede � il furto con destrezza.

Domanda: ...sogno? Risposta: obiettivo. poi piano piano...

Nell’esempio riportato � assente il codice “Result” che, nel model-lo di Labov, identifica il tema narrativo relativo alla risoluzione

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La ricerca

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dell’evento problematico. Si tratta di un’evidenza abbastanza condivi-sa nell’intero corpus dei testi che abbiamo analizzato: nonostante il codice “Result” si presenti complessivamente 21 volte, si tratta di se-quenze narrative che non hanno particolari forme di relazione con gli altri codici. La tabella X mostra le specifiche co-occorrenze strutturali fra “Result” e “Evaluation”: dal punto di vista logico, la narrazione della risoluzione dell’evento dovrebbe seguire una sua messa in di-scussione e valutazione ma nella realt� dei testi che abbiamo analizza-to non � affatto cos�.

La ragione di questo risultato che pu� apparire insolito (cio�, che le sequenze di eventi narrati non abbiano una sezione specificamente de-dicata alla conclusione, alla narrazione della risoluzione dell’evento) � spiegabile, a nostro avviso, valorizzando il contesto di elicitazione delle narrazioni: tutte le interviste sono state condotte in carcere: que-sta definizione di contesto � probabilmente sufficiente a “illustrare” l’esito (chiaramente negativo) dell’evento narrato.

Tabella X. Sintesi delle possibili relazioni fra “Result” e “Evaluation” nell’intera HU.

Dimensione strutturale_1 Operatore Dimensione

strutturale_2Risultato_1quot./righe

Risultato_2/righe di testo

RESULT (21) precedes EVALUATION (83)

4 quotations/1 riga

9 quotations/5 righe

RESULT (21) follows EVALUATION (83)

4 quotations/1 riga

8 quotations/5 righe

RESULT (21) overlaps EVALUATION (83) 3 quotations

RESULT (21) overlapped by

EVALUATION (83) 0 quotations

RESULT (21) within EVALUATION (83) 0 quotations

RESULT (21) encloses EVALUATION (83) 1 quotations

� come se – raccontando storie di reati – la costruzione narrativa fosse articolata in tutte le sue parti tranne che nella sezione conclusiva, quella che in qualunque storia servirebbe al narratore per chiarire al lettore/ascoltatore i reali termini della risoluzione degli eventi. In altreparole, il contesto favorirebbe un’implicita e condivisa attribuzione di

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Capitolo IV

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significati alla storia narrata (il reato) come un evento che ha avuto un esito negativo: l’arresto. L’ammissione del fallimento dell’azione, da una parte, e l’ovviet� della situazione (l’intervista si svolge in carce-re), dall’altra, rende superfluo introdurre il tema narrativo della risolu-zione dell’evento: esso � gi� evidente e di facile interpretazione.

L’ultimo elemento strutturale di cui dobbiamo parlare � la “Coda”, la dimensione opzionale che chiude una sezione narrativa.

Anche la “Coda”, come il “Result”, ha un’incidenza tutto sommato bassa: 40 quotations delle quali pochissime sono co-occorrenti con al-tri codici di dimensioni strutturali. Nella tabella XI abbiamo riportato i risultati che il Query tool ha fornito sulla co-occorrenza generica5 (il tasto della funzione � l’ultimo in basso a sinistra nella figura 13) fra “Coda” e tutti gli altri codici strutturali:

Tabella XI. Sintesi delle co-occorrenze fra “Coda” e gli altri operatori di prossimit�.

Dimensione strutturale_1 Operatore Dimensione strut-

turale_2Risultato_1quot./righe

Risultato_2/righe di testo

CODA (40) cooccur EVALUATION (83) 11 quotations

CODA (40) cooccur SETTING (48) 3 quotations

CODA (40) cooccur COMPLICATION (46) 1 quotation

CODA (40) cooccur ABSTRACT (32) 1 quotation

CODA (40) cooccur RESULT (21) 1 quotation

Nell’estratto n. 2, citato in precedenza, la parte “per cui razional-mente non ho fatto altro che…” � una “Coda” nel senso che chiude –un po’ come una morale della favola – una sequenza narrativa riassu-mendone implicitamente o esplicitamente le caratteristiche principali (nell’esempio si tratta di una sequenza conclusiva a forte connotazione

5 La funzione di co-occorrenza generica nel Query tool di ATLAS..ti include con-temporaneamente quattro operatori di prossimit� (“within”, “encloses”, “overlaps”, “overlapped by”): il suo utilizzo quindi rappresenta la ricerca di un’eventuale associa-zione strutturale fra codici senza la pretesa di identificarne esattamente la natura.

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La ricerca

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ironica). Immediatamente dopo inizia un’ulteriore argomentazione o-rientata a illustrare un aspetto che era stato accennato in precedenza (il tema narrativo del “sogno”, dell’ideale di vita successiva all’uscita dal carcere): comincia direttamente da una dimensione di descrizione di un contesto storico, ma questo viene subito contestualizzato nel pre-sente (il posto ideale dove sarebbe bello essere ora) e nel futuro (il po-sto ideale dove sar� bello andare dopo la carcerazione). La funzione narrativa della “Coda” �, in questo caso, quella di dare il via a una nuova sequenza narrativa.

Il modello desumibile dai risultati appena illustrati � rappresentato nella figura 476:

Figure 47. Modello strutturale dell’HU.

6.3 Relazioni specifiche per categorie (reati ed esperienza)

In questo paragrafo, a partire dai risultati introduttivi delineati in precedenza, proveremo a trarre delle conclusioni per quanto riguardal’associazione in pattern strutturali e di contenuto condivisi fra due differenti categorie in cui abbiamo raggruppato i rispondenti alle in-terviste.Nell’operare una prima categorizzazione ci siamo basati sul tipo di re-ato commesso. Tutte le interviste-PD sono state inserite in PD-families (cfr. � 5.2). Come mostra la figura 12 (nelle pagine preceden-

6 Le relazioni fra i nodi della Network view sono impostate per mezzo del Relation editor di ATLAS.ti: la relazione “associated but not closely” � definita dall’utente; la relazione “is part of” � fornita di default dal programma e qui utilizzata per rappresen-tare l’evidenza di sovrapposizione del codice fonte verso il codice destinazione.

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Capitolo IV

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ti) il risultato di questa operazione � il seguente: omicidi, rapine e fur-ti, reati legati alla droga; truffa e ricettazione.

Il secondo gruppo di documenti primari � dato dagli anni di espe-rienza. Per operare questa categorizzazione ci siamo basati sulla di-stinzione fatta da Roger Matthews (2002) e della quale abbiamo parla-to nel � 5.2 (in questo capitolo): l’Autore distingue 3 categorie7: dilet-tanti (o novizi), gli intermedi, i professionisti (o esperti).

Tecnicamente, questa distinzione � stata operazionalizzata facendo riferimento alle risposte fornite dagli intervisti alle domande nn. 38-39 poste alla fine dell’intervista narrativa (App. B): pi� esattamente, gli intervistati sono stati collocati nelle famiglie di documenti primari in base ai criteri:

– “nessuna detenzione precedente” o “una detenzione preceden-te”: dilettante

– “due” o “tre detenzioni precedenti”: intermedio– “pi� di tre detenzioni precedenti”: esperto.

Leggendo le trascrizioni delle interviste � tuttavia evidente che al-cuni rispondenti, pur essendo alla prima detenzione, hanno un ampio trascorso di devianza: in questi casi, con riferimento alla domanda n. 7 della traccia di intervista sulla carriera deviante (“Ricorda il primo reato?”), abbiamo rilevato l’effettiva esperienza di permanenza nel circuito della criminalit�. In generale, come mostra la finestra 11, nel-la categoria “esperti” fanno parte soprattutto i rapinatori (9 esperti su 13), gli “intermedi” sono suddivisi fra tutte le categorie di reato, i 6 “novizi” su 8 sono colpevoli di omicidio.

Da questo risultato descrittivo, si potrebbe dedurre che i due prin-cipali criteri di differenziazione degli intervistati (“esperienza sul campo” e “reato commesso”) siano tendenzialmente sovrapponibili: in verit� non � cos� in quanto il reato per cui viene scontata l’attuale de-tenzione non � in tutti i casi l’unico reato commesso8: per questa ra-gione, l’esperienza di devianza � talvolta pi� vasta e, soprattutto, pi�

7 � necessario precisare che l’Autore si riferisce, in particolare, all’esperienza dei rapinatori a mano armata: egli arriva a definire la categorizzazione dalle risposte che i partecipanti ai suoi progetti di ricerca danno a una serie di interviste qualitative.

8 A questo riguardo � particolarmente informativa la domanda n. 40 (Appendice B).

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La ricerca

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varia di quanto appare seguendo il criterio nominale dell’imputazione attuale.

Finestra 11. Suddivisione delle interviste narrative per anni di esperienza dell’autore del reato.

Rispetto agli obiettivi della ricerca, la verifica dell’esistenza di e-ventuali costruzioni narrative specifiche differenziate per tipi di reati commessi, abbiamo proceduto nel modo descritto di seguito:

Primary Doc Families____________________________________________________________

Primary Doc Family: EspertiCreated: 18/10/04 20.43.51 (Super) Primary Docs (13): [P 1: 3Reb - rapine_furti.txt] [P 4: 10Reb -ricettazione.txt] [P10: 21Reb - rapina.txt] [P13: 25Reb - rapina.txt] [P15: 27Reb - rapina.txt] [P18: 32Reb - rapina_tentato_omic.txt] [P19: 2.1furto-MB-azione.carriere.txt] [P25: 2.7detenzione e spaccio-RP-carriere.txt] [P26: 4.1rapine-GD-azione.txt] [P27: 4.2rapine-RB-carriere.txt] [P28: 4.3spaccio.stupef.-ME-carriere.txt] [P30: 5.1rapina-VS-azione.carriere.txt] [P31: 5.2rapina-ED-carriere.txt] Quotation(s): 641____________________________________________________________

Primary Doc Family: IntermediCreated: 18/10/04 20.43.12 (Super) Primary Docs (13): [P 2: 5Reb - rapina_omicidio.txt] [P 7: 16Reb -omicidio.txt] [P 9: 20Reb - omicidio.txt] [P12: 24Reb - traffico_droga.txt] [P16: 30Reb - detenzione_stupefacenti.txt] [P20: 2.2furto-SR-azione.carriere.txt] [P21: 2.3rapina-MS-azione.carriere.txt] [P22: 2.4rapina-LT-azione.carriere.txt] [P23: 2.5spaccio.stupef.-TD-carriere.txt] [P24: 2.6spaccio.stupef.-RP-carriere.txt] [P29: 4.4traffico.stupef.-DM-azione.carriere.txt] [P33: 6.2rapina-CM-carriera.azione.txt] [P34: 6.3rapina-MI-carriera.azione.txt] Quotation(s): 682____________________________________________________________

Primary Doc Family: NoviziCreated: 18/10/04 20.43.22 (Super) Primary Docs (8):[P 3: 7Reb - rapina.txt] [P 5: 13Reb - omicidio.txt] [P 6: 14Reb - omicidio.txt] [P 8: 19Reb - omicidio.txt] [P11: 23Reb - omi-cidio.txt] [P14: 26Reb - omicidio.txt] [P17: 31Reb - parricidio.txt] [P32: 6.1furto-AC-azione.txt] Quotation(s): 324

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Capitolo IV

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– sono stati impostati separatamente i filtri per ciascuna PD-family al-la volta (per il fattore esperienza: “esperti” / “intermedi” / “novizi”; per il fattore reato: “rapine e furti” / “omicidio” / “reati legati alla droga” / “truffa e ricettazione”)9;– sono stati richiesti ad ATLAS.ti le tabelle di output sulle frequenze di incrocio fra codici e documenti primari mediante la funzione “Co-de Output Code-Primary Documents-Table Standard report”10.

La tabella XII mostra il risultato dell’operazione rispetto ai reati legati alla droga (detenzione, traffico e spaccio).

Tabella XII. Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Reati legati alla droga”.

--------------------Codes-Primary-Documents-TableCode-Filter: AllPD-Filter: Primary Doc Family reati legati alla droga---------------------------------------------------------PRIMARY DOCS CODES

12 16 23 24 25 28 Tot.---------------------------------------------------------ABSTRACT 0 0 1 3 4 1 9SETTING/ORIENTATION 0 0 3 3 4 2 12COMPLICATION 0 0 2 5 3 0 10EVALUATION 0 0 6 3 5 4 18CODA 0 0 2 2 1 1 6Colpevolizzaz.istituzioni 2 0 0 0 1 3 6Pos.morale11:derespons. 0 0 1 2 2 0 5Preoccupaz. per famiglia 2 1 0 3 0 0 6

Essa illustra, in riga, i fattori che risultano quantitativamente pi� salienti per lo specifico gruppo di interviste e, in colonna, tutte le in-terviste che ne fanno parte (le nn. 12, 16, 23, 24, 25, 28)12. In ciascuna

9 Il percorso in A5 � “Documents Filter All Families”10 Non si far� riferimento ai risultati relativi alla PD-family “truffa e ricettazione”,

includendo questa un solo documento primario (una sola intervista).11 Con l’abbreviazione si intende, da adesso in poi, “Posizionamento nell’ordine

morale”.12 Nella redazione del layout grafico della tabella ci siamo attenuti fedelmente

all’output fornito da A5 con due eccezioni: (a) sono state eliminate alcune righe de-scrittive dell’HU all’inizio della tabella, (b) sono stati mantenuti nella tabella solo i codici con un numero di quotations estratte pari o superiore a 5. Nella tabella XII so-no presenti quindi 8 codici.

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La ricerca

189

cella � presente il numero di quotations estratte per ciascun incrocio “tema x intervista”.

Da una prima valutazione preliminare, � evidente come gli intervi-stati nn. 12 e 16 siano quelli che rappresentano meno la categoria in quanto portatori di pochi temi narrativi (fra quelli considerati salienti per tutta la family); il codice pi� rappresentato � quello relativo alla componente valutativa del modello strutturale (“Evaluation”) con 18 quotations.

Complessivamente, le narrazioni degli imputati per detenzione, spaccio o traffico di stupefacenti comprendono quasi tutti i temi narra-tivi relativi al modello strutturale (tranne “Result”)13. Per quanto ri-guarda i contenuti specifici, i temi narrativi salienti in queste narrazio-ni sono quelli – concettualmente e logicamente speculari – relativi alla deresponsabilizzazione dell’attore rispetto all’azione e della colpevo-lizzazione delle istituzioni. Coerentemente con i responsabili di altri reati (come vedremo), manifestano una preoccupazione per le sorti della famiglia che rimane fuori dal carcere durante la loro detenzione.

Le narrazioni degli intervistati accusati di omicidio mostrano delle differenze rispetto al gruppo precedente (tabella XIII): in primo luogo, sono presenti 20 codici (sempre con un numero di quotations pari o superiore a 5); per quanto riguarda le dimensioni strutturali, tuttavia, le narrazioni ne comprendono solo tre (“Abstract”, “Complication”, “Evaluation”) e – a fronte di un numero maggiore di interviste – con un’incidenza decisamente pi� bassa rispetto a quanto illustrato nella tabella XII.

L’assenza della dimensione “Setting/Orientation” (ricordiamo che si tratta di una minore salienza rispetto agli altri temi, non di un’assenza vera e propria) ha probabilmente il significato di una poca attenzione alla descrizione degli aspetti di contesto in cui l’azione si � svolta: per gli intervistati che rappresentano questo reato � importante specificare quale evento precipitante ha condotto all’omicidio ed e-sprimenere una loro valutazione (come vedremo puntando l’attenzione sugli altri codici presenti nella tabella XIII).

13 Probabilmente per le ragioni descritte in precedenza sull’evidenza dell’esito dell’azione.

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Capitolo IV

190

Tabella XIII. Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la fami-glia “Omicidi”.

--------------------Codes-Primary-Documents-Table--------------------Code-Filter: AllPD-Filter: Primary Doc Family omicidi---------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS CODES

2 5 6 7 8 9 11 13 14 17 Tot.---------------------------------------------------------------ABSTRACT 3 0 0 1 0 0 0 0 0 1 5COMPLICATION 3 0 0 1 0 0 0 0 0 1 5EVALUATION 5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 5Aggressivit� reattiva 0 0 0 1 0 0 3 1 2 0 7ambivalenza/dissonanza 1 3 2 0 1 0 3 2 0 0 12attribuzione all'ambiente 2 1 1 0 3 2 0 0 1 0 10carcere come riflessione 2 2 0 1 4 2 3 3 3 5 25descrizione comportamenti 2 1 0 1 0 0 1 0 1 1 7perdita degli affetti 1 0 0 0 1 1 2 1 1 0 7funz. maturativa carcere 0 1 0 0 3 2 0 0 0 0 6reato come incid. critico 0 2 2 0 2 0 1 0 0 0 7immaturit� causa reato 1 1 0 0 6 2 1 0 0 0 11inevitabilit� percorso 0 0 2 1 1 1 0 1 1 0 7movente strument. carriera 1 1 0 0 1 2 0 0 0 0 5omicidio non pianificato 0 0 1 2 1 0 3 0 1 0 8preoccupazione famiglia 0 0 3 0 0 2 0 0 0 0 5reazione non violenta f.o. 0 1 1 1 0 0 0 0 1 1 5reazione posit.persone care 0 0 1 0 1 0 1 0 1 1 5ricordi 1 0 1 0 0 1 1 1 0 0 5vita felice e serena14 1 0 1 1 0 0 0 2 2 0 7----------------------------------------------------------------

Pi� specificamente, il tema narrativo che prevale � quello della funzione maturativa e responsabilizzante della detenzione (“carcere come riflessione”): si tratta di un codice che include – per il gruppo di intervistati colpevoli di omicidio – 25 estratti narrativi (a fronte dei 50 complessivi per tutta l’HU).

Altre informazioni significative arrivano dai codici “ambivalen-za/dissonanza” (12 porzioni di testo riferite) e “immaturit� causa rea-to” (11) e “attribuzione all’ambiente” (10). Si tratta di tre temi narrati-vi molto presenti anche nel resto dell’HU, ma che in questo contesto assumono un significato peculiare: tutti e tre sono inquadrabili nella componente valutativa della narrazione ed esprimono, da una parte, una difficolt� a valutare oggettivamente la situazione che ha portato al reato e, dall’altra, una tendenza attributiva diretta all’esterno (nei ter-

14 Si intende prima della commissione del reato.

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La ricerca

191

mini generici dell’ambiente) ma anche parzialmente verso l’interno (il tema dell’immaturit� che ha preceduto e causato il reato).

In 8 casi, si fa riferimento alla mancanza di pianificazione dell’azione-omicidio. Come sar� descritto a proposito delle rapine, iltema della pianificazione � una delle principali differenze fra la co-struzione narrativa degli omicidi e quella delle rapine.

Un altro tema che ci sembra utile sottolineare � quello della “perdi-ta degli affetti” (7 quotations): gli intervistati che parlano di omicidi enfatizzano il fatto di aver perso i contatti dalle persone care. Anche in questo caso di tratta di una differenza sostanziale rispetto alla costru-zione narrativa delle rapine. Come mostra la tabella 12, infatti, la “re-azione positiva dei cari” (8 quotations) � uno dei temi narrativi preva-lenti.

Non � possibile, a partire dalle informazioni a disposizione, rileva-re una salienza narrativa dei temi relativi agli effetti comunicativi dell’azione deviante: l’ipotesi che le azioni violente, gli omicidi pi� efferati, abbiamo un movente prevalentemente di tipo espressivo-comunicativo (secondo il modello che abbiamo descritto nel cap. 1 � 2.1 e in De Leo e coll. 2004; De Leo e Patrizi 1999; De Leo e Patrizi 2002) non pu� essere valutata in questo contesto specifico.

Si tratta probabilmente di una implicazione teorico-empirica che va approfondita in ricerche successive e che tuttavia ha mostrato una sua validit� soprattutto in riferimento agli omicidi violenti con carattere di serialit� (come se, in altre parole, la funzione espressiva delle azioni dei serial killer fosse data anche dal filo conduttore sottostante alle ca-tene di reati: cfr. a riguardo, De Leo e coll. 2004a; Canter e Alison 1999; Picozzi e Zappal� 2002).

Per quanto riguarda le dimensioni strutturali, le narrazioni rilascia-te dagli intervistati-rapinatori sono complete di tutte le dimensioni fondanti il modello di Labov, incluso il fattore “Result” (che mancava nelle due PD-families precedenti).

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Cap

itolo

IV

174

Tabe

llaX

IV.O

utpu

t del

le fr

eque

nze

dei f

atto

ri st

ruttu

rali

e di

con

tenu

to p

er la

fam

iglia

“R

apin

e e

furti

”.--------------------

Codes-Primary-Documents-Table

PD-Filter: Primary Doc Family rapine e furti

-------------------------------------------------

PRIMARY DOCS

CODES

1 2

3 10 13 15 18 21 22 26 27 30 31 32 33 34 Tot.

---------------------------------------------------------------------------

ABSTRACT 1

3 0

0 0

0 0

2 2

1 2

1 2

0 1

1 16

COMPLICATION 3

3 1

0 0

0 0

3 7

1 4

2 2

0 2

4 32

EVALUATION 8

5 1

0 0

0 0

2 11 4

6 4

3 0

4 4

52RESULT

1 1

1 0

0 0

0 1

3 0

1 2

1 0

1 3

15SETTING/ORIENTATION 4

2 0

0 0

0 0

2 5

4 1

2 1

0 2

2 25

CODA 1

2 0

0 0

0 0

3 6

2 4

3 2

0 2

1 26

adrenalina/sensazioni0

0 0

2 0

0 0

0 1

1 0

0 1

0 0

0 5

aggressivit� reattiva0

0 0

0 1

0 0

0 0

0 0

0 1

0 1

2 5

ammissione colpevol. 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 2

0 1

1 1 0

5anticipaz. Imprevisti0

0 0

0 0

0 0

0 1

3 1

1 0

0 0

1 7

attribuz.ad ambiente

2 2

4 1

0 0

0 3

0 0

0 1

0 0

0 2

15attrib. alla droga

0 0

0 2

0 0

0 0

1 0

0 0

0 1

1 1

6attrib.alla famiglia

0 0

1 1

0 0

0 1

0 0

0 0

0 0

1 1

5autoeffic./orgoglio

5 1

0 0

0 0

0 2

3 0

0 4

1 0

0 0

16carcere = riflessione1

2 1

4 3

3 4

1 3

1 0

0 0

0 1

0 24

colpevol. Istituzioni0

0 1

0 0

1 0

0 0

1 4

0 2

0 0

0 9

deresponsabilizzaz.

0 0

1 0

0 0

0 2

2 1

2 0

0 0

0 0

8

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La ri

cerc

a

193

descrizione comport.

0 2

0 1

0 0

0 0

0 4

0 3

0 0

1 1

12eff.relazione/azione

0 1

0 0

0 0

0 0

0 1

0 0

2 0

1 0

5eff.relazione/carr.

2 1

10

0 0

0 0

0 1

0 0

0 0

1 0

6eff.S�:soddisfazione

1 1

1 0

0 0

0 0

0 4

2 2

3 0

0 0

14effetti cambiamento

0 1

1 0

0 0

1 0

0 1

2 0

1 1

0 0

8immaturit� come causa1

1 1

0 0

0 1

0 1

0 0

0 0

0 0

1 6

inevitabiledevianza

2 0

2 0

1 1

0 2

0 0

2 1

0 0

1 2

14mancanza di una guida0

0 0

2 0

1 0

1 0

0 1

2 1

0 0

0 8

mov.strument.carriere0

1 0

1 0

0 2

0 3

0 3

2 3

0 1

0 16

mov.strumentale reato3

0 1

2 0

2 1

2 1

0 1

0 1

0 2

1 17

no pianificazione

0 1

1 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 2

1 0

5non farmale a vittim0

0 0

0 0

0 0

0 1

3 2

2 0

0 0

2 10

non pi� reati

0 0

0 0

0 0

0 0

3 1

0 0

0 1

1 1 7

pianificaz.Rigorosa

2 1

0 2

1 0

1 2

2 1

0 2

0 0

0 1

15Pos.: maturazione

1 2

1 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

1 0

5Pos.: necessit�

1 0

0 0

0 0

0 1

3 0

2 0

0 0

0 1

8Pos.:"professionista”0

0 0

0 0

0 0

1 3

1 0

0 0

0 0

0 5

Pos.:autocolpevoliz.

0 0

0 0

0 0

0 0

2 2

2 0

0 0

1 1

8preoccupaz.x famiglia0

0 0

0 0

2 0

0 3

1 1

0 0

0 0

0 7

reato pensato da altr1

0 1

0 0

2 1

0 0

0 0

0 0

0 0

0 5

reazione posit.cari

1 0

0 1

0 2

0 1

2 0

1 0

0 0

0 0

8ricaduta in devianza

1 1

0 1

0 0

0 0

0 0

0 0

1 0

0 1

5rifiuta violenza

0 0

0 0

0 0

0 0

1 1

1 2

0 0

0 0

5tossicodipend. causa 0

0 0

1 0

0 0

13

0 2

0 0

0 0

0 7

vita felice e serena

0 1

0 0

2 0

1 1

0 0

0 0

0 0

0 1

6

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Capitolo IV

194

Per la spiegazione di questo fenomeno � necessario far riferimento alla natura del reato: i rapinatori che abbiamo intervistato, a differenza degli autori di omicidi, raccontano, nella maggior parte dei casi, diver-si episodi che hanno avuto esito “positivo” (es., la conquista di un bot-tino, la fuga dal luogo del reato). Per questa ragione, si pu� ritenere che nella narrazione di una rapina l’autore del reato (narratore) tenga a enfatizzare l’esito dell’azione da lui commessa (quindi, a inserire nella narrazione elementi strutturalmente riconducibili a “Result”). Questa possibile interpretazione � coerente con un altro risultato presente nel-la tabella XIV: il codice “autoefficacia/orgoglio” (significativo della valutazione “positiva” che l’attore fa dell’azione e dei suoi effetti per s�1) copre (solo per il gruppo dei rapinatori) 16 porzioni di testo. Si tratta di una dimensione narrativa che implica una caratterizzazione dell’azione come giusta (rispetto a un contesto di ingiustizie subite) e una tendenza motivata alla soddisfazione del S�.

Fra gli altri risultati che vale la pena di sottolineare, va evidenziato il fatto che in 24 passaggi narrativi l’esperienza detentiva viene vissuta come fonte di riflessione e di maturazione2: la permanenza in carcere �, per il soggetto, occasione per ripensare al cambiamento atteso dalle istituzioni e dalla societ�, un anello del percorso di reinserimento (Di Cara, Gervasoni e Steiner 1990). Questa evidenza � ancora pi� rile-vante se valutata in comparazione ai codici che esprimono una assun-zione diretta di responsabilit�: “ammissione di colpevolezza” (5 quo-tations) e il relativo posizionamento discorsivo (“Pos.: autocolpevo-lizzazione: 8 quotations).

Anche i rapinatori mantengono una tendenziale attribuzione ester-na per la causazione della azione deviante, ma l’intero percorso narra-tivo configura pi� che uno stile narrativo consolidato che un’attribuzione causale vera e propria: in altri termini, la strategia di-scorsiva di imputare all’ambiente (talvolta generico, altre volte identi-ficato chiaramente nelle istituzioni: “colpevolizzazione delle istituzio-ni” = 9 quotations) pu� essere intesa come una soluzione orientata prima di tutto a preservare una positiva immagine del S�, soprattutto in considerazione del fatto che il movente principale del reato e dell’intero percorso di carriera viene indicato nelle ragioni strumentali

1 Il codice “effetti diretti verso il S�: soddisfazione” comprende 14 porzioni di te-sto.

2 Anche in termini del posizionamento discorsivo il codice relativo “Pos.: matura-zione” ha un peso relativo di 5 quotations solo questa gruppo di intervistati.

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La ricerca

195

(rispettivamente in 17 e 16 passaggi narrativi distribuiti in maniera omogenea in tutta la PD-families); a ulteriore conferma di questo pattern di associazioni � utile sottolineare che il codice “deresponsabi-lizzazione” comprende 8 quotations e quello “reato pensato da altri” (implicante un coinvolgimento successivo) ne conta 5.

Lo stato di tossicodipendenza, inoltre, � considerato una delle cau-se della commissione dei reati (“tossicodipendenza causa”: 7 quota-tions): molti intervistati precisano di essere costretti a commettere le reati per ragioni economiche (“Pos.: necessit�”: 8 quotations) e sotto-lineano l’inevitabilit� dei rimanere coinvolti nei circuiti della devianza (“inevitabilit� devianza”: 14 quotations; “ricaduta in devianza”: 5 quotations). A supportare ulteriormente l’interpretazione della rapina come scelta funzionale a motivazioni economiche c’� la seguente evi-denza: alcuni codici hanno un diretto riferimento all’assenza di ragioni e all’aspirazione a terminare il percorso di carriera deviante (“non fare male alle vittime”: 10 quotations; “rifiuto della violenza”: 5 quota-tions; “no pi� reati”: 7 quotations).

Infine, la pianificazione dell’azione (il principale fra gli aspetti co-gnitivi codificati nelle interviste) risulta presente nelle narrazioni delle rapine in misura decisamente maggiore che in tutti gli altri reati. Si tratta di azioni che necessitano di un’accurata e rigorosa previsione dei tempi e dei luoghi, delle vie di fuga e dei possibili ostacoli. Solo 5 e-stratti narrativi fanno riferimento alla totale assenza di pianificazione (codice “no pianificazione”) ma a un’analisi pi� approfondita si vede che tutte sono presenti nelle narrazioni di solo 4 intervistati.

Fin qui la descrizione di quanto emerso dall’analisi della salienza rispetto ai tipi di reati specifici.

Ci sembra utile a questo punto spendere qualche parola sui risultati rilevati rispetto alle dimensioni strutturali e comparativamente fra reati diversi. Ci� che le tabelle XII, XIII e XIV mettono chiaramente in e-videnza � che le dimensioni che caratterizzano una narrazione struttu-ralmente completa sono tutte presenti nei racconti delle rapine e dei furti (tabella XIV) e lo sono progressivamente meno per i reati legati alla droga (tabella XII) e per gli omicidi (tabella XIII).

Questa evidenza pu� far supporre che gli eventi che, in qualche modo, hanno una maggiore valenza di storia (in termini di interesse per chi ascolta, di narrabilit� complessiva) sono quelli che rappresen-tano una prototipicit� e una salienza nel senso comune (si pensi ai modi consolidati, ai canovacci, con cui vengono descritte le rapine nella filmografia d’azione): � come se nella narrazione di questo tipo

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Capitolo IV

196

di eventi l’attore-narratore fosse facilitato dal condividere con chi a-scolta un “modello tipico” di come si svolge un evento-rapina, di quali ne sono le fasi principali e le tappe salienti.

Nella narrazione degli omicidi, invece, le dimensioni strutturali prevalenti sono “Abstract”, “Complication” e “Evaluation”: manca in questi casi una completezza narrativa (che sarebbe rappresentata dalle altre tre dimensioni). La possibile interpretazione ci sembra la seguen-te: gli omicidi sono azioni accomunate da minore prototipicit� (ad e-sempio, rispetto ai moventi oppure alle fasi costitutive) e da una pre-senza quantitativamente inferiore anche per le dimensioni comuni(come � evidente leggendo le colonne dei totali): l’attore-narratore pu� condividere con chi ascolta che ci sia stato un evento precipitante(una causa scatenante) per la commissione del reato, ma � difficile che tutti gli omicidi siano legati da un filo conduttore comune, da una tra-ma che li rende narrabili come storie (cosa che invece � possibile con le rapine).

Analogamente, si possono proporre indicazioni preliminari per quanto riguarda la costruzione narrativa dell’azione rispetto all’esperienza nel settore della devianza. La tabella XV mostra le as-sociazioni per la famiglia di documenti primari “Novizi” e i codici con un numero di quotations superiori a 5.

La prima cosa che notiamo � la completa assenza delle dimensioni relative al modello strutturale. Si tratta di una informazione sorpren-dente e interessante: sorprende perch� (come vedremo anche a propo-sito delle prossime categorie) alcune delle dimensioni strutturali sono sempre presenti; ma � un’informazione che desta l’interesse del ricer-catore in psicologia sociale interessato ai processi di comunicazione, allo sviluppo dell’identit� e di identificazione in un gruppo: l’interesse � specificamente legato a ci� che l’assenza di dimensioni strutturali nelle narrazioni pu� rappresentare in una prospettiva di studio sulla socializzazione al divenire devianti e sull’apprendimento progressivo delle tecniche di costruzione discorsiva del reato. In altre parole, stia-mo proponendo un punto di vista secondo il quale anche le modalit� utilizzate per rendere conto – in un contesto colloquiale (non investi-gativo) – dell’azione commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo dell’individuo, nel corso dello sviluppo di una “carriera de-viante”.

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La ricerca

197

Tabella XV. Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la fami-glia “Novizi”.

--------------------Codes-Primary-Documents-Table--------------------Code-Filter: AllPD-Filter: Primary Doc Family Novizi----------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS CODES

3 5 6 8 11 14 17 32 Tot----------------------------------------------------------------Aggressivit� reattiva 0 0 0 0 3 2 0 0 5ambivalenza/dissonanza 0 3 2 1 3 0 0 1 10attribuzione all'ambiente 4 1 1 3 0 1 0 0 10carcere come riflessione 1 2 0 4 3 3 5 0 18reato come incidente critico 0 2 2 2 1 0 0 0 7immaturit�/ignoranza prec. 1 1 0 6 1 0 0 0 9inevitabilit� del percorso 2 0 2 1 0 1 0 0 6omicidio non pianificato 0 0 1 1 3 1 0 0 6reazione positiva famiglia 0 0 1 1 1 1 1 0 5----------------------------------------------------------------

� bene sottolineare che � difficile immaginare tale risultato come conseguente alla quantit� di interviste: i documenti primari da cui si evince tale risultato sono otto (cfr. tabella XV) e, in precedenza, ab-biamo visto come una iniziale descrizione della costruzione narrativa dei reati legati alla droga sia stata possibile facendo riferimento a sole sei interviste (cfr. tabella XII).

Per quanto riguarda gli altri temi narrativi, si nota che tutti i codici (9 in totale) sono inclusi anche nella tabella XIII (quella della costru-zione narrativa relativa agli omicidi): questa evidenza non deve sor-prendere dal momento che (come abbiamo detto in apertura di questo paragrafo) nel gruppo di partecipanti a questa ricerca la categoria dei novizi � prevalentemente costituita da individui colpevoli di omicidio.

Nelle tredici interviste narrative rilasciate da individui con espe-rienza di permanenza nel circuito della devianza compresa fra due e tre detenzioni precedenti le configurazioni narrative sono sostanzial-mente sovrapponibili a quelle ottenute per i reati che prevalentementecompongono le PD-families: “rapine e furti” e “traffico e spaccio di stupefacenti”. A conferma di questa sovrapposizione, si pu� eviden-ziare che il tema narrativo pi� rappresentato � quello del “movente strumentale del reato” (17 quotations estratte).

Anche in questi casi prevale una tendenza all’attribuzione esterna (10 quotations), con particolare riferimento alla “colpevolizzazione delle istituzioni” (12 quotations).e alla “deresponsabilizzazione” (8).

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Capitolo IV

198

Coerentemente con la narrazione idealtipica dei rapinatori sono sa-lienti i temi di “autoefficacia/orgoglio” per il successo delle azioni commesse, la descrizione dettagliata dello svolgimento (sequenze e fasi) del reato (cfr. Teoria dell’azione, � 2.1 nel cap. 1) e degli aspetti cognitivi (“pianificazione accurata”: 9 quotations).

In analogia con lo stile narrativo degli spacciatori � evidenziato lo stile attribuzionale esterno.

Per quanto riguarda la presenza delle dimensioni strutturali, pos-siamo dire che la tabella XIV mostra una configurazione sostanzial-mente sovrapponile a quella descritta come esemplificativa di tutta l’unit� ermeneutica (ad esempio, � analoga l’enfasi data alla dimen-sione valutativa e la minore salienza rilevabile per la dimensione “Re-sult”).

In ultimo, riportiamo i risultati relativi alla costruzione narrativa dell’azione deviante per gli “esperti”. Come abbiamo descritto parlan-do della costituzione delle PD-families, gli intervistati esperti, in que-sta ricerca, sono in prevalenza rapinatori con pi� di tre esperienze de-tentive (complessivamente si tratta di 13 interviste). Tutte le dimen-sioni strutturali previste dal modello di Labov sono presenti nelle loro narrazioni e, rimanendo costante la proporzione n� di quotations tota-li/n� di quotations specifiche per questa PD-family, � ragionevole supporre che anche il modello di concatenazione strutturale sottostante sia sostanzialmente confermato3 (v. Fig. 47 nelle pagine precedenti).

Per quanto riguarda gli altri risultati relativi a questa famiglia, � e-vidente che la maggior parte dei codici rilevati sono analogamente rappresentati anche nella categoria “rapine e furti” (tabella XIV). In particolare, la costruzione dei contenuti narrativi dell’azione deviante secondo gli esperti verte sui seguenti temi principali:

3 La frequenza totale di ciascuna dimensione strutturale per questa famiglia di do-cumenti primari � circa il 47-52% della frequenza complessiva in tutta l’unit� erme-neutica, a eccezione di “Complication”. La spiegazione di questa differenza � la se-guente: come mostra la tabella XIV (code family “rapine e furti”), l’elevata incidenza della dimensione “Complication” (32 quotations complessive) � dovuta anche al fatto che nell’intervista n. 22 essa � presente ben 7 volte, ma la stessa intervista - nelle fasi successive - � stata inserita nella categoria degli intervistati con esperienza intermedia, tabella XVI (non negli “esperti” che infatti mostrano un peso relativo minore per que-sta imensione).

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Cap

itolo

IV

194

Tabe

lla X

IV.O

utpu

t del

le fr

eque

nze

dei f

atto

ri st

ruttu

rali

e di

con

tenu

to p

er la

fam

iglia

“In

term

edi”

.

PRIMARY DOCS

CODES

2 7

9 12 16 20 21 22 23 24 29 33

34Tot.

------------------------------------------------------------------------------------

ABSTRACT

3 1

0 0

0 1

2 2

1 3

1 1

116

COMPLICATION

3 1

0 0

0 0

3 7

2 5

1 2

428

EVALUATION

5 0

0 0

0 2

2 11 6

3 2

4 4

39RESULT

1 1

0 0

0 0

1 3

1 0

1 1

312

SETTING/ORIENTATION

2 1

0 0

0 3

2 5 3

3 1

22

24CODA

2 1

0 0

0 0

3 6

2 2

1 2

120

aggressivit� reattiva

0 1

0 0

0 0

0 0

1 0

0 1

25

arresto

0 0 0

0 0

0 1

1 1

1 0

0 2

6colpevolizzazione istituzioni

0 0

0 0

0 5

1 1

4 1

0 0

012

attribuzione

all’ambiente

2 0

2 0

0 0

3 0

1 0

0 0

210

autoefficacia/orgoglio

1 1

1 0 0

0 2

3 0

0 2

0 0

10carcerecome riflessione

2 1

2 1

1 0

1 3

0 0

0 1

012

descrizione comportamenti

2 1

0 1

0 2

0 0

0 0

0 1

18

distacco dalla famiglia

1 0

1 1

1 0 0 0

0 0

0 1

05

immaturit� come causa

1 0

2 0

0 2

0 1

0 0

1 0

18

inevitabilit� del percorso

0 1 1 0

0 1

2 0

1 0

1 1

210

ironia sulle aggravanti

0 0

0 0

0 3

0 0

0 0

0 1

15

movente strumentale reato

0 0

0 2

0 5

2 1

0 0

4 2

117

movente strumentale carriera

1 0 2

0 0

1 0

3 0

0 0

1 0

8pianificazione accurata

1 0

2 0

0 1

2 2

0 0

0 0

19

pianificazione: nessuna

1 1

0 0

0 3

0 0

0 0

0 1

06

Pos.:autocolpevolizzazione

0 0

0 0

0 0

0 2

1 1

0 1

16

Pos.: necessit�

0 0

0 0

0 5

1 3

0 0

1 0

111

Pos.:deresponsabilizzazione

0 1

0 0

0 0

2 2

1 2

0 0

08

precedenti per

piccoli reati

1 0

1 1

0 1

2 0

0 0

1 0

07

preoccupazione

per famiglia

0 0

2 1

0 0

0 3

0 0

00

06

reazione positiva dei cari

0 0

0 1

1 0

1 2

0 0

0 0

05

ricaduta nella devianza

1 0

2 0

0 0

0 0

2 1

0 0

17

vita felice e serena

1 1

0 2

2 0

1 0

0 0

0 0

18

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Capitolo IV

200

(a) il movente delle azioni � per lo pi� strumentale (12 quotationsper il reato e 14 per la costruzione narrativa dell’intero percorso di carriera); le motivazioni implicite (che in precedenza abbiamo chia-mato effetti espressivo-comunicativi) sono presenti nei termini di una tensione al cambiamento (“effetti cambiamento”: 7 quotations1) e co-me forma di ridefinizione o conferma della propria identit� (“effetti S�”: 5 quotations).

(b) il percorso di permanenza nel circuito della devianza � presso-ch� inevitabile (12 quotations), soprattutto in giovane et� (quando la “mancanza di una guida” indirizza verso una modalit� alternativa di perseguimento degli obiettivi e prevale uno “spirito di ribellione” nei confronti delle forme di controllo sociale anche a causa di uno stile educativo rigido e autocratico);

(c) coerentemente con il profilo narrativo dei rapinatori, gli “esper-ti” manifestano apertamente un senso di autoefficacia e di orgoglio per il successo delle proprie azioni (13 quotations) pur attribuendone la causa prevalentemente all’esterno (ambiente: 8 quotations) e, in parti-colare, alle istituzioni (12);

(d) alcuni intervistati tengono in considerazione gli eventuali im-previsti (“anticipazione degli imprevisti”: 5 quotations);

In generale, per quanto riguarda le strutture narrative, � necessario evidenziare che nelle narrazioni dei “novizi” non � possibile rilevare alcuna traccia di struttura narrativa condivisa fra gli intervistati. In termini di processi di comunicazione e di sviluppo dell’identit� l’interesse � specificamente legato a ci� che l’assenza di dimensioni strutturali nelle narrazioni pu� rappresentare. Sono possibili a nostro avviso almeno due interpretazioni:

(a) la prima chiama in causa la possibile funzione retorica dell’assenza di una struttura narrativa. Come ha evidenziato E. Gof-fman (1961) nei suoi studi sugli internati nelle istituzioni totali, talune costruzioni narrative specifiche assolvono alla funzione retorica di su-scitare la piet� dell’interlocutore: �la posizione di debolezza […] crea un’atmosfera di fallimento personale in cui viene costantemente ripro-posta la propria caduta in disgrazia.

1 L’effetto di cambiamento nel percorso di carriera � esemplificabile nei termini descritti nell’estratto n. 2 nelle pagine precedenti.

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Cap

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IV

200

Tabe

lla X

V.O

utpu

t del

le fr

eque

nze

dei f

atto

ri st

ruttu

rali

e di

con

tenu

to p

er la

fam

iglia

“Es

perti

”.

PRIMARY DOCS

CODES

1 4 10 13 15 18 19 25 26 27 28 30 31

Tot.

-----------------------------------------------------------------------------

ABSTRACT

1 2

0 0

0 0

1 4

1 2

1 1

215

SETTING/ORIENTATION

4 3

0 0

0 0

2 4

4 1

2 2

123

COMPLICATION

3 0

0 0

0 0

1 3

1 4

0 2

216

EVALUATION

8 2

0 0

0 0

7 5

4 6

4 4

343

RESULT

1 0

0 0

0 0

1 2

0 1

0 2 1

8CODA

1 0

0 0

0 0

5 1

2 4

1 3

219

anticipazione imprevisto

0 0

00

0 0

0 0

3 1

0 1

05

attribuzione all’ambiente

2 2

1 0

0 0

0 0

0 0

2 1

08

autoefficacia/orgoglio

5 1

0 0

0 0

1 0

0 0

1 4

113

carcere come riflessione

1 1

4 3

3 4

3 0

1 0

0 0

020

colpevolizzaz. istituzioni

0 0

0 0

1 0

0 1

1 4

3 0

212

condanna dei giudici

0 0

0 0

0 0

1 0

0 3

0 1

05

consapevolezza errori

0 0

2 0

0 0

1 1

0 0

0 1

05

descrizione comportamenti

0 1

1 0

0 0

0 0

4 0

0 3

09

disciplina dura

2 0

1 0

0 0

0 0

0 0

1 1

05

effetti cambiam. Carriera

0 0

0 0

0 1

0 0

1 2

2 0

17

effetti S�: identit�

10

0 0

0 0

0 1

2 0

0 1

05

inevitabilit� del percorso

2 1

0 1 1 0

2 1

0 2

1 1

012

mancanza di una guida

0 1

2 0

1 0

0 1

0 1

0 2

19

movente strumentale reato

3 2

2 0

2 1

0 0

0 1

0 0

112

movente strument. carriera

0 0

1 0

0 2 0

2 0

3 1

2 3

14pianificazione accurata

2 0

2 1

0 1

0 0

1 0

0 2

09

Pos.:autocolpevolizzazione

0 3

0 0

0 0

0 1

2 2

0 0

08

Pos.:deresponsabilizzazione

0 0

0 0

0 0

2 2

1 2

0 0

07

Pos.: non fare

male vittime

2 0

0 0

0 0

0 0

3 2

0 2

09

Pos.:spirito di ribellione

1 0

0 0

0 0

0 0 2 0

0 1

15

reazione positiva dei cari

1 0

1 0

2 0

0 0

0 1

1 0

06

rifiuto della violenza

0 1

0 0

0 0

0 0

1 1

0 2

05

scelte

0 0

1 0

0 0

2 1

1 0

0 0

05

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Capitolo IV

202

Come reazione l’internato tende a costruirsi una storia, un precedente, una triste biografia – una sorta di lamentazione e di apologia – da rac-contare continuamente ai compagni per giustificare in qualche modo lo stato di degradazione in cui si trova� (Goffman 1961, trad. it. 1968, pp. 93-94); la costruzione narrativa del disagio psicologico ha dun-que, secondo l’Autore, una strutturazione tipica e riconoscibile che consiste in un appiattimento tematico, o (che poi sarebbe l’altra faccia della medaglia) nell’assenza di una narrazione strutturalmente com-plessa. Questa possibile interpretazione, tuttavia, se da una parte con-sente di spiegare le narrazioni prodotte dai “novizi”, dall’altra non ri-sulta coerente con la lettura dei pattern comunicativi degli “intermedi” e soprattutto dei “professionisti”;

(b) la seconda spiegazione, che consente di includere tutti i testi, fa riferimento a una socializzazione al divenire devianti e all’apprendimento progressivo delle tecniche di costruzione discorsiva del reato. Infatti, le narrazioni degli “intermedi” e soprattutto quelle dei “professionisti” includono tutte le dimensioni e ricalcano il model-lo strutturale generale sotteso a tutte le narrazioni. Questa evidenza supporta la conclusione che le modalit� utilizzate per rendere conto –in un contesto colloquiale (non investigativo) – dell’azione commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo dell’individuo, nel cor-so dello sviluppo di una “carriera deviante”.

Diversi elementi danno fondamento all’interpretazione fornita ri-guardo alla “socializzazione narrativa” e all’apprendimento progressi-vo delle soluzioni per rendere conto, giustificare o, semplicemente, raccontare in maniera coerente e plausibile una serie di eventi sog-gettivamente salienti e normativamente riconducibili a un percorso di devianza. Per quanto riguarda le strategie retorico-argomentative nella costruzione narrativa, � interessante notare come le codifiche effettua-te sulle interviste di “esperti” abbiano condotto a una maggiore quanti-t� di temi narrativi salienti (rispetto agli “intermedi” e, soprattutto, ai “novizi”) e a una articolazione pi� complessa in termini di attribuzioni di responsabilit� e di tecniche di neutralizzazione delle norme. Questa evidenza – insieme alla non secondaria rilevanza attribuibile alla completezza e coerenza complessiva delle dimensioni strutturali –conferma l’interpretazione fornita riguardo alla “socializzazione narra-tiva”. Naturalmente non pretendiamo di avere illustrato risultati con-clusivi: come tutte le tecniche innovative di ricerca anche l’analisi proposta necessita di perfezionamenti nell’impostazione metodologica e riapplicazioni a quantit� maggiori di testi. Tuttavia, a partire dai dati

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La ricerca

203

illustrati in questa sede, � possibile sostenere che l’ipotesi di sisteminarrativi concatenati e sequenze di temi contenutisticamente rilevantiabbia un fondamento nelle narrazioni prodotte dai partecipanti a que-sto studio.

Per quanto riguarda le strutture narrative, allo stesso modo, � pos-sibile rilevare interessanti risultati densi di implicazioni teoriche e pra-tiche: viene confermata, anche per quanto riguarda le narrazioni pro-dotte in un contesto di istituzione totale (con tutti i limiti che la comu-nicazione intesa come processo sociale pu� avere all’interno di un carcere1) la bont� delle considerazioni e delle teorie proposte nell’ambito delle recenti correnti di cui abbiamo parlato nel capitolo 2(� 2): � stata rilevata la possibilit� di operazionalizzare, anche rispetto alle narrazioni di reati e con le tecniche descritte, i modelli psicologi-co-narrativi su cui la letteratura internazionale ha puntato l’attenzione a partire dagli anni Ottanta (Mancuso e Sarbin 1983; Robinson e Ha-wpe 1986; Sarbin 1986b): secondo tali modelli gli esseri umani elabo-rano cognitivamente le loro azioni seguendo una struttura culturale condivisa (un modello narrativo consolidato).

I modelli sulla costruzione delle storie (Bruner 1991; 2002; Smorti2007; 1997), della trama intrinseca in qualunque produzione narrativa trova in questa ricerca una ulteriore solida conferma empirica con par-ticolare riferimento alle intenzioni comunicative (retoriche, discorsi-ve) del narratore (Biancheria e Cavicchioli 1998; Melucci 2001).

La descrizione narrativa della realt� pu� essere dunque considerata un prodotto della cultura locale nei contesti della devianza (nei termini della socializzazione narrativa descritta in precedenza) e della influen-za dei modelli narrativi consolidati a un pi� elevato livello di astrazio-ne. Come ha infatti scritto Bruner (2002, p. 74) �gli atti narrativi diret-ti a creare il S� sono tipicamente guidati da modelli culturali taciti e impliciti di ci� che esso dovrebbe e potrebbe essere e naturalmente di ci� che non deve essere�. In tal senso, tutte le evidenza descritte nelle pagine precedenti supportano la tesi di una cultura della narrazione condivisa.

6.4 Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa?

Fino a questo punto la descrizione e l’interpretazione dei principali risultati emersi dall’analisi di contenuti e delle strutture narrative.

1 Si vedano a questo riguardo Serra (1997; 2002).

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Capitolo IV

204

Come si ricorder�, tuttavia, nel capitolo 3 � 3 abbiamo fatto riferimen-to alla proposta di Rosenthal (1993) per un’analisi integrata dei conte-nuti e delle strutture narrative. La Thematic Field Analysis (come � stata chiamata questa proposta teorico-metodologica) ha l’obiettivo di arricchire l’analisi dei contenuti e delle strutture narrative valorizzan-do le interazioni reciproche. Un’analisi complessiva delle strutture (l’organizzazione gerarchica e temporale delle narrazioni) e dei conte-nuti (organizzazione tematica) consente al ricercatore di estrarre dai testi un’informazione pi� ricca e articolata.

Si tratterebbe, in altre parole, di analizzare i contenuti interni alle strutture narrative (ad ogni singola dimensione strutturale) di modo che i primi siano interconnessi fra loro attraverso la configurazione logica empiricamente verificabile (come abbiamo dimostrato nel pa-ragrafo precedente) delle seconde. I criteri orientativi di base per l’esplorazione di tali connessioni sono ovviamente la salienza e la per-tinenza delle reti semantico-strutturali ipotizzate: ad esempio, ricerca-re le dimensioni emotive successive al compimento del reato (conte-nuto) nelle sezioni in cui l’attore parla degli eventi critici � illogico dal punto di vista delle ipotesi da sottoporre a verifica ma lo � ancora di pi� se pensiamo al come quotidianamente - ordinariamente - si svilup-pa l’azione umana (e cio� che le emozioni successive seguono l’azione deviante e gli incidenti critici solo logicamente precedenti).

Il ricercatore � chiamato quindi, in questo caso, a fare una lettura delle informazioni disponibili a un duplice livello: (a) quello della e-splorazione dei risultati gi� ottenuti nelle due diverse sezioni (conte-nuti/strutture) alla ricerca delle ricorrenze e delle ridondanze trasver-salmente all’intera base empirica; (b) quello della formulazione di ipo-tesi ulteriori (logiche e plausibili) sulle connessioni fra i temi narrativi. Per questo secondo livello (ma la possibilit� di implementarlo in ma-niera efficace dipende dall’esito e dalla bont� delle operazioni concet-tuali a quello precedente), il ricercatore si sta muovendo nell’ottica della Thematic Field Analysis.

Nella ricerca presentata in queste pagine, l’applicazione della tec-nica proposta da Rosenthal (1993) ha presentato elementi di interesse, ma anche di problemi tecnici che abbiamo tentato di risolvere secondo le soluzioni che verranno descritte nelle prossime pagine. I punti di partenza sono i risultati ottenuti separatamente rispetto all’analisi dei contenuti narrativi e delle strutture. Essi sono stati elaborati - secondo le modalit� descritte in questo capitolo - operando su due differenti unit� ermeneutiche in ATLAS.ti: in ciascuna di esse le interviste nar-

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La ricerca

205

rative sono state codificate separatamente con riferimento agli obietti-vi di conoscenza rispetto ai contenuti, nella prima, e sulle strutture (il modello di Labov), nella seconda.

Alla fine delle due differenti operazioni di codifica (naturalmente dopo aver messo a punto l’elenco definito dei codici, delle famiglie di codici e di documenti primari), le HU sono state unite attraverso la funzione “Merge HU” di ATLAS.ti2. Il report dell’operazione di uni-ficazione � riportato in Appendice D.

Cosa significa esattamente unificare due unit� ermeneutiche per ri-cercare le connessioni fra temi/contenuti narrativi attraverso le dimen-sioni strutturali? Si osservi la figura 48: in essa sono esemplificate due differenti operazioni di codifica su uno stesso corpus di testi; il ricer-catore assegna separatamente i codici relativi ai contenuti (codici A e B) e quelli relativi alle strutture (dimensioni strutturali A1 e B1).

Figura 48. Esemplificazione della funzione di unificazione di due unit� ermeneutiche.

2 La funzione di unione delle unit� ermeneutica � stata implementata in ATLAS.ti con l’obiettivo di facilitare il confronto e la collaborazione fra codificatori diversi che lavorano sulla stessa base empirica o su due sub-unit� di uno stesso corpus di infor-mazioni. Essa consiste tecnicamente nell’aggiungere un’intera unit� ermeneutica all’altra “sommando” ci� che esse hanno di diverso (es.: alcuni codici) e unificando ci� che � comune (es.: i documenti primari). L’unione di due unit� ermeneutiche � un’operazione particolarmente delicata perch� la scelta della strategia di unificazionedeve essere ben ponderata per non rischiare di perdere interamente una delle due uni-t�. Per ulteriori dettagli sulla funzione di unificazione dell’unit� ermeneutiche rinvia-mo a Muhr (2004), a De Gregorio e Mosiello (2004) e Chiarolanza e De Gregorio (2007).

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Capitolo IV

206

Quando si unificheranno le due unit� ermeneutiche i codici e le dimensioni non verranno unificati ma risulteranno appaiati in modo che se il ricercatore ha rilevato una relazione di precedenza fra le di-mensioni a livello strutturale (nell’esempio la dimensione A precede la dimensione B) questa relazione sar� applicabile anche ai codici ad esse associati (nell’esempio i codici A e B sono associati alla dimen-sione strutturale A e saranno in relazione di precedenza strutturale con i codici C, D, etc.).

Nella ricerca qui presentata, tutti i codici della “HU dei contenuti” sono stati appaiati a quelli della “HU delle strutture” al fine di verifi-care le associazione dei primi attraverso le seconde. Tale operazione � logicamente possibile perch� - come abbiamo descritto nel � 6.2.1 - le dimensioni strutturali presenti in tutte le interviste narrative sono con-catenate in maniera da definire un modello che � “condiviso” in tutta l’HU (v. Fig. 47 nelle pagine precedenti).

I codici presi in esame sono quelli rappresentativi dell’intero set di interviste. Per ciascuno di essi sono state testate diverse combinazioni con le dimensioni strutturali (v. Fig. 49) secondo criteri di plausibilit� e di logica delle connessioni3. Per la verifica di tali relazioni � stato utilizzato il Query tool, in particolare con due degli operatori di pros-simit� (“encloses” e “overlapped by”) secondo le modalit� gi� descrit-te nel paragrafo precedente:

Il risultato dell’insieme di prove sulle co-occorrenze fra le dimen-sioni strutturali (indicate sulla sinistra della figua 49) e i contenuti (al-cuni dei quali sono indicati, anche raggruppati per aree, sulla destra) confermano che la costruzione narrativa dei contenuti ha un’articolazione interna a tutta l’HU che rispecchia quella delle di-mensioni strutturali.

Pi� specificamente, � possibile delineare un percorso in cui pro-gressivamente si passa dalla definizione del contesto spazio-temporale dell’evento criminoso (unico codice di contenuto con co-occorrenze significative per la dimensione strutturale “Setting/Orientation”), con particolare riferimento alla dimensione del “posizionamento discorsi-vo nell’ordine spaziale e temporale” (Harr� e van Langenhove 1999) alla descrizione degli “antecedenti storici” (sia con coinvolgimento familiare che relativi al contesto pi� ampio) e degli “eventi critici” che

3 � stata esclusa la dimensione “Result” poich� - come argomentato in precedenza - non aveva una salienza significativa n� connessioni con le altre dimensioni struttura-li.

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La ricerca

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hanno condizionato la probabilit� di mettere in atto condotte devianti (co-occorrenti a “Complication”).

Figura 49. Esemplificazione dei sistemi di co-occorrenze messi alla prova per la The-matic Field Analysis.

La valutazione di tali eventi ha l’implicazione - sempre narrativa-mente circostanziata - di indurre l’attore a una scelta intenzionale (te-mi e contenuti relativi ai contenuti dell’ “agency”, all’autoefficacia e della “attribuzione interna di responsabilit�”) di produrre proprio quel comportamento. In particolare, merita un approfondimento la rete di relazioni che � possibile rilevare fra la dimensione valutativa (“Eva-luation”) e le articolazioni degli effetti espressivi dell’azione deviante (De Leo e Patrizi 1992; 1999): il Query tool ha infatti estratto 19 quo-tations (su 26 comuni teoriche) specifiche per gli effetti rivolti verso il S� e 9 (su 20 comuni teoriche) per quanto riguarda gli effetti comuni-cativi orientati al cambiamento e alle relazioni. Nessun risultato parti-colarmente significativo si � avuto per quanto riguarda gli effetti rife-riti al controllo sociale (formale e/o informale).

La consapevolezza di tale scelta viene per� meno quando l’attore passa alla valutazione del percorso d’azione nei termini delle implica-zioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si associano i temi della

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“neutralizzazione della norma” e del “disimpegno morale”, della “at-tribuzione esterna” (a una fonte identificata e a una fonte generica), della “dissonanza/ambivalenza” e della deresponsabilizzazione. La dimensione “Evaluation” mostra robuste co-occorrenze con il “posi-zionamento degli altri nell’ordine morale sul versante negativo”.

Le sezioni conclusive delle narrazioni (“Coda”) includono quasi esclusivamente i contenuti relativi alla “funzione responsabilizzante della detenzione”, agli obiettivi di uscita dal circuito della devianza(“non commettere pi� reati”) e degli “aspetti emotivi concomitanti o successivi alla commissione del reato”.

Quello appena descritto � il percorso logico che consente di studia-re le connessioni fra i temi narrativi attraverso le dimensioni struttura-li. Non possiamo tuttavia trascurare che la stessa identificazione di ciascuna dimensione strutturale � fondata su una preliminare ed essen-ziale analisi del contenuto, sebbene questa venga effettuata a un livel-lo assolutamente iniziale, esplorativo: per identificare cosa � “Ab-stract” o cosa � “Complication”, infatti, � necessario leggere e inter-pretare (in senso stretto, possiamo dire che si deve “analizzare”) il contenuto delle formulazioni verbali. In questo senso, l’analisi del contenuto precede quella strutturale la quale (in una fase successiva) supporta un perfezionamento della prima. Nelle pagine precedenti � stato descritto un percorso di analisi di tipo interpretativo di questo ti-po: come � evidente, risulta difficile sostenere il primato di una tecni-ca sull’altra. N� � possibile ritenere strutture e contenuti come aree di ricerca empiricamente e analiticamente distanti o inconciliabili. Piut-tosto, attraverso l’applicazione della Thematic Field Analysis, � stato possibile mostrare che un’accurata analisi qualitativa di contenuti e strutture non pu� prescindere dall’integrazione continua fra i due, da un continuo scambio o - per dirla con i termini di Strauss e Corbin (1990) - da un processo di ricerca e di analisi progressivo, iterativo, ricorsivo.

Come esemplificazione dell’intero percorso di analisi (contenuti e strutture) la figura 50 riporta una sezione di un’intervista (la storia di un giovane rapinatore) con tutti i codici associati cos� come visualiz-zata su ATLAS.ti: in essa � possibile cogliere il senso delle analisi compiute e - in associazione con i codici - il percorso metodologico e concettuale seguito4.

4 Purtroppo, per motivi grafici, alcuni codici nella parte destra della Margin area non sono visibili.

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Figura 50. Testo e codifica di una narrazione.

7. I criteri di validit� e attendibilit� nella ricerca qualitativa

�Il modo pi� semplice con cui la ricerca qualitativa pu� essere de-finita � in termini di differenza: � la ricerca che non fa uso di numeri�: cos� si esprime Clive Seale (1999, p. 119) in un testo intitolato The Quality of Qualitative Research nel quale traccia una completa ed ef-ficace descrizione su come si debbano intendere i criteri di “validit�” e “affidabilit�” in tale contesto. Se la citazione appena riportata � infatti il modo pi� semplice, tuttavia � anche il pi� riduttivo in quanto - come l’Autore dimostra ampiamente - esistono strategie di ricerca che pre-vedono un uso misto di quantificazione e interpretazione. La stessa ricerca che abbiamo presentato nelle pagine precedenti fa ampiamente uso della quantificazione, ma le tabelle che abbiamo riportato nel cor-so dell’ultimo capitolo illustrano le co-occorrenze fra codici/temi nar-rativi nei testi di riferimento: si tratta, in altri termini, dell’esito (sono tabelle di output) del processo di codifica operato dal ricercatore, una sintesi graficamente compatta e concisa di un lavoro tutto interpretati-vo compiuto dal ricercatore. E questi output, a loro volta, sono stati discussi, contestualizzati e rielaborati in una successiva fase interpre-

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tativa che ha costituito in definitiva il resoconto vero e proprio dei ri-sultati. La quantificazione, da questo punto di vista, � un necessario passaggio tecnico fra due momenti esclusivamente demandati ai pro-cessi cognitivi del ricercatore e della sua equipe, dipendenti dall’interazione costruttiva fra testo da analizzare e contesto in cui l’analisi si svolge. La “frequenza” dei codici dipende da quanto e co-me il codificatore ha interpretato i testi di base e questa interpretazione a sua volta viene utilizzata per costruire ulteriori percorsi interpretati-vi.

Il dato numerico non � centrale, non � il punto di arrivo in un per-corso di ricerca di tipo qualitativo, ma � spesso una conditio sine qua non per una adeguata rendicontazione ed esposizione dei risultati e delle fasi della ricerca (si vedano, ad esempio, le scelte che sono state effettuate dopo la codifica e in sede di discussione delle tabelle “codi-ci x documenti primari”).

Dunque l’uso dei numeri, se da un lato pu� essere utile per impo-stare disegni di analisi pi� complessi e statisticamente evoluti, dall’altra pu� anche servire al ricercatore qualitativo per perfezionarela presentazione e la gestione delle informazioni fondanti la propria ricerca.

D’altra parte, la componente interpretativa del ricercatore � presen-te anche nelle tecniche di analisi cosiddette “forti” come spiegano Fielding e Fielding (1986, p. 12)5:

alla fine tutte le tecniche di raccolta dei dati sono analizzate “qualitativamente”, in quanto l’atto di analisi � un’interpretazione e perci� necessariamente un’azione selet-tiva. Sia che i dati raccolti siano quantificabili o qualitativi, si deve affrontare la que-stione di quale garanzia abbiamo della correttezza delle loro inferenze.

Pi� specificamente, la letteratura sulla ricerca qualitativa indica chiaramente come si dovrebbe intendere la qualit� degli studi (Parker 2004; Cho e Trent 2006). Ne ripercorriamo brevemente le fasi.

Sebbene la ricerca qualitativa sia sempre stata definita in antitesi (opposizione, talvolta vero e proprio contrasto) con quella quantitati-va, � stato sostenuto (Seale 1999; Kruglanski e Jost 2000) che i due approcci stiano reciprocamente in termini di continuit� (storica, logica e metodologica). Kruglanski e Jost (2000), nel corso di un’ampia e circostanziata rassegna storico-critica sui rapporti fra costruzionismo

5 La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, � tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research.

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sociale e psicologia sociale sperimentale, hanno sostenuto che �viene da chiedersi […] se la divisione abbia mai avuto ragione d’esistere� (p. 53)6.

E pi� avanti, dopo aver descritto le connessioni su alcune questioni epistemologiche, gli Autori scrivono che

Gli sperimentalisti sanno che si possono avanzare molteplici ipotesi (o costrutti) alter-native per spiegare la maggior parte dei risultati empirici, che tali risultati sono essi stessi “carichi di teoria” e che la nostra selezione della spiegazione pi� convincente procede per tentativi ed � soggetta a potenziali revisioni. Anche se la maggior parte degli sperimentalisti (e probabilmente molti della controparte costruzionista) crede che ci sia un mondo l� fuori, la possibilit� di rappresentarlo fedelmente � ritenuto un ideale regolatore piuttosto che un obiettivo conseguibile (Popper 1959). Si potrebbe quindi affermare che i costruzionisti sociali enfatizzano la generazione di “variazioni” ideative, mentre gli sperimentalisti si concentrano sui criteri di “selezione”, ma en-trambi gli schieramenti incorporano i punti di vista dell’altro (ibidem, p. 58).

Da questo punto di vista le implicazioni in termini di qualit� vanno riviste, contestualizzate; va abbandonata l’idea che solo la ricerca quantitativa soddisfi i criteri di validit� “scientifica” (Seale 1999; Sil-verman 1993).

Lo stesso David Silverman, noto studioso dell’epistemologia della ricerca qualitativa, in una pubblicazione del 1993, cade nella tentazio-ne di definire i criteri di validit� e affidabilit� di questa per differenzadagli approcci psicometrici: � una tentazione che - sebbene didattica-mente utile e chiarificatrice - tuttavia continua a veicolare un’immagine della ricerca qualitativa come concettualmente, metodo-logicamente e tecnicamente dipendente da quella quantitativa. Ci sono invece fondate ragioni per ritenere che essa abbia una sua specificit� epistemologica rispetto alla quale � utile interrogarsi anche con riferi-mento alla qualit�.

Silverman (2000) riprende le definizioni di Hammersley (1992, p. 57) che descrivono i concetti di validit� e attendibilit� riferiti alla ri-cerca qualitativa: �Con validit� intendo verit�: interpretata come il grado di accuratezza con cui un resoconto rappresenta i fenomeni so-ciali cui si riferisce� e �L’attendibilit� si riferisce al grado di coerenza

6 In termini analoghi, con specifico riferimento al metodo dei focus group, si � e-spressa Zammuner (2003, p. 29): �I metodi qualitativi e quelli quantitativi vengono spesso contrapposti l’un l’altro, ma tale contrapposizione � di fatto priva di significa-to�.

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con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da osservatori diversi o dallo stesso osservatore in occasioni diverse�7.

Come specifica efficacemente l’Autore, talvolta i dubbi sulla vali-dit� della ricerca qualitativa sono dovuti a un problema esclusivamen-te legato all’accounting degli studi: succede infatti che, a causa di cat-tive abitudini o per i limiti si spazio spesso imposti ai resoconti di ri-cerca, vengano trascurati aspetti fondamentali che rischiano di inficia-re la valutazione della qualit� delle ricerche. Il primo fattore che pu� causare una valutazione negativa � l’aneddottismo, cio� il fatto che il ricercatore scelga di riferire come esemplificazioni a sostegno delle sue tesi solo alcuni casi, quelli che ne danno una pi� evidente (pi� chiara) dimostrazione.

Constatati questi problemi, pi� teorici ed epistemologici che tecni-ci, l’Autore propone una rassegna su alcune prassi che consentono di ottenere risultati pi� validi. Ne proponiamo una breve sintesi:

il principio della confutazione: si rif� “realismo critico” di Popper (1959) e pu� essere descritto come il metodo della ricerca attiva di casi che possono non confermare l’ipotesi: �ci� che caratterizza il metodo empirico � il suo modo di esporre alla falsificazione, in ogni maniera possibile, il sistema che deve essere verificato� (Kirk e Miller 1986, p. 42);

la tecnica della comparazione continua: consiste nella formulazio-ne e nel tentativo di verifica di piccole ipotesi provvisorie in un percorso induttivo che arriva fino a quelle pi� generali; la tecnica, �poich� implica un avanti e indietro continuo fra le diverse parti dei dati, richiede qualcosa di pi� grande. A un certo punto tutte le parti dei dati dovranno essere esaminate e analizzate. Questo � un aspetto di ci� che s’intende per trattamento globale dei dati� (Sil-verman 2000, trad. it. 2002, p. 255);

il trattamento globale dei dati: a differenza della ricerca quantita-tiva (in cui i risultati sono ottenuti su campioni selezionati da una popolazione generale), in quella qualitativa �lavorando con una base di dati pi� piccola ed esposta ad un continuo riesame, non dovreste essere soddisfatti finch� la generalizzazione non si appli-ca a ogni singola parte dei dati che avete raccolto. Il risultato � una generalizzazione altrettanto valida di una correlazione statisti-ca� (ibidem);

7 Entrambe le definizioni sono citate in Silverman (2000, trad. it. 2002, p. 249).

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l’analisi dei casi devianti8: �la tecnica parte con una piccola quan-tit� di dati. Si produce uno schema analitico provvisorio. Poi si confronta lo schema con altri dati e se necessario si apportano modifiche allo schema. Lo schema analitico provvisorio va con-frontato costantemente con i casi “negativi” o “discrepanti” finch� il ricercatore non ha ottenuto un piccolo insieme di regole ricor-renti che incorporano tutti i dati sotto esame� (Mehan 1979, p. 21)9. L’implementazione di tale tecnica richiede tuttavia una soli-da base teorica rispetto alla quale valutare “cosa � deviante e cosa non lo � e per quali ragioni”;

l’uso di quantificazioni10: si tratta dell’argomento con cui abbiamo aperto questo paragrafo. Come abbiamo indicato, la quantificazio-ne di per s� stessa non � “pro” n� “contro” la ricerca qualitativa: dipende dall’uso che se ne fa. �Non c’� ragione per cui i ricercato-ri qualitativi non debbano utilizzare, quando � appropriato, misure quantitative. Semplici tecniche di conteggio, teoricamente e ide-almente basate sulle categorie impiegate dagli attori, possono of-frire un mezzo per esaminare l’intero corpo di dati […] Il lettore ha la possibilit� di avere il senso che emerge dall’insieme dei da-ti� (Silverman 2000, trad. it. 2002, p. 261).

Meno approfondita - e a nostro avviso meno efficace, nonostante l’enfasi posta sulla necessit� di occuparsi dell’argomento - risulta in-vece la trattazione che Silverman conduce a sostegno di una “attendi-bilit� della ricerca qualitativa” (cfr, anche Moret, Reuzel, Van der Vilt e Grin 2007). Bisogna precisare innanzi tutto che l’Autore si rif� in particolare alla ricerca etnografica (delimitando quindi ulteriormente le possibili estensioni ad altri contesti) e alle osservazioni proposte da Glassner e Loughlin (1987 p. 27)11.

Nei disegni di ricerca pi� positivistici, l’attendibilit� del codificatore viene valutata in relazione all’accordo fra codificatori, nella ricerca qualitativa non ci si occupa di stan-

8 Clive Seale (1999) si riferisce a questa strategia nei termini (che ci sembrano par-ticolarmente chiarificatori) di “accounting for contraddiction”.

9 La traduzione della citazione � tratta dall’edizione italiana del volume di Silver-man (2000), Doing Qualitative Research.

10 Silverman parla pi� specificamente di “percentuali appropriate” facendo diret-tamente riferimento a esemplificazioni tratte dalle sue ricerche: ci sembra che il ter-mine “quantificazione” sia, in questo caso, pi� adeguato.

11 La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, � tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research.

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dardizzare l’interpretazione dei dati. Piuttosto […] l’obiettivo � stato quello di assicu-rarsi un buon accesso alle parole dei soggetti, senza basarsi sulla memoria degli in-tervistatori o degli analisti dei dati.

L’affidabilit� pu� essere definita come

il grado di coerenza con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da differenti osservatori o dallo stesso osservatore in momenti diversi (Hammersley 1992, p. 67 cit. in Silverman 1993).

Per tenere conto dell’attendibilit� il ricercatore o ricercatrice deve documentare la propria procedura e mostrare che le categorie sono state usate in modo coerente (Sil-verman 2000, trad. it. 2002, p. 265).

Per chiarire il concetto, Silverman (1993) fa riferimento all’esemplificazione proposta da Kirk e Miller (1986, p. 19),

un termometro che mostra la stessa temperatura di 82 gradi ogni volta che � immerso nell’acqua bollente d� una misura affidabile. Un secondo termometro pu� dare una serie di misure che variano intorno ai 100 gradi. Il secondo termometro sarebbe inaf-fidabile ma relativamente valido, mentre il primo non sarebbe valido ma perfettamen-te affidabile.

Il resto della trattazione tuttavia non fa altro che riproporre le di-squisizioni sui differenti (presunti) status epistemologici fra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa.

Per�kyl� (1997) affronta i temi della validit� e dell’affidabilit� con particolare riferimento all’analisi della conversazione, ma indicando chiaramente che si tratta di osservazioni rilevanti per tutti i settori del-la ricerca qualitativa. Egli riprende la concezione di affidabilit� propo-sta da Kirk e Miller (1986, p. 20) che la definiscono come �il grado in cui il risultato � indipendente dalle circostanze accidentali della ricer-ca� (come dire che in una ricerca successiva, date le stesse condizioni iniziali, il ricercatore dovrebbe ottenere grosso modo le stesse eviden-ze). La validit� �ha a che fare con l’interpretazione delle osservazioni: se il ricercatore sta chiamando con il giusto nome ci� che rileva� (Pe-r�kyl� 1997, p. 207). Senza dilungarci troppo nelle questioni descritte dall’Autore (si tratta di osservazioni molto specifiche delle analisi del-la conversazione da lui effettuate) possiamo sottolineare come alcune delle strategie proposte per incrementare la validit� e l’affidabilit� sia-no simili a quanto proposto da Silverman (2000). In particolare, la “generalizzabilit� dei risultati” sembra assimilabile a quello che in

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precedenza � stato descritto come “trattamento globale dei dati”; “l’analisi dei casi devianti”, intesa come verifica delle eccezioni che confermano le regole, � comune a tutte le tecniche di ricerca qualitati-va, inclusa l’analisi della conversazione e la ricerca etnografica; la “validazione per mezzo del turno successivo”, intesa come ricerca del-la conferma della bont� delle categorie analitiche rilevate fino a un da-to momento, richiama la tecnica della comparazione continua.

Mantovani (2003) ha condotto una rassegna dei criteri di validit� della ricerca qualitativa nel quadro del “realismo critico”:

La questione dei metodi da usare nella ricerca qualitativa e ancora di pi� la questione dei criteri di validit� da adottare per valutare l’utilizzo dei metodi in una data ricerca dipendono dalla posizione che il ricercatore prende su questioni di carattere molto ge-nerale che riguardano la conoscenza umana […] la conoscenza scientifica […] la co-noscenza nelle scienze sociali […]. La risposta a queste questioni rinvia ad un campo di studio, l’epistemologia, che si occupa del modo in cui conosciamo e del valore di verit� delle nostre conoscenze. Il ricercatore che intende usare i metodi qualitativi non potr� affrontare in modo consapevole e coerente le questioni metodologiche che in-contrer� sulla su strada se non avr� riflettuto sulle questioni epistemologiche connesse alle sue scelte di ricerca (p. 27).

Sintetizzando il panorama delle riflessioni proposte nella letteratu-ra internazionale, Mantovani (2003) sostiene che i criteri di qualit� su cui c’� un consenso sono:

– la “contingenza”, per cui una ricerca ha qualit� se viene valutata come applicabile e coerente rispetto al contesto specifico in cui si svolge;

– la “situativit�”, per la qualit� dello studio va valutata sempre rispet-to all’ambito in cui si svolge;

– la “riflessivit�”, che implica la consapevolezza da parte del ricerca-tore di essere non-neutrale sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico (che le sue conclusioni sono sempre in qual-che modo condizionate dai suoi schemi impliciti e modelli di rife-rimento: Sandelowski 2004; Russell e Kelly 2002);

– la “validazione da parte dei membri”, che consiste nella valutazio-ne del resoconto della ricerca da parte dei partecipanti;

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– la triangolazione (inizialmente proposta da Denzin 1978)12, che consiste nella ricerca di convergenza sulle conclusioni incrociandodiverse fonti di informazione.

Quest’ultima tecnica, in particolare, � la pi� ampiamente citata ma anche quella che si presta al maggior numero di critiche in quanto fa riferimento ad un assunto realista e oggettivista della ricerca: si sup-pone cio� - in analogia con i metodi quantitativi - che la realt� esterna sia slegata dalle lenti deformanti del ricercatore e inoltre che sia og-gettivamente conoscibile. Peraltro Silverman (2000) e Seale (1999) hanno una posizione critica nei confronti di questa tecnica perch� non risolve completamente il problema della validit� dal momento che gi� il tentativo di ottenere una “rappresentazione reale” della realt� � in contraddizione con molti assunti della ricerca qualitativa:

Naturalmente questo non significa che non si debbano usare insiemi di dati diversi o impiegare tecniche varie. Il problema sorge nel momento in cui utilizzate questa mol-teplicit� come un mezzo per sistemare le questioni relative alla validit� (Silverman 2000, trad. it. 2002, p. 251).

La triangolazione, anche se si propone il lodevole scopo di aiutare il ricercatore a con-trollare a controllare i suoi orientamenti personali, non pu� valere in realt� da garanzia della validit� di una ricerca (Seale 1999, p. 56 cit. in Mantovani 2003, p. 32).

Seale (1999) riprende il lavoro di Lincoln e Guba (1985) nel quale gli Autori associano a ciascun criterio di qualit� nella ricerca positivi-sta-quantitativa (“conventional inquiry”) un criterio omologo per quanto riguarda la ricerca costruttivista-qualitativa (“naturalistic in-quiry”)13:

12 Norman K. Denzin (1978) distingue specificamente quattro possibili declinazio-ni della triangolazione: data triangulation, con cui si incrociano i dati di diversa pro-venienza su uno stesso fenomeno; investigator triangulation, mediante la quale la co-noscenza del fenomeno � data dall’integrazione fra i punti di vista di diversi ricercato-ri (facciamo notare per inciso che questa opzione sarebbe implementabile in ATLAS.ti attraverso le funzioni di multi-autoring); theory triangulation, rispetto alla quale il ricercatore tenta di verificare ipotesi relative a diversi modelli teorici: metho-dological triangulation, con cui il ricercatore � chiamato all’utilizzo di differenti op-zioni metodologiche per lo studio di uno stesso fenomeno.

13 Pi� specificamente, Clive Seale (1999) si riferisce a tali indicazioni valutative nei termini di “criteri interpretativi” (“interpretativist criteriology”). In tale rassegna, l’Autore include un elenco completo dei criteri (su cui c’� un consenso convergente) in base ai quali valutare gli studi di questo tipo: ne riportiamo una traduzione in ap-pendice E.

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– la credibilit� (“credibility”), analogo alla validit� interna, � data da una prolungata esposizione al campo di rilevazione delle informa-zioni e da tentativi di triangolazione con altre fonti di dati. �Ma la migliore tecnica per stabilire la credibilit� � la “verifica dei parte-cipanti”14, che consiste nel mostrare i materiali come interviste, tra-scrizioni e report di ricerca alle persone con cui al ricerca � stata condotta, cosicch� essi possano indicare l’accordo o il disaccordo con la rappresentazione fornita dal ricercatore� (Seale 1999, p. 45);

– la trasferibilit� (“trasferability”) � ottenibile fornendo �una detta-gliata e ricca descrizione del contesto studiato in modo da dare al lettore sufficienti informazioni per valutare l’applicabilit� dei risul-tati in altri contesti� (ibidem). Si tratta, com’� intuibile, di un crite-rio paragonabile alla validit� esterna, ma utilizzabile laddove non � possibile avere un campionamento probabilistico e una randomiz-zazione dei soggetti;

– l’affidabilit� (“dependability”), che sostituisce l’attendibilit�, per il cui raggiungimento il ricercatore documenta chi valuta su tutte le fasi del suo lavoro (la metodologia, gli strumenti e tutte le scelte effettuate nel corso della ricerca inclusi i risultati) al fine di con-sentire un giudizio sulla coerenza e la correttezza dell’intero per-corso (Marshall e Rossman 2006);

– l’autenticit� (“authenticity”), �si dimostra se i ricercatori possono dimostrare di aver rappresentato insiemi di diverse realt� (“fair-ness”). La ricerca dovrebbe anche aiutare i membri a sviluppare una “pi� sofisticata” comprensione dei fenomeni studiati (“ontolo-gical authenticity”), ad apprezzare il punto di vista degli altri come se fosse il proprio (“educative authenticity”), a sollecitare alcune forme di azione (“catalytic authenticity”) e ad attrezzare i membri per l’azione (“tactical authenticity”)�15 (Seale 1999, p. 46);

– la confermabilit� (“confirmability”) ha a che fare con le implica-zioni dell’attendibilit� (nei termini della ricerca qualitativa). Si par-la in questo senso di “affidabilit� interna” e di “affidabilit� ester-na”: la prima � paragonabile a quello che nei termini classici viene chiamato “accordo inter-codificatori” e riguarda �il grado in cui al-tri ricercatori che applicano costrutti simili possano far corrispon-

14 Nella versione originale di Seale si parla di “member check”.15 � evidente come i criteri dell’autenticit� facciano riferimento a una qualit� rile-

vabile e utilizzabile molto “pratica”, cio� relativa a contesti reali, confermando la vo-cazione applicativa e l’autonomia di molta ricerca qualitativa.

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dere questi ai dati allo stesso modo in cui � stato fatto dal ricercato-re originario� (Seale 1999, p. 140); l’affidabilit� esterna invece ha a che fare con la generalizzazione (per questa ragione � in parte so-vrapponibile alla trasferibilit�)16 e viene descritta in termini di re-plicabilit� dell’intero studio: �altri ricercatori impegnati nello stes-so o in contesti simili potrebbero generare gli stessi risultati? […] richiede una completa specificazione degli assunti sottostanti e del-le procedure, informazioni che molti ricercatori, in pratica, non forniscono� (Seale 1999, p. 141). Talvolta ci si riferisce a questa tecnica in termini di “riflessivit�”, cio� di ragionamento e consape-volezza del proprio ruolo e posizione (epistemologica e pratica) all’interno della ricerca, nel campo, nel rapporto con gli intervista-ti, nella costruzione congiunta delle informazioni17.

In un ambito pi� specificamente criminologico e coerentemente con l’oggetto del presente lavoro, � interessante la posizione di Lonnie Athens, criminologo interazionista e ricercatore qualitativo: come rife-riscono Ceretti e Natali (2004), che hanno compiuto un’approfondita analisi del lavoro di Athens, egli identifica tre criteri di valutazione:

1. il valore teorico della ricerca: con riferimento alla distinzione fra teorie sostantive (quelle che limitano la spiegazione al singolo feno-meno sociale) e teorie formali (quelle le cui argomentazioni includono classi di fenomeni sociali) operata da Glaser e Strauss (1967), Athens propone di assegnare maggiore valore scientifico alle seconde. Secon-do questa prospettiva, le teorie formali (pi� generali e inclusive) han-no una maggiore qualit� in quanto sono applicabili a un pi� vasto re-pertorio di eventi, mentre le teorie sostantive limitano il contributo ad aspetti circoscritti della realt�;

2. la base empirica dei concetti scientifici: � il principio per il quale le asserzioni scientifiche �devono dimostrarsi coerenti con le osserva-zioni e i casi empirici da cui sono ricavati. � chiaro che affinch� que-sta analisi critica possa darsi, � necessario che lo studioso fornisca se-

16 Pur simili nelle definizioni, confermabilit� esterna e trasferibilit� si differenzia-no per un’enfasi sulla valutazione del singolo percorso di ricerca (la prima) e per una maggiore attenzione alla generalizzabilit� a contesti differenti (la seconda).

17 Si vedano a questo riguardo i riferimenti alla c.d. “intervista attiva” (Holstein e Gubrium 1997) nel capitolo 2.

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paratamente sia i riscontri empirici di partenza che i concetti da questi ultimi sviluppati� (Ceretti e Natali 2004, p. 36);

3. la credibilit� scientifica dello studio: in base a questo criterio il ricercatore deve fornire un resoconto che renda chiari tutti i passaggi compiuti (l’accesso al campo di studio, il contatto con gli intervista-ti/osservati, le modalit� di trattamento delle informazioni, etc.) e de-scriva adeguatamente l’impostazione metodologica e gli strumenti uti-lizzati.

In generale, possiamo dire che le riflessioni sui criteri di qualit� della ricerca qualitativa sono ampie e ben documentate. Manca tutta-via un accordo di fondo e questo spiegherebbe le varie sovrapposizio-ni concettuali (talvolta non esplicitate) per cui una stessa tecnica usata in settori differenti viene chiamata in maniera diversa oppure, al con-trario, una stessa etichetta ha significati differenti a seconda del conte-sto in cui viene utilizzata.

Si nota come il panorama dei criteri e delle tecniche proposte siaancora variegato e, ad un primo sguardo, appare forse frammentario: la principale ragione � da imputare alla variet� di nomenclature per indicare cose abbastanza simili (il lettore avr� certamente notato una ridondanza nell’esposizione delle proposte dei diversi Autori). Una possibile spiegazione di questo fenomeno potrebbe stare nel fatto che le diverse proposte afferiscono ad aree disciplinari distanti e che solo in tempi recenti hanno trovato una convergenza metodologica: abbia-mo fatto riferimento infatti a studi di tipo etnografico (Hammersley, 1992), alla sociologia (Seale 1999; Silverman 1993; 2000), alla psico-logia sociale (Mantovani 2003), a contributi di epistemologi (Lincoln e Guba 1985) e all’analisi della conversazione (Per�kyl� 1997). Que-ste diversit� disciplinari sono, a nostro avviso, la principale chiave di lettura di questa (apparente) frammentariet� dei criteri di qualit� della ricerca qualitativa. Ma sono anche gli indizi che un corpus ampio e solido di conoscenze e riflessioni si sta elaborando su quest tema. In questa direzione uno spazio rilevante sar� certamente ricoperto dai c.d. approcci e metodi misti verso cui la ricerca qualitativa, nel suo complesso si sta muovendo (De Gregorio e Arcidiacono, in prepara-zione; Bryman 2007).

Per quanto riguarda la qualit� scientifica della ricerca presentata in queste pagine, ad un primo fondamentale livello di lettura delle infor-mazioni � chiaro che lo studio non ha avuto alcuna pretesa di ricostru-zione oggettiva e fedele della realt� (Mantovani 2003): non era nelle

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intenzioni l’accertamento della veridicit� delle affermazioni prodotte dagli intervistati in sede di colloquio, n� sarebbe stato eticamente pos-sibile farlo, avendo presentato la ricerca come totalmente indipendente ed estranea al processo penale e al percorso detentivo specifico di cia-scun intervistato. Piuttosto, come dichiarato fin dal titolo del contribu-to, l’interesse era rivolto alle “costruzioni narrative”, cio� ai modi soggettivi di rendere conto dell’azione commessa. Ci siamo dunque collocati su un livello di “narrativismo” in cui la realt� emergente dal-la narrazione � costruita momento per momento dall’intervista nell’interazione con l’intervistatore (Miller e Glassner 1997; Holstein e Gubrium 1997).

Da queste premesse e dalla natura precipuamente qualitativa dello studio conseguono specifiche implicazioni in termini di qualit� della ricerca. Con riferimento a quanto descritto nel corso di questo para-grafo, � possibile sostenere che la ricerca sia dotata di una sua qualit� con riferimento alle linee guida principali che abbiamo provato a tene-re in considerazione come possibili criteri di valutazione del presente lavoro (Seale, Gobo, Gubrium e Silverman 2004).

a) L’intero percorso di reperimento e analisi delle informazioni � stato condotto con riferimento al criterio della comparazione continua: la lettura e la codifica di ogni intervista ha comportato il riesame criti-co su tutto il corpus dei codici sviluppato fino a qual momento. L’iter della ricerca, in altre parole, si � svolto secondo i criteri di ricorsivit�, iterativit� e progressione descritti in precedenza e indicati come fon-danti la metodologia della ricerca qualitativa (Cicognani 2002a; Ricol-fi 1997; Mantovani e Spagnolli 2003; Mazzara 2002; Strauss e Corbin 1990; 1994; 1998).

b) Tutte le procedure della ricerca sono state documentate al fine di fornire al lettore approfonditi elementi di valutazione sulla correttezza e coerenza dell’intero percorso teorico-metodologico sviluppato. In questo senso, la “trasferibilit�” di cui parlano Lincoln e Guba (1985) e Seale (1999) diventa obiettivo perseguibile e la ricerca nel suo com-plesso assume un’importanza non limitata alla “sostanzialit� teorica” (Glaser e Strauss 1967; Athens 1984; Ceretti e Natali 2004).

c) Il terzo elemento che informa sulla qualit� della ricerca � la ri-flessivit� a cui direttamente o indirettamente fanno riferimento molti dei Autori citati in questo paragrafo (Mantovani 2003; Fielding e Fiel-ding 1986; Seale 1999; Silverman 2000): ne sono esempi le sezioni in cui abbiamo descritto le reazioni degli intervistati alla proposta di par-tecipazione alla ricerca (si trattava, come si ricorder�, di risposte posi-

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tive proprio perch� dirette a un ricercatore estraneo a sistema giudizia-rio) oppure l’ampia descrizione che � stata fatta delle prime fasi di trattamento delle informazioni (codifica, definizione delle code fami-lies, perfezionamento della code list, etc.).

D’altra parte, bisogna tuttavia evidenziare l’impossibilit� tecnica di utilizzare alcune delle altre soluzioni previste dai metodologi qualita-tivisti: la triangolazione - specificamente nelle accezioni di data, inve-stigator e methodolology triangulation - non era utilizzabile in questo studio per le evidenti ragioni legate al contesto di rilevazione: non era possibile “installare” in carcere un’equipe di ricerca con l’obiettivo di rilevare e incrociare set di informazioni provenienti da ricercatori o da fonti di dati differenti, n� chiedere all’amministrazione penitenziaria di tornare successivamente per effettuare altre interviste con le stesse persone o con la proposta di sistemi di osservazione. Allo stesso mo-do, era difficile immaginare a una “validazione da parte dei risponden-ti”.

8. Conclusioni e implicazioni

Lo studio presentato in questo capitolo conclusivo � riferito a un gruppo di rispondenti che vivono una situazione reale, la detenzione. Da questo punto di vista, si tratta di una ricerca che si colloca a pieno titolo nel panorama delle strategie di ricerca “sul campo”. La letteratu-ra sulla devianza e sul resoconto delle azioni devianti comprende an-che ricerche che hanno operato simulazioni di interazioni in laborato-rio: Gonzales, Haugen e Manning (1994), ad esempio, hanno perse-guito l’obiettivo di ricostruire - utilizzando metodi sperimentali - le sequenze narrative e discorsive che si instaurano fra vittime e autori di reato. Canter, Grieve, Nicol e Benneworth (2003), analogamente, hanno condotto una serie di studi di laboratorio per verificare l’effetto degli ancoraggi narrativi sulle sequenze narrative. Tali impostazioni, sia pure utili sotto il profilo del rigore metodologico non rendono ade-guatamente conto della complessit� delle situazioni narrative in conte-sti reali.

Come abbiamo descritto in precedenza (� 3 in questo capitolo), la ricchezza delle elaborazioni narrative rilasciate dai 34 intervistati che abbiamo incontrato � stata determinata in primo luogo dal fatto che essi si trovassero di fronte un intervistatore-ricercatore completamente

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estraneo al sistema della giustizia penale e che in tale contesto specifi-co hanno ritenuto opportuno raccontare le proprie storie.

Si tratta - come abbiamo anticipato nel capitolo 1 � 3.1 - di una chiara attualizzazione della differenza fra verit� narrativa e verit� sto-rica delle narrazioni (Brockmeier 1999): l’esigenza, necessariamente determinata dal contesto in cui la narrazione si � sviluppata, di fornire una versione dei fatti plausibile e coerente e la necessit� (tipicamente umana) di proporre un’immagine positiva di S� hanno favorito l’espressione di contenuti che non si sarebbero presentati allo stesso modo in un differente contesto (Bercelli 2004; Brockmeier 1999). Se (come univocamente hanno affermato molti intervistati) la richiesta di raccontare fosse arrivata da una persona strutturalmente appartenente al mondo della giustizia penale i resoconti avrebbero avuto una diffe-rente costruzione narrativa, sarebbero stati meno ricchi di dettagli. Sa-rebbero stati, in altri termini, resoconti diversi relativi - narrativamen-te parlando - ad altri fatti18.

A situazioni di questo tipo fanno riferimento Holstein e Gubrium (1997) quando parlano di “intervistare attivo”:

Anche il narratore � profondamente immerso nelle sue memorie, il suo modo di pre-sentare la storia della sua vita non � mai indipendente dalla situazione di intervista ed � sempre indirizzato verso il suo ascoltatore. Il ruolo dell’intervistatore come co-autore della storia emergente ha ricevuto un interesse solo marginale nella ricerca sul-le interviste […]. Ci� � in contrasto con il ruolo del lettore nelle produzioni letterarie (Eco 1979) o con la considerazione del ruolo dell’ascoltatore nella pianificazione e nella gestione di una conversazione […]. Un’attenta analisi della situazione dell’intervista a fini di ricerca, comunque, rivela che quella dell’ascoltatore � una con-figurazione complessa che pu� assumere molte diverse posizioni nel corso dell’intervista (Lucius-Hoene e Deppermann 2000, p. 213).

Nelle situazioni descritte, l’intervistatore-ascoltatore interviene ad almeno due livelli:

– quello dell’interazione nel momento in cui la narrazione ha luogo,– quello dell’analisi successiva.

In entrambi i casi, l’interazione si sostanzia in un flusso continuo di procedimenti interpretativi reciproci: l’intervistato costruisce in tem-po reale una rappresentazione della realt� (situata nel contesto in cui la

18 Si tratta di una specifica articolazione del concetto di “posizionamento” a cui Tschuggnall (1999), riprendendo Bakhtin (1981), ha dato il nome di “intertestualit�”.

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narrazione viene prodotta), ma per farlo compiutamente si basa sull’anticipazione dell’interpretazione che il ricercatore far� in sede di analisi delle informazioni; quest’ultimo, da parte sua, ricostruisce il senso di quanto ascolta alla luce di quanto sa da informazioni pregres-se e, soprattutto, alla luce degli obiettivi della ricerca che sta condu-cendo (Baumeister e Newman 1994). L’interpretazione delle interviste narrative � un momento delicato e caratterizzato dal fatto che � �l’esito di un processo fondato sulla comunicazione, che origina una sequenza di interpretazioni parziali e provvisorie� (Rampazi 2001, p. 136). Nel corso di questo processo, come ha efficacemente sostenuto Bruner (2002, p. 75), �i nostri racconti creatori del S� ben presto ri-flettono il modo in cui gli altri si aspettano che noi dovremmo essere. Senza troppo accorgercene, elaboriamo un modo decoroso di parlare a noi stessi�.

La costruzione narrativa dei contenuti sembra articolarsi nei termi-ni di un percorso in cui progressivamente si passa dalla definizione del contesto spazio-temporale dell’evento criminoso (con particolare rife-rimento alla dimensione del Posizionamento discorsivo nell’ordine spaziale e temporale: Harr� e van Langenhove 1999) alla descrizione degli eventi critici che hanno condizionato la probabilit� di mettere in atto condotte devianti. La valutazione di tali eventi ha l’implicazione -sempre narrativamente circostanziata - di indurre l’attore a una scelta intenzionale (temi e contenuti relativi alle dimensioni dell’agency, all’autoefficacia e dell’attribuzione interna) di produrre proprio quel comportamento. La consapevolezza di tale scelta viene per� meno quando l’attore passa alla valutazione del percorso d’azione nei termi-ni delle implicazioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si associano i temi della neutralizzazione della norma e del disimpegno, dell’attribuzione esterna e della deresponsabilizzazione.

Per quanto riguarda la struttura delle narrazioni, la ricerca ha preso spunto dall’Evaluation Model (Labov e Waletsky 1967). In prospetti-va di un’applicazione del modello all’analisi delle narrazioni la ricerca ha portato a una sua conferma solo parziale: il modello strutturale e-merso dalle 34 interviste infatti include una struttura narrativa formata da una concatenazione fra 4 delle 6 dimensioni originarie. � rilevabile una struttura in cui le dimensioni previste non si collocano nella se-quenza prevista dalle formulazioni del modello in altri settori (Ab-stract Setting Complication Evaluation Result Coda) e che mostra forti differenze in dipendenza dal tipo di reato narrato e dell’esperienza del narratore nel circuito della devianza.

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I risultati hanno il pregio di essere ottenuti su un gruppo di rispon-denti “reale” in un contesto naturale, seppure reclutati su base volonta-ria. La complessit� dell’intero impianto metodologico mette in parti-colare risalto l’onerosit� del processo di codifica delle interviste narra-tive svolto in tornate successive di rilettura dei testi. L’approfondito lavoro di integrazione fra aspetti teorici ed empirici (condotto confor-memente ai criteri di validit� della ricerca qualitativa indicati in lette-ratura) ha prodotto importanti risultati che completano le evidenze della ricerca precedente con particolare riferimento alla costruzione narrativa della responsabilit� propria e altrui, della capacit� d’azione, degli aspetti cognitivi ed emotivi che risultano diversamente correlati alle diverse fasi di valutazione dell’evento e delle sue conseguenze.

Un approfondimento merita la possibilit� di generalizzazione dei risultati della ricerca. Come abbiamo descritto in precedenza, il crite-rio della trasferibilit�, proposto da Lincoln e Guba (1985) e ripreso da Seale (1999), sostiene la liceit� dell’ampliamento delle evidenze rile-vate in uno studio ad altri che condividano talune caratteristiche di fondo19: �il grado di somiglianza fra il contesto di partenza (“sen-ding”) e quello di estensione (“receiving”). In questo modo, non � ne-cessario specificare la validit� esterna; si pu� fornire solo la consisten-te descrizione necessaria per far s� che coloro che sono interessati atrasferire i risultati possano valutarne la possibilit�� (Lincoln e Guba1985, p. 316 cit. in Seale 1999, pp. 107-108). Quello della possibile estensione dei risultati ad altri contesti � un argomento da non trascu-rare:

In conclusione, riteniamo dunque che la ricerca presentata nelle pagine precedenti ponga all’attenzione della comunit� scientifica al-cune utili indicazioni riferibili alle seguenti aree:

– peculiarit� del contributo metodologico, con riferimento alla pro-posta di un percorso di reperimento/costruzione e di analisi delle informazioni coerente ad un duplice livello: (a) coerenza interna, della ricerca nelle sue diverse fasi; (b) coerenza esterna, rispetto al-le indicazioni della letteratura metodologica nazionale e interna-zionale sulla ricerca qualitativa;

19 Altrove si scrive che �il fondamento della generalizzazione teorica sta nella lo-gica piuttosto che nella probabilit�� (Mitchell 1983, p. 200 cit. in Seale 1999, p. 109) e che �la validit� dell’estrapolazione non dipende dalla tipicalit� del caso, ma dalla consistenza (“strenght”) del ragionamento teorico� (Seale 1999, p. 109).

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– specificit� della proposta, con riferimento in particolare all’oggetto e al contesto di riferimento;

– innovazione, nella misura in cui la ricerca si propone come contri-buto articolato e coerente su tecniche e soluzioni di analisi, di re-porting delle informazioni e su applicazioni informatiche non anco-ra sperimentate (talvolta sperimentate in maniera solo esplorativa) nel panorama della ricerca nazionale;

– propositivit�, di strategie di reperimento, trattamento e analisi delle informazioni con particolare riferimento alla ricerca qualitativa nei settori psicologico-sociale e criminologico.

Dal punto di vista delle implicazioni pratiche e operative, le indi-cazioni emerse dal presente lavoro possono collocarsi su tre piani di-stinti ma interagenti: quello teorico, quello metodologico e quello dell’intervento.

Dal punto di vista teorico, la ricerca ha fatto emergere un possibile completamento dei modelli esistenti sul resoconto dell’azione devian-te. In questo senso, � possibile argomentare che “collocarsi discorsi-vamente”, “posizionarsi” nella costruzione narrativa della propria a-zione significa certamente ridescrivere i fatti ma significa anche rein-terpretarli alla luce della situazione attuale: gli ampi riferimenti fatti dagli intervistati alle dimensioni della giustificazione (della neutraliz-zazione e del disimpegno), alle scelte, alla capacit� d’agire e alla rias-sunzione di responsabilit� ci consentono di complessificare il quadro teorico di spiegazione dell’azione deviante rispetto alle singole foca-lizzazioni dei modelli precedenti fino ad ora disponibili in letteratura. Diventa pi� evidente che il resoconto dell’azione non pu� che collo-carsi in un’argomentazione complessa e complessiva che include an-che una descrizione di S� alle prese con quell’azione e comprende un dialogo costante con gli aspetti normativi rappresentati, nel qui e ora del resoconto, anche dalla presenza del ricercatore:

se la presenza di norme di condotta impone di pensare al soggetto come a un essere in relazione la cui presenza sociale passa per e attraverso relazioni, assumere la relazio-ne come unit� di analisi comporta innanzitutto prendere atto che le norme di condotta “derivano” dalla formalizzazione di regolarit� riscontrabili nelle relazioni sociali (Co-co, Micheluzzi e Pisapia 2003, p. 36).

In tale contesto, parlare dell’azione e delle sue implicazioni - attri-buirle un significato (non solo quindi nei termini di cosa � accaduto, ma soprattutto del perch� � accaduto) - � un parlarne all’interno di un

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contesto sociale e normativo definito in cui anche l’assunzione (o la non assunzione) di responsabilit� riveste un obiettivo specifico, quello della descrizione di S� alle prese con l’azione/l’altro/la norma.

Dal punto di vista metodologico, come abbiamo accennato in pre-cedenza, riteniamo che il percorso esemplificato nelle pagine prece-denti possa fornire un contributo in termini di innovazione delle ope-razioni di trattamento e analisi delle informazioni testuali: non che mancassero in precedenza nel panorama della ricerca empirica delle buone prassi, ma la ricerca psicologico-sociale e criminologica � pro-babilmente rimasta, negli ultimi tempi, ancorata a modelli di ricerca e di analisi dei dati che non sempre si adattano all’evoluzione dei mo-delli di spiegazione dei fenomeni e dei processi studiati. Se, come hanno scritto Kruglanski e Jost (2000), la psicologia sociale sperimen-tale e l’approccio costruzionista condividono parte degli obiettivi e delle spiegazioni epistemologiche non c’� ragione perch� la ricerca empirica continui a preferire la prima e a trascurare il secondo: in que-sto senso, riteniamo che lo studio svolto possa adeguatamente esem-plificare un possibile percorso di ricerca secondo il modello costru-zionista.

Infine, dal punto di vista operativo e applicativo, la ricerca svolta mostra i suoi vantaggi soprattutto in connessione agli aspetti teorici: il resoconto dell’attore che ha commesso un’azione socialmente e pe-nalmente rilevante � un punto di accesso privilegiato per comprender-ne le ragioni. Rispetto a tali ragioni infatti andranno previsti opportuni interventi rieducativi e di riabilitazione che devono necessariamente partire dalla “riappropriazione della propria azione” da parte del sog-getto che l’ha compiuta. All’interno del resoconto dell’azione, ci sono elementi per focalizzare l’attenzione su tre livelli:

– quello della conoscenza (ricollegandosi quindi coerentemente ai modelli teorici alla base dell’intervento) con particolare riferimento alla fase evolutiva in cui l’azione e il resoconto si collocano (le e-videnze sulla “socializzazione narrativa” prospettano non poche implicazioni sia dal punto di vista strettamente teorico sia indiret-tamente in termini di trattamento idealmente differenziato fra “no-vizi” ed “esperti”),

– quello dell’operativit� e degli interventi di trattamento e preven-zione:

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appare chiaro come, in questo processo, assumano importanza fondamentale le agen-zie istituzionali ed il sostegno informale che, attraverso risposte che offrano immagini alternative a quelle strutturate rigidamente lungo il percorso deviante, possono indurre prospettive di cambiamento e di rottura dell’identit� disadattiva in cui la persona si riconosce. Il tessuto sociale pi� ampio pu� e deve assumere una responsabilit� rispetto alla possibilit� per una carriera deviante di essere ridirezionata, attraverso risposte sanzionatorie che includano l’attenzione alle risorse latenti della persona nell’obiettivo di sostenere percorsi riabilitativi che offrano effettive opportunit� di cambiamento sul piano intrapsichico-individuale e socio-relazionale (Patrizi 2004, p. 31);

– quello della (ri)assunzione di responsabilit� e di ricollocazione nel sistema di regole da parte dell’attore:

penso che trovare spazi di riflessivit� pu� essere un punto di partenza per il discorso riabilitativo. Per chi � interessato a lavorare con il prigioniero per aiutarlo a definire un S� non deviante, espressioni come “Non so chi me lo ha fatto fare” […] meritano un maggiore approfondimento. [… La] ricerca mostra che la promozione di interventi discorsivi � un passo verso la revisione dei prigionieri di s� stessi come agenti (O’Connor 1995, p. 452).

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Appendici

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Bibliografia

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Appendice A

Scheda degli indicatori rilevabili nelle narrazioni e riferiti ai mo-delli teorici

Comportamento manifesto- descrizione dei comportamenti (anche degli altri partecipanti)- prospettiva di un osservatore esterno

Aspetti cognitivi- organizzazione/pianificazione- emozioni (prima, durante, do-po l’azione-reato)- obiettivi/aspettative espliciti- azione come soluzione (anche rispetto agli altri partecipanti) di un problemamonitoraggio- strategie di problem solving- anticipazione dei risultati e/o degli effetti immediati- reazione propria e altrui all’arresto

Funzioni e significati- significati soggettivi preceden-ti all’azione- significati soggettivi seguenti all’azione- significati attribuiti da altri (vittima, testimoni, famiglia, so-ciet�)

- effetti riferiti al controllo so-ciale (precedenti e successivi)

- effetti di relazione (precedenti e successivi)- effetti S� (precedenti e succes-sivi)- effetti di cambiamento (prece-denti e successivi)

Antecedenti storici- valenza (positiva/negativa) nella storia di vita- valenza (positiva/negativa) ri-spetto all’incontro con la devi-anza- salienza percepita (anche ri-spetto alla devianza)

Incidenti critici- valenza (positiva/negativa) nella storia di vita- valenza (positiva/negativa) ri-spetto all’incontro con la devi-anza- salienza percepita (anche ri-spetto alla devianza)

Tappe della carriera- periodo precedente all’incontro con la devianza

- periodo di incontro effettivo con la devianza- primo reato (vissuti, sensazio-ni, ecc.)

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Appendici

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- periodo successivo e conse-guenze- prosecuzione - risoluzione e uscita dal circuito della devianza

Scenari alternativi- eventuali aspetti rilevanti non trattati (autostima, autoefficacia, tecniche di neutralizzazione del-la norma, etc.)

Posizione rispetto all’intervista/resoconto

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Appendici

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Appendice B

Traccia di intervista per l’analisi dell’azione deviante

Premessa - Introduzione all’intervista: illustrazione degli obiettivi dell’indagine, delle fi-

nalit� e dell’uso di quanto emerger� dall’interazione.- Rassicurazioni sull'anonimato riguardo a quanto la persona dir�.- Eventuali richieste o premesse dell’intervistato.

Domanda di apertura (domanda che pu� esaurire l’intervista o servire da base per le sezioni successive) Potrebbe raccontarmi il reato per cui si trova qui (nel caso, frequente, in cui l’intervista si svolga in carcere o comunque in fase esecutiva della pena) o un reato che � stato particolarmente importante? Un’azione che ha avuto conseguenze penali e di cui le andrebbe di parlarmi?La prego di raccontare dal suo punto di vista. Non intendo un riassunto di quello che � successo, ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne sa niente, che � molto in-teressato al racconto e che ha molto tempo a disposizione.1 (Specificare che il raccon-to pu� iniziare da un qualunque momento temporale, dalle conseguenze o dagli ante-cedenti, e da qualunque sua sequenza)._____________________________________________________________________

(solo per gli indicatori non trattati dalla risposta alla domanda precedente: domande specifiche da 1 a 27)

Prima sezione: comportamento manifesto 1. Come racconterebbe questo stesso fatto un osservatore esterno? Cosa avrebbe

visto un passante, uno spettatore di quell’azione?Le sto chiedendo di raccontare in dettaglio solo ci� che avrebbe potuto vedere un’altra persona.

2. Pu� descrivermi tutto quello che hanno fatto le diverse persone che erano presen-ti in quella situazione?

Seconda sezione: cognizioni coscienti 3. Ricorda quello che ha pensato, provato, prima di fare quell’azione? Si � “orga-

nizzato”, l’ha preparata?

4. Qual era il suo scopo? Cosa si aspettava di ottenere?

5. Ricorda come � nata l’idea di quell’azione?

6. (solo se vengono fatti richiami ad altre persone) Chi ci ha pensato in particolare?

1 La formulazione di quest’ultima richiesta � stata tratta, con gli opportuni aggiu-stamenti, da Bruner e Feldman (1999).

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7. E lei che cosa ne pensava?

8. Ricorda i suoi pensieri nel corso dell’azione? (a seconda del tipo di reato e del suo svolgimento, formulare la domanda utilizzando i momenti salienti dell’azione indicati dall’intervistato)

9. Ricorda se, e in quale momento, ha pensato a quello che sarebbe accaduto subito dopo?

10. Ricorda cosa pensava quando � stato preso?

11. Cosa ha provato in quel momento?

12. Come hanno reagito le persone a lei pi� vicine?

13. � cambiato qualcosa dopo?

Terza sezione: funzioni e significati 14. Le sarebbe possibile ricostruire quello che significava per lei quell’azione, prima

di compierla?

15. Mentre eseguiva l’azione, e poi, subito dopo che l’ha fatta, quell’azione ha cam-biato in parte significato?

16. Secondo lei, che significato ha avuto per gli altri? Come hanno considerato il fatto, ad esempio, la vittima, le persone che lo hanno appreso attraverso i giorna-li?

17. Prima di compiere l’azione, ha pensato a come si sarebbero comportate le forze dell’ordine?

18. Come si sono comportate poi?

19. Prima di agire, che significato pensava avrebbero dato alla sua azione il gruppo di amici e la sua famiglia?

20. Una volta saputo cosa era successo, cosa le hanno fatto capire i suoi migliori a-mici, e i suoi familiari? Cosa ne pensavano?

21. Secondo lei, che significato ha avuto effettivamente per la sua famiglia, per i suoi migliori amici?

22. C’� qualcuno per il quale quello che lei ha fatto ha significato qualcosa in parti-colare?

23. (se si � gi� svolto il processo) C’� qualche differenza, che ritiene rilevante, fra il modo in cui quello che lei ha fatto � stato considerato durante il processo e il modo in cui lo considera lei?

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24. In genere, non � semplice descrivere ci� che un’azione rappresenta per noi, il suo significato pi� intimo, quello che pensiamo e proviamo mentre agiamo, o dopo, ripensandoci. Cosa pu� dirmi in proposito?

Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive 25. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se...

(si chiede alla persona di completare la frase)

26. C’� qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene parti-colarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di vi-sta?

27. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti cos� importanti?

Traccia di intervista sulla carriera deviante

Prima sezione: percorso di vita 1. Le nostre vite cambiano continuamente, ma alcuni sono cambiamenti cruciali,

cambiamenti di direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in genere, sono legati ad episodi rilevanti. Ripensando a lei, alla sua storia, pu� individuare alcu-ni di questi episodi (2 o 3)? Pu� raccontarmeli brevemente spiegando anche le ragioni per cui li considera cos� rilevanti?

Seconda sezione: carriera deviante 2. Passiamo alla situazione attuale. Per quale reato � in carcere (o � stato condanna-

to)?

3. Cos� come abbiamo fatto rispetto alla storia della sua vita, anche riguardo alla sua storia di rapporto con la giustizia � possibile pensare che ci siano stati periodi diversi, da quando ha iniziato fino ad oggi. Pu� parlarmene cercando, se ricorda, di dirmi come � avvenuto il passaggio da un periodo all'altro e se ci sono stati e-pisodi importanti che possono aver segnato questi passaggi? (= da quando ha commesso il primo reato ad oggi avr� attraversato delle fasi importanti, potreb-be descrivermele raccontandomi gli episodi che hanno segnato il passaggio da una fase all’altra?)

le domande seguenti (5-22) andranno formulate solo nel caso in cui il soggetto non abbia gi� risposto - indirettamente – attraverso le domande precedenti

Terza sezione: tappe della carriera 4. Provi a ripensare a se stesso prima di cominciare, cosa ricorda di s�?

5. E del periodo in cui hai iniziato, ricorda episodi importanti (positivi o negativi)?

6. Che descrizione farebbe di s�, riferendosi a quel periodo? Che tipo di persona era?

7. Ricorda il primo reato? (anni, tipo di reato, da solo o in gruppo)

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8. Perch� pensa che l'ha fatto?

9. Pensando anche ad altre persone, perch� e come pensa che si inizi a commettere reati?

10. Per lei, � cambiato qualcosa dopo? (nella sua vita, in famiglia, nel gruppo di ami-ci)

11. Quali sono state le conseguenze pi� negative sulla sua vita?

12. Perch� pensa di aver continuato?

13. Ha mai pensato di smettere?

14. (se s�) In quale occasione? Cosa pensa che le ha poi impedito di farlo?

15. Quali motivi, secondo lei, possono far s� che una persona decida di smettere?

16. E per quali motivi, invece, una persona decide di continuare?

17. Per quanto le riguarda, cosa pensa che potrebbe farla decidere di smettere?

18. Cosa le viene in mente pensando a s� quando sar� uscito dal carcere (quando a-vr� finito di scontare la pena)?

Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive 19. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se...

20. C’� qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene parti-colarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di vi-sta?

21. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti cos� importanti?

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Solo alla fine dell’intervistaDati di sfondo(per inquadramento descrittivo dell’intero campione: verranno trattati in maniera ag-gregata senza alcun riferimento all’identit� del soggetto)28. Et� 29. Regione di provenienza 30. Titolo di studio 29. Come consideri il quartiere dove sei cresciuto?

Un quartiere di periferia Un quartiere di centro Una zona a rischio Un piccolo paese

30. Ha la famiglia? Si No

31. Se s�, chi siete in famiglia? 32. Era occupato o disoccupato quando ti hanno arrestato?

Occupato Disoccupato

33. Se era occupato, che lavoro svolgevi? Operaio Artigiano Impiegato Insegnate Commerciante Libero professionista Altro

34. Da quanto tempo si trova in carcere? Meno di 6 mesi Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo Tra 1 anno e mezzo e 3 anni Oltre 3 anni

35. Quanto tempo deve ancora trascorrere in carcere? Meno di 6 mesi Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo Tra 1 anno e mezzo e 3 anni Oltre 3 ann

36. Ha avuto detenzioni precedenti? Si No

37. Se s�, quante? 1 2 3 Pi� di 3

38. Se s�, per quali reati hai avuto detenzioni precedenti? Note sul setting Ulteriori osservazioni

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Appendice C*

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione

Giugno 2003

Titolo della ricerca: Costruzione narrativa dell’azione deviante

ObiettivoStiamo conducendo una ricerca sull’azione deviante. A tal fine chiediamo la sua disponibilit� a partecipare a un colloquio / intervista della durata di circa 1 ora – 1 ora e �. Si tratter� di una sorta di chiacchierata con un ricercatore in cui le verr� chie-sto di discutere argomenti che riguardano il reato per cui � attualmente dete-nuto. Rispetto della privacy Le seguenti procedure saranno seguite al fine di garantire la confidenzialit� delle Sue informazioni: Le informazioni che Lei ci fornir� saranno contrassegnate da un numero d’ordine per salvaguardare l’anonimato. Tutte le informazioni che Lei ci fornir� saranno utilizzate per soli scopi di ricerca. La Sua identit� non sar� rivelata in alcuna pubblicazione.

Autorizzo al trattamento dei dati e alla pubblicazione anonima del materiale trascritto come sopra specificato ai sensi della L. 675/96 e successive modifi-cazioni.Data _________________ Firma

______________________

* Per la form relativa a questo documento si ringrazia la dott.sa Claudia Chiarolan-za.

Diritti del partecipante alla ricerca

La Sua partecipazione a questo studio � volontaria.Lei ricever� una copia di questa lettera di consenso da conservare.Per quanti fossero interessati, il responsabile della ricerca si impegna a far per-venire copia dei risultati della ricerca, mediante le pubblicazioni che verranno effettuate sull’argomento.Per qualsiasi difficolt� o problema a proposito di questo studio, pu� contattare [omissis]

Copia per l’intervistato

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Appendice D HU MERGE REPORT CREATED 30/11/04 22.30.40 BY GUEST--------------------------------------------------Source- HU: analisi interviste x dottorato Reb+RegFile: [C:\Documents and Settings\Eugenio DeGrego-rio\Desktop\analisi interviste x dottorato reb+reg.hpr5]Target- HU: analisi interviste_ Posiz+LabovFile: [C:\Documents and Settings\Eugenio DeGrego-rio\Desktop\analisi interviste_ posiz+labov.hpr5]Object sizes and selected strategy per object type before merge:

Object Type Source-HU Target-HU Strategy---------------------------------------------------Primary Docs 34 34 UnifyQuotations 1253 485 UnifyCodes 490 96 AddCodings 1666 554 -Memos 14 0 AddNetwork Views 14 0 AddPrimaryDoc Families 7 0 AddCode Families 69 9 AddMemo Families 1 0 AddCode-Links 248 0 TargetHyper-Links 15 0 Target---------------------------------------------------

Author(s)ADMIN GUESTadded to target author(s): SUPER

Adding 14 Memos:------------------------------------------------

Segue elenco delle memos complessive

Adding 490 Codes:Segue elenco dei codici complessivi

Adding 7 Primary Doc Families:

+ Esperti+ Intermedi+ Novizi

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+ omicidi+ rapine e furti+ reati legati alla droga+ truffa e ricettazione

Adding 14 Network Views:segue elenco delle network views

Unifying 124 objects------------------------------------------------Unifying 34 Primary Docs:------------------------------------------------Segue elenco dei documenti primari e delle interse-

zioni fra le quotations

Unifying 90 Quotations:------------------------------------------------

Object sizes per object type after merge:

Object Type HU after merge--------------------------------------Primary Docs 34Quotations 1648Codes 586Codings 2220Memos 14Network Views 14Primary Doc Families 7Code Families 78Memo Families 1Code-Links 0Hyper-Links 3--------------------------------------

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Appendici

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Appendice E

Criteri per la valutazione dei resoconti di ricerca qualitativa**

1. Le metodologie sono appropriate per la natura delle domande di ricerca? La ricerca tenta di comprendere processi o strutture, oppure d� in-

dicazioni sulle esperienze soggettive o sui significati? Sono presenti categorie o gruppi di individui che non possono es-

sere preselezionati, o i cui possibili risultati non possono essere specificati in anticipo?

Un approccio quantitativo avrebbe consentito di raggiungere gli obiettivi in maniera migliore?

2. La connessione con un precedente corpo di conoscenze o teorie � chiaro? Ci sono adeguati riferimenti alla letteratura? Il lavoro � coerente con, o si contrappone criticamente, un model-

lo teorico precedente?

Metodologie

1. Viene dato conto dei criteri usati per la selezione dei soggetti del-lo studio, per la raccolta e l’analisi delle informazioni?

2. La selezione dei partecipanti � teoricamente giustificata? Le unit� di ricerca possono essere persone, eventi, istituzioni, se-

lezioni di comportamenti naturali, conversazioni, materiali scritti, etc. In ogni caso, sebbene il campionamento casuale pu� non esse-re appropriato, tuttavia � chiaro a quale popolazione si riferisce lo studio?

� dato risalto al fatto che le unit� scelte possono essere peculiari per qualche ragione?

5. La sensibilit� delle metodologie � coerente con le domande di ri-cerca? La metodologia accetta le implicazioni di un approccio che rispet-

ta le percezioni dei partecipanti?

** Il testo � la traduzione dell’Appendice A riportata in Seale (1999, pp. 189-192).

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Appendici

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In che misura ci sono definizioni o aspetti centrali dati per scontati piuttosto che essere criticamente esaminati o lasciati aperti?

Sono considerati i limiti relativi all’uso delle interviste?

6. La relazione fra il ricercatore e i soggetti � stata considerata e ci sono prove che la ricerca � stata presentata e spiegata ai partecipan-ti? Se ha partecipato pi� di un ricercatore, � stata considerata la con-

frontabilit�? Ci sono evidenze sulle percezioni dei partecipanti? Ci sono evidenze sui processi di gruppo coinvolti?

7. La raccolta e la registrazione dei dati sono sistematici? Le registrazioni sono accurate? Sono disponibili prove su esami indipendenti? Se appropriati, sono stati utilizzati testi o trascrizioni delle conver-

sazioni?

Analisi 8. Ci sono riferimenti a procedure accettate per l’analisi? � chiaro come � stata condotta l’analisi? � stata considerata la sua affidabilit� anche rispetto a ripetizioni

indipendenti?

9. Quanto l’analisi � sistematica? Quali tappe sono state seguite per controllare la selettivit� nell’uso

dei dati? Nelle ricerche con individui � chiaro che non c’� stata una sele-

zione di alcuni casi o una esclusione dei meno interessanti? Nelle ricerche su gruppi, sono state tenute in considerazione tutte le ca-tegorie di opinioni?

10. C’� un’adeguata discussione di quanto i temi, i concetti e le cate-gorie sono fatte derivare dai dati? A volte � inevitabile usare categorie descrittive esterne o prede-

terminate, ma sono state esaminate rispetto al loro reale significa-to o sulle possibili ambiguit�?

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Appendici

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11. C’� un’adeguata discussione delle prove a favore e contro le ar-gomentazioni del ricercatore? Sono forniti dati negativi? C’� una ricerca attiva di casi che po-

trebbero smentire le conclusioni?

12. � stata testata la validit� dei risultati? Per esempio, sono state usate tecniche come il riscontro dei ri-

spondenti, la triangolazione, oppure procedure come quelle previ-ste dalla grounded theory?

13. Ci sono fasi per vedere se l’analisi pu� essere comprensibile per i partecipanti, se ci� � possibile e rilevante? I significati dei loro resoconti sono stati esplorati con i risponden-

ti? Le apparenti anomalie e contraddizioni sono state discusse con loro?

Presentazione

14. La ricerca � chiaramente contestualizzata? Sono state fornite tutte le informazioni sul contesto e sulla ricer-

ca? Tutte le variabili sono state studiate come integrate nel loro conte-

sto sociale piuttosto che astratte e decontestualizzate?

15. I dati sono presentati sistematicamente? Sono usate citazioni, note di campo, etc. in modo da consentire al

lettore di valutare la gamma delle evidenze usate?

16. C’� una chiara distinzione fra i dati e la loro interpretazione? Le conclusioni seguono i dati? (Bisogna notare che le fasi della

ricerca - raccolta dei dati, analisi, discussione - non sono di solito separate e gli articoli non seguono necessariamente gli schemi quantitativi di metodologie, risultati, discussione.)

17. � dedicato abbastanza spazio per chiarire al lettore le relazioni fra risultati e conclusioni? Sebbene la presentazione dei dati discorsivi richiede sempre pi�

spazio di quella dei dati numerici, l’articolo � sufficientemente conciso?

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Appendici

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18. La posizione dell’autore � chiaramente definite? � descritta la prospettiva del ricercatore? � stato esaminato il suo ruolo, i possibili biases e l’influenza sulla

ricerca?

19. I risultati sono credibili e appropriati? Rispondono alle domande della ricerca? Sono plausibili e coerenti? Sono teoricamente e praticamente rilevanti, oppure sono insignifi-

canti?

Aspetti etici

20. Sono stati considerati adeguatamente gli aspetti etici? Le questioni della confidenzialit� (spesso particolarmente difficili

nella ricerca qualitativa) sono state affrontate in maniera adegua-ta?

Sono state considerate le conseguenze della ricerca (incluso lo stabilirsi di relazioni con i partecipanti, analizzare le aspettative, cambiare il comportamento, etc.).

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di settembre del 2007dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)

per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE: Copertina: Digit Linen 270 g/m2; Interno: Usomano bianco Selena 80 g/m2. ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura