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25 Alto e dal tratto così elegante da essere facilmente scambiato per un nobiluomo inglese, naturalmente uffi- ciale dell’ Imperial Yeomanry 1 , uso a frequentare Buckingham Palace in abiti civili per attenuare il rigido protocollo profuso di tintinnii di sciabole: così appare Giuseppe Salvago Raggi nelle fotografie che lo ritraggono mescolato ai diplomatici coinvolti a Pechino nella rivolta dei Boxers. D’altra parte il suo “curriculum” giustifica ampiamente le impressioni emergenti dalla documentazione foto- grafica. Nato a Genova il 17 Maggio 1866 da una delle più illustri e nobili famiglie genovesi, si era diplomato alla Scuola di Scienze Sociali di Firenze il 29 Maggio 1887. Attratto dalla carriera diplomatica aveva partecipato ad un concorso classificandosi quinto; posi- zione di tutto rispetto tenuto conto di possibili “intrichi burocratici romani” citati nella prefazione di una pubblica- zione di pochi anni or sono dedicata alle sue “Lettere dall’Oriente” in cui si era recato per riempire utilmente un breve periodo della sua intensa vita. Si era imbarcato ai primi di Marzo 1888 e aveva visitato a lungo l’Egitto, la Palestina e la Turchia soffermando la sua acuta attenzione sulle rovine dei templi faraonici di Luxor e Tebe. Anzi a Luxor aveva visitato anche la Missione cattolica ita- liana retta da tre sacerdoti riportando favorevoli impres- sioni: “…I giovani assai numerosi, sembrano intelligenti, parlano benissimo italiano, con una pro- nuncia migliore di quella che si suole sentire nelle nostre scuole della Liguria e del Monferrato; parlano e leggono benino il fran- cese. Del resto l’insegnamento corrisponde alle nostre elementa- ri; un poco di geografia, di arit- metica e di storia d’Egitto; ma parmi qui si abbiano migliori risultati che nelle nostre campa- gne, specialmente tenuto conto che i ragazzi debbono imparare tre lingue, italiano, francese e arabo.” Nel viaggio di ritorno da tale locali- tà ebbe la piacevole sorpresa di cono- scere personalmente lo Schliemann 2 lo scopritore di Troia e del così detto “Tesoro di Priamo”. Rientrava quindi in Italia in tempo utile per prendere servizio come Volontario diplomatico il 19 Gennaio 1889. Il 25 Febbraio con la nomina ad Addetto di Legazione a Madrid iniziava quell’apprendistato che lo avrebbe por- tato ai più alti incarichi diplomatici: il 14 Marzo 1890 Addetto di Legazione a S.Pietroburgo, quindi Addetto di Legazione a Berlino dal 17 dicembre 1890 ed Addetto di Legazione a Istambul dal 31.10.1892. Rientrato in Patria veniva promosso Segretario di Legazione in data 31 Marzo 1895 e quindi trasferito al Cairo. L’Ambasciata cairota era un posto di osservazione privilegiato per seguire gli sviluppi della conflittualità creata dalla presenza italiana in Eritrea che, rinvigorita dal tentativo di allargare i confini della Colonia, avrebbe portato alla sanguinosa giornata di Adua (1896). Attività diplomatica propedeutica certa- mente idonea a costruire la base di un percorso che lo avrebbe condotto a rico- prire assai degnamente la carica di Governatore di quel nostro possedimen- to d’Oltremare. Ma la sua permanenza nella capita- le egiziana non doveva protrarsi a lungo poiché a decorrere dal 1° Aprile 1897 veniva trasferito a Pechino come Incaricato d’Affari 3 andando incontro ad uno dei periodi più burrascosi della sua vita in cui avrebbe avuto modo di esprimere ampiamente le sue doti di abile diplomatico. La penetrazione europea in Cina era iniziata ad opera dei missionari cattolici e sin dal 1658 la congregazione De Propaganda Fide aveva nominato due vicari apostolici per l’estremo oriente con l’invito a seguire la politica avviata dal Gesuita Alexandre de Rhodes che cercava, mediante una rete di vicari apo- stolici, di formare un clero indigeno capace di agire indipendentemen- te dal patronato europeo. Ad esempio i Gesuiti per circa un secolo avevano mantenu- to una missione a Pechino riuscendo ad esercitare una note- vole influenza come scienziati, artisti, diplomatici ed amministra- tori tanto che sotto il regno del- l’imperatore K’ang Hsi (1661- 1722) alla morte, avvenuta nel 1688, di Padre Verbiest, direttore dell’ Osservatorio astronomico, la Guardia imperiale aveva presen- ziato ai funerali seguendo le immagini della Vergine con il Bambino. Ma alla fine dell’Ottocento quando il Salvago Raggi giunse in Cina la situazio- ne non era così rosea. All’epoca le Potenze occidentali affiancarono le missioni religiose che in modo significativo avevano rappresen- tato per i loro governi le prime prese di contatto con le popola- zioni locali. Quindi aprirono numerose rappresentanze com- merciali, ma i loro sforzi per riformare la Cina in senso occi- Giuseppe Salvago Raggi: un nobile prestato alla diplomazia. Brevi note nel centenario della nomina a Governatore dell’Eritrea di Pier Giorgio Fassino www.accademiaurbense.it - Giuseppe Salvago Raggi Pier Giorgio Fassino su URBS, Anno XX n.1 Marzo 2007, pp. 25-38.

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Alto e dal tratto così elegante daessere facilmente scambiato per unnobiluomo inglese, naturalmente uffi-ciale dell’ Imperial Yeomanry1, uso afrequentare Buckingham Palace in abiticivili per attenuare il rigido protocolloprofuso di tintinnii di sciabole: cosìappare Giuseppe Salvago Raggi nellefotografie che lo ritraggono mescolato aidiplomatici coinvolti a Pechino nellarivolta dei Boxers.

D’altra parte il suo “curriculum”giustifica ampiamente le impressioniemergenti dalla documentazione foto-grafica. Nato a Genova il 17 Maggio1866 da una delle più illustri e nobilifamiglie genovesi, si era diplomato allaScuola di Scienze Sociali di Firenze il29 Maggio 1887. Attratto dalla carrieradiplomatica aveva partecipato ad unconcorso classificandosi quinto; posi-zione di tutto rispetto tenuto conto dipossibili “intrichi burocratici romani”citati nella prefazione di una pubblica-zione di pochi anni or sono dedicata allesue “Lettere dall’Oriente” in cui si erarecato per riempire utilmente unbreve periodo della sua intensavita. Si era imbarcato ai primi diMarzo 1888 e aveva visitato alungo l’Egitto, la Palestina e laTurchia soffermando la suaacuta attenzione sulle rovine deitempli faraonici di Luxor eTebe.

Anzi a Luxor aveva visitatoanche la Missione cattolica ita-liana retta da tre sacerdotiriportando favorevoli impres-sioni:

“…I giovani assai numerosi,sembrano intelligenti, parlanobenissimo italiano, con una pro-nuncia migliore di quella che sisuole sentire nelle nostre scuoledella Liguria e del Monferrato;parlano e leggono benino il fran-cese. Del resto l’insegnamentocorrisponde alle nostre elementa-ri; un poco di geografia, di arit-metica e di storia d’Egitto; maparmi qui si abbiano miglioririsultati che nelle nostre campa-gne, specialmente tenuto contoche i ragazzi debbono imparare

tre lingue, italiano, francese e arabo.”

Nel viaggio di ritorno da tale locali-tà ebbe la piacevole sorpresa di cono-scere personalmente lo Schliemann2 loscopritore di Troia e del così detto“Tesoro di Priamo”.

Rientrava quindi in Italia in tempoutile per prendere servizio comeVolontario diplomatico il 19 Gennaio1889. Il 25 Febbraio con la nomina adAddetto di Legazione a Madrid iniziavaquell’apprendistato che lo avrebbe por-tato ai più alti incarichi diplomatici: il14 Marzo 1890 Addetto di Legazione aS.Pietroburgo, quindi Addetto diLegazione a Berlino dal 17 dicembre1890 ed Addetto di Legazione aIstambul dal 31.10.1892. Rientrato inPatria veniva promosso Segretario diLegazione in data 31 Marzo 1895 equindi trasferito al Cairo.

L’Ambasciata cairota era un postodi osservazione privilegiato per seguiregli sviluppi della conflittualità creatadalla presenza italiana in Eritrea che,rinvigorita dal tentativo di allargare i

confini della Colonia, avrebbe portatoalla sanguinosa giornata di Adua (1896).Attività diplomatica propedeutica certa-mente idonea a costruire la base di unpercorso che lo avrebbe condotto a rico-prire assai degnamente la carica diGovernatore di quel nostro possedimen-to d’Oltremare.

Ma la sua permanenza nella capita-le egiziana non doveva protrarsi a lungopoiché a decorrere dal 1° Aprile 1897veniva trasferito a Pechino comeIncaricato d’Affari3 andando incontroad uno dei periodi più burrascosi dellasua vita in cui avrebbe avuto modo diesprimere ampiamente le sue doti diabile diplomatico.

La penetrazione europea in Cina erainiziata ad opera dei missionari cattolicie sin dal 1658 la congregazione DePropaganda Fide aveva nominato duevicari apostolici per l’estremo orientecon l’invito a seguire la politica avviatadal Gesuita Alexandre de Rhodes checercava, mediante una rete di vicari apo-stolici, di formare un clero indigeno

capace di agire indipendentemen-te dal patronato europeo.

Ad esempio i Gesuiti percirca un secolo avevano mantenu-to una missione a Pechinoriuscendo ad esercitare una note-vole influenza come scienziati,artisti, diplomatici ed amministra-tori tanto che sotto il regno del-l’imperatore K’ang Hsi (1661-1722) alla morte, avvenuta nel1688, di Padre Verbiest, direttoredell’ Osservatorio astronomico, laGuardia imperiale aveva presen-ziato ai funerali seguendo leimmagini della Vergine con ilBambino. Ma alla finedell’Ottocento quando il SalvagoRaggi giunse in Cina la situazio-ne non era così rosea. All’epoca lePotenze occidentali affiancaronole missioni religiose che in modosignificativo avevano rappresen-tato per i loro governi le primeprese di contatto con le popola-zioni locali. Quindi aprirononumerose rappresentanze com-merciali, ma i loro sforzi perriformare la Cina in senso occi-

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dentale furono sempre vanificati.Anzi tali tentativi costituivano uno

dei principali bersagli dell’ideologiarivoluzionaria dei Boxer denominazionedata al movimento settario segreto degli“I - ho - t’uan” ossia “Pugni di giustiziae di concordia” o “Pugno della giustaarmonia” da cui era derivata la denomi-nazione di “Boxer”.

Va sottolineato che i tempi eranoparticolarmente difficili per la nostradiplomazia: il tentativo italiano condot-to dal Ministro plenipotenziario DeMartino a Pechino per ottenere la baia diSan Mun, onde costituire una base per irifornimenti di carbone e materiali per lenostre navi ed avviare una penetrazionecommerciale verso l’interno, era finitoin un nulla di fatto. Il deludente risultatoera dovuto, oltre al netto rifiuto cinese,anche alla modesta attrattiva esercitatadalla località prescelta, una rada pocoaccessibile e priva di vie fluviali checonsentissero un facile accesso all’hin-terland. Molto più appetibile sarebbestata la Baia di Nimrod che aveva attrat-to l’attenzione del Nostro edell’Ammiraglio Candiani, comandantedelle operazioni navali italiane in Cinapoiché tale approdo, oltre ad essere par-ticolarmente adatto agli ancoraggidi naviglio di grande tonnellaggio,poteva beneficiare della favorevoleinfluenza della non lontanaShanghai allora già ricca di trafficicommerciali. Al riguardo il SalvagoRaggi nelle sue memorie scris-se:”E’ a Mimrod (sic) doveCandiani diede corso a tutta la suaattività ed alle sue iniziative inmodo superlativo. Come accennai,combinai che egli occupasse prov-visoriamente quella baia con lasperanza di potervi rimanere defi-nitivamente. L’Ammiraglio sbarcò,si organizzò a terra, costruì alloggie baraccamenti per i marinai,esplorò il paese, lo ripulì dai bri-ganti, mandando spedizioni nell’in-terno, diede la caccia ai pirati, nefece fucilare, organizzò un mercato,“dimenticando” la esistenza didogane in Cina. La popolazione chevedeva fiorire il commercio, sparirepirati e briganti, lo adorava, e sono

convinto che se avessimo avuto il con-senso del Governo italiano all’occupa-zione definitiva, questa sarebbe stataproclamata tra l’entusiasmo della popo-lazione.”

Ma secondo il Salvago Raggi, nelfrattempo promosso Ministro residente aPechino (27 aprile 1899), la mancataconcessione di San Mun venne prestodimenticata poiché proprio in quelperiodo si intensificarono le aggressionicontro missionari e convertiti; violenzesegretamente rinfocolate, a giudizio didiversi osservatori tra cui il Nostro,dall’Imperatrice vedova Tsu-tsi accanitapersecutrice delle aperture al mondooccidentale. Questa sin dal 1861 erastata reggente dapprima del figlio e poidel nipote Kuang-tsu successivamentedivenuto un apprezzabile sovrano visti isuoi tentativi di risanare la Cina da unaburocrazia portata all’eccesso ed invero-similmente corrotta promuovendo diver-se riforme amministrative, fiscali e mili-tari. Argini alla corruzione ed ai privile-gi che avevano provocato la reazionedelle frange più conservatrici dellaCorte sfociata nel colpo di stato del 23settembre 1898. L’Imperatrice vedova,ritornata al potere, aveva fatto imprigio-

nare il nipote Kuang-tsu e a gennaio del1900 aveva messo sul trono P’u-chun,figlio del principe Tuan, l’eminenza gri-gia della situazione. La nuova sovranaaveva annullato tutte le riforme introdot-te dal nipote e l’11 gennaio 1900 avevapubblicato un editto per appoggiare larivolta dei “Boxer” contro gli stranieri.Proclama dal contenuto sibillino sfuggi-to a molti diplomatici stranieri ma nonal Nostro ed ai rappresentanti di Franciae Stati Uniti. Tanto che solo queste ulti-me tre potenze avevano inoltrato forma-li proteste anche se con l’intento di pro-teggere i missionari ed i convertiti defi-niti sprezzantemente dai Boxer con l’ap-pellativo di “urunoatze” (diavoli secon-dari).

Va anche rimarcato che in quel mo-vimentato contesto 11 nazioni (Austria,Belgio, Francia, Germania, Giappone,Inghilterra, Olanda, Russia, Spagna,Stati Uniti e Italia) avevano le proprielegazioni a Pechino accreditate presso loTsung-Li-Yamen, ossia il Tribunale Na-zioni Straniere in quanto in Cina nonesisteva il Ministero degli Esteri. Questaimpostazione dei rapporti diplomaticicinesi la dice lunga sull’effettiva arretra-tezza in cui versava la Terra dei Celesti

Figli del Cielo che rifiutava di trat-tare alla pari con le altre nazioni.Tutt’al più il governo cinese potevadegnarsi di demandare ad un tribu-nale i giudizi sui comportamenti esulle relazioni da intrattenere congli altri stati.

Le prime avvisaglie sull’atmo-sfera gravida di pericolose tensionisi ebbero il 17 maggio quando lemissioni cattoliche e protestantivicino a Pechino, come quelle diChenting-fu e Paoting-fu, vennerorase al suolo ed i convertiti cinesifurono massacrati. Quindi le sangui-nose atrocità si moltiplicarono in uncrescendo wagneriano: oltre a dila-gare in tutto il Paese per mano digiovani e fanatici popolani spronatidalla setta segreta, anche ufficialidell’esercito regolare cinese inizia-rono ad inquadrare in bande autono-me i boxers ed il 28 maggio questeultime attaccarono l’importantenodo ferroviario Pechino-Hankow;

Casa Salvago Raggi (da oraA.S.R.)In basso: la famiglia SalvagoRaggi in un incisione tratta da"L'Illustrazione Italiana".

Alla pag. precedente ritrattodel Marchese GiuseppeSalvago Raggi. Alcune fotoprovengono, per gentile con-cessione della marchesaCamilla, dall’ Archivio di

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il 2 giugno, nei pressi di Pechino, tecni-ci belgi al lavoro lungo la linea ferrovia-ria vennero assaliti e ridotti a mal parti-to nonostante l’intervento di un repartocosacco inviato di rinforzo dallaLegazione russa.

Dopo tali cruenti disordini e conse-guenti richieste avanzate da diversiambasciatori, lo Tsung -li-Yamen fucostretto ad autorizzare la presenza diuna piccola guarnigione presso ognisede diplomatica. Così il primo giugno1900, un drappello di 42 marinai italia-ni, tratto dagli equipaggi degli incrocia-tori “Calabria” ed “Elba”, all’ancora allefoci del Pej-ho (il fiume che collegaPechino al mare), giunse presso la nostraLegazione e la presidiò saldamente.Segno evidente che il Marchese, conindubbia lungimiranza, teneva sottocontrollo la situazione e anzi precedevaalcuni colleghi poiché ad esempio i mili-tari tedeschi ed austriaci sarebbero giun-ti a Pechino solo il 3 Giugno4. Mal’”escalation” continuava senza soste: il4 giugno vennero barbaramente assassi-nati i missionari britannici Robinson eNorman ed il 6 giugno il governo cine-se, invece di gettare acqua sul fuoco,pensò bene di emettere un secondo edit-to per stigmatizzare il “riprovevole”comportamento dei cristiani.

Il 9 giugno anche gli ambasciatorimeno accorti dovettero allinearsi allalinea Salvago Raggi che da tempo avevaprevisto il pericolo incombente. Quinditramite sir Claude MacDonald, Ministroresidente inglese, venne inoltrata unapressante richiesta di aiuto all’ammira-glio Seymour che, evidentemente allar-mato da una situazione sempre piùincandescente, si trovava già a Tientsin

(Porta Celeste - futuro possedimento ita-liano), ossia a circa metà strada tra laflotta internazionale che incrociava allafoce del Pei - ho e Pechino. L’Ammiraglio inglese non frappose indugied il 10 giugno caricò su cinque treniduemila uomini5 contando di giungere aPechino impiegando, visti i gravi disor-dini in corso, circa 24 ore invece delleconsuete 8 ma ad Am-Ping i Boxer ave-vano già divelto i binari ed il contingen-te si dovette disporre a difesa. Quivi cin-que nostri marinai di servizio in unavamposto vennero assaliti e barbara-mente trucidati mentre l’11 giugno aPechino il cancelliere Sugiyama, appar-tenente alla Legazione giapponese, usci-to dal quartiere delle Legazioni utiliz-zando una carrozza munita di inconfon-dibili contrassegni diplomatici, venneassassinato.

All’alba del 15 giugno le Legazioniinviarono all’esterno del loro perimetropattuglie armate col preciso intento diportare aiuto a coloro che ne avesseronecessità ma si trovarono di fronte aduna situazione orribile. I Boxer scatena-ti avevano compiuto un vero massacroed i pochi sopravvissuti erano statiorrendamente mutilati.

A fronte di tale situazione il 16Giugno a Taku, centro fortificato sullesponde del Mar Cinese Orientale allefoci del Pei-ho, le truppe internazionali,cogliendo l’occasione offerta da uningiustificato cannoneggiamento cinese,occuparono tre forti e stabilirono unasolida testa di sbarco. Lo stesso giorno iBoxer o reparti regolari cinesi6 tagliaro-no i fili del telegrafo e da quel momentole Legazioni furono definitivamenteintrappolate.

Il 19 giugno aPechino giunse la noti-zia della caduta deiforti di Taku ad operadelle forze internazio-nali e contestualmentelo Tsung-li-yamenordinò ai diplomatici dilasciare la città entro 24ore poiché il governocinese si considerava instato di guerra contro lepotenze straniere. Ven-ne altresì comunicato

che la scorta alla colonna formata dalpersonale delle Legazioni, famiglie eservitori, sarebbe stato fornito dalleautorità cinesi.

Ma agli ambasciatori riunitisi inconsiglio non sfuggirono le reali inten-zioni cinesi e chiesero una dilazioneall’ultimatum nella speranza di guada-gnare tempo in attesa dell’arrivo di rin-forzi.

D’altro canto la colonna Seymourche avevamo lasciata bloccata ad Am-ping dovette rinunciare a proseguireverso Pechino ed iniziò un ripiegamentoverso Tientsin marciando lungo la spon-da sinistra del Pej-ho col supporto digiunche cinesi requisite. Ripiegamentoimpietoso costellato da numerosissimiscontri con i cinesi e conclusosi aTientsin alcuni giorni dopo grazie ancheal sostegno fornito da una secondacolonna uscita da quest’ultima località7.

Infine il 20 giugno, quando venneucciso il Ministro residente tedescobarone Clemente Augusto von Ketteler,la situazione apparve in tutta la suamacroscopica gravità. L’assassiniovenne compiuto materialmente da unufficiale mancese che colpì il diplomati-co a bruciapelo con un colpo di fucile alcapo mentre questi si faceva condurre inpalanchino allo Tsung-li-Yamen. Invecel’interprete, rimasto ferito, riuscì a ripa-rare presso la missione metodista ameri-cana di Hatamen.

Iniziarono i primi tiri di armi dafuoco contro le Legazioni mentre ilPrefetto di Pechino emise una taglia perogni uomo, donna o bambino stranierocatturato. La Corte a sua volta ordinò algenerale Yung-lu, comandante dell’eser-

A lato: la prima barri-cata innalzata davantialla Legazione dainostri marinai. A. S. R.

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cito regolare cinese, di entrare in cittàcon le sue truppe per attaccare le amba-sciate.

Pertanto il quartiere delle Legazionivenne sollecitamente adattato a difesacon l’erezione di barricate lungo i peri-metri confinanti con la città imperiale ecinese poiché l’unica barriera fisica diun certo valore era costituita da un trat-to delle mura tartare. Inizialmente anchealcuni edifici sedi degli uffici postali edella direzione delle Dogane vennero inparte utilizzati a scopo difensivo mentretre chiese: la Si-t’ang (cattedrale del-l’Ovest), la Toung-t’ang (cattedrale del-l’Est) e la Nan-t’ang (cattedrale del Sud)situate nella città tartara, abbandonatepoiché indifendibili, vennero subitoincendiate dai rivoltosi.

Un capitolo a sè meriterebbe la cat-tedrale del Peitang (chiesa del Nord) inquanto l’edificio sacro, eretto sull’areadi un palazzo donato nel 1693 dall’im-peratore Kang Hsi ai Gesuiti e ristruttu-rato più volte (l’ultimo intervento risa-liva al 1887), era l’unica chiesa cristia-na all’interno della Città imperiale eattorno ad essa sorgevano diversi edificiadibiti a foresteria e ad alloggi dei mis-sionari.

Durante l’assedio si asserragliaronoil vescovo lazzarettista Favier, vicarioapostolico a Pechino, il vescovo Jarlin,diverse suore e circa 3.500 convertiticinesi. Il Salvago Raggi nel tentativo disoccorrere in qualche modo la comunitàdei fedeli inviò 11 marinai al comandodel STV Olivieri mentre altri 30 alcomando del pari grado Paul Henry ven-nero forniti dalla Legazione francese.Inenarrabili i lutti e le privazioni chedovettero subire questi assediati cherimasero tagliati completamente fuoridalle Legazioni dal 14 giugno al 16 ago-sto nonostante che la distanza intercor-rente tra il comprensorio religioso ed i ilquartiere diplomatico fosse di pochecentinaia di metri. I Boxer si accanironoin modo particolare contro di loro edoltre a sottoporli a tiri di fucileria ed diartiglieria, fonte di numerosi morti eferiti, scavarono alcune gallerie sottodiversi edifici. Quindi accumulati fortiquantitativi di esplosivi da mina all’in-terno dei cunicoli li fecero brillare sep-

pellendo in tal modo diverse centinaiadi persone sotto le macerie dei fabbrica-ti sovrastanti. Molto probabilmente aquesta chiesa va collegata la testimo-nianza raccolta nel 1935 dall’ ambascia-tore olandese Van Gulik8. Infatti un te-stimone raccontò al diplomatico che al-lo scoppio dei disordini alcune suore,intuito il pericolo incombente, si eranosollecitamente dirette alla cattedrale diPechino ma a pochi metri dal portaled’ingresso vennero fermate da un grup-po di Boxer. Conscie di una fine immi-nente, supplici levarono le braccia alcielo ma le maniche particolarmenteampie dei loro abiti monacali crearonoun momentaneo smarrimento tra i faci-norosi che si ritrassero ritenendo chetale foggia, simile a quella dei camicio-ni dei lottatori, servisse a nasconderedissuasive palle di ferro da usare controeventuali assalitori. Quei pochi attimiconsentirono l’arrivo di alcuni militari,usciti di corsa dalla Cattedrale, che lesalvarono.

Invece particolarmente sicura venneconsiderata l’ambasciata britannica inquanto dotata di una alta recinzione, diedifici capienti, di una abbondante riser-va idrica alimentata da cinque pozzi e diforti quantitativi di derrate alimentari,vini ed animali che potessero fornirecarni fresche come muli e pecore.Pertanto il 20 giugno ivi vennero riunitele donne ed i bambini delle Legazioni etutti gli stranieri abitanti a Pechino, circa900 persone. Si aggiunga che il lato estdella sede inglese confinava col Canaledi Giada al di la del quale si trovava unpalazzo trasformato dagli assediati in uncaposaldo fortificato denominato “Fou”.Questo baluardo nel corso dei 55 giornidi assedio divenne il perno difensivoattorno al quale si scatenarono i combat-timenti più cruenti.

Diverse legazioni difficilmentedifendibili per la loro posizione partico-larmente esposta lungo il perimetrodifensivo vennero evacuate come labelga, l’austro-ungarica e l’italiana. Nonsfuggirono alla distruzione anche gliedifici ospitanti l’Ispettorato delleDogane e l’Accademia Imperiale sede dipreziosi archivi (secondo il Madaro unvero e proprio “sancta sanctorum” della

civiltà cinese) e di importanti bibliote-che date alle fiamme dalla furia popola-re nel vano tentativo di propagare ilfuoco anche alle vicine Legazioni.

Sistemi di offesa che in un certoqual modo dovevano sopperire alle gra-vissime carenze di addestramento del-l’esercito regolare cinese illustrate argu-tamente da Luigi de Luca, funzionariodelle Dogane Imperiali:

“Il 23 giugno il nemico cominciò ilbombardamento con l’artiglieria da cam-pagna. I primi colpi furono sparati dallamuraglia al sud delle Legazioni contro labarricata che gli americani avevano erettafra la loro Legazione e quella diGermania. Ma la mira dei Cinesi era trop-po alta ed i loro proiettili, passando sopragli americani, andavano a colpire le truppecinesi schierate al lato opposto. Ciò fu unacostante sorgente di guai per loro e didivertimento per noi. Sia coi fucili che coni cannoni miravano spesso troppo in alto efinivano coll’uccidersi e ferirsi a vicenda,mentre i proiettili passavano sopra lenostre teste.” (eclatante esempio di perditedovute a “friendly fire” [fuoco amico]”)

Vanno anche sottolineati alcunicomportamenti registrati tra gli assedia-ti. Dopo i primi combattimenti il CVThoman, comandante della nave milita-re austriaca “Zenda” incrociante alle fo-ci del Pej-ho, e responsabile delle difesecome ufficiale più anziano del contin-gente, accusato di scarsa risolutezza,venne sostituito da sir Claude Mac Do-nald, Ministro residente inglese anchesu pressione del Nostro che prese unadura posizione contro l’austriaco cheaveva disposto l’immediato abbandonodella Legazione italiana a causa di unpresunto imminente assalto dei boxers.L’ambasciata dovette essere abbandona-ta con tutta urgenza senza che fosse con-cesso il tempo necessario al salvataggiodei carteggi maggiormente riservati edimportanti. Sicché questi andarono com-pletamente distrutti quando la Lega-zione, occupata dai cinesi, venne dataalle fiamme. Tuttavia l’ufficiale austria-co in seguito fece passare in secondoordine questo infelice episodio poichécadde combattendo eroicamente sullebarricate negli ultimi giorni dell’assedioquando la situazione era divenuta ormai

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disperata. Anche Polly Condit Smith, l’“ospite” del primo segretario americano,forse alla ricerca di una qualche notorie-tà, “salita in cattedra” definì nel suo dia-rio il nostro Salvago Raggi come perso-na che: “…passa il suo tempo in sedia asdraio, chiaccherando con la moglie”.Infelici espressioni non aderenti allapersonalità notoriamente attiva delnostro ambasciatore che nel 1915, alloscoppio della guerra contro l’Austria-Ungheria, si arruolò come volontario eandò al fronte ove si guadagnò la stimadei suoi artiglieri che lo soprannomina-rono “Salvago Coraggio”. Inoltre leconsiderazioni della Condit Smith sonoin aperto contrasto col diario tenutodalla marchesa Camilla Salvago RaggiPallavicino che al riguardo annotò:

“Durante la giornata restavo sola conil mio bambino e qualche altra signoragiacché mio marito se ne stava con il dis-taccamento dei marinai italiani rimasti allaLegazione.”

(Tralasciando di riferire, esempio dirara ed encomiabile modestia, sulle cureche Ella dedicava ai feriti italiani che, alritorno in Patria, Le valsero un Diplomadi Benemerenza ed una Medagliad’Argento, onorificenze che la CroceRossa Italiana conferiva solo dopo rigo-rosi accertamenti).

Frattanto nel corso del mese diluglio sui giornali europei si comincia-rono a diffondere dicerie secondo lequali le Legazioni erano cadute. Diversigiornali italiani riportarono con grandeevidenza la notizia della morte delSalvago Raggi e della sua famiglia evi-denziando nel contempo il cordoglio e

l’indignazione di tutta la nazione. Ilnostro giornale locale “Il Corriere delleValli Stura ed Orba” così le riportò sul-l’edizione del 8 luglio:

“I lettori sanno che il Marchese Sal-vago Raggi rappresenta l’Italia a Pechinodove si trovava insieme alla sua signora ead un bambino di 6 o 7 anni9 al momentodello scoppio della grave rivolta cheinsanguina le principali città della Cina.L’Italia è trepidante sulla sorte del nostrobravo ambasciatore che rese già segnalatiservigi alla Patria in momenti difficili esovratutto all’epoca della progettata occu-pazione della Baja di San Mun, progettofortunatamente sfumato dinanzi all’oppo-sizione del Parlamento e del Paese.

Ma se tutti in Italia si interessano dellasorte del Salvago Raggi e della sua fami-glia, i nostri paesi, dove il Salvago Raggie la sua signora, una Pallavicini-Groppallodi Genova, sono popolari e conosciutissi-mi, sono in modo speciale dolorosamenteansiosi specialmente dopo le tristi notizieche ci vengono dall’Estremo Oriente e chelegittimano le più fosche previsioni.

La famiglia Salvago Raggi ha vastipossedimenti e ville sontuose nei nostridintorni, fra cui citeremo quella alla Badiadi Tiglieto, quella di Campale in territoriodi Molare e quella di Castelvero nelComune di Castelletto, e suole passare franoi i mesi autunnali.

Attualmente, come già dicemmo, lafamiglia Salvago Raggi trovasi a Pechinoe si teme sia stata travolta nelle stragi chehanno già fatto tante vittime nella coloniaeuropea. Un filo di speranza vi è ancora,ma è tanto tenue che non ci sentiamo ilcoraggio di alimentare altre illusioni. Anzipare sia svanita anche la speranza primaconcepita che l’ambasciatore, vista la

mala parata, avesse qualche tempo primadello scoppio delle ostilità, inviato alGiappone la moglie col figlio. La mancan-za assoluta di notizie al riguardo fa ritene-re che questo provvedimento che sarebbestato così opportuno non sia stato preso.La notizia ebbe forse origine da unbrano di lettera del Salvago Raggi chetroviamo nei giornali di ieri. In data 14marzo il Salvago scriveva ad un amico diRoma: - Se i boxers me lo permetteranno,conto di fare una gita alla Corea. Siccomemi converrà toccare il porto di Nagasatic(sic), vi lascerò mia moglie e il bambino,ai quali non desidero far provare un’estatepechinese. - Era un presentimento? Il mar-chese Salvago Raggi ha appena 35 anni,ed è il più giovane dei nostri ministri ple-nipotenziari. Esce dalla famiglia marchio-nale dei Salvago, una delle più cospiquedell’antica nobiltà genovese, inscritta nellibro d’oro della Repubblica. Recen-temente al nome dei Salvago10 fu aggiun-to quello di Raggi11 patrizio anch’esso.Non è il primo che nella difficile arte delladiplomazia abbia servito il suo paese,giacché si sa che un avo suo, fu già amba-sciatore a Vienna. Tutti ricordiamo la sim-patica figura che fu suo padre, il MarcheseParis, morto da poco tempo. Fu lui chedopo essere stato Deputato di Pon-tedecimo, si ritirò nei suoi poderi dei paesia noi dintorno, e qui imprese a farsi cono-scere ed amare, qui crebbe ed educò ilfigliuolo Giuseppe, finché lo mandò aTorino e a Firenze ove completò i suoistudi all’Istituto di scienze sociali. IlSalvago, uomo colto e studioso, insignitodi una medaglia al valor civile, è nei nostripaesi benamato e stimato, e l’augurio èunanime e sincero che possa ancora rive-dere le sue amate convalli e gli amici!”

Sempre in prima pagina il 15 Luglioil “Corriere” nostrano riportava nuoveallarmanti notizie sotto il titolo “Le stra-gi cinesi”:

“Le notizie della Cina, che negli ulti-mi giorni avevano lasciato un barlume disperanza, sono ridivenute addirittura disa-strose. Telegrammi di Londra confermatida informazioni che pervengono da altreparti danno per certa la strage generaledegli europei.

Le legazioni russa e inglese che ave-vano resistito fino al 7 del corrente mese,attaccate con furore inaudito dalle miliziee dal popolaccio cinese non poterono più

A lato: esecuzione capitale diun boxer, mediante decapita-zione, al termine della rivolta.

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oltre resistere e furono completamentedistrutte12. Tutti gli stranieri furono uccisie le vie circostanti furono convertite inlaghi di sangue.

L’assalto appoggiato da buona arti-glieria fu diretto dal neo imperatore in per-sona, il terribile Tuan, che fu lo spiritomalvagio, l’anima dannata di questo quar-to d’ora di sangue e di carneficina. A nullavalse il valore degli europei contro le ordesempre rinnovantesi dei cinesi e nel matti-no del giorno 7 tutto era finito. Per com-prendere tutta l’estensione del disastro,bisogna notare che le legazioni inglese erussa erano le sole che avevano potutofino a quella data resistere agli attacchiincessanti degli assalitori. A Tien-tsin, cheè la città che sta fra il mare e la capitalePechino, le cose pare si mettano moltomale per le truppe internazionali che sonoin numero troppo esiguo per resistere alungo alle milizie cinesi; esse, a quantoaffermano gli ultimi telegrammi, sonoprovviste di armi, di cannoni di ultimomodello13 e sono guidate da capi abba-stanza inelligenti. Fra le truppe internazio-nali finora si distinguono le giapponesi, lequali, però, è necessario dirlo, si trovanosul campo di battaglia in numero prepon-derante. Le truppe spedite dalle varienazioni sono in viaggio verso l’imperoceleste, ma si teme fortemente che arrive-ranno quando, non solo a Pechino, ma intutte le città della Cina, la catastrofe saràimmane, irreparabile. Del Ministro italia-no Salvago Raggi e della sua famiglia nes-suna notizia, e purtroppo ormai non si haalcuna speranza che non siano stati travol-ti nell’eccidio generale.”

Notizie che certamente feceromolto scalpore poiché anche l’ “Illustra-zione Italiana”, autorevole pubblicazio-ne dell’epoca, confermò la ferale notiziadedicando la copertina della rivista allafamiglia Salvago Raggi con una dida-scalia che non lasciava speranze: “IlMarchese Salvago Raggi, Ministro ita-liano, la sua signora Camilla, e il picco-lo Paris assassinati a Pechino”. Ma nel-l’edizione del 22 luglio la funesta noti-zia venne corretta da un breve articolodel nostro settimanale ovadese dal titolo“Il mistero Cinese”:

“Le notizie che i giornali si fannotelegrafare, o che fabbricano nelle reda-

zioni, intorno alla rivoluzione cinese ed aimassacri degli ambasciatori a Pechinosono talmente contraddittorie che chivolesse con questo caldo, prenderli sulserio, correrebbe pericolo di finire diretta-mente al Manicomio. Difatti dopo averdescritto con tutti i più minuti particolarila espugnazione della Legazione inglese, el’eroica difesa degli europei e la loro glo-riosa fine, ecco quanto telegrafano daLondra alla Gazzetta del Popolo di Torino.

“Il pubblico è sbalordito dalla notiziache i ministri a Pechino siano ancora salvi.Persona che giorni sono ha parlato alMinistro degli Esteri per gli Stati Uniti,Hay, riferì che questi disse all’ambasciato-re cinese a Washington: “Se volete checrediamo alla salvezza degli europei, otte-nete un messaggio cifrato dal nostro rap-presentante.”

Ebbene il messaggio fu ottenutomediante lo Tsung-li-yamen dall’amba-sciatore cinese, il quale lo portò immedia-tamente al presidente Mac Kinley. Deci-fratolo si trovò che diceva: “Siamo tutti al-la Legazione inglese sotto il fuoco delletruppe chinesi. Solo il pronto arrivo disoccorsi può salvarci.” Il messaggio ha ladata del 18 corrente. La falsificazione giu-dicasi impossibile. L’unica possibile inter-pretazione dello straordinario misterosarebbe dunque che Pechino trovisi inbalia di truppe ammutinate e che tuttavia ilGoverno chinese con qualche mezzo mi-sterioso si mantenga in comunicazionecon gli europei assediati.”

Ma in Luglio le Grandi Potenze nonerano rimaste passivamente a seguirel’evolversi della situazione. Anzi i Go-verni Giapponese e Russo, entrambi fa-voriti dalla vicinanza geografica, raffor-zarono i loro contingenti. Il Giapponeinviò un’intera Divisione, la 5^, mentrela Russia, sfruttando l’ interconnessionegià esistente tra la Transiberiana e lalinea ferroviaria cinese, trasferì con unacerta facilità diversi reparti del 1° Corpod’Armata siberiano di stanza a Vla-divostock e Port Athur. A queste segui-rono truppe coloniali inglesi14, francesiprovenienti dal Tonchino ed americanenormalmente di stanza nelle Filippine. Atali importanti formazioni si aggiunserocirca 200 Tedeschi, una sessantina di

Austriaci e 53 marinai al comando delTV Sirianni, raggranellati tra gli equi-paggi delle nostre navi alla fonda davan-ti ai forti di Takù, poiché il contingenteera ancora in Italia in corso di costitu-zione.

Nonostante la situazione cinesefosse apparsa già sufficientemente gravesin dal 17 maggio 1900, in Italia solo ingiugno venne presa seriamente in consi-derazione la necessità di inviare alcunireparti dell’Esercito di rincalzo ai nostrimarinai. Ai primi di luglio vennero ema-nate le prime disposizioni per l’invio diun contingente composto da un batta-glione di fanteria, un battaglione di ber-saglieri, una batteria di mitragliatrici, undistaccamento misto del genio, un ospe-dale da campo ed un drappello di sussi-stenza per un totale di circa 1960 uomi-ni tra ufficiali, sottufficiali, caporali esoldati. Stranamente mentre gli inglesiinviarono l’intero Reggimento “Lancieridel Bengala”, utilissimo per compitiesplorativi e di supporto, il nostro StatoMaggiore non inviò un solo reparto dicavalleria.

A metà luglio il contingente erafinalmente pronto: il comando venneaffidato al colonnello di FanteriaVincenzo Garioni e la partenza vennefissata per il 21 luglio. Ma poco dopo ladata venne anticipata al 19 luglio per cuisui piroscafi della Società di Navi-gazione Generale Italiana, “Singapore”,“Giava” e “Minghetti” vennero imbar-cate sollecitamente le truppe e caricati inmodo caotico i materiali che, malamen-te imballati e ancor peggio stivati, ingran parte si deteriorarono nel corsodella navigazione in acque tropicali.

Intanto il contingente internaziona-le composto da circa 12.000 uomini,radunatosi a Tientsin ai primi di agostoal comando del generale inglese AlfredGaselee, il 4 avanzò lungo la riva destradel Pei-ho verso Pechino sia a piedi e siautilizzando giunche cinesi sequestrate.La marcia, salvo alcuni sporadici com-battimenti di non rilevante importanza,procedette regolarmente per buona sortedegli assediati ormai allo stremo per lacarenza di vettovaglie e di munizioni. IlSalvago Raggi scrisse che il giorno 13 icinesi, tra un’assordante e continua

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fucileria, tentarononumerosi assalti allemura ed alle palizzatedelle Legazioni, cosamai prima avvenuta contanto accanimento, e so-lo verso le due di notte,contestualmente al bron-tolio di un lontano can-noneggiamento, la fuci-leria e gli assalti dimi-nuirono di intensità percessare del tutto. Era ilfrutto dell’arrivo delletruppe internazionali li-beratrici che avevanoraggiunta la periferiadella città.

I reparti interna-zionali osservarono unasosta per concedersi unpo’ di riposo dopo la lunga marcia e perpredisposi all’attacco finale fissato per il14. In tal giorno, mentre i soccorritoriassalivano le porte che immettevanonella città tartara e cinese in una spa-smodica gara, un piccolo drappelloinglese del 1° Reggimento Sikhs, tra iquali si trovava anche il generaleGaselee, sfruttando una condotta consaracinesca di un canale che attraversa-va le mura della città tartara, riuscì adentrare per primo nel quartiere diploma-tico e raggiungere l’ambasciata brtanni-ca.

Il 15 Agosto tutte le Legazioni furo-no completamente liberate ed il giornosuccessivo venne liberata anche laPejtang oramai ridotta veramente allostremo. Alla cattedrale negli ultimi gior-ni di assedio venne distribuito l’esiguoriso rimasto e vennero abbattuti gli ulti-mi quadrupedi per distribuire a tuttiqualche pezzetto di carne. Anzi il 12agosto nonostante fosse ormai imminen-te l’arrivo del contingente internaziona-le i Boxer fecero brillare l’ultima minache fece più di duecento morti tra i con-vertiti cinesi, sei tra i marinai italiani,uno tra i missionari mentre il STVOlivieri, rimasto sepolto sotto le mace-rie, venne estratto con gravi ferite allegambe. Quindi nel corso dell’assedioalla Peitang furono uccisi oltre 400 cri-stiani, 3 missionari e 11 marinai mentre

circa 120 bambini ed 80 donne moriro-no di fame e di stenti.

L’ingresso nella Città Proibita ven-ne volutamente rimandato ma il 28 ago-sto l’intero Corpo diplomatico, accom-pagnato dai comandanti e rappresentan-ze delle truppe, varcò le porte dei sacrirecinti, inviolati per secoli, infliggendouna umiliazione senza pari. Terminata lacerimonia le quattro porte della sedeimperiale, lasciata intatta, vennero sigil-late e le chiavi consegnate in custodia aicomandanti giapponese ed statunitense.Tuttavia il nostro Ambasciatore, avendonotato nella casa di una signora ameri-cana una preziosa giada finemente scol-pita e già appartenente ad un salottodella sede imperiale, nutrì sempre fortiriserve sull’effettivo rispetto dei beni diproprietà cinese.

Valutazione confermata anche dallaspoliazione da parte delle truppe tede-sche dell’osservatorio astronomico, an-tico di circa tre secoli essendo stato fon-dato dai Gesuiti ai primi del Seicento, icui antichi strumenti vennero trasferitiin Germania e restituiti alla Cina solo altermine della Prima Guerra Mondiale,dopo numerose proteste e pressioniinternazionali.

Il giorno successivo il nostro contin-gente giunse nella rada di Taku, ormai acose fatte, ed il “Singapore”, il “Min-ghetti” ed il “Giava” si ancorarono nei

pressi delle navi della RegiaMarina, “Fieramosca”, “El-ba”, “Vettor Pisani” e “Ca-labria”. Le operazioni disbarco furono alquanto la-boriose in quanto in quelleacque non disponevamo dipontoni e rimorchiatori. Civennero in aiuto tedeschi,inglesi e russi ma le opera-zioni di scarico andaronocosì a rilento che l’ospedaleda campo venne sbarcatoper ultimo a fine settembre.Tuttavia l’invio del contin-gente italiano non fu inutilepoiché fanti di linea e bersa-glieri trovarono assai utileimpiego nelle successiveattività di pacificazione econtrollo del territorio.

Giunto a Tientsin il contingentedapprima venne accasermato in un lani-ficio in disuso, poi in una caserma ab-bandonata dalle truppe regolari cinesi,quindi in locali della concessione fran-cese ed infine in un antico ospizio per levedove bisognose. Situazione quantomai discutibile ma dovuta al fatto chel’Italia non aveva in precedenza né unaconcessione né un presidio militare intale località.

I reparti italiani furono impiegati indiverse spedizioni che talvolta diederoorigine a combattimenti impegnativi,anche se le truppe cinesi in linea di mas-sima evitarono sempre il confrontodiretto con reparti occidentali.

In totale le spedizioni di una certarilevanza a cui parteciparono i nostrisoldati in stretta connessione con letruppe inglesi, tedesche, giapponesi erusse furono una decina di cui la piùimportante venne effettuata tra il 12 ed il20 ottobre 1900 nella zona di Paotig-fu.A tale operazione parteciparono duecompagnie di bersaglieri, una batteria diartiglieria ed un distaccamento del genioper un totale di 385 uomini tra ufficiali esoldati italiani.

Non va dimenticato però il largo tri-buto di sangue versato durante la som-mossa dalla nostra Marina che nel corsodella difesa della Pejtang e dell’Am-basciata ebbe, su 2 ufficiali e 39 marinai,

A lato: l'ingresso delletruppe italiane nella CittàProibita.

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ben 13 caduti e 15 feriti di cui due uffi-ciali.

Terminate le operazioni militari siaprì una lunga fase diplomatica e per ilNostro iniziò un periodo di intensa atti-vità essendo stato nominato Pleni-potenziario per il Trattato di Pace con laCina. Lungo impegno che lo sottrassealla sua Molare che l’attendeva comeSindaco poiché, nonostante i dubbiperaltro giustificati dalle voci che inquel periodo si accavallarono sulla suapermanenza in vita e sulla sua effettivadisponibilità a ricoprire la carica, nelleelezioni tenutesi il 19 agosto ottennemoltissimi voti staccando gli avversaridi parecchie lunghezze. Personalitàquindi tanto benvoluta dai Molaresi che,su iniziativa della locale Società OperaiaCattolica, il 28 Ottobre nella ChiesaParrocchiale venne celebrata una solen-ne messa di ringraziamento officiata dalReverendo Arciprete Don Ferrari edaccompagnata dai canti della SocietàFilarmonica.

Anche il domestico dell’Amba-sciatore che con Eugenia, la bambinaiadel piccolo Paris, aveva diviso con lafamiglia Salvago Raggi quei tragicimomenti, al rientro a Molare, avvenutoa metà novembre, ebbe un momento dicelebrità guadagnandosi un ritaglio sul-l’edizione di domenica 25 del “Corrieredelle Valli Stura e Orba”:

“Fra i molti episodi raccapricciantinarrati dal cameriere particolare delnostro Ambasciatore a Pechino MarcheseSalvago Raggi è degno di nota il fatto chequesto ebbe salva la vita per vero miraco-lo, perché mentre dal tetto dell’Amba-sciata inglese sparava anch’egli il propriofucile contro la plebaglia cinese inferoci-ta, essendosi a caso chinato per raccoglie-re una cartuccia, proprio in quell’istanteuna palla di cannone lo sfiorava, e certolo avrebbe colpito in pieno petto se fossestato ritto in piedi.

Egli racconta ancora che le vet-tovaglie erano ridotte agli sgoccioli, e chebastavano ancora due giorni e avrebberodovuto cadere vinti dalla fame.L’Ambasciatore tanto per tenere alto ilmorale depresso dei marinai era costrettoa falsificare dei telegrammi che le truppe

alleate erano a pochi chilometri da Pe-chino e che presto li avrebbero liberati.

Encomiabili e coraggiosissimi si di-mostrarono sempre tutti , che in pochi sep-pero respingere delle migliaia di cinesi.Anche il piccolo ottenne Paris SalvagoRaggi incorava gli altri alla difesa , e dice-va, mostrando un piccolo falcetto, cheprima di cadere nelle mani dei cinesi, sisarebbe segato la gola.”

Ma ritorniamo al Nostro alle presecon la complessa attività diplomaticaaggravata da inevitabili dissensi tra lePotenze vincitrici e dall’assenza del-l’Imperatrice e della Corte allontanatesiprecipitosamente da Pechino per rag-giungere la regione dello Shansi.

Unica nota positiva fu la felice scel-ta, operata dalla Sovrana, di farsi rap-presentare durante le trattative dal prin-cipe Li Hung-chang, ben disposto versogli occidentali e da alcuni definito comeil “Bismark cinese”. Il 26 ottobre 1900presso la Legazione spagnola, in omag-gio all’Ambasciatore iberico, decano delCorpo diplomatico, si aprirono le lungheed estenuanti trattative.

Verso il novembre 1900 la Cina fucostretta ad assegnare alla Russia ed alBelgio alcune vaste aree comprese tra lalinea ferroviaria Tientsin - Taku e lasponda sinistra del Pei-ho. Il nostro

Ministro plenipotenziario, colta la pallaal balzo, informò sollecitamente ilMinistero degli Esteri che, il 21 gennaio1901, autorizzò l’occupazione dei terre-ni anche da parte italiana.

Era di fatto la nascita della Conces-sione di Tientsin: un complesso di unacinquantina di ettari su cui, da buonicolonizzatori italiani, dopo una profon-da bonifica dovuta alla zona paludosa,erigemmo il municipio, il consolato, lachiesa cattolica, l’ospedale, il camposportivo e due caserme. Il tutto contor-nato da giardini, ampi viali, case per icivili ed una banchina sul fiume.

La Concessione della “Porta delCielo” sarebbe rimasta in mano italianasino all’8 settembre 1943 quando a se-guito dei noti fatti armistiziali le truppegiapponesi dell’Asse Tokio - Berlino in-ternarono la nostra guarnigione.

Per quanto riguarda il ritiro delletruppe italiane il Salvago Raggi, in con-trasto col colonnello Garioni che avreb-be preferito trattenere in Cina il maggiornumero possibile di soldati, consigliò alMinistero della Guerra di ridurre le trup-pe a due compagnie di fanteria, due dibersaglieri, un plotone di esploratori eduna sezione di artiglieria da impiegarenei presidi di Tientsin e Huang-tsun.Due compagnie di marinai ed una sezio-

ne di artiglieria da sbarco avrebberoprovveduto a presidiare la Legazione.

Il piano di riduzione redatto dalMarchese venne approvato dal Mini-stero ed il 20 giugno 1901 partirono daNapoli i piroscafi “Singapore” e “Wa-shington” noleggiati per il rientrodelle truppe. Con tale convoglio giun-sero in Cina 10 carabinieri destinatialla scorta dell’Ambasciatore, 19 arti-glieri da montagna ed anche 21 caval-leggeri destinati al plotone esploratori.

Il 7 Settembre 1901, conclusi inegoziati, si addivenne alla firma delprotocollo finale. Si tralasciano i puntipiù qualificanti del trattato come laquantificazione ed il pagamento deidanni di guerra ed alcuni provvedi-menti relativi a grandi opere di rettifi-ca del corso del Pejho, per renderemeglio navigabile la via fluviale, eaddivenire a quelli di più immediatointeresse.

Sotto: il GovernatoreMarchese Salvago Raggi sullascalinata della Residenza adAsmara. A. S. R.

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Si sottolineano in particolare alcuniemblematici oneri a carico del governocinese: l’erezione di un monumentocommemorativo dedicato al Barone VonKetteler con iscrizioni in tedesco, cinesee latino; la degradazione postuma digovernatori ed alti funzionari cinesidirettamente coinvolti nella rivolta; lasospensione degli esami di stato per cin-que anni in tutte le città ove fossero statimassacrati stranieri; l’erezione di monu-menti espiatori e commemorativi neicimiteri internazionali profanati; ildivieto di importare per due anni armi omateriali per costruirle; il riconoscimen-to dell’extraterritorialità delle Legazioniautorizzate ad ospitare una propria poli-zia e truppe per la difesa; proibizioneperpetua di costituire e tollerare associa-zioni xenofobe; la trasformazione delloTsung-li-Yamen in un Ministero degliAffari Esteri di stile occidentale.

Il Salvago Raggi rientrò a Molaregrazie ad un avventuroso viaggio di rim-patrio attraverso la Mongolia. Ma dopopoche settimane il Ministero degli Esterinon seppe rinunciare alle preziose espe-rienze acquisite dall’Ambasciatore e dal19 dicembre 1901 lo assegnò comeConsole Generale al Cairo. Quivi Eglimantenne la propria sede sino al 5 otto-bre 1906, data da cui venne destinatocome Console Generale a Zanzibar eCommissario del Benadir.

Quest’ultimo territorio, posto sullecoste somale dell’Oceano Indiano, era ilfrutto di un primo trattato col Sultano diZanzibar, risalente al 28 maggio 1885, erappresentava un’iniziativa avviata perdeviare parte dell’emigrazione verso

questi territori che però avevano benpoco da offrire. Sintomatica al riguardola descrizione che ne rilascia il Quirico:

“A leggere le carte sembrava un pul-lulare di genti e città. Poi quando sbarcavi,scoprivi che dietro i nomi c’erano villag-getti assopiti dalla miseria, abitati dapoche centinaia di persone il cui unicodiritto era quello alla pigrizia. Le case inpietra si contavano sulle dita, ed era pietratenuta insieme con l’argilla, che alle primepiogge o al primo vento un po’ robusto sisfarinavano lasciando il proprietario senzariparo e in condizioni peggiori di coloroche si accalcavano in tuguri di paglia eramaglie. Di solito c’erano le “garese”castellacci in stile arabesco simili alla spe-lonca dell’Innominato, un po’ palazzo e unpo’ prigione, dove i despoti locali esercita-vano le loro modeste mollezze, controlla-vano i pozzi dell’acqua e tosavano i suddi-ti.”

Con una successiva convenzionesottoscritta il 12 agosto 1892 il Sultanodi Zanzibar, nel quadro del progressivosmembramento del sultanato finito sottoprotettorato inglese nel 1890, avevaceduto in amministrazione i porti delBenadir (Brava, Merca, Mogadiscio eUarsceik) al governo italiano per160.000 rupie e quest’ultimo a sua voltaaveva affidato l’esercizio del territorioper tre anni alla “Compagnia Com-merciale Italiana V. Filonardi e Co”.

Tuttavia al termine del triennio laconcessione non venne rinnovata ed ilterritorio transitò sotto una “Ammi-nistrazione Provvisoria” governativache a sua volta, dopo alcune vicende, nel

1899 la passò di manoalla “Società Commer-ciale per il Benadir”destinataria della ge-stione dei porti e deicentri abitati per 48anni.

Ma un’iniziativa acarattere privatisticonon era certamente ingrado di contrastare itorbidi che in quel pe-riodo si svilupparonosulle coste del Benadira causa dell’ascesa inquell’area di Mohamed

ben Abdalla Hassan, predicatore islami-co dotato di grande ascendente presso lepopolazioni locali, in seguito meglioconosciuto come “Mad Mullah” ossia il“Mullah Pazzo”.

Fortunatamente per noi il Mullah sidedicò a combattere gli inglesi ai confi-ni del Kenia e nei territori dell’OltreGiuba impegnando solo marginalmentele poche compagnie di “chirobotos”(pidocchiosi) che alcuni volenterosi epazienti istruttori italiani avevano cerca-to di inquadrare in una sorta di primitivaorganizzazione militare.

D’altra parte questi indigeni eranoquanto mai mal pagati e sotto certiaspetti ricordavano i “basci buzuc”(teste vuote) della colonia Eritrea cheinvece, adeguatamente addestrati edarmati furono sempre considerate truppedegne di ogni rispetto per fedeltà ederoismo facendo passare in second’ordi-ne il dequalificante appellativo.

Ma il Ministro degli Esteri Tittoni siavvide ben presto che un Salvago Raggi,che tanto di sè aveva già dato in Cina,non poteva essere sprecato tra le assola-te piagge di Zanzibar e le malsane e sor-dide “garese” del Benadir a rintuzzare leincursioni di un Mad Mullah e quindipropose il suo nome come Governatoredella Colonia Eritrea.

La notizia si diffuse tanto rapi-damente che il numero del 27 gennaio1907 del settimanale locale “Il Corrieredelle Valli Stura ed Orba” riportava ilseguente ragguaglio:

Da Molare. Appena appresa la nominaa Governatore dell’Eritrea del nostro con-

A lato: una "Guardiadel Governatore" conun leoncino alla catenadavanti alla ResidenzaGovernatoriale. A. S. R.

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cittadino Marchese Salvago Raggi glivenne spedito il seguente telegramma: “AS.E. Marchese Salvago Raggi - Torino -Interprete sentimenti Società Operaia,Molare, per l’altissima ed onorifica caricaGovernatore Eritrea porgo vivissime con-gratulazioni - Presidente Marco Gilardi .”

Incarico non semplice poiché la feri-ta di Adua bruciava ancora ed i rapporticon il governo abissino non erano certa-mente idilliaci. Di qui la necessità dichiamare a tale delicato incarico nonsolo un abile diplomatico ma anche unapersona che fosse un amministratoreavveduto e previdente.

Infatti il Marchese, pur essendo ten-denzialmente un conservatore in aderen-za al suo rango aristocratico, non esitòmai a prendere iniziative utili alla popo-lazione indigena disdegnando orpelli epropugnando invece durature ed utiliopere pubbliche. Non per nulla il più belmolo del porto di Massaua, eretto insostituzione dei fatiscenti approdilasciatici in eredità dal decadente impe-ro ottomano, gli venne meritatamentededicato.

Si insediò all’Asmara il 25marzo 1907, appena quarantunenne, edin coincidenza col suo lungo mandato lecronache militari appaiono di un taleappiattimento che assurgono ad un certorilievo solamente le “Tabelle organi-che” del Regio Corpo TruppeColoniali che sotto la sua amministra-zione riportano evidenti riduzioni dipersonale. Fa cronaca l’invio di unbattaglione di ascari nel Benadir adare manforte a reparti somali impe-gnati contro indigeni della tribùBimal armati con “Wetterly” fornitidal Mad Mullah (scontro di Dongab 2marzo 1908), mentre bisogna attende-re lo scoppio della guerra italo-turcaper registrare, nel 1912, la partenza diun battaglione di fanteria eritrea e diuno squadrone meharisti per la Libia.

Il Salvago Raggi seguì molto davicino la questione terriera originatadalla frettolosa applicazione del de-creto15 istituente il Demanio per cuimolti fondi, appartenenti a villaggiabbandonati solo per brevi periodi permotivi di guerre, colera o carestie,furono tolti agli indigeni ed accorpati

all’Amministrazione coloniale creandoproblemi di non facile soluzione. Nellafattispecie Egli trattò sempre tali que-stioni nell’ottica di tutelare gli indigenicontro i soprusi ed i maltrattamenti deibianchi affinché quest’ ultimi non abu-sassero della loro posizione privilegiata.Inoltre il Nostro si adoperò affinché talefilosofia fosse applicata nell’ ammini-strazione della giustizia riservando ingenere il giudice togato ai bianchi ed ilCommissario per gli indigeni.

Richiese anche più volte l’aperturadi una Banca affinché gli imprenditoripotessero disporre di capitali da impie-gare nello sviluppo delle proprie attivitàsenza cadere nelle mani di usurai senzascrupoli. Giova ricordare al riguardo chele saline di Massaua entrarono in fun-zione solo grazie al prestito di 40.000lire (importo ovviamente molto elevatoper quei tempi) che il Marchese finanziòcon fondi personali unitamente ad altre200.000 concesse, dietro sua insistenza,dalla Banca d’Italia. Solo grazie a questiprestiti la Società delle saline fu in gradodi avviare la produzione che dette utilirimarchevoli. Varò anche un riordina-mento amministrativo della colonia fon-dato sul “decentramento”, concetto assaiavanzato per i tempi, e talvolta , nella“latitanza” del Tesoro e della Corte dei

Conti, sopperì con Decreti Governato-riali che crearono un sistema operativoprovvisorio in seguito pienamente ap-provato ed adottato dai funzionari mini-steriali inviati in Colonia.

Creò acquedotti e curò lo sviluppodi una rete di strade e cammelliere uti-lissima non solo allo sviluppo economi-co della colonia ma anche ai fini di ope-razioni militari: la Baresa-Saganeiti, laAddi Ugri - Addi Qualà, la Saganeiti-Addi Caié, Assab-Dessié, ecc.. Reteaffiancata dalla costruzione di pozzilungo le strade e dal contestuale poten-ziamento del servizio di manutenzione.

Vanno sottolineati anche i numerosisforzi diretti a terminare la costruzionedella ferrovia collegante Massaua adAsmara, sede del Governatorato. Ini-ziata nel lontano 1888, i lavori si eranostancamente protratti e nel 1904 la lineaera giunta solamente sino a Ghinda, aquota 890 metri, coprendo un percorsodi settanta chilometri. Rimaneva ancorauna tratta di cinquanta chilometri, la piùcostosa e tecnicamente difficile da rea-lizzare in quanto l’altipiano di Asmara èposto a circa 2.400 metri di altitudine.

Infatti da Ghinda la ferrovia assu-meva tutte le caratteristiche di una lineadi montagna che per le sue ardite solu-zioni costruttive ancora oggi non si dis-

costa molto dai “ferrocarriles” andini,dovendo superare un dislivello dioltre 1.500 metri nell’arco di una qua-rantina di chilometri. Numerosissimefurono le opere murarie, i viadotti e legallerie che si dovettero costruirelungo le pendici scoscese che costrin-sero il tracciato a seguire un’infinitàdi curve. Opera complessa che proba-bilmente sarebbe stata terminata solonel corso dei preparativi destinati allaguerra d’Etiopia del 1935 quando perragioni logistiche i militari dettero unforte impulso al completamento deicollegamenti stradali e ferroviari.

Quindi il merito di avere ultima-to, nel corso del 1911, i 120 chilome-tri di linea che separano Massaua daAsmara va pienamente ascritto alnostro Governatore che per completa-re le disponibilità finanziarie necessa-rie per terminare tale realizzazione,riuscì a fare dirottare i fondi destinati

Sotto: istruzione paramilitaredi un allievo di una scuolaprofessionale creata dalGovernatore. A. S. R.

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alla costituzione di un quinto battaglioneindigeno verso la costruzione del trac-ciato ferroviario. Linea che secondo ipropositi del Salvago Raggi avrebbedovuto continuare perlomeno sino adAgordat mentre l’optimum si sarebbeottenuto collegando Massaua a Gondar,importante località capoluogodell’Amara, antica sede degli Imperatorid’Etiopia durante il Seicento ed ilSettecento.

Opere contornate da Agenzie com-merciali (Adua, Gondar e Dessiè) createcol duplice scopo di mantenere rappor-ti di buon vicinato con gli etiopi e nelcontempo svolgere attività d’ intelligen-ce per cogliere eventuali trame o l’arri-vo di armamenti da utilizzarsi contro laColonia. Attività che avrebbe ottenutoun felice coronamento se si fosse giuntiall’organizzazione doganale della fron-tiera etiopica, richiesta inutilmente dalNostro per oltre cinque anni, e l’istitu-zione di un efficiente servizio di navi dilinea non rinnovando la convenzionecon la “Navigazione Generale” il cuiservizio difettava fortemente.

Sempre alla saggia amministrazio-ne del Governatore si dovette l’impulsoalla diffusione dell’istruzione pubblicamediante la creazione di scuole di arti emestieri in cui veniva insegnato anchel’arabo e l’italiano come quelle diCheren, Massaua, Adi Ugri e Saganeiti

Per contenere le spese militari afavore di opere pubbliche, alle quali ilNostro teneva in modo particolare,senza indebolire eccessivamente lestrutture del Regio Corpo TruppeColoniali, invece di costituire nuovi ecostosi Battaglioni regolari nel 1909 cal-deggiò la formazione della Riserva.Corpo basato sul reclutamento regionalecon reparti organizzati in Compagnie

cui, con l’andare del tempo, venne pre-ferita la denominazione di Bande, assaipiù vicina alla mentalità indigena.

Curò anche i servizi postali, tele-grafici e telefonici potenziando il repar-to di guardafili indigeni, addetti allamanutenzione delle linee telegrafiche etelefoniche della colonia, istituito nel1899, cui con Decreto Governatorialedell’11.11.1913 concesse l’uso di unafascia cremisi abbinata alla consuetauniforme bianca con copricapo rosso efiocco nero.

Una delle poche concessioni allaforma rispetto alla sostanza che applicòanche alle “Guardie del Governatore”,reparto costituito da personale indigenodi provata fedeltà, che al camicione ed aipantaloni al ginocchio aggiunsero unafascia in vita dai colori bianco, rosso everde. Invece lasciò cadere definitiva-mente nel dimenticatoio il piccolo repar-to dei “Rematori della Barca Gover-natoriale” attivi a Massaua fin da 1891vestiti “con una camicia rossa e calzonibianchi” già messo in disparte dalMartini, suo predecessore.

Poco dopo il termine della guerraitalo-turca il governo Giolitti istituì ilMinistero delle Colonie ed il SalvagoRaggi, divenuto nel frattempo ministroplenipotenziario, venne temporanea-mente posto fuori organico delMinistero degli Esteri per non rimuover-lo da Governatore; segno evidente diquanto fosse apprezzato il suo operato.

Ma, come risaputo, nuvole forieredi guerra si addensavano sull’Europa econ l’entrata in guerra dell’Italia ilNostro lasciò il Governatorato dellaColonia Eritrea nel settembre 1915 e,pur essendo di sentimenti neutralisti, siarruolò volontario nell’Esercito ove,avendo assolto il servizio militare in

qualità di Sottotenente di Artiglieria,venne incorporato col grado di Tenentedi tale Arma.

Inviato al fronte comandò per uncerto periodo la VII Batteria Mortai da210 nella zona di Monte Savour e sulCorrada. A marzo 1916 venne promossoCapitano ma a giugno il Ministro degliEsteri Sonnino lo volle al Cairo comeAgente e Console Generale poiché eraquanto mai importante che una personadi vasta esperienza come il Nostroseguisse da vicino le trattative, poco tra-sparenti, che Francia ed Inghilterra con-ducevano per spartirsi elegantementequanto rimaneva ancora dell’Imperoottomano, atteso che anche l’Egitto erapassato, di fatto, sotto protettorato ingle-se.

Ad Ottobre del ‘16 venne improvvi-samente richiamato in Italia ed inviatourgentemente a Parigi come Amba-sciatore per sostituire Tommaso Tittoni,dimessosi per motivi di salute. Missioneda portare avanti in stretta connessionecol governo che richiedeva particolareimpegno ad una persona ormai abituatada tempo ad operare con larga autono-mia. Tuttavia, ligio al proprio dovere,organizzò la Conferenza di S.Giovannidi Moriana, sulla spartizione dell’AsiaMinore, al termine della quale non sen-tendosi di portare avanti una politica che“non comprendeva”, come scrisse nellesue memorie, si dimise dalla carrieradiplomatica accettando la nomina aSenatore.

Ma, al termine della guerra 1915-18,il Ministro Sonnino gli chiese di parteci-pare con lui stesso ed il PresidenteOrlando alla Conferenza della Pace perattenuare taluni attriti che, visto il carat-tere dei due personaggi, potevano sorge-re tra presidente e ministro.

Il Salvago Raggi accettò fiduciosola proposta: il 18 gennaio 1919 a Parigipresso il Quai D’Orsay venne aperta laconferenza della Pace. Ma già dalle ine-zie come potevano essere le imbottituredelle poltrone, in seta rossa per ilPresidente francese e quello americano(in pelle per gli altri Rappresentanti), edil protocollo più o meno elaborato adot-tato per ricevere le altre delegazioni,lasciavano intendere che non tutte le

A lato; il Governatore visita la"Scuola governativa d'arti emestieri" di Cheren. A. S. R.

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potenze vincitrici potevano considerarsialla pari. I Vinti, l’Austria e la Germa-nia, non vennero neppure invitate allaconferenza nella quale si sarebbe proce-duto alla disarticolazione dei loro terri-tori ed alla spartizione delle colonietedesche.

Anche quando venne creato il“Consiglio dei Grandi”- Francia, In-ghilterra, Italia e Stati Uniti - come lin-gua ufficiale per le trattative venne scel-to l’inglese (gli interpreti erano solo peril francese e l’inglese) con grande disap-punto del Presidente Orlando che, cono-scendo solo il francese, non poté perce-pire appieno le sottigliezze degli argo-menti trattati.

Nel corso dei negoziati i “quattrograndi” si trovarono spesso in contrastoed il Presidente Orlando, a fronte deipingui compensi coloniali strappati daFrancia ed Inghilterra a spese dellaGermania, l’11 marzo avanzò alla Con-ferenza di pace un circostanziato memo-riale sulla Venezia Giulia, l’Istria eFiume.

Particolarmente bruciante era laquestione legata alla città dalmata la cuimunicipalità aspirava grandemente ariunirsi alla “madrepatria Italia” non-ostante l’aperta e per certi versi incom-prensibile ostilità del presidente statuni-tense Wilson. Quest’ultimo fu irremovi-bile; l’Italia, nonostante il suo pesantetributo di Caduti e Mutilati, dovette ri-nunciare alla città, una delle più prospe-re dell’intero ex impero asburgico, ed inqueste circostanze nacquero in Italia leprime voci su di una “vittoria mutilata”che nel prosieguo del dopoguerra sareb-be divenuto un mito sapientementesfruttato dal nuovo regime che si profi-lava all’orizzonte.

Ad aprile, forse per contrasti con lostesso Sonnino sul come veniva trattatala questione di Fiume, il Salvago Raggipreferì dimettersi e dal canto suo il 24dello stesso mese il presidente Orlando ela delegazione italiana, per protesta con-tro il Presidente Wilson, abbandonaronola Conferenza della Pace.

Sempre sulla cresta dell’onda per lasua incontestabile e profonda esperien-za, due anni dopo venne chiamato a fareparte come Delegato del Governo della

Commissione per le Riparazioni.Quivi rimase in piena attività per

otto anni al termine dei quali il Nostroprobabilmente pensava di ritirarsi acurare le proprietà di Famiglia tra leverdi quieti di Campale o di Badia.

Ma nel 1930 assurse alla carica diMembro del Consiglio del ContenziosoDiplomatico per divenire quindi nel1936 Presidente della CommissioneTecnico- Amministrativa-Artistica per lesedi demaniali all’Estero.

I rapporti tra il Governatore ed ilRegime fascista appaiono alquanto dis-taccati ed al riguardo il quotidiano “IlGiornale” il 23 settembre 1989 riportò ilseguente emblematico aneddoto in unarubrica dal titolo “Contro corrente”:“Una volta, ricevendo l’AmbasciatoreSalvago Raggi, reduce da una conferen-za internazionale per il bando dellaguerra chimica, il Duce gli chiese: “Maqual è il gas più pericoloso?”. “L’in-censo”, rispose l’Ambasciatore, chesubito dopo fu messo a riposo.”

Il Nostro si ritirò definitivamente avita privata negli anni Quaranta. Deci-sione probabilmente dettata più che dal-l’età dal desiderio di meglio seguire lasua adorata nipote Camilla. Affetto cer-tamente contraccambiato poiché que-st’ultima così lo ricorda con parole dacui trapela la grande ammirazione perl’avo in “L’ultimo sole sul prato”:

“L’autorevolezza del nonno era unfatto anche esteriore, di prestanza fisica:quando lo conobbi era un signore sulla set-tantina, alto e dritto, radi capelli bianchi esopracciglia cespugliose, vestito d’invernod’impeccabile grisaglia, con panciotto ecravattino a farfalla, d’estate di lino bian-co: lino sempre un po’ stazzonato. Di quiquella cert’aria di signorile trasandatezzache era il tratto che più colpiva in lui: oltrealla faccia, un po’ grintosa, da ligure:autentico genovese a “riso raö”, riso scar-so; grinta, insomma: secondo un’espres-sione dialettale che io allora ripetevo adorecchio, tutta attaccata - “arisoraö” -avendo solo un’idea molto approssimativadel suo significato.”

Il suo cuore generoso si spense il 28febbraio 1946 e lasciò da Molare sino aTiglieto e su fino alle “cascine sui mon-

ti” una forte memoria tanto che gli an-ziani di quelle località, ancora oggi,ricordano con parole accorate la bonariafigura. Anzi in occasione della cerimo-nia funebre i suoi coloni, in segno disentito cordoglio ed alta stima, in quelfreddo inverno e su percorsi malagevolitrasportarono il suo feretro a spalle daMolare sino a Badia ove ora riposa tra isuoi avi.

Ma l’Anima aleggia tra i moli diMassaua e tra le ambe di Ghinda e Nefasitsulle quali, seguendo l’immutato tracciatocosparso di sicomori e oleastri, faticosa-mente si arrampica dal mare verso l’alti-piano la sua ferrovia ora simbolo di unagiovane Nazione indipendente: “Per aspe-ra ad astra”.

Note(1) - Yeomanry: organizzazione difensiva

molto simile alla “Landesverteidigung Tirols”(difesa territoriale tirolese) saldamente legataal territorio ed alle popolazioni le cui originirisalgono al XVI secolo. Sul suolo britannico i“Yeomanry” vennero fondati per iniziativa digrandi proprietari terrieri che verso la fine delSettecento costituirono i primi reparti destinatiad affiancare la Royal Army per contenere l’in-combente pericolo di un’invasione francesedelle loro terre ed effettivamente sfociata inun’incursione il 20 Febbraio 1797. Già attividal 1782 nell’associazione militare dei“tenants” (affittuari) e “yeomen” (proprietariterrieri) col nome di “Norfolk Rangers”, il5.3.1794 William Pitt “the Younger” ne ottenneun primo riconoscimento ufficiale. Quindi datale data i Lords Luogotenenti delle varieContee iniziarono a controllare le diverse for-mazioni in genere di cavalleria (leggera, drago-ni, ussari) e di fanteria con annesse (in alcunicasi) sezioni di artiglieria. Tali reparti furonotalmente apprezzati per l’efficienza, la fedeltàalla Corona ed alle Istituzioni e per il costocontenuto, fattore non trascurabile dovuto alreclutamento ed impiego locale, che nell’arcodi pochi decenni furono assegnati alle direttedipendenze del Segretario di Stato per gliAffari Interni e quindi dal 1872 integrati nel-l’esercito inglese. Con Royal Warrant del 17aprile 1901 i reggimenti esistenti vennero rior-ganizzati in un corpo che assunse il nome di“Imperial Yeomanry”, noto per gli eroici com-portamenti tenuti fuori della madrepatria.Numerosissimi i Reggimenti di cui a puro tito-lo esemplificativo se ne citano alcuni: “SurreyYeomanry Cavalry”, “Westminster Dragoons”,“Yorkshire Hussars”, “East Kent MountedRifles”, “Royal Devon Yeomanry”, “NorthSomerset Yeomanry”, “Suffolk Borderers”,

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“Sherwood Rangers Yeomanry”ecc. . Sono attualmente esistenti (alivello squadrone): “The Duke ofLancaster’s Own Yeomanry”,“Royal Wessex Yeomanry”,“Queen’s Own Yeomanry” edalcuni altri.

(2) - Schliemann Heirich:archeologo tedesco (Neubukow,Meclemburgo, 1822 - Napoli1890). Avendo raggiunto una flo-rida situazione finanziaria, didedicò alla ricerca delle provedella veridicità dei poemi omerici.A tale scopo, tra il 1868 ed il 1890,intraprese alcune campagne di scavi sulla colli-na di Hissarlik nella Troade ove individuò l’an-tica Troia. Continuò gli scavi anche a Micene,ad Orcomeno, Tirinto e Creta conquistando ilmerito di avere dato l’avvio alle ricerchearcheologiche per la ricostruzione delle civiltàcretese e micenea. Scrisse varie opere:Trojanische Altertumer (Antichità troiane1874), Ithaca, der Peloponnes und Troja(1869), Mykena (1878), Orchomenos (1881);Ilios (1881), Troja (1884), Tiryns (1886).

(3) - Quasi paradossale la situazione tro-vata dal Salvago Raggi presso la LegazioneItaliana: il Ministero degli Affari Esteri nonaveva inviato un semplice telegramma cheavrebbe potuto bloccare la vendita degli arredi(appartenenti al predecessore) dell’edificiodestinato a residenza sua e della propria fami-glia. Per cui all’ arrivo alla Legazione la loroabitazione era totalmente vuota. Molto cortese-mente alcuni arredi indispensabili vennero sol-lecitamente forniti da Lady Mac Donald,moglie del ministro d’Inghilterra e da MadameHey King, moglie del ministro di Germania.

(4) - Alla data del 3 giugno 1900 le forzedelle Nazioni presenti a Pechino per la sicurez-za della ambasciate ammontavano a 389 uomi-ni tra ufficiali e soldati.

(5) - Le cinque tradotte erano composte da915 Britannici, 450 tedeschi, 54 Giapponesi,312 ussi, 158 Francesi, 112 Statunitensi, 40Italiani (al comando del TV Sirianni) e 25Austroungarici. Come armi di reparto venneroportate al seguito 10 mitragliatrici e 7 cannoni.

(6) Esercito cinese: Al tempo della rivoltadei Boxers, l’Esercito cinese in linea di massi-ma era composto da 8 Bandiere mancesi, costi-tuite ognuna da circa 80 compagnie, per untotale di circa 16.000 uomini; 8 Bandiere mon-gole formate con personale originario dallaMongolia, Sinkiang e Tibet con una forza dicirca 8.000 uomini; 8 Bandiere cinesi con unaforza pari a circa 60.000 uomini. Infine 18Bandiere verdi, reclutate e pagate dalleProvincie in base alle disponibilità finanziarie,dipendevano direttamente dall’imperatore soloin caso di difesa nazionale e potevano contare

su di una forza di circa 650.000 uomini. Acausa di forti carenze di organizzazione, disci-plina ed addestramento tali forze si sfaldaronodavanti all’avanzata del contingente interna-zionale.

(7) - La seconda colonna uscita da Tien-tsin il 21 giugno 1900 per soccorrere la colon-na Seymour, provata da 62 morti e 232 feriti,era composta da 1.500 russi, 590 inglesi, 240tedeschi e 23 marinai italiani. L’operazione siconcluse col rientro a Tien-tsin il 23 giugno diambedue le colonne.

(8) - Van Gulik Robert: esperto sinologoolandese, nell’intervallo tra le due Guerre mon-diali ricoperse importanti incarichi diplomaticiin Cina ed in Giappone. E’ conosciuto ancheper avere scritto una singolare collana di librigialli ambientati nella Cina imperiale delladinastia Tang (1600 circa).

(9) - Salvago Raggi Paris: padre dellaMarchesa Camilla, oggi nota ed apprezzatascrittrice, era nato nel 1892 e portava il nomedel nonno Paris Maria Salvago (1831 - 1899).Quest’ultimo aveva fondato col Da Passano larivista “Annali Cattolici”: fonte di inimiciziecon gli ambienti cattolici più conservatori.Sindaco di Tiglieto dal 17 settembre 1881 al 6dicembre 1885, era stato anche Direttored’Ispezione della Scuola delle Scienze Socialidi Firenze, Presidente del Consiglio Superioredella Società di San Vincenzo de Paoli eDeputato al Parlamento Nazionale. Di Lui siconserva una pagella scolastica del periodo incui frequentava il Collegio dei Padri Scolopi aCarcare con ottimi risultati tanto che, nel 1846,al termine dell’anno scolastico divenne”Princeps Concitatorum” e gli venne dedicato,come consuetudine per i primi della classe, unritratto (Paris De Merchionibus SalvagoGenuensibus Academiae ConcitatorumPrinceps). Significativo esempio di quanto fos-sero tenute in considerazione le Scuole Pie fon-date dal sacerdote spagnolo S.GiuseppeCalasanzio (José de Calasanz - Peralta de laSal, Urgel, 1556 - Roma 1648), assai frequen-tate dai giovani delle più nobili famiglie.

(10) - Salvago: “Tra le famiglie di più

antica nobiltà genovese, i Salvagosono probabilmente di origine lombar-da, derivanti dall’unione di diversecasate (Porco, Strigliaporco, Nepitel-li). Un Porcus, indicato come caposti-pite del primo ramo, svolge attivitàdiplomatica all’inizio del secolo XII,mentre Guglielmo è più volte consoledel Comune di Genova, così come Ido,Rubaldo e Oberto. Enrico e suo figlioPorca sono indicati tra i sottoscrittoridella pace con i Pisani, nel 1188, comeanche Onorato Strigliaporco, figlio diun Giovanni, il quale fa costruire lachiesa di S. Marco al Molo nel 1173;

anche Enrico Nepitelli risulta tra i firmataridella pace pisana, come suo fratello Striglia-porco. La situazione sembra chiarirsi solo dalTredicesimo secolo, quando il cognomeSalvago resta unito per tutta una serie di espo-nenti, da Michele (podestà di Genova nel 1278)a Enrico (naufragato in Corsica nel 1288) aPorchetto (frate e ambasciatore nel 1295 e nel1299). Nel Trecento e nel Quattrocento sononumerosi i rappresentanti della famiglia adassumere cariche pubbliche o esercitare attivi-tà marinare. Precedenti notizie della famigliaSalvago si riscontrano in numerosi documentisei-settecenteschi, talvolta copie di atti cherisalgono sino al duecento. Un albero genealo-gico conservato nell’archivio di famiglia, data-bile non prima del 1727 contribuisce a stabilirela successione dei Salvago. (da Quaderni delCentro Studi e Documentazione di StoriaEconomica - “Archivio Doria” - “L’ArchivoSalvago Raggi” pag. LVII e seguenti).

(11) - Raggi: La famiglia Raggi discendedai conti Rossi di Parma, stabilitisi a Chiavarie Levanto sin dal XII secolo. Tra il Tre ed ilQuattrocento i Raggi sono presenti tra gliAnziani, i Collettori delle Gabelle e tra iMembri del Gran Consiglio. Tommaso FieschiRaggi è il personaggio maggiormente cono-sciuto della casata: Inviato di Filippo II diSpagna, paese ove il padre ha già svolto impor-tanti incarichi diplomatici, presso i banchieriFugger ad Augusta per sollecitare prestiti allaCorona spagnola; ambasciatore presso la regi-na Elisabetta d’Inghilterra; Tesoriere generalein Spagna e Fiandra. Alla sua morte nel 1593lascia numerosi legati a opere pie genovesi trale quali le “Povere figlie città di Genova” e“Poveri carcerati della Malapaga” ed unasomma da amministrare accuratamente perpoter distribuire quotidianamente trecento paniai poveri della città. Inoltre lascia un legato perla costruzione di una galea e successivamentedi altre in modo che nel corso degli anni nellaflotta della Repubblica vi sia sempre una“Galea Raggia”. Uno dei suoi discendenti ilCardinale Lorenzo, tesoriere della CameraApostolica, diviene commendatario dell’abba-

A lato: macchina a vaporedella ferrovia Massaua -Asmara. A tutt’oggi il collega-mento ferroviario realizzatodal Raggi è rimasta l’unicodello Stato eritreo

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zia di Santa Maria di Tiglieto, sede del primoinsediamento cistercense in Italia. Nel 1648grazie all’enfiteusi perpetua della Badia edelle terre ad essa connesse concessa al pro-prio fratello Gio Batta Raggi trae origine ilvasto possedimento situato a cavallo traLiguria e Piemonte ancora oggi appartenentealla Famiglia. Tra i molti degni di nota varicordato Giacomo Filippo Raggi “CavaliereComandante dell’Ordine Militare dei SantiMaurizio e Lazzaro” (privo di discendenzadiretta) e Gio Antonio Raggi, Ministro delleFinanze. Infine giova ricordare ViolantinaRaggi (1845- 1867), figlia unica di AntonGiulio, che sposando Paris Maria Salvago(1831 - 1899) da origine ai Salvago Raggi.(Notizie storiche tratte da “Quaderni del CentroStudi e Documentazione di Storia Economica“Archivio Doria” - “L’Archivio SalvagoRaggi” - Genova 2004.)

(12) - La notizia è ovviamente destituita diogni fondamento. Anzi come abbiamo visto laLegazione Inglese, per la sua ubicazione e perla presenza, tra diversi altri edifici, di un impo-nente fabbricato a due piani con ampi loggiatiopportunamente protetti, progettato da un pre-vidente architetto e quindi particolarmente ido-neo a sostenere un assalto, venne sempre con-siderata come la più sicura e resistette in modoeccellente all’assedio. Tra l’altro ospitò lenumerose famiglie dei missionari inglesi ed inun angolo di un ampio cortile venne ricavatoun piccolo cimitero destinato ai caduti durantel’accerchiamento. Anche la Legazione russa,sita tra quella americana e inglese, resistettesenza eccessivi problemi.

(13) - Effettivamente gli osservatori mili-tari notarono che le artiglierie in dotazione agliassalitori erano di modelli più recenti rispetto aquelli degli assediati. La mancanza di validiistruttori e di adeguato addestramento annulla-rono l’evidente superiorità dell’armamentocinese. Le armi individuali e le artiglierie rin-venute nell’arsenale di Si-ku e nei forti di Takue Tientsin erano più moderne di quelle in usonegli eserciti europei: fucili Mannlicher,Mauser e cannoni Krupp. Nel forte di Shan-hai-kwan conquistato anche da 330 bersaglierie 140 marinai italiani furono rinvenuti anchecannoni Armstrong da 152 mm prodottidall’Arsenale napoletano di Pozzuoli e giuntiin Cina probabilmente grazie a “triangolazio-ni” come attualmente si usa dire. Anzi nelcorso di un’operazione contro il centro abitatodi Cu-nan-sien (2/4 nov. 1900) cui parteciparo-no anche reparti italiani ai cinesi vennerosequestrati, tra l’altro, 1.200 fucili Mauser eMannlicher (all’epoca modernissimi) che inmancanza di mezzi di trasporto vennerodistrutti sul posto (da R. Truppe in E.O. pag.297) .

(14) - Il Governo inglese, secondo conso-lidate consuetudini, per sopperire all’ esigenzaattinse largamente dai reparti coloniali per cuidall’India vennero trasferiti in Cina il 1° Rgt.Sikhs, il 7° Rgt. Rajputs, il 24° Rgt. FanteriaPunjab, il 26° Rgt. Fanteria Baluchistan, il 1°Rgt. Pionieri Madras ed il 1° Rgt. Lancieri delBengala.

(15) - Con Regio Decreto 19.01.1893 n.23 l’Italia aveva istituito il Demanio dellaColonia Eritrea.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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L’Archivio Salvago Raggi a cura di STE-FANO PATRONE - Genova Quaderni del Centro diStudi e Documentazione di Storia Economica“Archivio Doria”, 2004.

LUDOVICA DE COURTEN - GIOVANNI SAR-GERI, Le Regie Truppe in Estremo Oriente, Sta-to Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Ro-ma, 2005.

ADRIANO MÀDARO, La Rivolta dei Boxer,Pechino 1900, Europrint Editore, Quinto diTreviso 2001.

Storia del Mondo Moderno, CambridgeUniversity Press, Volume VI, Garzanti Editore1971.

DOMENICO QUIRICO, Squadrone bianco.Storia delle Truppe Coloniali italiane - Mon-dadori Editore - 2003.

RENZO CATELLANI e GIAN CARLOSTELLA - Soldati d’Africa, Storia del colo-nialismo italiano e delle uniformi per leTruppe d’Africa del Regio Esercito Italiano,Volume secondo 1897/ 1913 - ErmannoAlbertelli Editore - Parma 2004.

DENIS MACK SMITH, Sintesi storiche inL’Italia del 20° Secolo, Rizzoli Editore, 1977.

Guida dell’Africa Orientale Italiana,Consociazione Turistica Italiana - Milano,1938.

REGIMENT, Military Review December1994/January 1995, N. 5, London

Documenti diplomatici italiani - III^ serie1896-1907

Van Gulik Robert, La casa del salice,Garzanti Editore 1973.

“Il Corriere delle Valli Stura e Orba” AnnoVI, 08.07.1900 - n. 286; 15.07.1900 n. 287;

NOMENCLATURA

STV : Sottotenente di Vascello; TV : Tenentedi Vascello; CV: Capitano di Vascello; Rgt. :Reggimento; ASR: Archivio Salvago Raggi.

PUBBLICAZIONI di G. SALVAGO RAGGI:

Delle relazioni fra l’Italia e le altrePotenze riguardo alla pesca, in RassegnaNazionale - Roma -Maggio 1888 pp. 318/337.

Risultati economici della ferroviaMassaua - Asmara nell’esercizio 1911 - 1912,rapporto M.A.E. - Direzione centrale AffariColoniali - Ufficio Studi Coloniali - Roma -Tipografia Bertero 1912.

RINGRAZIAMENTII più vivi ringraziamenti vadano alla

Marchesa CAMILLA SALVAGO RAGGI peravere cortesemente fornito il volume del LicataNotabili della Terza Italia, ormai pressoché in-trovabile, e la copiosa documentazione foto-grafica, generosamente tratta dall’Archivio diFamiglia.

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A lato, il Senatore GiuseppeSalvago Raggi - A.S.R.

www.accademiaurbense.it - Giuseppe Salvago Raggi Pier Giorgio Fassino su URBS, Anno XX n.1 Marzo 2007, pp. 25-38.