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INDAGINI DIFENSIVE & ANALISI CRIMINALI
CASO “AMANTI DIABOLICI”: Massimo Pisano ingiustamente condannato all’ergastolo per l’uccisione della
moglie Cinzia Bruno. Riconosciuto innocente dopo sette anni di carcere.
di CARMELO LAVORINO
1 - UN ERRORE GIUDIZIARIO
L’estate del 1993 viene ricordata in ambito storico criminologico come “la prima estate dei delitti contro
le donne”, un’estate nera di rabbia e rossa di sangue. Vittime: Mara Callisti a Todi, Barbara Silvagni a
Bologna, Laura Bigoni a Clusone, Manuela Petilli a Ivrea, Lanfranca Lipparini a Forlì, Hana Mindlova a
Lucca, Maria Romano a Lodi, Milva Malatesta nel Mugello, Cinzia Bruno a Roma.
Tre mesi dopo, novembre '93, usciva il primo numero di Detective & Crime, dedicato in parte ai suddetti
casi di femminicidio.
L’omicidio di Cinzia Bruno divenne poi un clamoroso errore giudiziario, quello che i giornali dell’epoca
battezzarono “il delitto degli amanti diabolici”, indicando avventatamente gli assassini - stile “sbatti il mostro
in prima pagina, tanto lo dicono gli inquirenti …” - nel marito della donna e la sua amante: Massimo Pisano
e Silvana Agresta.
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LA VITTIMA E I CINQUE PROTAGONISTI
Cinzia Bruno, vittima: anni 30, lavorava presso il Ministero dell’Interno, via Giovanni Lanza.
Massimo Pisano, sette anni in carcere da innocente: il marito. Anni 33, lavorava presso l’Istituto Superiore di Polizia, via Guido Reni.
Silvana Agresta, l’assassina: anni 35, risiedeva a Riano in via Matteotti, lavorava presso il Ministero dell’Interno, ISP. Ha incaricato due uomini di fare sparire il cadavere di Cinzia Bruno rinchiuso in un sacco.
Sabatino Gigante, anni 38, amico d’infanzia di Silvana Agresta, fece sparire il corpo della donna scaricandolo sul greto del Tevere.
Maurizio Severini, anni 44, ha aiutato Sabatino Gigante a occultare il corpo della vittima.
Soggetto Ignoto: la persona che ha aiutato Silvana Agresta a uccidere Cinzia Bruno
SOMMARIO
1. UN ERRORE GIUDIZIARIO
2. EXCURSUS STORICO: SI SCOPRE IL
CADAVERE DI CINZIA BRUNO
3. LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO
SECONDO LA SENTENZA
4. I PROCESSI E LE CONDANNE
5. IL CRIMINE, LE INDAGINI E GLI ARRESTI
I PROCESSI E LE CONDANNE
6. I CAPISALDI DELL’ASSOLUZIONE DI
MASSIMO PISANO
7. L’ALIBI DI PISANO È INATTACCABILE
GRAZIE A QUATTRO ELEMENTI
8. CONFUTAZIONI DEI PUNTI TOPICI DELLA
SENTENZA DI CONDANNA TRAMITE IL
NOSTRO DOSSIER
9. CONCLUSIONI DEL DOSSIER
Non immaginavo che quattro anni dopo ci saremmo trovati a lavorare e indagare su questo delitto e
che nel 2001, grazie alle nostre analisi criminali e investigative, Massimo Pisano condannato
ingiustamente all’ergastolo, sarebbe stato rimesso in libertà con tante scuse, dopo sette anni d’inferno
carcerario.
Era il settembre del 1996, qualche mese dopo la clamorosa assoluzione di Pietro Pacciani1, ci contattò
Mario Pisano, fratello di Massino, già definito dai media “amante diabolico”, bieco assassino, turpe
uxoricida. L’uomo era preoccupato perché il fratello era stato condannato all’ergastolo sia in primo grado
che in appello e si stava avvicinando il processo per Cassazione.
Mario Pisano ci consegnò il fascicolo processuale, ci mise in contatto con il difensore, avvocato Manfredo
Rossi, ci chiese di dargli una mano per dimostrare l’innocenza di Massimo.
“In Cassazione possiamo fare ben poco - gli spiegammo - possiamo invece iniziare a preparare alcuni
elementi per il processo di revisione. Il nostro lavoro è la ricerca di elementi, l’analisi sui fatti e sulle cose,
l’impostazione e la verifica di scenari alternativi, studiare, comprendere e dimostrare come alcuni errori
congetturali o investigativi possano essersi formati. Non c’è spazio in Cassazione per attività del genere,
specialmente in un caso come quello di suo fratello”.
Mario comprese la situazione, ma decise di affidarci lo stesso l’analisi del caso, anche in previsione delle
attività per ottenere la revisione del processo.
Leggendo le sentenze e le trascrizioni dibattimentali si ravvisava una sorta di acredine e di volontà
punitiva nei confronti di Massimo Pisano e, lentamente, andammo a delineare lo scenario effettivo di come i
fatti erano andati realmente: l’amante Silvana Agresta è l’assassina, uccide la rivale in amore che ha
osato andare a casa sua per provocarla, poi, “mette in mezzo” l’amante Massimo che la voleva
mollare, fedele ai motti “Muoia Sansone con tutti i Filistei” e “Solo mio e di nessun'altra”. Inoltre,
appariva chiaro che l’Agresta non aveva agito da sola, ma assieme a un’altra persona che non è
Massimo Pisano e che la donna continua a proteggere.
Fu così che consegnammo all’avvocato Rossi un voluminoso dossier analitico investigativo sulla vicenda,
poi, nel maggio 1996, fu pubblicato un clamoroso saggio criminologico investigativo dal titolo “Gli amanti
“diabolici”: un innocente in carcere” con chiaro riferimento a Massimo Pisano.
Naturalmente la Cassazione respinse il ricorso di Massimo Pisano in quanto il merito era non più
discutibile, e l’uomo venne condannato definitivamente all’ergastolo.
A quel punto si poteva tentare solo la revisione tramite la ricerca e l’introduzione di elementi nuovi.
Il dossier consegnato all’avvocato Rossi e a Mario Pisano, le nostre analisi e quanto apparso col saggio
sopracitato furono giocati nell’ambito della revisione, tanto che Massimo Pisano sette anni dopo venne
riconosciuto innocente.
Ci arrivarono diversi messaggi di ringraziamento e di congratulazioni, il più importante ed assertivo è il
seguente: “Caro CL, ti do del tu perché fra gente come noi ci si dà del tu. Sono il giudice del caso Pisano.
Complimenti per tutto quello che hai fatto e dedotto a favore della Giustizia e della Verità. ADS.”
Vediamo come sono andate le cose, dal delitto alla condanna, dalle nostre analisi delle varie scene
del crimine, all’assoluzione dell’innocente Massimo Pisano.
1 L’Autore organizzò il pool tecnico investigativo che fece assolvere Pietro Pacciani al processo d’appello, dopo che l’uomo era stato condannato a quattordici ergastoli per il delitti del Mostro di Firenze.
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2 - EXCURSUS STORICO: SI SCOPRE IL CADAVERE DI CINZIA BRUNO
Il 6 agosto 1993 è rinvenuto in Monterotondo (Roma), località Ponte del Grillo, il cadavere di Cinzia
Bruno, scomparsa da casa due giorni prima. Il corpo è rinchiuso dentro due sacchi di tela con la scritta “CAI
Poste” e “Italia Poste”. All'ispezione esterna presenta ferite di arma bianca al collo ed al ventre e ferite lacero
contuse, contusioni ed ecchimosi al capo, alle braccia, alle gambe ed ai polsi, fratture al capo, alle braccia ed
allo sterno. Gli inquirenti sospettano subito del marito Massimo Pisano e della sua amante Silvana Agresta.
Il 7 agosto viene fermato il marito, il giorno dopo Silvana Agresta. Le ipotesi investigative ritengono che
il delitto sia avvenuto nel boschetto, luogo del rinvenimento. Nessuno dei due fermati confessa.
3
6 agosto 1993. Monterotondo, località Ponte al Grillo.La salma di Cinzia Bruno dopo il rinvenimento. Il corpo è rinchiuso dentro due sacchi di tela con la scritta “CAI Poste” e “Italia Poste”.Il trasporto è stato effettuato da Sabatino Gigante e Maurizio Severini.
L’8 agosto un amico di Silvana Agresta, tale Sabatino Gigante,
dichiara di aver trasportato il cadavere rinchiuso nel sacco la notte
del 4 agosto e di essere stato aiutato da Maurizio Severini. Il
trasporto gli è stato commissionato dall’Agresta previo un
compenso di cinque milioni di lire. Il corpo di Cinzia Bruno è
stato prelevato dalla mansarda dell’Agresta in Riano Flaminio.
Personale del CIS (Centro Investigazioni Scientifiche) dei
Carabinieri si reca in Riano Flaminio a casa dell’Agresta e scopre
tracce del sangue della vittima. A questo punto la ricostruzione
dell’omicidio cambia e la casa dell’Agresta diviene l’epicentro
del crimine. La donna decide di cambiare versione ed accusa
Massimo Pisano: “Sono tornata a casa a Riano, Massimo mi
aveva telefonato per dirmi che in terrazzo c’era un pacco che
dovevo fare sparire, altrimenti avrei fatto la stessa fine della
moglie”.
Massimo Pisano a ispezione corporale presenta sulle gambe
delle tracce come graffiature.
Silvana Agresta presenta lividi sulle braccia. A casa sua
vengono repertate pillole di diversa destinazione. Nel soffitto
sacchi di tela come quello usato per occultare il corpo di Cinzia
Bruno.
La vittima Cinzia Bruno (a sinistra) e la sua assassina Silvana Agresta (al centro.
A destra Massimo Pisano, innocente in carcere per sette anni.
3- LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO SECONDO LA SENTENZA
Secondo la sentenza Pisano è inchiodato alle sue responsabilità da elementi di prova sicuri, univoci e
concordanti. Ha compreso che la moglie ha scoperto il numero telefonico dell’amante ed è intenzionata ad
avere un incontro chiarificatore con la stessa. Allora concerta con l’Agresta la trappola mortale che
consisteva nell’immobilizzarla, costringerla a ingerire più compresse in maniera d’intossicarla e di farla
morire in tempi brevi. Tanto, Cinzia aveva già espresso di volerla fare finita con la vita causa i dissapori
coniugali.
Secondo la sentenza il delitto è del tipo premeditato e gli ideatori sono i due amanti. Il piano originario era
avvelenare Cinzia Bruno con una miscellanea di farmaci per simularne il suicidio, tanto che avevano
predisposto nella mansarda confezioni di Plegine ed altri farmaci. Cinzia Bruno è stata trattenuta alle spalle
da uno dei due assassini, mentre l’altro le infilava le pillole in bocca; ne sono prova le tracce di escoriazioni
sulle gambe e sulle mani di Pisano, e i lividi dell’Agresta: ultimo tentativo di difesa. La simulazione di
suicidio non è stata più effettuata causa la reazione della vittima che, stimolata dall’ingestione di compresse
psicostimolanti, si è risvegliata ed ha lottato, costringendo i due amanti all’utilizzo di un corpo contundente e
di una lama. Dopodiché Massimo Pisano torna al suo posto di lavoro distante 23 km, lo fa per evitare
ulteriori imprevisti e per salvaguardare la precostituzione di un alibi accuratamente predisposto.
La macchina di Cinzia Bruno era stata parcheggiata nel garage dell’Agresta, proprio per trasportare il
corpo e lasciarlo in un posto appartato compatibile con il suicidio.
Però il piano è andato in fumo e si è risolto in maniera sanguinosa. Allora i due amanti hanno dovuto
ripiegare su soluzioni estemporanee per eliminare ogni traccia del delitto, non esitando a ricorrere a
complicità esterne e, in seguito, a strategie differenziate per tutelare, a ogni costo, le proprie posizioni
gravemente compromesse.
4 - IL CRIMINE, LE INDAGINI E GLI ARRESTI
Cinzia Bruno è sposata con Massimo Pisano, hanno una bambina di due anni. L’uomo ha una relazione da
diversi mesi con Silvana Agresta, ma è intenzionato a scaricare l’amante. La moglie sospetta della tresca.
Roma, 4 agosto 1993
Alle 6,45 Massimo esce di casa per andare a lavoro.
Alle 8,15 Cinzia telefona al marito chiedendogli dove avesse messo il modello 740 della madre.
Alle 8,30 Cinzia beve un bicchiere di latte ed esce. Alle 8,45 telefona per avvertire le colleghe che non va
in ufficio e che se il marito la cerca devono dirgli, per non allarmarlo, che è scesa per spostare la macchina.
NdA. Non recarsi in ufficio ed avvertire le colleghe di non allarmare il marito ha una sola
spiegazione: Cinzia alle ore 8,45 ha deciso di andare a casa di Agresta per una chiarificazione. È
importante il fatto che aveva organizzando un viaggio in Sardegna col marito; viaggio con un doppio
significato: tentativo di riappacificazione fra i coniugi e l’addio definitivo fra gli amanti. Il viaggio era
previsto per la metà di agosto e dovevano partire Cinzia, Massimo e la bambina, il fratello Mario con
moglie e bambini, gli amici Giuseppe Labozzetta, la moglie Adriana Mourik e il loro bambino.
Alle 11,35 Pisano telefona alla moglie in ufficio, le colleghe rispondono che è impegnata. L’uomo voleva
avvertire la moglie di fare una variazione nei biglietti per il viaggio in Sardegna, da piroscafo in aliscafo. Gli
risponde una collega della moglie.
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Alle 11,45 Pisano ritelefona alla moglie in ufficio e non la trova. Il pomeriggio Pisano è preoccupato del
ritardo, effettua alcune ricerche; più tardi vuole avvertire i carabinieri della scomparsa della moglie, la
suocera lo consiglia di attendere ancora.
Il 6 agosto, ore 20,20 è rinvenuto il cadavere di Cinzia Bruno.
Il 7 agosto Massimo Pisano è fermato dai Carabinieri di Monterotondo perché indiziato di omicidio.
L’8 agosto mattina è fermata Silvana Agresta.
Il 9 agosto si viene a scoprire che un certo Sabatino Gigante, amico d’infanzia dell’Agresta, assieme al
conoscente Maurizio Severini, ha trasportato il cadavere di Cinzia Bruno dalla mansarda di Agresta sul greto
del Tevere.
5 - I PROCESSI E LE CONDANNE
Il processo di primo grado (presidente Severino Santiapichi) sentenziò ergastolo per omicidio
premeditato, però, a parere di chi scrive e di tanti altri gararantisti e studiosi del crimine, lo fece senza
dimostrare la premeditazione, il collegamento fra il comportamento dei due ex amanti e il fallimento
dell’alibi di Massimo Pisano. Il processo d’appello seguì acriticamente la traccia del precedente.
Silvana Agresta non dichiarò che il delitto lo aveva commesso assieme all’amante, ma accusò proprio
Pisano di essere l’assassino con una serie di versioni inverosimili e contraddittorie.
Il 18 aprile 1996 la Cassazione respinse i ricorsi e la sentenza all’ergastolo divenne definitiva.
6 - I CAPISALDI DELL’ASSOLUZIONE DI MASSIMO PISANO NEL PROCESSO DI
REVISIONE
Dimostrazione che l’orario della morte di Cinzia Bruno è fra le ore 11,30 e le 12.
Il momento zero, cioè, il momento dell’aggressione e delitto, non è quello dedotto dalla sentenza,
dopo le 12, bensì prima, fra le 11,30 e le 12. In tal modo Massimo Pisano è fuori dalla finestra
temporale. Questo è dimostrato con i seguenti argomenti.
1- I segmenti temporali e l’orario della morte. Alle 8,30 Cinzia Bruno ha bevuto un bicchiere di latte
fresco (testimonianza della madre) ed è uscita. Un bicchiere di latte equivale a 100 centilitri circa, però,
concedendo il tempo alla donna di telefonare in ufficio, arrivare a Riano (24 km x 30 minuti), salire dalla
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Due foto della coppia.
A sinistra un'immagine del
matrimonio.
A destra durante il viaggio di
nozze.
Agresta, lottare e morire, passano al massimo 150 minuti. La poltiglia rinvenutale nello stomaco equivale al
bicchiere di latte più un bicchiere d’acqua. Cinzia è stata uccisa non prima delle ore 11,30-12.
2- L’assassino conosce sempre l’ora del delitto e si copre le spalle. Ogni assassino si autofornisce di un
modulo in positivo che possa colmare il vuoto che lo interessa; tale modulo è formato da segmenti temporali,
circostanze e comportamenti che, per forza di cose, devono presentare un elemento veritiero a riscontro della
sua menzogna. L’assassino, conoscendo l’ora del delitto che gli investigatori non conoscono, costruisce un
comportamento falso e non verificabile proprio su un orario esatto, quello del delitto, e fa in maniera di
coprire proprio l’arco temporale della sua “vulnerabilità esecutiva”.
Quale ragionamento effettua un assassino che deve produrre l’alibi? Eccolo: “Sono colpevole, devo
mentire, devo dire che non so nulla. Devo dire cosa ho fatto ma non tutta la verità; devo spiegare quando
l’ho fatto e devo coprire esattamente l’ora del delitto; devo dire chi mi ha visto. Ovviamente, per citare a
mia copertura delle persone devo essere approssimativo, altrimenti sono inchiodato, a meno che costoro
non mi reggano il gioco”.
Nessun assassino sarà mai così ingenuo da mantenere scoperto proprio il momento del delitto. Un
assassino, interrogato su cosa abbia fatto durante una fascia non definita, essendo l’unico a conoscere
l’ora del delitto, tende a coprire proprio quel momento, aggiungendo una percentuale di sicurezza per
non “passare i guai”. Non esiste caso nella storia criminale che un reo, fornendo l’alibi, mantenesse
scoperta proprio l’ora del delitto cioè, il “momento dolens”.
L’alibi che l’assassino fornisce è sempre in funzione del suo bagaglio culturale, della sua personalità
e delle sue capacità analitiche. Lo fornisce giocando con gli inquirenti una pericolosa partita a scacchi,
cercando di prevedere e colmare i pericoli e gli agguati.
L’Agresta ha dichiarato che quando si recava dal prefetto Luigi Rossi per le pulizie terminava sempre alle
ore 10; per il giorno del delitto prima dichiara di essere uscita alle 10,30, poi alle 11. Perché? La risposta è
semplice, perché è cosciente che l’uccisione è avvenuta proprio verso le ore 12, ma la lite con Cinzia Bruno
molto prima. In tal modo si posiziona a distanze spaziali e temporali utili al suo alibi!
E come mai la figlia del prefetto Rossi non ha convalidato l’alibi dell’Agresta? Per un solo motivo,
perché trattasi di alibi falso.
7 - L’ALIBI DI PISANO È INATTACCABILE GRAZIE A QUATTRO ELEMENTI
Le testimonianze, se lette con freddezza e obiettività e senza pregiudizio, scagionano Massimo Pisano.
Difatti, dimostrammo che i tempi di percorso attribuiti a Pisano dalle sentenze, i reali tempi di attuabilità del
delitto e gli elementi oggettivi non erano compatibili con i suoi movimenti in chiave di colpevolezza.
Primo elemento. Le testimonianze che scagionano Massimo Pisano
Sono state individuate le seguenti testimonianze a favore di Massimo Pisano, tutte persone attendibili che
lo hanno visto e descritto.
- Alle ore 10 Massimo Pisano è stato visto da Giuditta Vergani, Dora Nini e Annarita Morelli
(testimonianze dirette).
- Alle 10,15 è notato da Massimo Gattin e Gianfranco Fusini (testimonianze dirette).
- Alle 10,30 è visto da Gianfranco Fusini, Aldo Coccioni e Francesco Donato (testimonianze dirette).
6
- Alle 10,45 Massimo Pisano era al Catasto a 27 km dal luogo del delitto: i posizionamenti spaziali e
temporali sono desumibili da una serie di elementi armonici quali i numeri di protocollo delle pratiche dei
geometri Colella e Spadaro, un documento scritto a mano dallo stesso Pisano mentre quel giorno e a
quell’ora era in Catasto, dimostrabile con perizia calligrafica e la questione Brunettini, con la
dichiarazione dello stesso signor Brunettini.
- Alle 11,26 esistono le sue tracce presso un negozio di ferramenta dove ha fatto degli acquisti per il
maresciallo Donato (al quale ha consegnato quattro duplicati di una chiave che un’ora prima non
esistevano e che un’ora prima gli erano stati commissionati) e degli attrezzi per il giardinaggio che il
pomeriggio consegnò al fratello Mario.
- Alle 11,30 è stato visto da Gianfranco Fusini, Francesco Donato e dall’agente addetto alla porta carraia
Massimiliano Nasoni (testimonianze dirette).
Secondo elemento. Nessun vuoto temporale dell’alibi di Pisano: i tempi di percorso e di attuabilità del
delitto.
Pisano avrebbe dovuto compiere il delitto e il tragitto “Roma (Istituto Superiore di Polizia) -Riano- Roma
(Istituto Superiore di Polizia)”, cioè 23 km andata e 23 km ritorno, in 60 minuti fra le 10,30 e le 11,30,
quando i tempi di percorso sono minimo 40 minuti e quelli di attuabilità del crimine minimo 46 minuti.
Ricordiamo, peraltro, che il tratto della Flaminia che porta a Riano presentava, quel 4 agosto 1993, delle
deviazioni di traffico all’altezza del km 13,600 sino al km 14,00 per dei lavori in corso fra il km 13,500 e il
km 16,500. Quindi, i 40 minuti sarebbero divenuti minimo 60 e l’unica alternativa era arrivare a Riano
tramite la via Salaria o la Tiberina, un percorso che avrebbe aumentato il periodo di percorrenza di almeno
un’ora.
Non si può non tenere conto dei tre elementi a favore di Massimo Pisano e che nel dossier che
presentammo all’avv. Manfredo Rossi e poi pubblicammo nel saggio di analisi criminale, risultano realmente
provati, cioè:
1. l’interruzione stradale della Flaminia che aumenta il tempo di percorso dai 40 ai 60 minuti;
2. una circostanza storicamente certa, vissuta in prima persona da Pisano al Catasto alle ore 10,45 di quel
giorno, ed avvalorata da una serie di riscontri logici, temporali e circostanziali;
3. il fatto incontrovertibile, anch’esso dimostrato da una serie di riscontri logici, temporali e circostanziali,
che Pisano alle ore 11,26 usciva da un negozio di ferramenta dopo essersi fatto fare quattro copie della
chiave della palestra dell’ISP ed aver acquistato alcuni oggetti per il giardinaggio; tale operazione, durata
almeno otto minuti, rafforza l’alibi di Pisano, oltre ai relativi tempi di percorrenza.
Un fatto è un fatto, ed è un fatto che Pisano alle 10,30 è stato incaricato di far fare dei duplicati
della chiave della palestra, che alle 11,30 questi quattro duplicati erano consegnati da Pisano al
maresciallo Donato.
Ed all'interno di due fatti certi che contengono un terzo fatto certo, vi sono tanti piccoli dettagli
peculiari e certi che fanno parte della catena causale che ha determinato questi tre fatti collegati
dal nesso eziologico.
7
Terzo elemento. Un supertestimone passivo che scagiona Pisano
Massimo Pisano svolgeva una seconda attività, quella di geometra. All’epoca trattava due pratiche di
accatastamento immobiliare per tale Sergio Trappetti e per gli eredi Monari; il 4 agosto, dalle ore 10,30 alle
10,45, era al Catasto con le pratiche relative annotate ai protocolli in ordine n° 58724 e 63469 e non come
insiste la sentenza una sola pratica col n° 601289. Il modello prestampato di ricevuta provvisoria compilato
a mano da Pisano al Catasto proprio quel giorno, è stato rinvenuto nella valigetta di Massimo Pisano
sequestratagli dai Carabinieri il 7 agosto 1993.
Se realmente Pisano ha compilato il citato documento che solo lui e solo a quell’ora poteva compilare,
Pisano ha un alibi di ferro: un accertamento tecnico calligrafico potrebbe scagionarlo del tutto. Ecco che il
documento all’interno della valigetta di Pisano diviene il supertestimone passivo, perché è stato fermo
nella valigetta di Pisano per diversi mesi, in quanto sequestrato dall’Autorità giudiziaria!
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Dalle 11,18 alle 11,26 Pisano era da un ferramenta.Dal registratore di cassa si può rilevare che esiste una doppia spesa di lire 4.000 + 37.400: proprio quella dichiarata da Pisano e corrispondente al prezzo di quattro duplicati di una chiave (lire 4.000) ed al materiale di giardinaggio (lire 37.400). Repetita jucant. “Un fatto è un fatto, ed è un fatto che Pisano alle 10,30 è stato incaricato di far fare dei duplicati della chiave della palestra e che alle 11,30 questi quattro duplicati erano consegnati da Pisano al maresciallo Donato. Ed all'interno di due fatti certi che contengono un terzo fatto certo, vi sono tanti piccoli dettagli peculiari e certi che fanno parte della catena causale che ha determinato questi tre fatti collegati dal nesso eziologico.”
CARTELLO ANAS E DICHIARAZIONE DI LAVORI EFFETTUATI
Nel periodo del delitto (4 agosto 1993) la via Flaminia era
interrotta per lavori in corso con relative deviazioni.
Ciò significa che Pisano non avrebbe potuto percorrere il tragitto
di 46 km (Roma Via Reni - Riano - Roma via Reni) in 40 minuti
ma, come minimo, in 60 minuti.
La dichiarazione dell’ANAS è sintomatica.
“Il numero di protocollo relativo è sempre quello del giorno in cui la pratica si presenta” hanno dichiarato
i geometri Colella e Spadaro; costoro avevano la pratica col protocollo precedente (Colella) e successivo
(Spadaro) a quello di Massimo Pisano. Il geometra Spadaro arrivò al Catasto alle ore 10,30, il geometra
Colella arrivò alle 10,30 per andare via alle 10,45. La loro presenza al Catasto è perfettamente compatibile
con quella di Pisano. Inoltre Pisano è testimone di una scena che quel giorno vide protagonista tale Antonio
Brunettini, proprio nell’orario in cui afferma di essere stato al Catasto, circostanza che Brunettini ha
ammesso per iscritto essersi verificata. Nella foto nella pagina seguente viene riportata la dichiarazione
firmata da Brunettini che ricorda quell’avvenimento al quale solo chi lo aveva vissuto poteva riferirsi con
dovizia di particolari. È utile ricordare al lettore, giusto per sgombrare il campo da sospetti di inquinamento
delle prove, che Pisano fu rinchiuso in isolamento dal 7 agosto e che solo l’8 novembre gli fu chiesto dal
pubblico ministero se ricordava qualche episodio particolare al Catasto, e lui: “Davanti a me al Catasto
c’erano due persone. Al protocollo ricordo che mentre aspettavo di prendere le pratiche protocollate,
l’addetto si accorse che mancava il timbro a una pratica della persona che era davanti a me. Quest’ultimo era
un ragazzo sui 25-30 anni, castano con pochi capelli e corti”.
Questo ragazzo è Antonio Brunettini.
Quarto elemento. Dalle ore 11,18 alle 11,26 Pisano era a 24 km dal luogo del delitto.
Massimo Pisano alle ore 10,30 parla col maresciallo Donato che lo incarica di farsi fare delle copie della
chiave della palestra. Tornando dal Catasto si ferma presso il negozio di ferramenta del signor Piero Brunori,
a circa un chilometro dall’Istituto Superiore di Polizia: questo accadeva dalle ore 11,18 alle 11,27 del
giorno del delitto. Pisano, oltre alle chiavi, per cui spende lire 4.000, acquista alcuni oggetti per uso
personale, esattamente due irrigatori a pressione, tre prolunghe e una scatola di piccoli irrigatori, il tutto per
un ammontare di lire 37.400; alle ore 11,26 sono battuti due contigui scontrini di cassa: lire 4.000 e lire
37.400.
Calcolando il tempo per la scelta degli oggetti, il tempo occorrente per fare le copie della chiave, la fila e
il pagamento, otto minuti sono il tempo minimo.
Appare impossibile che i giudici non abbiano voluto vedere queste verità, e a questo punto è
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La dichiarazione del supertestimone Brunettini che alle ore 10,45 del 4 agosto 1993 era al Catasto per ritirare il modello definitivo attestante l’avvenuta denuncia di variazioni e che il tecnico (donna) gli fece notare che mancava il timbro del geometra su una planimetria.La stessa circostanza è stata riferita da Pisano dopo tre mesi di isolamento in carcere senza che nessuno abbia potuto ‘imbeccarlo’: è la prova lampante della conoscenza diretta di Pisano del fatto, descritto con precisione di tempi, luoghi, personaggi e dettagli. Il modello provvisorio prova che Pisano alle 10,45 era al Catasto. La scrittura è la sua. Il modello deve essere compilato sul posto per una precisa serie di motivi burocratici e tecnici. La data corrisponde, i timbri sono quelli originali e la copia del modello era presso il Catasto.
inevitabile citare la massima di Manzoni nella Storia della Colonna Infame “Spegnere il lume è un
mezzo opportunissimo per non vedere la cosa che non piace, ma non per vedere quella che si desidera”.
5- Le urla di mezzogiorno
Attorno alle 11,30-12 sono state sentite urla e grida in successione solo da una persona, e proprio dalla
madre di un imputato, quel Sabatino Gigante che ha fornito diverse versioni della sua partecipazione ai fatti e
che ha provveduto all’occultamento del corpo. Le urla, se realmente udite, possono essere state di qualche
persona legata all’assassino/a che ha preso contezza di quanto accaduto, oppure una crisi isterica
dell’assassino/a, oppure le urla della colluttazione, oppure una scena televisiva o una trasmissione
radiofonica, oppure un litigio fra l’assassino/a e la persona soccorritrice.
Una cosa è certa: se le urla e i lamenti sentiti fra le ore 11,30 e le 12 sono realmente della vittima,
così come la sentenza di condanna reputa, Pisano non poteva essere presente a Riano, sul luogo del
delitto, perché notato all’Istituto Superiore di Polizia. E poi, come mai urla di tal guisa non hanno
indotto nessuno a chiamare il 113?
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Il quadro delle ferite procurate alla vittima Cinzia Bruno da Silvana Agresta e qualche complice sinora
ignoto: aggressione violenta e selvaggia, non professionale; uso indiscriminato di diverse armi improprie .
Si tratta di omicidio in seguito a litigio, movente del tipo personale, emozionale, odio, vendetta, ambito
passionale.
Le bastonate sulla testa di Cinzia Bruno e le fratture ai polsi ed allo sterno sono il risultato di due gruppi di
azioni combinate e successive: l’intervento della terza persona che si scaglia violentemente contro “l’intrusa”
Cinzia Bruno e la fase che vede l’Agresta vincitrice.
Le tre coltellate al ventre sono un atto di sfregio e di devastazione fatto da una persona dello stesso sesso della
vittima. È emblematico che l’accanimento contro Cinzia Bruno, concentrato sul ventre e mirato all’utero, ha il
significato simbolico di sopravvivenza della propria capacità procreativa sulla rivale.
Non è da escludere che, nello scenario che vede l'Agresta telefonare a Cinzia Bruno invitandola così a casa
sua, l'aggressione sia del tipo premeditato tramite “attirare in trappola la vittima con successiva lezione fisica”,
quindi, solo volontà di “dare una lezione” che poi diviene scenario di morte.
In ogni caso i livelli criminali dell'omicidio indicano pianificazione non professionale, logistica dilettantesca,
perdita del controllo, coinvolgimento emotivo eccezionale.
8 - CONFUTAZIONI DEI PUNTI TOPICI DELLA SENTENZA DI CONDANNA TRAMITE IL
NOSTRO DOSSIER
Forniamo al lettore dieci certezze espresse dalle sentenze di condanna e le nostre antitesi formulate ancor
prima della sentenza della Cassazione, però, poi recepite in fase di revisione del processo. Sono dieci
certezze che abbiamo sempre considerato intimamente fallaci perché scaturenti da un ragionamento
intimamente errato, da errori di valutazione e di apprezzamento, da incongruenze criminalistiche e da
investigazioni superficiali o inadeguate. Per ogni certezza indichiamo prima quella della sentenza, poi
la nostra espressa nel dossier (Rivista Detective & Crime, anno 1996, marzo-aprile).
1 - La premeditazione del delitto
La sentenza di condanna. Il delitto era premeditato e pone come presupposto che vi sia stato un tentativo
di veneficio tramite 20 pillole accantonate nel tempo, seguito poi dai colpi in testa e dalle coltellate. Il delitto
sarebbe stato possibile tramite un agguato-trabocchetto.
Dossier CL. In realtà l’uccisione di Cinzia Bruno è da ritenersi omicidio volontario non premeditato,
omicidio in seguito a litigio, iniziato con una colluttazione fra la vittima e una donna (o più persone) e, dopo
gli undici colpi in testa e i lividi, si è passati a somministrare il bibitone ed all’uccisione con il coltello da
cucina. Le modalità del delitto sono chiarissime e parlano di violenza ed aggressività sfociate in omicidio
volontario; le ferite post-mortem hanno il chiaro significato simbolico di una donna che sopprime il pericolo
per il proprio amore e per distruggere la capacità riproduttiva della rivale.
a. L’iter criminis è il seguente: colluttazione, bastonate in testa e fratture al corpo, bibitone, pugnalate
mortali, pugnalate post-mortem, depistaggio, lavaggio e occultamento.
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La copertina della rivista dedicata all'Analisi
Investigativa sull'Omicidio di Cinzia Bruno,
dove indicava che UN INNOCENTE ERA IN
CARCERE, con chiaro riferimento a Massimo
Pisano.
Dopo sette anni di ingiusta detenzione
Massimo Pisano veniva assolto, la sentenza
accettava TUTTE le considerazioni e le
osservazioni del nostro dossier.
Erano i tempi in cui era vietato criticare
indagini e sentenze.
b. La colluttazione fra le due donne è stata violenta. La disposizione degli appartamenti della palazzina
sprovvista di ascensore ha fatto sì che qualcuno intervenisse a favore dell’Agresta (al primo piano la
madre, al secondo il fratello, il terzo vuoto, al quarto l’Agresta). Le due donne stavano lottando e Cinzia
Bruno aveva preso il sopravvento (i lividi dell’Agresta ne sono le prove), la persona intervenuta per
aiutare l’Agresta ha colpito duramente e a più riprese Cinzia Bruno. La situazione si è ribaltata ed è
scattata la vendetta.
c. Le bastonate sulla testa di Cinzia Bruno e le fratture ai polsi ed allo sterno sono il risultato di due gruppi
di azioni combinate e successive: l’intervento della terza persona che si scaglia violentemente contro
“l’intrusa” Cinzia Bruno e la fase che vede l’Agresta, da soccombente a vincitrice.
d. Il “bibitone” col tentativo di veneficio è la combinazione di un’ideologia lontanissima dal delitto
premeditato e dalla mentalità criminalistica, così come è un atto impulsivo e squisitamente femminile. Le
pillole sono state fatte ingerire tramite un imbuto o un tubo; o sciolte in un miscuglio (yogurt alla banana
secondo la perizia autoptica), ed altre intere.
e. Le coltellate mortali, inferte con un coltello da cucina, scaturiscono dal fatto che il bibitone, contenendo
anche sostanze eccitanti, aveva fatto riprendere conoscenza a Cinzia Bruno. Il triplice colpo alla gola
indica volontà omicidiaria, disperazione e odio. I tre colpi alla gola sono stati inferti con la stessa
metodologia di quelli al ventre: tre prima, tre dopo. Cinzia Bruno muore per soffocamento dei polmoni
invasi dal sangue.
f. Le tre coltellate al ventre sono un atto di sfregio e di devastazione fatto da una persona dello stesso sesso
della vittima. È emblematico che l’accanimento contro Cinzia Bruno, concentrato sul ventre e mirato
all’utero, ha il significato simbolico di sopravvivenza della propria capacità procreativa sulla rivale.
g. L’opera di pulitura, depistaggio e occultamento, unita alla richiesta d’aiuto a un soggetto di sesso
maschile, dietro una ricompensa dell’ammontare del proprio conto in banca, è sintomatico di una
mentalità femminile.
2 - La chiamata in correità da parte dell’Agresta
La sentenza di condanna. La chiamata in correità è intrinsecamente attendibile in quanto connotata da
immediatezza, spontaneità, disinteresse e costanza.
Dossier CL. L’Agresta non ha chiamato in correità Pisano, ma lo ha praticamente accusato
estraniandosene completamente; non si può parlare di immediatezza e di spontaneità perché Agresta ha
“confessato ed accusato” tardivamente e a rate; la costanza è mal rappresentata dalle sue contraddizioni e
bugie; il disinteresse è inesistente perché le parti processuali sono chiaramente antitetiche.
3- Le escoriazioni sulle gambe di Pisano
La sentenza di condanna. Le escoriazioni di Pisano sono il segno della colluttazione avuta con la moglie
mentre tentava di somministrarle le pillole venefiche.
Dossier CL. Massimo Pisano non presenta escoriazioni sulle gambe come da calci, bensì, come risulta dal
verbale di ispezione corporale firmato dal Consulente del PM, professor Carlo Colesanti, il 10 agosto 1993:
“molteplici e minute escoriazioni lineari ricoperte da crosticina ematica delle dimensioni di pochi
millimetri”. Ebbene, tali escoriazioni Massimo Pisano se le è procurate col tagliaerba attorno al 30 luglio,
difatti, sono “molteplici”, “minute” e “lineari”. Nessuna compatibilità possono avere con i calci sferrati con
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violenza dalla povera Cinzia, in un disperato tentativo di difesa. Inoltre, il sangue è coagulato e le crosticine,
per i tempi e i modi, depongono per il tagliaerba. Dulcis in fundo, non esistono pillole venefiche, quindi
mancando la causa manca l’effetto e manca il loro nesso eziologico.
4 - Il movente dell’omicidio
La sentenza. Il movente dell’omicidio premeditato è del tipo passionale, in quanto i due amanti avevano
deciso di sposarsi a settembre.
Dossier CL. Il movente è del tipo “perdita del controllo, ira, distruzione della rivale”, in quanto Massimo
Pisano stava effettuando un tentativo di riconciliazione con la moglie e il viaggio in Sardegna ne è la prova,
cosa che avrebbe dovuto costruire un punto di forza della difesa. In precedenza la moglie aveva già
manifestato l’intenzione di andare da un avvocato per le pratiche di separazione e il Pisano aveva cercato di
dissuaderla. Il movente è del tipo “situazione criminogena di scontro emozionale in situazione di forte stress”
e trova la sua logica nell’incontro fra Cinzia Bruno e la sua carnefice Silvana Agresta nella mansarda, con la
successiva colluttazione.
5 - L’anello regalato da Pisano all’Agresta
La sentenza. L’anello è il pegno del patto scellerato dopo la morte di Cinzia Bruno: “Massimo Pisano ha
regalato un anello a Silvana Agresta, alle ore 17,30 del 4 agosto 1993, giorno del delitto, come pactum
sceleris e suggello del delitto riuscito”.
Dossier CL. L’anello è stato regalato da Pisano all’Agresta non il 4 agosto, ma il giorno prima, il 3 agosto.
Pisano lo ha pagato con un assegno di lire 350.000, incassato dal gioielliere la mattina del giorno 4, quindi
non può essere stato acquistato il pomeriggio del 4 agosto. L’anello era un tardivo regalo di Pisano per il
compleanno dell’Agresta, avvenuto il 26 luglio: ma doveva, soprattutto, sortire l’effetto di tranquillizzarla e
tacitarne i rimbrotti. Inoltre, il pomeriggio del 4 agosto Pisano era con la suocera.
6 - I tempi di attuabilità ed esecutivi del delitto
La sentenza di condanna. I tempi di attuabilità del delitto e del percorso di Massimo Pisano sono
compatibili con l’iter dell’omicidio.
Dossier CL. Da elementi testimoniali e dallo studio dei tempi di percorrenza (compresi i lavori
dell’ANAS sulla Flaminia) e dei tempi necessari all’esecuzione delle fasi omicidiarie, è stato dimostrato che
Pisano non poteva commettere il delitto non avendone le possibilità esecutive, le opportunità e le possibilità.
Delitto commesso, oltretutto, non prima delle ore 12.
7 - L’ora del delitto
La sentenza. L’ora del delitto è da individuarsi verso mezzogiorno, e le urla sentite dalla madre di
Sabatino Gigante ne sono la conferma.
Dossier CL. Cinzia Bruno è stata uccisa non oltre le 11,30-12. In ogni caso, alle 12 Pisano è coperto da
alcune testimonianze.
8 - L’alibi di Massimo Pisano
La sentenza. Pisano non ha presentato alibi verosimili.
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Dossier CL. I movimenti di Pisano sono tutti coperti da testimonianze di persone e/o sono deducibili da un
insieme di elementi precisi e univoci che, purtroppo, né l’accusa e né la difesa seppero individuare per poi
adeguatamente valorizzare in ambito processuale. Si rimanda ai paragrafi intitolati rispettivamente “Le
testimonianze che scagionano Massimo Pisano”, “Nessun vuoto temporale dell’alibi di Pisano. Tempi di
percorso e di attuabilità del delitto”, “Un supertestimone passivo che scagiona Pisano”.
9- Le fratture ai polsi di Cinzia Bruno
La sentenza. Gli assassini hanno procurato fratture ai polsi trattenendole le mani fino a spezzarle i polsi ,
questo è in linea con la coppia Agresta e Pisano.
Dossier CL. È inverosimile la deduzione della sentenza, perché se ciò fosse accaduto le ecchimosi sui
polsi dovevano essere circolari, ad anello, invece le superfici ecchimotiche appaiono chiaramente come
prodotte da un colpo inferto con un corpo contundente. Una migliore ricostruzione medico legale avrebbe
evitato questo ulteriore errore di valutazione.
10- La pillola rinvenuta intatta tra i capelli di Cinzia
La sentenza. La pillola rinvenuta dimostra che prima le sono state fatte ingerire con le mani le pillole, e
poi è stata bastonata.
Dossier CL. È inverosimile, perché se fosse stata bastonata sulla testa, la pillola, dopo undici violentissimi
colpi, sarebbe sicuramente caduta oppure sarebbe stata frantumata. La pillola le è caduta fra i capelli dopo
che era pressoché immobile, causa le percosse.
9 - CONCLUSIONI DEL DOSSIER CL
Non vi è prova di premeditazione nei confronti di Pisano, mancano il movente, il contesto, l'intento
primario e le possibilità esecutive temporali e spaziali: mancano le prove.
L’alibi di Pisano regge totalmente, ma è stato mal controllato causa l’innamoramento della tesi e del
sospetto e la certezza di aver risolto il caso al primo colpo.
L’ora del delitto non è stata individuata, i tempi esecutivi del delitto non sono stati studiati, la
dinamica della ricostruzione è inadeguata e pregnante di pregiudizo.
Esistono forzature ideologiche, errori investigativi e logici, un caos di testimonianze che impedisce
l’accertamento dei fatti.
In questo panorama un uomo è stato condannato all’ergastolo in nome del popolo italiano.
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IL 19 FEBBRAIO 2001 MASSIMO PISANO VENIVA ASSOLTO DALLA CORTE
D’APPELLO DEL TRIBUNALE DI PERUGIA NEL PROCESSO DI REVISIONE
PER LA MORTE DELLA MOGLIE CINZIA BRUNO.
UN UOMO INNOCENTE SI È SALVATO DALL'ORRORE SUPREMO
DELL'ERGASTOLO GRAZIE ALLA SCIENZA, ALLA LOGICA ED ALLA
RAGIONE ...