Mostro di Firenze : Processo Pacciani - Requisitoria Di Paolo Canessa (18 e 19 Ottobre 1994)

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Processo Pacciani – Trascrizione della Requisitoria del PM Paolo Canessa (18 e 19 ottobre 1994)

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Processo Pacciani - Paolo Canessa accusa Pietro Pacciani di essere il Serial Killer solitario delle coppiette noto come Mostro di Firenze. Data: 18-19/10/1994

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Processo Pacciani – Trascrizione dellaRequisitoria

del PM Paolo Canessa(18 e 19 ottobre 1994)

Nota del trascrittore: Eventuali parti di audio mancanti saranno trascritti con la dicituta (…mancante, ndr…)

Presidente: Signori, buonasera. Allora un attimo prima di dar la parola al Pubblico Ministero. La Corte… leggiamo quest’ordinanza: la Corte di Assise sulla richiesta di produzione documentale da parte dell’imputato, rilevate le missive datate settembre ’93, 18 novembre ’91, sono anonimi; e non possono essere acquisite per il divieto generale di cui all’articolo 240 cpp. Che i seguenti documenti: carta intestata del calzaturificio Pigalle di San Casciano, cartoni pubblicitari dell’Arci Linea di Vicenza, fotocopie di articoli di stampa dell’11 ottobre ’85, inviti a partecipazioni di matrimonio di Rosanna Zanobini, proposta di acquisto di autovettura in data 18-11-’82, elenco di cittadine tedesche con indicazioni del numero degli abitanti, parte di busta per occhiali, fotografie varie non sono provenienti dall’imputato ai sensi dell’articolo 237 cpp ma da lui prodotti e che, siccome la produzione è tardiva perché effettuata dopo la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, la medesima non può essere consentita. In quanto non si tratta di prove assolutamente necessarie aifini del decidere ai sensi degli articoli 523 sesto comma 507 cpp, come si rileva dalla loro natura del tutto generica e priva di univocità che le priva di ogni apprezzabile significato probatorio. Che nessun particolare significato probatorio, alla stregua della stessa prospettazione effettuata dalla difesa, assume poi la testimonianza della Zanobini sull’asserita visita ricevuta dal Pacciani. Che l’unico documento che può essere prodotto ai sensi dell’articolo 121 primo comma cpp è il memoriale a firma dell’imputato, consistente in 12 pagine. Per questi motivi ammette la produzionedi memoriale a firma dell’imputato, respinge le ulteriori istanze. Per cui questo lo allegheremo al verbale assieme all’ordinanza e tutto il resto…

Avvocato Bevacqua: La difesa si riserva di impugnare insieme alla eventuale sentenza dicondanna.

P.M. Canessa: Ci mancherebbe! È una minaccia? Si riserva di impugnare… Ci mancherebbe checi si riservasse…

Avvocato Fioravanti: Che osservazioni sono?!

Presidente: Scusate signori, signori fotografi non girate le spalle alla Corte però, eh? Questa è una cosa. Mi perdoni avvocato ma non stavo seguendo…

Avvocato Bevacqua: Si riserva la Difesa di impugnare questa ordinanza…

Presidente: Certamente, ne ha pieno diritto.

Avvocato Bevacqua: Lo sa per quale motivo. E che c’era una giurisprudenza a proposito delle impugnazioni sulle ordinanze una volta, che poi è mutata e quindi io, oggi, non so se muterà e allora io mi riservo. Grazie.

Presidente: Certamente, ne ha pieno diritto. Bene, possiamo dare la parola, diciamo finalmente?, al Pubblico Ministero…

P.M. Canessa: Mah, anch’io direi finalmente. Io dico una cosa subito: io non ho eccezioni tardive, non ho prove da chiedere all’ultimo minuto, non ho necessità di provare niente ex 523 sesto comma. Io dico subito alla Corte che tutta la mia impostazione della requisitoria vertesu un dato di fatto: gli elementi per giudicare se Pietro Pacciani è o no responsabile dei delitti che gli sono stati ascritti, gli elementi sono già fra gli atti della Corte. Non ho nessunarichiesta dell’ultimo minuto da farmi respingere. Signor Presidente, signori giudici, io immagino, lo immagino veramente quale è stata la prima reazione vostra, le prime impressioni quando per la prima volta in quest’aula, son passati diversi mesi, si è presentato l’imputato Pietro Pacciani. Lo immagino, ne sono sicuro, quale è stata la reazione prima di tutti quando lo avete visto allora, non oggi. Vi siete sicuramente chiesti voi: ma può essere, questo signore, l’autore di quegli otto terribili omicidi? Lo so, io non leggo nel pensiero ma lo so che vi siete chiesti questo. Vi siete detti: può essere questo signore il cosiddetto mostro di Firenze? Basta guardarlo, non conoscendolo ovviamente. Basta guardare il suo aspetto fisico, basta vedere come si comporta: non conoscendolo, ripeto, per avere questi dubbi. Può essere un contadino vecchio l’autore di quelle atrocità? È un dubbio, signori giudici, che abbiamo avuto tutti. È un dubbio legittimo, avete fatto bene ad averlo. Lo hanno avuto gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno iniziato quest’indagine, lo hanno avuto coloro che rappresentano l’accusa, l’ho avuto io, lo hanno avuto sicuramente e non per dovere di ufficio (fino a che punto non lo so…) i difensori, lo hanno avuto tutti i rappresentanti delle parti di questo processo. Però se un dubbio di questo genere c’è stato – io non vi leggo nel pensiero – ma sono certo che questo dubbio col tempo si è affievolito. Ne sono sicurissimo, è una presunzione ma è così. Lo sapete voi,lo sanno tutte le parti che ho citato. Perché si è affievolito? Man mano che questo…

Presidente: Questo, questa è una cosa che naturalmente ritiene lei ovviamente…

P.M. Canessa: Io sto dicendo delle Parti del processo, Presidente. Non dei giudici, mi scusi eh?

Presidente: Non vorrei appunto si pensasse dei giudici…

P.M. Canessa: No, no ho detto le Parti, Presidente. L’ho detto molto chiaramente.

Presidente: Benissimo, molto bene…

P.M.: Canessa: Perché si è affievolito? Poi è un dubbio, quindi se un dubbio si affievolisce non diventa realtà. Era questo il concetto che volevo sviluppare. Perché? Perché man mano che gli elementi a carico dell’imputato venivano avanti, venivano portati davanti a voi era sempre più difficile per noi Parti, per il Pm, crederlo. Crederlo quando con le sue esternazioni continue ci diceva: “Sono un povero agnelluccio, sono un contadino, un padre di famiglia, uno che ha sempre lavorato…”. Quindi il primo punto da focalizzare è questo: attenzione, attenzione noi tutti e questa attenzione la chiedo anche a voi, non ci possiamo assolutamente oggi fermare davanti a delle impressioni. Non possiamo continuare su domande suggestive, tipo quella “può essere lui!?”. Non possiamo giudicare, e non potete giudicare, Pietro Pacciani sulla base di quello che appare. Mi sembra una cosa molto semplice. L’Accusa infatti ha battuto strade ben diverse da quella delle impressioni e delle suggestioni. Cosa ha fatto? Ha portato in trenta udienze, trentuno, degli elementi che sono

stati sviscerati nei minimi particolari. Ha portato, sì, delle considerazioni semplici, ma tutte considerazioni fondate su dati di fatto. Quindi il punto da cui dobbiamo partire oggi non è fermarsi alle impressioni ma guardare, fino in fondo, quali sono le prove oggettive che sonostate documentate, sviscerate in questo processo. La opinione quindi dovrà essere lontanada suggestioni, qualunque esse siano: si è parlato tante volte, durante il processo, “queste sono solo suggestioni dell’Accusa”. Benissimo, nessuna suggestione né da parte dell’Accusa né da parte della Difesa. Dobbiamo tener presente che, man mano nel corso del processo, me ne dovete dare atto fino a oggi, lo vedremo pian piano con calma, la figura dell’imputato è emersa in tutta la sua concretezza in maniera ben diversa da quella che appare. E allora dovremo, per questo motivo: guardare i particolari, cercare di seguire tutte le Parti, sicuramente tutti gli argomenti di ciascuno di noi che vi parliamo e vi parleremo. Ma dovremo evitare di vedere la figura dell’imputato nel complesso perché ciò ci impedirebbe di apprezzare il lavoro che è stato fatto in questo dibattimento. Io ho detto, all’inizio del processo nella mia introduzione, che sarebbe stato difficile essere conciso. Nell’introduzione, è una valutazione, un’affermazione che faccio anche oggi: è sicuramentedifficile essere concisi, ma è possibile e mi auguro di farlo, di essere chiari. Perché dico questo? Perché il processo ha portato tanti elementi ma, dal punto di vista del Pm, questo lo dico, solo dal punto di vista del Pm è una mia impressione, il processo nel suo svolgimento quotidiano non è stato difficile. Assolutamente. È stato un processo senz’altro complesso, in cui ci sono stati veramente tanti fatti, ma dal punto di vista del Pm è stato semplice andare avanti nel suo lavoro. È stato semplice per il Pm, è stato un andamento del processo lineare; debbo riconoscere corretto da parte di tutte le Parti, aldilà dei normali scontri/battibecchi che abbiamo avuto. Ma è un processo che si è improntato, grazie alla mediazione di lei signor presidente e alla attenzione continua di tutti i giudici, che ha permesso a tutti di andare avanti con linearità. Di aggiungere ogni giorno qualcosa di nuovo a quelle prime impressioni. Ecco, questo è il punto fondamentale: siamo partiti dalle impressioni, ogni giorno il Pm crede – ha la presunzione, almeno – di aver portato qualcosa di nuovo, un mattoncino piccolo per ricostruire la verità. Dico anche che è un processo che fortunatamente si è svolto con il nuovo rito, con il rito accusatorio, perché è un processo che ha potuto giorno dopo giorno fornire, attraverso soprattutto l’escussione dei testi, quelle che erano le verità, quelle che erano le conoscenze dei comportamenti dell’imputato. E quindi il processo accusatorio, il rito accusatorio, è stato un mezzo che ha consentito a voi giudici e a noi tutti di sentire quotidianamente dalla voce dei testi, dei periti,dei consulenti, degli ufficiali di Polizia Giudiziaria, come stavano le cose. Ho provato a immaginare come poteva essere con il vecchio rito un “confermo confermo”, e quanto sarebbe stato più difficile per il Pm dare il quadro della situazione qualunque essa sia, qualunque essa è. Come sarebbe stato più difficile con le sole carte del processo dipingervi questi fatti. No, il rito accusatorio, dobbiamo riconoscerlo, è un rito che per un paese come il nostro è un mezzo, per quello che riguarda il dibattimento, che consente nel modo più ampio, e questo processo ne è la riprova, di conoscere tutti quali sono stati: i meccanismi d’indagine, i fatti, quali sono le verità. E quindi mai come in un processo come questo siamo stati e siete stati in grado di vedere come stanno le cose. Sicuramente per il Pm è stato un aspetto positivo, più che positivo. Ma, detto questo, c’è una caratteristica che io mi sento in dovere di richiamare, ed è quella che ho cercato di accennare a grandi linee. È un processo che è mutato, a mio avviso, con l’andare del tempo ma che, all’inizio, ha messo in evidenza come è iniziato in un clima di scetticismo nei confronti

dell’impostazione dell’Accusa. Può darsi ci sia anche oggi, non ha ovviamente la pretesa disapere il Pm qual è il pensiero prima dei giudici. Però dobbiamo, debbo mettere in evidenza questo: c’è stato un cambiamento. Perché quali erano gli atteggiamenti di qualcuno, di qualcuna delle Parti processuali? Quali erano gli argomenti dei difensori, legittimi, all’inizio? Quale era l’atteggiamento di parecchi? Quello che sicuramente, da come appariva, l’imputato, non conosciuto da nessuno, non aveva, non poteva avere la stoffa per queste gesta. Vediamo poi se il processo lo ha dimostrato o meno, però è partito in questo clima. Perché si pensava, e avevamo un dubbio che io sono sicuro che oggi non c’è più, che Pietro Pacciani non aveva le capacità di commettere quei delitti. Si diceva da parte dei più: “È un povero padre di famiglia, avrà sicuramente qualche devianza sessuale ma sono devianze che non sono rare sicuramente nelle nostre realtà contadine. Però non può essere che uno ha qualche devianza sia sicuramente l’autore di quei fatti…” Si pensava da parte di molti, l’ha pensato l’Accusa: “Ma come può essere che un contadino diquesto tipo, un figlio della nostra terra, un figlio di un luogo dove nei secoli si sono sviluppati arte, cultura… Come è possibile che l’autore di quei delitti sia un figlio della nostra terra?” C’era da parte di tanti la convinzione che non dovesse essere qualcuno di noi. Si pensava: “Sarà un padre-padrone di certo, avrà abusato… Ma figuriamoci! Chi non lo può negare, è stato condannato. Ma fra dire che è un padre-padrone e che è il Mostro di Firenze, caro rappresentante dell’Accusa, c’è una bella differenza.” Si sapeva, si diceva: “Ha commesso un delitto quarant’anni fa.” Un delitto particolare, lo vedremo come è stato ricostruito. “Ma come è possibile che chi come ha fatto Pacciani ha, 40 anni fa, ucciso un rivale in amore possa poi essere diventato l’autore di quei delitti?”. Si aggiungeva a queste considerazioni: “Si tratta di un’impostazione dell’Accusa che è viziata perché” – si è detto inquest’aula all’inizio da molte Parti – “è viziata perché c’è una carenza d’indagine”. Una delle impostazioni, oggi abbandonata per fortuna, era quella: “Le indagini sono state carenti, andavano fatte a 360 gradi: non sono state fatte. Gli indizi raccolti a carico dell’imputato sono delle pure e semplici coincidenze, manca la prova decisiva. Cosa vuole l’Accusa oggi in questo processo andare avanti, chiedere di fare il dibattimento, quando è talmente evidente che è un processo indiziario che non andrà lontano perché manca la prova decisiva. Manca la pistola! Non si è trovata la pistola, quindi, qualunque sia la verità, è inutile andare avanti.” Nessuno accettava, le Parti di questo processo, che il fatto che non si sia trovata la pistola potesse dimostrare non che non la aveva, ma che non l’aveva fatta trovare o, peggio ancora come è emerso, che non era stata trovata. Forse, come ritengo io, sia per l’abilità dell’imputato sia per l’impossibilità per gli inquirenti di trovarla. Questo cosa vuol dire? Non si è trovata la pistola ci dobbiamo fermare? Non dovevamo andare avanti? Assolutamente no. Siamo andati avanti, mi auguro di aver dimostrato che lamancanza della pistola, del ritrovamento della pistola, non vuol dire oggi assolutamente niente. Ma questo era in stretta sintonia con un’altra considerazione: che bisogna anche ipotizzare che più perfetto è il delitto, più bravo è l’autore, più è possibile che la sua abilità gli abbia consentito di nascondere tutti quelli che sono gli elementi a suo carico. Bisogna partire da questo, è inutile fare un’impostazione al contrario: ci dovevi portare la pistola, non l’abbiamo trovata, quindi non è lui o comunque non lo proverai mai. No, bisogna partireda un ragionamento inverso, vediamo innanzitutto come sta la questione. Bisogna tenere presente che qualcuno, qualche esperto, giustamente, ha ipotizzato, secondo me con dovizia di particolari…: “Eh, guardate, che è difficilissimo che in questo tipo di delitti l’autoreconfessi, che lo ammetta. Anzi, la cosa più possibile nei delitti seriali di questo tipo con

soggetti di questo tipo, la cosa più probabile, semmai dovesse avvenire, è che l’autore di questi fatti deciderà lui, se lo deciderà mai, di confessarli. Non accetterà mai di essere scoperto.” Questo è un dato comune a questi fatti, quindi bisogna, come siamo partiti noi, ipotizzare che il fatto che non ci sia confessione è strettamente legato al tipo di reati. In parole povere siamo partiti da condizioni opposte: c’era chi diceva è un processo indiziario che non convince, non c’è confessione; dall’altra parte l’Accusa che ha cominciato questo processo dicendo: un attimo, è vero, il dato di fatto è questo. Può darsi che non abbia confessato perché è un tipo di autore in cui l’ultima cosa che farebbe l’autore è confessare,bisogna partire con un meccanismo diverso. Cioè vediamo se è possibile ricostruire attraverso indizi, attraverso meccanismi logici indiretti, se l’autore è responsabile di questi fatti. Perché se ci si arriva in un modo indiretto si può avere una prova convincente. Si può arrivare, anche senza confessione e senza che sia stata trovata la famosa pistola, a esprimere un giudizio di eventuale colpevolezza, di responsabilità, in modo tranquillo. Ci si può arrivare indirettamente quando è possibile, mattone per mattone, costruire indiziariamente, indirettamente, come stanno le cose. Indizio dopo indizio, aumentarli giorno giorno, arrivare a un quadro generale che permetta di provare il fatto non direttamente con la confessione, non con il ritrovamento della pistola, ma con un procedimento logico, ammesso e consentito dal nostro codice, il principio del libero convincimento del giudice previsto dall’articolo 192 del codice di procedura penale. Arrivarecon un meccanismo logico a quella prova che non si è avuta con la confessione o con il ritrovamento di un elemento fondamentale. Qualcuno, in una situazione di questo genere, ha tuonato, lo ricordate, in quest’aula all’inizio: “Eh, bene Accusa. Ci hai portato qua Pacciani, Pacciani è un capro espiatorio.” “Tu – c’è stato detto – vuoi tirare fuori il vero autore servendoti di questo imputato.” Per fortuna è un argomento che è stato abbandonato; siamo pian piano entrati nel vivo e ci siamo messi a discutere sugli indizi a carico di Pacciani. Ci è stato detto all’inizio dai difensori… tuonato proprio, sono questi, il clima in cui veniva detto: “Eh, avete trovato lui per placare gli animi, per placare la cittadinanza, questa città che cercava l’autore e voi non glielo avete trovato in tanti anni. Avete trovato quello che ci si avvicinava di più e ce l’avete portato qua.” “L’avete fatto – ci èstato detto – per coprire gli errori passati… le sentenze di non doversi procedere per quellepersone che sono state accusate in passato. L’avete portato qua Pacciani per dare soddisfazione ai parenti di quelle vittime che hanno diritto ad una risposta chiara.” “Avete portato qua Pacciani – ci è stato detto – ma a carico del Pacciani non avete niente, nulla!” Mah, questo noi abbiamo sentito; e siamo andati avanti mattone su mattone. Perché ci dicevano solo portando Pacciani, o chi per lui in aula, tu Accusa, riuscirai a far venir fuori quello vero? Mah, è un impostazione, erano delle provocazioni: per fortuna non è venuto fuori nessun altro! Vuol dire, questo è un dato, che intanto quegli elementi che all’inizio avevamo disegnato a suo carico sono andati avanti. Nessuno oggi si sogna più di dire che il Pacciani imputato era un mezzo per far scoprire quello vero. Il Pm davanti a questa impostazione, giusta della Difesa ma a mio modo pretestuosa, cosa ha detto: “Signori Giudici – l’ho detto io molto chiaramente nella mia introduzione – per carità, il Pm, l’Accusa,non è depositario di alcuna certezza.” Nell’introduzione dissi: “Celebriamo il processo, vediamo. Non prendiamo posizioni contrapposte. Aspettiamo, vediamo quali sono gli elementi che abbiamo raccolto giorno giorno. Non ci fissiamo su impostazioni precostituite, né io Accusa né tu Difesa, andiamo avanti. Vediamo come stanno le cose. Sentiamo i testi,vediamo le prove che sono state raccolte. Sentiamo tutti quelli che hanno da dire qualcosa,

sentiamo gli inquirenti. Vediamo se c’è qualcuno nuovo che c’ha da dirci qualcosa.” Sono venuti spontaneamente, grazie alla risonanza del processo: è venuto qualcuno, per conto suo, che non era stato sentito nel corso delle indagini. Ha detto il Pm all’inizio: “Ripercorriamo insieme il percorso fatto dagli inquirenti, percorso che dal punto di vista della ricostruzione degli indizi è già stato fatto dal Gip con un rinvio a giudizio. Alla luce di quegli elementi che io Pm ti offro e che vedremo insieme nel corso del dibattimento prenderemo conclusioni.” Questo, me lo dovete riconoscere, è stato il modo con cui l’Accusa ha affrontato il processo. Da una parte qualcuno diceva: Accusa preconfezionata, Accusa assolutamente insussistente, indizi casuali. Pm non ha mai detto: “Sono sicuro, eccoveli qua, state tranquilli”; no, io vi ho detto: “Vediamo insieme”. Vi ho detto oggi: “Non era possibile fondarsi sulle impressioni”. Allora cosa è successo nel corso del processo? Il Pm aveva detto: “Vi dimostrerò che ci sono a carico del Pacciani numerosissimi indizi; tutti gravi, precisi, univoci e concordanti.” Questa era una sorta di promessa che aveva fatto il Pm, era l’impegno che aveva preso. L’ha mantenuto il Pm oggi che siamo arrivati alla fine? Ha provato quello che si era dichiarato in grado di provare? Mi sembra proprio di sì! Un conto è vedere se gli indizi sono sufficienti a una condanna, un conto è vedere se gli indizi ci sono. Il Pm aveva detto: “Io vi dimostrerò che ci sono, sono gravi e concordanti!” Il processo, nelle trenta udienze, è andato avanti giorno giorno dimostrando che il Pm aveva ragione su questo punto. È forse successo qualcosa di diverso rispetto a quest’impostazione? La Difesa ha smontato radicalmente quelli che erano gli elementi dell’Accusa? Assolutamente no! Siamo oggi a chiedere di sentire il teste tot. o di vedere se,putacaso, c’è qualche persona che ne sa qualcosa. Siamo a questo, ma sugli elementi fondamentali non c’è stato assolutamente alcun elemento contrario. Sono emerse circostanze nuove diverse da quelle che aveva ipotizzato il Pm? Da quelle che il Pm si era dichiarato in grado di dimostrare? Assolutamente no! Gli indizi su cui si fonda l’Accusa sono stati sviluppati giorno giorno in quest’aula. Non c’è stato alcun elemento di prova contraria, lo vedremo nei dettagli. Ma entrando, pian piano, nella realtà di questi fatti cosa abbiamo in primo luogo sottolineato? È un processo unico, sono fatti unici. Episodi simili non si conoscono, quindi è importante partire da questo presupposto perché è stato ampiamente dimostrato, e ve l’hanno detto in quest’aula i periti che sono stati sentiti, vi hanno tolto ogni dubbio; non è che ci sono casi come questo tutti i giorni, non c’è traccia di delitti seriali uguali. Cosa comporta questo indubbiamente? La massima prudenza, la massima responsabilità di tutti, di voi giudici soprattutto, nel momento in cui dovrete stringere le fila del ragionamento. Perché non avete alcuna possibilità di avere dei termini di paragone, condotte da analizzare, per vedere se è possibile in altri delitti seriali prendereelementi che oggi possono essere portati come strumento per il vostro convincimento. L’avete sentito voi il professor Galliani, uno dei periti del collegio dell’università di Modena che hanno studiato il caso nei modi che sappiamo, che sono stati incaricati di studiarlo; in quest’aula ha detto: “Confrontando la tipologia delittuosa che abbiamo esaminato con la letteratura scientifica, abbiamo rilevato che la letteratura italiana è molto avara. In Italia nonc’è un caso analogo, nella letteratura germanica c’è qualche caso, mai su coppie.” Omicidi seriali, mai su coppie: questa è la realtà da cui dobbiamo cominciare a partire nel valutare ifatti. Sono fatti unici – guardando il fatto, l’autore lo vediamo dopo – di una gravità inaudita:unici e gravissimi. Questo è l’altro elemento che ci deve sicuramente guidare man mano che valuteremo gli elementi raccolti. Sono fatti di una gravità inaudita, vi è stato dimostrato giorno dopo giorno all’inizio delle udienze, nelle primissime udienze. Lo ricordate? Abbiamo

visto le immagini di quei delitti, le avete viste voi signori giudici. Avete visto su quello schermo alla vostra destra i cadaveri, in che modo sono stati deturpati; come sono stati eseguiti questi omicidi. Sono quindi fatti unici di una gravità inaudita per il numero degli episodi. Vi è stato detto in continuazione: 16 omicidi… come si fa? È il punto fondamentale,bisogna stare attentissimi: le vittime sono numerose, il tempo in cui ha agito… Teniamolo presente il tempo, l’arco di tempo in cui questo signore ha agito perché ci servirà un po’ piùavanti. Ma che siano fatti di una crudeltà e di una ferocia inaudita, non c’era poi bisogno che il Pm si affannasse a descriverli. È stato dimostrato da quei fascicoli che sono negli attidel dibattimento. Ecco, questo è il nostro discorso principale, davanti a un quadro che si delineava in questo modo, si è insistito sul fatto che Pacciani non poteva essere l’autore di fatti così gravi e si insisteva da parte della Difesa: “Ma scherziamo davvero? Voi non avete fatto le indagini come dovevate, voi vi siete limitati a prendere un qualcuno che gli assomigliava, e avete fatto due più due…”. Vi è stato detto fino all’ultimo: “Qui il Pm aveva tante piste investigative e le ha abbandonate.” L’ultimo giorno di questo processo, prima dell’udienza odierna, vi è stato detto: “Lo abbiamo trovato noi! Una signora di Pistoia conosce una determinata altra persona: suo marito è il mostro di Firenze!” Per carità! Così siamo andati avanti.. Vi si è proposto che c’erano segnalazioni anonime, si è continuato fino a oggi a inserire con ogni mezzo, fino a stamattina, segnalazioni anonime nelle quali sidiceva: l’autore è quella persona, è quel terzo, è quel quarto, è quello segnalato al giornalista… bastò, basta vedere la lista testi iniziale. Io davanti a questo tipo di segnalazioni ho detto: “Guardate, negli atti del processo tutti questi fatti sono stati scandagliati ampiamente. Noi siamo arrivati alla convinzione che su queste persone segnalate, tantissime, non se ne devono certamente oggi qua ricordare né i nomi né gli episodi…” Ma davanti a un materiale di questo genere che continuamente è stato tirato fuori, rinverdito, come dire: “Ma cosa volete? Voi avete esclusivamente fatto un lavoro di collage. Ce ne sono tanti, ne potete fare tanti come Pacciani.” Noi abbiamo detto: “Guardate il nostro lavoro, non abbiamo trascurato alcuna pista.” Vi abbiamo detto: “Guardate – punto fondamentale – dal 1985 si è cominciato a perquisire Pacciani. Da quel momento, quando Pacciani evidentemente ha saputo che qualcuno aveva cominciato un’indagine su di lui, non è avvenuto più alcuno omicidio.” Davanti a questo, ancora sempre parlando di metodo, vi è stato detto in continuazione: “Ah la Polizia… Ha fatto questo! Ha fatto quest’altro! Attenzione… Ha interrogato questo, ha interrogato più volte la stessa persona..” Io credo che non ci sia bisogno oggi di spendere parole sul lavoro della Polizia perché l’avete visto da voi; e quindi avrete tutta la possibilità di valutarlo. Noi vi abbiamo solo prospettato che il dato fondamentale da cui partire era che dal quel 1985 abbiamo cominciato a tenergli gli occhi addosso. Altri occhi su altri li abbiamo tenuti aperti lo stesso, la Polizia, ma non hanno dato alcun risultato. Ecco, un elemento, che insieme a quelli sul tempo che vedremo fra un po’, vi devono un attimo tenere quantomeno attenti pervedere di valutare. Eh, c’è una considerazione ancora di quelle ampie, a largo raggio, che vorrei fare, che riguarda l’acquisizione degli elementi. È quindi ancora una considerazione preliminare, come tutte queste che sto facendo. Abbiamo sentito, su questo quadro, su questa persona che dall’85 indagavamo, tantissimi testimoni; veramente tanti. Eh, qui è uno dei punti: sono testi attendibili o no? Perché qua cominciamo, sia pure parlando di metodo, a verificare se i mezzi di prova portati dal Pm sono mezzi che hanno dato un qualche risultato. Allora io li vorrei distinguere subito, prima di passare all’analisi di cosa hanno detto. Il lavoro è lungo, me ne rendo conto, però bisogna focalizzare questi elementi

perché poi possiamo imparare o essere in grado di valutare. Abbiamo sentito tantissimi testi, 100-150 fra Polizia Giudiziaria e persone a conoscenza dei fatti. La maggior parte di questi testi, me ne darete atto, sono stati più che attendibili perché son stati sicuri per quello che hanno deposto, circostanziati, leali, corretti. La maggior parte disinteressati, ecco la prima distinzione: teste sentiti, i disinteressati e i cosiddetti, a mio modo, interessati. Perché la considerazione è questa: i testi sono stati tanti, bisogna dividerli. Tantissimi i disinteressati che ci hanno detto cose più che credibili, alcuni assolutamente non attendibili. Quali sono quelli non attendibili a mio modo di vedere? Coloro che sono piùvicini a Pacciani. Su quelli, ora li esaminiamo, io oggi ho ancora il ragionevole dubbio che non c’abbiano detto la verità. Perché dico questo? Se noi togliamo tutti i teste terzi interessati, tantissimi, quelli a lui più vicini, gli amici o presunti tali, i familiari (alcuni non le figlie), la moglie invece sì, la ex fidanzata sono assolutamente inattendibili. È un asserzione, vediamo se riesco a dimostrarla. Sono inattendibili perché? Perché quelli che lo conoscono, o lo hanno conosciuto, sono inattendibili perché hanno paura. È stato ampiamente dimostrato, è venuto giorno giorno nel sentire queste persone, gli amici, quelli vicini. Abbiamo sentito noi, visto, come questi avevano paura. Allora nella distinzione: tanti lontani da lui ci hanno detto cose che non abbiamo motivo di non crederle, quelli a lui vicini abbiamo visto, aldilà di quello che dicevano, che hanno paura. Mah, basterebbe citare la moglie. La moglie sapete tutti voi la paura che ha: “vengo, depongo, non depongo, io me ne vado…”. Ha preso la borsetta e se ne è andata; quindi l’attendibilità è tendente a zero, èstata poi portata, ma una cosa sicura è che è una donna che ha paura. Come l’ha lavorata,nel corso di quella intercettazione ambientale che abbiamo sentito quando doveva andare a deporre davanti al Pm e alla Polizia Giudiziaria lo sapete. Che gli facesse paura e gli dicesse cosa dire e cosa fare lo sappiamo. Quindi le persone a lui vicine non sono attendibili, la moglie, essenzialmente per la paura che hanno. Identico discorso si può fare per gli amici. Ma vi ricordate come si è presentato davanti a voi l’amico del cuore? Il Vanni Mario? Non si era ancora seduto e ha cominciato a gridare: “Io andavo a far le merende!”. C’abbiamo riso tutti, se era una cosa da ridere. Cosa ha aggiunto: “Di giorno!”: per carità, nessuno gli aveva fatto domande, non si sapeva come si chiamava… Ha detto subito la sua verità. Facevamo merenda, di giorno. Eh, è stato dimostrato cosa facevano insieme con Vanni Mario, lo vediamo pian piano: andavano a giro, di giorno e di notte, andavano dalla famosa Sperduto, andavano per boschi, ce l’ha detto Sperduto e tutti quegli altri testi, lo vediamo pian piano…

Presidente: Volete fare silenzio?! Volete fare silenzio voi due?!

P.M. Canessa: Ma abbiamo constatato di come queste persone lo temono. Eh, perché lo conoscono. Che fosse un violento l’abbiamo sentito da tante di quelle fonti di prova e che avesse fatto della minaccia una regola di vita non c’è bisogno di dimostrarlo teste per teste,lo vediamo man mano ma lo abbiamo tutti talmente assimilato che ci serve oggi come spiegazione del perché il Vanni Mario si è seduto, lo ha guardato in viso e ha parlato di “merende di giorno”. Per carità! Non si sapeva nemmeno chi era. Ma lo stesso discorso, senon condizionato dalla paura, dobbiamo vederlo anche in altri testi a lui vicini… L’attendibilità di Bugli Miranda è zero, signori. Ha preso tutte le distanze che poteva: giusto,non giusto non lo sappiamo. Chiaramente coinvolta in quel fatto remoto, ha tentato con tuttii certificati che poteva di non venire, ha detto: “L’ho visto una volta sola, non l’ho più

visto…”. E quando gli è stato fatto presente che lei nel ’68 abitava in un certo luogo, vicino a dove abitavano le vittime di quel fatto, solo in questo processo, dopo che è stata sentita tante volte dalla P.G., ha subito detto: “Prendo così le distanze dal Pietro Pacciani, che vi dico oggi” – questo lo dico io – “che io in quell’epoca ero a Quercianella, son stata via per un mese”. Cioè, che non venga in mente a nessuno, signori giudici, di andare a controllare cosa io ho fatto in quel periodo! “Io ero a Quercianella!” Circostanza che non aveva mai detto per anni, si è presentata qui dicendo: “Non l’ho mai più visto, io in quel periodo-’68 non c’ero. Io non so nulla: mi son sposata, mi son fatta una vita.” Eh, se la Bugli Miranda si fosse comportata da vero teste in quest’aula. Quante cose di più avremmo saputo su quel ’68 senza essere costretti a ricostruire i fatti per via logica. Un altro teste quindi, a lui vicino,che forse non ha paura, non lo sappiamo: avrà paura, ma questo non ce l’ha dimostrato così bene come gli altri. Si è presa tutte le distanze possibili, mettendoci quel mese a Quercianella 25 anni fa. Chiaramente una dichiarazione assolutamente incontrollabile oggi,che si era guardata bene da far conoscere prima. L’indagine non ha permesso, a suo tempo, di verificare ciò che diceva, però si è allontanata dall’uomo in questo modo… Mah, c’è anche quel Faggi a cui Pacciani scrive: c’è quella cartolina che riceve poste. Per carità! “Io l’ho visto una volta, l’ho conosciuto al ristorante.” Strano che però si scrivono così! Ci descrive, sappiamo, un mondo quello del Faggi che è quello identico del Vanni, che è quello del Pacciani. Un mondo di oggetti utili per un certo tipo di perversioni; un personaggio che è lo specchio di Vanni Mario e di Pietro Pacciani. Un personaggio che, nella perquisizione, lo sapete è in atti, che gli è stata fatta, viene trovato in possesso di vibratori, di oggetti in legno, in ferro, o in che diamine sono… Questo è il personaggio che è venuto qua e vi ha detto: “Io l’ho incontrato una volta al ristorante e basta.” Un personaggio che, vedremo poi, ci ritorniamo non c’è problemi, ma è solo per capire come mai il Faggi ha anche lui preso le distanze… abitava, guarda caso, a qualche centinaio di metri dell’omicidio di Calenzano, de “Le Bartoline”! È chiaro che un personaggio simile, doveva venire qua e dire: “Un attimo, io non lo conosco…” È un personaggio che, come possiamo oggi credere qualunque cosa abbia detto?! Abbiamo quelle lettere che sono proprio la prova di come ci racconti storie. Ma perché, aldilà del mondo che frequentano, queste persone hanno paura di Pietro Pacciani? Mah, perché sanno che è un violento, perché sanno che è un uomo forte? Ma prendiamone un altro di questi personaggi, prendiamo quel Bruni Gino. Il quale Bruni Gino, coinvolto dai signori Cairoli per la storia della pistola che vedremo, ma ora esaminiamo solo il Bruni dal punto di vista dell’attendibilità; il quale, venti anni fa, viene picchiato, poi lo ha ammesso qua, da Pacciani. Si presenta all’ospedale vent’anni fa e dice: “Son caduto da un albero!”. Questo èil personaggio Bruni che oggi viene a parlarci di quella pistola che vedremo fra un attimo. Èun altro personaggio, ottantenne, che si presenta davanti a voi, dimostrando come la paurache ha addosso è talmente forte da negare, finché può, che quelle lesioni che gli hanno condizionato la vita perché eh, ha un impedimento al rene… È un personaggio che è stato un mese in una clinica all’ospedale a Pontassieve e disse: “Sono caduto da un albero…”. Oggi qua, venticinque anni dopo, vent’anni dopo, ha detto: “Mi picchiò Pacciani.” Per tutta una storia, vedremo… Ma perché, allora, questi testi che hanno così paura non si sono decisi tutti insieme, questi 3 o 4, 5 se ci mettiamo la moglie, a dire la verità? A dire quello che sanno, che evidentemente sanno? Perché sono persone che non hanno fiducia nella giustizia, non c’è altra spiegazione. Sono persone che, vedi la moglie, sono amici – vedi Vanni, vedi Faggi, vedi Bruni che sicuramente l’ha saputo – che sanno che Pacciani,

autore di quel popò di delitto che è del ’51, autore di quei fatti ai danni delle figlie, ha avuto sì processo ma è tornato presto, troppo presto a casa dico io. Per il fatto delle figlie condanna in primo grado a otto anni, dopo quattro anni si presenta a casa più aggressivo che mai. Allora come possono questi personaggi che hanno paura avere fiducia nella giustizia, se quelle figlie che lo hanno denunciato, che si sono levate quel peso dalla coscienza (se coscienza, di coscienza si può parlare) di denunciarlo per quel numero di fatti che sappiamo, se lo ritrovano a casa dopo quattro anni. Hanno fatto uno sforzo pauroso oggi le figlie a dirci quello che hanno detto. Ma la moglie, la quale ha una ragionevole convinzione nella sua testa, sì “io conosco mio marito, so come stanno le cose… ma questo poi torna a casa”… Ha fatto un omicidio del ’51, lo esaminiamo fra un po’: in quattordici anni di carcere, con quattordici anni di carcere si è levato la paura, fra virgolette. Come possono queste persone a lui vicine non avere ancora paura di un personaggio simile? Come si può pretendere che ci raccontino cosa sanno veramente di lui? Si sono limitati a dire quello che non potevano negare. Allora oggi a tutte queste persone dobbiamo dare delle sicurezze. Non possiamo pretendere, come è avvenuto, che persone terze vengano anche da lontano a dirci fatti importanti ma tutto sommato marginali, che le persone che lo conoscono che sanno veramente come stanno le cose come possiamo pretendere che ci dicano tutto… Questi non ce lo diranno mai in questa situazione! Quindi dobbiamo, innanzitutto, tenere presente quando valuteremo l’attendibilità di questi testi, i terzi quelli che non hanno paura sono a conoscenza di pochi fatti, poche circostanze che vanno sommate una sull’altra per costruire gli indizi, come è avvenuto. I testi sentiti che lo conoscono bene tutto non ce l’hanno detto, ma è ovvio… Allora ecco perché non c’è stato un elemento sicuro, un racconto sicuro di qualcuno che lo conosce che ha detto, tipo Bruni “si è vero di quella pistola…”, tipo la Bugli “ecco come sta il primo delitto…”, tipo la moglie cosa faceva la notte! No, sono tutte persone che hanno detto qualcosa che è stata tirata fuori in altro modo dagli inquirenti ma non sono andati benoltre. Come mai quel Faggi abita proprio a “Le Bartoline” dove è avvenuto quel delitto? O poco lontano… Come mai il Faggi non ha detto niente di decisivo? Eh, perché lo conosce bene, figuriamoci se ha una possibilità di dirci qualcosa. Allora il processo è indiziario: per forza! Non potevamo pretendere dai testi che ci dicessero quelle verità, a loro sicuramente note, che li avrebbero messi in una condizione chissà quale… Forse qualcuno poteva anche… per qualcuno ci sarebbe potuto scappare chissà un favoreggiamento, non lo sappiamo. È una terra inesplorata che io non voglio esplorare, in questa sede voglio solo rimarcare come i testi che abbiamo sentito sono di due specie. E quindi abbiamo dovuto costruire l’uomo-Pacciani e quali erano e quali sono i suoi comportamenti non attraverso le deposizioni delle persone a lui più vicine. Quindi è ovvio che gli indizi sono tutti non indizi che sono sotto il profilo della provenienza decisivi e importanti perché sono stati costruiti dalontano, pian piano, sedimentando un dato sull’altro. Quindi sono elementi che si sono sommati, non abbiamo mai avuto la possibilità di dire “ecco la testimonianza decisiva” perché quelli a lui vicini non parlano. Eh, e questo è un dato inequivocabile signori! Siamo proprio partiti con un lavoro di questo genere ma siamo andati avanti. Qualcuno ha cominciato e ha detto: “Guardate, nonostante questo tipo di lavoro, questi indizi raccolti sono circostanze occasionali, sono fatti che non hanno niente di sicuro, sono elementi talmente lontani e indiretti che non possono dimostrare nulla… Poteva capitare a chiunque…” No! Un attimo, vediamoli vediamoli, li vedremo fra un po’. Altroché, non accettiamo – è un altro degli elementi su cui pian piano andiamo avanti – che caratterizza il

processo: non è possibile fermarsi a valutare gli indizi come fatti meramente occasionali. Vedremo perché. Davanti a questa mole di fonti abbiamo avuto un altro elemento di valutazione grandissimo, ne abbiamo avuto un exploit grossissimo stamani: davanti ai terzi che raccontano qualcosa e agli indizi costituiti da fatti abbiamo il comportamento dell’imputato da valutare. È un comportamento che, per me, non è decisivo come responsabilità (ci mancherebbe!); non si può valutare una responsabilità da un comportamento, ma è un comportamento che parla da solo e che dimostra sicuramente che Pietro Pacciani nasconde qualcosa di sé. Qual è normalmente il comportamento di colui che è accusato di fatti qualsiasi, di fatti gravi come questi? Cosa fa l’innocente? Si mette da una parte: sbraita e questo l’ha fatto, invoca Dio e la Madonna, si attrezza per portare elementi a suo favore, si proclama la sua innocenza e si mette nella condizione di dire “la verità verrà a galla, è inutile che mi sbattezzo in un modo o in un altro, prima o poi se sono innocente verrà provato”… ma tiene un comportamento che non è certo quello di Pacciani. Mi spiego, Pacciani cosa ha fatto? Non ha tenuto una condotta passiva, attenta, doverosa da parte dell’innocente; nessuno lo mette in dubbio. Ha tenuto, innanzitutto, un atteggiamento di massima vigilanza, di attenzione: anche questo più che legittimo. Cosa deve fare uno che si sente innocente e che è accusato di questi fatti, di una serie di fatti così gravi? Eh sì, sta a sentire, ma appena può sbraita… ma Pacciani ha fatto qualcosa di ben diverso. Ha tenuto un comportamento positivo: innanzitutto, lo sapete oramai, ha riempito i suoi memoriali, le sue dichiarazioni al Pm, le sue dichiarazioni oggi in aula di menzogne. Una dietro l’altra! Sono mattoni più grossi di quelli degli indizi, ha continuato imperterrito, giorno dopo giorno, a ricoprirvi di menzogne. Eh, allora qua bisogna un attimo cominciare a valutarlo questo comportamento perché l’innocente si mette lì sta zitto ma… Perché raccontare menzogne una dietro l’altra?! Anche questo però mi direte: “Eh beh, il fatto che menta su qualcosa è una dimostrazione di responsabilità? Eh, il fatto che nasconde qualcosa di sé è la prova che nasconde di essere l’autore di quei delitti?” No, questo assolutamente no: bisogna vedere però cosa nasconde e perché. Mah, è l’atteggiamento di quello che dice “mentire è meglio non si sa mai”? Atteggiamento più o meno legittimo anche questo. Ha fatto così Pacciani? Ah, no no no! L’avete visto voi: non solo ha mentito quando si trattava di parlare di fatti che lo riguardavano, ma ha aggredito inmodo sicuramente sproporzionato le persone che raccontavano qualcosa su di lui. Ecco il secondo comportamento; cioè sui fatti mento – lo vediamo, non c’è bisogno andiamo più avanti – e su quelli che vengono a dire qualcosa su di me li aggredisco. Li ha oltraggiati… ve lo ricordate voi? Sono stati trasmessi gli atti al Pm, ha fatto di tutto per farli passare per infami, per cretini. Li ha oltraggiati, li ha calunniati, tantissimi. Eh, perché ha fatto questo? Mah, eh allora comincia ad essere un po’ diverso questo atteggiamento; va un po’ valutato,eh perché qui l’innocente vabbè a un teste gli può dare di cretino, può risentirsi… ma qui costantemente, quotidianamente, uno dopo l’altro, quando qualcosa non gli andava la migliore difesa era calunniare o accusare. Ci è andato avanti fino a stamani, poi lo vediamo. Ma ancora che ha negato fatti per i quali è già stato condannato, continua oggi a negare. Ma perché fa così!? Proviamo, proviamo a valutarlo. Perché davanti a fatti sia pureindiretti ha negato? Davanti a fatti che lo inchiodano, pacifici, ha continuato a negare? Perché non ha riconosciuto – cosa gli ci voleva! – di essere un padre padrone, di aver fattoquelle violenze alle figlie? Eh, è già stato condannato, è un processo già fatto… ma perchéoggi continua a negare? Perché oggi continua a negare di essere un guardone? Allora, anziché vedere perché mente, vediamo su cosa mente e su cosa sta zitto. Mah, eh, perché

se ammettesse di aver violentato le figlie, se ammettesse di essere un guardone, ne acquisterebbe senz’altro come persona in credibilità. Ma la sua figura, la sua personalità ne soffrirebbe in maniera paurosa! Questa è l’unica spiegazione: è duro in un processo come questo ammettere di essere guardone e di essere stato guardone proprio in quei luoghi, agli Scopeti… Come fa Pacciani a ammettere questo!? Ecco perché, come si spiega il suo comportamento. Come fa ad ammettere di aver violentato le figlie!? Come fa ad ammettere di aver fatto l’amore agli Scopeti!? Ecco la spiegazione: nega l’evidenza e mente perché gli è stato costruito, attraverso le deposizioni testimoniali, un insieme di elementi che ci hanno permesso di capire chi è… E quindi non può far altro che negare l’evidenza, altrimenti non spiegabile. Eh, ma signori, ma era la difesa migliore: “Sono un guardone, ho violentato le figlie, ho devianze sessuali… e con questo, Pm, cosa vuoi? Hai dimostrato qualcosa? Assolutamente no.” Bene, nemmeno questo, perché come fa ad ammettere quei fatti lì? È persona scaltra, intelligente… ma ha fatto qualcosa di più nel mentire: eh, è stato anche reticente. Le singole menzogne le vediamo una per una quando esaminiamo gli elementi; ma è stato reticente, si è guardato bene di dire cose importanti sui quali si è indagato, di dare delle spiegazioni. Vi ha spiegato cosa nascondevano lui e la moglie alle 5 di mattina e buttavano nella immondizia? Per carità, reticente al massimo. Ha detto le sue verità nei memoriali o fino a stamattina, quelle che gli facevano comodo. Non ha dato spiegazioni complete; quindi menzogna e reticenza… Cosa c’era in quel benedettoinvolucro? Ah, niente di importante, non lo sappiamo, non lo sapremo mai. Quelle donne, quelle due testi che abbiamo sentito ci hanno parlato di un involucro (grande, piccolo, duro…). Si sa solo che era alle 5 di mattina, non sappiamo cosa c’era ma il signor Paccianisi è guardato bene di dare spiegazioni. Ci lascia quindi pensare che ci fosse qualcosa di importante. Non lo sappiamo, è un elemento che ci serve solo per capire la sua personalità, non ho niente di più. Ma ha fatto qualcosa di più nella sua menzogna, nel suo comportamento di persona che va avanti con le menzogne e con le reticenze. Mi permetto di dire che ha tentato di prenderci in giro tutti, ha tentato – e mi spiego – di prendere in giro i suoi giudici. Perché è furbo e scaltro ma più in là di tanto anche lui non arriva. Signori, cosa ha fatto quando abbiamo sentito le intercettazioni ambientali? Aldilà del fatto “dove lo metto” e “dove la metto”, quell’oggetto che non sappiamo… Ci ha detto… Quel rumore che avete sentito, l’avete sentito voi che rumore era! L’avete sentito? Sì. Cosa ci ha detto? Era lo sportello del mobile di cucina perché mi stavo facendo il caffè. Signori, ma se questo nonè una volontà di prendere in giro chi ascolta che altro è? Pretendere che i suoi giudici, e tutte le persone in quest’aula, davanti a quei rumori assordanti che avete sentito lo credanonel pensare che si tratti dell’armadietto per la tazzina del caffè è proprio un pensare che, davanti a lui, ci sono persone disposte a crederlo… non dico altro. Eh, è andato avanti nei memoriali quando ha spiegato cos’era “dove la metto – dove lo metto”… Io vorrei che lo leggeste da soli, ve l’ha indirizzato un memoriale. Vi ha spiegato che quando ha detto “dove la metto” era la tazzina o lo sportello, se putacaso ha detto “dove lo metto” – signori, ha avuto l’impudenza di dire – che era dove metteva, l’ha scritto nel memoriale, i suoi attributi maschili non essendoci la moglie. Eh, questo è il signor Pacciani: l’ha scritto in quelmemoriale, voi ce l’avete. Eh, ma è la menzogna dell’innocente questa?! È l’atteggiamento di colui che non ha niente da temere? È uno spavaldo! È un personaggio che, stamattina, èvenuto a dirci… Attenzione, perché secondo me è ancora una chiave di lettura del suo comportamento. “Signori giudici, mi hanno fatto tanti trucchi, hanno detto tante bugie…”. Lebugie hanno le gambe corte sostanzialmente: una volta sono dette in un modo e una volta

in un altro. Questo è quello che pensa eh, è venuto a pontificare qua e l’ha fatto lui. Vi ha detto stamattina: “Signori giudici, io il Nesi lo conosco bene. È uno che aveva una filatura, che portava i giovani di qua e di là, spendeva 50 mila lire… È uno che lo chiamavano “La Ciuca”…” Non si ricorda che ha detto una bugia diversa?! Sapete, vi ricordate cosa ha detto? Andatelo a vedere. Ha detto, quando ha visto il Nesi, che venne qui a dirgli: “Ti ho visto quella sera agli Scopeti…”. Ha detto: “Io il Nesi non lo conosco!” Le bugie hanno le gambe corte; in questo dibattimento lui stesso prima ha detto “il Nesi non lo conosco”, si è alzato dicendo “cosa vuoi da me?!”, lo ha oltraggiato: “non ti conosco”… Stamattina ci ha descritto tutti i particolari della vita del Nesi! Questo è il signore che vi parla di bugie a carico di terzi. Ma l’ha fatto ancora, l’ha fatto per quello che ha detto la Sperduto. Stamani vi ha detto: “La Sperduto l’ho conosciuta, a quel determinato ballo a Monteridolfi…”, il ballo che noi sappiamo… Ma cosa ha aggiunto: “Io con quella signora? La conobbi, la feci – se non ho capito male – bere un po’, tentai di farci qualcosa. Spesi dei soldi, la andai a trovare, gli comprai questo e quest’altro…”. Era una persona che conosceva, sicuramente la conosceva. Voi avete sentito la quantità di testi che ci hanno spiegato in quest’aula, poi lo vediamo, come e perché conosceva la Sperduto; perché frequentavano insieme al Vannicasa della Sperduto, cosa andavano a fare… comprese le minacce al marito. Ci andavano con la 500, sono stati tantissimi. Andate un attimo a vedere cosa ha detto della Sperduto inquest’udienza, in quest’aula non stamattina. Dice nell’udienza del 24 maggio: “Senta signora, dopo il ballo – lei voleva ballare –, abbia pazienza. Grazie lo stesso, la mandai a quel paese. L’ho vista una volta sola…” ci aveva detto. Ecco le bugie che continua a dire, non se le ricorda nemmen lui! “Chi l’ha mai conosciuta lei!” – la aggredì – “l’ho conosciuta una volta al Monte. Io ho la mia moglie, non l’ho mai tradita…”. Stamani addirittura ha dettoche ha speso soldi per tradirla e non c’è riuscito! Eccoci, questo è Pietro Pacciani. Noi quindi, è questo che voglio sottolineare, non possiamo assolutamente crederlo quando per quella infinità di volte che voi sapete ha tentato in tutti i modi di smontare gli elementi a suocarico o di far passare gli altri per truccatori, per falsi, per calunniatori. Eccoci, questo è il nostro personaggio: uno che mente in continuazione e non si ricorda di una menzogna diversa che ha detto in questo stesso dibattimento! Quindi, per carità, non possiamo assolutamente prendere in considerazione ciò che dice. Ci sono tantissimi esempi ancora di menzogne, li vediamo di volta in volta; ma la spavalderia di questo signore è talmente grossa che ci consente di dire: “Andiamo avanti, valutiamo i fatti non certo le sue spiegazioni. Non certo quando ci parla di trucchi…”. Abbiamo tanta strada ancora da fare per parlare “dei trucchi”, però teniamo già questo dato: è un personaggio che mente due volte su cose che ha già detto e viene qua a tuonare, a dire “le bugie hanno le gambe corte…”; a pontificare stamattina, a dire: “Eh, fanno bene questi testi a raccontare bugie tanto prima o poi si scoprono…”. Caspita! Ecco chi è che dice bugie, ecco come le dice: non si ricorda nemmeno cosa ha detto! Questo atteggiamento è prova di una responsabilità? Per carità! È l’atteggiamento del signor Pacciani, ci serve solo per lo scopo che ho detto. Ma qualcosa di più sul comportamento: si è rifiutato di rispondere all’interrogatorio del Pm. Atteggiamento più che legittimo, ha fatto bene un imputato a non rispondere: è un suo diritto. Non sono qua oggi per riflettere su questo e per negare che è un suo diritto. È che in quest’ottica dobbiamo capire perché non ha risposto all’interrogatorio. È valutabile? Come no. È un personaggio che si è presentato con le sue verità, l’agnelluccio. Quella persona che io ho detto, un’ora fa, era colui che nessuno poteva credere che fosse solo un povero contadino. È un personaggio che non ha risposto

all’interrogatorio per motivi suoi più che legittimi, ma noi dobbiamo pensare perché. Eh, perché lui si è fatto la sua costruzione: le verità le vuole dire solo lui, non vuole mica rispondere! Le verità le scrive nei memoriali; “sono un buon padre di famiglia” e dice tutto quello che vuole, compreso che il Fantoni dice falsità. Eh no, son vere le sue! Noi dovremmo pretendere di fondare un giudizio sulla responsabilità di questo signore sul fatto che dice “chi? il Fantoni che mi nega l’alibi è un calunniatore, è un falso testimone”. Ehilà, èun personaggio che non solo dice bugie ma che non accetta le domande. Non accetta il contraddittorio; le verità le scrive nei memoriali, solo quelle che fa comodo a lui… tante, tantissime. Non ha voluto il confronto diretto con chi l’accusa, atteggiamento normalissimo. Ma, signori, ma l’innocente cosa fa? La prima cosa che fa l’innocente? “Per piacere, interrogatemi. Fatemi spiegare, fatemi tutte le domande che volete, vi darò tutte le spiegazioni…”. Questo è l’innocente! Vuole l’interrogatorio: l’arrestato innocente (purtroppo avviene, lo sappiamo tutti) la prima cosa che invoca è l’interrogatorio da parte di chi lo accusa. Qui sono passati anni; aldilà degli interrogatori resi al Pm con quelle dichiarazioni false che sappiamo, sono depositate agli atti perché non avendo risposto sono utilizzabili dalla Corte, è un signore che si è guardato bene dal rispondere. È un innocente che ha paura delle domande dirette… perché? Eh, perché c’ha solo le sue verità. Ancora una considerazione purtroppo, fra quelle preliminari; eh, sono diverse, ammetto che sono tante ma bisogna farle. Il processo, rimanendo sulle linee generali delle valutazioni, perché per ora ho fatto soltanto valutazioni su come ci siamo comportati: cosa vi ha detto la Difesa, cosa vi ha detto l’imputato, cosa ha fatto il Pm. Quindi, per ora, abbiamo focalizzato solo questo: indispensabile per andare avanti, ma abbiamo focalizzato solo questo. Il Pm vi ha detto: “Guardate, io intendo dimostrare queste cose, e le ho dimostrate. Il dibattimento verificherà lo spessore quotidiano degli indizi, ma io, Pm, sono disponibilissimo a che nel processo vengano fuori elementi nuovi.” Sono venuti elementi nuovi? Mah… Nemmeno uno a favore dell’imputato. Anche questo, signori, facciamo valutazioni preliminari ma teniamolo presente. Il processo si è svolto, il dibattimento, giorno dopo giorno, con la costruzione accusatoria del Pm mattone su mattone, ma gli elementi nuovi che sono emersi sono tutti elementi nuovi ulteriori a carico di Pacciani. Mi riferisco alle testimonianzedi quelle persone nuove, che sono venute e che ci hanno detto cose importanti: mi riferiscoalla sorella del Meyer che ci ha portato anche altre matite, che ci ha portato elementi ancora di valutazione. Il processo ha portato fatti nuovi ma tutti paurosamente a carico dell’imputato. Anche qui il difensore, appena si è presentato un teste, si è alzato, ha tuonato: “Ehilà, è possibile in questo benedetto processo tutti i giorni viene qualcuno, dice qualcosa di nuovo e io difensore non posso fare niente?”. Questo vi ha detto il difensore, il collegio dei difensori. Non posso fare niente perché vengono testi nuovi: eh, non era la stessa condizione in cui si trovava il Pm? Chiunque veniva a portare fatti nuovi era il benaccetto. Ma il difensore tuonava perché venivano quotidianamente testi contro Pacciani. Non ne è venuto uno a favore! Quando il Pm vi diceva all’inizio: “Io sono prudente, vedrò… Facciamo il dibattimento, vedremo…”. Alludevo proprio a questo: può darsi che venga un teste – vero o falso che io Pm valuterò – che dirà: “Beh, cosa volete: io la sera del 9 di settembre dell’85 ero con Pacciani.” “Eravamo a cena lì, eravamo a fare cose che… magari eravamo a fare un furto – non lo so qualsiasi cosa – ma non eravamo certo agli Scopeti…” È venuto un teste nuovo che ha detto queste cose? È venuto qualcuno a fargli l’alibi? Il Pm aveva ragione: stiamo a vedere cosa succede, non prendiamo conclusioni affrettate. Non è venuto un teste, dico uno, poi li esaminiamo, a

favore di Pacciani. E questo vorrà dir qualcosa… Allora cosa ha tuonato a fare il difensore!? Il processo è fatto apposta per questo: chiunque ha da dire qualcosa che non èstato sentito nel corso delle indagini può venire. Eh, persino gli amici si sono guardati bene da dire: “Noi lo conosciamo, eravamo con lui.” Hanno preso le distanze, hanno parlato di sole merende pomeridiane, non c’è uno che abbia detto “una di quelle sere ero con lui”. Per forza, per forza signori… Cosa doveva dire uno degli amici di Pacciani? Cosa poteva dire? Chi era con lui se qualcuno c’era, se esisteva qualcuno che gli poteva fare un alibi? Altroché il Fantoni. Non si è certo presentato, non so se esiste, non mi interessa saperlo oggi. Però io a questo alludevo quando dicevo facciamo il processo, vediamolo tutti insieme. E quindi cosa mi si è detto a fare… giustamente la Corte ha smorzato subito questa opposizione e ha ammesso tutto. Ben fatto, ha fatto benissimo: poteva venire chiunque, anche stamani, testi nuovi, ma non ha nessuna importanza… Ma non ne è venuto uno a favore. Lo vogliamo valutare quando sarà il momento? Questo è il quadro generale che ci ha portato a valutare gli elementi a carico di questo signore. Eh, quindi passiamo al fatto. Perché il fatto, i fatti-omicidio, hanno sicuramente occupato tantissime udienze. Sono fatti che io ho cercato di ricostruire in questo dibattimento con il criterio cronologico. Una volta presente quale è stato il metodo a un senso oggi che il Pm vi venga a dettagliare i fatti? Probabilmente i dettagli no assolutamente, però qualcosa sui fatti, cioè sugli omicidi dobbiamo dirlo. Dobbiamo rilevarlo perché sono fatti, sono elementi che ci servono per giudicare l’autore: quelle condotte vanno viste. Eh, cosa c’è da sintetizzare oggi? Perché le condotte, che dovranno essere sempre tenute presenti nel momento in cui dovrete giudicare i fatti perché sono condotte aberranti, sono fatti che sono più o meno tuttiuguali. Sono stati sviscerati fino in fondo in quest’aula: abbiamo visto tutti quelle fotografie, abbiamo sentito delle scene dei delitti, abbiamo sentito gli autori delle perizie medico-legali,abbiamo sentito gli autori di quei sopralluoghi. Questi fatti ci servono non per mettersi qua a rivederli uno per uno, se avete dei dubbi avete i fascicoli, li potrete vedere quando volete;ma passare a esaminare il fatto o i fatti serve solo per evidenziare quello che è stato chiamato “la dinamica materiale del delitto”. Più modestamente l’operatore del diritto vi diràper esaminare l’elemento oggettivo. Ecco, negli elementi oggettivi: l’elemento oggettivo è dato da una serie di episodi numerosi; otto duplici omicidi, sedici delitti, che hanno tutti elementi comuni. Ecco, questo invece non è un dettaglio dobbiamo tenerlo presente. Lo abbiamo già a fondo esaminato nel corso del dibattimento, ma sono gli elementi comuni che legano questi omicidi… Sappiamo che c’è ben altro che li lega, però sono questi elementi che nel corso di quelle audizioni dei periti medico-legali e degli ufficiali di PG abbiamo messo in evidenza. Si tratta di delitti che hanno tutti elementi sicuri che oggi a noi nessuno ha contestato e può contestare; nessuna Parte del processo ma nemmeno i difensori si sono messi a contestare questi. Se qualcosa hanno da contestare è sugli indizi,ma sul fatto storico, aldilà di quel proiettile che poi vedremo, nessuno contesta nulla. Eh, allora cosa abbiamo in sintesi messo insieme dalle deposizioni dei periti? Che sono tutti delitti non solo simili fra loro, ma che hanno una caratteristica in senso – ci è stato detto – sadico-sessuale… tutte definizioni di questo tipo. Noi, come non particolarmente esperti nella materia delle definizioni, diciamo solo che sono delitti in cui sono state aggredite sempre coppie di giovani appartate in auto… Questo è il fatto: luoghi isolati, sempre tutti uguali, ore notturne mentre tutte erano in intimità. Ecco, eccolo qua: sono tutti delitti innanzitutto uguali per le circostanze. Sono delitti che… Voi avete visto quelle foto: io penso che, se non fosse stato per il tipo di auto, si poteva confondere un delitto dall’altro

purtroppo tanto sono uguali. Quindi è inutile ricostruire le dinamiche, lo abbiamo già fatto oggi, perché non ci sono dubbi. L’ha fatto il professor Maurri ripetutamente, colui che ha fatto praticamente tutte le autopsie aldilà di quelle delle vittime del ’68. È una ricostruzione talmente completa su quelle lesioni che io oggi non affronto quest’argomento, non ho motivo, aldilà di venire qua a focalizzare solo alcuni aspetti. E dico le lesioni perché, e questo è importante, sono tante; e sono lesioni come avete visto di due tipi. In numerosi casi, in tutti, c’è lesione da pistola. I colpi sono tantissimi: si va da un minimo di sette colpi nell’omicidio dei tedeschi ad un massimo di dieci colpi, repertati ovviamente, nell’omicidio dell’81 a Calenzano (Baldi-Cambi). Quindi sempre parecchi colpi d’arma da fuoco. Ma c’è anche l’uso di un coltello, e anche qui il numero delle coltellate – stiamo esaminando il fatto– è veramente vario. Si va da un massimo di 97 ferite da coltello a Stefania Pettini nel ’74 aun minimo di 3-4 coltellate per ciascuna vittima in parti diverse: al collo, alla schiena, al cuore. E in più le escissioni che caratterizzano le vittime femminili. Allora un altro dato, oltrequello che lega gli omicidi per i luoghi e per le condizioni oggettive, è quello relativo alla duplicità dell’azione lesiva. È un dato che vorrei già, da questo momento, che fosse ben presente alla nostra attenzione. Aldilà di quei casi in cui ha usato solo la pistola – o perché c’era il bambino nel ’68, o perché i tedeschi erano due uomini, o perché la macchina a Montespertoli rimase a metà strada quindi si usò anche in quel caso solo la pistola – negli altri omicidi, quelli più caratteristici, c’è la duplicità dello strumento lesivo. È un elemento sucui io chiedo, a voi, la massima attenzione, memoria. Tenetelo presente perché l’autore di questi fatti, stiamo parlando di fatti, ha usato sempre un duplice elemento lesivo; duplice azione. Eh, è un elemento importante, forse più di quello che pensiate. Mi spiego, perché èuna condotta quella di usare due strumenti nell’omicidio piuttosto rara, dalle nostre parti molto rara. Ora vediamo. Eh, allora, se noi abbiamo focalizzato luoghi-coppie, questo è il tipo di delitto: duplicità di strumento lesivo. Vogliamo vedere come nell’analisi di Polizia, aldilà di quelle che sono state le valutazioni dei periti che vedremo dopo, sono state caratterizzate queste condotte lesive, con quel massimo di 97 coltellate? Eh, i punti fondamentali che io riassumo ora soltanto, non ho interesse a andare nei dettagli, ci portano a dire duplicità di strumento lesivo punto fondamentale; la azione però è andata di volta in volta, delitto dopo delitto, migliorando, se non fosse un termine anomalo dire che migliora la tecnica di un omicida. Cioè, man mano, vediamo che l’arma da fuoco è sempre più incisiva e da un’arma che serve per fermare diventa un’arma per uccidere, cosa che dimostra come da un primo momento in cui conosceva sì l’arma da sparo ma non a sufficienza è arrivato a un momento in cui la conosceva meglio; tranne quei due delitti in cui ha ucciso a coltellate, poi li vediamo: nel ’74 e nell’85… Pettini, la Pettini è stata uccisa col coltello, il giovane francese Kraveichvili è stato ucciso col coltello. Quindi vediamo che usa due strumenti lesivi (pistola e coltello) ma dimostra, all’inizio, di non essere una persona particolarmente esperta tant’è… nell’uso dell’arma da fuoco. Tant’è che nel secondo delitto, quello del 1974, è così poco esperto nell’uso della pistola che finisce i colpisu uno dei due, sull’uomo, e è “costretto” (fra virgolette) a uccidere con il coltello la giovanePettini. Quindi si passa da un primo momento in cui l’arma è poco conosciuta, quindi non riesce a fermare entrambe le vittime e quindi è costretto all’uso del coltello, a una maggiorepadronanza dell’arma, tranne i fatti eccezionali. Una cosa è certa: l’arma da sparo la conosce ma è sicuramente più esperto con l’arma bianca, con l’arma da taglio. Eh, è proprio un dato che viene fuori! Ce l’ha messo in evidenza il professor Maurri, io mi permetto di sottolinearlo: è una persona che riesce, con il coltello, a ammazzare qualcuno;

aldilà del fatto che il coltello gli serve per le escissioni. Cioè riesce in due casi a uccidere con il coltello: la Stefania Pettini e il giovane francese li ha uccisi col coltello dimostrando una padronanza paurosa del coltello. Allora cosa possiamo dire? (…mancante, ndr…)… …Atti di polizia. Non guardiamo, le perizie le vediamo fra un attimo, quelle dei medici-legali. Èuna persona che pare proprio essere sempre la stessa, poi vediamo perché. Una persona robusta-alta perché ha trasportato le vittime. È un discreto sparatore quello che noi sappiamo sicuramente essere l’autore di questi fatti, indipendentemente da chi esso sia. Ce lo dimostrano gli accertamenti medico-legali e di polizia giudiziaria. È un discreto sparatore ma è abituato all’uso di strumenti da taglio. È proprio abile nell’uso del coltello, tant’è che ammazza qualcuno col coltello dopo che ha fallito con la pistola. È abile, è freddo, e fa tesoro man mano delle esperienze precedenti. Mah, allora quando si è detto che il processo per i duplici… per i sedici omicidi del cosiddetto “Mostro di Firenze” è quelloa carico del possessore della pistola calibro 22 Beretta, perché è l’arma che caratterizza quel delitto, si è detto una cosa incompleta, perché questo processo ci ha dimostrato che non sono tanto i delitti della calibro 22 Beretta soltanto, ma sono i delitti di un accoltellatore di notevole bravura, se mi è consentito. Ecco… un altro punto fondamentale. Qui si tratta didelitti non solo… non tanto della calibro 22 Beretta, ma sono delitti commessi da un esperto nel coltello. Questo è emerso qui, nel dibattimento, con chiarezza. Nelle indagini non era emerso così bene come dalle deposizioni degli imputati… ehm… dei periti. Non è emerso così bene prima come qui. In questo il dibattimento ci ha aiutato tantissimo. Abbiamo visto – è stato il primo il professor Maurri che ce l’ha fatto notare – che sono delittidi una persona abilissima a maneggiare il coltello. Sono stati poi da me un incarico simile ai medici legali criminologi di medicina legale di Modena e ci hanno fatto un’analisi ancora più dettagliata su questo, ma il primo dato, la prima ricostruzione che abbiamo fatto qua entro in quelle numerose udienze, in cui abbiamo visto le foto di tutti gli omicidi, ci hanno permesso, de visu, vedendo noi le foto e sentendo le deposizioni dei periti, che è una serie di delitti posti in essere sì da uno sparatore, ma più che altro da un buon accoltellatore. Mettiamolo lì, questo dato, lo teniamo, immagazziniamolo. Quindi, non è – tengo a sottolinearlo – la serie di delitti della calibro 22 soltanto, ma è una serie di delitti posti in essere da un bravo accoltellatore. Cosa è emerso ancora quando abbiamo fatto la ricostruzione dei fatti. È emerso che nella maggior parte dei casi, quasi sempre, tranne i casi in cui c’è stata interruzione dell’azione, perché il bambino nel ’68, perché l’abbiamo giàvisto cos’è successo a Montespertoli, perché l’auto si piazzò in mezzo alla strada, c’è stato quasi sempre in questi delitti un elemento, una traccia, che porta a dire con sicurezza che l’autore di quei fatti ha operato sulla scena del delitto, dopo aver fatto le escissioni, le lesioni, che sappiamo, ha operato la manomissione di oggetti delle vittime, e in alcune occasioni, furti. Allora lo stiamo dipingendo, questo signore, che ci nasce dai fatti. È una persona buon accoltellatore, discreto sparatore, che agisce nei luoghi che sappiamo, e fruga fra le cose delle vittime. È emerso con una chiarezza impressionante nella ricostruzione dei fatti. C’è una prova, nel delitto Locci-Lo Bianco l’avete visto, ce l’ha riferitoil colonnello Dell’Amico: la borsetta di Barbara Locci era stata aperta, avete visto le foto. Nel delitto di Borgo San Lorenzo del 1974, quello a carico della Pettini e di Gentilcore, è undelitto in cui il dato è emerso con una evidenza impressionante: si è presentata una teste da sola a dircelo. Abbiamo visto noi che gli ufficiali di polizia giudiziaria ci hanno riferito che a poca distanza da quella 127 (io vado nei dettagli ma bisogna ricordarselo bene queste manomissioni, non è un’impressione del Pm, sono fatti storici la manomissione) a poca

distanza dalla 127 sono stati rinvenuti tre paia di pantaloni da uomo, del ragazzo, una cartadella lavanderia è stata trovata vicino alla vite da cui è stato preso il famoso tralcio – a me non interessava andare a fondo sul tralcio – è stata ritrovata la camicia di Pasquale Gentilcore: questo mi interessa. Ma a 300 metri di distanza dal luogo del delitto, in un campo di granturco, in un dislivello, a 3 o 4 metri dal ciglio sono stati ritrovati abbandonati ilpullover e la borsetta di Stefania Pettini. Quindi la prova della manomissione/asportazione in quel delitto è evidente. Forse lo sa quest’autore che noi ricostruiamo attraverso i fatti… voleva portarsi via qualcosa, poi ci ha ripensato. Ma è venuta la madre della ragazza, della Pettini, e ce l’ha detto, la signora Bonini Bruna, l’avete sentita, è venuta lei, da sola, nessuno l’aveva citata. È voluta venire a dirvelo questo particolare della sua ragazza con tutte le difficoltà di questa povera donna perché non dimentichiamoci quale poteva essere l’atteggiamento di questa povera signora. Dice: “Quando mi è stata restituita la borsa di mia figlia, era completamente vuota. Mancavano – ce li ha descritti la signora Bonini – il portafoglio con i pochi soldi che aveva quella sera dell’omicidio… (questo è un furto sicuro. Poco denaro… è strano che un autore di questi fatti si attacca al denaro, ma è così!). Mancavano l’orologio, mancavano una collanina d’argento”. Nel 1968 manomissione, nel 1974 furto sicuro, pacifico, di oggetti. Che strano… un autore di fatti simili si attacca agli oggetti delle vittime. Quanto ci sarà importante questo elemento quando vi parlerò del blocco Skizzen! Eh? Teniamolo presente. E quando vi parlerò di cosa successe nel 1951. È evidente: nel 1974 portò via roba, si allontanò dal luogo del delitto con tutta la borsa, frugò con calma, scelse cosa portar via. Questo è l’autore di questo delitto, dal punto di vista della ricostruzione materiale. Ma anche in molti altri delitti ha lo stesso tipo di condotta. Il 6 giugno dell’81 – omicidio Foggi-De Nuccio – gli ufficiali di polizia giudiziaria ci hanno chiarito alla perfezione, dimostrandocelo con le foto, come l’omicida ha frugato (in questo caso direi che la prova è solo della manomissione, non c’è prova del furto) fra gli elementi personali di Carmela De Nuccio. Ci hanno detto e ci hanno fatto vedere nelle foto che la borsetta della ragazza è stata aperta, e c’erano vari oggetti costituenti il contenuto diquella borsa che erano sparpagliati intorno. Chissà cosa ha preso, chissà cosa ha portato via. Se ha portato via qualcosa, noi non lo possiamo sapere. Anche questo dato teniamolo presente. Sicuramente aveva sparpagliato intorno alla macchina oggetti per il trucco, la carta d’identità, il mazzo di chiavi. Si trovavano vicino allo sportello sinistro della Ritmo. Continuiamo proprio su questa strada: è una caratteristica di questo signor omicida (lo chiamo signore, perché… lo voglio chiamare signore). Ancora fruga. Il 22 ottobre dell’81 – omicidio di Calenzano, Baldi-Cambi, quell’omicidio per i quali… come mai si è recato a Calenzano, nessuno ce lo dirà mai, tranne sappiamo che il Faggi potrebbe saper qualcosa ma non ce l’ha voluta dire… Nell’omicidio Baldi-Cambi di Calenzano del 22 ottobre ’81 vedrete, riguardando le foto che ci sono mostrate e soprattutto gli atti dei carabinieri, che emerge chiaramente come nei pressi dello sportello sinistro di quell’auto, una Wolkswagen Golf (cambia l’auto, non più una Ritmo, ma una Wolkswagen Golf), sono stati trovati l’orologio con un bracciale e un orecchino, sparpagliati. Erano della Cambi. Vi devo dire qualcosa ancora dell’omicidio del 9 settembre ’83, Meyer-Rusch. Io vi dico: non ho la provache è stato sparpagliato qualcosa. Perché non ho la prova? Perché la ragazza, la Meyer, lasorella del morto, ci ha detto chiaramente in questo processo: “Guardate, mio fratello era effettivamente talmente disordinato e teneva tutto a soqquadro, che io non so dirvi se manca qualcosa o meno”. Ci ha poi parlato di quel blocco e del portasapone, ma qui focalizziamo il punto: il furgone era sicuramente a soqquadro. Non sappiamo se erano i

ragazzi che vivevano un po’ così da campeggiatori un po’ troppo sportivi, o se qualcuno ha buttato all’aria gli effetti personali. Abbiamo quelle foto fatte nel sopralluogo, abbiamo le foto che ci hanno mandato i parenti perché i parenti avevamo trovato un rotolino nella macchina fotografica che gli è stata restituita. Abbiamo quelle foto in cui si vede chiaramente come anche prima il furgone era a soqquadro. Io volevo solo dirvi: non voglio assolutamente insistere su questo. Nell’omicidio del 1983 sappiamo che noi accusiamo il Pacciani di aver preso un blocco e il portasapone. Non abbiamo la prova che sia stato sparpagliato qualcuno… qualcosa, perché non poteva essere data questa prova, perché glioggetti potevano essere a soqquadro da soli. Non voglio assolutamente forzare gli elementi di fatto. Non ci sono elementi su questo. Rimaniamo però sempre agli elementi di fatto perché… per stasera voglio rimanere su questi elementi. Vediamo ancora, se analizziamo i delitti che sono stati commessi nelle medesime zone geografiche. Andremo anche qui nei dettagli. Faccio dichiarazioni d’intento e poi mi riservo… mah… andiamo per gradi. Sono… è un dato oggettivo, pacifico: questi 17 delitti… ehm, 16 delitti, sono stati commessi in 17 anni nella stessa zona geografica. Bah… è un dato. Teniamolo lontano perora dall’autore Pacciani. Esaminiamo il dato, andiamo per gradi, esaminiamo il fatto. Sempre fra il ’68 e ’85 in una zona geografica circoscritta: la provincia di Firenze. Non si è mosso molto quest’autore, non è un omicida seriale che se ne va di qua e di là. No! Va nella zona familiare. Però, in due zone. Nella provincia di Firenze ma solamente in due zone: il Mugello da una parte e la zona a sud-ovest di Firenze. Son tutti qui. Perché da unaparte ci sono i due delitti vicinissimi del ’74 e dell’84. Dall’altra ci sono quelli di Signa, di Scandicci, di Montespertoli. C’è una volta Calenzano. Eh… anche questo è un attimo da tenere presente: due zone sole! Mugello. Sud-ovest di Firenze. Vorrà dire qualcosa? Servea qualcosa? Non lo so, ancora non lo so. Anzi, lo so benissimo, ma ci voglio arrivare. E in più, nella stessa zona geografica, ma in più sono delitti che sono commessi in luoghi, nella loro caratteristica di luogo, identici: sono luoghi appartati, sono luoghi fuori della normale viabilità, sono luoghi di non facilissimo accesso. Eh, la maggior parte dei luoghi sono così. Cioè, sono luoghi nella stessa zona, ma un po’ appartati e non si può dire certamente che tutti i cittadini di quelle zone li conoscessero. Cioè, sono luoghi che dimostrano familiarità, ma qualcosa di più: dimostrano che quell’autore dei delitti conosceva anche questi luoghi. Eh, sono luoghi appartati però che hanno un’ulteriore caratteristica, perché non basta che siano appartati, non basta il bosco dove va il cercatore di funghi. Sono tutti luoghi appartati che hanno una caratteristica, che voi tutti ben conoscete, è venuta fuori dai sopralluoghi, da cosa c’era intorno ai luoghi dei delitti, dalle deposizioni delle persone. Si tratta di luoghi tutti appartati, nelle stesse zone geografiche, frequentati inequivocabilmente da guardoni…da coppiette, scusate. E quindi da guardoni. Quindi cosa vuol dire? Che chi ha commesso quei delitti è necessariamente una persona che conosce queste due zone geografiche, chegira in luoghi appartati e che fra questi conosce bene quelli frequentati da coppiette, e quindi non possiamo non dedurne che sono luoghi dove chi andava li conosceva perché necessariamente andava lì, nella sua attività di guardone. Ecco un altro dato. E sono tanti. Cominciano a essere tanti! Io sono sempre sul fatto. Eh, questo fatto comincia… sui fatti… a avere un quadro abbastanza organico. Eh? Cominciamo a avere elementi a sufficienza per orizzontarci. Ma l’attività di polizia giudiziaria ha permesso di accertare un altro dato certo, questa volta riguarda l’azione, il modo in cui si è comportato l’autore, come si è comportato andando in questi luoghi particolari: è un autore che ha usato, si è detto, la pistola e ha usato il coltello. Abbiamo fornito la prova sicura, certa, inoppugnabile che nei

delitti, nei limiti di quello che ci serve e ci serve tanto, è stata usata sempre la stessa unica arma da sparo. Serve? Eh, se serve! Serve proprio per legarli ancora di più i delitti. Sappiamo già quanto sono legati fra loro, ma uno dei legami indissolubili è la stessa arma da sparo. Era un elemento che il Pm lo dava per scontato, ha voluto riportarlo davanti a voi, e era un elemento da cui si ricavava la prova dell’unicità dell’autore. È un elemento checondiziona la vostra decisione finale, lo sappiamo tutti. Perché? Perché gli indizi per un solo delitto si moltiplicano su tutti proprio sulla base di questo elemento: l’unicità dell’arma da sparo. Questo è un elemento di fatto che è talmente pacifico, nonostante tutti i dubbi che ci ha creato in passato, che oggi non possiamo metterlo in discussione. Nel dibattimento lo abbiamo voluto verificare, ci è stato parlato stamani di una nullità; per fortuna la corte, non entrando nel merito, ha detto che era una nullità relativa alla tardività dell’eccezione, ma era una nullità che non esisteva ugualmente perché i delitti sono stati portati tutti qua, tutti! Non è mica stato portato uno solo. Tutti! Dal generale Spampinato all’inizio, al dottor Castiglione, dottor Iadevito, dottor Donato e gli altri… hanno tutti detto la stessa cosa. Quindi noi la prendiamo come un dato incontestabile. C’era persino un consulente di parte, in dibattimento, che su questo ha detto ben poco in contrario: si è limitato a parlare di qualche macrofotografia che non gli tornava ma davanti all’evidenza di quei tre segni della percussione, dell’espulsione e dell’estrazione sui proiettili si è tirato indietro anche il Morin. Allora diciamo: l’unicità dell’arma è dimostrata? Mah. Io direi di sì. Vogliamo ripercorrere la storia? Ma che bisogno c’è? È stata fatta oltre tutti quei periti che di volta in volta facevano la perizia aggiungendo gli ultimi bossoli, e che ho or ora menzionato. È stata fatta una perizia riepilogativa, nel 1987, globale, comparativa, dagli ingegneri Salza e Benedetti, che sono persone, direi proprio, le più qualificate sull’argomento: sono il direttore di allora e il direttore di ora del Banco Nazionale di prova diGardone, dove la legge fa risiedere l’organo che controlla le armi e che fa il catalogo nazionale delle armi. Quindi sono i periti più qualificati, dal punto di vista professionale di titoli, che abbiamo nella nostra nazione. Altri, lo vediamo, non hanno gli stessi titoli. Quelli che son voluti venire a dire qualcosa su argomenti balistici, lo vediamo a suo tempo. Allora dico: è stata fatta una perizia riepilogativa, sono venuti qua a dirvelo, ma bastavano le macrofotografie di quei bossoli, ce le avete lì. Che bisogno c’abbiamo di periti? Sono delle foto in cui questi segni primari, le impronte primarie, teniamole presente, lasciate dalla Beretta calibro 22, sono così evidenti che non c’è bisogno di periti. Il Pm nel 1987 – sfortuna volle che ero sempre io – disse: “Io di queste perizie non sono ancora soddisfatto, ne voglio fare una riepilogativa, unica. Ditemi chi è il collegio di persone più competenti.” Ingegneri Salza e Benedetti. Bene! Andiamo a Gardone. Andammo a Gardone. Gli portammo tutti i bossoli. Hanno fatto un lavoro enorme; è lì. E hanno sanzionato definitivamente che è la stessa pistola. Cosa hanno detto? Perché io non voglio assolutamente dilungarmi su questo ma deve essere chiaro, perché è una perizia riepilogativa che ci ha levato un peso. Diventa un peso per l’imputato, ma a noi c’ha levato il peso del dubbio. È stata confermata qua. Cosa hanno concluso? “Le otto coppie di bossoli di cartucce calibro 22 LR marca Winchester, ciascuna pertinente ad un duplice omicidio, consumati rispettivamente – e qui li elencano – nel 1968 – quindi è legato al massimo anche quel delitto – nel 1974, nel 1981, ’82, ’83, ’84, ’85 – com’è peso il solo elencarli! – sono tutte provenienti – quelle coppie di bossoli esaminati – da munizioni sparate ed esplose da unica arma”. Due! I più esperti, i più qualificati, hanno aggiunto: “Anche le pallottole – le pallottole! Bossoli, pallottole trovate nei corpi di queste vittime –

repertate in occasione dei duplici omicidi dovevano ritenersi provenienti da un’unica pistola”. Ancora. Sono stati corretti, specifici, e dettagliati. Sono andati a fondo. Dobbiamo dire che sono stati facilitati perché sono a Gardone. Sono al di là della strada, fanno 100 metri e si trovano la Beretta davanti, quindi sicuramente hanno il compito facilitato. Sono andati alla Beretta a vedere l’arma, tutte le armi, Beretta calibro 22. Le hanno esaminate tutte, hanno fatto le prove di sparo, hanno visto i bossoli. Tutto documentato lì, eh. Non ci deve essere dubbio che è un arma unica che lega tutti i delitti, dicono i periti nella loro sicura professionalità. “Non è stato possibile identificare l’esatto modello dell’arma – forse nell’intimo lo potevano fare, ma il dato obbiettivo non consentiva di andare oltre – con cui erano stati esplosi i colpi repertati. Doveva comunque appartenere all’uno o all’altro dei cinque modelli nel calibro 22 LR della cosiddetta serie 70, costruita dalla fabbrica Beretta, che comprende i modelli 71, 72, 74, 75 e 76, modelli diversificati tra loro solo per la lunghezza della canna, ma tutti uguali; poteva essere uno di questi. Sicuramente però l’ambito dei modelli si restringeva ai primi 4. Il 76 no, perché è stato commercializzato dal dicembre ’68”. Vorrei qui che focalizzaste ancora i numeri: il modello 71, 72, 74 e 75. Chiedo espressamente che vogliate memorizzare questo dato: 74. Perché ne parleremo più avanti quando vi parlerò dell’asta guidamolla. Nella perizia si dice che il modello può essere uno di questi quattro. Hanno detto ancora qualcosa di più, questi signori. Hanno detto: “Lo stesso discorso che abbiamo fatto per la pistola può essere fatta per le cartucce”. Sono stati ancora molto precisi, ma hanno preso ancora delle distanze, non sono stati specifici. E questo va a dimostrazione della loro correttezza. “Sono tutte marche Winchester, sia ramate che a piombo nudo – sono due tipi – con la lettera ‘H’ sui fondelli; sono impresse da un punzone proveniente dalla medesima matrice”. Di più non hanno detto. Non hanno detto che è lo stesso punzone. Hanno detto: “Quel punzone che ha impresso la ‘H’ è sicuramente proveniente dalla medesima matrice”. Non hanno potuto correttamente aggiungere che quelle ‘H’ erano tutte della stessa mandata, della stessa scatola. Di scatole diverse… cioè, a piombo nudo, ramate o non ramate. Hanno detto: “Però, guardate, sono tutte di uno stesso approvvigionamento, perché la ‘H’ è fatta da un punzone che viene dalla stessa matrice.” Ecco allora che il quadro dell’arma è tranquillizzante: è stato fatto tutto il possibile nel dibattimento per darvi questa sicurezza. Altro che voler tenere la Difesa lontano da questi accertamenti! Si son fatti quando Pacciani non era imputato. Per carità! Si son fatti prima, sicuramente non era imputato. Erano lì. Sono stati portati correttamente in dibattimento, con i periti presenti, i quali, nel contraddittorio delle parti, hanno potuto dire ciò che volevano su questo dato. Non si è assolutamente voluto limitare alcun diritto di difesa. Si è detto qualcosa nel dibattimento in termini di certezza sullo strumento da punta e da taglio? Ci ha potuto, invece, quel coltello che, come abbiamo visto, è così importante in questi delitti, dire qualcosa come – coltello che noi possiamo dire che conosciamo – come è? Mah, direi di no. Onestamente noi di questa arma bianca sappiamo solo che c’è. Non abbiamo potuto dire sulla qualità del coltello, tranne quelle cose (poche) che ha detto il professor Perini, che poi vediamo. Ma sul coltello non siamo riusciti a dire niente di più. Però abbiamo detto non solo che c’è, non solo che ha fatto quei determinati due omicidi, cioè abbiamo detto: “Guardate, con quel coltello sono stati fatti due omicidi, cioè, sono state ammazzate due persone con un coltello, non sappiamo se è lo stesso ma sembra lo stesso”. Però sicuramente col coltello sappiamo che sono state fatte le escissioni. Dalla Pettini in poi, sono state fatte… sono state usate il coltello. Abbiamo che con un coltello sono state fatte tutte quelle lesioni alla

ragazza, 97, a De Nuccio Carmela nell’81 fu escissa la regione pubica. C’è un coltello, eccome, e che popò di arma che è. Le avete viste quelle fotografie: fanno impressione! Io, quando le rivedo… io ho visto i corpi dal vivo, signori, nell’84 e nell’85, mi fa ancora impressione vedere le fotografie. Sarà un mio limite, lo ammetto. Però mi fa ancora impressione. Lo so che l’ha fatta anche a voi, ve l’ho letto negli occhi, l’abbiamo visto tutti, almeno a quelli meno attrezzati. Qualcuno, non lo può negare, ha cercato di vederle il meno possibile. Eh, allora: Cambi Susanna nell’81 ebbe un’escissione ampia, nella zona interessante il pube, sempre col coltello. Rontini Pia nell’84, si alza il tiro del coltello: furonoasportati mammella sinistra e il pube. Mauriot Nadine nell’85: fu asportata la mammella sinistra e una mutilazione alla regione pubica. Ce l’hanno talmente descritto i periti che io non ho nessuna intenzione di ritornarci sopra se non per dirvi quelle poche cose che hannodetto poi i periti di Modena. Quindi si può dire solo dall’indagine di polizia giudiziaria che era un’arma monotagliente. Noi come indagine di PG non abbiamo saputo dire altro. Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo chiesto aiuto, perché da soli più di questo non potevamo dire. Era già tanto. Abbiamo chiesto aiuto ai periti dell’università di Modena, quei professori,tanti – sono veramente telegrafico su questo – che hanno esaminato di nuovo il fatto sotto un duplice profilo: della, quella che loro chiamano la dinamica materiale studiata un po’ meglio di quello che io vi ho descritto, che emergeva dagli atti di polizia giudiziaria, e hannostudiato anche la dinamica psicologica. Hanno fatto queste due ricostruzioni; è servito a qualcosa? Penso proprio di sì, perché, per quello che riguarda la dinamica materiale che noi abbiamo finora ricostruito sulla base degli atti di PG con le competenze del Pm e della polizia, siamo andati a farla spiegare, a vedere la analogie, da degli esperti, da dei criminologi, da dei medici legali; i quali hanno fatto un esame comparativo di queste condotte, di queste ferite, un po’ meglio di quello che eravamo riusciti a fare noi. E hanno detto molto lealmente il professor De Fazio: “Signori giudici, guardate, per quello che riguarda la ricostruzione oggettiva degli omicidi che noi abbiamo fatto, per quello che riguarda la ricostruzione oggettiva, la dinamica materiale, quello che vi diciamo…”. Lui ha usato un termine… “ci giochiamo la nostra professionalità”; era come dire “siamo talmente sicuri…”. Dice: “Per quello che riguarda la dinamica materiale, la ricostruzione degli omicidi– che io vi ho già fatto ma sulla base di quello che è il comune leggere gli atti da parte dell’operatore – su quello che è la dinamica materiale, le nostre considerazioni hanno valore di prova. Cioè, il fatto che sia un unico autore per noi è una prova, ve lo abbiamo dimostrato in quella perizia”. Ne rileggiamo fra breve due passi. “Per quello che è il secondo incarico, la ricostruzione della dinamica psicologica, non ci chiedete di dire niente di più. Si tratta di un’indagine che noi abbiamo fatto esclusivamente per mettere in evidenza degli elementi che servono per le indagini, cioè, il tipo di autore è servito esclusivamente per le indagini. Quella che è la ricostruzione della dinamica materiale che voi avevate già fatto, Pm e polizia, siamo sicuri di quello che diciamo. Sul tipo di autore vi possiamo dare solo delle indicazioni”. Ecco, in che limite possiamo noi utilizzare questo lavoro dei criminologi. “Noi che abbiamo studiato questi casi – vi ha detto… vi hanno detto iperiti – possiamo concludere che le escissioni sono fatte dalla stessa mano. Cioè, per quello che riguarda la dinamica materiale, se non vi bastava quello che già sapevate, noi siamo in grado di darvi la prova che le escissioni sono fatte con la stessa identica mano. Quindi, non solo unicità dell’arma – prova che deriva dalle perizie – ma unicità dell’azione di colui che ha fatto le escissioni. Se avete, quindi, cari Pm e oggi voi cari giudici sul fatto che si tratta di un solo autore che lega questi omicidi, avete quest’importante emergenza.

Non solo unica arma, ma unicità della mano che ha fatto le escissioni”. Cosa hanno detto in estrema sintesi? Ve l’hanno talmente particolareggiato in udienza e nella loro perizia cheio voglio solo focalizzare questo: “le escissioni sono tutte della stessa mano”. Come l’hanno detto? “Sulla base dei dati che noi conosciamo, cioè le perizie medico-legali e i datidi polizia, i sopralluoghi, possiamo dire che possiamo affermare con criterio di grande probabilità – queste sono le conclusioni – sino al limite della certezza pratica – sentite l’onestà di questi signori – che le lesioni genitali riscontrate in tre casi – che distinguono ovviamente quello della… il primo, della Pettini – vanno attribuite ad uno stesso autore”. Quindi non solo stessa arma, non solo coltello, il coltello non lo conosciamo… Stesso autore delle escissioni. Quanto è importante, oggi. Dicono: “Certamente molto abile nell’uso dello strumento da punta e da taglio, non necessariamente esperto in tecniche settorie e chirurgiche, anzi, con scarsa dimestichezza con problemi di natura anatomica e chirurgica”. Tutti coloro che ci dicevano e che hanno voluto dire “sarà un medico”… alè, levati in un batter d’occhio. Nessuna esperienza di elementi anatomici e chirurgici. Eh, allora eccolo, il quadro è determinante. Noi sappiamo già tutto sul fatto: chi è l’autore dal punto di vista della materialità, abbiamo una prova che è lo stesso autore, come ha agito e dove lo sappiamo talmente bene, sappiamo che è la stessa persona che ha fatto quelle escissioni. Abbiamo chiesto qualcosa di troppo a questi periti nel chiedergli un profilo psicologico sul tipo di autore? Oggi io dico “sicuramente no” perché è un profilo che loro hanno fatto e di cui il professor Galliani ci ha parlato a lungo, insieme al professor Luberto e al professor De Fazio, sul profilo psicologico del tipo d’autore, che ci è utilissimo. Bisognaperò tener presente che questa ulteriore indagine che è stata fatta e che non ha alcun valore di prova oggi, è un’indagine che è stata fatta da persone che non conoscevano, non hanno mai visto Pacciani. Però sono riuscite a dipingere, nei limiti di quelle che sono le conoscenze della scienza psichiatrica medico-legale, un tipo di autore che emerge dai fatti.Non conoscono Pacciani, eh, non ce lo dimentichiamo, ce l’hanno detto a chiare lettere. Hanno detto alcune cose sul tipo di autore che emerge dall’analisi dei fatti che oggi noi teniamo ugualmente presente in questo lavoro di ricostruzione, lungo, ma spero metodico e utile per voi. Cosa hanno detto nella ricostruzione della dinamica psicologica che ha solo valore secondario (non è prova)? Hanno detto… se leggiamo le parole dirette di questi signori, brevissime, facciamo prima. Hanno detto: “È un soggetto che agisce scegliendo i luoghi e le situazioni ma non le vittime, che gli sono in genere sconosciute, sotto la spinta di un impulso sessuale abnorme”. Eccolo qua, un altro dato. Già dalla dinamica dei fatti possiamo dire qual è l’impulso. Ci interessa? Eccome se ci interessa! Quindi vedete che anche la ricostruzione della dinamica psicologica ci è utile. Eh… ci ha detto: “Guardate, in questo impulso sessuale abnorme confluiscono cariche aggressive profonde, il cosiddetto sadismo sessuale”. Io non anticipo niente, voglio solo che vi ricordiate quando rileggerete, se le rileggerete perché non vi basta ciò che vi dico io, queste parole del professor Galliani.Voglio… vorrei che vi ricordaste cosa vi hanno detto le figlie di Pacciani sul comportamentoche è stato tenuto a loro carico e cosa vi ha detto la Sperduto. Io vi dico solo questo, perché poi le comparazioni le facciamo dopo. Quindi, impulso sessuale abnorme. Ancora: “Si tratta certamente di un soggetto di sesso maschile, che agisce da solo”. Ce l’ha detto chiarissimamente il Presidente: gli ha fatto una domanda perché si ricordava, come ci ricordiamo tutti, che il Nesi disse che la sera dell’85 l’ha visto con qualcuno al bivio di Faltignano, gli è stato chiesto “professor Galliani, ma era solo? Ha agito da solo?”. Il professor Galliani e gli altri, guardando gli elementi, le ferite, e quindi non conoscendo i fatti

nella loro interezza, hanno detto chiaramente: “Si tratta di un soggetto di sesso maschile che agisce da solo; sicuramente, anzi, con tutta probabilità, destrimane e con una destrezza semiprofessionale nell’uso dell’arma da taglio ed una conoscenza quantomeno dilettantistica nell’uso dell’arma da fuoco. La metodicità – ha aggiunto – la sistematicità, la cautela, l’astuzia…”. Ha usato l’astuzia, ricordiamoci anche questo termine, l’astuzia, è un soggetto astuto, così emerge dalla ricostruzione materiale (Galliani non sa chi è). “La metodicità, sistematicità, cautela, astuzia e la capacità di non lasciare tracce di sé denotano una personalità sufficientemente organizzata – loro dicono uno psicopatico organizzato, non uno psicotico, non un malato – probabilmente capace di buona integrazione nel contesto ambientale di appartenenza, cioè è una persona che vive in un contesto naturale, è uno di noi, non è una persona eccezionale. Si tratta di un soggetto consicure connotazioni psicopatologiche della personalità ma ciò non significa affatto la presenza di una forma di patologia mentale diagnosticata”. Non un soggetto con vizio di mente, è un soggetto con una perversione sessuale in senso sadico ma non ha sicuramente vizi di mente, diagnosticati e non. Ce l’ha spiegato il professor De Fazio: “Uno che ripete metodicamente questi episodi continuativamente, anno dopo anno, non può essere uno psicotico, un malato di mente. È solo uno psicopatico, uno con devianze della sessualità, uno che ha una perversione sessuale”, ci ha detto. Eh, su questo della perversione sessuale, su questo dato, si sono dette tante cose in quest’aula, perché si è preso il dato del professor Galliani e dei periti, i quali dicevano: “Guardate la personalità dimostra una chiara devianza sessuale che si può definire iposessualità”. Ipo! Caspita! Cosa vuol dire ipo? Vuol dire che è poco dotato? Questo gli è stato chiesto. Assolutamente no! È una deviazione, una devianza sessuale, una perversione, che non ha niente a che vedere con la quantità. Ha solo qualcosa a che vedere con la qualità dei rapporti. Anche questo è un dato emerso. La sessualità di questo autore dei delitti va valutata sul piano qualitativo, cioè bisogna tenere presente che l’autore di questi delitti è una persona con queste perversioni, che vanno valutate dal punto di vista della qualità. In parole povere, è persona che può essere senz’altro dotata sessualmente, ma che sceglie le sue compagne in modo abnorme. Cioè nella qualità del rapporto, non nella quantità. Ci ha aggiunto: “nel rapporto sessuale cerca un rapporto asimmetrico – vuole prevalere, in parole povere –, cerca una persona con la quale avere un certo ascendente”. Pensateci, le parole sono: “datutto ciò si può dedurre, in linea di massima, che le maggiori probabilità stanno per l’ipotesi che l’omicida sia un uomo non perfettamente integrato sul piano affettivo ed emotivo con una figura femminile, ma non necessariamente uno scapolo. Le connotazioni psicologiche alle quali intendiamo far riferimento possono rispecchiare situazioni diverse di convivenza edi rapporti con figure femminili le più diverse”. Sembra la descrizione di Pacciani, signori! Eh? Lo vogliamo vedere avanti? Teniamocelo, eh? Un rapporto affettivo con persone femminili in cui c’è un ascendente… La Sperduto… l’avete viste le donne di Pacciani… sonpassate in quest’aula. Anche stamani ci ha detto che lui le donne ce le ha. Le avete viste ledonne di Pacciani? Io non voglio mica togliere niente a queste signore. Sono rispettabilissime. Le figlie, poi. Eh? Ma qual è il rapporto che ha Pacciani con queste donne? Eh… è uguale. Non ci vogliono grandi competenze per capire queste descrizioni del professor Galliani e fare dei paragoni. Io non voglio assolutamente aggiungere che possiamo dire qualcosa su Pacciani sulla base del profilo d’autore. Voglio solo dire che per quanto riguarda il fatto, perché sono al fatto per ora, sono già un pezzo avanti nella mia ricostruzione; vi ho dimostrato, perché è stato dimostrato in quest’aula, chi è l’autore di

questi fatti, come agisce materialmente, quali sono le prove come autore: unica pistola, unica mano che fa le escissioni, luoghi, duplice strumento lesivo, tipo di autore di questo tipo. Io per ora, esaminando il fatto, posso solo dire che in quest’aula sono emersi solo questi fatti. Non crediate che sono indietro nella ricostruzione, sono già un bel pezzo avanti, perché devo solo passare all’esame del perché siamo arrivati a Pacciani, di quali sono le compatibilità…(…mancante, ndr…)…Vi ho detto: questi sono i fatti; vi ho spiegato come… li ho messi in evidenza, non vi devo spiegare nulla, come si è comportato il Pm nell’indagine, quale strada oggettiva ha percorso, e quale soprattutto davanti a simili emergenze, come si è comportato Pacciani. Io vorrei interrompere qua. Siamo tutti stanchi.Riprendere con la parte più importante, secondo me, quella relativa al Pacciani e agli indizi.Domani mattina, grazie.

Presidente: Benissimo. E allora, il processo è rinviato in prosecuzione a domani mattina alle ore 9. Traduzione dell’imputato. Signori, buonasera.

A.B.: Buonasera.------------------------------------------

Presidente: Bene signori, buongiorno.

A.B.: Buongiorno.

Presidente: L’udienza è aperta. È presente l’imputato. Vedo l’avvocato Bevacqua anche in sostituzione…

A.B.: Sì, ma arriva anche l’avvocato Fioravanti fra qualche minuto…

Presidente: Benissimo, per il momento lo sostituisce lei. Pubblico Ministero c’è, difensori di parte civile li vedo. Possiamo senz’altro dare la parola al Pubblico Ministero per il prosieguo dellasua requisitoria. Prego.

P.M.: Grazie Presidente. Vorrei riprendere dal punto ovviamente dove eravamo rimasti. Avevamo ricostruito quella che era la personalità dell’autore, come conosciuto ovviamente dai fatti, dagli elementi oggettivi, per arrivare al punto “come mai se l’autore disegnato dalla Polizia Giudiziaria e dai periti sulla base di quei fatti si è indagato proprio Pacciani?” Quale motivo avevamo? Ho cominciato ieri a far vedere qualcuno di questi motivi; eh, era un motivo che non ha niente a che vedere con il mostro o l’autore dei delitti individuato dal computer. L’avete capito voi benissimo quando è stato detto e spiegato che l’elaborazione informaticadei dati è servita solo di supporto all’indagine e avete capito cosa intendevamo dire. Quindinon si può assolutamente continuare a pensare – perché non lo dovete pensare voi, perché non c’è traccia di questo nel dibattimento – che si tratti di un’indagine che è nata daidati di un computer. Sono dati che sono effettivamente serviti ma di ausilio. Quali sono ce lisiamo ripetuti ieri, li ho ripetuti ieri io a voi, e sono quelli che oramai cominciano ad essere talmente chiari a tutti che ripeterlo può essere una noia, ma serve oggi perché dobbiamo vedere allora chi era Pacciani per vedere se corrisponde innanzitutto; dobbiamo innanzitutto vedere se c’è questa compatibilità fra autore individuato sulla base degli

elementi oggettivi e Pacciani. Quali sono? L’ho detto più volte e lo ripeteremo ancora: i luoghi, le perversioni, i boschi, il fatto che l’autore di questi delitti è necessariamente un guardone; ma soprattutto il fatto che ha usato due strumenti lesivi (l’arma, il coltello) e che è essenzialmente un ladro, una persona che ha manomesso, frugato nelle cose. Eh, allora se pensiamo soltanto all’inizio quali di queste caratteristiche ha Pacciani e vediamo che sono molte. I luoghi sono determinanti, è proprio di quei luoghi lì: di quel Mugello e di quella zona sud-ovest di Firenze. Ma è importante vedere un po’ nei dettagli, dai documentiche abbiamo e che avete voi tra le carte, quali sono quei precedenti di cui si è parlato spesso nel dibattimento, quei precedenti che non servono assolutamente, in questo momento, per valutare la sola personalità ma per vedere quali sono gli elementi oggettivi diallora. Non per rifare i processi, ma per capire se ci sono motivi di analogie. Eh, e sono quei precedenti gravi che pesano, che non ci devono servire a niente di più che a vedere chi è Pacciani, non ci devono pesare per una decisione oggi. E nel ’51 sappiamo genericamente che ammazzò il rivale in amore, che, e questo è importante emerge da quella sentenza che voi avete, sono quelle venti pagine di una sentenza di fatti lontani del 1951 nella quale si vede che non solo, vedremo come, uccise il rivale in amore ma stava uccidendo anche la Bugli. Eh, questo è più importante di quel che sembri perché riaddirizzò il coltello c’è scritto nella sentenza. Stava uccidendo lei, non lo fece perché lei gli si offrì o lui pretese di possederla. Fecero l’amore, fecero un patto: “sei la mia fidanzata, ti sposerò”. Con il cadavere del Bonini accanto. C’è quell’altro precedente che ci ha fatto pensare, quello delle figlie. I dettagli li vediamo fra un po’. Eh, allora con questi precedenti cosa abbiamo fatto, cosa vi ha raccontato il dottor Perugini. La prima cosa che si fece si disse: “non ci facciamo suggestionare, vediamo se ci sono elementi per scagionarlo”. Facciamo un’indagine, l’abbiamo ripetuta qua, per vedere se è possibile, nonostante questiprecedenti che possono essere solo suggestivi, se ci sono elementi per scagionarlo. Si trovò qualcosa che ci consentiva di avere forti dubbi: si trovò che aveva avuto un infarto. Siacquisì la cartella clinica, era un infarto di cui lui diffusamente ci ha parlato; infarto lontano nel ’78 che non lo ha però minimamente condizionato nella vita successiva. Non ha condizionato lui come persona fisica: un infarto, ce ne sono tanti che vi sono passati, che son passati come quasi niente fosse, che gli ha consentito di continuare la sua vita e il suo modo di agire quotidiano. Un infarto che noi prendemmo come elemento che ci poteva far fermare; un soggetto che ha avuto una simile avventura fisica si sarà trovato in una condizione tale da non poter fare più quei delitti? Non era così. Lo avete sentito dai testi cosa ha fatto dopo… Ma soprattutto ci è stato tolto ogni dubbio dai medici, da quei medici legali che, se ci fosse stato bisogno, basta ricordare cosa ci disse il professor Maurri, che un infarto 10/20 anni fa, 15 anni fa non vuol dire nulla. Ci sono persone, ci disse molto chiaramente facendoci capire qual è il problema poco mutilante degli infarti, oggigiorno grazie alla tecnica, ci sono persone che avendo avuto l’infarto partecipano alla maratona diNew York. È un dato così che ci disse il dottor Maurri, non è ovviamente il… questo è un dato che ci fa vedere come quell’infarto come è avvenuto in concreto non solo non condiziona oggigiorno i più, ma non ha condizionato comunque, certamente Pacciani. E allora ci siamo messi, come voi vi dovete mettere, a vedere bene come si comportò allora nel 1951 Pietro Pacciani. Perché noi sappiamo come si è comportato l’autore di questi delitti, lo abbiamo descritto ieri, dobbiamo vedere come si comportò allora. E è una lettura di quella sentenza che voi avete sicuramente fatto, che alla luce di quello che vi ho detto ieri oggi va fatta con la massima attenzione. Perché ci sono tre o quattro punti su quel fatto

che presentano non analogie soltanto, ma identità. E queste non sono suggestioni, provo aspiegarvi: identità con i delitti commessi dall’autore di questi omicidi. Qual è questa condotta per cui bene o male il Pacciani è stato confesso, l’unica volta in cui si è trovato nella necessità di confessare; l’episodio delle figlie non l’ha mai confessato. È un episodio strano perché inizia in un modo che per noi è importante. C’è un Pacciani, leggiamo quella sentenza, sono fatti lontanissimi di 43 anni fa: è l’aprile 1951, Pacciani ha poco più che 20 anni, 25-26 anni. Ma noi sappiamo, per ora e sapete, aggredì il rivale in amore. Ma come l’aggredì? Perché lo aggredì? In quali condizioni? Vedrete che converrete con me che è veramente un’ identità e le identità pesano oggi, non sono suggestioni. Perché la prima azione che fece questo signore, quando vide la propria fidanzata (nessuno glielo nega che era la sua fidanzata in compagnia di un uomo), non fu quella di intervenire. Purtroppo lo so la vita… non sarà capitato soltanto a lui di trovare la propria donna in compagnia di un altro, poteva agire in tantissimi modi. No, la prima azione che fece fu quella di spiarli. Cioè si mise dietro un cespuglio, lo dice lui, e si mise a spiarli. Non si mise, non affrontò la donna, perché lui doveva affrontar la donna, l’uomo si, indirettamente. No, lui li spiò da un cespuglio. Ecco, il primo dato che emerge è che questo signor Pacciani, nel 1951, la prima condotta, trovandosi di fronte alla propria donna in compagnia di un uomo, che lui sapeva che esisteva, non fu quella di affrontare l’uomo, affrontare la donna, mettersi da un parte perché, grazie a dio, la propria donna poteva scegliere ciò che voleva. Lui poteva criticarla,poteva prendere le sue decisioni: lasciarla, fare quello che voleva, come purtroppo è un bene, sono… è la vita che va così. Poteva intervenire, poteva lasciarla fare. No, lui innanzitutto la prima cosa che fa lui li spia. Spia una coppia in un bosco, da un cespuglio: non interviene. Beh, c’è questo episodio: si mette a fare… a guardare. Secondo: sono in unbosco, sono una zona isolata. Per carità abitavano laggiù, e cosa vuol dire, se erano in piazza del duomo forse non lo so, li spiava in piazza del duomo. Ma fece una cosa importante, oggi, letta oggi: quando, preso da raptus non lo so, prese questa decisione, converrete con me abnorme rispetto alla situazione; cioè poteva affrontarli, poteva discutere, poteva andarsene e l’indomani comunicare le sue decisioni alla donna. Beh, forse è sanguigno, nessuno glielo nega, forse anche troppo è sanguigno, in troppi sensi a mio modo di vedere. Lo ammazzò. Beh, capirete che come comportamento è già fuori dellanorma… ma come lo ammazzò? Ecco, ecco il punto su cui voi oggi dovete, non solo ascoltando me meditare, ma, rileggendo la sentenza, valutare come lo ammazzò. Con un duplice strumento lesivo. Ne abbiamo già sentito parlare da te ieri Pm, che parli un autore di quei delitti che usa un duplice strumento lesivo, mi direte: ti stiamo a sentire? Cosa vuoi dire? Eh, statemi a sentire. Si, perché il duplice strumento lesivo usato nel ’51 è un dato che è anomalo anche per il ’51. Cosa voglio dirvi: che uno che, sia pure in quella condizione anomala che sappiamo, decide, o se non decide si trova in un raptus di ammazzare qualcuno, usa due strumenti. Non una pistola eh, lo dico subito, lo sapete avete letto la sentenza. Usa due strumenti per ammazzare una persona: questo è anomalo, è fuori dal comune anche per uno che decide di ammazzare. Cosa fece? Prese una pietra, un bastone, un sasso, lo dice la sentenza, non sappiamo bene cosa. Lo maciullò, lo aggredì e quando fu in terra poteva dargli l’ultimo colpo con la pietra, era talmente malconcio questo Bonini Severino, che l’avrebbe ammazzato anche con un ultimocolpo. No, non si fidava questo signor Pietro Pacciani delle sue capacità di ammazzare conuno strumento lesivo. Tirò fuori il coltello a serramanico che ieri ci ha detto ogni contadino ha in tasca, quello era lo strumento di cui lui era capace e sicuro di usare. Tirò fuori il

coltello, lo ammazzò col coltello, ma lo ammazzò non con la coltellata al petto con 19-20 coltellate, dice la sentenza. Allora c’è da chiedersi se ha un motivo l’usare due strumenti. Mah, il motivo è quello che vi ho detto: lui, è chiaro lo dice la sentenza, si sentiva più portato, più capace, più sicuro con l’arma bianca. Quindi, allora, non è quel grande delitto d’impeto questo ’51, è un delitto in cui chi agisce usa il cervello. Vuole ammazzare, tira fuori il coltello. Sapete cosa gli aveva fatto, leggetela la sentenza, con il bastone? Perché lopoteva picchiare, non c’era mica bisogno di ammazzarlo. Gli aveva creato, dice la sentenza, una vasta fratturazione e maciullamento delle ossa craniche. Questo è il signor Pacciani eh, che aggredisce. Lo scollamento parziale del bulbo oculare, questo è l’agnelluccio. Gli aveva prodotto con il coltello un’amplissima ferita lunga 11 cm nella regione frontale-parietale destra. Continuò col coltello, lo uccise col coltello. È un soggetto che la familiarità con l’arma bianca ce l’ha a vent’anni. Ma fece, dopo questo mi fermo non sto a fare le analogie di ferite d’arma bianca con gli altri delitti, sono suggestioni non mi interessano. Ricordatevi questa grande ferita al volto a destra, 11 cm, e andate a vedere le foto di alcune delle nostre vittime e poi mi direte sono suggestioni. Io non le uso, fatelo voi se credete, io vi dico c’è questo dato. Ma la familiarità con l’arma bianca non è la sola, il solo elemento che ci interessa perché dopo quella uccisione fece qualcosa in più. Con una grande forza trascinò il cadavere per oltre 200 metri, lo dice la sentenza, lo nascose nel bosco, lo ricoprì di foglie. Qui, invece di suggestioni, vi dico guardate la foto del cadavere del giovane francese del 1985 e vedrete delle identità di comportamento che non sono suggestioni. Vedrete come il giovane francese fu ucciso con un coltello, lo sapete benissimo e non con l’arma da fuoco, solo col coltello perché proiettili non ce n’erano più. Fu ucciso a coltellate, raggiunto, quindi forte; fu trascinato nel bosco, nascosto in un cespuglio e coperto. Voi avete le fotografie del 1985, io ho anche la foto del cadavere del Bonini, non ho fatto io, per mio difetto, in tempo a produrvela, e voi giustamente non l’avetevoluta. Però ve la racconto io per quel che serve. Voi avete solo il dato racconto-sentenza-foto dell’85. Ma quello che ancora in questa condotta a me proprio fa pensare è la particolare crudeltà su questo cadavere con il coltello. Leggete come sono state inferte le 19 coltellate in quella sentenza. Leggete, rileggetevi, ricordatevi i racconti, le spiegazioni del professor Maurri quando vi parla del cadavere della Pettini nel ’74 finito col coltello e del cadavere del francese dell’85 finito col coltello. Leggete quella sentenza del cadavere del Bonini del ’51 e traetene le conseguenze. La cosa certa è che sulla base della lettura diquegli atti che sono in vostro possesso del ’51, emerge un Pacciani forte, violento già allora, spietato, sanguinario. Se mi è consentito il termine, senza offesa per la categoria, unmacellaio nel senso più deteriore di questo termine. Se voi ricordate i racconti, le descrizioni dei cadaveri fatte dal professor Maurri… eh, e io ieri che vi mettevo in luce come questi delitti sono delitti di una persona abituata a usare il coltello, cominciate a vedere questo delitto del ’51, che è un fatto per il quale ha scontato tutte le pene che vogliamo, che ci interessa non come suggestione ma come fatto storico. Una condotta che può essere ripetuta o meno. Allora vediamo se ci sono, dopo quel delitto del ’51, altre condotte che oggi possono essere tenute presenti. Se leggete i delitti per i quali fu condannato nel ’51 vedrete che fu condannato anche per atti osceni. È ovvio, si mise a far l’amore con la propria donna dopo quel delitto. Cioè è uno che si trova in quelle condizioni e che ha, non so la forza, la capacità io non so cosa dire, di mettersi a far l’amore con la propria donna. Ricordiamoci quando il professor Galliani ci ha detto è un iposessuale l’autore di questi delitti: è una persona che ha così dimestichezza con il sesso, ha così un

rapporto “normale”, che il rapporto che riesce a mettere in piedi è addirittura uno dopo quel popò di delitto. È una modalità inquietante se noi pensiamo al modo in cui l’autore di questidelitti si è comportato. Ma c’è ancora un dato in quel ’51: fu condannato per detenzione e porto di due pistole; pistole eh, non coltello. Non le aveva in quel momento, non le usò: però fu condannato, c’è una condanna passata in giudicato, per il possesso di due pistole. Una fu trovata, una no. Anche questo, santa pace, è un signore che accoltella e che, bontà sua, ci ha detto che non sa cosa sono le armi, ce l’ha ripetuto nel suo atteggiamento di menzogna costante ieri mattina: “mio dio se qualcuno potrà dimostrare che io ho mai avutoarmi!” È stato condannato per possesso di pistola, perché ieri mattina deve continuare a pontificare qua davanti a voi. Lo faccia pure, ma noi non possiamo crederlo. Fu condannato ancora per un altro delitto, fu condannato per furto perché, anche questo è un dato importante, dopo avere ucciso il Bonini, gli portò via il portafoglio col denaro. Mamma mia, pubblico ministero, continui a fare suggestioni… No, io non faccio nessuna suggestione, signori. Io vi do dei dati storici. C’è un autore di delitti dal ’68 in poi che si comporta così: fa dei furti, manomette; c’è un signore, sicuro, Pacciani che nel ’51, dopo aver fatto quel delitto con tutte quelle caratteristiche, porta via, fruga, porta via il portafoglio,gli interessava il denaro. Ma ancora, e questa è l’ultima e era ovvio, fu condannato per il delitto di omicidio aggravato dall’articolo 61 numero 4, è ovvio. Cosa dice il 61 numero 4 del codice penale? Per aver agito con particolare crudeltà nei confronti della vittima. La stessa aggravante che è contestata nei delitti a Pacciani Pietro. Quindi è una condotta che già nel ’51 il signore conosceva bene per quel delitto che io… mi voglio fermare, non vogliodire altro. La sentenza è lì, ve la leggete voi, vi ricordate questi popò di elementi di identità: servono per quel che sono, poi le analogie le mettiamo a confronto fra un pochino. È un signore che ha scontato, ci mancherebbe, il giusto: 14 anni dico io, il giusto ritenuto dalla legge. Nessuno può rifare, ne vuole, rifare quel processo, ne deve turbarvi o turbarci più di tanto. Ha turbato forse i testi, come vi ho spiegato ieri. È un signore che dal ’64-’65 torna a casa, lo ritroviamo negli atti processuali nel 1987 con un’altra sentenza ai danni del… per maltrattamenti in famiglia e violenza carnale ai danni delle figlie. Quindi è un signore di cui conosciamo questi due dati: il primo ve l’ho così focalizzato meglio di quello che è emerso finora, vi invito a tenere per voi i dati di quella sentenza. Ma vorrei leggervi la motivazione soltanto, due passi, di una motivazione della sentenza dell’87 per dirvi come apparve nel 1987, nel delitto ai danni delle figlie, il signor Pacciani ai suoi giudici. A me interessa solo questo: nella motivazione c’è un passo in cui i giudici raccontano in motivazione, cioè è un’emergenza che per loro è stata talmente toccante da trasferirla nella sentenza, i suoi giudici nella sentenza dell’87, nel condannarlo perché checché ne dica doveva essere condannato; c’erano le prove, per i maltrattamenti in famiglia (cioè alla moglie e alle figlie e per la violenza), i suoi giudici scrivono un passo che secondo me è lo specchio del Pacciani. I suoi giudici, che lo avevano conosciuto così poco nel 1987, scrivono, parlando della pena: “La pena da erogare deve tener conto non solo della oggettiva gravità dei fatti, violenza alle figlie, e della loro reiterazione in un arco di oltre 10 anni ma dalla tracotanza mostrata dal prevenuto anche nel corso dell’istruttoria dibattimentale”. È un dato la tracotanza di quest’uomo che è costante nella sua vita, l’avete visto ieri mattina, ve l’ho già messo sufficientemente in luce; ma è una costante che i suoi giudici del 1987 si sentirono in dovere di trasferire nella sentenza. E questa tracotanza scrissero, come sostengo io oggi: “è indice di una spiccata capacità a delinquere” scrissero “comprovata anche dal fattodel grave precedente per omicidio”. È un tracotante a vita, non ce ne siamo accorti noi oggi

in questo processo, se ne accorsero già quei giudici che lo giudicarono per fatti tutto sommato gravissimi ma ben minori di quelli che siete chiamati oggi voi ad esaminare. È un tracotante, è uno spavaldo, è un mentitore che noi non possiamo assolutamente prendere in considerazione quando ci racconta qualcosa. È una persona che va valutata indipendentemente da ciò che dice, dobbiamo valutarlo sulla base degli elementi oggettivi: è quello che, credo, io sto facendo. Vogliamo sintetizzare allora queste caratteristiche che emergono da questi fatti conosciuti del ’51 ai fatti che noi ieri abbiamo descritto come identificativi della condotta dell’autore dei sedici omicidi? Ci hanno detto, i periti vi ho detto io ieri, ci ha detto la polizia giudiziaria, vi siete detti da voi vedendo… da soli vedendo e seguendo la ricostruzione della polizia giudiziaria. È un soggetto che è senz’altro affetto da perversioni sessuali il nostro autore dei 16 delitti, Pacciani le perversioni sessuali ce l’ha nell’anima a vent’anni. È una perversione quella di far l’amore con un cadavere accanto, cosa volete che sia se non un modo di agire anomalo, abnorme. È una perversione far l’amore con le figlie di nove anni o no? Ecco, eccolo qua. Altro che suggestioni “questo signore tu, Pm, ne hai trovato uno a caso”. Andiamo avanti. È uno che, ve l’ho già detto, hatrascinato il cadavere: agile, forte, l’ha nascosto nel bosco. È una suggestione questa? Quello che ha fatto con Severino Bonini, l’ha fatto col giovane francese. È un signore che aveva due pistole, condannato per pistole, detenzione; ne vediamo fra un attimo perché è un elemento così importante che non può essere focalizzato così poco. È un’analogia soltanto? Mettiamola lì. È un crudele nell’aggredire, è un’analogia soltanto? Ve le ho descritte quelle lesioni fatte nel ’51: sono nella sentenza, le lesioni fatte a quei cadaveri le avete viste da voi. È solo un’analogia? Continuiamo a pensare questo, abbiamo ancora strada da percorrere insieme. Ha usato allora due strumenti lesivi, l’autore di quei delitti (vi parrà strano, a me pare strano) è una persona che ha usato due strumenti. Quell’autore hafrugato, quel nostro Pacciani ha frugato fra le cose di Bonini; ieri vi ho descritto minuziosamente come in tutti i delitti o quasi c’è la prova che l’autore, non si sa perché, forse questa è la spiegazione, è una cosa che lui è abituato a fare, fruga e ruba fra le cose.È una suggestione il fatto che quei delitti siano avvenuti in due zone, Mugello e quella sud-ovest di Firenze, e che il Pacciani si sia trovato nella sua vita in due zone sole, proprio il Mugello e la zona sud-ovest di Firenze? Sono sicuramente identità, analogie impressionanti che non dimostrano niente. Niente di più di quello che ho detto. Non sono elementi che ci consentano oggi di dire che sicuramente Pietro Pacciani è l’autore di quei fatti, sono esclusivamente elementi che noi abbiamo focalizzato. Allora li teniamo lì, ci serviranno, li sappiamo tutti, ci hanno imposto di fare le indagini. Ma allora bisogna che alcuni di essi noi li studiamo meglio, li vediamo meglio. Allora proviamo in un altro modo: vediamo di vedere a questo punto i delitti commessi da Pacciani (quello del ’51, quello ai danni delle figlie) e i delitti dell’autore di questi fatti nella loro cadenza temporale. Perché è importante, vediamo cosa voglio dire. Se noi guardiamo i delitti ai danni di coppie nel nostro territorio o ai danni di persone appartate nel bosco, di cui qualcuno viene ucciso, sono quello del ’51, che lui ha fatto sicuramente, e quello dell’autore dei fatti, il cosiddetto mostro. Non ce ne sono altri nel mezzo. Allora proviamo a fare questa analisi, non ce ne sono altri e vediamo un attimo. Nel ’51 avviene quel delitto, il signor Pacciani va in carcere per tanti anni: nessun delitto di questo tipo. Esce a metà degli anni ’60, ritorna in carcere dopo l’85, nell’87. Mentre lui è fuori, in quell’arco di 17 anni, quanti delitti avvengono? Lo sapete da voi: otto, duplici. Allora guardate buffa la cadenza temporale, purtroppo non è buffa mi è scappato il termine, me lo rimangio eh? I delitti sono uguali e ve l’ho descritto

come, la cadenza temporale è impressionante. Nel ’51 un delitto, quando lui è in carcere fino a metà degli anni ’60 niente, lui è fuori dal ’64-’65 in poi, dal ’68 all’85 otto! Dopo l’85, quando gli fu fatta quella perquisizione e gli si fece capire, non l’avevamo capito noi ma lui si, che era persona da indagare, più nessun delitto ai danni di coppie. È un altro dato che non dice niente, per carità lo lasciamo lì anche questo. Quando lui è libero ’51 più otto delitti, quando lui è in carcere non c’è un cristiano (perché un cristiano non è) che faccia, che tenga quelle condotte. Vogliamo allora dire qualche altra cosa su questo? Su queste condotte, perché stiamo facendo la compatibilità soltanto, di indizi ancora non ne ho affrontato nemmeno uno. Eh, è un’altra: è quella che qui ho tentato di accennare ieri. Quello che, se nel ’51 la vittima fu uccisa con un coltello, anche nel 1974, la Stefania Pettini, e nel 1985 le vittime non sono state uccise con la pistola ma col coltello. L’ho detto più volte, lo ridico: tenete presente, sono elementi talmente importanti oggi che non possono essere taciuti. Perché dico questo? Ma vi mettete nei panni dell’autore di questi fatti del ’74 e dell’85 col coltello? È una persona che, davanti a un fallimento dell’azione con l’arma da sparo dopo che ha ucciso una delle due vittime, si trova nell’impossibilità di continuare con l’arma… non ha dubbi! Non prende la valigia e se ne va, non ha paura che succeda qualcosa: è talmente padrone di sé, ma talmente padrone dell’arma bianca, che con il coltello il signor Pacciani ha già colpito nel 1951, è così padrone di quella; nel 1974 enel 1985 c’è un autore che non se ne va, che non desiste, ma continua e vi riesce, questo è il punto, con il coltello soltanto, è talmente padrone di sé stesso e del coltello che riesce auccidere la ragazza e, soprattutto, riesce a uccidere quel giovane francese agile, ventenne che se ne scappa. Come fece il Bonini che scappava: lo raggiunse e se l’è finito con un coltello. Allora ecco un altro tassello, che strano: duplice strumento lesivo, ma quando è necessario una padronanza del coltello; e non è il tipo… non è tanto la padronanza del coltello, quanto la capacità con il coltello di raggiungere il risultato. Ma cosa ci stai dicendo Pm: chissà quanti delitti come quelli del ’51 sono avvenuti a Firenze e tu ora, per forza, ce li vuoi accomunare con quelli di cui Pacciani è accusato? È un dubbio che a me è venuto. Ma sapete perché mi è venuto? E allora il riscontro l’ho fatto. Il delitto del ’51, lasciamo gli altri, è un fatto eccezionale o è un fatto comune di coloro che aggrediscono col coltello? Io ho fatto questo tipo di riflessione, per vedere se è eccezionale o meno, quando in quest’aula il professor Fazzari, direttore dell’istituto di medicina legale, in una pausa dell’udienza quando era qua a fare la perizia sull’altezza che sappiamo, mi disse: “Guardi” – ovviamente non era finalizzato a nulla il suo discorso – “delitti come quello del ’51, nel nostro comprensorio di Firenze, sono rari”. Lui si fermò lì, me lo diceva così giustamente. Io riflettei un attimo: ho fatto qualche piccola verifica negli atti della polizia, e, per quel che possa valere, quel delitto del ’51 non solo è raro, ma ha poche analogie con altri. Perché, èsemplice, nel nostro comprensorio, nella nostra provincia, è un’indagine così che serve solo a questo fine, c’è una media negli ultimi 40 anni, fra il ’50 e il ’90, di 6 delitti l’anno: 240-250 delitti, non so se è alta, omicidi scusate, se è alta o bassa. Di questi omicidi solo un quarto hanno l’arma bianca, una sessantina; di questi con l’arma bianca, con duplice strumento lesivo ce ne sono solo 6. In 3 di questi 6 l’autore è noto o non ha niente a che vedere come situazione ambientale, gli altri 3 in cui c’è coltello (arma bianca) e altro strumento lesivo sono: quelli del ’51, quelli del ’74 e quelli dell’85. Ma c’è ancora un dato! Quello delle coltellate, sono dati che servono solo per capire che quello del ’51 non è un fatto eccezionale. Dei delitti col coltello, che ho detto sono 60, con più di 10 coltellate ce nesono 10. Con 20 coltellate ce ne sono solo 2… se serve si può approfondire questo

elemento, ma emerge così. Con 20 coltellate ci sono quello del ’51 e quelli del ’74. Quindi voglio solo dire: attenzione, quello del 1951, così come è commesso, non è un fatto comune. Io non voglio assolutamente dire niente, sono elementi che non servono assolutamente a niente; servono solo, e questo lo ribadisco a me stesso, per capire come quel fatto del ’51 è eccezionale, non è un fatto comune, è più che legittimo allora chiedersi come quel fatto del ’51 oggi ci interessi. Uhm, dobbiamo aggiungere che quel fatto ha quell’analogia paurosa della situazione ambientale. Mah, è tutta una costruzione, può servire, non può servire… È servito solo a dire indaghiamo a fondo su Pacciani, non è servito a altro. E oggi a voi deve servire solo a questo, a capire perché non è stata un’indagine a vuoto, ma è stata un’indagine che andava fatta e che gli indizi vengono solo dalle testimonianze, da quello che gli è stato sequestrato, dagli esiti delle perquisizioni. Quelli sono gli indizi; questi sono dati, analogie che servono esclusivamente per capire perché si è indagato. Che nessuno pensi che si voglia dimostrare qualcosa con queste analogie, assolutamente no. Sono servite, lo ripeto a me stesso ma vorrei che fosse ben chiaro a tutti, al solo scopo di dire: “Guardate, non abbiamo trovato uno a caso, abbiamo trovato, con l’indagine tradizionale, un personaggio di questo tipo”. Ma voi giustamente, e io nella mia introduzione mi sono posto un problema: ma c’è un giudicato in questo processo, per un fatto di cui Pacciani è accusato. È quel giudicato relativo al primo delitto di cui deve rispondere, quello del 1968. Quindi era un elemento tale per cui non aveva senso andare ancora a cercare lui perché si sapeva che per il 1968 è stato condannato un altro. È un elemento che oggi è di ostacolo per voi? Vediamo. Lo abbiamo approfondito a lungo durante l’istruttoria, per vedere se è un ostacolo questo. Perché, se questo fosse un ostacolo insormontabile, è tutto un castello che si fonda… che sta in piedi male. Avete voi gli elementi per valutare se questa benedetta condanna del 1968 a carico di Stefano Mele è di ostacolo all’impostazione del Pm? Avete gli elementi? Noi dobbiamo solo vedere questo. Non possiamo, né vogliamo, né è questa la sede, lo abbiamo detto, rifare quel processo del ’68. Dobbiamo solo vedere se quella condanna è in linea con le risultanze processuali di quel processo del ’68 di cui avete voi la sentenza, o se ci sono elementi per dire che quella sentenza, quella condanna, non è in linea con quelle emergenze, che le cose possono essere andate in un modo diverso. Voi avete elementi dicevo per valutare quei fatti… certo che li avete, sono stati portati in quest’aula! Avete la sentenza del ’68, in cui sono ampliamente riportati i motivi della condanna, e le dichiarazioni di Stefano Mele di allora. Avete le dichiarazioni del colonnello Dell’Amico che allora fece le indagini, le diresse. Avete le dichiarazioni dei medici legali che allora fecero le autopsie. Quindi voi avete la possibilità di verificare, perché in quest’aula c’è stata questa verifica, se i fatti di quella condanna sono perfettamente in linea con quel che successe in quel processo e se Stefano Mele è stato condannato, sentenza passata in giudicato, perché gli elementi a suo carico erano inequivocabili. Cosa è emerso oggi, qua: che quella sentenza è in contrasto con alcune delle emergenze di allora; e che, per i motivi che non ci interessano oggi, non fu posto in evidenza. Punto fondamentale che Stefano Mele allora fu condannato perché confessò, nel breve spazio di una serata, davanti ai carabinieri con un rito che non prevedeva la presenza del difensore, che da quel momento, da quella confessione, si è sempre dichiarato innocente! Confessò quella sera, fu creduto. Quella sera calunniò altre due persone (i Vinci), non fu creduto, fu condannato per calunnia. Cioè si credette quando accusava se stesso, non si credette quando accusava altri. Nessuno prese in considerazione il fatto se avesse commesso o meno anche un’autocalunnia, non

interessava, ma chi andava a pensare che poteva interessare a qualcuno? Oggi rivediamolo un attimo quel processo, ha solo questo fine: se quella condanna è ben irogata, ma non possiamo far altro, il codice poi prevede come fare… È un personaggio che disse di aver usato un’arma, di aver sparato otto colpi e nessuno fece riscontri. Ma allora, se era un personaggio che fra l’altro fu dichiarato semi-infermo di mente: cioè fu creduto nella confessione, non fu creduto nella calunnia, si condannò per quello. Fu dichiarato semi-infermo di mente, oggi probabilmente totalmente infermo, non è servito a nulla sentirlo ma non è venuto, disse: “Ho gettato la pistola dopo il delitto – è nella sentenza – nessuno l’ha mai trovata”. Disse dove l’aveva buttata, ce li portò i carabinieri, non c’era. Perché è importante, lo sapete, questa pistola: l’ha mai avuta nelle mani il signorMele Stefano quella pistola? Cosa ha detto qui in quest’aula il colonnello Dell’Amico che era la persona che condusse le indagini allora e che fece il suo rapporto, poi non se ne occupò più è ovvio. Disse, ha detto scusate in quest’aula, a un fine diverso, quello di vedere che fine aveva fatto quella pistola: “Ricordo che quando cercammo con lui di ricostruire la scena gli demmo in mano una pistola uguale, perché ricostruisse come aveva fatto a colpire le vittime, come si era mosso”. “Mi dette l’impressione – il colonnello Dell’Amico l’ha detto qua – che non sapesse neanche da che parte si impugnava la pistola”. Cosa ha aggiunto ancora il colonnello Dell’Amico: “Lo portammo il giorno dopo sul posto per vedere se conosceva la scena del delitto”. Perché questo è importante oggi, perché il colonnello Dell’Amico ci ha detto: “Ho avuto l’impressione, riportandocelo, che conoscesse la scena del delitto ma non conosceva minimamente la dinamica del delitto”. Cosa vuol dire? Ho avuto l’impressione che c’era stato, non so quando, su quel luogo, ma non sapeva cosa era esattamente successo. È questo è emerso proprio qui, ce l’ha dimostrato l’autopsia, ve l’ho dimostrato io nella mia introduzione, ma ve l’ho fatto dire da chi aveva fatto le indagini. Stefano Mele nella sentenza, è riportato il testo della sua confessione, lui la dinamica del delitto la conosce così, nel suo racconto che fece… dice: “Raggiunsi la macchina dal lato sinistro, il vetro posteriore dello sportello sinistro era abbassato” – dice Stefano Mele –“Lo Bianco era sdraiato sul sedile anteriore destro, lato guida, aveva la spalliera abbassata. Mia moglie si trovava sopra di lui, con la testa verso il lunotto posteriore. Presi la mira, feci fuoco, esplodendo tutti i colpi, tutti i colpi che conteneva il caricatore in direzione dei due amanti. Morirono sul colpo.” Questa è la scena,questa è l’auto, questo è il lunotto posteriore, sedile, la donna sopra l’uomo. “Io sparai di qua, questa è l’auto, dal finestrino posteriore sinistro, e li ammazzai tutti e due in un attimo”. Qualcuno ha fatto il riscontro di come andarono le cose? Avete sentito cosa ha detto il professor Montalto qui? Avete letto l’autopsia? Lo dobbiamo fare noi questo processo? No, assolutamente: passato in giudicato. Signori, i colpi sulla donna che era sopra (con le spalle sopra) e che è colpita da Stefano Mele di qua… sono tutti di qua! Sullaspalla sinistra, altro che sulla spalla destra! Ve l’ha ripetuto qua il professor Montalto, lo avete letto nell’autopsia. Uhm, ecco come stanno le cose. Stefano Mele… La ricostruzione della dinamica fatta dai periti di Modena: questi dimostrano come i colpi furono sparati in due volte, di come alcuni… per forza, fu aperto lo sportello davanti, fu attinto… Tutta una ricostruzione logica che a suo tempo non fu fatta! Il professor Montalto è venuto a dirci: “Io feci solo l’autopsia sul corpo della donna. Non interessava fare un’autopsia comparativa, una perizia che dimostrasse la dinamica di quella aggressione. Quindi io so solo quello chefeci”. Cosa ha detto Montalto, che è assolutamente incompatibile con quella dichiarazione di Stefano Mele: “I colpi sono assolutamente a sinistra, incompatibili con la dichiarazione di

Mele.” Questo io voglio dire: “Sulla scena, come dice Dell’Amico, ci sarà stato, ora lo vediamo, della dinamica non sa assolutamente niente”. Ma il colonnello Dell’Amico mette inluce un altro dato che voi avete visto in quelle fotografie e che ci ha fatto notare: signori quello che dice Mele è assolutamente inattendibile. È inattendibile si: lo abbiamo già detto. Dice: “Se avesse sparato tutti i colpi nella stessa posizione, come dice che fece fuoco tutto insieme dal finestrino posteriore sinistro aperto, avremmo dovuto trovare tutti i bossoli” – giustamente il colonnello Dell’Amico è persona che il suo mestiere lo conosce – “raggruppati nello stesso posto, nello stesso punto”. Aveva sparato, come dice, tutto insieme… No! I colpi sono, l’avete visto nelle foto, metà fuori della macchina metà dentro ben distanti. Coincide perfettamente con la ricostruzione dinamica di coloro che hanno studiato il caso, i periti di Modena, andatevelo a vedere. Assolutamente incompatibili con una dichiarazione di Stefano Mele il quale lì non c’è mai stato. Ancora: perché ci sono dubbi che il Mele conosca niente di più che la scena del delitto? Dice il Dell’Amico, l’ha detto in questo dibattimento, prima nessuno glielo aveva chiesto, non interessava: “Quando andammo con il Mele a fare il sopralluogo ci facemmo condurre da lui sul posto lamattina. Sbagliò strada, andò da un’altra parte”. Quindi, io dico, attenzione: quella confessione di Mele, quella condanna di Mele oggi non è di ostacolo a niente. Perché Mele, sicuramente, probabilmente, ha ragione il colonnello Dell’Amico a noi non ci interessa, conosce in parte la scena del delitto; dico io: sicuramente quella dopo, a delitto avvenuto. Non conosce la dinamica, assolutamente lui non ha sparato. È un dato talmente chiaro che oggi diventa un dato sul quale voi dovete poi fondare le vostre decisioni quando qualcuno, come il Pm, vi dice: “In quell’omicidio ha sparato la stessa arma, che era in mano – dice il Pm – a Pietro Pacciani”. Vogliamo fare qualche ulteriore verifica su quest’ impossibile ricostruzione fatta da Stefano Mele, come proprio lui non l’ha fatto quel delitto. Il ragazzo, lo Stefano Mele… il Natalino Mele ci ha detto: non ricordo nulla, non so niente. Ci siamo tutti accalorati, il presidente ha tentato di dirglielo: “Guarda noi ti crediamo fino a un certo punto”. La parte civile, giustamente, ha cercato di saperne di più. Il Pm ci aveva già provato, ha lasciato perdere. Dobbiamo stare al dato di fatto: era piccolo, aveva sei anni, non si ricorda nulla, è attendibile. Ma, allora, perché non adopriamo la logica signori: è quella che ci serve spesso e che spesso abbandoniamo. A me la logica sta particolarmente a cuore, è quella che fa andare avanti il mondo da anni. Non lo dico certo io che il mondo si fonda sulla logica. Ma pensiamo un attimo a questo Stefano Mele che sache la moglie è fuori con il figlio e va a ammazzarla, quella notte si munisce della pistola di cui non sa nulla… Ma, signori, la logica vuole che quella era la sera in cui Stefano Mele, in quelle condizioni, non andava a uccidere la moglie: il figlio l’avrebbe sicuramente visto, riconosciuto, l’avrebbe detto. Quindi che quello sia il delitto del padre, in una situazione del genere e con gli elementi che abbiamo detto, è proprio difficile. Stefano Mele avrebbe trovato una sera in cui la moglie era sola, il figlio ce l’aveva lui, lo lasciavano dai vicini. Il figlio vi ha detto in quest’aula: “Stavo sempre dai vicini”. Quindi è un delitto in cui questo Stefano Mele tutto faceva quella sera fuori che andare ad ammazzare la moglie che sapeva che era con il figlio, l’avrebbe ammazzata quando era sola. Ma c’è di più: il figlio era sul sedile posteriore accanto alla donna che era sopra l’uomo… e qualcuno avrebbe sparato dal finestrino posteriore sinistro? Ma Stefano Mele, che vede lì e sa che c’è il figlio,spara col figlio nel mezzo e colpisce la moglie? Vedete come proprio bastava un po’ di logica, un po’ di senso comune che spesso ci manca, per capire come Stefano Mele lì non c’era a sparare. Quindi pare proprio il delitto fatto da uno non della famiglia, da uno che

ammazza quella coppia chissà perché; qualsiasi motivo, ci mancherebbe, noi non lo sappiamo: sessuale, non sessuale… ma non certo da un familiare! Non certo da Stefano Mele! Aveva mille occasioni per ammazzare la moglie, tanto se lo dovevano scoprire, che non quella sera. Io non ho voluto fare, rifare, quel processo: non mi interessa assolutamente nulla. Io vi dico: guardate quella pistola è unica, ce lo siamo spiegati insieme ieri. Quella pistola che ha colpito nel ’68 sicuramente non era nelle mani di StefanoMele, è stata sempre nelle mani del solito autore. E quindi, questo è il punto, gli indizi che noi raccogliamo per un omicidio si estendono a tutti gli altri. Ma facciamo ancora qualche considerazione logica su come si comportò Stefano Mele quella sera. Cosa disse il bambino? Si presenta non si sa come, ci siamo sbattezzati: aveva i calzini sporchi, non li aveva, aveva camminato 3 km, l’aveva portato qualcuno, non l’aveva portato… A noi interessa cosa disse il bambino. Cosa disse quando suonò a quella casa? “La mia mammaè morta in macchina, il mio babbo è a casa malato”. Cosa che al bambino non poteva aver detto che Stefano Mele.. Ecco come stanno le cose! Stefano Mele, e questa è logica, va a cercare la moglie, va a cercare il figlio, quando vede la scena la prima cosa che fa… vede il bambino, vede la scena: “Qui accusano me”. Porta il bambino, qualcuno lo porta: non lo sappiamo. Lui arriva sicuramente dopo, lo abbiamo dimostrato… Vanno dal De Felice e la prima cosa che dice un bambino di sei anni: “Il babbo è a letto malato!”. Cioè il bambino la prima cosa che fa, fa l’alibi al babbo. Oh, ma pensiamoci: che dato importante, che spiegazione ovvia. Cosa fa questo bambino? Ma cosa, dopo un popò di affare di quel genere a un bambino di sei anni, suona e la prima ed unica cosa che dice è: “il babbo è a letto malato”? Qualcuno glielo aveva detto prima di suonare. È logica, non è niente di più. Voi ditemi che non è e io rimango della mia idea. La cosa sicura è che non ha sparato, la cosa sicura è che il bambino ha detto questo. Allora abbiamo solo fatto riscontri sul fatto che quell’arma che ha sparato è unica, che non è stato Stefano Mele e che l’autore di quel delitto è necessariamente l’autore che ha fatto tutti gli altri delitti. E io vi dico è Pietro Pacciani, ve l’ho detto fin dall’inizio, prima di passare agli indizi. Ma, se è l’autore unico, vediamo, facciamo l’ulteriore riscontro. Ma questo signor Pacciani, forse che tu Pm ce lo vuoi dipingere lì quella sera non si sa come… ma sicuramente non era Stefano Mele, era uno che aveva la stessa arma quindi Pacciani. Abbiamo elementi per dire: “Guarda, Pacciani quella sera lì non c’era assolutamente”? Cioè abbiamo la possibilità di fare dei riscontri negativi, oltre quelli positivi dell’unicità dell’arma? Vediamo dov’era e cosa faceva Pacciani in quel periodo, se aveva un motivo per essere da quelle parti. Perché, a questo punto, se ci fosse la prova che Pacciani nel 1968 era emigrato in America, chiunque sia stato, non Stefano Mele, tu Pm hai voglia a dire “è la stessa arma”, però sei ben lontano… No, vediamo cosa faceva Pacciani in quel periodo. Era nell’impossibilità di agire? Era una persona che era altrove? Era una persona che era stata in carcere fino al 1964, vediamolo vediamolo perché è un dato che bisogna focalizzarlo. Era stato in carcere perché? Per colpa di una donna tutto sommato, la sua ex-fidanzata; la quale si era sposata con un altro,all’uscita dal carcere perché era stata in carcere anche lei. Una donna che era uscita primadi lui e che se ne stava a Lastra a Signa, in via Manzoni. Se ne stava a poche centinaia di metri dalla Locci e dal Lo Bianco. Mah, serve a qualcosa? Non lo so… Pacciani esce dal carcere, ha tutti i motivi di questo mondo per avere rancore e risentimenti di quella donna, che l’ha fatto stare, lui ventenne lui trentenne, 14-15 anni in carcere. Perché nella mente di Pacciani, signori, è ovvio che lui ha ammazzato, ma lo dice: per colpa di lei! Ve l’ha detto anche ier mattina: “Fu lei a dirmi di aggredirlo”. È un uomo che nell’anima è stato 15 anni

(14) in carcere, avendo il rancore tutto possibile di questo mondo nei confronti di questa donna. Lui ha ammazzato ma perché lei l’ha tradito. Esce dal carcere ‘sta donna si sposa con un altro; gli ha garantito con quell’atto di amore, in quel luogo, che si sposeranno… Luiesce, è altrove. Ci dicono entrambi, Pacciani e la Bugli: “Non ci siamo mai visti.” Grazie a Dio qualche teste, con qualche sforzo, che si fossero visti ce l’ha detto. Allora questo Pacciani che è stato con tutto quel rancore: un trentenne che se ne sta i 15 anni migliori della sua vita in carcere; la prima cosa che fa quando si è sposato, sa che lei si è sposata: la va a trovare! La chiama “la sua fidanzata” nel 1984-85 con le figlie, quando gli mostra quella foto porno che sappiamo, i giochi che faceva con quella donna, gli dice “la mia fidanzata”. Porta le figlie a trovarla! È un uomo che se la cerca ancora trent’anni dopo… Ehsignori, è sempre una prova logica, ma nel 1968 avete voglia se l’ha cercata. Nessuno ci dice niente, noi niente sappiamo di più: abbiamo più di un motivo per ritenere che in quel luogo, guarda caso, c’è una Bugli così vicina geograficamente alla vittima, alle vittime, che inquieta. C’è più di un motivo per cui Pacciani l’andasse a trovare. Mi fermo qui perché, cosa vogliamo, dimostrare ciò che non è stato dimostrato? No! Nessuno ci ha detto che si conoscevano, la Bugli sappiamo cosa ha detto. Ma sappiamo che c’è più di un motivo per cui Pacciani ci andasse. Non è provato, assolutamente, è vero. Noi sappiamo, di sicuro, che ha colpito la stessa pistola, che il ’68 non è stato eseguito da Mele; sappiamo ancora che Pacciani stava a Vicchio, che aveva la Lambretta e la Seicento… niente di più. Non stava certamente in America, la Bugli non stava a Milano: guarda caso questo elemento, stranissimo in un processo come questo, della vicinanza di questa donna. Abbiamo in più un Pacciani che nel ’51 ha colpito in quella situazione e ha ucciso un uomo che insidiava una donna: una coppia irregolare. Abbiamo due morti, Locci-Lo Bianco: coppia irregolare. Non abbiamo altro: appartati e la stessa arma. Io come elemento di prova riconosco che c’è questo. Però non ci fermiamo al dato storico che la condanna di Stefano Mele, per il ’68, c’è di impedimento a pensare che abbia colpito la stessa arma. È emersa qualche altracosa su quel delitto del ’68? No, c’è però un dato ancora. Vi ricordate voi, avete letto il verbale di sequestro di cosa è stato sequestrato a Pietro Pacciani? Gli è stato sequestrato nella Fiesta, la sua Ford Fiesta – questo è un documento – acquistata nel 1982-’83, la macchina quindi di epoca abbastanza recente, un giornale. È un giornale in quella Fiesta che tiene lui nel bagagliaio e è la rivista “Oggi”. È aperta a una pagina, è datata 1/08/1968. Cioè il Pacciani, in una Fiesta acquistata nell’83, conserva un giornale, 1/08/’68. Ci sono delle foto, andate a rivederle, non lo abbiamo sufficientemente messo in evidenza, ma voi avete il verbale di sequestro. Nella bauliera di quella macchina c’è un giornale del 1968, primo agosto, il delitto del ’68 è del 21 agosto, che ha un articolo con delle foto. Aperto a pagina 28: il servizio è “Le inquietudini dei fidanzati”. Non vuol dir nulla, è un articolo che parla delle coppie, dei fidanzati, delle loro inquietudini… Serve o non serve leggerlo, chi lo sa. Lo sa solo Pacciani! Perché teneva quella… quel giornale. Del 1968, del primo agosto. Allora signori, questo riscontro vorrà dir pure qualcosa? Dobbiamo crederlo forse quando lui ci dice: “L’ho trovato, me lo son messo lì”. Lo apre a quella pagina, a quella data, lo tiene in una macchina nuova dell’83. Non so cosa voglia dire, lo sa solo la sua testa perchélo teneva. Io dico: “Era un giornale a lui troppo familiare, chissà cosa aveva fatto scattare a quell’epoca…” Perché almeno lo conservava? Non c’è una spiegazione logica diversa per tenere un giornale vecchio; se una spiegazione logica c’è per un giornale vecchio non c’è certo per un giornale del 1/08/1968, conservato nel 1983, non c’è una spiegazione logica per un giornale che parla di questo. Signori, detto questo, ancora non siamo a niente…

dobbiamo cominciare con gli indizi. Io vi ho spiegato, sono lungo, me ne rendo conto ma non è colpa mia, vi ho spiegato soltanto perché c’è stato più di un motivo allora, nonostantequel delitto del ’68 attribuito ad altri, per indagarlo, per intercettarlo, per seguirlo, per sentiretestimoni, per perquisirlo. Questi invece sono gli elementi che a noi servono e su cui si fondano le convinzioni del Pm. Non quelli di cui ho parlato finora, quelli sono solo gli antefatti logici che ci portano a questo signore. Le convinzioni sono diverse e sono quelle convinzioni che partono dal concetto: manca la prova diretta, ma c’è una ragionevole ragione di pensare che lui sappia tuttora dov’è quella pistola calibro 22 che ha sempre colpito, che forse, come sappiamo, è priva dell’asta guidamolla smontata. Manca la prova diretta di quest’arma, quindi gli indizi sono altrove. Ma ci siamo un attimo messi in questa logica? Eh, lui fu condannato sì per la detenzione di due pistole… ma una fu trovata in casa e una non fu trovata allora. Quindi è un dato anche questo, guardate che oggi è significativo. Disse: “L’avevo in un cespuglio, vicino casa” disse in quel processo, c’è nella sentenza. Non la fece trovare, la nascose agli inquirenti di allora. Non gli fece trovare la pistola. Allora perché oggi non possiamo valutare questo dato: un assassino che allora aveva nascosto una pistola – lo dice lui – in un bosco, in un cespuglio; e un assassino oggila cui pistola non si trova… Possiamo comodamente, ma non solo comodamente, ragionevolmente, pensare che sia uno che sa come si nascondono le pistole. È inutile che ve lo ricordi io: è un partigiano… come nascondevano le pistole i partigiani? A cosa serve? Serve! Nei barattoli, in terra, nei boschi. Le nascondevano sotto, magari le mettevano nell’olio perché così erano sempre utili. Noi sappiamo che qualcuno ci ha detto, anonimo purtroppo, che nel 1992 qualcuno ci ha parlato di una pistola in un barattolo, guarda caso una pistola 22. Guardate che analogia: una pistola nascosta nel ’51, non sappiamo come, una capacità di quest’uomo di saper nascondere… Niente di più eh, allora dobbiamo trovare la prova indiretta della presenza di questa pistola perché il fatto che non si sia trovata la pistola non serve assolutamente a dimostrare che è estraneo. In quest’aula, lo ricordo io, nemmeno tanti anni fa, l’anno scorso, è stata condannata una persona per omicidio e non si era trovato il cadavere della moglie che aveva ammazzato. Si dimostrò per indizi che questo signore aveva fatto sparire il cadavere. La Corte di Assise di allora andò a cercarselo e scoprì che aveva nascosto un secondo cadavere. Si condannò quella persona non tanto perché c’erano solo indizi a suo carico, ma perché si riuscì a dimostrare che era così abile che faceva a pezzi le sue vittime, le nascondeva. Cosa ci impedisce oggidi ragionare, come io ritengo si debba ragionare, che se non si è trovata una pistola possa essere nascosta, e noi possiamo dimostrare come abbiamo dimostrato e lo sappiamo, che la pistola non ce l’ha fatta trovare e che è ancora più abile. La sua capacità a delinquere è molte volte maggiore di colui per il quale si trova. Il fatto che non si sia trovata non è assolutamente la prova che non è lui. Allora dobbiamo ricorrere a quegli indizi, a quegli elementi che ci fanno pensare: uhm, quali sono? Sono – ho cercato di sintetizzarli per praticità – sono tanti. Sono le testimonianze innanzitutto, quante testimonianze abbiamo ascoltato che ci portano agli indizi; sono gli oggetti che abbiamo trovato; sono le intercettazioni: queste sono le fonti. Ci siamo, ci stiamo arrivando. Allora andiamo subito perché, davanti a questi elementi, abbiamo avuto un Pacciani che ci ha riempito di menzogne e quindi non siamo in grado di dimostrare o meno se questi indizi lui li abbia giustificati in altro modo. No, lui non ci può servire, dobbiamo fare un meccanismo completamente diverso. Sono indizi questi (testimonianze, oggetti ritrovati, intercettazioni) che hanno già subito un attento vaglio dal giudice in fasi diverse. Sono stati esaminati tutti

in varie fasi dal Tribunale della Libertà per fini completamente diversi, e ci mancherebbe. Dalla Corte di Cassazione: erano fini completamente diversi. Il 15 gennaio del 1994 son stati sintetizzati dal Gip in quel decreto di rinvio a giudizio. Cioè guardate, signori giudici, voi avete alle spalle un lavoro di verifica degli indizi fatto da organi competenti. Erano i primi controlli quelli del Tribunale della Libertà e quelli della Cassazione in una fase in cui sivalutava gli indizi per uno scopo diverso, quello del mantenimento della custodia cautelare.Oggi bisogna valutarli per una ragione ben più grave, quindi devono essere ancora ponderati, però sono indizi che sono stati ritenuti gravi, numerosi, concordanti già allora: l’ha fatto il Tribunale della Libertà, l’ha fatto la Cassazione per un fine completamente diverso. Ma l’avete letto, come l’avrete letto senz’altro, il decreto di rinvio a giudizio del Gip? Li ha esaminati tutti gli indizi, non ha fatto il lavoro che ho fatto io finora di costruire, dicapire chi era. No, no: ha guardato gli indizi in concreto. Ha fatto prima; ma quella costruzione, quel modo di valutare del giudice, sia pure al solo fine di rinvio a giudizio, quindi ci voleva qualcosa di più e qui c’è stato… C’è stato ampio, motivato, dettagliato. Eh, è un lavoro che qualcuno ha fatto prima di voi, non vi condiziona più di tanto però è un lavoro che dobbiamo tener presente. Allora andiamo per ordine perché ora, pian piano, passiamo a vederli. Cominciamo con le testimonianze: sono una fonte di prova indiziaria immensa, sono più di cento persone. Come si fa, oggi, a sintetizzarle? Semplicissimo; è semplice, è un lavoro che si fa abbastanza alla svelta. Basta esaminare i testi sulla base di cosa hanno detto argomento per argomento: è quello che io voglio fare con loro. Non esaminiamo le testimonianze cronologicamente come sono venute: vediamo i testi, teniamoli presenti, focalizziamo cosa hanno detto esclusivamente in base agli argomenti indiziari che hanno loro evidenziato. Quindi è un lavoro semplice se lo facciamo sotto questo profilo. Teniamo presente che sono testi che ci hanno detto tutti la verità: sono testi credibilissimi, disinteressati; chi non ci ha detto la verità, lo abbiamo già visto, sono le persone a lui vicino. Sono testi che ci parlano di episodi vicini, di episodi lontani. Ma noi teniamo presente solo quelli vicini perché siamo i primi a dire: “Come si può credere a gente che ci parla di cose di vent’anni fa!?” Ecco perché la maggior parte dei testi che sonovenuti parlano di episodi vicini. Tranne quei pochi reticenti sono tutti raggruppati per fatti e hanno detto il vero. Quali sono questi fatti? Innanzitutto ci sono parecchi testi, perlopiù di Polizia Giudiziaria, che ci hanno parlato dei luoghi che il signor Pacciani ha frequentato. Allora vediamoli questi testi, a me interessano solo alcuni perché sono quelli che hanno focalizzato come questo signore, come dicevo, è proprio un signore che ha vissuto nel Mugello e nella zona sud-ovest di Firenze. Delitti nel Mugello, lui sta nel Mugello; lui si trasferisce nella zona sud-ovest di Firenze, i delitti non avvengono a Fiesole, non avvengono nel Chianti, proprio dove lui si è trasferito: Mercatale, San Casciano… Questo ci hanno detto, ma ci hanno detto di più. È stato possibile focalizzare molto bene quello checi hanno detto il Maresciallo Falcone e il Maresciallo Frillici: lo ricordate? Chi è il Maresciallo Falcone? È il maresciallo che comandava la stazione di Vicchio quando Pacciani fu scarcerato per il fatto del ’51. Un episodio che abbiamo ben focalizzato col Maresciallo Falcone. Il Maresciallo Falcone allora disse, parlando di luoghi dove viveva Pacciani: “Eh, io lo conoscevo stava a Badia a Bovino, vicino a Borgo San Lorenzo, nel ’65quando è uscito. Lo conobbi perché c’erano continui litigi in famiglia: maltrattava le figlie e io andavo a casa”. Questo ha detto qui il Maresciallo Falcone. Abitava in un posto: Badia a Bovino. “Maresciallo, ma dov’è questo Badia a Bovino?” “Signori giudici, tanto per capirsi” – ci ha fatto il Maresciallo Falcone – “è un posto che si trova a due chilometri due da Le

Bartoline dove nel 197… scusate, dal posto dove nel 19… si Le Bartoline… nel 1974 ci fu l’omicidio a carico di Pettini e Gentilcore”. Cioè è un maresciallo che per dirci dove abitava Pacciani in quel periodo dice: “Mah, io per spiegarvelo voi che non lo sapete, vi posso dire:era lì, proprio dove è avvenuto quell’omicidio”. Caspita maresciallo, ecco come lei ci focalizza il punto. Nel 1965-’70 questo signore abita lì. Eh, dice: “Guardi, per farglielo capire meglio, questo Badia a Bovino è a una decina di chilometri dal Sagginale, posto chevoi in questo processo conoscete di certo; è il posto dove nel 1984 avviene un altro omicidio… Rontini”. Eccoci, un teste che per aiutarci a capire dove abitava Pacciani in quegli anni lì dice: “Guardate, voi che vi occupate di questo, io come vi faccio vedere la cartina geografica…” Ma è una persona che dice: “Io non so come spiegarvelo, voi ci avetela cartina di quei posti?” Ecco, ce lo mostrò. È nel mezzo. Caspita, questo Pacciani li conosceva bene questi posti. Allora ecco dei testi che ci portano degli elementi sui luoghi. Se ne stava andando il Maresciallo Falcone, ci aggiunse: “Guardi, Badia a Bovino è a sei chilometri da Tassinaia”. E cos’è Tassinaia? Il posto dove nel 1951 sicuramente Pacciani ha ammazzato un uomo. Il Maresciallo Falcone è stata persona, insieme al Maresciallo Frillici che poi ci ha mostrato la cartina, che altro se ci ha spiegato i luoghi, eh? Sono luoghiche questo signore conosceva bene. È un triangolo in cui sono avvenuti i tre omicidi del Mugello di questo tipo, ci aggiungo ovviamente il ’51. È un triangolo che ha il lato più lungo che è qualche chilometro. Sono omicidi unici, ci sono solo questi in questo Paese: sono avvenuti tutti in quel triangolo. Li ha commessi qualcuno che conosceva sicuramente i luoghi, ci è stato spiegato; sicuramente ci hanno spiegato i testi, ma non c’era bisogno dei testi le cartine le sapete vedere da voi, sicuramente luoghi in cui in un raggio di chilometri brevissimo ne sono stati commessi tre. Possiamo pure pensare che ci sono due autori diversi, talmente simili fra loro… Noi possiamo farlo, però rimane il dato di fatto. Eccolo un indizio pesante: non ci sono omicidi uguali, commessi da altri altrove identificati. No: l’unicoomicidio uguale commesso da altri, diverso da quelli per i quali è processo oggi è proprio quello del ’51 fatto da Pacciani. Questo è un indizio, deve servire per il vostro convincimento. Andiamo avanti, raggruppiamo ancora questi testi per quello che hanno detto. Abbiamo parlato del suo ciclomotore, tantissime persone hanno parlato di quel ciclomotore, ne ha riparlato ieri lui: i colori… che senso ha? Sono importanti invece le testimonianze che abbiamo sentito. Sono tutte testimonianze che focalizzano la presenza di un ciclomotore uguale, no simile, uguale, ora vediamo perché, nei luoghi e nei giorni dell’omicidio del 1983 a Giogoli. Allora, se qualcuno vi dicesse: “Avete indizi solo per l’83 o per l’84…”. È vero, ma vediamo che tipo di indizi. Questo ciclomotore visto da tante persone può essere il ciclomotore di un altro? Vediamo. Sono talmente tante le persone che hanno parlato di un ciclomotore simile in quel luogo di Giogoli, a quella Villa La Sfacciata in quelle mattine dell’omicidio, che ci consente oggi di valutare se sono attendibili: se quello era il ciclomotore, se la persona vista era lui. Vediamo cosa hanno detto. Io uso questo sistema di raggrupparli, spero di facilitarvi, a me serve moltissimo perché gli indizi sono di questo tipo. Era quel motorino un Cimatti-Minarelli, ma non è quello che importa è il tutti ci hanno parlato del serbatoio a goccia che era prima rosso ridipinto di celeste e di giallo. Abbiamo visto nelle foto che quello che gli è stato sequestratoera rosso sbiadito prima e era stato ridipinto. Teniamo presente che questo signore sa come comportarsi… Era stato ridipinto: era rosso sbiadito, c’è sotto. Cosa hanno detto i testi? Ci sono più persone, io le ricordo. C’è De Giorgio Amelia, vi ha detto: “Abitavo a Villa La Sfacciata”. È stato ricostruito dov’era il motorino su quel cancello a 150-200 metri da

quella villa. “Io – dice De Giorgio Amelia – ho visto un motorino di questo tipo un paio di giorni prima. Era lì parcheggiato, non era nostro. Mi sembrò strano, lo dissi subito ai carabinieri quando ci fu il fatto dell’omicidio. Poteva servire a loro carabinieri per capire se questo motorino aveva qualcosa a che fare. Io, De Giorgio Amelia, ebbi la sensazione che poteva interessare perché non si era mai visto prima. Si è visto solo in occasione di quell’omicidio. Carabinieri fate quel che volete, io ve lo dico.” E glielo dice nell’83: nessuno allora sapeva che qualcuno aveva un motorino, solo quando è stato sequestrato a Paccianiil dato è cominciato a interessare. È stata sentita la proprietaria di quella villa, Sbraci Adriana. Racconto identico: motorino mai visto prima, era lì con quei colori. Entrambe hanno il ricordo focalizzato a prima di quell’omicidio dell’83. Nessuna delle due, per fortunadico io, è così precisa da metterci dei dubbi. No, sono ricordi così come sono: però sono ricordi di allora! Se n’andarono dai carabinieri per dire: “Guardate c’era quel motorino, servirà non vi servirà non spetta a noi. Noi siamo cittadine, vi si racconta”. Qualche altro teste. La mattina del 9 settembre il signor Pratesi Attilio ci dice di aver visto alle 11:30, il giorno prima dell’omicidio, viene scoperto… viene commesso la sera del venerdì e scoperto il sabato. “Io, verso le 11:30, nello spiazzo dove sono stati poi rinvenuti i tedeschi vidi un individuo. Lo vidi di schiena, era a 5 o 6 metri tra i cespugli che guardava. Si nascondeva e guardava. Uno strano atteggiamento, tant’è che mi colpì. Stava spiando cosa c’era. Non vidi cosa c’era nel campo, vidi quest’uomo che spiava.” Non è stato possibile farsi descrivere di più, ci ha detto solo: “Era un individuo dall’apparente età di 50 anni, di corporatura un po’ robusta.” Questo è il dato ma noi non abbiamo elementi di più. Ma in quello spazio c’è una persona di questo genere quella mattina… Ma c’è ancora un teste che è venuto qua a testimoniare. Per ora abbiamo questi: il motorino, questa personache ha queste sembianze stranamente importanti per noi, non forse per ora significative… Ma c’è il Celli Orlando. Celli Orlando è un altro teste, il quale è venuto con maggiori dettagli. Cosa ci ha detto qui? Dice: “Guardate, io passai di lì la mattina del sabato alle 7:30” – l’omicidio era già stato commesso, la notte sappiamo – “Abitavo da lì, da quelle parti, e la mattina del sabato fra le 7:30 e le 8 vidi una persona che guardava nel furgone che aveva la portiera aperta. Era un uomo robusto, coi capelli bianchi, una camicia bianca e guardava all’interno. La cosa che mi colpì, mi colpì dopo perché lì per lì non vidi più di questo… tant’è che andai ai carabinieri quando seppi dell’omicidio che era avvenuto quellasera.” “Come mai – dice Celli Orlando – essendo avvenuto l’omicidio in quel furgone sicuramente la notte precedente, questo signore guarda dentro, è alla portiera, vede, scruta e non ha avvertito la polizia?” “Questo mi colpì!” dice Celli Orlando. Si è cercato di farsi dare una descrizione di questa persona, il Celli ha detto: “Ma io passai così, cosa pretendete da me. Io vi dico quello che ho visto”. Dice: “Era una persona che, da come lo vedo, collima perfettamente, anziano, robusto, capelli, con le sembianze di Pacciani. Non pensiate che io vi possa dire che era lui”. Però vi dice un’altra cosa: “Guardate, era una persona che guardava dentro… perché non andò alla polizia?”. Era una persona che aveva un motivo per non dirlo. Non poteva essere un curioso alle sette di mattina, sette e mezzo, che guardava lì dentro. Allora c’è da vedere se questo teste Celli c’ha altri elementi per vedere chi era la persona. Sì che ce li ha. Dice: “Guardate, io avevo visto nei pressi di quel luogo un motorino…”. Ce lo descrive nello stesso modo di quello che ci hanno descritto i testi: colori rosso sbiadito… Ma ci dice una cosa in più il Celli: “Guardate, mi colpì questo motorino che era lì vicino perché aveva nel portabagagli un portapacchi; un portapacchi dietro con un elastico sopra.” Gli viene mostrata la fotografia. “Sì, come

quello”. Ecco, il dato che identifica nella mente del Celli quel motorino è quell’elastico che èproprio nel motorino di Pacciani che vi abbiamo mostrato. Celli non ricordava alla perfezione, gli fu contestato questo ricordo: è stato fornito alla Corte il verbale di quel Celli. Gli si chiese: “Celli, ma si ricorda quando ha visto quel motorino… se la mattina stessa?” “Io – dice Celli – sicuramente l’ho visto, sicuramente il giorno prima.” Ai carabinieri disse di aver visto quel motorino quella mattina! In aula dice: “Io non me lo ricordo. L’ho visto sicuramente, però è passato tanto tempo.” Cioè nel ricordo del Celli c’è il motorino che, nell’immediatezza dei fatti, è un motorino quella mattina visto insieme a quel signore. E allora la testimonianza del Celli guardate quanto è importante, però è un Celli che molto onestamente dice: “Io, oggi, non preten…” – io gliel’ho richiesto – “di farmi ricordare cose che non ricordo. Io quello che ho detto…”. Allora cosa ha detto? Leggetelo quel verbale reso alla Polizia Giudiziaria: che aveva visto sì quest’uomo quella mattina con quelle caratteristiche, che era rimasto impressionato al massimo perché era un uomo che non avvertì la polizia, ma che era legato a un motorino con quelle determinate caratteristiche. Non solo il colore, ma il laccio sul portapacchi. Allora vedete come le sembianze di questa persona che guarda, sembianze che potrebbero essere comuni a tanti, sono delle sembianze che cominciano paurosamente a identificarsi con quelle di Pacciani grazie al motorino di quel colore, al motorino con quel portapacchi. Celli questo si ricorda. Possiamoancora pensare che c’era: due persone uguali, con motorini uguali, sembianze uguali, che tutte e due avevano un motivo per non avvertire la polizia quella mattina.. Però il motorino è stato sequestrato a Pacciani! L’altezza è stata spiegata a lungo: era più alto, era più basso ci ha detto Pacciani… Ma, ricordate, avete visto voi le fotografie di come è scoscesoquel posto? Eh, come poteva essere sicuro il Celli di dire quanto era alto? Quindi è il portapacchi che lega il racconto del Celli: lui di più non ci dice e fa bene. È un teste attendibilissimo, non è mica venuto a dirvi: “Io vidi, era lui.” “Io ho visto questi dati, vi servono, non vi servono… Era un motorino…”. Che una volta dice di esser sicuro d’averlo visto la mattina, forse l’ha visto il giorno prima, non ha importanza qual è dei due il ricordo migliore. È un ricordo, noi ci dobbiamo fermare a quel motorino. Allora cosa ci faceva una persona di questo tipo quella mattina lì? Non poteva essere che una persona che, vedendoquei cadaveri e guardando dentro, non corse alla polizia. Quindi non può essere che una persona che è legata a quel delitto, chiunque essa sia. Io vi ho detto chi è sulla base del racconto del Celli. Ecco come il motorino allora acquista un’importanza notevole. Perché non è un motorino qualsiasi: c’ha quel colore, c’ha quel serbatoio a goccia, c’ha quel portapacchi. Quanti testi ancora ci hanno parlato di altri argomenti? Tutti quelli che ci hanno detto che Pacciani è un guardone. Quanti! Tantissimi, tantissimi: cosa stiamo a sentire o pensare di poter credere a Pacciani che ieri mattina c’ha continuato a dire: “Io guardone? Io quelle cose le faccio.” Le farà anche, sappiamo come e con chi, ma che andasse nei luoghi a fare il guardone è talmente provato da una quantità di testi che noi oggi non abbiamo alcun dubbio. Li possiamo così elencare, enumerare, ricordare solo per dimostrare come sì era guardone, come mente sull’episodio. Sono testi che ci dicono tutti che lui frequentava luoghi isolati, appartati nei boschi: proprio come quell’autore che è stato ricostruito come il tipo di autore. Quanti e quali sono? Sono così tanti che l’uno vale l’altro, sono talmente numerosi che non si può pensare, come dice Pacciani, a un complotto. Sono così eterogenei, diversi, alcuni disinteressati, che se ammetteva che era un guardone, con tutti i limiti che ho illustrato ieri, non faceva altro che ammettere una verità. Chi sono i primi che ci dicono bene come era guardone? Le figlie. Cosa ci hanno

detto le figlie? Cosa ci ha detto Rosanna Pacciani? Cosa ci interessa il precedente fatto? Ci interessa per quello che sappiamo… Ma Rosanna Pacciani, segnata da traumi che sappiamo per tutta la vita, la Rosanna è quella che è stata ricoverata anche in ospedale a lungo, è venuta qua senza nessuna difficoltà. Ci ha detto: “Mio padre ci portava a fare l’amore in macchina di notte, prima di fare l’amore in macchina di notte con noi andava a guardare le altre coppie.” Si preparava, si eccitava, coltivava le sue devianze sessuali… chilo sa. “Poi – dice Rosanna – veniva da noi in macchina. Aveva anche un binocolo con sé inmacchina…”. La Sperduto dirà che lo usava per guardare le altre coppie. “Una faceva da palo, mentre l’altra faceva l’amore col babbo in macchina dopo aver guardato gli altri…”. Sul fatto che è guardone vogliamo vedere se abbiamo avuto qui testimonianze diverse dalle figlie, che potrebbero essere interessate, serbare qualche motivo di rancore che non hanno? Perché hanno paura, altro che rancore. Ne abbiamo sentite così tante che noi non possiamo pensare ma nemmeno a un complotto, non possiamo pensare neppure a ricordi forzati. Sono talmente schietti questi ricordi di questi testi… (…mancante,ndr…). [Testimonianza: Romano Pierini e Daniela Bandinelli]. A me interessa focalizzare cosa hanno detto. Concordemente hanno detto: “Eravamo all’epoca fidanzati. Ricordiamo sicuramente di essere stati spiati alla fine degli anni ’70 intorno alla mezzanotte. Eravamo sulla nostra Fiat 500. Dove eravamo?” Ce l’hanno detto! “Non eravamo in una piazzola qualsiasi” – hanno detto – “quando qualcuno ci ha spiato” – poi vedremo che cosa hanno detto… – “non eravamo in un luogo appartato qualsiasi: eravamo proprio nella piazzola degli Scopeti.” Quella che poi è stata famosa per i motivi che sappiamo; e ci hanno descritto perché erano in quella piazzola… “Riconoscemmo allora Pacciani, no oggi, nella persona che ci spiava. Aveva in mano una pila.” Tutti quei tentativi di dimostrare come con la pila si vede e non si vede, la Corte ha già provveduto. Pacciani lo riconobbe per primo il Pierini, con sicurezza, perché Pierini ci ha detto: “Abitavo a Montefiridolfi io, come Pacciani.Lo riconobbi subito, non era una persona sconosciuta per me.” Cioè Pierini ha dimostrato perché riconobbe Pacciani, non in una fotografia. “Lo riconobbi perché lo conoscevo e sapevo che era un guardone, quindi mi fu semplice fare due più due. Ma scappammo perché avemmo paura perché sapevamo, a Montefiridolfi si diceva, che era un uomo pericoloso, che era un guardone e che c’era da stare attenti”. Allora quella famosa piazzoladi Scopeti che ancora ieri mattina il signor Pietro Pacciani, imputato di questi gravi delitti, continua a dire di non conoscere, di aver visto in fotografia dove è stato con le figlie, ci viene presentata da due testi come luogo in cui Pacciani andava a fare il guardone. C’è qualche d’un altro, oltre questo Pierini che ci ha detto la stessa cosa? Perché qui non è il discorso solo “testi che parlano di guardone”, ma guardone a Scopeti. Caspita se è importante! Uno può fare il guardone a Fiesole, a noi non ci interesserebbe nulla per questo processo. Un’altra coppia; la Lapini Paola. Lapini Paola è venuta qua e ci ha riferito un episodio identico. Una persona che non si conosce col Pierini, è venuta qua. Dice: “Ero appartata in macchina con un amico, era la primavera del 1982, eravamo in una piazzola: quella di Scopeti dove è avvenuto poi l’omicidio. Vidi Pacciani!” – non dice vidi un uomo che gli assomigliava ecc. – “Lo conoscevo bene perché anche lui era di Mercatale. Sapevo, si sapeva tutti, che era un guardone.” “Era appiccicato – ci dice la Lapini – al vetroposteriore della nostra autovettura. Lo riconobbi. Scesi impaurita e lo vidi mentre si allontanava nel bosco perché noi avevamo reagito. Non ho dubbi che sia lui, lo riconobbi da come si muoveva.” Ancora una circostanza, questa è la Lapini, un altro teste che noi dobbiamo oggi permetterci di non credere perché il signor Pacciani dice che qualcuno ha

fatto un complotto nei suoi confronti?! Siamo a diversi testi. Cosa ci dice la signora Sperduto, che Pacciani dice neppure di conoscere qualche udienza fa, e che ieri ci ha riempito di particolari nella sua conoscenza continuando nelle bugie. Eh, non si ricorda neppure le bugie che ha detto lui e poi vuol parlar di bugie d’altri? Cosa ha detto Sperduto Maria qua davanti a voi? È la donna che tutti abbiamo visto, è una donna all’altezza o alla misura del Pacciani. Dice: “Ho avuto una relazione con lui”. Altro che la cintura compratagli o il ballo del capretto, uhm? La Sperduto dice: “Mi portava a fare l’amore in macchina nella piazzola degli Scopeti”. Aggiunge: “Quando c’erano altre coppie spiava prima quelle…”. Si è messa d’accordo con Rosanna Pacciani forse questa signora? Non si conoscono nemmeno! Eh no, questo dice la Sperduto. Intanto fermiamoci a dove, poi fa anche altri racconti la Sperduto, li vediamo fra un po’. Ma c’è ancora qualche altro teste, sono tanti maio li voglio sintetizzare. C’è Acomanni Benito: quel signore compassato, puntuale. Cosa ci ha detto? È una testimonianza anche troppo particolareggiata, qualche, così, “impressione”ce l’ha data; ma è la persona che si è dimostrata da solo quanto è attendibile come è particolare. Dice: “Sono stato spiato da Pacciani, che io riconosco e che conosco perché era un vicino di casa da una signora da cui avevo comprato un appartamento, o volevo venderlo o comprare…” – non ha importanza, ci spiega perché lo conosce – “L’ho riconosciuto dalla corporatura, dalla camminatura.” È talmente particolareggiato che dice: “Dal berretto con la visiera alzata che ho poi visto quando son state trasmesse delle immagini in televisione relative a quella perquisizione. Cioè, io l’ho riconosciuto per più di un motivo: aveva un ciclomotore…” – cioè ci spiega perché era Pacciani. “Ci spiò – dice Acomanni – mentre mi trovavo insieme ad una donna, ora deceduta; eravamo su un furgone, era intorno all’81. Ci trovavamo all’inizio in un boschetto, nella via di Luiano a Mercatale. Era un uomo che girava intorno al furgone: ci guardava, ci spiava, mi spaventai,cambiai luogo.” L’Acomanni Benito ci dice: “Mi spaventai così tanto perché, dopo che c’eravamo spostati, ci raggiunse nuovamente e ci spiò ancora. Sono certo che era lui.” C’è ancora qualche motivo, qualche elemento per dirci che Pacciani era un guardone? È un guardone e frequentava quelle piazzole, soprattutto Scopeti, per spiare le coppie? Vi ricordate cosa ha detto un personaggio stranissimo, il Pucci Giuliano, quel muratore che l’aveva aiutato a fare il tetto? Pucci Giuliano ci ha detto, vi ha detto: “Conosco Pacciani. Io, vabbè me lo chiedete – c’è stata qualche difficoltà… – ho qualche attitudine a guardone.” Ci ha aggiunto: “Faccio del male a nessuno?” “No” e abbiamo pensato tutti: “Tu Pucci non lo sappiamo cosa fai.” Ma cosa aggiunse… dice: “Quando ci siamo conosciuti” – dice il Pucci Giuliano – “il Pacciani sapete cosa mi propose? Dice andiamo a vedere le donne nude che fanno il bagno al lago di Badia a Passignano.” Cioè è un personaggio Pacciani che, con questo che conosce come guardone, fa delle strane proposte: andiamo a veder ledonne nude; cioè ecco, mah chissà se questo ci sposta qualcosa, ma delle perversioni di Pacciani ci dice parecchio. Lo dice apertamente a uno come lui! Andiamo a fare questo. Il Pacciani… ehm il Pucci, con le difficoltà che ha per dire qualcosa di sé che non fa piacere dire in pubblico, dice: “Io ci andavo, ma non ci volevo andare con lui! Però voleva venire con me, voleva che si andasse insieme.” Questa è una delle perversioni, questa è la prova testimoniale su questo fatto del guardone. Abbiamo una prova documentale sul fatto specifico! Su questo indizio non abbiamo solo prove testimoniali: possiamo dire quello che vogliamo, possiamo anche metterci lì a confutare ciò che dicono questi testi, possiamo avere tutti i dubbi che vogliamo… ma c’è una prova documentale, gli è stata sequestrata. Èquel biglietto inequivocabile che gli è stato trovato nella perquisizione. Quel biglietto dove

c’è scritto: “Coppia Firenze F73759”: è una frase scritta di suo pugno, ce ne ha parlato lui ieri mattina. A chi si riferisce innanzitutto quella targa? A Pitocchi Claudio e Lapini Scilla. Allora vediamo quella targa, vediamo cosa ci hanno detto, e poi vediamo cosa ci ha detto Pacciani. Eh, Pitocchi Claudio e Lapini Scilla ci hanno descritto come loro andavano negli anni che ci interessano, ’85, proprio nella piazzola degli Scopeti a fare l’amore in macchina.Non sanno che qualcuno gli aveva preso la targa. A noi ci interessa solo il fatto che andavano lì e che il signor Pacciani era, non lo so, meticoloso, preciso. Si era appuntato la targa con scritto “coppia” di persone che andavano proprio agli Scopeti! È una prova documentale di questo fatto. Caspita, di fronte a una prova documentale il signor Pacciani, la, comincia a reagire, a scalpitare, dice: “Qua qualcuno mi vuole incastrare! È bene che io cominci a dire le mie, sennò qua cominciano a sospettare veramente di me. La prova documentale non me la posso levare facilmente. Le testimonianze posso dire che son calunniatori, ma la prova documentale?” Al Pm la prima cosa che dice… c’è il verbale: lui non ha accettato di essere interrogato! Ma c’è il verbale delle dichiarazioni rese al Pm e vi è stato fornito. La prima cosa che dice: “Non è mio!”. Tah, Pm zitto! Poi cambia versione. Dà una versione che ha dello stupefacente: non è quella di ieri, quella è la terza. Al Tribunale della Libertà che lo giudica sotto il profilo della sussistenza o meno degli elementiper mantenere la custodia cautelare, dice: “Sì, era mio quel biglietto, ho mentito al Pm”. Sapete… leggetelo cosa dice al Tribunale della Libertà: “Presi la targa per avvertire poi, di giorno, il conducente dell’auto” – come faceva poi a riconoscerlo?! –“che in quella notte c’era il mostro in quei posti. Era pericoloso.” Si erge lui a tutore dell’incolumità di queste persone. Protettore. Prende la targa perché se lo incontrava gli avrebbe detto: “Non ci andare più, c’è il mostro.” Questo scrive al Tribunale della Libertà. Per fortuna le bugie hanno le gambe corte. Ieri mattina terza versione: sono tutti… fanno un complotto contro dilui, la verità ce la dice lui. Ieri mattina, nessuna sottoposizione all’interrogatorio; ieri mattinaci ha detto: “L’avevo presa perché era una targa di una macchina che veniva sotto casa, glivolevo tirare un secchio d’acqua e giù di lì…”. A noi ci vanno bene tutte e tre le versioni, non hanno nessun senso. A noi ci interessa cosa hanno detto i proprietari di quell’auto Pitocchi Claudio e Lapini Scilla. Lui può dire ciò che vuole. Allora abbiamo una prova documentale che era guardone a Scopeti! Cosa ci serve ancora?! Sono elementi, sì indiziari quanto vuoi ma che lui fosse guardone non è un granché come prova: era un guardone a Scopeti. Abbiamo allora un gruppo di testimonianze, che io sto cercando di raggruppare “a imbuto”, che non solo dicono che era guardone a Scopeti ma che frequentava Scopeti, le abbiamo sentite tutte, nei giorni degli omicidi, nei giorni prima degli omicidi. Anche questi sono dei testi inattendibili? Complotti? Sono tanti, non sono uno! Sappiamo che è guardone a Scopeti, c’è anche la prova documentale! Ma che frequentasse Scopeti nei giorni prima degli omicidi ci sono talmente tanti testi che ora elenco da non lasciare dubbi. Ha fatto lo spavaldo ieri quel signore lì, ha detto: “Tutti stavano a guardare me, e che è?!”. No, non è che tutti stavano a guardare lui: è che lui andava tanto spesso in quella piazzola, in quei posti, in quei giorni a fare sopralluoghi che tanti lo hanno visto. Questa è la verità! Sono persone talmente diverse fra loro, talmente disinteressate che noi non possiamo assolutamente dubitare cosa dicono. E noi lo abbiamo sentito colui che non risponde all’interrogatorio: “Tutti stanno a guardare me!”. Seitu che ci sei andato tanto, perché non ce l’hai voluto dire. Allora che fossero tanti coloro che li hanno visti e così diversi fra loro, non c’è dubbio. È il numero di queste persone che ne garantisce l’attendibilità. Il primo che abbiamo sentito è Iacovacci Edoardo. Cosa ci ha

detto Iacovacci? E’ un agente della Digos, persona qualificatissima, che ci spiega come è attendibile. Fece una relazione di servizio, non l’ha fatta per il processo, diciamo… smettiamo con il tipo di illazioni: è una relazione che è stata trovata, è datata 10 settembre ’85. “Vidi un uomo – dice – era il giorno prima dell’omicidio degli Scopeti, cioè il sabato. Io l’ho riconosciuto successivamente nelle sembianze di Pacciani. Io ero lì, lui aveva un motorino. Perché ero lì? Ero lì – dice Iacovacci – perché dovevo andare poi a San Casciano quella mattina. Ma era presto, mi fermai a leggere il giornale nella piazzola degli Scopeti.” Fa una relazione in quei giorni lì. “Erano le 10,30 di mattina, vidi un uomo che poi ho riconosciuto nel Pacciani che arrivò con un motorino. Si mise a spiare la tenda dei francesi: guardò cosa facevano e poi se ne andò.” Perché è assolutamente attendibile? Perché ci spiega come l’ha riconosciuto e ci spiega come allora non fu possibile fare nientedi più che quella relazione. Dice: “La Polizia allora non sapeva che si poteva indagare qualcuno di preciso. Io, aldilà della relazione, cosa potevo fare? Solo quando ho visto che era stato individuato Pacciani l’ho riconosciuto nella fotografia di Pacciani alla festa dell’Uva.” Se non sbaglio dice: “In una fotografia: era proprio lui quello della mia relazione.” Aveva un motorino, era quella mattina. Ma non è mica finito… Le persone che hanno visto Pacciani in ore diverse, in quel luogo, nei giorni dell’omicidio sono tante. Vi ricordate Bevilacqua Giuseppe? Ovviamente sono persone una diversa dall’altra, è questo il bello. Cioè sono più persone, completamente diverse, che ci fanno racconti simili in orari diversi. Bevilacqua ci dice: “Ero passato qualche giorno prima agli Scopeti. Sono l’allora custode del cimitero americano di Falciani. In una piazzola prima di quella poi dove c’è stato l’omicidio c’era una Golf bianca come quella dei ragazzi. Li ho rivisti con la tenda qualche giorno dopo. Era il giovedì o il venerdì prima dell’omicidio…”. Ma aggiunge qualcosa di più,qualcosa che ha costretto la Corte a fare il sopralluogo. “Non solo ho visto la coppia dei francesi lì e quindi so di cosa ho visto, ma, passato il bivio di Faltignano sulla destra verso Chiesanuova, vidi un uomo che poi ho riconosciuto nelle sembianze di Pacciani. Ricordo inparticolare la corporatura e la linea del naso di quell’uomo. Quelle mattine dove prima vedei francesi e poi vede lui. Era in uno stradello, quest’uomo che io ho riconosciuto per corporatura e per il naso, che poi dal dietro porta agevolmente” – forse agevolmente per noi no, ma per lui sì – “alla piazzola di Scopeti.” “Era un uomo che, sentendosi osservato, ha fatto un repentino dietrofront. Sparì subito indietro, tornando in quel luogo che noi conosciamo. È la parte opposta della piazzola di Scopeti dal bosco.” Noi siamo andati a vedere, abbiamo controllato quel luogo, è proprio come dice il Bevilacqua: il suo ricordo è attendibilissimo. Le sue sicurezze oggi non ci possono in alcun modo dare preoccupazione. Ci fanno pensare a un Pacciani che fa sopralluoghi anche di mattina, coluiche è sempre a lavorare! È nervoso in quei giorni, ha in animo sicuramente di fare qualcosa, ha mirato la coppia dei francesi da diversi giorni: il giovedì o il venerdì anche dal dietro li va a cercare, il sabato ci va col motorino (ce lo dicono lo Iacovacci e ce lo dice il Bevilacqua). È persona che è paurosamente vicino in quei due giorni a quel luogo. E questisono testi che noi non solo crediamo perché questo ci hanno detto, ma li crediamo perché ce l’hanno spiegato così bene che non possono oggi raccontare cose non vere. C’è un’altra testimonianza che, se la leggiamo bene, è identica: quella relativa ai giorni precedenti. Eh, perché non siamo ancora alla notte dove ci sono tanti testi. I giorni precedenti: è venuta qua una persona che ha portato la difesa, gli e ne diamo atto, personacredibilissima sotto tutti i punti di vista perché ce l’ha spiegato così bene che non ci può lasciar dubbi. L’avvocato Zanetti è venuto, ci ha detto: “Guardate, io percorrevo quella zona

in quei giorni. Io ho visto in quella zona, c’era una Ford Fiesta bianca, una macchina bianca. C’era una persona vicina a quella macchina.” “Non era Pacciani” – ci ha detto. Allora noi dobbiamo pensare forse che c’erano due Ford bianche, identiche, con persone diverse che spiavano. Mah, tutto può essere: noi ringraziamo l’avvocato Zanetti che è venuto a dirci spontaneamente queste cose. È giusto sentire tutti. Sono i giorni precedenti l’omicidio: o ci sono due Ford Fiesta bianche identiche, o l’avvocato Zanetti ha visto un’altra persona, o tutti gli altri testi si sono sbagliati, o molto più verosimilmente era una delle volte in cui i sopralluoghi, come ci dirà poi Nesi Lorenzo, venivano fatti da più persone. Forse sopralluoghi non certo ai fini nostri, ma quei boschi venivano frequentati da Pacciani e da qualche d’un altro. Il Nesi poi ce l’ha detto chiaramente. Allora perché non leggere bene questa testimonianza? Perché necessariamente pensare a due Ford Fiesta identiche con persone diverse che vanno nello stesso luogo e non pensare a sopralluoghi di… o visite alla piazzola di più persone? Quella che era vicina alla macchina non era Pacciani, poteva essere un’altra, io non voglio spingermi nel vedere chi era quella persona.La descrizione fatta con quel viso incavato, fatta dall’avvocato Zanetti, io non voglio pensare a chi potesse essere. Non abbiamo elementi, se ce li avete voi sfruttateli: io non li ho, fra gli amici di Pacciani se c’è qualcuno non mi interessa. Voglio solo mettere in evidenza come la testimonianza dell’avvocato Zanetti è una testimonianza credibilissima, per niente in contrasto con quanto è emerso finora. Assolutamente no: ci sono tutti gli altri, c’è sempre la Ford Fiesta, non è dimostrato assolutamente che fosse un altro. Anzi che andasse lì con qualche d’un altro, uno che si permetteva di dire al Pucci “andiamo a vederele donne nude”… Uno che la sera, come ci dirà il Nesi e come vedremo, era stato individuato in macchina, nella Ford Fiesta con lui, c’è. Quindi noi possiamo pensare benissimo a gite di questo signore in compagnia, guarda caso lì. Abbiamo sentito ancora una testimonianza, questa veramente schiacciante. È quella di Buiani Italo. È venuto, a processo iniziato, e ha detto: “Mah, io questa cosa la so. Io l’ho vissuta, io la devo dire! Mi sarà… ci sarà pur qualcuno che mi sta sentire? Io questo ho visto…”. Cosa ha detto il Buiani? Che si è presentato da solo, ha chiesto di essere sentito tramite uno dei difensori di Parte Civile. Dice: “Io facevo il magazziniere, lavoravo a Firenze.” Dice: “La sera del venerdì precedente l’omicidio di Scopeti, due giorni prima, percorrevo via degli Scopeti in direzione di San Casciano, intorno alle 21 – 21:30. Ricordo comunque che era già buio, avevo i fari accesi, andavo abbastanza veloce. Quando arrivai a circa 300 metri prima dellapiazzola dove furono rinvenuti i cadaveri dei francesi, dove si trova una stradina sterrata che va nel bosco” – l’abbiamo poi vista nel corso del sopralluogo – “uscì all’improvviso da quella stradina una sera, due giorni prima dell’omicidio, un’auto che riconobbi come una Ford Fiesta chiara con una striscia rossiccia laterale. Aveva una sola persona a bordo, di cui mi rimasero particolarmente impressi: il naso, i capelli un po’ ondulati all’indietro. La Ford Fiesta sbucò all’improvviso dalla stradina laterale, mi tagliò proprio la strada. Non mi dette la precedenza. All’improvviso, dirigendosi nella direzione opposta alla mia. Quando seppi dell’omicidio mi recai in Questura. Lo dissi, feci un identikit, non mi soddisfece. Non riuscii a spiegarmi di com’era… Mi è sempre rimasta impressa questa persona, l’ho visto poi quando è stata pubblicata la sua foto sui giornali. Non ho resistito, sono venuto a dirvelo.” Ford Fiesta, striscia, persona. L’ha detto sempre. È credibile! Allora c’è una montagna di persone che l’hanno visto nei giorni antecedenti in quel luogo, che faceva unasorta di sopralluogo. Noi sappiamo che la mattina della domenica 8 erano vivi: ce l’hanno detto ampiamente, innanzitutto, Boncini Paolo e Borsini Igino che gestivano il bar della

pensione di Scopeti; che hanno riferito che avevano servito un panino alla Mauriot la mattina di domenica 8 settembre alle 11. Quindi sono testi che, man mano in questo quadro, ci dicono: “Lo abbiamo visto nei giorni prima”. “La mattina i ragazzi francesi erano vivi”. Ma allora vedete che la gente le vede le cose, quando si fanno i processi le viene a dire. Ci siamo lamentati che nessuno ci aiutava? Eccole le persone. Tante sono venute, ci hanno detto cose che non sono, non sono in contraddizione fra loro. Sono elementi che ci permettono di fare un quadro perfetto di cosa successe in quei giorni. Sappiamo poi, ce l’ha spiegato il professor Maurri, perché furono ammazzati la notte a quell’ora. Ma abbiamola testimonianza, a questo punto due, di due testi che ci hanno veramente impressionato. Perché sono due testi che dicono non solo di aver visto Pacciani agli Scopeti, ma sono testi che dicono di averlo visto proprio quella notte nelle ore dell’omicidio. Il professor Maurri ci ha spiegato come mai l’omicidio è avvenuto intorno a ore che vanno sulla mezzanotte, ora più ora meno, della notte fra domenica e lunedì. Ce l’ha spiegato con dovizia di particolari, voi ve l’andate a rileggere. Ma, cosa ci dicono questi testi? Quel Nesi Lorenzo che il signor Pacciani dice di non conoscere quando gli fa comodo, perché deve dire… sa che l’ha riconosciuto quella notte, quindi il Nesi viene a dircelo. Dice: “Ma come?! Questo per questo dice di non conoscermi.” Quando parla di quella pistola che sappiamo evediamo… Ma il Nesi, ora dobbiamo vederlo sotto il profilo di quella notte, il Nesi è uno chePacciani ha detto che non lo conosceva, allora lui è venuto, si è sentito in dovere di dirlo. Poi ieri, in contraddizione con sé stesso, ha detto che sapeva persino il soprannome. Ma cosa ci dice il Nesi? In un racconto particolareggiato che noi, critici come siamo, il Pm per primo, abbiamo voluto esaminare sotto tutti i profili, con tutti i riscontri che era possibile fare. Dice Nesi Lorenzo che lo conosce… Per fortuna ora lo ha ammesso lui, gli serviva a un altro scopo ma l’ha ammesso che lo conosceva, quindi il riconoscimento di Nesi è pacifico. Prima c’aveva detto: “Non ci conosciamo, come fa a avermi riconosciuto?!” Ieri nelle sue castelli di bugie ha detto: “No no, mi conosce.” Gli serviva a un altro scopo, ma allora vediamo come stanno… Nesi dice: “Passavo per la via degli Scopeti la sera di domenica 8 settembre dell’85, andavo in direzione di San Casciano, saranno state le 22:30. Tornavo da una gita con amici” – tutto riscontrato ampiamente – “al bivio con la via di Faltignano lo abbiamo visto noi. Illuminai un’ auto Ford Fiesta bianca con una striscia laterale rossa. Riconobbi alla guida Pacciani.” Aldilà del colore della macchina che effettivamente può lasciare dubbi: come, quando e se l’ha riconosciuto, è stato preciso e c’ha spiegato perché riconobbe Pacciani. “Riconobbi alla guida Pacciani, aveva accanto una seconda persona, almeno mi sembrò. Non la vidi bene perché non era illuminata.” È talmente particolareggiato questo Nesi, dice: “Guardate, io gli puntai i fari perché la strada era in quelle determinate condizioni di pendenza.” – che noi abbiamo visto personalmente – “Vidi lui: persona grossa, lo conoscevo bene. Quello dietro non lo vidi. Sono talmente sicuro che era lui che poi ci avviammo insieme, lo sorpassai, lo vidi bene nel sorpasso. Ma i fari non mi consentirono di vedere chi era la seconda persona. Io potevo ipotizzare chi è, chi fosse, ma non ne ho la più pallida idea.” “Nel senso: posso essere sicuro di chi fosse? No, non ve l’ho… non ve lo dico Tribunale, Corte. Io illuminai lui, di quello sono certo: lo conoscevo.” È un teste che ora sappiamo che lo conosceva. Uhm, come ha reagito Pacciani? Con l’arroganza di sempre, l’ha insultato. Eh caspita, era un teste di quelli tosti per lui. Eh, ve lo ricordate cosa… con quale animo. Tant’è che il Nesi si risentì nella sua naturalezza. Gli disse: “Oh Pacciani, io dico la verità, te fai quello che ti pare non mi interessa.” Questo è il Nesi. Uhm, allora abbiamo un teste che, come luogo e come ora,

cosa vogliamo di più. Un teste… cosa ci voleva, cosa possiamo avere in un omicidio simile? O venivano colti in flagrante, o veniva colto in flagrante questo omicida, il nostro Pacciani, o possiamo solo avere in un processo dei testi che dicono di averlo visto nei giorni prima, la sera stessa. Sono le 10:30 dice Nesi. Ma c’è un riscontro ancora a quello che dice Nesi, un riscontro ancora più chiaro che ci dipinge ancora meglio cosa successe quella sera. Signori, questo girò per quella strada, allora vediamo come: quella strada lì, quell’ora lì. E fu visto da qualcuno, gente che si è impressionata. Vi ricordate cosa ha detto Longo Ivo? Quella persona che è venuta qua, quell’ottico? È una persona talmente e sicuramente disinteressata al processo, e che spiega cose così dettagliate, ora vedremo come, che non ci può lasciare dubbi. Dice nei minimi particolari, altro teste che è venuto qua: “La sera di domenica 8 settembre percorrevo la superstrada Siena-Firenze, in direzione di Firenze, provenivo da Grosseto. Ero solo in macchina, superata l’ultima uscita della superstrada, quella di San Casciano, era intorno alla mezzanotte poco più, mi son visto tagliare la strada da un’auto con una persona. Ma me la sono trovata praticamente davanti e poi mi si è affiancata. Lampeggiai, feci segnali acustici: non mi fumò nemmeno, non si accorse nemmeno chi ero. Perché? Che c’ero io. Era una persona che andava per i fatti suoi, aveva la luce dell’abitacolo accesa, aveva un volto sudatissimo, grondava sudore. Era mezzanotte, mi sembrò strano che sudasse. Guidava come se fosse stato in trance.” Questo teste: “L’ho guardato bene, aveva sui 55 anni, era piuttosto robusto. Mi rimase impresso… Quella fisionomia e il viso imperlato di sudore.” “Ci ripensai subito quando avvenne l’omicidio, pensai subito che quella persona non poteva che essere legataall’omicidio. Io quel viso l’ho focalizzato bene. Poi seppi che era stato arrestato un altro, non ne feci di niente. Ma io quella persona ce l’ho in mente.” “Quando poi ho visto Pacciani, sono sicuro” – l’ha detto per ben due volte – “di averlo riconosciuto al cento per cento. Era lui, era un viso proprio quello: imperlato di sudore.” Ma perché questo teste è ancora attendibile al massimo? Perché non è un teste che si è precostituito, confezionato una verità che ci poteva far comodo? Lui ha detto quello che ha visto. Perché ha detto: “Signori, son sicuro che non aveva alcuna macchina bianca, piccola, due volumi.” Poteva benissimo fare un racconto che facesse quadrare il cerchio. No, no: il signor Longo è persona non solo attendibile, ma sicura di sé. Dice: “No, io l’ho visto: era su un’auto metallizzata tre volumi. Questo vi dico: se vi serve bene, se non vi serve io non ho niente da aggiungere.” Quindi che il racconto del Longo sia vero, e quindi lo dobbiamo credere nelsuo riconoscimento, è pacifico. È un Longo che non costruisce un discorso che può aver sentito perché nato in questo processo, da far collimare con ciò che diceva il Nesi. No: “Aveva un’auto metallizzata tre volumi.” Cosa vi hanno detto i testi che sono stati sentiti qua, i carabinieri? C’era, in questo processo, è emersa un’auto tre volumi che lui ci aveva indicato come un modello tipo 131-132. Un’auto metallizzata, un’argenta. C’è un personaggio, un grande amico di Pacciani che ha un’auto simile. È proprio il Faggi che ha un’auto di quelle esatte caratteristiche in quel periodo, scura. Voi provate, io l’ho provato a vedere com’è un’auto metallizzata la notte, come si vede illuminata dai fari, si vede scuro. È un’auto che qualcuno ci vuol… ci dice che era lì. Allora noi senza grosse difficoltà possiamo pensare, ipotizzare che si era fatto prestare la macchina da qualcuno. O dobbiamo necessariamente – il Faggi ne aveva una simile – o dobbiamo necessariamente dire: “No, non era Pacciani. Si son sbagliati tutti”. Un attimo, per carità, questo è un dato inquietante sicuramente. La cosa sicura è che questo teste ha visto Pacciani a mezzanotte che imbocca la superstrada. Abbiamo più di un elemento per pensare che l’omicidio è stato

proprio commesso. E guarda caso sappiamo che, da quel momento in poi, qualcuno è andato da quell’omicidio a San Piero a Sieve: ha imbucato una lettera indirizzata al Pm di Firenze, con un pezzetto di pelle del seno della giovane francese. Proprio in una cassetta di San Piero, che si raggiunge dall’autostrada, che si può raggiungere dalla superstrada Firenze-Siena perché l’imbocco è proprio al Galluzzo. È sicuro che Pacciani quella notte non era a Feste dell’Unità, almeno a quell’ora, non era a casa con la moglie, ma è stato visto imboccare quella superstrada. Io non ho altri elementi, però sono elementi che, caspita, come li raccordiamo in altro modo se non nel modo che abbiamo ricostruito? È un Pacciani che sale su quella superstrada e l’omicidio mi sa proprio che è già stato commesso. C’è un dubbio, ma come mai se Nesi ci dice che, quella sera alle 22:30, era con qualcuno non è venuto questo qualcuno a dirci che erano lì per andare a donne, a cena? Per fargli un alibi, una spiegazione? Eh, il fatto che non sia venuto ci dimostra che sicuramente Nesi si è sbagliato? Che il Longo Ivo si è sbagliato? O ci dimostra che, se c’era qualcuno con lui quella sera su quella Ford Fiesta, è persona che si guarda bene, amico o non amico, da venire da voi a spiegare qualcosa? Cosa potrebbe spiegare? Qualcosa che, se la sa, non la viene certo a dire a me o a voi. Quindi anche sotto questo profilo, la presenza di una seconda persona non sposta assolutamente nulla. Torno al concetto: cosa vogliamo di più per quella notte? Degli estranei, in quelle ore, vedono Pacciani: in quel luogo prima del presumibile omicidio e dopo sulla superstrada, intorno allamezzanotte, chissà se è commesso o no, non possiamo altro che andare per logica. Sicuramente sono persone che hanno visto il Pacciani quella notte. Ripeto: o veniva colto in flagrante o la prova che vi potevamo dare era solo questa. E, attenzione, la prova di queste persone che l’hanno visto è una prova che avete tirato fuori voi Corte, non il Pm. Sono persone che, man mano che il processo chiariva queste presenze a Scopeti di questo signore, si sono presentati da voi e l’hanno raccontato a voi. È un elemento nuovo, è quello schiacciante per quello che riguarda le deposizioni testimoniali, è quello che chiude il cerchio di quella notte: sono due persone che spontaneamente sono venute davanti alla Corte. Non è venuto nessuno, come vi dicevo, spontaneamente a dire: “No, no:abbiamo visto Pacciani altrove”. Allora veniamo al momento di cosa ha detto Pacciani per quella notte, a quel mancato alibi…

Presidente: Vogliamo fare una breve sospensione? Quando lei crede?

P.M.: Facciamola subito.

Presidente: Ecco, allora un caffè.

P.M.: Io vado un po’ per le lunghe…

Presidente: Un quarto d’ora, d’accordo?

– Pausa –

P.M.: Abbiamo qualche problema con i difensori presidente?

Presidente: Ah, o pardon. Dov’è andato Bevacqua?

Voce in coro: Caffè

Presidente: Il caffè glielo offrivamo noi. Vabbè, un minuto: ci chiamate appena arrivano.

– Pausa –

Presidente: Possiamo ricominciare.

P.M.: Grazie. Volevo continuare ad esaminare le fonti di prova testimonianze raggruppate per argomenti. Abbiamo visto, quindi, ora molto nei dettagli quello che sono le testimonianze sui luoghi e sui fatti, soprattutto l’85. Andiamo un attimo allora, vediamola questa notte della domenica 8 settembre ’85. Perché a questo punto avete elementi, tanti, per pensare che è provato che lui c’era. Eh, ma il signor Pacciani Pietro lo sa: allora cosa fa? Cosa ha fatto fino a ieri mattina? O ha creduto di fare perché è sempre lì, lui ci prova; io dico non ci riesce mai. Vediamo cosa ha fatto. Ha tirato fuori subito l’alibi per quella notte dell’85, un alibi, dico io, fallito. Questo, cerco di spiegarmi perché l’alibi fallito dice la Corte di Cassazione è indizio, c’è una bellissima sentenza. Speriamo di riuscire a dimostrarvelo cheè un alibi fallito: i fatti sono proprio in questo senso. Cosa dice Pacciani? Lo dice subito quando lo perquisiscono i carabinieri, poi ci andiamo a vedere il dettaglio. Nel… lo dice quando viene perquisito il lunedì. Dice: “Io quella sera – ieri sera, la sera della domenica – ero alla Festa dell’Unità.” “Con la mia famiglia, mi ha visto Fantoni Marcello, il meccanico.” Dice Pacciani: “La sera di domenica 8 settembre ero a cena alla Festa dell’Unità a Cerbaia con la mia famiglia. La Fiesta non mi ripartiva, mi aiutò il meccanico Fantoni.” Eccola lì! Fantoni, sentito, dice due cose. Sono importanti quelle che dice Fantoni. Fantoni dice: “Nonsono andato alla Festa dell’Unità quella sera.” Primo punto. “Non ho aiutato Pacciani.” Secondo punto. Ma dice la frase che lo smaschera, dice: “Ma sapete cosa mi è successo?”– dice Fantoni – “una settimana dopo l’omicidio di Scopeti, si è presentato da me il Pacciani e mi disse di essere rimasto fermo alla Festa dell’Unità con la sua Fiesta.” Cioè il Pacciani fa sempre così, no: cerca di mischiare una parte di vero con parti sicuramente false. Cioè si costruisce l’alibi, crede lui, in questo modo. Il fatto non è vero, però comincia a tormentare il Fantoni e gli dice: “Ti ricordi ieri…”. Questo dice: “Oh, che vuoi da me?! Tant’è, io non c’ero.” Però il Fantoni aggiunge: “Un fatto simile era grossomodo accaduto, riguardava la 500 che non gli partiva. Ma è tutto un altro fatto. Io quella sera assolutamentenon c’ero a quella festa. Non ho riparato proprio niente, non gli ho fatto partire niente.” Ecco qua, quindi: cosa ci viene a dire, a costruire questo signore? Andate a vedere voi la deposizione del soggetto Fantoni meccanico quanto è credibile nei minimi particolari, ci spiega come il Pacciani si è dato da fare per mischiare le carte. Il solito prestigiatore fino a ieri che non riesce a fare i trucchi. Eccolo qua l’alibi; questo è un alibi falso, un alibi fallito, non è un alibi mancato. Perché ha tentato di falsificare l’alibi e non ci è riuscito! È un indiziotalmente grave che è sufficiente per dare tutta quella luce, se ne fosse mancata, a quella notte. Perché la settimana dopo? Perché è stato perquisito dai carabinieri il lunedì, perché comincia a sentirsi la terra sotto i piedi che si muove. Pietro Pacciani dice: “Qua, stai a vedere che questa volta mi va male… Cominciamo a darci da fare”. Continua in questa attività di mescolare le carte quando da voi, in udienza, nelle prime sue dichiarazioni, cosa dice Pacciani? “Il maresciallo Lodato venne a perquisirmi.” Dice: “È venuto a perquisirmi la

mattina del lunedì, anzi il primo pomeriggio alle tre.” Tentativo goffo, paurosamente goffo, dimischiare ulteriormente le carte perché Lodato e i suoi carabinieri quel giorno erano altrove. Non pensavano assolutamente a Pacciani e ve l’hanno detto. Sono andati veramente da lui, a seguito di un anonimo, il 19. Quindi il fatto è vero: Pacciani lo anticipa asé. Lo anticipa a quel lunedì credendo così di trarne una qualche utilità perché dice: “Io continuo a dire che son venuti il lunedì, così dimostro, io dimostro che mi hanno controllato” – come ha tenuto ieri a dire – “mi hanno perquisito, non hanno trovato nulla quindi non ero e non sono io.” Ci sono i verbali che era il 19 questa perquisizione, dieci giorni dopo. C’è la testimonianza di chi l’ha fatta quella perquisizione, c’è la prova documentale di dove Lodato e i carabinieri di San Casciano erano quel giorno alle 3. Non erano certo a casa Pacciani, era mezz’ora che si era scoperto il delitto. Erano tutti lì, erano a organizzare perquisizioni ai tipi conosciuti, quelli che in quel momento potevano essere interessanti per le indagini. Nessuno, purtroppo, allora conosceva Pacciani. Può attaccarsi alle corde del cielo, invocare dio, gli uomini e la grazia divina per dire che lo hanno perquisito il giorno 9. Può tentare di dire: “Io son stato controllato.” Quello è il suo scopo: non hanno trovato nulla quindi non ero io. No, è stato perquisito dieci giorni dopo: alibi fallito in pieno! Le conseguenze le sapete voi. Ma, a questo punto, abbiamo sicuramente prove schiaccianti della sua presenza lì quella notte. Ci manca ovviamente di averlo trovatocon le mani sull’omicidio: quello che non era proprio possibile, non era successo. E quindi la prova è attraverso le testimonianze. Per gli altri omicidi c’è veramente meno, poco o nulla di prove di questo tipo. Abbiamo per l’omicidio di Giogoli tutte quelle testimonianze che sapete del motorino. Qualcuno potrebbe dire: “Eh beh, allora per tutti quegli altri?” Ma, signor presidente, signori giudici, come potevamo pretendere che qualcuno si ricordasse diaver visto qualcosa dell’omicidio del ’74 o di quello in epoca più remota? Lo avremmo creduto? Mah. Abbiamo fatto tutti i riscontri per quello che ci hanno detto questi testi, per essere tranquilli. E quindi noi crediamo e abbiamo potuto prendere racconti per fatti vicini, per i fatti lontani è troppo difficile: è una strada che non ci siamo sentiti nemmeno in doveredi praticare. Nessuno si è potuto presentare. Ce ne sono tantissimi negli atti del Pm di persone che raccontano fatti senza volti: perché sono fatti che ci parlano di macchine bianche nell’84, che ci parlano di 500, che ci parlano di soggetti simili. Ma nessuno ve li ha presentati perché non avevano la credibilità, la possibilità di riscontro che hanno questi. Non è vero che abbiamo prove solo per un omicidio, assolutamente. Sono indizi che sono stati portati a voi per gli ultimi perché sono tanti e concreti, ma perché hanno avuto la possibilità di riscontro. Vogliamo un attimo ancora vedere tutti i testi che abbiamo sentito, e sono tanti, sul fatto che questo signore aveva delle pistole, maneggiava pistole? Eh, ve li ricordate voi questi testi eh? Quanti sono?! Tanti. A parte nel ’51 che c’è la prova documentale, ma a me interessa vedere se c’è qualcuno che sa o ha visto Pacciani con pistole in epoca più recente. Allora io vorrei che leggeste, perché a questo punto la dovete leggere, l’avrete sicuramente già fatto, la deposizione di quel Petroni Nello, deceduto, di cuiè stato fornito alla Corte solo il verbale di deposizione resa nella fase delle indagini. PetroniNello abitava proprio vicino a Badia a Bovino, siamo negli anni che sappiamo, nel Mugello, quando Pacciani era ancora lì. Petroni Nello, nella sua deposizione al Pm, racconta una cosa che non potete non sottolineare nel vostro convincimento. Dice: “il 6 ottobre 1970 presentai ai carabinieri una denuncia contro Pacciani perché mi aveva minacciato. Pacciani diceva falsamente che avevo insidiato sua moglie”. Anche con i terzi fa il solito discorso quando gli serve di essere arrogante e falso: non era vero, la Manni Angiolina ce

l’ha smentito. “Mi disse – dice il Petroni Nello – se domani non mi porti tua moglie, ti ammazzo.” Questo è il signore… “Aveva nelle mani una pistola a tamburo – quindi non la nostra, ma una pistola – ed uno stiletto.” Cioè “mi minacciò con una pistola e con uno stiletto”, un’arma bianca! Cioè anche nelle minacce questo è un signore, ce lo dice Petroni Nello, che usava questo duplice strumento lesivo. È Petroni Nello, c’è il verbale, è nei vostriatti. Che andava a caccia e che aveva fucili nonostante le sue smentite di ieri “mai posseduto una pistola”… eh, sono talmente tanti i testimoni. Persino le figlie dicono che aveva i fucili, che andava a caccia la notte, che usciva il sabato e la domenica; tutti quei numerosi testi che hanno preso in affitto quella casa dicono che c’erano fucili appesi al muro. Erano da caccia, che servissero o meno non ha importanza: a me mi interessano le pistole. Allora c’è il Nesi Lorenzo. Il Nesi Lorenzo, la prima deposizione che fa in quest’aula: ci ritorno sopra ma l’argomento di cui parla è diverso, è un argomento di pistole.Dice: “Pacciani mi raccontava che uccideva i fagiani con la sua pistola e venivano giù come sassi. Io ci rimasi… però questo Pacciani mi ha raccontato: che aveva una pistola. Ionon l’ho vista com’era ma diceva questo.” In quel momento si alza Pacciani in quest’aula: “Cosa vuole questo, io non lo conosco nemmeno.” Ieri mattina non solo lo conosce perché gli faceva comodo, anzi scomodo dico io, però è così Pacciani non ci posso mica far niente, dice: “Lo conosco”, la ciuca eccetera. Allora? Bene? Quindi che avesse pistole, almeno in epoca lontana, lo sappiamo. Che avesse una pistola-giocattolo non ci serve a nulla, ma ce l’hanno detto Gaziero, i figli. Il signor Gaziero, che gli aveva dato lavoro, ce l’ha detto lui stesso: che avesse familiarità anche con armi-giocattolo nessuno lo nega. Cheavesse familiarità con le armi è documentale oltre il ’51, quella condanna. Ce l’ha detto lui, ma c’è il brevetto di mitragliere da militare. È una familiarità ovviamente non certo – ce l’hanno spiegato i periti – da grande sparatore. Che avesse tentato o fatto un esame per il patentino di cacciatore nessuno lo nega. Ma queste testimonianze sul fatto che avesse pistole a noi ci interessano sì, ma non mai come quelle testimonianze che ci parlano invecedi una pistola in mano a Pacciani in epoca molto più vicina e in epoca molto più importante.Sono due testimonianze che io voglio esaminare un attimo a fondo, perché vorrei che la Corte, tenendoli ben presenti, le valuti in tutto il loro peso. Sono il racconto dello Iandelli Luca; il racconto dello Iandelli che nella Corte è venuto spezzato, perché c’è un racconto originale, che ci è riportato da terzi, dello Iandelli Luca, e c’è un racconto che è fatto successivamente da Iandelli Luca in quest’aula che è leggermente diverso. Cosa dicono i molti testi sentiti: cioè Caioli Luigi, Franco Lotti su cosa raccontava in giro Iandelli Luca? Diceva di aver visto, diceva Iandelli, non l’ha detto nei particolari qui, poi vediamo cosa ha detto e vediamo perché… Di aver visto una persona con un braccio fasciato – questo Iandelli raccontava – che spiava lui e la sua ragazza che si trovavano a far l’amore in macchina in un luogo appartato: lo spazio antistante il cimitero di San Casciano vicinissimoalla piazzola degli Scopeti. “Era l’anno ’84 – dice Iandelli ai carabinieri all’epoca e agli amici– avevo ancora una Passat Volkswagen familiare bianca venduta nell’85.” Fatto vero, quindi è un fatto dell’84. “Tale persona che ci spiava – racconta Iandelli – era come aggrappata al vetro, aveva una pistola in mano, tanto che l’avevo vista dopo aver udito l’urto di una canna di ferro sul finestrino. La canna che vidi era un po’ più piccola di quella della Beretta modello 92…” Che è più grande, quindi una più piccola. Questo è il racconto di Iandelli, ma dice di più in giro sicuramente a persone. “La persona che impugnava era stata da me riconosciuta, da me Iandelli, proprio per il Pacciani perché l’ho incontrato il giorno dopo in paese: aveva un braccio bianco fasciato come quello che ho visto.” Iandelli

viene in aula dopo che terzi, cioè Caioli Luigi e Franco Lotti ci hanno fatto questo racconto: tutto vero, non ho riconosciuto Pacciani. Questo ci dice, tutto vero: vera la pistola, vero tutto ma non posso dire che era Pacciani. Eh, ma allora quali elementi abbiamo noi per valutare se lo Iandelli Luca ha detto la verità a voi Corte o ha detto la verità agli amici? Cheavesse il braccio fasciato ce l’hanno detto le figlie: aveva spesso dei problemi, degli eritemial braccio e gli fasciavano il braccio. Primo riscontro. Ma il riscontro più grosso chi ce l’ha fornito? La allora fidanzata di Iandelli, la donna che era con lui quella sera. Cosa ha detto la ragazza Salvadori Antonella? “Non solo il fatto è vero, ma all’epoca, quando successe, Iandelli che era con me quella sera disse di aver riconosciuto Pacciani.” Iandelli lo nega qua. Come mai? Eh, come si è comportato Iandelli? Quando davanti al Pm è stato chiamato e gli è stato detto: “Sappiamo che eri con una donna, ci dici chi è così riscontriamo?” È arrivato fino alla reticenza totale ma non ha detto chi era quella donna. Cioè Iandelli non ha consentito a noi di riscontrare ciò che la Salvadori ci avrebbe riferito! Che lui all’epoca aveva riconosciuto Pacciani. Salvadori l’abbiamo trovata noi per conto nostro, Iandelli non c’ha consentito: ha fatto muro! L’abbiamo trovata per altre vie, cioè Iandelli sapeva che aveva fatto racconti in giro e che poteva smentire come voleva. Ma la Salvadori Antonella non la poteva smentire perché era persona che si era sposata con un altro e che la verità la sapeva. Ha fatto di tutto per non dirci chi era, l’abbiamo trovata con mezzi diversi con un’indagine paziente dei carabinieri. La Salvadori Antonella è venuta quacon il marito, sposata felicemente; ha avuto un trauma e l’ha dimostrato. Però ha fatto il suo dovere! No come lo Iandelli! È venuta qua, ha detto: “Si, lui mi disse era Pacciani. Io non l’ho riconosciuto. Ero sotto…” Tutto quel discorso che ci ha spiegato… Quindi Iandelli così si è comportato: non ci voleva e ha fatto di tutto per non farci conoscere l’unica persona che poteva smentirlo. Lui ha percorso la strada di dire: “Sì, il fatto è vero ma io non posso dire che era Pacciani.” La sera stessa lo riconobbe come Pacciani e andò subitoa verificare l’indomani se Pacciani aveva un braccio fasciato. Lo vide, lo confermò alla sua donna, ma se ne è stato zitto. Qui è venuto, ha confermato il racconto, non poteva, non ha confermato il fatto che aveva riconosciuto Pacciani. Il Presidente giustamente gli ha chiesto: “Ma forse ha fatto un racconto così… tanto per?” “Mah, no…” È stato lì sul vago. Gli possiamo credere che oggi è un fanfarone, è un contaballe, è uno che si fa grande, o ladeposizione della Salvadori, la donna che era con lui quella sera, è lì come un macigno? Eh, direi proprio che Iandelli Luca non ci può assolutamente raccontare niente di diverso. La Salvadori è venuta tranquilla, con la sofferenza che comporta fare questi racconti: una che si è fatta una vita ma il suo dovere di cittadino l’ha mantenuto. Iandelli no… perché? Ma ve lo siete chiesti? Cosa fa Iandelli? Iandelli riconosce Pacciani nell’84 con una pistola, sa che nell’85 vien colpito un altro. Va a dire in giro che sa di questo di Pacciani e cominciaa sentire in giro chi gli dice: “Amico Iandelli, ma se tu lo dicevi allora questo omicidio dell’85si poteva impedire.” Ecco cosa, come si comporta Iandelli. Cosa difende con la sua reticenza parziale? Difende la sua coscienza. Non può che essere letto così, signori. Perché è talmente specifico il racconto che fa a chiunque lo Iandelli, e soprattutto è talmente specifico il racconto della Salvadori confermato dal marito che non c’è nessun altra spiegazione. È un fatto dell’84, quello di quella notte: Iandelli qui lo conferma tutto, tranne il riconoscimento. In quella condotta che non può non essere poi valutata, lo vedremo, chiedo di trasmettermi gli atti della deposizione dello Iandelli, non può che ipotizzarsi una condotta, se non son già stati trasmessi, se non una condotta di un teste il quale difende la sua coscienza, difende sé stesso perché nella sua interna anima sa

benissimo che lui lo poteva fermare. Perché non c’è altra spiegazione sul fatto per cui mente. Ecco, quindi la testimonianza Iandelli va letta per intero, non la sua smentita, va letto tutto il quadro. Pacciani una notte dell’84 era al cimitero vicino agli Scopeti con una pistola in mano al vetro: c’era una coppia. Questo è il dato che emerge dal processo. Eccola la pistola che comincia anche a comparire, in quel modo indiretto-indiziario, che vi ho fatto presente già dall’inizio del processo; di come la pistola c’è nel processo! È una pistola più piccola di quel modello Beretta ecc. ecc… Ma di questa pistola in mano di Pacciani abbiamo, per fortuna, un’altra testimonianza: molto più articolata nei dettagli, anche se speculare nel punto della credibilità del teste. Qual è questa testimonianza? È identica. È la testimonianza di Bruni Gino, ve lo ricordate? Quel signore anziano, malato, guardiacaccia, che fa in giro un racconto allarmante in punto di possesso di Beretta 22 da parte di Pacciani. E qui lo ammette tutto tramite un particolare, è un racconto quello del Bruni Gino che è speculare rispetto al comportamento dello Iandelli: si dice, si sa, ma in aula non si ammette. Perché anche il Bruni Gino avrà mica la stessa coscienza?! Vediamo come sta la faccenda. Bruni Gino – noi non vogliamo forzare nulla, leggiamo i fatti obiettivi – Bruni Gino ha fatto un racconto in giro. Il signor Cairoli Giampaolo con la moglie si sente in dovere di venire a riferirlo a voi. Sono prove che avete acquisito voi Corte, non sono prove che sono state a lungo sedimentate negli atti del Pm. No no, Cairoli Giampaolo vienetranquillo, sicuro, con la moglie e dice: “Signori, questo Pacciani ho sentito che nega di avere la pistola… Ma sapete cosa so io? So questo: una volta ho udito” – dice Cairoli – “il guardiacaccia Bruni riferire di aver visto Pacciani con una Beretta calibro 22 in mano. BruniGino diceva che la pistola che aveva Pacciani era uguale alla sua.” “Era una Beretta calibro 22 proprio come la mia di Bruni Gino – questo è il racconto che fa il Cairoli a un altro – che è stata la mia di Bruni guardiacaccia controllata nell’ambito delle indagini. La mia è stata sottoposta dai carabinieri alle prove di sparo e me l’hanno resa.” Il Bruni Gino riferisce al Cairoli: “Ma figuratevi se la stessa pistola che io ho visto nelle mani di Pacciani è stata controllata: è una pistola che Pacciani aveva e la deteneva sicuramente in modo clandestino.” Questo è il racconto che ci fa Cairoli e la moglie. Bruni: “Niente, assolutamente non vero. Non ho mai detto cose simili: Cairoli e la moglie inventano.” Perché dovrebbero inventare persone che si animano di pazienza, si sottopongono alla cross-examination, a tutti i fastidi che può dare una testimonianza di questo tipo? Fanno il loro dovere di cittadini, rispondono a quell’appello che è stato fatto sempre a tutti: “chi sa parli.” Sono venuti e questo hanno detto. Bruni nulla; lei signor Presidente giustamente gli dice: “Ma Bruni – perché il Bruni non è venuto da sé qua, ce l’abbiamo portato con le molle,è stato costretto a venire… Dice: “Ma Bruni, ma come faceva il Cairoli a sapere che lei aveva una pistola controllata dai carabinieri?” “Ah non lo so, non è vero nulla.” Atti del processo: Bruni effettivamente, un certo giorno, negli anni ’80 viene invitato in caserma e lasua pistola viene controllata. Cairoli come può sapere questo se non glielo ha detto il Bruni? Ecco come allora il racconto del Bruni deve essere creduto nella versione originale e non nella versione purgata, indecentemente purgata, per la Corte da parte di persona che ha paura! Bruni Gino ha paura di Pacciani! Vent’anni fa è stato menato, ve l’ho detto ieri: è stato tirato giù da un albero, è stato preso nella schiena a botte, c’ha un’invalidità. Haraccontato, lo sapete ve l’ho già detto, di essere cascato! Bruni Gino ha ancora paura di Pacciani. Ma chi è Bruni Gino? Una persona che sa che Pacciani, quando era nel Mugello, aveva una Beretta calibro 22. Come può, così come Iandelli, Bruni Gino venire oggi a ammettere di aver saputo per tempo dell’esistenza di quella pistola in mano di Pacciani?

Una pistola che ha fatto quel che ha fatto? Cosa vogliamo: spostare la coscienza di un ottantenne? Sì, io ci speravo. C’è sempre tempo. Bruni può andare dove crede a dir la verità. Però noi non lo abbiamo creduto, voi Corte non lo avete creduto. Voi Corte lo valuterete, intanto gli atti li avete già trasmessi: è giusto valutare questo comportamento. Bruni Gino, picchiato a suo tempo da Pacciani, ha sulla coscienza il fatto di non aver detto per tempo che Pacciani aveva una Beretta calibro 22. Non c’è altra spiegazione. Ecco la prova di questa pistola nelle mani di Pacciani: altro che pistola giocattolo, è una pistola chesi sta materializzando nella sua vera identità. Non è una pistola di cui ci manca proprio tutto in questo processo. Ci sono due testi, ugualmente reticenti perché testimoniano su fatti importantissimi, che fanno non i cittadini… ma fanno i delatori a terzi sì, ma qui è la paura, è la coscienza che non gli permette di andare avanti. Che qualcuno gli venga in mente di dire: “Che è colpa anche mia?” Mia di Bruni, mia di Iandelli, se Pacciani non è stato fermato per tempo? Sì, io lo dico. Ho tutti gli elementi per dirlo: la coscienza di questi due signori si deve sentire addosso questo peso! Io volevo dar solo la prova che c’è tracciadi questa pistola. Non mi interessa se hanno fatto dei reati, lo vedrà il giudice competente. Come fa paura Pacciani! Ma come vi abbiamo nel dibattimento dato la prova che aveva una pistola, che aveva una Beretta calibro 22. Il Bruni ce l’ha detto, a voglia a smentirlo. Andiamo avanti, perché c’è ben altro a carico di questo signore che cominciamo intanto a delineare molto meglio. Altro che un agnelluccio! È persona che, stando in carcere, ancora intimorisce dei testi. Vediamo l’altezza perché a qualcuno è interessata, a me assolutamente no. Abbiamo fatto giustamente una perizia: quanto è alto Pacciani, quanto era alto? Vado proprio al sodo. Una perizia che avete, giustamente, fatto voi: era alto all’epoca 1,68 m. Ora sta dicendo che è un nano per fortuna, ma la scienza sempre aiuta anche i giudici. Era 1 e 68 all’epoca dei fatti, è stato dimostrato scientificamente. Attenzione: se qualcuno avesse da dire qualcosa sui colpi del furgone dei tedeschi non ha più spazio per parlare. Vi è stato dimostrato ampiamente come quella perizia dei periti di Modena aveva una lacuna: sono stati leali nell’ammetterlo; e come quei colpi furono esattamente misurati quella notte a Medicina Legale: erano sparati sul furgone a un’altezzadi 135-140 cm da terra (in questo arco di cm). Vi ricordate cosa ha detto il professor Chiarelli o il professor Cianciulli, non ricordo chi dei due, sull’altezza della spalla da terra di Pacciani?

A.B.: Il professor Fazzari…

P.M.: No, non l’ha detta Fazzari. L’ha detta colui che… non ha importanza… che ha misurato le…

Presidente: Mi pare anche a me l’abbia detto Fazzari…

P.M.: Benissimo, non ha importanza signori.

A.B.: …Non richiesto, ma siccome il giustizialismo va avanti…

P.M.: Se mi permettete vado al concetto che, aldilà di chi l’ha fatto, è un dato.

Presidente: Era poi un collegio, chiunque l’abbia detto.

P.M.: Benissimo, la persona ha detto: “La sua spalla misurava cm 140 dall’estremità al terreno.”

Argomento chiuso l’altezza. Non ci torniamo più, i testi ci hanno dato questo elemento tranquillo. C’è ancora un gruppo di testimonianze: brevissime perché io con i testi, l’esame dei testi, la ricostruzione di ciò che hanno detto i testi ho finito. Solo con quello, ovviamente. Le abitudini sessuali del Pacciani: qualcuno ce ne ha parlato. Ci interessa perché sappiamo oramai che l’autore di questi fatti è una persona affetta da perversioni, uniposessuale che cerca un rapporto asimmetrico: tutte quelle cose che sappiamo… Allora a me interessano, e sono interessate, le deposizioni di quelle due povere ragazze, le figlie di Pacciani, sotto questo profilo. Non certo sotto il profilo che Pacciani è già stato giudicato prima per maltrattamenti, a me interessa cosa hanno detto in quest’aula. Quel processo l’ha già avuto, ha già scontato la pena: breve, lunga, giusta, ingiusta che ci interessa. Non importa certo a noi. Le ragazze hanno detto: “La sera sceglieva chi tra me, mia sorella e mia madre doveva andare nel letto con lui. Le altre due stavano nell’altra stanza. A volte i rapporti avvenivano in garage… – queste sono il tipo di perversioni di questo signore, queste sono le sue donne che ama tanto – a volte nei boschi vicino a Mercatale.” Ci hanno già spiegato a Scopeti… “Andavamo nei boschi anche di notte, una faceva da palo.” Lo abbiamo già visto. “Ci picchiava, se non accondiscendevamo alle sue richieste, con la cinghia dei pantaloni o con fruste fatte con i salici. Aveva in macchina una pistola che teneva coperta con degli stracci.” Poi hanno aggiunto qualcosa, che noi tutti abbiamo pudore: io ce l’ho, ho difficoltà a raccontarlo però devo. E lo abbiamo sentito qua. Questo èil signor Pacciani! Cosa hanno detto queste ragazze? Usava un vibratore su di noi, ci obbligava a rapporti orali. Non mi interessa il fatto che abbia fatto violenza, è il come per capire che tipo di pervertito è. Ma la cosa più grave è che le ragazze hanno detto: “Quandoha cominciato eravamo piccole, era dura che quell’uomo potesse avere rapporti con noi. Cipreparava con zucchine e cetrioli…”. Questo hanno detto queste due ragazze, eh. “Ci faceva vedere sui giornali cosa dovevamo fare, quale tipo di rapporto. Ci mostrò la foto di colei che ci disse era la Bugli che faceva un rapporto orale” – c’è la foto negli atti – “e ci disse di fare uguale.” Questo è colui che ama le figlie. “Usciva da solo di notte, specie il sabato e la domenica.” Ha continuato a negare questo tipo di rapporto, però, per fortuna, lebugie hanno le gambe corte. Io vorrei che voi vi sentiste le intercettazioni ambientali che sono agli atti della Corte. Vorrei che sentiste cosa diceva Pacciani alla moglie su questo tipo di rapporto con le figlie che lui continua a negare, leggete le intercettazioni ambientali… anzi sentitele, mi scusi, perché sono agli atti alcune bobine: la 29-b e la 59-b. Alla moglie, nei suoi monologhi, dice: “Queste mi accusano… Ma che ci potevo fare se dormivamo nello stesso letto?!” Eh, capito, continua a negare. Dice io eh vabbè, erano nel letto con me, io che ci potevo fare? Eccola lì l’ammissione nelle intercettazioni ambientali. Allora cosa dice come perversione qualche altro teste, perché non abbiamo mica solo le figlie, abbiamo intercettazioni, ma abbiamo la Sperduto. L’abbiamo già sentita, cosa dice a parte il discorso del seno sinistro. Ci interessa, non ci interessa: lo sapete voi. Io sul discorso del seno sinistro tirato fuori dalla Bugli del ’51 che l’ha condizionato ho solo il dato di fatto. È lì, cosa dice la Sperduto Maria? “Mi violentava sempre, mi graffiava il seno sinistro.” Ma quello che aggiunge dice la Sperduto Maria, che fino a ieri ci ha negato. Ci ha detto: “Sì, volevo fare qualcosa con lei ma poi mi costava troppo, se ne è andata…” E tutti quei bei discorsi. La Sperduto Maria dice: “Era violento quando faceva l’amore con me. Aveva un vibratore, lo usava su di me.” Quindi non è solo nei confronti delle figlie… “Diventava una furia se nel bosco c’erano altre coppie, a Scopeti per guardare le altre coppie usava anche una pila.” Questa è la testimonianza della Sperduto: prima

sconosciuta, ieri conosciuta un po’ di più la ballerina del ballo del capretto. Che c’ha fatto – è vero – sorridere ma ci riempie anche di tante lacrime amare. Spesso, dice la Sperduto e ce l’hanno detto 4-5 testi che abbiamo sentito in quest’aula, veniva avvicinata a casa da Pacciani, picchiavano il marito della Sperduto, era in compagnia di qualcuno… Era con l’amichetto Vanni. C’era sempre la 500 bianca, ce l’ha detto la Cenci. E tutti quei testi che sono su un fatto marginale ci servono solo a vedere come il racconto della Sperduto è vero. Allora vedete che tutti gli elementi che dovevamo portare per avere il quadro di questo soggetto: pistola, perversione, duplice strumento lesivo, coltelli, luoghi sono stati tutti, paurosamente dico per lui, completamente dico a voi, confermati in quest’aula; sottoposti queste testimonianze a un vaglio di credibilità, a un controllo totale che ci mette tutti tranquilli. Allora dobbiamo vedere se, oltre le testimonianze perché solo di queste abbiamo parlato ora, abbiamo anche delle prove, degli indizi che vengono da altre fonti. Cioè mi riferisco a documenti che gli sono stati sequestrati, abbiamo questi, a reperti che gli sono stati sequestrati; le intercettazioni le abbiamo già viste. Allora gli indizi: oltre che nascere da questo imponente quadro di testimoni che sarebbero già sufficienti per una grossa risposta negativa nei suoi confronti in punto di responsabilità, negativa contro di lui, ci sono riscontri oggettivi. Possiamo dichiararci tranquilli perché non è una massa di indizi che nascono da testimonianze, che ci lasciano tranquilli perché sono tante, ma ci sono riscontri oggettivi. Quali sono? Cominciamo da qualche documento che gli è stato sequestrato. Che legan questi documenti il Pacciani ai fatti-omicidio. Io quel documento che gli è stato trovato in macchina, quella rivista, ne ho già parlato, parlando della testimonianza: quella rivista del ’68… Mi interessa invece altri documenti sequestrati. Abbiamo visto quel biglietto relativo alla targa “coppia”, è un altro: quindi ci interessa anchecome documento, non è solo la prova testimoniale dei possessori di quella macchina, ma èun documento. Ma ci sono due appunti che gli sono stati sequestrati che riguardano, guarda caso due documenti, appunti a mano di Pacciani relativi alla distanza fra Vicchio e Mercatale. Che strano uno che si appunta questa distanza, è uno che ha motivi suoi per appuntarseli. Vorrei che li controllaste per bene perché sono due, non uno: mica uno solo, perché uno lui ha detto era del Maresciallo Simonetti. Subito, tah! Ha cercato di trovare la scusa… Li vogliamo vedere uno alla volta? Sono quelli sequestrati. Il primo gli è stato sequestrato l’11 giugno del ’90. Io ce l’ho davanti agli occhi in fotocopia, voi avete l’originale. È un appunto in cui dice: “Mercatale km 8548 – Vicchio km 8682”. Poi c’è una differenza, e sa solo lui cosa vuol dire, e poi scrive: “Km Vicchio-Mercatale 134”. Cioè è un signore che ha un documento fra le sue cose: si appunta questa distanza. Ha tentato di dire che lui a Vicchio in macchina non c’era mai stato. L’importante è vedere che è chiaramente una indicazione che parte da un chilometraggio di una vettura perché fa la differenza. Mercatale quando son partito ero a 8548 eccetera, quindi ho fatto 134 km. E uno che si segna i chilometri dei viaggi lunghi. È stato Simonetti ci dice! L’ha fatto lui! Eh beh, bene: però signori c’è un secondo appunto. È un altro, identico, gli viene sequestrato il3-12-’91: dopo, in auto, nella Ford Fiesta. Cosa tiene in auto il signor Pacciani? Un bigliettoin un’agendina gialla, tipo taccuino con scritto sopra, lo andate a vedere: “Notes Pacciani”. Sull’ultima pagina di questa agendina vi è annotato di nuovo il chilometraggio: Vicchio-Mercatale scrive “andate e ritorno”; ci scrive lui andata e ritorno eccolo qua, km 132 scrive sull’agendina che tiene in auto. Poi spiega lui stesso nell’appunto: “Vicchio km 2220” – cioèal ritorno da Vicchio – “Mercatale 2088”. Cioè dice: andata e ritorno questa volta sono 132. Eh, e qui allora comincia ad essere veramente importante questo dato, ma proprio tanto

importante. Forse noi tutti non l’abbiamo focalizzato abbastanza. Cioè, lui scrive di nuovo su un’agendina che tiene in macchina nella Ford Fiesta che questo percorso è di 132 km. Guardate quanto è importante Vicchio-Mercatale, è inutile che ve lo stia a spiegare sappiamo perché ci interessa: sono proprio le due zone degli omicidi, le zone dove abitava.Ma lui scrive 132 km: evidentemente ha fatto qualche piccola deviazione diversa ma il percorso che fa è sempre lo stesso. Sapete quando lo scrive? Quando la sua auto, la Ford Fiesta, è a 2088 km. La volta dopo, nell’altro appunto, è ben 8548. Invece è a 2088 km; 2088 km: questo appunto è nella Ford Fiesta. Vuol dire qualcosa? Lui ha subito detto che gli è stato truccato il contachilometri. Quindi sappiamo, di sicuro, che il dato per noi è importante: sennò non ci sarebbe venuto sopra lui. Noi addirittura a pensare che gli hanno truccato il contachilometri per carità, non ci spendo una parola. Allora vorrei che focalizzaste il fatto che in un certo momento la macchina era a 2220 km; e lui quando la macchina era a 2220 km dopo essere stato a Vicchio da Mercatale lo appunta. Quindi è stato sicuramente a Vicchio quando la macchina era abbastanza nuova perché poi lo riscrive a 8000. Poi lui ci dice il contachilometri è truccato, ora è a qualche migliaio di km ma non ci interessa quel contachilometri. Ci interessa quel 2220, che era 132 km quando la macchina era nuova. La macchina quando l’ha comprata? Novembre 1983… ‘82! Quando è l’omicidio di Vicchio dell’84? Nell’84, quello della Rontini. Noi abbiamo una provadocumentale che quando la macchina era ancora abbastanza nuova, quindi dopo l’82, lui la usava poco. È una macchina che è stata a Vicchio, ce lo dice lui per scritto. Anche qui è una prova documentale: voi la valutate con me o diversamente da me, non ha importanza. È li! Perché è importante, perché ieri mattina questo signore ha cambiato il discorso Simonetti. Ha detto: “Mi avete truccato – non so chi, quindi è una calunnia contro ignoti – il contachilometri!” Vedete quanto è importante, allora non lo avevamo valorizzato abbastanza. Lui ci dice: “Ho sempre fatto tanti chilometri? Me l’avete truccato voi.” Lui ha scritto un biglietto, che teneva in macchina, in cui dice che a duemila km è stato a Vicchio… Eh?! Da Mercatale. Se lo tiene lì in macchina. Perché lo appunti? Certo non per farlo trovare a noi… Allora, capito, che lui ci venga a dire che qualcuno gli ha truccato il contachilometri dovete tenerlo ben presente sulla base di questi suoi appunti. Altrimenti non capite perché lui ci venga a dire che la macchina ha fatto pochi chilometri perché qualcuno gliela ha truccata. Eccolo lì, uno che, ah, tiene una condotta tale da lasciarsi nellaFiesta un appunto di questo tipo. C’è un altro elemento documentale: non forte, non gravissimo come questo, però è un elemento che nell’insieme è un bell’indizio. C’è un appunto che gli è stato sequestrato, sempre in epoca successiva alla sua individuazione. C’ha un biglietto, è scritto un appunto su un blocco contravvenzioni caccia. Come mai lui abbia un blocco delle guardie venatorie non si sa. Rubava, frugava: l’avrà trovato anche questo in una discarica! C’è scritto: “Alla Procura della Republica – Dott. Canessa – PiazzaSan Firenze.” Mha, non serve assolutamente a nulla, è un biglietto che nasce nel mondo carcerario: uno si tiene gli appunti di coloro che indagano su di lui, il nome del magistrato, ilPm che lo sta indagando. È una cosa che non ha alcun valore se non quello veramente inquietante del fatto che “alla procura della republica” con un B solo, con indirizzo identico con un nome di magistrato diverso… la Dottoressa Della Monica. Nel 1985, subito dopo l’omicidio degli Scopeti, arriva un biglietto identico come indirizzo “alla procura”: proprio uguale nella sintassi, compresa la b mancante, con la stessa impostazione, lo stesso indirizzo. Come mai si tiene questo biglietto non ha nessuna importanza, non ha alcun valore. La B ha un grande valore perché quel biglietto sapete voi come, perché e dove fu

mandato. Cosa c’era in quel reperto mandato alla Dottoressa Della Monica o alla Procura? Perché era il magistrato di allora che si occupava di questo caso e il Pm di ora, quello di cui scrive quel biglietto. Forse si appuntava un’annotazione simile, non voleva dal carcere certamente scrivere cose simili. A noi interessa il Republica con un B solo e la sintassi identica anche nell’indirizzo. C’è ancora un biglietto che gli è stato sequestrato che non potete non tener presente. È un album da disegno in cui ci sono in copertina dei pesci; è un album, un quaderno, scusate, in cui c’è un’annotazione nascosta vicino ai pesci. Non è “in chiaro”, cioè è un’annotazione nascosta in un disegno piccolissima. Cioè lui che è abituato a fare tante annotazioni fa un’annotazione simile su questo quaderno… Voi lo avete: ci sono annotati molto in piccolo le date relative alla scoperta e all’omicidio dell’85. Come mai uno si sente in dovere di scriversi le date così piccole? Se gli interessano solo perché qualcuno lo sta indagando su questo e deve rispondere lo scriverebbe in chiaro su un biglietto! Perché su questo blocco lo scrive così nascosto, nel senso che è un quaderno che ha in carcere… Perché lo scrive così? Per motivi suoi che noi non conosciamo. La cosa sicura è una, che sono annotazioni nascoste e che nell’interrogatorio la prima cosa che dice è: “Mha non sono nemmeno mie, fate la perizia!”. Poi dice sono sue. Eh, chi ce l’avrà mai scritto?! Ecco allora dei biglietti che lo legano a questi omicidi; dei documenti, dalfamoso rivista Oggi del 1968 fino a quei biglietti, a quel biglietto “Vicchio 2220” che non hanno altra spiegazione logica diversa dal fatto che si tratta di biglietti che sono legati paurosamente agli omicidi, sicuramente a quelli. Allora, io, cominciando a delineare meglio il quadro, mi immagino quale possa essere il punto della situazione che possiamo fare. Il punto della situazione probatoria a questo punto è questo. Abbiamo dimostrato tante cose: che lui era lì, che aveva la pistola, che quella notte era lì, che è sicuramente legato con questi fatti. Però, non abbiamo ancora una prova oggettiva che leghi Pacciani a un omicidio, a una vittima o alla pistola. Perché noi diciamo: sì, sicuramente il quadro indiziario finora fatto è gravissimo, ma finora non abbiamo alcun elemento oggettivo che leghi Pacciani a quella pistola che sicuramente ha colpito – perché finora sappiamo solo che è una calibro 22 Beretta – o ad una delle vittime. Quindi, se per caso il processo c’ha dato questa prova, cioè un elemento oggettivo che lega un Pacciani così alla pistola o agli omicidi, allora gli indizi sono veramente completi. Se c’è questo, è proprio così. Se questo ilprocesso non l’ha dato, abbiamo la prova che è stato lì, che è senz’altro il tipo di autore che quella notte era lì, ma non abbiamo nulla che lo leghi o a una vittima o alla pistola. Cioè, abbiamo, al punto in cui siamo, una prova evidente di indizi a suo carico; ci manca il punto determinante. Ma il processo ha dato la prova che lui ha qualcosa di qualcuno degli omicidi o ha qualcosa a che vedere con la pistola? Ecco, noi sappiamo che non solo è legato alla notte degli omicidi, non solo a Scopeti, ma sappiamo che.. possiamo dimostrareche non era lì per scopi diversi ma proprio per gli omicidi. Perché si è portato via qualcosa da un omicidio e perché abbiamo la prova che lui ha un reperto legato alla pistola che ha sparato negli omicidi. Mi riferisco a quegli elementi oggettivi che sono gli indizi più gravi che tutti già conoscete, e che io ho voluto presentare in questa ottica, cioè di supporto definitivo a una prova già acquisita in altro modo, pesantissima, che legano Pacciani, il blocco a una vittima, il proiettile alla pistola. Questi sono gli elementi oggettivi che ci permettono di fare quel salto definitivo: il punto di concordanza degli elementi indiziari che altrimenti non sarebbe stato completo. Allora questi elementi vanno un attimo esaminati a fondo. Sono due reperti talmente chiari e talmente studiati che oggi consentono a voi di essere tranquilli, sereni, è quello che serve; e al Pm di parlare di questi reperti con una

completezza di riscontri fatti in quest’aula che gli può permettere di dire che abbiamo raggiunto delle certezze. Perché? Proviamo dal blocco. Il blocco ha delle caratteristiche che ora vediamo: uniche. È talmente significativo che nessuno ne ha mai portato o trovato uno simile, se non la sorella. Il proiettile è talmente caratteristico che nessuno ne ha trovatouno simile, con quelle caratteristiche di sparo, ma si sono solo trovati proiettili calibro 22 non sparati, e nessuno con quegli elementi caratterizzanti. Dice Pacciani: “Sarei un pazzo a tenermelo, un proiettile simile”. Io ti do la prova che tu non l’hai trovato, l’abbiamo trovato noi. Io ti dico che il blocco abbiamo dato la prova da dove viene, e quindi il fatto che te l’abbiamo trovato è un elemento che non certo dipende da te. Vogliamo andare a analizzare a fondo questi elementi? Chiedo alla Corte: non so se è meglio interrompere, vedo che sono le una e venti. Io ne ho per un paio d’ore, presidente, anche meno, forse è meglio interrompere dato che sono…

Presidente: Va bene.

P.M.: Ho visto ora che sono le una e venti. Sono gli ultimi miei argomenti, credo di averli già inquadrati, almeno nell’ottica di come voglio…

Presidente: A quale ora vuole…

P.M.: Alle tre, tre e mezzo mi va benissimo. Io in meno di due ore e concludo.

Presidente: Ore 15 e 30, allora. Va bene, signori, cerchiamo magari di cominciare esattamente alle15 e 30. Questo lo dico per noi e per tutti.

P.M.: Io ce la faccio in meno di due ore, oggi, sicuramente.

-Pausa-

Presidente: Bene, buonasera. Vedo che ci siamo tutti. Ai vostri posti, per favore. Benissimo. Allora, riprende l’udienza e quindi la parola è nuovamente al pubblico ministero.

P.M.: Grazie, Presidente. Eravamo al punto in cui il Pubblico Ministero stava cercando di focalizzare come dopo che gli elementi acquisiti in punto di prove indiziarie sono tanti e ve li ho descritti a lungo stamani c’era la possibilità di vedere se c’erano anche elementi oggettivi ancora più gravi – se si può fare una gerarchia di quelli già esaminati – elementi oggettivi che leghino, come reperti, Pacciani agli omicidi, o meglio, a una delle vittime, alla pistola… e avevo messo in evidenza come questi elementi ci sono, ci danno quella tranquillità ulteriore della quale forse non c’era bisogno, ma che essendoci, ci lascia ancorapiù tranquilli in punto di ricostruzione indiziaria e questi elementi sono quella cartuccia che è stata trovata nell’orto e che lega indissolubilmente Pacciani, tramite la cartuccia, all’arma dei delitti e quel blocco che lega Pacciani a una delle vittime. Allora vorrei vedere un attimo fino in fondo se questi elementi indiziari oggettivi possono essere esaminati nella loro completezza, nella loro obiettività, nella portata indiziaria grave che hanno. Se ci sono elementi di dubbio o se possiamo stare tranquilli. Perché – dicevo – Pacciani ha cominciatoa dire “non è roba mia, mi ce l’hanno messa”. Allora vediamoli uno per uno. Queste sono le

domande che, per ognuno di questi reperti, noi ci dobbiamo fare per vedere se il processo ha consentito o meno di togliere dubbi. Cioè, questi due reperti – blocco e cartuccia – sonosicuramente stati trovati in mano di Pacciani e sono suoi o qualcuno può aver influito in questo; primo. L’altro: sono pertinenti i delitti, sono un proiettile che ha a che fare con quell’arma veramente? È un blocco che ha a che fare con la vittima… con una delle vittime? Queste son le due domande sulle quali noi dobbiamo essere sicuri che il processo ha dato risposte. Se queste risposte positive ci sono allora il quadro indiziario è veramente completo. Vediamo la cartuccia: la cartuccia innanzitutto ci ha risposto alla prima domanda.Lui: “non è mia”. Quindi, ha risolto il problema molto allegramente. Vediamo: noi sappiamo che non lo possiamo credere, però non ci interessa questo. Vediamo in concreto come stanno le cose. La prima cosa che ci ha detto Pacciani di questa cartuccia prima che noi facessimo le verifiche è: “non è mia, me l’hanno messa” – e qui bisogna anche vedere che tipo di calunnia ha fatto – “il giorno in cui sono stato scarcerato” – questa è la prima sua dichiarazione che fa al Pm – “quando mi scarcerarono nel ’91 mi accompagnò a casa il cappellano del carcere di Sollicciano insieme a un detenuto, quindi caro Pm, la cartuccia non è mia. Nel mio orto mi ce l’ha messa il cappellano del carcere di Sollicciano che mi ha accompagnato, il quale quel giorno era in compagnia di un mio condetenuto, tale Sgangarella. È stato lui che mi ce l’ha messa”. Ecco, questo è il primo.. la prima dichiarazione che fa. Dopo, man mano che si rende conto di quanto evidentemente questa è solo una calunnia, continua imperterrito fino a ieri. Dice: “è un trucco, mi ce l’ha messo”. A volte dice: “è stata la polizia”, a volte “è stato qualcuno che mi ha voluto fare questo scherzo”. Bene, noi abbiamo questo dato di fatto. Allora dobbiamo partire dall’analisi di questo ritrovamento, perché lui dice, innanzitutto, gliel’ha messo lo Sgangarella, un detenuto, uno condannato per fatti gravi. Quindi, lui subito scarica le responsabilità a terzi, quindi, vuol dire che per lui è importante. La prima mossa che fa non è quella di dire: “non è importante”; è quella.. quindi sa che è importante, se no non si metterebbe lì a scaricare la responsabilità su terzi. Vedete come già in quel primo momento Pacciani sapeva di avere nell’orto un qualcosa di veramente per lui inquietante, se no non avrebbe scaricato laresponsabilità su terzi e avrebbe detto: “e che è? È una cosa che non m’interessa, non ha niente a che vedere…”. No! Lui sa che quel proiettile trovatogli nell’orto è per lui compromettente. “Eccoti servito, Pm: non è mio, è di terzi”. Allora vediamo come è stato trovato. È stato trovato nei modi che sappiamo, abbiamo fatto.. sono state fatte quelle riprese con la telecamera: lunghe, minuziose; sono state ricostruite tutte in quest’aula, sappiamo come, dove, quando è stato trovato un elemento oggettivo. Al di là del discorso coccinella, “chi l’ha fatto.. - chi non l’ha fatto..”, su questo non lo possiamo credere, abbiamo sentito la Polizia Giudiziaria, ci sono i filmati. Se avete dubbi riguardateli, avete già sentito a lungo come e perché i vari ufficiali di polizia – che non era uno solo – vi hannospiegato di come casualmente trovarono quella cartuccia nell’orto. È ovvio che cercavano la pistola, non cercavano il proiettile. Allora il discorso della acacia e delle buche è invece importante, perché è quel discorso che ha mosso la Polizia a cercare quel proiettile. Vi abbiamo dimostrato come quei due agenti di Polizia Giudiziaria della Criminalpol che facevano l’attività di osservazione (particolarmente, bisogna riconoscere, qualificati) che vennero in aula e vi descrissero come e perché lo vedevano cercare nell’orto da quella finestra, misero in allarme chi indagava. Dicevano: “questo cercava, sondava il terreno”. Lui ieri vi ha detto che il sondino gli serviva per fare le buche. No no, lui sondava, per vedere. Chissà cosa cercava: barattoli, non barattoli, pistole, non pistole.. Non si può

negare che la Polizia, e chi stava dietro la Polizia, pensava di poter fare un’operazione che consentisse di trovare qualcosa di più di quel proiettile, perché negarlo oggi. Quindi il dato è questo: si cerca nell’orto non perché viene un’idea particolarmente felice a qualcuno, ma perché è Pacciani che con il suo comportamento comincia a far sospettare che in quell’ortoc’è qualcosa di importante. E su questo io non avrei proprio niente da dire, quindi sono dei dati di fatto sicuri. Come viene trovato lo sappiamo. Cosa rappresenta quel proiettile ve lo hanno a lungo spiegato ufficiali di Polizia Giudiziaria e a lungo spiegato i periti. Sono delle emergenze oggettive di questo proiettile che per noi sono ancora elementi importantissimi. Perché importante? Si cercava perché ce l’aveva fatto cercare lui. Lui si comporta in quel modo e sa che è importante tant’è che addebita tutto a questo benedetto Sgangarella e al cappellano di Sollicciano; noi vediamo cosa dice questo proiettile. Innanzitutto, esame oggettivo: è un proiettile non sparato, quindi il fatto che non sia sparato, è un proiettile che non aiuta granché perché mancano le tracce primarie dello sparo, quindi è un proiettile apparentemente (perché per fortuna posso dire con cognizione di causa che è “apparentemente”), è un proiettile apparentemente muto: non dice alla prima visione granché. Alla prima visione. Però reca impressa una lettera “H”, va be’.. È stato rinvenuto nella perquisizione del 29 aprile ’92, nella cavità di un palo di cemento.

Presidente: Alle 17 e 45.

P.M. Questo è un dato certo. Quale emergenza viene dopo il ritrovamento di questo proiettile, oltre la grande delusione di chi cercava? Perché è un proiettile apparentemente muto, c’è solo la “H”. Era piena la Polizia di proiettili rinvenuti in qua e là, muti. Sono a giro. Ce ne sono milioni, in sé non dicono niente, non servono a niente. Si fa un primo esame su questo proiettile e si vede qualcosa di diverso: cioè nel gabinetto di Polizia Scientifica, è venuto a riferirvelo il dottor Donato, ci si accorse a un esame accurato che il proiettile non era muto, per fortuna. Era un proiettile che poteva parlare, dire qualcosa di sé, della sua storia. Eh, è importante no? Perché in una vicenda come questa, se un proiettile interessa, il proiettile deve avere una possibilità di essere collegato a un’arma, se no se si guarda solo la sua composizione, o peggio, di che rame è, è un po’ poco. E allora furono nominati degli esperti e si cercò di capire quello che aveva visto in un primo momento il dottor Donato del gabinetto di Polizia Scientifica. Cioè, il primo esame di questo proiettile mise in evidenza (primo esame, quello proprio all’inizio) che la lettera “H” aveva delle coincidenze morfologiche con quelli conosciuti; ma quello che era più importante è che anche quel proiettile aveva un’ “H” che era prodotta da una matrice che veniva dagli stessi punzoni. Anche questo lo avevamo già focalizzato, perché non è un proiettile come tanti altri “H”, maè proprio un proiettile con un’ “H” che pare essere della stessa matrice.. tutte quelle cose che sappiamo. Ma c’era un terzo dato che identificava quel proiettile e è questo il dato che ha permesso di andare avanti e di dire: “non è muto”. Perché questo proiettile aveva delle impronte sopra che lo individualizzavano, non come proiettile nella sua materialità oggettiva, ma nell’impronta passiva del meccanismo dell’arma in cui era stato; cioè, non il proiettile nel suo essere come oggetto, ma nell’impronta passiva dell’arma che ci aveva lasciato sopra qualche segno. Allora il proiettile aveva una caratteristica oggettiva importante. Quali erano queste tracce? Erano delle microstrie sul fondello, laterali, che erano utili per confronti. Quindi la prima traccia che c’era sopra (balistica) che permetteva di dire: “questo proiettile era importante”, è che era un proiettile che era stato in un’arma e

quest’arma aveva lasciato innanzitutto delle tracce laterali. Perché sul margine vi erano delle microstrie rettilinee e parallele; focalizziamo bene questo dato. Vi erano poi sulla superficie laterale di questo proiettile, laterale del cilindro.. sono state evidenziate due lievi incisioni. Terzo, sulla superficie del fondello vi è un’incisione netta. Quindi, tre tracce diverse che permettono di capire qualcosa della storia di questa cartuccia. Le più importanti erano le impronte laterali, le microstrie sul fondello, perché erano delle impronte secondarie di quel fenomeno che viene chiamato “spallettamento”. Era un’impronta relativaa un proiettile che era stato in un’arma e aveva ricevuto dall’otturatore una tale impronta nell’inserimento in canna. Questa impronta c’era. E allora sono impronte importanti perché si disse: “Guardate, queste impronte permettono di vedere se è possibile confrontarle”. Cioè, ci si accorse subito che quelle impronte - la Polizia si accorse di quelle, il gabinetto diPolizia Scientifica - erano quelle impronte secondarie, diverse dalle primarie che sono sul fondello, ma sono quelle laterali.. Quindi non percussione, non estrazione, non espulsione, ma altre impronte: quelle che sono chiamate “impronte secondarie di spallettamento”, che sono impronte – ci ha spiegato il dottor Donato – universalmente riconosciute nel mondo come impronte secondarie e che vengono prese in considerazione quando mancano le primarie dello sparo. Sono impronte chiamate secondarie. Sono – e questo è importante – impronte che sono come le impronte digitali: sono uniche per ogni arma (poi vedremo perché). È universalmente riconosciuto che sono uniche per ogni arma, bisogna vedere poiin questo tipo di armi in particolare; e sono impronte che la individuano. Se queste ci sono, se queste impronte su un proiettile ci sono, si sa e si può dimostrare che sono uniche. Quindi sono individualizzanti le impronte. Continuo a ricordare a voi che si tratta delle impronte, non del proiettile. Ieri parlavo dell’O di Giotto, cioè dell’impressione: non interessa il proiettile, non interessa la carta, il foglio, la tela, la pietra su cui il pittore ha fattola sua impronta. È l’impronta del pittore che interessa; pittore inteso come arma. Quindi questo è qualcosa che è fuori dal proiettile, che ci va dopo, come impronta. Ecco il dato che ci permette di essere tranquilli; se c’è questo dato confrontabile possiamo andare avanti. Questo emerse: c’erano su quel proiettile questo tipo di impronte che erano caratteristiche, come posizionamento, come andamento, come numero di fasci, come livello altimetrico. Il primo giudizio che fu dato dalla presenza sul proiettile di queste impronte fu il giudizio di “utilità per confronti”, cioè c’erano, erano utili per confronti. Esattamente lo stesso giudizio che si fa con le impronte digitali: si guarda se sul bicchiere ci sono impronte; se ci sono meno di tot strie si dice: “non sono utili”. Se sono più di 14, 16 o quel che è, sono utili per confronti. Si disse: “Quelle su quel proiettile – impronte secondarie – sono utili per confronti”. Può darsi che queste impronte secondarie abbiano subito una alterazione per la successiva percussione sopra, bisogna vedere quelle a montee a valle della percussione cosa è rimasto. Saranno piccolissime perché sono laterali, ma essendo impronte a freddo, fatte al di fuori della percussione, sono impronte importantissime (sono concetti difficili ma cerco di semplificarli al massimo; li hanno fatti i periti, sono sicuro che voi li avete capiti meglio di me, ma insisto ugualmente). Sono impronte che sono talmente caratteristiche e uniche, se ci sono possiamo sperare di confrontarle. Solo in quel momento, quando ci si accorse che c’era questa individuazione dell’impronta, si disse: “Beh, cosa stiamo a fare, andiamo subito a vedere se nei proiettili, anzi, nei bossoli, che sono stati sparati e repertati negli omicidi, ci sono impronte simili.” Si fece un incidente probatorio, si dette incarico a il Gip, a dei periti, si dette incarico all’ingegner Benedetti di Gardone e al generale Spampinato di vedere se sui bossoli c’era

qualcosa di simile. Queste impronte secondarie, diverse dalle primarie. La prima cosa che notarono i periti è che queste impronte secondarie erano effettivamente anche sui bossoli degli omicidi! Questo è importantissimo: potevano non esserci, perché la Polizia ci aveva solo detto: “Su questi di Pacciani ci sono, se ci sono anche su quelli degli omicidi sarà possibile confrontarli e vedere se sono uguali”. Ma il primo giudizio era necessario farlo sulla presenza o meno di simili impronte secondarie. I periti verificarono, erano sicuri di quello che potevano fare ma lo verificarono e dissero: “Ogni esemplare di pistola Beretta calibro 22 LR serie 70, a causa delle tracce di lavorazione presenti sullo spigolo inferiore della testata dell’otturatore produce, nella maggior parte dei casi e sempre nella fase di introduzione in canna della cartuccia, una serie ripetitiva di microstrie tra loro parallele su un piccolo settore situato in prossimità del collarino del fondello del bossolo”. Proprio così. Anche la Beretta, come tutte le armi, la calibro 22.. E’ un accertamento in più che fecero, non necessario, perché è universalmente noto che le armi, le pistole, lasciano queste impronte di spallettamento. Ci fu la verifica sperimentale che anche queste armi produconoquesto tipo di impronta prima dello sparo. Allora si fece il confronto. Facciamo - e questo fecero i periti - il confronto fra queste impronte secondarie sul bossolo di Pacciani, trovato nell’orto di Pacciani, e sui bossoli degli omicidi. Conclusero nel modo che sappiamo: onesto, leale, giusto, corretto, che noi dobbiamo richiedere a ogni perito. Dissero e spiegarono perché loro potevano concludere in un solo modo: le microstrie trovate nel confronto fatto fra il bossolo-cartuccia di Pacciani e quelli repertati negli omicidi portavano ad una verifica di una “buona identità”, di un’identità significativa, di una buona coincidenzadell’andamento delle microstrie; e spiegarono perché non potevano andare oltre: perché c’erano delle differenze, ma non erano dovute alle microstrie originali; erano dovute – ve l’hanno spiegato – al fatto che le differenze erano che il bossolo di Pacciani – la cartuccia –non era sparata e la microstria era vergine, nei bossoli sparati era stata obliterata in parte dal meccanismo di sparo-percussione. E aggiunsero: “Sono talmente spazi piccolissimi quelli rimasti in cui abbiamo fatto il confronto che l’aver trovato queste coincidenze ci lasciatranquilli sull’identità.” La cosa più importante che dissero è che non avevano trovato nessuna divergenza, cioè un’impronta individualizzante in quel modo, in parte coperta, era identica, non c’era alcuna divergenza. E fecero di più: ci dissero e ci hanno detto – è negli atti – che la coincidenza nei modi che ho detto era fra il proiettile Pacciani e tutti i bossoli repertati negli omicidi; cioè, non un solo omicidio: questa era una cosa che non solo lega ancora una volta gli omicidi fra sé, ma lega indissolubilmente il proiettile trovato a Pacciani con quelli repertati negli omicidi. Addirittura concludo dicendo che la presenza di microstrie comparate sono in tre bossoli: per l’omicidio Gentilcore-Pettini, in uno nell’omicidio Foggi-De Nuccio, due Baldi-Cambi, uno Migliorini-Mainardi, uno Meyer-Rusch, quattro bossoli con le stesse identiche nel Mauriot-Kraveichvili. Perché non è completa? Perché c’è quella percussione sopra. Allora perché noi diciamo che questa è identità? Perché gli spazi sono talmente piccoli, perché – ci concludono i periti – gli elementi di identità sono dati sia per quanto attiene all’andamento di queste microstrie, sia al posizionamento reciproco dei microprofili, soprattutto per quelli più profondi e maggiormente incisi. “Si tratta – ci hanno detto – di superfici non omogenee in cui per correttezza noi periti non possiamo dire di più”.Ecco: il dottor Donato vi ha spiegato perché l’identità è totale e perché trattandosi di microstrie talmente piccole, il fatto che siano uguali in spazi infinitesimali ci dà sicurezza. Una sicurezza che a dei periti balistici non può essere ovviamente chiesta in un caso comequesto: loro devono dire solo – come correttamente hanno fatto – quali sono le identità; il

discorso di certezza deve venire anche da altri elementi. E noi li abbiamo tutti. In parole povere noi sappiamo che la possibilità di confronto si è potuta eseguire perché quell’otturatore della Beretta – di questa benedetta calibro 22 che ha colpito sempre – ha delle caratteristiche particolari che producono microstrie, che sono su tutte, sia sul bossolo Pacciani che sugli altri. È un otturatore che ha caratteristiche attive tali da fare microstrie identiche. Ci hanno spiegato i periti che è un otturatore che ha queste caratteristiche attive perché, nella fase della lavorazione della fresa, ci sono delle imperfezioni che poi vengono ripulite a mano con una lima e con degli scovolini per cui ogni otturatore nella parte attiva che poi colpisce quando inserisce il proiettile in canna, è diverso dall’altro. Perché per forzaè un otturatore che è stato lavorato a mano. Io insisto col dire “siamo tranquilli”, e dobbiamo riconoscere che noi oggi possiamo dire che abbiamo una sicurezza in questo perché quell’otturatore è unico, con quelle forme è in quella pistola che noi non abbiamo trovato, ma è in tutti i bossoli. L’impronta che lascia quell’otturatore, degli omicidi e sul proiettile di Pacciani, è un otturatore che un giorno un ignaro operaio della Beretta, 25-30 anni fa, lavorando quell’otturatore, l’ha fatto in modo che oggi ci ha consentito di dire: “Noi possiamo paragonare quel proiettile di Pacciani con quei bossoli”. Dobbiamo ringraziare l’ignoto operaio della Beretta, che lavorò quell’otturatore! Questa è la sintesi di tutto questo discorso. È così. L’impronta è stata data da quell’otturatore lavorato a mano. Allora, vedete come in questo modo queste microstrie consentono di dire che quel proiettile trovato nell’orto di Pacciani è stato proprio colpito da quello stesso otturatore di quella pistola. Ma c’è di più: dicevo all’inizio, le tracce trovate su quel proiettile sono anche altre; ci sono delletracce laterali che sono – c’hanno detto i periti – la prova che il proiettile si è inceppato, un giorno. C’è la prova dell’inceppamento dell’arma – ci dicono i periti – con l’innalzamento della cartuccia che è rimasta tagliata tra la canna e l’otturatore, scarrellando. Poi o è caduto o è stata estratta manualmente. Ma c’è ancora di più. Ci sono tracce allora: quelle importanti sono le microstrie perché sono su tutti; c’è la spiegazione di questa mancata introduzione, su questi segni laterali; ma c’è un’altra significativa rilevante identità, ci hannodetto i periti e l’hanno questa messa in evidenza proprio loro. Cosa ci hanno detto? “Sulla superficie del fondello (questa volta proprio dove è la “H”) è stato individuato un solco centrale con delle microstrie (questo nel bossolo Pacciani); ecco: questo solco che si trova sul bossolo di Pacciani è un solco che si trova anche nei bossoli degli omicidi repertati in occasione degli omicidi Migliorini-Mainardi e Meyer-Rusch.” Eh, allora c’è un altro elementodi identità. Perché solo in due? Ce l’hanno spiegato: perché questa è una traccia che è fatta dalle labbra del caricatore nel momento dell’inserimento e l’inserimento non è sempre uguale; ma anche queste labbra del caricatore si consumano sempre nello stesso modo e quindi hanno una caratteristica tale che, se vengono individuate in qualche proiettile, vuol dire che sono labbra di un caricatore che le ha lasciate nel momento di un inserimento e la loro presenza è identità. Ma non è tanto il solco di questo caricatore delle labbra ma sono le microstrie presenti all’interno che sono identiche nel proiettile Pacciani e nei bossoli repertati; quindi aldilà, oltre il solco come forma sono le microstrie all’interno, che è un’imperfezione, data sempre dalla parte attiva di questo caricatore, nel momento in cui viene inserito il proiettile. Su questo abbiamo per fortuna sentito tante persone. Abbiamo sentito: i consulenti di parte del Pm, i periti del Gip, abbiamo sentito il consulente di parte della Difesa. Sono stato proprio contento che l’abbiamo sentito su questo elemento e che ha fatto una sua relazione; perché questo signore, il signor Morin di Venezia, ci ha detto: “Primo, io le mie conclusioni le prendo per la difesa ma non ho visto alcun reperto, quindi

parlo un po’ a scatola chiusa, sulle fotografie”. Vabbè, è stato onesto, che doveva fare? Eraovvio: non esisteva prima, è stato nominato dopo e cosa poteva fare di diverso? “Ho visto le perizie; posso dire che, effettivamente, nonostante qualche foto che mi lascia perplesso, tutti i bossoli di tutti gli omicidi, parlo delle vecchie perizie, sono sparati dalla stessa arma”. Quindi anche la Difesa col suo consulente ha dovuto riconoscere - ma dubbi non ce n’erano - che si tratta della stessa arma. Ma ha aggiunto: “Io non ho visto né proiettili, né bossoli degli omicidi, né la cartuccia di Pacciani, però voglio dire qualcosa anch’io..” - e siccome l’ha detta correttamente il signor Marco Morin, io sono ben contento che l’abbia detto - e ha detto: “L’unico elemento che qua ci interessa è quello delle microstrie, quelle sul fondello laterale, quelle microstrie ci possono interessare perché quelle sono effettivamente elementi significativi; io vi dico, per avere certezza è senz’altro difficile, io vorrei un’identità totale, però ammetto.. ammetto anch’io che, effettivamente, per dire qualcosa di positivo bisogna vedere che ci siano più fasci di strie: il loro andamento, la loro altezza; solo in questo caso, io posso, come metodo, essere tranquillo”. E questo è il metodo che hanno seguito i periti del Gip! Ci hanno spiegato come le microstrie sono significative perché hanno tutti questi parametri. Il Morin ha fatto il suo mestiere; ha detto: “Io la certezza ovviamente non la posso certificare, però non la escludo; io vorrei che fossero identiche, e allora come perito balistico sarei contento”. Non ci ha detto che l’identità non poteva esserci perché c’è sopra quel meccanismo della percussione che non permetterà mai di dire che sono uguali, quindi è un discorso che lui ha fatto: teorico, comprensibilissimo, vero, apprezzabile, giusto, ma è fatto da una persona che ragiona sulla carta. Dice cose vere, non ha visto i proiettili e quindi tenta giustamente di dire: “Per parlare di identità fatemele vedere uguali”. Noi sappiamo che sono talmente individualizzanti che non c’è possibilità di dubbio. Non ne esistono – ci hanno detto i periti –due uguali, perché tutti gli operai della Beretta, lavorando a mano, necessariamente li fanno diversi, gli otturatori. Concludendo, quindi, comprese le giuste osservazioni dei periti balistici di parte, possiamo con tranquillità oggi dire che non abbiamo più dubbi, che voi avete in atti questo dato pacifico: ci sono sul proiettile elementi che ci consentono di dire che il proiettile Pacciani (trovato nell’orto di Pacciani) è una cartuccia 22 Winchester “H”, è stata in una pistola, ha numerose microstrie, identiche con gli otto omicidi, con quelle differenze che sappiamo e che non dipendono certo dalla diversità ma dalla impossibilità diuna comparazione su cose coperte; e soprattutto si tratta di microstrie che non possono essere prodotte artificialmente. Ci interessa, fra un po’.. C’è ancora quell’identità sul solco e quella microstria sul fondello in due omicidi. Eh, in questa situazione, mi capite, che è impossibile parlare di casualità, che è impossibile parlare di coincidenza, che siamo talmente tranquilli che quelle impronte sono uniche e individualizzanti, che non ne esistono altre se non in proiettili che sono stati in quella pistola. È vero che nessuno vi ha mai portato, nemmeno in questo processo, ricostruite, riprodotte in laboratorio, proiettili con simili microstrie. Non sono stati mai trovati da nessuna parte proiettili con quelle caratteristiche, con quella “O”, unica, che viene da quell’otturatore. Quindi, se qualcuno voleva mettere in dubbio quella prova, e neppure il signor Morin si è permesso di metterla in dubbio più di tanto, doveva portarcene altre, doveva farci vedere come era possibile ottenerle da tante pistole, o farle false. Questa era l’unica cosa che si poteva fare. Qui ci siamo limitati, e anche ieri è stato fatto, a portare perizie e consulenze del signor Morin cheriguardano la composizione del proiettile; composizione chimica che nessuno ha mai esaminato perché fu distrutta, perché non era quella che interessava. A cosa ci interessa

sapere, a cosa ci serve se c’era l’antimonio o no? Son problemi della Winchester, son problemi di chi ha fabbricato il proiettile. A noi ci interessa l’impronta passiva del meccanismo dell’arma, che è un’arma che lascia quell’impronta. È l’impronta che ci interessa, non ci interessa nulla il proiettile, la carta, il foglio, la tela, su cui è stato fatto. Poteva essere una Fiocchi, poteva essere un proiettile di qualsiasi tipo; a noi ci interessa l’impronta passiva del meccanismo dell’arma, l’otturatore. Cosa stiamo a discutere? Bene ha fatto la Corte a dire che non solo è una prova tardiva, se quel proiettile trovato a Pacciani aveva una composizione di un tipo o di un altro. Non ha assolutamente alcun valore in questo processo. Ci interessa l’impronta. Vedete come il discorso che è stato fattopiù volte: “quel proiettile non è uguale, è un proiettile diverso”, non serve a nulla. Qui ci interessa l’impronta. È solo quella che individualizza, che ci dà quella sicurezza; la dà a voi, come l’ha data agli inquirenti e ai periti, che quel proiettile trovato a Pacciani è stato proprio in quell’arma, è stato colpito da quell’unico otturatore che esiste, perché la traccia èunica. Quindi, state tranquilli, non dovete fare alcun tipo di perizia di diverso tipo perché il dato acquisito è pacifico. Allora abbiamo un elemento oggettivo provato che quel proiettile che Pacciani voleva dire non è suo, ma che ha cercato prima di noi, è un proiettile che è stato nell’arma degli otto duplici omicidi. Eccola la prova, sicura, tranquilla; non va né enfatizzata ma non va messa assolutamente in dubbio, perché c’è la prova certa che è così: quel proiettile è proprio un proiettile che è stato in quell’arma, e che era nell’orto del Pacciani. E è caduto da una pistola, dalla pistola che evidentemente quel signore stava caricando quel giorno e che è ancora – spezzata o no – in suo possesso. Ecco, tranquilli, sereni tutti, almeno noi, sul fatto che è un dato oggettivo, sui quali non si può discutere. C’èun secondo dato oggettivo; questo primo è quello del proiettile che lega Pacciani indissolubilmente alla pistola, che non può che avere lui (poi vediamo anche il discorso dei trucchi); il secondo elemento oggettivo, quello del blocco. Facciamo la stessa operazione: gli è stato trovato un blocco, Skizzen Brunnen. Dobbiamo fare la identica operazione: questo blocco è stato trovato a lui; è suo, è pertinente Pacciani? Primo punto. Secondo: haa che fare veramente con qualcuna delle vittime? Facciamolo questo percorso identico. Voglio fare un percorso identico a quello della pistola. La prima cosa da fare è essere sereni, obiettivi, corretti, nel vedere se il blocco, anche questo, ci lascia tranquilli circa il possesso in mano di Pacciani cosciente e la provenienza sicura da una delle vittime. E se anche questa risposta è positiva, signori, proprio, le conclusioni sono obbligate, sono talmente tranquille che non ci possono minimamente lasciare scontenti, dal punto di vista della prova indiziaria. Il blocco, Skizzen Brunnen: quali sono gli elementi oggettivi? Eh, fu sequestrato nel giugno del ’92 nell’abitazione dell’imputato. Dato oggettivo: su alcune pagine vi erano delle annotazioni autografe, apparentemente di Pacciani. Secondo punto importante è quello relativo a quegli appunti, a quelle annotazioni: non all’interno del bloccoma a quelle annotazioni dietro, quel prezzo che era sull’ultima pagina. Se noi proviamo chequel blocco è sicuramente legato a una delle vittime, è un blocco Skizzen Brunnen tedescoquindi a una delle vittime tedesche, anche qui, se siamo tranquilli su questo, il possesso in mano di Pacciani non può essere che un possesso non solo in proprio ma che lo lega agli omicidi. Allora vediamo come compare, vediamolo prima come elemento oggettivo questo blocco. Una prima volta ne sentiamo parlare, come comparso nell’indagine, dal dottor Perugini, il quale dice: “Vidi il blocco la prima volta in una perquisizione del ’91. Pacciani era presente. In quel momento cercavamo la pistola o qualsiasi oggetto che ci riportasse alpossesso di una pistola. Non diedi perciò alcun peso al blocco”. Seguitemi in questa

ricostruzione perché è quella che ci mette ancora più tranquilli. “Non lo sequestrammo: noi cercavamo la pistola..” Forse una leggerezza? Può darsi, ma i fatti poi ci hanno dimostrato che è una leggerezza ampiamente compensata. “Facemmo successivamente quel dicembre altre perquisizioni in cui cercavamo non più la pistola, ma c’eravamo un po’ convinti che era nostro dovere cercare anche documenti. Lo sequestrammo quindi successivamente, nel giugno ’92, quando mi resi conto – dice Perugini – obiettivamente tardi, che non trovando la pistola si doveva cercare se in possesso del Pacciani fossero elementi che lo legassero alle vittime o altrimenti agli omicidi”. Questo avvenne. Il perché sisequestrò dopo. Il maresciallo Minoliti, presente a queste perquisizioni, dice anch’egli: “Vidiper la prima volta il blocco nella maxi perquisizione dell’aprile-maggio, ma non fu sequestrato”. Anche il dottor Perugini lo vede; se servisse, c’è questo riscontro. Ma quello che è di più importante nella descrizione dei fatti da parte del maresciallo Minoliti è quando ci racconta come e dove lo vide: nel corso della maxi perquisizione, quella oramai nota come una perquisizione imponente, filmata - e qui è il punto - disse: “Ebbi modo di vederlo – dice Minoliti – il blocco Skizzen; era insieme ad un plico, all’interno del quale vi erano tuttii libretti, tutti i buoni di risparmio, i 100-120 milioni di Pacciani”. In una busta; era tutto quello che interessava l’aspetto patrimoniale dell’imputato, del perquisito. Era conservato insieme ai valori. Allora focalizziamo questo blocco: questo signore, che ha blocchi da tutte le parti (abbiamo visto anche in macchina), tiene un blocco di questo tipo insieme ai suoi valori, cioè lui per ragioni che noi non sappiamo ha un blocco a cui dà un grande valore, lo tiene insieme ai risparmi, insieme a tutti quei cento e passa milioni. Che strano! Dice Minoliti: “Registrai il dato, me lo ricordo, io non ero titolato per scegliere cosa sequestrare, non lo guardai dentro” – ecco qua l’importante della deposizione di Minoliti – “non vidi se c’erano scritte o meno. Pacciani era presente. Ma nella successiva perquisizione” – perchéanche in questa, come sapete, nella maxi non si prende e quindi è pacifico che oramai Pacciani sa che è stato visto – “nella successiva perquisizione del 2 giugno ’92 rammento che perquisimmo il locale che era adibito a salottino, che si trova a sinistra entrando dal civico 30 di via Sonnino. Su di un mobile che si trova sulla parete opposta rispetto all’ingresso a destra vidi che c’era un grosso vaso” – quindi era stato messo sotto un vaso – “con all’interno dei ceci” – si ricorda anche questo, Minoliti – “sotto questo vaso c’era una busta di cellofan del tipo da spesa. All’interno vi era materiale cartaceo tra cui il blocco” – era stato evidentemente spostato, collocato in modo diverso rispetto alla prima volta – “cominciai ad aprirlo” – la prima volta non l’aveva fatto, Minoliti, perché non era quello l’oggetto delle loro ricerche – “vidi che su alcuni fogli c’erano delle scritte, lo sottoposi al vaglio del dottor Perugini. Pacciani era presente, attirò la nostra attenzione sulle scritte, manoi non andammo oltre. Lo prendemmo”. Questo è il dato su come/quando viene visto, guardato, spostato da Pacciani, poi preso dagli inquirenti. Eccolo qua. Cosa ci spiega questo? Andiamo per gradi, anche qui. Subito si può rilevare dall’esame esterno di questo blocco che è ben conservato; ce l’hanno spiegato i periti, l’abbiamo visto da noi come sia conservato bene, tra l’altro è una busta fra i valori quindi i dati sono: “ben conservato”, io aggiungo: “gelosamente conservato”. Terzo punto: vi erano scritte in numeri 4,60/4,20 sull’ultima pagina, annotazioni interne (quelle interne sicuramente del Pacciani) datate 1980-1981. Quindi la prima considerazione che viene a noi tutti da fare oggi è: che strano! Un blocco gelosamente conservato, nel 1992.. Fra gli oggetti diciamo preziosi, insieme al denaro, del Pacciani c’è un blocco tedesco, Skizzen Brunnen (poi vediamo da dove proviene), sul quale ci sono annotazioni datate ’80, ’81 (annotazioni, poi le vediamo),

completamente eterogenee fra loro. Le conoscete meglio di me: sono la data in cui ha fattoun certo permesso per la caccia; la data in cui ha fatto una visita per gli occhiali; la data in cui ha preso un certo cancelletto per il gas, uno sportello; una data relativa a come si fa a allacciare il telefono. Cioè, sono su questo blocco annotazioni sì datate, ma che sono fra sé cozzanti, cioè sono date – e questo è il dato oggettivo – sì, sono annotazioni tutte datate. Caspita! Sul blocco ci sono sempre delle date.. che strano! Sono annotazioni che nel loro contenuto ideologico riguardano cose talmente diverse fra loro che nessuno di noi, se tiene un’agenda, si immaginerebbe di annotare cose così diverse; perché.. o le cose da fare, o dei numeri, o delle modalità.. Come mai su un unico blocco ci sono fatti storici completamente diversi? Cosa c’entrano gli occhiali con lo sportello del gas? Cosa c’entrano gli occhiali con il permesso di caccia, eccoci, e con la Sip? Sono annotazioni strane. Rimaniamo a questo. Eh, allora (…mancante, ndr..)… Dietro sul blocco c’è una scritta: “4 e 24 / 4 e 60”. Si fa una rogatoria in Germania per vedere se era possibile stabilire se questo blocco proveniva da una delle vittime tedesche del 1983. Era l’unica cosa da fare. Fra i testi sentiti in rogatoria, ci sono verbali che sono nelle carte di quella rogatoria perfettamente utilizzabili da voi, che vi invito a leggere dettagliatamente. A me interessa il racconto che è stato fatto, in quest’aula, dalla sorella del Meyer, perché è un racconto che anche qui ci dà sicurezze, perché noi abbiamo bisogno di sicurezze. Cosa ci ha detto la sorella del Meyer in quest’aula? “Mio fratello frequentava una scuola di grafica ad Osnabrück. Era terminata nell’83. Stava facendo in Italia, quell’estate, il viaggio di fine studi per festeggiare l’ammissione a una scuola superiore. Disegnava, mio fratello, a una scuola di grafica. Usava blocchi da disegno di varie dimensioni e marca, e tipo Skizzen Brunnen, proprio quello, come quello sequestrato a Pacciani”. Primo dato, questa donna ci dice: “Guardate. Sono tranquilla. Mio fratello abitava in casa con noi. A riprova di quanto dichiaro oggi, a voi, che mio fratello usava quel tipo di blocchi particolari, ho consegnato agli inquirenti un blocco della stessa marca e tipo, ma di formato diverso, più piccolo, che ho reperito in casa. Era un blocco di mio fratello, sul quale io ho fatto dei disegni. Era fra tutti i suoi oggetti, quei pochi che sono rimasti in casa. L’ho adoprato io stessa. Si trattava di blocchi - questi Skizzen Brunnen - particolari, per qualità e tipo, adatti agli studi intrapresida mio fratello, studi che ho fatto anch’io. Mio fratello acquistava questi blocchi da Prelle Shop a Osnabrück, il luogo dove studiava. Mio fratello mi consigliava di usare assolutamente quei blocchi perché avevano un’ottima carta e si potevano fare dei disegni amatita molto bene. Ho frequentato la stessa scuola in un’altra città. Ho sempre visto mio fratello usare quei blocchi, di varie misure. Posso dire con certezza che mio fratello usava anche blocchi di misura più piccola di quello più grande che vi ho consegnato”. Ecco qua. La sorella l’avete sentita, è venuta qua, è stata certamente una donna che ha rancore, peròche ha raccontato una verità riscontrabile; non ha raccontato storie. Ha dato riscontri a quello che diceva. Ha anche, in quest’aula, portato delle matite Faber Castell e Stabilo: matite come quelle sequestrate a Pacciani. Si è sentita in dovere di darvi quest’ulteriore reperto. Verificate voi se è vero che ci sono le stesse matite che lei ci ha descritto: quelle blu, che lei ricorda benissimo, che ha visto nelle foto, sequestrate a Pacciani. “Prima di partire per l’Italia – ha aggiunto questa ragazza – mio fratello aveva fatto un trasloco di tutta la sua roba, proprio con quel furgone Wolkswagen; le aveva portate da una casa nostra alla casa nuova, l’aveva fatto parzialmente. Mio fratello non era particolarmente ordinato. Fece il trasloco della sua roba con quel furgone con cui venne in Italia. Non era ordinato.” Chissà se nei giorni prima di partire o meno ha lasciato qualcosa che gli poteva

servire nel viaggio. Non è questo l’elemento che ci consente di dire che quel blocco è del fratello, di Meyer Horst. Sono gli altri. Però c’è la spiegazione del perché quel blocco è proprio insieme a quelle matite e a quel portasapone (che poi vedremo) in quel furgone, perché il ragazzo, prima di partire per l’Italia, aveva fatto il trasloco. Era un po’ disordinato. È una donna talmente attendibile, che noi oggi anche su questo, sulla provenienza di quel blocco Skizzen Brunnen, siamo tranquilli. Ma vogliamo essere dubbiosi? Vogliamo fare.. “essere più realisti del re”? Il Pm lo è stato. Dice: “Ma questa sorella è attendibile? Ci sono dei riscontri sul blocco che ci possano consentire di dire che effettivamente quel blocco viene da Osnabrück, dove la ragazza ci ha detto che suo fratello si serviva?”. Sì, per fortuna ci sono, tranquilli, pacifici. Sono state sentite in rogatoria due commesse di quella cartoleria di Osnabrück. Ci hanno detto - l’hanno detto prima alla Polizia - “il 426, il 420 l’abbiamo scritto noi sul blocco, dietro”. Il Pm, io, proprio io, ho detto: “Non mi basta”. Mi sono tirato contro tutti coloro che lavoravano con me, che mi volevano più pignolo.. mi vedevano troppo pignolo. Dice: “Ma come, non ti basta?”. Sì, non mi è bastato, era una cosa troppo importante. Ho preso armi e bagagli e sono andato a fare una rogatoria io, personalmente, a Osnabrück. Ho chiesto al Procuratore della Repubblica di Osnabrück di sentire quelle persone. Le ha richiamate le due ragazze, le due commesse. Ci hanno spiegato perché lavoravano a Osnabrück. Le due hanno detto: “Siamo sicure, cosa volete di più? Se non siete sicuri – si rivolgeva al suo procuratore tedesco – fate una perizia sulla nostra calligrafia. Il procuratore disse: “Vabbè, la faranno gli italiani se gli interessa”. Giustamente il procuratore di Osnabrück, persona che sa il suo mestiere, chiese a queste due signore: “Per cortesia, dateci dei saggi di comparazione per fare questa perizia; dei saggi di comparazione che vengano dagli anni in cui voi dite lavoravate a Osnabrück e avete, nella cartoleria Prelle-Shop, avete apposto quelle scritte 4 e 26 / 420”. Le ragazze trovarono con qualche difficoltà – è negli atti – una polizza di assicurazione del figlio di dieci anni prima – eravamo nel ’93, sono fatti dell’83 – dettero le scritture di comparazione di allora, non quelle che fecero; quindi asettiche, certe. Furono portate in Italia, anzi, furonomandate dal procuratore di Osnabrück, si fece la perizia, che a quel punto era doverosa, ma ci lasciava sicuramente tranquilli. Fu fatta la perizia, fu fatto un primo tentativo che non ci dette la possibilità di avere chiarezza. Fu nominato dal Gip un collegio di periti, i quali in tre, sono venuti qua, tutti e tre; sono i periti nominati dal Gip, di scuole diverse, di città diverse, i quali vi hanno chiaramente detto nel loro elaborato collegiale, fatto con metodologie diverse: “Noi ci siamo fidati solo ciascuno di noi stessi, abbiamo fatto la periziasu questo 424 e 420 con metodi diversi; siamo giunti alla stessa conclusione. Usando metodi diversi – concludono – siamo arrivati allo stesso identico risultato: le cifre 424 sono riconducibili alle modalità esecutive del saggio di scrittura Lohmann”. La povera Lohmann era due anni che lo diceva: era roba sua. “Mentre la cifra 460 è riconducibile alle modalità esecutive del saggio di scrittura Stellmacher”. Anche la Stellmacher aveva detto: “Caro Pm fiorentino, tu sei proprio testardo”. Ero testardo, ho avuto ragione di confrontare ulteriormente. I risultati sono lì. Sono proprio contento che ci sia stata una perizia collegialecosì qualificata come tipo di persone che l’hanno fatta. È un risultato univoco con metodi diversi. Apprendemmo in quella rogatoria che quel prezzo era il prezzo del blocco in epoca sicuramente antecedente al 1983. Siamo così tranquilli che quel prezzo è relativo a un blocco comprato prima dell’omicidio dell’83 a Giogoli, e che è un blocco che viene sicuramente da quella cartoleria, che viene sicuramente da casa Meyer, che viene sicuramente da quel furgone che era a Giogoli quella mattina, quel furgone in cui un

signore con un motorino uguale a Pacciani, con sembianze uguali a Pacciani, frugava di mattina alle sette e mezzo, senza avvertire la polizia! Un blocco non commercializzato in Italia. Stiamo pure tranquilli. Il maresciallo Frillici ci ha lavorato per un mese, vi ha spiegato i risultati di quell’indagine. Un blocco che, senza dubbio, non può esser venuto in Italia in alcun modo. Ma allora ci sono di qualche utilità le dichiarazioni di Pacciani su quel blocco? Eccole, sono sempre dello stesso tenore. Prima dichiarazione: “Quel blocco e quelle matitesono delle mie figliole – dice al Pm – sono matite comprate qui a San Casciano per andare a scuola”. Riscontro: nessuna cartoleria le vende. “Ah, caspita! Allora è un blocco che ho trovato in una discarica”. Ci ha subito la risposta pronta. “Anzi – ci ha detto quale discarica ieri mattina – era una discarica in cui c’era il blocco dei tedeschi - guarda caso! -, c’erano lavandini, rubinetti e qualche foglio di materiale per edilizia”. Cioè chiaramente una discarica che è una discarica di materiale edile in cui c’era un blocco tedesco, cioè i tedeschi, qualche tedesco, non il Meyer, va a buttare nella discarica, nei lavandini, il suo blocco comprato da Prelle Shop. Qualcuno ha fatto domande ai testi, in quest’aula. Dice: “Ma c’erano tedeschi a S. Casciano?”. Giustamente gli è stato risposto di sì. E questo cosavuol dire? C’è stato qualche tedesco che in quest’aula al dibattimento è venuto a dire: “Sonvenuto in Italia, ho perso blocchi di quel tipo, qua e là. Avete voi trovato blocchi simili?”. No,signori, state pure tranquilli, l’indagine è stata fatta, è completa. Il blocco ha un significato univoco: è di casa di Meyer Horst. Allora vogliamo leggere cosa c’è scritto dentro? Ci può servire leggerlo? Certo che ci può servire. Ci sono delle date relative a quegli episodi cui ho fatto cenno: nell’80 s’è comprato una cosa, nell’81 si è fatto un’altra cosa. Il contenuto ideologico di queste scritte è stato comunque verificato. Ci serve? Sì, ci serve, perché nellamaggior parte dei casi abbiamo scoperto che sono contenuti ideologici per scritte che difficilmente trovano un riscontro. Basta pensare al discorso degli occhiali: 25 mila lire per comprare gli occhiali e la scritta “pagate”. Sono già stati ordinati nel 1980 dal tot ottico, ci dice il Pacciani. Ce l’ha ridetto ieri. Ma signori, nel 1980 il signor Pacciani dice che ha comprato gli occhiali, ha fatto una visita, li ha ordinati. Ci ha detto anche da quale ottico, l’ottico l’abbiamo sentito, non ne sa niente. Il Pacciani nel 1980 ci vuol far credere di aver dato la prova che aveva bisogno di occhiali, nel 1980. Ci ha portato (per fortuna non acquisito) un portaocchiali rotto, con un indirizzo. Ma quel signore si è guardato bene dal dire di ricordare episodi simili! Nessun ottico l’ha mai visitato, nessun ottico gli ha mai venduto occhiali, nessun oculista l’ha mai visitato. La visita difficilmente costava 25.000 lire. Ieri Pacciani nel parlarvi dei suoi occhiali, aveva dei fogli davanti a sé – e siamo nel 1994 – aveva l’indirizzo di quella custodia, aveva dei fogli relativi a una tot attività, si è messo gli occhiali in tasca. Vi ha letto comodamente senza occhiali da dove venivano e cosa c’era scritto in quei fogli! Ieri mattina qui, e ora noi dovremmo credergli che nell’80 si era comprato gli occhiali perché erano per lui necessari !? Ecco chi è Pacciani: la persona, che per fortuna sua, ci vede benissimo. Allora quella scritta lasciamola lì com’è, come quella dello sportello del Lotti che non costava 16 mila lire come lui dice; della signora della“caccia e pesca” che non ha mai preteso da lui quei soldi per fare quella visita per la cacciache lui.. quell’esame caccia che lui ha veramente fatto, ma il dato fondamentale è che non ha speso quei soldi scritti lì in quell’appunto. E il telefono scritto sul blocco; per mettere il telefono si chiama il 187. Lui ha messo due telefoni: uno nell’80.. nell’81 e uno nel ’92. Nonci serve a nulla. Ma il fatto del contenuto ideologico di queste scritte bisogna tenere presente che non ci può servire a nulla per un altro motivo: perché prima di tutto sono scritte e date che ha messo lui, come può darci una prova che sono vere? Secondo punto:

ma se sono scritte che ha fatto lui, c’è stato detto in quest’aula qualcosa su quelle scritte? Come no, come no.. Vi ricordate voi cosa c’è stato detto dai periti, innanzitutto dal collegio peritale che ha esaminato il blocco per esaminare il 424 e 420. Ci ha detto: “Guardate, sapete di cosa ci siamo accorti?”. Il professor De Marco vi ha raccontato di cosa si era accorto nell’esame di quel blocco. Devo dire che il professor De Marco l’ha detto in quest’aula, ma l’aveva detto prima a me e io avevo fatto una consulenza tecnica, non potevo dare una consulenza al professor De Marco, perito del Gip. Il professor De Marco, dopo aver esaminato quel blocco per il Gip (la sua consulenza era solo sul 424) dice: “Ma guardi, io ho guardato anche dentro, sapete cos’ho scoperto?”. Ve lo ricordate bene cosa ha detto il professor De Marco? Dice: “Disponendo nel mio studio di illuminazioni con fascedi fibre ottiche per il mio lavoro, notai che su alcune pagine interne del blocco vi erano delletracce grafiche invisibili, cioè dei solchi ciechi o solchi pressione o solchi latenti – chiarissimo, no? – delle tracce grafiche trasferite da un foglio allora sovrastante quello attualmente visibile da tutti e contenente la scrittura a biro”. Cioè, dietro, sulla pagina bianca c’era il solco di una pagina precedente che non esisteva più. Ma ha detto qualcosa di più sulle scritte visibili, ha detto due cose. Scritte che non c’erano più, fogli strappati. Ma la cosa più importante che ci ha detto il professor De Marco di sua spontanea volontà: “La scritta che appare visibile a tutti nell’attuale primo foglio del blocco che parte con la data 13luglio ’81, minata profondamente, presenta un andamento frazionato, non ha la continuità tipica della scrittura”. Lui è un esperto di queste cose, l’ha detto di suo, nessuno è andato acercarlo. S’è preso lui questa prima responsabilità, confermata poi ampiamente, quindi siamo tranquilli. “Non è un prodotto diretto – ci dice il professor De Marco – pensiero azione scrittoria, ma quasi un prodotto indiretto quale può risultare dalla copiatura di qualche cosa già predisposto. Basta vedere che su alcune frasi ci sono virgolette – che strano, uno fa degli appunti, sono andato il giorno tot nel tal posto, fra virgolette?! – e in piùci sono correzioni, visibili a occhio nudo”. Basta guardare le due volte “r” di “murratura”, le ottomila lire del prezzo di quel qualcosa che è indicato in quella scrittura. Quindi una persona che trasferisce scritte da un foglio all’altro, non scrive spontaneamente, che fa delle correzioni su quello che ha scritto. Ora voi dovete pensare a uno che fa appunti per se stesso, li corregge, li mette fra virgolette. Questo primo risultato è stato poi ampiamente verificato anche perché il De Marco lo aveva fatto spontaneamente, l’ha ripetuto qui in aula, da due periti incaricati come.. da due consulenti incaricati dal Gip, il dottor Donato.. dal Pm, scusate: il dottor Donato, il dottor Proietti della Polizia Scientifica; i quali hanno concluso che vi sono sul blocco tracce di scritture non spontanee, che le scritture evidenti sono di Pacciani – a quel punto era importante dire che quelle scritte fasulle le aveva fatte Pacciani! – e che vi erano segni di scrittura latenti pregresse con degli errori. Le scritture latenti sono uguali a alcune delle parole scritte sopra. Vuol dire, signori, una cosa sola: alcuni di quegli appunti sono stati scritti due volte; non contento di come era venuto (facevadegli errori), l’ha strappato e l’ha riscritto. Così si è comportato questo signore su quel blocco; questo signore che parla di trucchi di terzi è un signore che il professor Morin di Venezia ha smascherato. Non ne aveva nessun motivo, dobbiamo ringraziare lui che di sua spontanea iniziativa si è accorto di questo ulteriore trucco – perché qui si parla proprio di trucchi – da quella bocca del signor Pacciani. Non posso che concludere in questo modo. Allora, se ci sono scritture latenti pregresse, eccola la spiegazione. Non ha importanza vedere se queste scritture, c’è un doppio “v” o n… Questa è un’indagine, l’avete vista voi, che non ha dato significato. Allora dobbiamo tornare invece al modo con

cui normalmente Pacciani riempiva i suoi blocchi, le sue carte, gli appunti, dove vedrete, controllando ciò che è in sequestro, che ha agende piene ma tutte monotematiche o quasi; cioè è ovvio, come tutti facciamo: c’è un agenda, ci sono determinate scritte; c’è un blocco,ce ne sono altre; ma non ci sono mai su questi appunti, come sul blocco, cose che né io tengo a disposizione nel ’92, e che invece ho scritto dieci anni prima. Eccolo qua: c’è la prova che ci sono scritte di questo tipo. Quindi è la prova che se il contenuto ideologico non torna, se sono scritte ripetute, lui ha ricopiato da una parte all’altra queste scritte che probabilmente aveva da qualche parte. Ha ricopiato solo quelle datate. Perché? Ve l’ha spiegato, se l’avete capito, il maresciallo Minoliti. Perché ha fatto questo? Perché si perquisiva, si vedeva questo blocco, nessuno lo prendeva. Un certo bel giorno nella maxi perquisizione si filma tutto; il blocco non si prende, Pacciani si rende conto che oramai il blocco è stato annusato, “prima o poi me lo vengono a prendere, non lo posso far sparire, perché lo tengo fra le cose più care, è la seconda volta che lo vedono.. ci faccio delle scritte datate lontane, che mi permettono, nel caso in cui qualcuno me lo chiede, di dire: è di prima dell’83”. Questa è la ricostruzione sicura, logica, tranquilla. Non c’è alcuna altra possibile spiegazione. Tant’è il signor Pietro Pacciani si mise subito in evidenza per far vedere che le scritte erano dell’80. Ma se non c’era il professor Morin, che di sua iniziativa metteva in evidenza questo dato di fatto…

Presidente: De Marco.

P.M.: Ehhh.. scusi, chiedo scusa.. De Marco, che metteva in evidenza questo, nessuno avrebbe oggi letto come va letto quel ritrovamento. Ancora una volta la condotta è stata smascherata da degli ignari periti grafologi. Tutto qua. Noi sul blocco non possiamo dire altro che dobbiamo per forza rimarcare che sono appunti stranissimi, datati, diversi tra loro.Sono appunti che come contenuto, guarda caso, per forza ci sono date tutte ’80 e ’81. Se èa caso, perché non una dell’84, ’85? Vedete come è chiaro che è artefatto. Mah, allora non possiamo che concludere nel modo che c’eravamo proposti: l’esame oggettivo del blocco ci rende tranquilli, è di Meyer, viene da Osnabrück, ci sono le scritte di quelle due ragazze, è anteriore alla presenza di quel blocco in Italia all’83, perché acquistato e ha un prezzo anteriore. Ma soprattutto le scritte datate da Pacciani non sono un elemento oggettivo che ci consente di dire: “Ebbè, se ci sono scritte prima è sicuramente di prima”. No! Quel blocco era sicuramente in quel furgone. E ecco, è un elemento oggettivo gravissimo a suo carico. Era proprio quel riscontro che noi cercavamo insieme al proiettile, quel riscontro chelega Pacciani ad una delle vittime. Che il blocco fosse in casa sua ce l’ha detto da sé, ci hascritto sopra, ci ha levato l’onere di dare questa prova: che è pertinente del giovane tedesco e è sicuramente in possesso di Pacciani! C’è ancora qualche piccolo elemento indiziario, che io dico “piccolo” come argomenti ma gravissimo come entità: il portasapone. Due parole sole: ci interessa o non interessa quel portasapone? Caspita, è un portasaponecon una scritta “Deis”, non commercializzato in Italia. Cosa ci hanno detto? La sorella dice: “Appena quel portasapone fu visto dai miei famigliari dissero «mi sembra familiare»..non so bene dove l’ho visto.” “Quando mi fu mostrato la prima volta dissi: sicuramente è di casanostra, ma non so bene di chi. Mio padre – dice la ragazza – ed un amico, Manfred Lemke,presente, ebbero la stessa sensazione. Lemke era molto amico di mio fratello, in quella stessa estate erano stati in Spagna insieme nella tarda primavera. Avevano fatto il trasloco insieme, erano stati con lo stesso furgone.” Lemke, oltre ai famigliari - è lì il verbale nella

rogatoria - è la persona più titolata per dire qualcosa su quel portasapone “Deis”, non commercializzato in Italia; il maresciallo Frillici vi ha spiegato come stanno le cose. Quel portasapone ha lasciato un’impronta che combacia perfettamente sull’ultima pagina del blocco, è un dato che serve o non serve? No, signori, attenzione: perché è un dato che serve anche questo! Perché non è che il portasapone è stato trovato sopra il blocco, in casa Pacciani; erano in due posti perfettamente diversi: su una specchiera uno, dentro unatrousse, il portasapone; il blocco sull’altro mobile, nel sacchetto che sappiamo. Quindi la traccia che c’è sul blocco del portasapone non è stata fatta sicuramente in quel momento. Nel momento in cui è stato posizionato. Dovremmo pensare che Pacciani ha usato il portasapone, l’ha bagnato e l’ha messo lui sul blocco. Ma perché un meccanismo così difficile?! La cosa più semplice è che il portasapone che viene – è riconosciuto da Lemke – bagnato era sul blocco quando è stato trovato. È una cosa talmente semplice e logica che io non vorrei che fosse sottovalutata. Perché è un elemento talmente qualificante circa il fatto che blocco e portasapone stavano insieme almeno in un certo momento storico che difficilmente si può dire qualcosa di diverso! Solito comportamento di Pacciani: “Non è mio, ce n’ho un altro. Un altro che ho comprato in carcere, eccolo qua.” L’altro l’ha comprato in carcere, vi è stata data la prova dell’altro portasapone. Ma di questo? Niente, non ha detto niente! Ha cercato di fuorviare tutti dicendo che aveva un altro portasapone, era stato comprato in carcere, forse anche quello.. No, no, assolutamente niente. C’è un altro elemento oggettivo: l’asta guidamolla. Ci dice qualcosa? È un elemento che ci lascia dubbi? È un elemento che noi possiamo oggi valutare? Vediamo l’elemento oggettivo, voi valutate. Io non ho niente di particolare. Cosa c’è? È un’asta che arriva, insieme in una lettera, il 25 maggio ’92 ai Carabinieri di San Casciano. Perché è importante il 25 maggio? È la data che è importante per questo arrivo. C’è uno scritto, c’è un disegno anonimo, Crespello viene espulso, ci sono due pezzi di stoffa, c’è un’asta guidamolla dentro, un’asta metallica. Si fanno accertamenti. L’asta metallica è un asta guidamolla di una pistola 74 Beretta! Che non ci siano dubbi sul fatto che è un’asta guidamolla che ci interessa: la pistola Beretta calibro 74 sapete che è proprio una di quelle che i periti hanno individuato come pistola con cui sono stati sparati i bossoli. Ci sono due pezzi intorno a quest’asta guidamolla: due stracci che sappiamo sono di casa Pacciani. Sicuri, tranquilli. Ma così in sé quest’asta guidamolla non ci lascia tranquilli, se non vediamo se il processo ci ha dato qualcosa di più. E allora noi dobbiamo valutare, in tutta la loro portata, le deposizioni di Fantappiè Nicoletta e Battoli Tiziana, sentite in quest’aula; le quali vi hanno raccontato che un certo giorno, tre o quattro giorni prima della maxi perquisizione, avevano visto proprio Pacciani in un viottolo a Crespello. Sapete bene perché ci interessa Crespello. E erano i giorni proprio anteriori alla maxi perquisizione. Loro si sono presentate esclusivamente perché ci hanno detto: “Che strano! Perché la cosa ci è apparsa importante? Perché a un certo momento noi veniamo a sapere che è arrivata una busta simile e sappiamo che Pacciani, perquisito a fine aprile del ’92, era nel bosco qualche giorno prima. Ci salutò”. E allora, questo è il dato. Signori, l’asta guidamolla arriva in maggio, le ragazze vedono Pacciani a Crespello in aprile. Eh, allora il fatto che Pacciani fosse a Crespello prima della maxi perquisizione è un elemento che entra paurosamente nel processo. Non c’è niente di più, però c’è sicuramente il dato che questa asta guidamolla e quegli stracci sicuramente dicasa Pacciani legano questa asta guidamolla e la collocano nel tempo: arriva a maggio, ma Pacciani fu visto prima della maxi perquisizione in quel posto. Io non aggiungo altro, perché noi non sappiamo chi ce l’ha inviato, non sappiamo queste ragazze cosa hanno

visto, cosa hanno detto. Chi è andato a cercare a Crespello come stavano le cose? Chi ha inviato quell’asta? Noi non lo sappiamo, ma è un elemento che è importante come tempi perché, se le ragazze non avessero visto Pacciani a Crespello prima della maxi perquisizione (e non fosse arrivato dopo), la cosa ci lasciava dubbiosi. Così no! Perché è un elemento che ci dice sicuramente che qualcuno, incalzato dalle indagini, Pacciani, era aCrespello in quei giorni, prima della perquisizione, e che sicuramente è stata trovata un’asta guidamolla per pistola che sappiamo, con gli stracci di casa sua. Le ragazze lo hanno visto in aprile, proprio prima della perquisizione. Pacciani, come al solito, ha sempredetto nei memoriali (poi non c’è più tornato): “No, io c’ero stato in gennaio. Erano sicuramente delle poliziotte. Sono state in casa mia”. Alt! Lui gli dà l’importanza a questo dato, lo colloca anteriormente nel tempo, vuole che si creda che erano delle poliziotte; le quali non hanno mai pedinato Pacciani a Crespello perché non era possibile pedinarlo in luogo aperto. E allora il dato asta guidamolla, per quel che vale, viene da un anonimo, va solo letto in questo modo. Noi non ne sappiamo niente di più, sappiamo solo questi dati. Allora io ho l’ultimo argomento, è un argomento che ho lasciato per ultimo a posta: quello dei trucchi. Perché? Perché Pacciani ha in continuazione, fino a ieri mattina, parlato di trucchi, di complotto. È l’ultimo argomento che io voglio affrontare, lo voglio affrontare però obiettivamente, serenamente. C’è la possibilità che qualcuno abbia fatto dei trucchi? Qualcuno abbia fatto il complotto? Vogliamo nasconderci dietro un dito e vedere come stanno le cose? Esaminiamo fino in fondo, anche se non ce ne sarebbe bisogno, ma è un argomento, l’ultimo, che io vorrei che sgombrasse qualsiasi ombra di dubbio a voi, perché itrucchi che possono essere stati fatti ce li ha detti lui. Esaminiamoli: complotto di testimoni. Non è possibile: li ha ingiuriati lui, è lui che mente, lo abbiamo sentito a lungo. Quindi non rimane altro che pensare a trucchi sui documenti. Quelli fondamentali in cui noi dobbiamo chiederci oggi se abbiamo dei dubbi e possono essere veramente trucchi come lui dice sono soltanto il blocco e il proiettile, perché sono quelli indizianti per cui, se non sono suoi ma sono di qualche altro, allora ci lasciano perplessi. Quindi testimoni, no. Blocco non può essere un trucco, ci ha scritto lui. Rimane il proiettile. Il proiettile può essere un trucco? Puòessere stato fatto da qualcuno? Esserci stato messo da qualcuno? Vediamolo oggettivamente, serenamente, quali sono le emergenze del processo. Eh, il proiettile è stato trovato nel suo orto. È un proiettile che è caratterizzato non tanto dalla sua oggettivitàmateriale ma da quell’impronta, il famoso otturatore. Allora, se qualcuno gli avesse voluto fare dei trucchi, chiunque esso fosse, poteva soltanto - se esistesse una persona simile, chiunque essa fosse, io non lo voglio nemmeno pensare ma lo faccio per dovere di obiettività -, se voleva fargli un trucco per il proiettile poteva fargli solo: o mettere la pistola, se ce l’aveva!, o mettergli un trucco universalmente conosciuto come riconoscibile; poteva mettergli soltanto un bossolo in cui qualcuno, conoscendo le tre impronte primarie, percussione estrazione.. l’estrattore, l’espulsore, conosciuti fosse sicuro che si riconosceva. Quindi l’unico trucco che si poteva fare in quel momento nella perquisizione e far ritrovare era questo. Perché dico che il proiettile trovato a Pacciani, se ce n’è bisogno, se ce ne fosse bisogno, non è un trucco? Perché, signori, nel momento in cui fu trovato nell’orto di Pacciani nessuno al mondo, dico nessuno, sapeva che su quel proiettile c’eranole impronte secondarie dell’otturatore, quindi nessuno poteva saperlo. Furono ritirate dai periti, dal Gip, nel 1992: dopo la perquisizione! Eccolo l’argomento trucco caduto miseramente. Come poteva qualcuno costruire un trucco di cui non si sapeva che c’era termine di paragone? Non sarebbe stato possibile per nessuno fare un duplicato di

qualcosa che nessuno conosceva. Ecco perché il proiettile è sicuramente stato in quella pistola. Perché quelle tracce, quelle microstrie, che sono la testimonianza del meccanismo dell’arma, sono state scoperte dall’ingegner Benedetti, dal generale Spampinato, che hanno ritirato quei proietti.. quei bossoli che erano i corpi di reato, che nessuno sapeva checontenessero quelle microstrie. Quindi nessuno poteva fare, nemmeno fosse stato il più malefico, il più malevolo delle persone di questo mondo, fare un trucco, perché nessuno poteva sapere cosa truccare, i proiettili erano ai corpi di reato. L’ha scoperto l’ingegner Benedetti. Ecco. Quindi, anche quest’ultimo modo di presentarsi di Pacciani è l’ultima sua mossa sbagliata. È quella che definitivamente ci toglie tutti i dubbi. È l’ennesimo tentativo di mischiare le carte, paurosamente fallito, come tutti gli altri. Come quello relativo al blocco. Allora non mi rimane che concludere un pò. Io vorrei fare solo per i giudici popolari due brevissime considerazioni in diritto sui processi indiziari, su quali sono le norme che regolano le decisioni in caso di processi indiziari, di formazione della prova. Quali sono i requisiti degli indizi. Il meccanismo è quello previsto dall’articolo 192 del codice di procedura. Quali sono i requisiti, la prova indiziaria? L’articolo 192 stabilisce che l’esistenzadi un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti, come nel nostro caso. Questo dice il nostro codice. Se non c’è la prova diretta, ci si può arrivare, signori giudici, per prova indiretta. Gli indizi, come nel nostro caso, devono essere però gravi, precisi e concordanti. Gravi cosa vuol dire? Nel senso cheè un carattere proprio la gravità dell’indizio che riguarda il fatto, l’alto grado di rilevanza per la decisione. Questo è l’indizio grave. Tutti o quasi tutti i nostri sono gravi. La precisione vi dice, attenzione giudici, devono essere indizi precisi: cioè devono essere non equivoci, devono essere univoci; quindi deve essere un indizio che attiene a elementi non equivoci che noi vogliamo dimostrare. Ma è più: è un elemento esterno, devono essere concordanti fra loro, devono essere tutti indizi che convergono tutti nella stessa direzione. Non c’è nel meccanismo logico alcuna interruzione, non c’è possibilità di dimostrare che qualcuno non è attinente, che prova sicuramente il contrario e quindi tutto il castello cade. No. Questo chiede il codice. In sostanza ci chiede che la prova, in questo caso, deve essere data da una pluralità di elementi fra loro tutti concordanti. Ho iniziato dicendovi “nessuno è venuto adire niente”? Al contrario. Anzi, siamo andati avanti mattone su mattone, alla medesima unica conclusione. Quindi rimane il principio del libero convincimento del giudice, che può essere quello che vi deve consigliare nella vostra decisione, nel valutare come voi potete arrivare alle conclusioni analizzando tutti questi elementi e seguendo anche il principio, oramai pacifico, della nostra Cassazione che io ricordo - non a me stesso ma ai giudici popolari - che il giudizio sulla gravità, dice la Cassazione, precisione e concordanza è fruttodi una valutazione unitaria, sintetica, non atomizzata di tutti gli elementi oggetto di considerazione, in modo da consentire di riempire le lacune che ciascun elemento fatalmente porta con sé. Ecco il meccanismo. Se voi vi sentite in grado di dire: “Abbiamo tanti elementi che ci consentono di dire qualcosa su questa vicenda, ce ne mancano altri e dobbiamo valutare la vicenda nel suo complesso”. Questo è il meccanismo vostro. Perché il Pm vi ha dimostrato senza ombra di dubbio che questo processo ha portato a concludereche ci sono senz’altro moltissimi elementi indiziari: numerosi come richiesto, gravi, precisi nei modi che si è detto, univoci e concludenti che Pietro Pacciani sia proprio l’autore di questi gravissimi delitti. Per i quali delitti questa città ha tremato a lungo, con dispendio di mezzi, di forze. Avete visto cosa, quali sono “le forze”, i risultati di quest’attività che oggi è oggettiva e incontestabile; che come conclusioni porta a conclusioni univoche e tranquille.

E queste conclusioni si possono sintetizzare in pochi elementi. E’ un uomo che è sicuramente persona abituata a spiare coppie - l’abbiamo provato! – appartate: la prima volta addirittura l’ha fatto nel ’51, per quel fatto è confesso. In quella occasione, nel ’51, proprio come negli omicidi del ’74 e dell’85, ha ucciso col coltello, con una violenza e con una crudeltà inaudita. E quell’episodio del 1951 lo ha inequivocabilmente condizionato per la vita. Gli fece passare quell’episodio un periodo in carcere, lungo, dopo il quale, con i rancori che ho, per forza di cose, “illustrato” e che erano sicuramente nella sua anima, uscì. Un omicidio del ’51 che gli aveva fatto perdere la sua donna e che, donna, la Bugli, che ha cercato per tutta la sua vita. Un uomo che è rimasto senz’altro condizionato da quelle effusioni d’amore del Bonini con la sua donna. Condizionato in modo tale perverso da arrivare a fare l’amore con la sua donna dopo un omicidio. Questo è il nostro soggetto. Questo è un elemento fondamentale. Questo è Pietro Pacciani. Un uomo violento, lo abbiamo dimostrato, che ha inteso il sesso sicuramente solo sotto forma di violenza, basta pensare a quello che ci hanno detto le figlie. Un sesso talmente abnorme che non può che averlo condizionato sempre. È un uomo che, guardone, nel cui orto nel 1992 abbiamo trovato un proiettile sicuramente incamerato nella pistola che ha sparato. Un uomo che, incalzato dalle indagini, sicuramente ha cercato di disfarsene, non c’è riuscito, non l’ha trovato. Un uomo che sicuramente ha posseduto più pistole, già da epoca remota, e che sicuramente ha posseduto una calibro 22 Beretta e che con la pistola spiava le coppie. Un uomo che aveva in tasca un biglietto con una targa auto di una coppia che era agli Scopeti.Un uomo che aveva fra le sue cose un blocco appartenuto a una delle vittime. Un uomo che, incalzato dalle indagini, si è disfatto di un’asta guidamolla. Un uomo che sicuramente ha sempre detestato, dopo quel fatto del ’51, ce l’hanno detto le figlie, ce l’ha detto la Sperduto, le coppie che si appartavano in auto. Un uomo a cui sono stati sequestrati una quantità di documenti che lo legano agli omicidi. Un uomo che dall’altra parte ha mentito fino all’inverosimile su tutto ciò che gli faceva comodo. Un uomo che ha oltraggiato e ingiuriato i testi… (…mancante, ndr…)… cerchio intorno al collo non ha saputo che dire: “sono trucchi”. Ma che è stato smascherato ancora quando si è dimostrato che nessuno poteva mettergli un proiettile in casa nell’orto perché nessuno sapeva che si poteva fare untrucco del genere. Chi è Pacciani oramai lo sapete, come si è comportato davanti alle accuse gravissime che gli sono state mosse lo avete visto in questo processo, giorno dopo giorno: un uomo falso, bugiardo, violento, un uomo che ha fatto della minaccia una regola di vita, un uomo diabolico, uno psicopatico con sicure devianze sessuali, un violentatore delle figlie, già condannato per omicidio, sicuramente un sanguinario, un calunniatore incallito, un tracotante ogni oltre misura, un uomo che non si è mai pentito di ciò che ha fatto. Ci ha parlato ieri di pentimento ma c’è stato – ce l’ha spiegato lui – che il pentimento è nato per il fatto del ’51 solo perché il maresciallo gliel’ha chiesto; lui non s’è mai pentito diniente. Un uomo che è buono a invocare l’anima solo nel modo che ha fatto ieri; è un figlio eccezionale, per fortuna eccezionale, di questa nostra terra. Ecco chi è Pacciani: un contadino scaltrissimo, perverso, uno che si è contornato – questo l’abbiamo visto – di uomini come lui, vecchi, vecchi dentro, squallidi sicuramente, tristi, che ha dominato come ha voluto. Compagni di merende. Compagni che ha dominato come ha voluto e che oggi lotemono, con i quali ha diviso sicuramente perversioni. Il quale ha sicuramente primeggiato in queste sue perversioni, il quale ha sicuramente con le sue perversioni compiuto i delitti che sappiamo. Un uomo vissuto in un mondo squallidissimo che noi non ci immaginavamo mai che esistesse, sul quale mondo questo processo ha fatto luce, che noi lo vogliamo o

che noi non lo vogliamo. Un mondo squallido, sconosciuto, triste, pericolosissimo, di uominisporchi; un mondo sconosciuto, un mondo per fortuna marginale, nel quale sono – per mano di Pacciani – maturate queste perversioni che hanno portato a questa catena di omicidi. Un uomo che è stato incalzato da una massa di indizi talmente gravi che, oggi, vi consentono tranquillamente di emettere un verdetto di colpevolezza perché non avete né potete avere dubbi su questo: indizi che non solo vi consentono ma vi chiedono di emetterequesto verdetto di colpevolezza. Così come ve lo chiedono le 16 vittime di quella mano, mostruosa mano omicida, e che non può che pagare la sua colpa con il carcere a vita, cosìcome previsto dal nostro codice, per ciascuno degli omicidi che ha commesso. Chiedo, quindi, che sia dichiarato colpevole dei delitti a lui ascritti. Condannato alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno massimo per 3 anni, così come previsto in caso di continuazione tra reati che prevedano l’ergastolo dall’articolo 72, e con le pene accessorie di cui al codice.

Presidente: Bene.. L’avvocato Santoni mi aveva promesso ieri di parlare adesso, ma poi si è ricreduto. Quindi direi di andare a domani mattina. Nella giornata di domani alle ore 9 ovviamente parleranno gli avvocati di parte civile, siamo già d’accordo, vi siete già suddiviso il compito, il tempo è quello che sapete: la giornata di domani. Direi che è più chesufficiente..

Avvocato Colao: Presidente, scusi, su…

Presidente: Avvocato Colao… Un attimo di silenzio, signori.

Avvocato Colao: Prego, io non so quanto tempo potrò impiegare. Potranno essere…

Presidente: Quanto tempo potrà?

Avvocato Colao.: Potrò impiegare..

Presidente: No, avvocato… Sicuramente avrà tutto il tempo a disposizione ma non più del necessario. Questo vale per tutti…

Avvocato Colao: Possono essere due ore o tre ore…

Presidente: No, avvocato… Questo è escluso, glielo dico prima: lei non può parlare tre ore dopo che il pubblico ministero ha parlato due giorni. Siete l’accusa privata, avete tutto il tempo, ma non mi pare due o tre ore perché se no lei mi fa andare a mezzanotte, capito. È chiaro?

Avvocato Colao: Il punto è questo: poiché ci sono dei colleghi che devono parlare…

Presidente: Ma per l’amor di dio

Avvocato Colao : … prima di me, io chiedo… faccio questa domanda: se questi colleghi terminano a fine domani sera…

Presidente: Si sta qui fino a mezzanotte, avvocato, si sta qui fino a mezzanotte..

Avvocato Colao: Lei dice si continua?

Presidente: Certamente.

Avvocato Colao: Bene, questo…

Presidente: Però io sarò estremamente rigoroso perché dopo che il pubblico ministero ha parlato due giorni, l’accusa privata – con tutto il rispetto, per l’amor di dio, che ho per lei – dovrà giustamente contenersi, anche perché siete tanti.

Avvocato Colao: Presidente, è il mio interesse contenere, e di mia natura sono stringato. Ciò non toglie che se certe cose richiedono…

Presidente: Se parla due o tre ore, avvocato, le dico subito che lei stringato non è. Mi perdoni, ma… Il Pubblico Ministero, da solo, ci ha messo due giorni. Voi siete tanti, suddividetevi… eh?

Avvocato Colao: Soprattutto perché siamo tanti…

Presidente: Comunque credo che troveremo un accordo ragionevole, state tranquilli.

Avvocato Bevacqua: Signor Presidente, chiedo scusa, venerdì non si fa udienza?

Presidente: Avvocato…

Avvocato Bevacqua: No, dico, chiedo scusa…

Presidente: Voi mi avete chiesto di parlare lunedì. A questo punto…

Avvocato Bevacqua: Anche perché mi pare che sia…

Presidente: E giustamente dovete avere voi che avete – diciamo – una certa… tutto il tempo a disposizione. L’accusa privata ce l’avrà anche lei, però io intendo che domani sia concluso il lato accusatorio. Quello pubblico si è concluso oggi, quello privato domani.

Avvocato Bevacqua: Grazie

Presidente: Poi andremo a lunedì, va bene? Anche a voi raccomando naturalmente… ragionevolezza. Naturalmente avete…

Avvocato Bevacqua: Sono otto ergastoli, Presidente.

Presidente: Sedici, avvocato

Avvocato Bevacqua: Sedici? No, otto con la continuazione.

Presidente: Sono uno solo, poi… uno continuato. Bene! A domani mattina alle 9, signori. Buonasera.