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Recuperare un faro è una delle maggiorisfide contemporanee, tanto che solo a po-chi di essi è toccato vivere una storia conun lieto fine; la maggioranza dei circa 160

fari attivi in Italia versa oggi in condizioniprecarie. Per i fari «fortunati» si possonoraccontare storie assai diverse tra loro; peralcuni si è trattato solamente di un recupe-

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

I FARI RECUPERATI

CRISTIANA BARTOLOMEI

Quando la loro storia ha avuto un lieto fine

Il faro di Otranto dopo il restauro (foto Autore).

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ro delle strutture al fine del mantenimentodella sicurezza statica, per altri invece si ètrattato di un progetto molto più impegna-tivo che ha prodotto una ricaduta interes-sante anche sul territorio.

Una sfida tecnica e culturale quindi cheha portato, in alcuni casi significativi, allariqualificazione e alla tutela delle strutture,proponendosi di recuperare insieme allaconsistenza edilizia, anche la memoria e ilvalore sociale del patrimonio; questo ciorienta e ci lega al territorio, il quale a pro-pria volta reca i segni dell’appartenenzadell’uomo a una cultura e a un luogo.

In questo caso il recupero ha visto lariattivazione, all’interno della struttura, difunzioni perdute e l’acquisizione di nuoviusi: un processo di multifunzionalità cheha creato maggiori opportunità per l’eco-nomia locale, in relazione al turismo, allefunzioni sociali e a quelle ambientali epaesistiche.

Sono tre i fari che possono vantare unastoria importante con un lieto fine.

Il faro di Capo Spartivento Sardo a Do-mus de Maria in Sardegna, che sta per di-ventare una speciale struttura ricettiva, laLanterna di Genova che vanta il primato diprimo museo ospitato in un faro e il casodi Punta Palascia in Puglia, emblema dicome si può consolidare la valenza am-bientale e paesaggistica di un luogo attra-verso un faro, e inoltre è opportuno rac-contare anche i restauri condotti sui faridella costa Ligure, segno di un attenzioneforte al problema del deperimento di que-sti manufatti.

Il restaurodel Faro di Capo Spartivento

Di sicuro il riuso più significativo l’haavuto il faro di Capo Spartivento grazie

anche alla sensibilità del suo progettistal’ingegner Mario Dal Molin (1), che inter-pellato da me sul significato del restaurodel faro, così ha commentato il suo proget-to: «(…) forse all’inizio sono stato attiratodal fatto che il recupero di un faro è co-munque un argomento di interesse interna-zionale, in quanto queste architetture sonopresenti in tutti i paesi del mondo bagnatidal mare, ma oggi ho capito che ciò che miattirava davvero era poter ridare dignità aun qualcosa che si è occupato di noi pertutta la sua esistenza, (…) l’opportunità didiventare noi “i custodi di un faro!”. In so-stanza il faro racchiude in sé una memoriastorica che va assolutamente conservata egrazie al fascino che racchiudono questelocations, è possibile trasformarle e ricon-vertirle in un modello a metà tra turismo,ambiente e architettura recuperata, che seben equilibrato, rappresenta un’occasioneper fare cultura e business al tempo stes-so». E ha poi aggiunto: «Il faro come tuttele architetture del passato non può esseresalvato da un semplice vincolo monumen-tale della Soprintendenza; a mio avviso, alsemplice restauro va affiancata una totaledevozione da parte del moderno condutto-re (che rispetto al vecchio fanalista ha an-che l’autonomia finanziaria) che deve tra-sformarne l’utilizzo funzionale. Ossia, pernon scomparire di fronte all’avanzare del-le moderne tecnologie della navigazione,il faro deve poter essere usato e in qualchemodo, deve essere vissuto, deve potersirendere utile per trasmettere sensazionipositive ai suoi fruitori, di fatto quindi de-ve aggiornarsi rispetto alle esigenze deitempi moderni».

Ma ritorniamo a Capo Spartivento (2),all’estremo meridione della Sardegna, ilfaro è raggiungibile da Cala Cipolla per-correndo un sentiero che sale sino alla ci-ma del promontorio granitico. La punta si

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trova tra Capo di Pula (a oriente) e CapoTeulada (a occidente). Il faro, a 81 metrisul livello del mare, è considerato di altu-ra, dominando il paesaggio testimone untempo delle rotte che congiungevano ledue città romane di Sant’Antioco e Nora.

È stato uno dei primi fari realizzati inSardegna, la sua progettazione ebbe inizionel 1854 e terminò con l’accensione dellaluce nel 1866. La prima e unica ristruttura-zione l’ha avuta nel 1949 in seguito ai dan-ni riportati durante la seconda guerra mon-diale. L’edificio ha una tipologia a blocco,

regolare e simmetrica come si riscontra vi-sitando anche gli ambienti interni. La fac-ciata è riccamente decorata con un portaledi ingresso caratterizzato da un frontonetriangolare e da un bugnato di gusto neo-classico.

La facciata si compone di due ordini difinestre con cornice e alcune fasce oriz-zontali di pietra a vista; sul fronte princi-pale si trova la scritta «Capo Spartivento».La copertura è a terrazza piana accessibiledirettamente dalla torre.

L’edificio si caratterizza per la torre

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Render del faro di Capo Spartivento lato mare (archivio Autore).

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quadrangolare che si eleva su i due pianisottostanti destinati ora alla struttura ricet-tiva e prima alla Reggenza e agli alloggi diservizio.

La torre, alta 19 metri, termina con unacornice di pietra a vista ed è sormontata dauna lanterna poligonale di fabbricazionefrancese, restaurata di recente.

Oggi ospita una nuova ottica rotante,che ha sostituito l’originale lente di Fre-snel a tamburo diottrico e la lampada è ali-mentata da una sorgente elettrica (3).

Il faro è stato automatizzato nel 1972 eda allora non è stato più presidiato anchese periodicamente ispezionato dal perso-nale della Reggenza di Cagliari.

La sua storia recente inizia nel 1997quando viene dichiarata la dismissionedella palazzina faro e dell’area cortiliziaadiacente con l’esclusione della torre, del-la terrazza e di un vano di servizio.

Nel 2004 il Demanio decide di dare inconcessione alcuni immobili dimessi colmeccanismo dell’asta pubblica e la So-printendenza, di conseguenza, decreta ilvincolo storico e artistico sul faro.

A quel tempo lo stato delle strutture eraassai precario senza il presidio dei faristi eanche a causa di interventi disorganici dimanutenzione, come il ripristino di parti diintonaco eseguito con intonaco a base dicemento sul vecchio intonaco a calce o lasostituzione del vecchio pavimento con lasovrapposizione di piastrelle di cementoallettate con malta di cemento, la strutturasi era andata via via degradando tanto danecessitare di un restauro complessivo. Loha realizzato coraggiosamente l’imprendi-tore cagliaritano Alessio Raggio, che nel2004, si aggiudicò l’asta, vincendo una du-ra selezione a cui parteciparono altri qua-ranta concorrenti. La filosofia del progettoè quella di aprire il faro al pubblico e di in-tervenire facendo uso esclusivo di materia-

li e tecniche tradizionali locali coerenticon l’edificio. Il complesso è stato per 30anni in totale abbandono e incuria cosa cheha favorito azioni vandaliche quali graffi-ti, demolizioni di intere parti di fabbricato,fino all’asportazione completa dei serra-menti; a tutto questo va aggiunto che ilfabbricato è antico e la maggior parte del-le patologie riscontrate, oltre alla mancatamanutenzione, hanno trovato nelle condi-zioni climatiche un volano che ne ha am-plificato i sintomi a dismisura.

L’azione combinata di vento, umidità,pioggia battente, condensa, il fenomenodella cristallizzazione dei sali per la pro-spicienza al mare, lo hanno consegnato alprogettista in condizioni a dir poco fati-scenti. Ma questo non lo ha preoccupatocome lui stesso spiega: «Il restauro conser-vativo del faro, sia dal punto di vista strut-turale, che funzionale e decorativo (si è ri-pristinata la facciata originaria, prima delrestauro post guerra), è stato, da un certopunto di vista, semplice in quanto si sape-va bene dove si doveva arrivare. Il veroproblema era progettare tutto il resto, la di-stribuzione logistica degli spazi, delle zo-ne, gli arredi interni ed esterni per un uti-lizzo turistico della struttura non piùproiettata solo verso il mare, ma ancheverso l’entroterra, per tutte le stagioni,quindi un modello di faro nuovo, un inter-vento che fosse funzionale, compatibile,rispettoso e non irriverente del luogo in cuisi interveniva.

Ho poi approfittato dell’occasione perconciliare gli aspetti di tutela ambientale,con quelli turistico ricettivi e per ap-profondire e proporre soluzioni tecnicheche hanno come prerogativa il ricorso alleenergie pulite e all’uso di materiali e ac-corgimenti di tipo bioedilizio.

Non mi ha preoccupato il decentramen-to di questo sito, l’isolamento dalle reti in-

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frastrutturali, e quant’altro, a detta di mol-ti considerati come aspetti negativi, anzi liho sempre considerati punti di forza: pri -vacy, totale immersione in un ambientenaturale incontaminato, il fascino del faroe con servizi a 5 stelle. Ho infatti volutocreare una struttura turistica in grado didare un servizio polifunzionale di alto li-vello in un contesto unico in cui durante ilgiorno fa da padrona la natura e di notte ilfaro possa risplendere in tutta la sua bel-lezza non solo per la presenza della lamadi luce che fende il buio e per gli effetti lu-minosi che la lanterna porta sulla corte dipertinenza, ma creando altri effetti: peresempio la terrazza sospesa e retro illumi-

nata in legno a picco sulla scogliera chevolevo sembrasse il ponte di una nave chesolcava le onde del mare in navigazione».E procede raccontandoci come ha pensatoall’integrazione del faro con il suo conte-sto, e quindi come sono stati studiati glispazi esterni antistanti il faro: utilizzo dimateriali naturali come pietra, granito,rocce, basalto, legno, acqua di mare e fer-ro ma anche attenzione legata all’illumina-zione perché: «Nella configurazione not-turna in particolare, il faro sembra un’a-stronave, dove il gioco di luci, artificiali enaturali (fiamme libere) crea un’atmosferaunica. Sia nella parte anteriore che in quel-la posteriore del faro ho voluto riprendere

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Render del Faro di Capo Spartivento lato terra. (archivio Autore)

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il concetto “del fuoco” che anticamenteera legato a filo doppio all’esistenza deifari, infatti la luce si otteneva bruciandodella legna che ardeva in bracieri di ferroposti sulla sommità della torre del faro.Anteriormente ho ricavato a incasso sullapedana in legno, sospesa e retroilluminatasu tutto il perimetro, due bracieri orlati dacuscini su cui potersi stravaccare davantial fuoco e contemporaneamente goderedella vista mare». E inoltre al centro dellaterrazza fronte mare una piscina di acquamarina a sfioro rivestita a mosaico con icolori del mare e ombrelloni appositamen-te progettati, di acciaio navale e tessutouguale alle vele, per non schermare la vi-sta del mare ma allo stesso tempo capaci diresistere all’azione del vento che qui,quando arriva, fa paura. Sul retro invece ilprogettista ci racconta di aver progettatoappositamente per il faro: «otto gazebo, inquanto quelli in commercio mal si adatta-vano a quelle condizioni climatiche, percui utilizzando sempre l’acciaio, il legno eil tessuto nautico, ho realizzato delle strut-ture che in tutte le condizioni sono in gra-do di offrire il massimo confort».

Nell’area cortilizia retrostante la palaz-zina faro è stata realizzata un’area benes-sere con vasche idromassaggio per esternicontornate da fontane a parete con adia-cente area relax dotata di lettini, un’areacottura per carne e pesce delimitata da cri-stalli; e banchi amovibili retro illuminatiper gestire gli eventi, dei servizi e dellearee di ricovero arredi. A tutto questo fa dacornice il muro perimetrale dell’area corti-lizia che è realizzato con pietrame dellazona posato a secco e anch’esso illumina-to da incassi led a terra nel prato, e che vie-ne interrotto solo sul lato terrazza frontemare, dove ai parapetti in pietra sono so-stituiti dei parapetti in vetro completamen-te trasparenti per garantire in tutte le con-

dizioni e a tutte le ore la vista mare.All’interno domina la semplicità e l’e-

n e rgia del bianco grazie all’uso di materia-li naturali come pietra, granito, legno scu-ro, ferro battuto e lino. Questo linguaggioestetico si riferisce a un d e s i g n c o n t e m p o-raneo minimale in cui il bianco, che riflet-te tutti i colori, è utilizzato sia al piano ter-ra, dove sono state ricavate un’area bar,un’area pranzo, un’area salotto e un’arear e l a x con un camino e alcuni servizi comu-ni (una cantina ricavata da una cisterna in-terrata, una cucina e un’ufficio), sia al pia-no primo dove sono state ricavate 4 s u i t e sdotate di ogni c o n f o r t con letti circolari so-spesi e retroilluminati e un’area r e l a x c o ncamino. All’esterno della costruzione, sot-to la terrazza fronte mare, sfruttando unostanzone adibito a cisterna si è ricavata unapiccola spa dotata di ogni confort (area r e -l a x, servizi spogliatoio e doccia, vascaidro, bagno turco e sauna) e sono inoltrepresenti altre due s u i t e s ricavate in fabbri-cati esterni di cui una realizzata secondo lenorme per i disabili. Inoltre il restauro diquesto faro è assolutamente interessanteperché si sono applicati principi di bioedi-lizia che rendono il progetto ancora più af-fascinante. La situazione di partenza nonera facile, la rete elettrica forniva max 40K W e non esistevano fogne, allacci idrici etelefonici e allora il progettista ha pensatoa un dissalatore, tipo quelli da barca, da 70lt/ora, con cui viene aspirata l’acqua di ma-re che viene poi utilizzata per le normalifunzionalità della struttura.

La mancanza di allacci fognari è statacompensata con un impianto di fito depu-razione, che alla fine del processo di trat-tamento dei residui di scarico, consentel’utilizzo dell’acqua per innaffiare le partia giardino della struttura.

L’impianto di climatizzazione ad acquaconsente la produzione diretta dell’acqua

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calda sanitaria e l’utilizzo praticamenteesclusivo delle ultime tecnologie di illumi-nazione basata sui led ha consentito dicontenere il fabbisogno energetico dellastruttura nei limiti fissati originariamentedall’ente erogatore.

Per produrre energia e acqua calda sa-ranno utilizzati rispettivamente pannellifotovoltaici e pannelli solari.

Sono stati utilizzati, inoltre solo mate-riali biocompatibili, dal legno (massello dirovere anticato e leggermente sbiancato da2,5 cm di spessore all’interno e massellodi ipè Lapacho da 1,5 cm di spessore all’e-sterno), alla pietra (basalto), alla pietrabiancone a tozzetti 10x10 nei rivestimenti,agli infissi esterni in legno con vetrocame-ra, alle porte interne in massello di legno.

Le pareti sono state riportate al mattoneoriginario, lasciato a vista in alcuni casi eintonacato a base calce in altri. Quindi co-me ci ha ben chiarito l’ingegner Dal Mo-lin: «L’obiettivo prioritario è stato risana-re, riqualificare (anche con l’uso della tec-nologia meglio se ecocompatibile) e ridi-segnare la distribuzione degli interni e de-gli esterni, nel totale rispetto della tradi-zione mediterranea, con queste specifichepriorità: — conservare il fascino classico di un faromediterraneo che compie quest’anno 142anni, intervenendo con discrezione e stile,nella distribuzione interna ed esterna, suimateriali e sugli arredi, in modo da render-lo al tempo stesso un esempio di stile me-diterraneo minimale;

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Render di una delle suite all’interno del Faro di Capo Spartivento (archivio Autore).

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— ricavare nuove funzionalità all’esterno,per soggiornare in presenza del forte ventodi maestrale o del sole, per godere di nuo-ve prospettive visive del mare e degli sce-nari naturali attraverso le nuove terrazze;— recuperare gli spazi all’interno attraver-so la realizzazione di suites di lusso.

Al termine dei lavori ritengo che il farosarà più gradevole, confortevole, tecnolo-gico, ecocompatibile e mediterraneo, ingrado di stimolare i 5 sensi e perfettamen-te integrato con l’esterno».

E io credo che ci sia assolutamente riu-scito e credo anche che questo dovrebbeessere un esempio da seguire anche per glialtri fari che ancora versano in condizionidi fatiscenza.

Il restauro della Lanterna di Genova

E se è suggestivo poter dormire e sog-giornare in un faro lo è anche poter pensa-re che nell’area di un faro, quello dellaLanterna di Genova, vive un museo (4) enon un museo di oggetti come si è normal-mente abituati, ma un museo di racconti.L’idea forte che l’ha ispirato e che si respi-ra visitandolo è quella che la Lanterna,muta testimone nel corso dei secoli, rac-conti le storie piccole e grandi avvenute incittà. Il museo racconta proprio la città e laprovincia di Genova con sensazioni sem-pre nuove, se si ha la voglia di tornarci piùvolte. A questo scopo sono stati impiegatidiversi sistemi espositivi di natura essen-zialmente video, opportunamente presen-tati, ma anche proiezioni di effetto ologra-fico e proiezioni fotografiche. I filmati so-no gestiti da un server di rete, che variacontinuamente la programmazione dei vi-deo affinché il visitatore — lungo un per-corso scelto in maniera personale — possapercepire contenuti nuovi, anche in occa-

sione di diverse visite.Nel museo il soggetto dominante è so-

prattutto la città, con il suo porto, la suastoria, il suo sviluppo urbano e il suo ruo-lo di polo industriale. Però una speciale se-zione del museo, le Sale Cannoni, è dedi-cata ai Fari e ai sistemi di segnalamento inmare. Una «lente di Fresnel» simile a

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La riproduzione della lente di Fresnel all’internodella sezione sui Fari nella Lanterna di Genova(archivio Autore).

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quella della Lanterna (l’originale è la piùgrande presente in Italia) ruota lentamentee col suo fascio di luce dà l’idea di esseredavvero dentro l’ottica di un faro; sugge-stione interessante, anche perché in occa-sione della visita all’interno del faro, al vi-sitatore non è consentito l’accesso fino incima, ma solo fino al primo piano e quindinon potrà mai apprezzare di persona e davicino la sofisticata bellezza della «luce»che orienta tanti naviganti.

Nella sezione del museo si trovano poianche esposti l’orologeria per la rotazionedei fari; i sistemi elettrici, acetilenici e agas, alcuni disegni di fari forniti dall’Uffi-cio Tecnico dei Fari di La Spezia e oggettiin genere legati a questo tema.

Ma come si è sviluppata questa storia?(5) Fino al 1996 la Lanterna non era altroche un monumento isolato all’interno del-l’area portuale, accessibile solamente alguardiano del faro e al personale della Ma-rina Militare preposto al controllo del se-gnalamento. Il faro venne quindi ufficial-mente aperto al pubblico nel 1996, anchese la circostante area portuale, non permet-teva il facile raggiungimento della strtuttu-ra, collocato sopra a uno sperone di rocciaa 40 metri di altezza.

Così si è dovuto aspettare il 2001 quan-do è stata inaugurata finalmente la passeg-giata pedonale che conduce al faro dallacittà, senza interferire con le attività por-tuali. Passeggiata che ricalca l’antico per-corso storico intorno alla collina di Capo-difaro, oggi rasa al suolo e rimpiazzata daun enorme piazzale utilizzato a scopi siaurbani che portuali e la cui unica traccia èla piccola rocca su cui sorge il faro. Sem-pre in quell’anno venne realizzato ancheun intervento di recupero delle aree sotto-stanti il faro, con il restauro delle fortifica-zioni sabaude, rendendo accessibile l’areada poco trasformata in parco urbano. Ulti-

mo atto, il 2004, quando si sono conclusigli interventi di restauro intorno alla lan-terna, con la demolizione della palazzina ascacchi bianchi e neri, utilizzata in passatocome stazione segnali. Questo interventocoraggioso ha permesso di recuperare l’a-spetto che l’area della Lanterna aveva allafine del 1700, documentato da vedute epiante ancora oggi esistenti in collezioni earchivi genovesi, ridandogli una valenzaimportante sul paesaggio portuale.

Il restauro del Faro di Otranto

Differente è il contesto del faro di Otran-to, collocato a Punta Palascia, un’area aforte valenza ambientale e paesaggistica.Il complesso architettonico del faro diPunta Palascia sorge sulla punta più a estd’Italia, caratterizzata dall’alta scogliera apicco sul mare in uno splendido paesaggionaturale, nell’area di quello che sarà il Par-co Regionale Otranto-S. Maria di Leuca.

Il faro fu costruito nel 1863 quando, dalcorpo reale del Genio civile, venne decisala costruzione di un faro del 4° ordine, ri-tenuto più utile rispetto al progetto origi-nario che prevedeva un segnalamento del2° ordine. Il progetto fu affidato all’inge-gner Achille Rossi e l’impresa Pinto, inca-ricata dei lavori, li concluse nel 1867.

Come apparato illuminante venne mon-tata una lanterna a dieci specchi, che ospi-tava un apparecchio catadiottrico a lucefissa con alimentazione a olio. Nel 1887 lalampada a olio venne sostituita con una apetrolio della ditta Barbier & Fenestre diParigi, a luce bianca con lampo di 10 se-condi seguito da 10 secondi di eclissi.

Il 5 febbraio 1907 la Commissione peril riordinamento dell’illuminazione dellecoste del Regno (6), decise di ridurre la lu-ce a intermittenza a 10 secondi di luce e 5

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secondi di eclissi. Per quello che riguardala struttura architettonica, la storia ricordaun solo restauro, nel 1921, diretto dall’In-gegner Blen ed eseguito dall’impresa Gae-tano Urso, dopodiché la struttura fu lascia-ta via via deteriorandosi fino al completoabbandono nel 1979, anno in cui vennespenta anche la luce sul faro. Luce chevenne sostituita da un fanale su un tralic-cio posto più in alto presso la sede dellaMarina Militare, al livello della strada pro-vinciale. Strana storia per un faro che di si-curo è stato uno dei più significativi riferi-menti del sistema di segnalazione delle co-ste italiane, per un periodo di circa centoanni. Ma poi che cosa è successo? Il farovenne messo all’asta. Il Comune di Otran-to se ne accorse in tempo, grazie all’inte-ressamento di un movimento ambientali-sta. Fu presentato così ricorso al Tribunaledi Maglie affinché fosse fermata la vendi-ta del faro; successivamente fu avviato unprocedimento volto al reperimento di fon-di per restaurare il faro.

Questi furono resi disponibili da un fi-nanziamento comunitario, il POR RegionePuglia 2000–2006, misura 1.6, finanziatodall’Unione Europea, dallo Stato italiano,dalla Regione Puglia e cofinanziato dalComune stesso.

Questo finanziamento ha permesso lariaccensione del faro, dopo un restauro ac-curato, la notte del 31 dicembre 2005, du-rante la manifestazione Alba dei Popoli.

Il progetto di restauro, come si leggedalla scheda tecnica, ha suddiviso gli in-terventi in:— opere preventive di risanamento con-servativo;— opere di restauro;— opere di adeguamento funzionale;— opere di finitura e completamento fun-zionale;— opere relative alla dotazione impiantistica.

Molti spazi sono stati pensati per con-sentire l’attivazione di un percorso musea-le di tipo virtuale in grado di restituire uncammino legato alle emergenze storico-ar-chitettoniche, nel rispetto del contesto am-bientale e naturalistico dell’area.

Il restauro dei farilungo la costa della Liguria

Sicuramente meno complessi sono statigli interventi che hanno interessato altri fa-ri, come per esempio quelli lungo la costadella Liguria, dove tra il 2004 e il 2006 siè assistito a un’operazione significativa diristrutturazione, a dimostrare una volontàchiara di salvaguardare questo importantepatrimonio.

Tali interventi sono stati richiesti fin dal2003 dall’allora comandante di MarifariSpezia, Paolo Freni e sono stati realizzatidal Genio Civile Opere Marittime di Ge-nova grazie ai finanziamenti della Direzio-ne generale per le infrastrutture marittimae interna.

E così dopo il faro più a est di Italia an-che quello più a ovest può essere conside-rato tra i fari recuperati.

È il faro di Capo dell’Arma, situato nelpromontorio omonimo in Provincia d’Im-peria, in località Arma di Taggia, primo fa-ro della costa ligure a partire dal confinecon la Francia.

Il primo faro fu costruito dal Genio Ci-vile nel 1912 e fu attivato dalla Regia Ma-rina per illuminare il Capo; successiva-mente, nel 1936, fu dotato di un impiantodi illuminazione elettrica.

Come successo altrove, nel 1945, letruppe tedesche in ritirata ridussero il faroin rovina distruggendo completamente lastruttura originaria. Nel 1948, si decise diricostruirlo e la Marina Militare volle do-

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tarlo di una lanterna circolare di 3 metri didiametro, un’ottica più complessa montatasull’armatura girevole, un impianto elettri-co di riserva e un fanale indipendente.

La lanterna è collocata su una torrebianca di forma cilindrica che termina conuna vistosa cornice di coronamento; è in-serita nella costruzione di servizio a duepiani caratterizzata da una finitura a into-naco bianco e una fascia orizzontale nerache spicca sul fondo chiaro per migliorar-ne la visibilità diurna. La composizionedelle facciate è molto semplice e funziona-le senza decorazioni: uno zoccolo di basee le aperture circondate da una cornicebianca. L’edificio è disegnato secondo unapianta asimmetrica: la distribuzione è or-ganizzata lungo un corridoio centrale cheda accesso ai vani principali e al corposcala (posizionato in angolo) che consenteil collegamento con il piano superiore; unaterrazza piana funge da copertura. È possi-bile arrivare alla sommità del faro tramiteuna scala elicoidale interna alla torre chepermette di accedere al terrazzo di coper-tura al primo piano dell’edificio. La scalaelicoidale porta alla stanza dell’orologio eda qui si accede al primo ballatoio protet-to da un semplice parapetto metallico; tra-mite una rampa metallica esterna si rag-giunge il ballatoio metallico superiore checonsente le periodiche operazioni di ma-nutenzione della lanterna (7).

Il faro di Capo Mele è ubicato sul pro-montorio di Capo delle Mele in localitàAndora-Laigueglia. Fu costruito per vo-lontà del Genio Civile nel 1856, quindiprima dell’Unità d’Italia; infatti era giàpresente nei primi elenchi ottocenteschi difari e fanali d’Italia. La sua architettura, daallora, non è quasi mai mutata, eccetto ilcolore dell’intonaco dell’edificio alloggi,da giallo a rosso e l’inserimento, nel retroe nella facciata sud, di un corpo aggiunti-

vo nel quale sono stati ricavati i nuovi ser-vizi igienici (nel 1953).

Anche la lanterna è ancora quella origi-nale, dodecagonale a tre corsi di vetri pia-ni; la lampada ha funzionato a luce fissaalimentata a petrolio fino al 1909, data incui l’impianto venne trasformato ad aciti-lene a produzione diretta con tre gruppi diluci. Nel 1936 l’impianto a produzione di-retta fu sostituito con quello ad acetilenedisciolto.

Durante il secondo conflitto mondiale,subì gravi danni e venne riparato poi fra il1947 e il 1948.

Un anno dopo, l’apparato illuminante futrasformato a incandescenza elettrica an-che in funzione della sua nuova classifica-zione a faro aereomarittimo. Nel 1953 fusistemata l’ottica rotante definitiva conpannelli deflettori per la parte aerea (8).

Il faro è a torre ottagonale in muraturaintonacata di bianco, con una terrazza sor-montata da una muretta su cui poggia lalanterna cilindrica. Il ballatoio è protettoda un parapetto metallico con sottostantecornice che unisce armonicamente la torrealla lanterna. Il tutto è parzialmente addos-sato al fabbricato di servizio di colore ros-so. La pianta è rettangolare con ingressocentrale e il corpo scala consente il colle-gamento con il piano superiore e il corpodell’edificio alloggi. Il fabbricato è a trepiani e si arriva sulla sommità della torrepercorrendo 74 gradini. Per entrambi i faricitati sono stati principalmente affrontatiproblemi di consolidamento delle muratu-re per evitare il collasso delle strutture,con un attenzione alle tecniche costruttivetradizionali.

Infatti sono stati conservate, dove possi-bile, le murature in pietra a secco con so-luzioni tecnologiche (micropali) capaci diriprodurre l’originaria tipologia e si sonoaffrontati anche problemi idraulici per li-

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mitare la franosità del terreno e inoltre so-no state trattate tutte le superfici intonaca-te con intonaci a calce, privi di cemento epertanto maggiormente resistenti all’ag-gressione salina.

Per il faro di Portofino, invece, sonostati progettati interventi di miglioramentodegli interni.

L’edificio si trova sulla punta di Porto-fino, all’estremità sudorientale del pro-montorio arroccato sulle scogliere a picconel mar Ligure, e domina la costa tra ilGolfo Paradiso, a ponente e il Golfo delTigullio a levante; si trova a 2 km dallacittà e a solo 15 minuti a piedi dalla rino-mata piazzetta. L’idea di progettare questofaro nacque durante il periodo napoleoni-co, in quanto l’imperatore voleva dare

maggiore importanza al golfo del Ti g u l-lio, però solo nel 1870, grazie al ConteCamillo Benso di Cavour, all’epoca mini-stro dei Lavori Pubblici in Italia, venneportato a termine il progetto. Dapprima unsemplice traliccio in ferro che prese poi laforma dell’attuale faro, nel 1910, in quan-to la sua debole luce si confondeva con leluci del paese.

Appena costruito venne chiamato Capodella Madonnina in quanto all’inizio, soprala torre fu posizionata una statua raff i g u-rante la Madonna, che intorno al 1900 futrasferita in una cappella nelle vicinanzedel promontorio. Durante la seconda guer-ra mondiale ebbe la triste sorte di esserepreso dai tedeschi e così fu spento; ripresea illuminare il golfo il 13 maggio del 1945.

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Le coperture del faro del Tino dopo il restauro (archivio Autore).

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Il faro presenta una tipologia particolarecon la torretta del faro che si trova su unospigolo dell’edificio. È realizzato in mura-tura e intonacato di bianco; la struttura è adue piani con pianta rettangolare addossataa un’ala laterale a un solo piano utilizzataper i servizi. La torretta è ottagonale, smus-sata sui quattro spigoli, presenta all’internola tipica scala elicoidale, dalla quale si ac-cede alla sommità, ove è posta la lanterna.La facciata presenta alcuni elementi dellessico classico, lo zoccolo, le modanaturee la bugnatura dei cantonali.

La lanterna, di tipo francese con cupolain rame e montanti di ottone, è di tipo L2.

Gli interventi di restauro sono stati residifficoltosi dalla scarsa raggiungibilità delfaro (c’è una strada di solo un metro di lar-ghezza), infatti tutti i materiali sono statiportati in cantiere con l’ausilio di un eli-cottero. Per le soluzioni progettuali, inquesto caso, si sono usati accorgimenti dirisparmio energetico, realizzando il riscal-damento a pavimento con acqua riscaldatadai pannelli solari posti sulla copertura e siè scelto di utilizzare una stufa a pellets,cioè che usa truciolame di legno pressato.

Ultimo faro da citare è quello del Tinosituato sull’omonima isola nel golfo di LaSpezia.

È un faro intriso di storia e leggenda senon altro perché è qui che si rifugiò, dopoaver viaggiato a lungo, il monaco eremitaSan Venerio, oggi considerato il patronodei faristi.

Fu infatti nel luogo dove oggi sorge il fa-ro che, tra il VI e VII secolo, San Ve n e r i oaccese fuochi come ausilio ai naviganti.

La costruzione è stata attivata nel 1840dal Genio Civile e non segue le leggi im-poste dall’orografia. Rappresenta un gran-dioso esempio di architettura fortificataneoclassica, un interessante compromessotra le costruzioni militari di scuola france-

se e le fortificazioni del XIX secolo.Nel 1840, sulla torretta cilindrica, nel-

l’angolo orientale del primo fortino napo-leonico venne attivata da Carlo Alberto diSavoia la prima luce con una lampada ali-mentata a olio vegetale, ora abbandonata.

Nel 1884 il Genio Civile costruì, a fian-co della prima torre, una seconda torre piùalta; qui fu collocato l’attuale apparato ot-tico dotato di incandescenza elettrica adarco voltaico prodotto da due generatori acorrente alternata. I generatori erano azio-nati da due macchine a vapore, conducen-do un esperimento che non venne mai piùriproposto in nessun altro faro.

Il faro del Tino non è nuovo a questo ge-nere di esperimenti, infatti trovandosi vici-no all’Ispettorato Tecnico dei Fari è loca -tion ideale per testare e sperimentare nuo-ve soluzioni tecnologiche.

Questo sistema conferiva al segnale unaluminosità molto elevata per cui nel 1912fu sostituito con un impianto a petrolio chesuccessivamente fu elettrificato.

Nel corso degli anni vennero applicateulteriori modifiche e il 25 luglio del 1985il faro venne definitivamente automatizza-to. Il faro è considerato di atterraggio ed ècostituito da una torre cilindrica collocatasopra l’antico fortilizio esagonale ed è ad-dossata all’edificio alloggi a tre piani.

La torre ha due ordini di terrazze, coro-nata da una grande lanterna a vetrate cur-ve. Questa soluzione è abbastanza insolitain quanto la forma della lanterna non è ditipo francese ma inglese come riporta an-che la targa apposta leggibile sulla lanter-na stessa. Il fortilizio e l’edificio di servi-zio non sono visibili dal mare, solo la lan-terna domina il verde e le rocce di quest’i-sola disabitata.

Il 1° aprile del 1987, il personale del fa-ro dell’Isola del Tino ha cessato il serviziodi guardia e questo ha reso più vulnerabile

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la struttura. I lavori di restauro hanno inte-ressato la ricostruzione delle coperturecollassate, mantenendo la tipologia co-struttiva in abbadini di ardesia in triplicestrato e la struttura portante in legno, il ri-facimento degli intonaci esterni e la sosti-tuzione delle persiane di legno.

La Marina Militare è fortemente impe-gnata affinché questo complesso monu-mentale in un isola non abitata possa resta-re integro e intatto, anche in omaggio aSan Venerio che per primo l’abitò (9).

E mi piace concludere questo testo ri-portando ancora una frase del progettista

del faro di Capo Spartivento che mi trovaassolutamente d’accordo: «Queste struttu-re non sono state costruite per caso nelpaesaggio, avevano e hanno uno scopo,un’utilità civica è come tali vanno rispetta-te, conservate e valorizzate in segno di ri-spetto e anzi, è grazie a loro che possiamogoderci la vista di un paesaggio mozzafia-to che altrimenti difficilmente sarebbe sta-to raggiungibile».

E con queste parole mi congedo, augu-randoci un giorno di poter raccontare an-cora una storia a lieto fine per tutti i farid’Italia.

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NOTE(1) Un ringraziamento particolare al signor Alessio Raggio e all’ingegner Mario dal Molin per aver fornitotutta la loro disponibilità e tutta la documentazione di progetto. Per ulteriori informazioni: www.mariodal -molin.com.(2) Le tradizioni tramandate dai pescatori ci ricordano che il nome Spartivento, deriva dal fatto che il Ca-po divide i venti orientali da quelli occidentali.(3) La portata luminosa attuale è di 18 miglia e la sorgente luminosa emette un gruppo di tre lampi bianchicon un periodo di 15 secondi; il fascio è visibile nei settori 240-085 e 093-094. Il sistema di emergenza au-tomatizzato ha la medesima portata della lampada principale.(4) Maggiori informazioni su http://www.liguri.org/lanterna/museo.asp.(5) Vedi l’articolo di Bruno Cervetto «La lanterna di Genova: nuovi spazi e un nuovo museo» sul sito deLe pietre e il Mare.(6) Commissione istituita con i Decreti Ministeriali n. 5115 del 16 maggio 1905 e n. 3175 del 20 marzo 1906.(7) Per quanto riguarda l’impianto di illuminazione e l’ottica, il faro è dotato di un impianto elettrico diproiezione che emette due lampi di luce bianca intermittente per un periodo di quindici secondi.(8) Il faro è dotato di un impianto elettrico di proiezione che emette tre lampi di luce bianca per un perio-do di quindici secondi.(9) Vedi l’articolo di Giovanni Infante e Paolo Freni «I fari della Liguria tornano a splendere» in N o t i z i a r i odella Marina.

BIBLIOGRAFIAC. Bartolomei, Luce e mare: geometria e tipologia dei fari italiani, Tesi di Dottorato di Ricerca in «Disegnoe Rilievo del Patrimonio Edilizio», 2001.C. Bartolomei, G. Amoruso, L’architettura dei fari italiani. Vol 2 – Mar Ligure e Mar Tirreno, Alinea Edi-trice, Firenze 2006.C. Bartolomei, G. Amoruso, L’architettura dei fari italiani. Vol 3 – Sardegna, Alinea Editrice, Firenze 2007.P. Leonardi Cattolica e A. Luria, Fari e Segnali Marittimi, P.L., Doyen, Torino 1916.

Si ringraziano, per le fotografie e il materiale fornito, l’Archivio della Provincia di Genova e il4° Reparto dell’Ispettorato di Supporto Logistico e dei Fari della Marina Militare.