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AMANI Porta il tuo cuore in Africa Anno III, n. 2 - Ottobre 2003 Spedizione in A.P. Art. 2 comma 20/C legge 662/96, Milano Incipit Cos’è la pace? Un modo di essere o un’agenda di cose da fare? Senza troppe parole, discorsi e teoremi ci rispondono Samson e Bweupe due piccoli amici africani www.amaniforafrica.org Di Renato Kizito Sesana* Guerra e pace, violenza e non violenza restano argomenti im- portanti nelle discussioni delle persone che vogliono continua- re a pensare con la propria te- sta. Persone autorevoli hanno detto e scritto molto su questi temi negli ultimi tempi. I più forti richiami alla pace sono ve- nuti dal Papa. Ma la pace resta elusiva, sia a li- vello di definizioni che sul pia- no concreto. La violenza semi- nata con le bombe in Iraq non ha generato pace, come preve- devano tutte le persone di buon senso. La pace non è ancora fio- rita in Israele e Palestina, in Li- beria, in Congo, in Sudan e in tante altre aree del mondo. Gli elementi che entrano in gioco quando si parla di pace e quan- do si cerca di costruirla concre- tamente sono talmente tanti che ogni discorso sulla pace re- sta inevitabilmente incompleto e insufficiente. Dopo una premessa così non mi voglio lanciare in un grande dis- corso sulla pace, sarebbe trop- po lungo e forse anche inutile: vorrei solo accennare a tre ele- menti che contribuiscono a far- la fiorire. La pace deve nascere nelle per- sone, dal cuore, prima che dai trattati o dalle istituzioni. I co- struttori di pace non hanno bi- sogno di cose, di strumenti, di fondi e di parole difficili. Hanno per prima cosa bisogno di avere la pace dentro. La pace è gra- tuita, è un dono che si riceve e che si da. E’ gratuita perché non ha niente a che fare con soldi, promesse da mantenere e ricat- ti. Nasce da cuori grandi e aper- ti che non hanno paura di dare e di ricevere. L’attenzione agli al- tri e alle loro necessità è un al- tro elemento importante per far crescere la pace: la pace è rela- zione e rispetto. La pace è quin- di un modo di essere piuttosto che un’agenda di cose da fare. Quelli sopra accennati sono va- lori evangelici, ma penso siano valori in cui tutti, senza alcuna differenza di credo religioso, pos- sano ritrovarsi. Valori che pos- sono e devono essere vissuti non in circostanze eccezionali, ma sempre, quotidianamente. a pag. 2 Punto di arrivo o ... punto di partenza Gian Marco Elia pag 2 Il punto L’eredità della guerra: i monti Nuba a rischio ambientale. pag 4 Voci africane Africa Teller: Il pazzo che dice tutto Janeloise Wambui Chege pag 5 Cultura Carissimi amici... Da Kivuli Il megafono Adozioni pag 6/7 L’Africa non esiste, é un’astrazione, un pregiudizio... pag 3 © David Stewart-Smith

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Punto di arrivo o ... punto di partenza pag2 Il punto pag 5 Cultura Adozioni Porta il tuo cuore in Africa pag 4 Voci africane Un modo di essere o un’agenda di cose da fare? Senza troppe parole, discorsi e teoremi ci rispondono Samson e Bweupe due piccoli amici africani Gian Marco Elia Janeloise Wambui Chege www.amaniforafrica.org Di Renato Kizito Sesana* pag 6/7 Spedizione in A.P. Art.2 comma 20/C legge 662/96, Milano Anno III,n.2 - Ottobre 2003 © David Stewar t-Smith

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AMANIPorta il tuo cuore in Africa

Anno III, n. 2 - Ottobre 2003 Spedizione in A.P.

Art. 2 comma 20/C legge 662/96, Milano

Incipit

Cos’è la pace?Un modo di essere o un’agendadi cose da fare? Senza troppeparole, discorsi e teoremi ci

rispondono Samson e Bweupedue piccoli amici africani

www.amaniforafrica.org

Di Renato Kizito Sesana*

Guerra e pace, violenza e nonviolenza restano argomenti im-portanti nelle discussioni dellepersone che vogliono continua-re a pensare con la propria te-sta. Persone autorevoli hannodetto e scritto molto su questitemi negli ultimi tempi. I piùforti richiami alla pace sono ve-nuti dal Papa. Ma la pace resta elusiva, sia a li-vello di definizioni che sul pia-no concreto. La violenza semi-nata con le bombe in Iraq nonha generato pace, come preve-devano tutte le persone di buonsenso. La pace non è ancora fio-rita in Israele e Palestina, in Li-beria, in Congo, in Sudan e intante altre aree del mondo. Glielementi che entrano in giocoquando si parla di pace e quan-do si cerca di costruirla concre-tamente sono talmente tantiche ogni discorso sulla pace re-sta inevitabilmente incompletoe insufficiente. Dopo una premessa così non mivoglio lanciare in un grande dis-corso sulla pace, sarebbe trop-po lungo e forse anche inutile:vorrei solo accennare a tre ele-menti che contribuiscono a far-la fiorire.La pace deve nascere nelle per-sone, dal cuore, prima che daitrattati o dalle istituzioni. I co-struttori di pace non hanno bi-sogno di cose, di strumenti, difondi e di parole difficili. Hannoper prima cosa bisogno di averela pace dentro. La pace è gra-tuita, è un dono che si riceve eche si da. E’ gratuita perché nonha niente a che fare con soldi,promesse da mantenere e ricat-ti. Nasce da cuori grandi e aper-ti che non hanno paura di daree di ricevere. L’attenzione agli al-tri e alle loro necessità è un al-tro elemento importante per farcrescere la pace: la pace è rela-zione e rispetto. La pace è quin-di un modo di essere piuttostoche un’agenda di cose da fare.Quelli sopra accennati sono va-lori evangelici, ma penso sianovalori in cui tutti, senza alcunadifferenza di credo religioso, pos-sano ritrovarsi. Valori che pos-sono e devono essere vissuti nonin circostanze eccezionali, masempre, quotidianamente.

a pag. 2

Punto di arrivo o ...punto di partenzaGian Marco Elia

pag 2 Il punto

L’eredità della guerra:i monti Nuba a rischioambientale.

pag 4 Voci africane

Africa Teller: Il pazzo che dice tuttoJaneloise Wambui Chege

pag 5 Cultura

� Carissimi amici...� Da Kivuli� Il megafono

Adozionipag 6/7

L’Africa non esiste, é un’astrazione, un pregiudizio... pag 3

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Cos’è la pace?

Vi porto due semplici esempi.Bweupe avrà circa dieci anni, èsordomuto e viveva da qualcheanno sulla strada prima di ar-rivare a Mthunzi, due anni fa.Probabilmente sente qualcosa,perché è il primo a scatenarsinelle danze appena qualcunoincomincia a battere i tamburi.E’ un folletto allegro e sorri-dente, amato dagli altri bambi-ni, che, con la sua guida, si so-no inventati un linguaggio digesti e smorfie per poter comu-nicare con lui.A Kivuli invece è entrato Sam-son. Ha undici anni ed è quasicompletamente cieco per unamalformazione congenita. E’guidato da Alan, l’amico inse-parabile. Samson vive con la mamma, po-verissima, ma che ha fatto ilpossibile per curarlo. Samsonha un sorriso dolcissimo, ed è di-ventato in breve uno dei perso-naggi più popolari di Kivuli.Ogni giorno Alan lo porta danoi per una visita.Questi due bambini sono deigrandi comunicatori di pace. Cel’hanno dentro, la donano, nelmomento stesso in cui capisci chehanno bisogno di te. Per capire la pace è più impor-tante uno sberleffo di Bweupe ovedere la mano esitante di Sam-son che ti cerca dopo aver senti-to il tuo passo o la tua voce. Tut-ta la loro piccola persona vive edevoca la pace. Per noi a Mthunzi e a Kivuli so-no un grande dono. Tutti noinella nostra vita abbiamo biso-gno di incontrare persone così.

* Renato Kizito Sesana, giornali-sta e padre comboniano è socio fon-datore di Amani.E’ stato direttore del mensile Nigri-zia, titolare per 4 anni di una rubri-ca sul Sunday Nation, fondatore diNew People e ha dato vita ad Africa-news, agenzia di stampa di “africaniche raccontano l’Africa”. Continua un’intensa attività pubbli-cistica con varie testate italiane e non.Attualmente padre Kizito vive a Nai-robi, in Kenya, presso il Centro di Ki-vuli. E’inoltre fondatore e direttore diradio Waumini, emittente cattolicavoluta dalla Conferenza Episcopalekeniana. Dal 1995 si reca regolarmente tra iNuba del Sudan realizzando con lo-ro progetti di aiuto alle popolazionilocali.

Il punto

Punto di arrivo o...punto di partenzaEcco la nuova veste di “Amani” tra no-vità e tradizione, che anche nel campodell’informazione e dell’approfondimentoconferma le idee guida associative.

“Carissimi, come vedete ho deciso dichiamare questa lettera Amani che in ki-swahili significa pace. Ed oggi mi impe-gno a scriverla tutta prima di notte, per-ché mi accorgo che se aspetto un po’succedono tante di quelle cose che soloper tenervi informati ho bisogno di di-verse pagine”. Così iniziava padre Kizi-to la prima “Amani”, lettera a tutti isuoi amici e sostenitori, la sera del 23 set-tembre 1988. Sono passati quindici an-ni ed eccoci ancora qui a leggere le parole di padre Kizito, non piùinviate dattiloscritte per posta, ma sotto forma di “editoriale” di ungiornale, impaginato, con belle foto e articoli scritti da giornalisti. Tante cose sono cambiate, verrebbe da dire. Amani da un gruppo diamici impegnati per l’Africa è diventata una associazione e una or-ganizzazione non governativa; è nato Kivuli, una casa per i bambi-ni di strada, un centro sociale che è una realtà importante a Nairo-bi. La Casa di Anita e il Mthunzi sono il sicuro rifugio per decine dibambine e bambini di strada e sui monti Nuba sorgono due scuoleelementari e un istituto di formazione per insegnanti, nei luoghi do-ve fino a due anni fa infuriava una drammatica guerra civile. E’ stato fatto molto grazie all’impegno di tutti coloro che hanno de-dicato energie e risorse alla buona riuscita di questi progetti e al-l’aiuto fondamentale di tutti voi, ma molto abbiamo ancora vogliadi fare. Molto è cambiato, ma l’idea forza di Amani è rimasta la stes-sa, ovvero quella di mettere al centro le persone con le loro capaci-tà e il loro desiderio di fare cose buone per rendere questo mondopiù respirabile e più umano.Ecco allora necessario ricordare l’attenzione al mantenimento del-l’azione su base prevalentemente volontaria per contenere i costi eal garantire una informazione corretta sulla realtà africana, dandovoce agli stessi africani, affinché il confronto e l’incontro siano pre-messe reali di sviluppo, pace e giustizia. Da questa idea nacque Afri-canews, di cui il periodico che avete tra le mani, in questa sua nuo-

va veste, è l’ideale continuatore e su que-sta via intendiamo continuare il cammi-no. Africanews in versione italiana nonuscirà più, ma all’interno di “Amani”,tra le varie rubriche, terremo sempreuno spazio in cui dare voce a giornalistiafricani: in questo primo numero potre-te leggere anche un divertente raccontodi una giovane scrittrice africana.Troverete sfogliando queste otto pagineanche un ampio inserto dedicato a chi so-stiene i progetti di Amani attraverso l’a-dozione a distanza, una pagina “lettera-ria”, articoli di giornalisti professionisti,testimonianze di coloro che hanno vissutoun’esperienza in Africa presso le comu-

nità sostenute dalla nostra associazione e un po’ di novità, suggeri-menti e appuntamenti associativi. Poco di nuovo in fondo. Abbiamodeciso di mettere ordine nelle numerose pubblicazioni che curava-mo: Africanews, le newsletter delle adozioni a distanza e la letteraassociativa, riunendole insieme in un unico periodico, cercando dimantenere le peculiarità di ognuno di questi differenti progetti, perrazionalizzare e contenere i costi e garantire comunque una infor-mazione buona e approfondita. Ci è sembrato importante ancheproporre una veste grafica adeguata per questo giornale garanten-do una cornice adatta agli articoli di amici giornalisti che hanno scel-to di scrivere per noi: un nuovo progetto di comunicazione che traele sue radici dalle nostre piccole esperienze passate e da quelle deinostri amici che abbiamo incontrato strada facendo. Sfogliando lepagine di questo giornale anche voi potrete convenire che sicuramentemolte cose sono cambiate intorno a noi, ma in fondo lo stile, lo spi-rito e la volontà che ci spingono a continuare in un impresa così bel-la, sono rimasti gli stessi. E’ importante guardare indietro e ogni tan-to, è anche piacevole e ci riempie di soddisfazione, ma è molto piùimportante rivolgere lo sguardo al futuro per cercare nuove vie e nuo-ve strade per crescere e far crescere progetti di solidarietà e pace. Speriamo che questo nuovo “Amani” sia un valido aiuto per noi esia interessante per voi che continuate a sostenerci con affetto.

* Gian Marco Elia è il presidente di Amani.

Di Gian Marco Elia*

Progetti

Amani sostiene

“Kivuli Street Children Project”, progetto educativo nato dall’iniziativa dei giovani della comunità di Koinonia che a Nairobi accoglie e sostiene i bambini distrada di due grandi baraccopoli della capitale. Il Centro Kivuli accoglie in forma residenziale 60 bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, coprele spese scolastiche di altri 70 bambini ed è aperto con vari progetti animativi a tutti i bambini del quartiere. Kivuli è diventato un punto di riferimento per i gio-vani e per gli adulti, con un progetto di microcredito, laboratori artigianali di avviamento professionale, una biblioteca, un dispensario medico, un progettosportivo, un laboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi calmierati e uno spazio sede di varie associazioni e aperto a momenti di di-battito e confronto per i giovani del quartiere.

La “Casa di Anita”, una casa di accoglienza sorta a N’gong (piccolo centro agricolo a 30 Km da Nairobi), curata da tre famiglie Keniane, inaugurata nell’ago-sto 1999. La “Casa di Anita” accoglie 24 bambine di strada, alcune orfane e altre figlie di famiglie poverissime, vittime di abusi sessuali, e 3 bambini Nuba, in-serendoli in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescita affettivamente tranquilla e sicura.

Il “Mthunzi Center”, è un progetto educativo realizzato dalle famiglie della comunità di Koinonia di Lusaka (Zambia) a favore dei bambini di strada. Il CentroMthunzi oltre ad accogliere 60 bambini di strada in forma residenziale curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per la popolazione lo-cale con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria di avviamento professionale.

Un progetto di emergenza a favore della popolazione delle montagne Nuba e del Southern Blue Nile, provate dalla guerra e da quindici anni di isolamento,che consiste nell’invio di aiuti (sale, medicinali, attrezzi da lavoro, materiale scolastico, vestiti e sementi) per la sopravvivenza della popolazione locale e nel-l’accoglienza di rifugiati a Nairobi.

Due “scuole primarie” sui monti Nuba che garantiscono l’educazione di base (l’equivalente della formazione elementare e media in Italia) ai bambini del-la zona circostante, in assenza di altre strutture scolastiche. Attualmente ognuna delle scuole ha circa 500 alunni. Il progetto prevede anche una “scuolamagistrale” per selezionare e formare giovani insegnanti nuba (circa 30 ogni anno) in modo da riattivare la rete scolastica autogestita dalle popolazionidella zona.

“News from Africa”, un’agenzia di informazione mensile redatta interamente da giovani scrittori e giornalisti africani, che raccoglie notizie e articoli di ap-profondimento provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana per poi diffonderle in tutto il mondo per via telematica e cartacea.

“Africa Peace Point”, organizzazione laica e apolitica che si prefigge la realizzazione di iniziative popolari per la costruzione e la diffusione di una cultura dipace nelle comunità africane; la sede è a Nairobi dove APP si è dotata di un centro di documentazione e ha creato uno spazio in grado di ospitare forum, ses-sioni di formazione sulla pace e incontri tra gruppi di base.

“Amani People Theatre”, una compagnia di giovani attori, che lavorano per una cultura di pace utilizzando il teatro per la mediazione di conflitti con per-formance e rappresentazioni nei campi profughi del Kenya e nelle comunità di base.

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Padre Kizito, Gian Marco Elia e gli amici della Comunità di Koinonia

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Africa non esiste.E’ un’astrazione, un pregiudizio,un luogo comune che non ha ri-spondenza nella realtà. Esistonomolte Afriche, tra loro diverse,difformi, che spesso s’ignoranol’una con l’altra quando non so-no divise da avversione o ostilità.Questi luoghi condividono sol-

tanto due cose: l’unità geografi-ca, il ritrovarsi racchiusi da unmare e due oceani – il Mediter-raneo, l’Atlantico, l’Indiano – chene segnano i confini sulla super-ficie del nostro pianeta. E poi unastoria, che sebbene sia anch’essamultiforme, infinitamente varie-gata e suddivisa in una moltepli-cità di vicende circoscritte e noncomunicanti, ha però il tratto di-stintivo di risalire agli albori del-l’umanità, ai grandi eventi pri-migenii che fanno di noi degliumani. Solo in questo duplice sen-so è dunque possibile parlare diAfrica: una grande, continua, lun-ghissima frontiera marina (l’u-nico istmo che la collegava allealtre masse terrestri, Suez, è sta-to rescisso dall’uomo con un’o-perazione logica, che ha assecon-dato il disegno naturale); e unastoria incommensurabile, atavica,primordiale: l’Africa è l’origine, lanascita, l’incipit.Quando si parte per un viaggio,nessuno di noi si sogna di dire“vado in Asia”, accomunando inunica espressione geografica l’In-dia e il Giappone, la Cina e l’Af-ghanistan. E mal sopportiamo gliamericani che ci chiamano “Eu-ropa”, incapaci di vedere le diffe-renze tra un italiano e un fran-cese, tra un catalano e un norve-gese. Questo fastidio è assenteperò quando si va “in Africa”,senza distinguere i mercanti delGolfo di Guinea dai Masai del-l’altopiano, le aride piane del Cor-no dalle foreste del Congo, l’An-gola dal Ciad o il Capo di BuonaSperanza dalle dune del Sahara.Il problema è dunque nel nostrosguardo: distratto, superficiale,privo di un interesse vero, di vo-lontà di comprensione. Frettolo-so, restio a farsi sufficientemen-te vicino per vedere le differenze,dunque le identità. Diciamo “Afri-

ca” e tanto ci basta. Eppure labellezza di questo continente con-siste innanzi tutto nella sua infi-nita varietà, dal granito del mon-te Kenya al silicio del deserto, dal-la fauna della savana allavegetazione pluviale, dai grandifiumi-divinità – il Nilo, il Niger, ilCongo, lo Zambesi – alle distesearide del Karamoja e del Sahel.Tutto è grande, in Africa: le mon-tagne e i corsi d’acqua, le piane,l’orizzonte. Forse per una parti-colare curvatura della Terra, an-

che il cielo è qui più vasto che danoi, incombe, sovrasta, riduce l’in-dividuo a un punto minuto. Im-pone d’istinto, d’autorità, senzaulteriori riflessioni, il dominio del-la natura sull’uomo.Attraversomillenni di isolamento questa na-tura ha anzi plasmato l’uomo, mo-dificandolo a sua immagine. Innessuna altra parte del mondo ècosì visibile la corrispondenza tral’ambiente e l’adattamento che lagenetica ha poi codificato negli in-dividui. I nomadi allevatori e guer-rieri, nutriti per generazioni infi-nite a una dieta di latte e taloradi sangue, si sono fatti alti, slan-ciati, aristocratici nell’aspetto enelle movenze. Sono i Masai delKenya, i Peul del Mali, i Tutsi delRuanda e del Burundi, i Kara-moja ugandesi. Gente dei grandispazi, figli del cielo e dell’aria. Perconverso gli agricoltori, i mangia-polenta, si sono evoluti più picco-li, tozzi, forti, terricoli, nati comele spighe di sorgo dai solchi deicampi. Così gli Hutu, i Kikuyu,gli Shona dello Zimbabwe.Questo portare sul corpo, nell’a-spetto fisico, cioè nel tratto piùintimo dell’identità, il segno del-l’adattamento dell’uomo alla na-tura, rivela un elemento fonda-mentale dell’africanità, e cioè ap-punto l’interazione tra uomo eambiente, che qui è massima-mente sviluppata, più che ovun-que altrove. Bisogna intendersi:l’Africa è anche il continente del-le discariche proibite, delle fognea cielo aperto, della più malsanapovertà urbana. Chiedete peresempio agli Ogoni del delta delNiger che cosa è stato fatto delloro habitat in nome del petrolio,e vi parleranno di devastazioniambientali irrimediabili. Ma seguardiamo alla tradizione, al re-taggio culturale dell’Africa rura-le che ancora sopravvive sebbene

vada smarrendosi nell’inurba-mento incontrollato, è lì che tro-viamo una sapienza unica, unacapacità senza uguali di convi-venza con la natura. Un’armoniaforse oramai perduta, ma ancoravisibile nel disegno delle case edei villaggi, nella capacità degliinsediamenti umani di sorgere epoi riscomparire nel paesaggiosenza lasciare traccia. Un rispet-to espresso nelle religioni tradi-zionali, che attribuiscono consi-stenza spirituale agli elementi del-

la natura e soprattutto vedononella natura la presenza degli spi-riti umani. Questi, che ancora rin-tracciamo nell’Africa più remota,lontana dalle città e dagli aero-porti, sono soltanto indizi, tra-mandati ostinatamente per cen-tinaia di generazioni, sopravvissutial più brutale conflitto di civiltàdella nostra storia – cioè al colo-nialismo, dell’evento originario,primigenio, che vide il nascere del-la specie umana. I paleontologisanno ormai con sufficiente cer-tezza che è qui, a sud dell’Equa-tore, da qualche parte tra la RiftValley e il veld sudafricano, che sicompì l’atto supremo di adatta-mento alla natura, il nostro evol-verci da un branco di scimmioniall’homo sapiens. Qui, all’ombradelle acacie, con gli occhi pieni dicielo, inseguendo un orizzonteinafferrabile, spinti dalla paura,dal bisogno, dalla curiosità, dallavoglia di dominio, per attaccare,per difenderci, per scoprire, ab-biamo appreso la stazione eretta,abbiamo imparato a muoverci sudue sole zampe, abbiamo drizza-to la schiena, proiettato lo sguar-do più lontano e iniziato un cam-mino che ci ha portato a impa-dronirci del mondo. E’ in Africache l’uomo è diventato uomo: ipaleontologi l’hanno scoperto ne-gli ultimi cinquant’anni, ma glisciamani che invocano le forzedella natura e gli spiriti dei de-funti sembrano averlo sempre sa-puto.L’altro sommo contributodell’Africa alla civiltà umana èstato poi la scoperta dell’agricol-tura. Qui, migliaia di anni dopoaver appreso a camminare, giun-to probabilmente nelle fertili pia-ne lungo le sponde del basso Ni-lo, l’uomo s’accorse che un seme,piantato nella terra e nutrito di

Dossier

Lollo

Di Pietro Veronese*

L’

Segue a pag.4

Incipit

MadreAfricaViaggio attraverso

l’armonia perduta tral’uomo e la natura

nel continente che è statola culla della civiltà e dove

tra discariche, miseriae deturpazioni ambientalisi respira ancora la forza

di una natura indomitacreatrice di bellezza

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4 AMANI

Voci africane

La decennale guerra, i cambia-menti climatici e alcune prati-che tribali hanno provocato unpreoccupante danno alle risor-se ambientali sui monti Nuba,mettendo a rischio la sopravvi-venza della popolazione locale.

Numerose Ong internazionaliche operano sulle montagne Nu-ba hanno mostrato preoccupa-zione circa i gravi problemi am-bientali rilevati in questa zona,che allo stato attuale delle cosecostituirebbero una seria mi-naccia per la situazione dellaflora e dell’acqua: elementi es-senziali per la vita, in una so-cietà, come quella nuba, quasiesclusivamente basata sull’a-gricoltura. In un lungo rappor-to, la FAO (l’organizzazione del-le Nazioni Unite per l’alimen-tazione e l’agricoltura), Koinoniae NRRDO (l’Ong che rappre-senta i Nuba) hanno sottoli-neato l’importanza di istituirecomitati con personale localeper la conservazione del suolo edell’acqua in risposta ai segna-li d’allarme di degrado ambien-tale. Il rapporto evidenzia che ildegrado ambientale sia un ri-sultato diretto della guerra civileche ha devastato l’area dei mon-ti Nuba negli ultimi quindici an-ni, costringendo all’emigrazioneuna parte sempre maggiore dipopolazione nelle zone control-late dal SPLM/A, concentran-dola nelle aree collinari. Questecomunità non hanno alternati-va se non coltivare su colline se-mi aride che hanno un indice diproduttività molto basso.Negli ultimi sedici anni di guer-ra, la maggior parte dei conta-dini della regione non è statain grado di accedere alle pro-prie terre in pianura per la pau-ra di rapimenti, campi minati edincendi operati da parte delletruppe governative. Secondo ilrapporto sopra citato il risulta-to di questa politica è stato dauna parte l’abbandono delle cul-ture, dall’altra un eccessivosfruttamento e il conseguenteesaurimento del terreno e del-le risorse idriche. “Il degradoambientale è un problema gra-ve oggi nelle montagne Nuba ela gente deve essere informatasulle conseguenze” ha detto il dr.Ahmed Saed che dirige il Co-mitato per le risorse naturalidei Nuba. Un altro problemaserio è quello relativo alle mo-dalità di mantenimento delleormai scarse risorse naturali:l’agricoltura tradizionale sem-bra per ora un buon modo diprevenire la dispersione dellerisorse. Alcune popolazioni neimonti Nuba, come i Tira a Lu-mon, conservano le loro risorselocali seguendo le proprie tra-dizioni, praticando la coltiva-zione alternata dei campi.

“Quando coltivando un terre-no rilevano segnali di esauri-mento, smettono di coltivarlofino a quando appaiono segna-li che il terreno è nuovamentefertile” dice Kutti Ernesto, unostudente di Scienze sociali a Nai-robi, in Kenya, che viene da Ker-ker Lumon. Il popolo dei Ta-banya, pratica l’agricoltura sen-za distruggere la vegetazionepreesistente e le foreste. Gli Oto-ro costruiscono anche terrazzesui pendii collinari; questo pre-viene l’erosione del suolo e con-corre a mantenere natural-mente la fertilità del terreno,sebbene, poi non si interessinodell’esaurimento dei propri cam-pi, continuando a coltivare la

stessa area senza lasciarli ripo-sare. A Kujur, per esempio, lastessa terra è coltivata da tem-po immemorabile e ciò ha por-tato ad una produttività moltobassa. Ci sono però anche alcu-ne pratiche tradizionali nubache danneggiano l’ambientecome l’eliminare gli alberi perottenere legna da ardere, pri-ma dei matrimoni tra gli Otoro,oppure il taglio degli alberi perl’agricoltura o per costruire ca-se. Gli ambientalisti assicura-no che piantare alberi nella pro-pria fattoria non riduce la pro-duttività della fattoria stessama, al contrario, l’aumenta; per-ché gli alberi aiutano a tratte-nere le sostanze necessarie al-la crescita delle piante più pic-cole e a trattenere l’umidità.“E’inevitabile tagliare gli alberi perla legna da ardere; ma almenoquando un albero viene taglia-to, dovrebbe essere piantato unaltro albero per sostituirlo per-ché questo aiuta a mantenere lerisorse della foresta”, dice Saed,il quale aggiunge che la re-

sponsabilità di conservare le ri-sorse riguarda tutta la popola-zione. Il degrado dell’ambien-te sarà ancora più evidente coni cambiamenti di clima e di sta-gione. Infatti, alcuni anni fa sul-le montagne Nuba le piogge ar-rivavano già ad aprile; ora tut-to è cambiato, infatti le pioggequalche volta arrivano tardi, ad-dirittura a luglio, come è suc-cesso lo scorso anno. Tutto que-sto contribuisce a rendere la vi-ta insopportabile e costringe lagente ad emigrare in altre ter-re, cosa che a sua volta provocaconflitti tra le tribù per il man-tenimento del proprio spazioagricolo vitale. L’abbandono del-le terre non dovrebbe essere

ignorato, dal momento che glistorici affermano che il NordAfrica, incluso il Sudan del nord,che viene riconosciuto come par-te del grande Sahara, un tempoè stato un posto abitabile così co-me le montagne Nuba oggi. Re-centi scoperte hanno dimostra-to che c’erano grandi giardini edimmense foreste abitati da uo-mini e animali. Ma tutto questoè cambiato ed ora l’area è con-siderata la più grande zona ari-da del mondo: il grande deser-to. Aree che un tempo ospita-rono potenti regni dell’Africa edella storia sudanese, ora si so-no trasformate in deserti. Lostesso potrebbe succedere nellemontagne Nuba tra qualchecentinaio d’anni se non ci saràattenzione da parte di tutti perl’ambiente.

* Stephen Amin è un nuba ed è ilresponsabile di Koinonia per i progettisui monti Nuba. Stephen inoltre cu-ra la redazione e la distribuzione del“The Blowing Horn”, il periodico diKoinonia nuba, da cui è tratto questoarticolo.

L’eredità della guerra:i monti Nuba a rischio ambientaleDi Stephen Amin*

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acqua e di tempo, darà germo-glio e frutto. E compì successi-vamente una seconda, fonda-mentale opera di comprensione econtrollo delle forze della natura:imparò a usare gli animali per ilproprio bisogno, non già ucci-dendoli, ma addomesticandoli.Per trarne dapprima cibo, e poilavoro. Tutto questo avvenne trail Mediterraneo e il Capo di Buo-na Speranza, molti millenni fa.Forte di queste conquiste, sicuro disé come mai lo erano state le ge-nerazioni precedenti, fiducioso nel-la sua capacità di riprodursi e ba-dare a se stesso, di qui l’uomo par-tì alla conquista del pianeta. Migrònella penisola iberica e in quellaanatolica e di lì si spinse a nord epoi a oriente, allevando e colti-vando. E’ questo il romanzo dellenostre origini, il mito fondatore del-l’umanità di cui soltanto negli ul-timi decenni gli studiosi hanno in-cominciato a ritrovare le tracce e leprove. Ma nella nostra istintivaconsapevolezza – ammesso che con-serviamo ancora qualche forma d’i-stinto – l’Africa è sempre stata“madre”, un appellativo che non ab-biamo mai attribuito ad alcun al-tro continente.Al cuore di questastoria straordinaria – una storiache avrebbe potuto molto facil-mente andare male, ed è stata in-vece un meraviglioso successo -c’è un rapporto felice tra l’uomoe la natura. Non sarebbe andatacosì se la natura fosse stata trop-po ostile, perché ci avrebbe vistomolto probabilmente soccomben-ti. Ma non poteva nemmeno esseretroppo accomodante. In Africa lanatura ci ha plasmato senza di-struggerci e poi noi abbiamo im-parato a plasmare lei senza di-struggerla. Ecco forse la vera es-senza, il retaggio autentico, laspiegazione del fascino atavico chela madre Africa continua a eser-citare su di noi umani ormai esau-sti di civiltà. L’Africa non è sol-tanto un luogo, un habitat, unambiente; l’Africa è un rapporto:il rapporto tra l’uomo e la naturanel suo aspetto felice, di intera-zione riuscita, di scambio fecondo.E’ il “grande cerchio della vita”,di cui oggi ci parlano anche i car-toni animati, nel quale c’è un po-sto anche per noi. E questa è for-se la radice più profonda, più no-bile di un sentimento tante volteevocato e sempre banalizzato, il co-siddetto “mal d’Africa”: la nos-talgia per l’armonia perduta tral’uomo e la natura. Questo infi-ne il motivo del fascino che eser-citano su di noi quei paesaggi, queidisegni della crosta terrestre, queicolori, quelle increspature. Nonstiamo guardando una cartolinaesotica; stiamo contemplando ben-sì la nostra storia remota. Un’in-finità di secoli è passata. Quelrapporto si è perso, anche se con-tinua a baluginare, non del tuttospento, sepolto da qualche partenella nostra coscienza, in qual-che frammento recondito del no-stro Dna. La civiltà umana si èemancipata dalla natura, o così al-meno ha creduto. L’Africa è sta-ta il teatro, la testimone anche diquesto rapporto spezzato. Il mo-vente primo del colonialismo fu ilsaccheggio delle materie prime: lasopraffazione dei nostri simili nefu soltanto il corollario. L’uomoera un ostacolo tra i conquistatorieuropei e l’avorio o peggio anco-ra l’albero della gomma. Il revi-sionismo storico oggi cerca di ri-

scattare anche l’esperienza colo-niale ma la verità è che fu un fe-nomeno di sconfinata brutalità,che ancora continua a rigurgita-re dagli archivi orrori e cadaveri.Come Dio ha voluto è passata an-che quella, seguita da mezzo se-colo di indipendenze africane, an-ch’esse segnate da orrori, da guer-re e carestie, da stragi infinite,da fallimenti colossali. Ma il tem-po, oggi, passa più in fretta chemai nel passato e noi ci affaccia-mo sul secolo nuovo vivendo unaglobalizzazione sempre più velo-ce, trascinante, ineluttabile. LaTerra sta diventando in fretta ununico, grande paese. L’America èoggi l’esercito del mondo; l’Asiala sua industria; l’Europa, forse,la sua arte, la sua cultura. In que-sta divisione planetaria del lavo-ro potrebbe toccare all’Africa ilcompito di tornare ad essere la na-tura del mondo. Il Sudafrica ha av-viato un grande investimento tu-ristico, la creazione di un enormeTheme Park dedicato alle originidell’uomo, dove i visitatori ritro-veranno raccontata la storia di co-me l’uomo divenne tale, imparò astare dritto, a camminare, a col-tivare. E’ un ottima idea, un’ideagiusta – vedremo poi come saràrealizzata – e potrebbe indicareuna strada. La consapevolezza chela natura è un bene limitato, cheva preservato, difeso, rigeneratoè ormai universalmente diffusa.Mentre la Cina si va industrializ-zando con una veemenza che nonha precedenti nella storia, L’A-frica – dove l’industrializzazioneè rimasta un obbiettivo incom-piuto - potrebbe diventare la gran-de scuola, la grande accademiadella eco-compatibilità. Il luogo dove l’umanità potrà ri-scoprire, re-imparare il rapportocon la natura. Lasciarsene im-pressionare, sopraffare, per ri-trovarne il rispetto. Guardare unpaesaggio, capirlo, riflettere sulnostro ruolo là in mezzo, sentirciparte del tutto e non padroni diquesto tutto. Questo vuol dire es-sere uomini e forse l’Africa ce lopuò ancora insegnare.

* Pietro Veronese (Roma, 1952), è di-ventato giornalista dopo una laurea inFilosofia a Roma e studi di specializ-zazione a Parigi. Da diversi anni è in-viato speciale del quotidiano la Re-pubblica. E’ forse il giornalista italia-no che più ha viaggiato in Africa negliultimi venti anni. Ha pubblicato Afri-ca-reportages, Laterza 1999. Questoarticolo è stato integralmente pubbli-cato sul periodico Gulliver: la pubbli-cazione su Amani è stata possibile gra-zie all’esplicito permesso dell’autore.

Pietro Veronese alla Casa di Anita

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Gacoro non è matto da legare comeWambaire - che fa il saluto militarea tutti coloro che incontra che lachiamano “capo”. Se sei il tipo al-tezzoso che non riconosce gli ordinie né tanto meno ubbidisce agli ordi-ni, ti metterà a posto dandoti un du-ro colpo di bastone in testa. E se seiabbastanza remissivo da ubbidire,lei ti ridicolizzerà comunque e nonesiterà a colpirti. Tuttavia, se cono-sci il Kenia, non ti troveranno maimorto con le tasche vuote. Per un“kobole” (una moneta da cinque scel-lini) Wambaire, ghignando sciocca-mente, è disposta a raggiungere il po-sto preferito nella piazza del merca-to.La pazzia di Gacoro è del tuttodiversa. Secondo alcuni, non è vera-mente matto. Le donne del villaggiodove vivo dicono (quando pensanoche si è troppo maschilisti o tropposciocchi per capire il loro gergo fem-minile) che è rimasto per troppo tem-po nel canale uterino della mammae la sua testa è “andata a male”. E’sempre in movimento. Conosce tut-ti per nome. Non dimentica mai unvolto. Ma la cosa peggiore è la sua ca-pacità di ricordare per molto tempoil lato peggiore di un carattere. Quan-do ti incontra tutta la tua storia gliritorna immediatamente in mente einizia a parlare da solo di te . Ognivolta che lo incontro grida affinchétutti lo sentano: “Wacu, impara ausare il bagno in modo corretto”. E’stato quello che ha detto persino lascorsa settimana mentre lasciavo ilseminario di K. Kiguta mi aveva ap-pena detto che ero la ragazza piùeducata che avesse mai incontratonella sua vita e che sarebbe venutoa conoscere i miei genitori. Non èancora venuto.Tutto è incominciatoun mattino abbastanza sfortunatoquando frequentavo la scuola ele-mentare. La campanella per l’as-semblea del mattino era appena suo-nata e avevo fatto una scappata in ba-gno. I bagni erano stati appenacostruiti. Avendo fretta di tornarein fila tra i miei compagni nel luogodel raduno e non essendo abituata ainuovi bagni, ho sporcato dappertut-to. Purtroppo l’insegnante di turnostava completando il giro di ispezio-ne e mi costrinse a pulire i bagni pertutta la mattinata. Dopo la punizio-

ne, il professore mi rimproverò du-ramente e disse: “Wacu impara ausare il bagno in modo corretto”.Non so proprio dove fosse Gacoroche riuscì a sentire tutto. Fallì qual-siasi mio tentativo di fermarlo ancheper un minuto e di sistemare le co-se una volta per tutte. Lui parla sem-pre e non sta un attimo fermo. Puònon essere così tanto imbarazzantequanto ciò che dice al nostro pasto-re. Quando corre in Chiesa con il ve-stito color porpora, la cravatta stam-pata verde e le scarpe marroni ac-curatamente lucidate e la bibbia inmano, Gacoro dice: “Wangai, se haipaura di vedere Susanna quando suomarito è al lavoro, perché non affit-ti una stanza per lei al centro com-merciale?”. Non si sa dove Gacoro ab-bia sentito queste parole. Non si sanemmeno perché Susanna abbia af-fittato una stanza al centro com-merciale. Si dice che suo marito, ilquale lavora a Mombasa, sia unapersona molto responsabile. Il pa-store ha imparato a controbatterele lamentele di Gacoro dicendo“Shindwe, Shindwe!” (Che tu siasconfitto, che tu sia sconfitto) al de-monio che c’è in Gacoro. Il demonioè sempre più forte.Quando Murageè morto il mese scorso, l’intero vil-laggio si è radunato a casa sua per ilfunerale. Era stato trovato uccisosull’uscio del suo negozio. Era statoun uomo giovane ed attivo. Per quan-to fosse abbastanza giovane aveva ot-tenuto risultati migliori rispetto aidue negozianti più grandi di lui. Ga-coro arrivò proprio mentre si face-vano le fotografie e uno dei due ne-gozianti più grandi stava esprimen-do con voce afflitta la loro tristezza.Con i suoi tipici lunghi capelli ar-ruffati e la sua alta corporatura en-trò e scoppiò in una cinica risata.In-cominciò con una risatina soffocatache poi si trasformò in un ruggito.Avremmo potuto ignorarlo ma inco-minciò a parlare da solo. “Tugukang’aria biu (Lo distruggeremo comple-tamente)” Non siamo venuti a ven-dere scaffali qui. Ho visto Kobia men-tre leggeva l’elogio e aggiustava gliocchiali impazientemente. Piccoletracce di sudore incominciavano ascorrere lungo l’attaccatura dei ca-pelli. Per la prima volta, i poliziotti,

che erano stati chiamati per garan-tire la sicurezza, portarono via Ga-coro per l’interrogatorio. In realtàfu inutile. Lo sentivo camminare sue giù per la cella parlando da solo. Infondo, è matto. Ciò che preoccupa lapolizia adesso è che parla di molestiae di corruzione quando vede la loroLandrover. La cella, dice, è come ilporcile di suo padre piena di letamee urina, sovraffollata e soffocante. Adesso lo sappiamo. Il nostro Parla-mentare verrà il mese prossimo. Dob-biamo assolutamente rinchiudereGacoro. Il Parlamentare non avreb-be dovuto parlare di riparazioni stra-dali e elettrificazione durante le suecampagne. Quando è venuto per laraccolta fondi alla Scuola delle Ra-gazze, Gacoro è scoppiato a ridere gri-dando: “le strade di macadam al ca-trame e l’elettricità, ah! ah!”. Eraimbarazzato. Fu a causa sua che ilParlamentare concesse soltanto2,000 scellini. Persino gli studentiavrebbero potuto dare 20,000. Ades-so che il Parlamentare sta arrivan-do occorre tenere distante Gacoro.Ma riuscirà ad arrivare alla sede del-l’incontro e parlerà.

* Janeloise Wambui Chege è unagiovane scrittrice kenyana, finalistacon il racconto qui pubblicato della 2°e 3° edizione del Premio EnergheiaAfrica Teller, promosso dall’associa-zione Energheia in collaborazione conAmani. Potete trovare questo rac-conto insieme ad altri pubblicato inRacconti africani. Energheia AfricaTeller 2-3 (Amani Edizioni 2003).

Racconto di Janeloise Wambui Chege*

Cultura

Il Concorso Letterario indetto dall’Associazione Energheia e da Amani presenta i nuovi talenti africani:diciassette racconti raccolti in due volumi

Il pazzo che dice tutto

I racconti africani di Africa Teller sono raccolti in due volumi Edizione Amani

A Brisbane, Australia, un gruppo diamici di Amani sostiene Kivuli orga-nizzando ogni anno un picnic. Un’oc-casione “ghiotta” per fare festa e par-lare dei problemi e delle risorse dellalontana Africa

Testimonianze

Kivuli picnic

“Racconti africani. Energheia Africa Teller”

“Leggere queste storie può servire ad avere un altro sguardo, a decentrarsi, ad allontanarsi per un attimo dai propririferimenti e dirigersi verso quelli di altre culture per scoprire le differenze e le connessioni. Scopriremo, forse, che al-tre culture sono profondamente vitali ed in grado di parlarci, che si tratti dei codici della conversazione, dei ritmi del-la giornata, dei legami sociali, dei riferimenti letterari ed artistici. Sicuramente chi scrive e chi legge resta imbrigliatoin un’altra mappa del mondo, sempre nuova, in continua trasformazione ed in un movimento imprevedibile. E’ l’im-magine che abbiamo percepito dell’Africa e che vogliamo trasmettere attraverso Africa Teller, una scommessa di po-ter creare ponti letterari in grado di generare sogni. (dalla prefazione del libro di Maurizio Camerini)”

I libri “Racconti africani. Energheia Africa Teller ed. 1 e 2-3” con prefazione di Maurizio Camerini e Pietro Veronese editi dal-le Edizioni Amani sono disponibili presso la sede di Amani: chi volesse avere maggiori informazioni o volesse acquistarlopuò contattarci ai tel. 02 48951149 / 02 4121011 e all’e.mail [email protected].

iniziativa “Kivuli picnic”, che si tiene dall’aprile 2001 aBrisbane, nello Stato australiano del Queensland, è nata in seguitoal mio viaggio in Kenya nel dicembre 2000. Mi ero recato a Nairobiper intervistare padre Kizito, dopo aver accettato la sua proposta discrivere con lui un libro-intervista: il risultato di quelle nostre lun-ghe conversazioni è La Perla Nera, che molti soci o amici di Amanisicuramente già conoscono. Come tutti coloro che visitano Kivuli ela Casa di Anita, ero rimasto impressionato positivamente dalle at-tività che lì si svolgono a favore degli ex bambini e bambine di stra-da, ma anche dall’ “osmosi” tra Kivuli ed il quartiere di Riruta, vi-sibile sin dal mattino presto, quando una lunga fila di donne si for-ma all’ingresso dellacomunità per acquistarea prezzi modici l’acquadei suoi pozzi. Sia a Ki-vuli che alla casa di Ani-ta ho ammirato la dedi-zione di chi dona moltaparte del proprio tempoalla crescita delle comu-nità, nonostante le pro-prie esigenze famigliario lavorative: ho vistoovunque la smentita de-gli stereotipi così comu-ni dell’africano “passi-vo”, sempre in attesa delmissionario o del volon-tario occidentale per ri-solvere i problemi che locircondano. Ho cono-sciuto anche ragazzi/eafricani/e curiosi delmondo e molto validi, cui gli scarsi mezzi economici rendono diffi-cile o impossibile proseguire gli studi dopo la scuola dell’obbligo. Unmisto di rabbia e di tristezza ti prende quando pensi ai semi, ai ta-lenti che spesso non trovano sbocchi, opportunità per esprimersi.Uno degli impulsi più forti che ho avvertito nel lasciare Nairobi, èstato quello di fare qualcosa anche da Brisbane per dare una manoa queste comunità, tramite il programma di adozioni a distanza ge-stito da Amani. In fondo questo legame con Amani mi mancava mol-to, da quando mi ero trasferito in Australia. Il viaggio in Africa mi ha dato una vera e propria scossa, ed al mioritorno ho parlato con Rosalia e Maurizio - carissimi amici brescia-ni trapiantati a Brisbane - delle mie impressioni e della voglia di ri-prendere la collaborazione con Amani. Loro hanno risposto in ma-niera entusiastica, e da lì il progetto ha preso forma: due picnic al-l’anno in un parco cittadino, con lo scopo di raccogliere ogni volta una cifra sufficiente almeno per una rata di un’adozione a distan-za. Si è sparsa la voce, ed in breve tempo una combriccola di italo-australiani che sembrano usciti dal film Looking for Alibrandi, si èaggregata all’iniziativa. Da allora ci siamo incontrati regolarmen-te, e l’ultimo picnic si è tenuto nel novembre scorso: in ogni occa-sione, per unire l’utile al dilettevole, non raccogliamo semplice-mente i soldi tramite una colletta, ma lo facciamo attraverso atti-vità che divertano e intrattengano i bambini presenti. Inoltreleggiamo insieme i bollettini di Amani, ci scambiamo impressioni edidee su come impostare o ampliare le nuove attività del gruppo. Peri nostri picnic ci troviamo sempre all’ombra di una pianta “gigan-te”: qui infatti abbiamo una vegetazione che non ha nulla da invi-diare a quella africana, ed è per noi piacevole, nelle frequenti gior-nate afose e soleggiate che ci riserva Brisbane (capitale del Queens-land, “The Sunshine State”), trovare anche qui un po’ di “Kivuli”,ombra e rifugio.

* Stefano Girola è ricercatore presso la “Faculty of Arts” della University ofQueensland di Brisbane, Australia. Collabora con i periodici Testimonianze, Je-sus e Convivio. Ha pubblicato “I tre Santi: Fede Storia Tradizione della Siciliaal Queensland”, Minerva E and S, Brisbane 2000 e “La Perla Nera”. L’altra Afri-ca sconosciuta con Renato Kizito Sesana, Paoline Editoriale libri 2002.

L’Di Stefano Girola*

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Ventiquattr’ore in compagnia di Sarah, educatrice nel Centro di Ki-vuli. Una maniera diversa, più informale, ma più diretta per cono-scere meglio i nostri amici africani che lavorano a Kivuli e per ca-pirne l’impegno e la passione.

Mi chiamo Sarah Karanja e lavoro come educatrice dei bambiniospiti nel Centro di Kivuli.Sono arrivata qui l’anno scorso verso la fine di luglio. Ho iniziatocome volontaria ed ho lavorato prevalentemente con 7 ragazzi chevenivano a studiare (una specie di pre-scuola) al Centro: preparavocon loro un semplice piano di studi per prepararli al loro ingresso ascuola. Ora stiamo lavorando per inserire tutti i ragazzi che fre-quentano il Centro in progetti educativi comuni più ampi che in-cludano lo studio, la formazione professionale, la vita comunitariae anche il tempo libero: tutto ciò che riteniamo necessario per farcrescere serenamente un bambino. Spesso infatti organizziamo delle visite a casa dei bambini per co-noscere le loro famiglie, seguiamo costantemente il loro andamen-to scolastico e abbiamo con loro incontri individuali e di gruppo divalutazione e verifica.I miei colleghi in questo progetto sono Peter e Agnes: ognuno di noisegue personalmente una ventina di bambini.Negli incontri personali e di gruppo generalmente discutiamo delloro rendimento scolastico, del loro comportamento a scuola e al Cen-tro, dei loro rapporti con i genitori e delle ragioni per cui hanno de-ciso di vivere in strada piuttosto che a casa.Organizzo coi ragazzi anche visite a casa quando la situazione fa-miliare ci sembra lo permetta e cerchiamo di favorire il confrontotra il bambino e i genitori per la soluzione dei problemi che hannospinto il bambino ad abbandonare la propria casa. In molti casi al-la base dei rapporti conflittuali tra i genitori e il figlio ci sono dei ve-ri e propri abusi da parte dei genitori, fisici, psicologici e spesso an-che sessuali. Rapporti difficili sorgono a volte quando un bambinocrede che i genitori l’abbiano trascurato o che abbiano preferito al-tri bambini della sua famiglia.Sulla base dei diversi risultati delle visite a scuola e a casa, dei di-versi incontri individuali e di gruppo, viene poi fatto un progetto edu-cativo per i tutti i ragazzi che tenga conto di tutte queste proble-matiche e delle loro personali vicende. Inizio la mia giornata lavo-rativa alle 8 di mattina. Cominciamo con una riunione in cuiorganizziamo la giornata con tutte le persone che lavorano al Cen-tro. Trascorro poi la mattina svolgendo lavoro d’ufficio, cioè ag-giornando i files personali dei bambini del mio gruppo o dei bambi-ni che frequentano il Centro più sporadicamente oppure faccio vi-site a scuola per tenermi aggiornata sul loro andamento scolastico.Nel pomeriggio generalmente ho incontri individuali con alcuni ra-gazzi o faccio visite a casa a seconda di come ho pianificato la gior-nata. Spesso nel corso della giornata svolgo altri lavori: aiuto altrimembri della comunità di Koinonia nel caso abbiano bisogno, mi oc-cupo del recupero di bambini che hanno scelto la strada, di proble-mi di affitto, mancanza di cibo e così via. Termino il lavoro alle 5 delpomeriggio ma molto spesso finisco più tardi perché questa è l’oramigliore per gli incontri individuali o di gruppo con i bambini dai 5agli 8 anni. La sera i bambini più piccoli vengono da me per chie-dermi materiale scolastico, mentre i ragazzi più grandi spesso han-no voglia di parlare con un adulto e condividere alcuni problemi sco-lastici o altre esperienze vissute la sera precedente al Centro. I rap-porti con i bambini sono molto buoni. Puoi trovare alcuni che tiavvicinano per diversi argomenti come problemi avuti con altri bam-bini del Centro o problemi con le loro famiglie. Alcuni hanno biso-gno soltanto che una persona adulta ascolti come hanno passato la

giornata. Altri hanno bisogno di consigli su come superare i momenticonfusi della loro crescita legati soprattutto all’adolescenza. Nel tempo libero sono una ragazza come tante altre: mi piace mol-to leggere romanzi, ascoltare musica, andare al cinema e chiacche-rare con gli amici.Ho scelto questo tipo di lavoro perché lavorare inuna dimensione comunitaria è sempre stato un mio sogno.La mia principale preoccupazione attualmente è rappresentata daibambini, dalle donne, dagli anziani e da quelli che soffrono per di-verse malattie. Questa gente generalmente vive in povertà; questosignifica risorse limitate, istruzione minima o spesso totale ignoranza,mancanza di servizi sanitari, difficoltà nel soddisfare i bisogni ba-silari. Questo provoca spesso nei nuclei famigliari abusi di ogni ti-po ai danni dei più deboli. La soddisfazione maggiore del mio lavo-ro è quella di sapere che sto aiutando a crescere serenamente i bam-bini del Centro in modo che possano condurre una vita migliore conpiù opportunità per il futuro. Ci sono però moltissimi bambini di stra-da che hanno bisogno di attenzione, protezione e riabilitazione, male risorse sono così limitate: questo è sicuramente un problema, maanche la mia personale sfida di ogni giorno.Il futuro dei bambini a Kivuli sarà sicuramente più luminoso e mi-gliore. Questo perché il progetto ha lo scopo di rendere i bambini distrada capaci di alzare il livello medio della loro vita grazie ai pro-grammi educativi al provvedimento delle loro necessità di base, al-la garanzia dei servizi sanitari, alla difesa dei loro diritti, ma anchee soprattutto grazie all’amore ed attenzione degli educatori.Sebbene il Kenya sia un paese ricco di risorse, a causa di una catti-va o disonesta gestione dei fondi, la maggior parte della gente vivein povertà. C’è una grande divario tra i ricchi ed i poveri. Questo haportato alla migrazione di molta gente dalle zone rurali alle aree ur-bane in cerca di lavori migliori, speranza quasi sempre delusa. Edecco sorgere intorno alle città immense baraccopoli dove la vita èdisumana. L’accesso ai servizi di base (istruzione, acqua, sanità, si-curezza) è molto limitato, ciò impedisce agli abitanti delle baracchedi godere una vita dignitosa e di migliorare la qualità della loro vi-ta. A causa dell’assenza di un piano per lo sviluppo coordinato inmaniera razionale, delle limitate opportunità lavorative e della so-vrappopolazione c’è ovunque degrado, un grande livello di abban-dono e soprattutto moltissimi bambini di strada, sebbene il nuovogoverno stia cercando di arginare questo problema.

Da Kivuli

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Aneddoto divertente

Quest’anno a febbraio iscrivemmo 3 ragazzi di Kivuli Ndogo al Centro. Do-po un po’ Denis, uno dei ragazzi sparì dal Centro. Andammo a cercarlo almercato di Kawangware ma non lo trovammo. Dopo qualche giorno tor-nò al Centro ed io organizzai un incontro con lui. Tra le cose che volevo ca-pire era perché era sparito senza segnalarlo alle assistenti sociali. La suaragione fu che nel Centro deve farsi la doccia due volte al giorno e frequentarei corsi pre scolastici. Allora gli chiesi perché era tornato e lui mi risposedi annusare l’odore che emanava (in effetti non era proprio pulito!) e di guar-dare i suoi capelli (non proprio puliti e ben tagliati!); perciò mi resi contodel perché era tornato.... di Sarah Karanja

Buon giornoCarissimi amicidelle adozioni

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Con queste poche righe voglia-mo scusarci per il ritardo del-l’invio della lettera periodicadelle Adozioni a distanza, non cene siamo dimenticati, anzi! Il ritardo è dovuto principal-mente al fatto che non riceve-rete più notizie da Kivuli, dallaCasa di Anita e dal Mthunzi tra-mite le lettere che eravamo so-liti mandarvi con le informa-zioni inviate dai responsabili deicentri, le testimonianze degliamici che hanno visitato i pro-getti e le bellissime foto dei no-stri piccoli amici africani. Abbiamo pensato che fosse buo-na cosa partecipare anche noi algiornale che avete in mano eabbiamo ritagliato uno spazioper noi per continuare ad in-formarvi sui progetti che cosìaffettuosamente sostenete.Cambierà anche il modo di far-lo: ogni numero infatti riceve-rete un approfondimento su unodei tre centri per bambini e bam-bine di strada che Amani so-stiene attraverso il vostro aiu-to. Speriamo che questa novitàsia gradita, noi pensiamo sia unmodo più completo e interes-sante di informarvi su quelloche accade ai nostri amici afri-cani. Questa scelta dipende anche dalprincipio, fondamentale perAmani, della riduzione dei costidi struttura per destinare mag-giori risorse al sostegno direttodei progetti in Africa.Forse sarà meno “personale”leggere queste pagine su Kivu-li, Anita e Mthunzi, ma siamocerti vi piacerà l’idea che in que-sto modo potremo sostenere conmaggiore energia i nostri ami-ci che in Africa si impegnanocon forza e convinzione per ibambini di strada.

Infine, pensiamo che questo spa-zio all’interno di un giornaleche avrà una maggiore diffu-sione possa dare una ulteriorevisibilità ai progetti e dia la pos-sibilità a nuovi potenziali ami-ci di avvicinarsi a noi.

In questo numero inizieremocon una breve monografia di Ki-vuli, il primo progetto per glistreet children di Amani: leg-gerete le riflessioni di Sarah,un’educatrice, una favola di Da-vid e il resoconto di una parti-ta di calcio di Bonface, oltre a unbreve approfondimento su ciòche Kivuli in questi anni è di-ventato.Gli amici di ritorno dai campi diincontro per i giovani organiz-zati come ogni anno quest’e-state, parlano anche di un pic-colo ristorante gestito dal grup-po dei giovani di Kivuli.Non ci resta che augurarvi buo-na lettura e per ogni ulterioreinformazione ci trovate semprea vostra disposizione!

Un abbraccio a tuttiGruppo Adozioni

Di Sarah Karanja

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Il Megafono Kivuli è

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Scrittori in erba, intraprendenti giornalisti, intervistati e intervistatori: uno spazio pensato per dare vo-ce ai giovani ospiti di Kivuli per conoscerli meglio, non solo attraverso i racconti degli educatori, e sen-tirli più vicini. Questa volta prendono il megafono il saggio David, novello Esopo e Bonface, piccolo Ro-naldo di Nairobi.

Un bambino, una borsa, una bicicletta ed un leoneDi David Kiare, 15 anni

Il sole e la luna si inseguivano illuminando i giorni e lenotti. Nel villaggio di Mtego vivevano quattro amici: unbambino, una borsa, una bicicletta ed un leone e si vole-vano bene come si vogliono bene gli amici nel bisogno. Unapersona che aiuta un amico nel momento del bisogno è unvero amico. Così un giorno i quattro decisero di andare acaccia nella foresta abbastanza lontana dalla loro casa. Adun certo punto della strada trovarono un bivio e si mise-ro a discutere su quale strada scegliere. Avendo il leoneun ottimo olfatto, annusò ciascuna delle due strade e rug-gì, indicandone una: “prendiamo questa!”. Gli altri, fidu-ciosi lo seguirono. Dopo qualche minuto di cammino vi-dero una bellissima antilope. “Oh, che carne deliziosa” gri-dò il bambino con l’acquolina in bocca, rischiando di farsisentire dall’antilope e di farla così scappare. “Fate silen-zio e ascoltatemi tutti attentamente” disse a bassa voce,ma deciso il leone “tu, bambino, cucinerai l’antilope, la bi-cicletta la trasporterà fino a casa e la borsa conterrà la suacarne. Io adesso vado a cacciare l’antilope e tra breve cifaremo una bella cena!”. Il leone si mise in posizione pernon farsi vedere dall’antilope, ma abbastanza vicino perpoterla, con un balzo, afferrare. Dopo qualche minuto diattesa le saltò al collo, la uccise e la portò felice al bambino, il quale, scelte le parti migliori, le mise nel-la borsa. Salito sulla bicicletta pedalò velocemente verso casa accompagnato dal leone. Ancora oggi si ricordano, con l’acquolina in bocca, del banchetto di quella sera!

Il mio gioco preferitoDi Bonface Owino, 13 anni

A molti dei miei amici piace la pallavolo, ma io penso chequesto gioco possa essere pericoloso. Infatti colpendo lapalla con le mani, ci sono più possibilità che questa pos-sa colpirti forte sul viso e farti decisamente male!Per questo la pallavolo non mi piace per niente!

Mi piace invece il calcio, che è il mio sport preferito e nonsono certo l’unico a pensarla così. Infatti in molti ama-no questo sport perché ti dà la possibilità di uscire dal Ken-ya. Il calcio infatti ti fa viaggiare tanto e può anche ren-derti ricco, se sei bravo come Ronaldo!

Io gioco a calcio in una delle squadre della scuola. Re-centemente abbiamo fatto una bella partita: abbiamogiocato molto bene ed i passaggi sono stati belli e veloci.Io sono stato forse il migliore tra i nove giocatori dellamia squadra che correvano allegri dappertutto. Abbiamovinto 3 a 1 e per questo abbiamo giocato contro la squa-dra di un’altra scuola a Jamhuri. La squadra di questa scuola era molto forte, alcuni di lo-ro erano molto alti, per cui avevamo molta paura, ma sia-mo stati coraggiosi. Li abbiamo battuti 2 a 1. Il nostro al-lenatore ci ha detto che abbiamo giocato veramente be-ne, per questo andremo forse in Canada.Ecco perchè dicoche il football ti fa andare lontano fuori dal Kenya.

Il Centro di Kivuli e i suoi progetti

Adozioni a distanza

L'adozione proposta da Amani non è individuale, cioè di un solo bambino, ma è rivolta all'intero progetto di Kivuli, della Casa di Anita o del Mthunzi. In questo modo nessuno di loro correrà il rischio di ri-manere escluso. Insomma "adottare" il progetto di Amani vuol dire adottare un gruppo di bambini, garantendo loro la possibilità di mangiare, studiare e fare scelte costruttive per il futuro, sperimentandola sicurezza e l'affetto di un adulto. E soprattutto adottare un intero progetto vuol dire consentirci di non limitare l’aiuto ai bambini che vivono nel centro di Kivuli, della Casa di Anita o del Mthunzi, ma diestenderlo anche ad altri piccoli che chiedono aiuto, o a famiglie in difficoltà e di spezzare così il percorso che porta i bambini a diventare “street children”. Abbiamo, infatti, sperimentato che a volte ancheun piccolo sostegno economico (pagando la retta scolastica, ad esempio) permette ai genitori di continuare a far crescere i piccoli nell’ambiente più adatto, e cioè la famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamo la privacy dei bambini accolti evitando di diffondere informazioni troppo personali sulla storia, a volte terribile, dei nostri piccoli ospiti. Pertanto, all'atto dell'adozione,non inviamo materiale al sostenitore relativo ad un solo bambino, ma materiale stampato o video relativo a tutti i bambini del progetto che si è scelto di sostenere. Vi ricordiamo che una caratteristica diAmani è quella di affidare ogni progetto ed ogni iniziativa sul territorio africano solo ed esclusivamente a persone del luogo.Per questo i responsabili dei tre Centri di Amani in favore dei bambini di strada sono kenyani e zambiani.Con l'aiuto di chi sostiene il progetto delle Adozioni a distanza, annualmente riusciamo a coprire le spese di gestione, pagando la scuola, i vestiti, gli alimenti e le cure mediche a tutti i bambini.

Come aiutarci.Puoi "adottare" i progetti realizzati da Amani con una somma di 26 euro al mese (312 euro all'anno): contribuirai al mantenimento e la cura di tutti i ragazzi accolti da Kivuli, dalla Casa di Anita o dal Mthunzi. Per effettuare un'adozione a distanza basta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Onlus - Ong, via Gonin 8 - 20147 Milano o sul c/c bancario n. 503010 Banca Popolare Etica ABI 05018 - CAB 12100. Ti ricordiamo di indicare, oltre il tuo nome e indirizzo, la causale del versamento "adozione a distanza". Ci consentirai così di poterti inviare il materiale informativo.

Kivuli Ndogo si rivolge ai ragazzi che vivono sulla strada e fungeda centro di prima accoglienza e aiuto per coloro che non possono onon vogliono ancora entrare a far parte di una struttura residenziale. Kivuli Youth Club, associazione giovanile costituitasi nel quartiereSatellite di Riruta dove è situato il Centro di Kivuli, raccoglie sia iragazzi del centro che, soprattutto, esterni. Si autogestisce e orga-nizza diverse attività ricreative, informative e culturali per i giova-ni della zona.Biblioteca-sala di lettura, situata all’interno di Kivuli, offre lapossibilità anche agli abitanti del quartiere di accedere ai libri e tro-vare uno spazio tranquillo dove studiare, anche di sera, grazie al-l’elettricità che spesso manca invece nelle case. Amani-Yassets Sports Club è una polisportiva registrata che as-siste i giovani del quartiere di Riruta in diverse discipline sportive(dal calcio al basket, dall’atletica alle arti marziali) come modalitàdi crescita personale. La squadra maschile di football è iscritta alcampionato nazionale di calcio.Soccer-balls and uniforms project, progetto di produzione ar-tigianale di palloni in cuoio e divise sportive da parte dei soci dellasquadra di calcio Amani Yassets Football Team. Il ricavato dalla ven-dita di questi oggetti va agli stessi giovani soci che per lo più ne ri-cavano borse di studio. Il progetto permette loro non solo di gua-dagnare qualcosa ma anche di imparare un mestiere.Nafsi Africa (lo spirito dell’Africa in Kiswahili), un gruppo natonel quartiere di Riruta che tenta di recuperare e insegnare ai gio-vani il ricco repertorio di musiche, danze e canti tradizionali che ese-guono in occasione di feste, celebrazioni o competizioni artistiche.Andrew School, scuola di informatica fondata nel 2000 e colloca-ta all’interno del Centro. Questa scuola ha l’obiettivo di offrire al-la comunità, in particolare ai giovani, conoscenza tecnologica e mo-derne attrezzature di comunicazione. Oltre la sezione di informati-ca che offre corsi trimestrali per classi di 22 studenti con rilascio dicertificato riconosciuto. Corsi di intaglio del legno, scultura e lavori in pelle, pro-gramma che si rivolge a giovani del quartiere di Riruta, con parti-colare inclinazione per queste attività. A questi giovani vengono of-ferte sessioni pratiche e quindi la possibilità di utilizzare il labora-torio artigianale e disporre della materia prima per avviare un’attivitàe venderne la produzione.Il dispensario di Kivuli, collocato all’interno del centro omonimoserve innanzitutto come infermeria per i ragazzi ospiti del centroma anche come farmacia e ambulatorio per la popolazione del quar-tiere. Un medico, un tecnico di laboratorio e due infermiere prestanoquotidianamente le cure a circa 30 persone. Programma di prevenzione e consulenza, soprattutto rispet-to all’infezione da HIV, viene portato avanti dal centro di Kivuli tra-mite il dispensario ed è rivolto a tutta la popolazione del quartierema in modo particolare ai più giovani.Progetto di Microcredito, in sostegno delle famiglie, in partico-lare delle madri, dei ragazzi ospiti del centro di Kivuli. I partecipantia questo programma vengono dapprima costituiti in gruppi, raffor-zando così il loro senso di responsabilità reciproca e collettiva non-ché il senso di solidarietà, quindi informati, formati e orientati ver-so attività economiche per loro percorribili e sostenibili.Scuola di lingue (inglese, francese, italiano e kiswahili) per i ri-fugiati della zona dei grandi laghi (Ruanda, Burundi e Congo) situataall’interno del Centro di Kivuli e gestita da insegnanti del quartie-re di Riruta.

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Chi siamoAmani che in kiswahili vuol dire pace è una associazione laica e unaOrganizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Af-fari Esteri. Amani si impegna particolarmente a favore delle popolazioni afri-cane seguendo queste due regole fondamentali:1. curare lo sviluppo di un numero ristretto di progetti, in modo dapoter mantenere la sua azione su base prevalentemente volontariaper contenere i costi a carico dei donatori. 2. affidare ogni progetto ed ogni iniziativa sul territorio africano so-lo ed esclusivamente a persone del luogo. A conferma di questo mol-ti degli interventi di Amani sono stati ispirati da un gruppo di gio-vani africani riuniti nella comunità di Koinonia. Le principali attività di Amani sono le due case di accoglienza per ibambini e le bambine di strada di Nairobi, Kivuli e la Casa di Ani-ta; la difesa del popolo Nuba in Sudan, vittima di un vero e propriogenocidio e Africanews un'agenzia di stampa redatta interamenteda giovani giornalisti e scrittori africani. Inoltre, Amani sostiene inZambia il Mthunzi Centre, un progetto per i bambini di strada diLusaka, una piccola scuola in Kenya nel poverissimo quartiere di Ki-bera, e una compagnia di giovani attori che lavorano per una cul-tura di pace attraverso la mediazione dei conflitti: l'Amani PeopleTheatre.

Come contattarciAmani Onlus - Ong (Organizzazione non lucrativa di utilità socia-le e Organizzazione non governativa)via Gonin, 8 - 20147 Milano - ItalyTel. 02-48951149 - 02-4121011 - Fax. 02-48302707e.mail: [email protected] sito web: www.amaniforafrica.org

Come aiutare Kivuli, la Casa di Anita, il Mthunzi e il popolo NubaBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Onlus - Ong, via Gonin 8 - 20147 Milano o sul c/c bancarion. 503010 Banca Popolare Etica ABI 05018 - CAB 12100. Ricordia-mo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostroindirizzo completo.Nel caso dell'adozione a distanza è necessario versare 26 euro men-silmente almeno per un anno. È importante indicare in entrambi icasi la causale del versamento.

Le offerte ad Amani sono deducibiliI benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essere con-seguiti con due possibilità alternative:1. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per dona-zioni destinate a Paesi in via di sviluppo. Deduzione nella misuramassima del 2% del reddito imponibile sia per le imprese che per lepersone fisiche.2. Oneri deducibili ai sensi del DL 460/97 per erogazioni liberali afavore di ONLUS.Per le imprese per un importo massimo di euro 2.065,83 o del 2%del reddito di impresa dichiarato.Per le persone fisiche detraibile nella misura del 19% per un importocomplessivo non superiore a euro 2.065,83.Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ON-LUS o ONG dopo Amani nell’intestazione e conservare:1. per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento;2. per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed even-tuali note contabili.

“Matatu. In viaggio con l’Africa”di Renato Kizito Sesana.“Quando Kizito ci manifestò lasua disponibilità a collabora-re regolarmente con “Nigri-zia”, fu subito chiaro che lasua pagina sarebbe stata unparadigma di come guardareoggi all’Africa e a come noiguardiamo l’Africa. Lo spaziare dal sociale all’ec-clesiale, al politico e persinoal frivolo, è uno stile vicino al-l’esperienza della gente; iltrarre conclusioni “impor-tanti” da fatti e da incontri“piccini”, è una vera e propriaspiritualità. Si può, è ovvio,non concordare con tutte leconclusioni che Kizito tira. Ma un paio di cose sono certe:ad ogni fermata del suo “Ma-tatu” (che in Kenya è il nome

dato ai pulmini che risolvonoil problema del trasporto po-polare) si gonfiano i polmoni diumanità e si riparte con la sen-sazione di aver capito qualco-sa di più.

(dalla prefazione al libro diPier Maria Mazzola)”.

Il libro “Matatu. In viaggiocon l’Africa” di Renato KizitoSesana con prefazione di PierMaria Mazzola, edito da Cit-tadella Editrice è disponibilepresso la sede di Amani: chi vo-lesse avere maggiori informa-zioni o volesse acquistarlo puòcontattarci ai tel. 02 4895114902 4121011 e all’indirizzo [email protected]

Incontri di padre Kizito in Italia.Riportiamo qui il calendariodegli incontri pubblici e delleconferenze a cui padre Kizitoparteciperà nel periodo in cuisarà in Italia. Ricordiamo che il presente ca-lendario è in via di definizio-ne e soggetto a modifiche.Siamo a vostra disposizioneper ogni chiarimento ed ulte-riori informazioni.

•28-30 novembreCapo d’Arco (AP)

•1-2 dicembreFabriano

•3 dicembreBrescia (provincia)

•4 dicembreBreganze (VI)

•6-7 dicembreSan Donato Milanese (MI)

Vi ricordiamo inoltre che dal9 all’11 ottobre si svolgerà aPerugia l’Onu dei popoli a cuiparteciperà come invitato Ste-phen Amin, responsabile diKoinonia nuba. Chi fosse interessato a parte-cipare agli incontri di padreKizito previsti in Italia puòcontattare la sede di Amani aitel. 02 48951149 / 02 4121011e all’e.mail [email protected] per avere ulterioridettagli (luogo, ora, ecc.), con-sultare il sito web www.amaniforafrica.org.

Kit didattico “Sudan: un popolo senza diritti”.Interessante e valido strumentoda presentare ai ragazzi nel-l'anno scolastico 2002/2003 perinformare l'opinione pubblicasulla drammatica situazionedel Sudan, per sensibilizzaregli studenti alla pratica dellasolidarietà internazionale, peraccrescere la consapevolezzadegli studenti su quanto i pro-pri comportamenti abbiano ri-percussione anche a livello pla-netario, soprattutto quando sitratta dell'utilizzo di risorseambientali scarse e limitate.Questo pacchetto di materialididattici (Cd-rom Sudan, uni-tà didattica incentrata sul te-ma dell’acqua, indirizzata aglialunni della scuola dell’obbli-go, video Sudan, atti Forum1999 “Prospettive di pace peril Sudan. Rinasce la società ci-vile?” e video The Oil Wars) aseconda delle esigenze o ri-chieste, può essere acquisitointegralmente (ovvero com-prensivo di tutti gli articoli) oad unità autonome (eccetto ilvideo The Oil Wars). I materialisono stati realizzati con il con-tributo del Ministero degli Af-fari Esteri. Per informazioni e

ordini: Segreteria CampagnaSudan, [email protected], www.campagna-sudan.it o direttamente ai con-tatti di Amani.

Campi di incontro 2003.Dalla fine di luglio alla fine diagosto Kivuli e la Casa di Ani-ta sono stati invasi dall’entu-siasmo e dalla fattiva collabo-razione del gruppo di volonta-ri composto da 26 persone ( 16a Kivuli e 10 alla Casa di Ani-ta), organizzato come di con-

sueto da Amani. Anche que-st’anno, dopo il successo delprecedente campo, il CentroMthunzi di Lusaka ha accolto14 giovani italiani per un cam-po di lavoro organizzato daAmani. Al gruppo di Nairobi si sonoaggiunti tanti amici e sosteni-tori, che anche per solo pochigiorni hanno avvicinato i bam-bini di Kivuli e della Casa diAnita, cercando di comprende-re più a fondo e più da vicino ilsenso del loro sostegno. Vo-gliamo infine ringraziare tutticoloro che hanno concorso conil loro contagioso entusiasmo ela loro positiva energia a ren-dere Kivuli, la Casa di Anita eil Mthunzi luoghi carichi di unabellissima atmosfera.

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Iniziative

Editore: Associazione Amani Onlus-Ong, via Gonin 8, 20147 MilanoDirettore responsabile: Daniele ParoliniCoordinatore: Lorenzo Chiodo GrandiProgetto grafico: Ergonarte, MilanoStampato presso: Lito 2000 srl, via Sabbatelli 31, 23868 Valmadrera, LCRegistrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

Porta il tuo cuore in AfricaAMANI

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