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  • 2 L’analogia tra mondo e musica...

  • 4 L’analogia tra mondo e musica...

  • L’ANALOGIA TRA MONDO E MUSICA NEL PENSIERO DI

    ARTHUR SCHOPENHAUER

  • 6 L’analogia tra mondo e musica...

    CAPA: Arthur Schopenhauer. Pintura de Jules Lunteschütz, 1855.

  • Ademir Menin

    L’ANALOGIA TRA MONDO E MUSICA NEL PENSIERO DI

    ARTHUR SCHOPENHAUER

    Primeira Edição E-book

    Editora Vivens O conhecimento a serviço da Vida!

    Toledo – PR 2016

  • 8 L’analogia tra mondo e musica...

    Copyright 2016 by Ademir Menin

    EDITORA: Daniela Valentini

    CONSELHO EDITORIAL: Dr. Aldo Vendemiati – PUU - Roma Dr. José Beluci Caporalini - UEM

    Dr. Lorella Congiunti – PUU - Roma REVISÃO ORTOGRÁFICA:

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    Menin, Ademir.

    M545l L’analogia tra mondo e musica nel

    pensiero di Arthur Schopenhauer. / Ademir

    Menin. - 1. ed. ebook - Toledo,PR : Vivens,

    2016.

    94 p.

    Modo de Acesso: World Wide Web:

    ISBN: 978-85-92670-05-4

    1. Musica. 2. Filosofia alemã 3.

    Schopenhauer, Arthur, 1788- 1860.

    CDD 22.ed.193

  • A tutti quelli che, con pazienza ed umiltà, si dedicano alla ricerca della Verità.

  • INDICE INTRODUZIONE................................................................. CAPITOLO I: LE ARTI BELLE........................................... 1.1 La musica nel contesto delle arti.................................... 1.1.1 La scala delle arti........................................................ 1.1.2 L’architettura............................................................... 1.1.3 La scultura e la pittura................................................. 1.1.4 La poesia e il suo rapporto con la musica.................... 1.1.5 La caratteristica peculiare della musica...................... CAPITOLO II: IL MONDO E LA MUSICA.......................... 2.1 L’analogia tra mondo e musica...................................... 2.1.1 Il mondo è Volontà...................................................... 2.1.2 Il mondo è musica....................................................... 2.1.3 La musica e i sentimenti.............................................. 2.1.4 La musica come immagine della Volontà stessa......... 2.1.5 La musica come analoga dell’esistenza umana.......... CONCLUSIONE.................................................................. BIBLIOGRAFIA..................................................................

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  • INTRODUZIONE

    Il pensiero di Schopenhauer lascia spesso trasparire la problematicità della sfera privata della sua vita, il che è normale in tutti i filosofi e scrittori in generale, ma che spesso lo porta a elaborare una filosofia di carattere molto soggettivistico e di tipo deduttivo, nonché intrisa di pessimismo. Questo è uno dei motivi, se non il principale, per il quale lui ha ricevuto molte critiche ancora quando stava in vita, ma principalmente dopo la sua morte, in modo che le sue opere sono rimaste un po’ dimenticate. Forse Schopenhauer è più famoso per i suoi aforismi, resi noti principalmente tramite la sua opera Parerga e Paralipomena, pubblicata verso la fine della sua vita, nel 1851, che non per la sua filosofia vera e propria, esposta soprattutto tramite la sua opera principale Il mondo come volontà e rappresentazione, uscita in pubblico per la prima volta nel 1818/19.

    La sua travagliata vicenda personale lo ha portato ad essere un personaggio antipatico e scorbutico. La perda del padre in circostanze poco chiare ha esasperato l’animo del giovane Schopenhauer. Questo fatto è stato in parte attribuito alla madre, con la quale ebbe un rapporto poco lodevole, anche dovuto ai problemi legali riguardanti la

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    divisione dell’eredità del padre di Arthur, il quale era un imprenditore di successo nell’ambito del commercio.

    Infatti, Schopenhauer nutriva sentimenti contradditori nei confronti dei suoi genitori: verso suo padre, nonostante esso volesse che il figlio continuasse, controvoglia, la sua attività imprenditoriale, nutriva un sentimento di grande stima e ammirazione; grazie a lui, il giovanissimo Schopenhauer ha avuto la possibilità di compiere molti viaggi in Europa e di conoscere diverse lingue, il che gli ha aperto il campo della cultura. Infatti, si deve riconoscere che il nostro filosofo era una persona di grande cultura: conosceva bene non solo la cultura del suo tempo, ma anche quella classica, visto che aveva padronanza anche della lingua greca e di quella latina. Questi viaggi della sua infanzia lo hanno portato alla conoscenza della congiuntura politico-sociale dell’epoca e di tutta la situazione di miseria che regnava allora. Questa conoscenza contribuirà alla sua tendenza a vedere il tutto con uno sguardo pessimistico.

    Nei confronti di sua madre, Schopenhauer nutriva sentimenti di disprezzo e la incolpava, in un certo qual modo, della morte prematura di suo padre, il quale sembra sia morto suicida. Il suo rapporto con la madre era estremamente scontroso e, alla fine, si è limitato solo a questioni giudiziarie legate alla vicenda dell’eredità. Probabilmente da questo rapporto difficile con la madre è dovuto il suo tendenziale disprezzo nei confronti delle donne in generale, come si può notare in alcuni suoi scritti1.

    La filosofia di Schopenhauer è spesso di difficile comprensione. I suoi due riferimenti storici principali sono Platone e Kant, ma non si deve pensare che lui faccia coincidere il suo pensiero con il pensiero di quelli per quanto riguarda concezioni importanti, come per esempio la concezione di mondo, di rappresentazione, di volontà, di idea. Tra queste nozioni, forse quella di “volontà” è la più

    1 Cf. A. SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena, II vol., cap. 27.

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    difficile da essere capita, data la confusione di termini che si istaura tra l’accezione tradizionale e quella propria dell’autore.

    Nel tentativo di capire meglio questi termini, passiamo ora all’analisi di essi, che sono di fondamentale importanza per la filosofia di Schopenhauer e per questa dissertazione in particolare, senza i quali non è possibile una buona comprensione della musica nel suo sistema, che è il tema principale di questo studio. La difficoltà più grande che io particolarmente ho avvertito nella comprensione del pensiero del nostro filosofo è la sua tendenza all’arbitrarietà, ossia molte cose vengono desunte da altre senza che si riesca a trovare una sufficiente connessione logica, il che fa sì che il suo pensiero diventi poco autorevole e di difficile accettazione. Forse l’esempio più illustrativo in questo senso è proprio quello delle arti, dove alcune di esse vengono considerate meno importanti delle altre; la stessa analogia tra mondo e musica lascia interrogativi difficili da sciogliere. Le spiegazioni di Schopenhauer a tale riguardo non convincono sufficientemente quando si volge uno sguardo più attento e più approfondito al suo pensiero.

    Il titolo stesso dell’opera principale di Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, ci presenta tre termini importanti e molto usati durante tutta l’opera. Capire questi termini è di fondamentale importanza per il nostro scopo. Si tratta di vedere se il nostro filosofo intende questi termini allo stesso modo di Kant e di Platone oppure gli usa in altri sensi o con altre sfumature. Lo stesso Schopenhauer non si preoccupa molto di dare esplicite chiarificazioni a tale riguardo e si deve capire le sue intenzioni man mano ci si addentra nel suo pensiero.

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    Il primo termine problematico è “mondo”2. A questo termine si ricollegano subito gli altri due, ossia “volontà” e “rappresentazione”. Questo vuol dire che, per Schopenhauer, il mondo è spaccato in due tronconi e per conoscere quello che abbiamo davanti dobbiamo tener presente questa distinzione. Ovviamente il termine “mondo” qui va capito nella sua accezione più generica, come la totalità delle cose alle quali si possa attribuire un’esistenza.

    Per quanto riguarda il mondo come rappresentazione, Schopenhauer tratta a lungo a riguardo nel primo libro della sua opera principale. In questa parte il mondo è visto in quanto fenomeno, cioè come l’insieme degli oggetti dell’esperienza e della scienza. Pertanto, tutto è sottoposto al principio di ragione sufficiente, dato che tutto deve passare al vaglio dell’intelletto per essere accettabile come contenuto conoscitivo. In questo senso, Schopenhauer accetta la dottrina di Kant a riguardo, ossia il fenomeno percepito dai sensi viene valutato dall’intelletto

    2 Secondo G. Invernizzi, la nozione di mondo in Schopenhauer è bipartita: da un lato abbiamo il mondo come rappresentazione e dall’altro lato il mondo come volontà. Nel primo libro della sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, il nostro autore tratta del mondo come rappresentazione, come fenomeno, il quale costituisce oggetto dell’esperienza e della scienza; in questo caso abbiamo il dominio del principio di ragione. Nel secondo libro, invece, tratta il mondo come volontà e come si può giungere alla cosa in sé. Questa parte del mondo è dominata dalla lotta, dal dolore, dalla sofferenza e dalla morte. Anche D. Jacquette è della stessa opinione quando dice che il mondo di Schopenhauer da una parte si mostra a noi e dall’altra parte rimane nascosto. (Cf. G. Invernizzi, Invito al pensiero di Schopenhauer, 52; D. Jacquette, Schopenhauer’s metaphisics of appearance and Will in the philosophy of art (Introduction), In: D. JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and arts, 2).

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    e riconosciuto come facente parte di una catena causale di fenomeni; in tal senso, la rappresentazione dipende da due fattori: non si può pensare l’oggetto senza il soggetto, ma neanche il soggetto senza nessun oggetto, altrimenti non ci sarebbe nessuna rappresentazione; non tutto dipende dal soggetto, visto che anche l’oggetto ha la sua parte importante. Quindi, il punto importante è proprio il “sinolo” formato dall’attività conoscitiva tra soggetto ed oggetto, vale a dire la rappresentazione. Niente passa davanti agli occhi dell’osservatore che non susciti qualche interesse; anche l’oggetto compie la sua parte nella costruzione della conoscenza, in quanto si lascia conoscere dal soggetto. Così, per Schopenhauer, l’oggetto ed il soggetto stanno pressoché sullo stesso piano: tutti e due concorrono più o meno a pari passo nell’ambito cognitivo. La “rivoluzione copernicana” di Kant sarebbe leggermente mitigata, in quanto il soggetto e l’oggetto hanno uguale importanza.

    Un altro importante concetto nel pensiero di Schopenhauer è quello di “volontà”. Questo è senza dubbio il più complesso e quello che più crea confusione nella comprensione della sua filosofia. Oltre all’accezione tradizionalmente attribuita a questo termine, ossia la capacità umana di volere, e quindi intesa come qualcosa dipendente dalla ragione, il nostro filosofo lo usa in un modo esclusivamente suo: per lui, “volontà” non ha niente a che fare con la razionalità, una volta che è la forza cieca della natura. Questa forza si esprime già nella materia inorganica. In tal senso, Schopenhauer cambia completamente il senso tradizionale del termine, il quale è spesso un concetto legato alla razionalità e che comanda l’azione umana. Nel dire di Kant, la volontà è la facoltà di agire tenendo presente la legge morale, vale a dire è la ragione pratica stessa, quella che formula l’imperativo categorico3. Il nostro autore, invece, usa il termine anche

    3 Cf. I. KANT, Critica della ragione pratica, § 7; Fondazione della metafisica dei costumi, 57.

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    in questa accezione, però il suo uso principale è quello che fa coincidere la forza cieca della natura con il termine “volontà” e, pertanto, come accennato sopra, coincide “volontà”, grosso modo, con il noumeno kantiano, cioè quella parte inaccessibile alla ragione umana e detta anche la “cosa-in-sé” (Ding an sich). Non si può, però, fare un accostamento ravvicinato delle due concezioni, ossia quella di noumeno di Kant e quella di “volontà” di Schopenhauer, senza incorrere in errore. Sta di fatto che Schopenhauer pretende di essere il continuatore della dottrina kantiana sul noumeno e colui che la supera, tramite il concetto di “volontà” come essendo la forza cieca della natura4.

    Con questo termine “volontà” Schopenhauer intende anche quella parte del mondo fortemente caratterizzata dalla lotta, dal dolore, dalla sofferenza e dalla morte degli individui. Diventa un concetto carico di pessimismo nella filosofia del nostro autore; infatti, nella seconda metà della sua opera principale, nei libri III e IV, in tutte e due i volumi, Schopenhauer cerca di trovare una strada che possa portare alla liberazione dell’essere dall’oppressione di questa padrona impertinente che è la volontà: è la via dell’arte (III libro) e dell’ascesi (VI libro); quest’ultima via non verrà affrontata in questa sede.

    Nel tentativo di non creare confusione di termini, userò il termine “Volontà” nel significato proprio di Schopenhauer con la lettera iniziale maiuscola; il termine “volontà” tutto in minuscolo, invece, sarà usato eventualmente nella sua accezione tradizionale, come lo intende Kant nella sua dottrina morale.

    Un altro concetto importante da capire in Schopenhauer è quello di “idea”. Riguardo questo concetto, lo stesso filosofo dichiara di usare il termine esattamente nella stessa accezione usata da Platone, come possiamo leggere in I, 154 de Il mondo come volontà

    4 Cf. A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, I 595-602.

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    e rappresentazione. Per Platone, l’idea è un esemplare della natura e tutte le cose che esistono non sono altro che immagini o copie del prototipo. Per Schopenhauer, “idea” significa l’immediata oggettivazione della Volontà, il modello o la forma eterna dei singoli oggetti del mondo. In pratica, i due pensatori hanno lo stesso concetto. Comunque, non è così facile far coincidere questo termine nella filosofia di Schopenhauer con quella di Platone, anche se tutte e due hanno una concezione molto simile per quanto riguarda lo specifico di questa ricerca, ossia le arti.

    In Platone le arti in genere sono tenute in poco conto, visto che producono solo imitazioni delle copie delle Idee; Schopenhauer tende verso questo stesso atteggiamento, come vedremo, in quanto, nella scala delle arti, sottovaluta alcune arti e eleva altre, mettendo al grado più alto la musica, ritenendo che essa sia l’arte più adatta ad esprime la Volontà stessa, liberando l’essere dal peso dei concetti. La grande differenza tra i due è che, mentre in Platone le Idee sono il criterio supremo di verità e bellezza e, inoltre costituiscono un mondo a sé, in Schopenhauer quello che dovrebbe corrispondere alle Idee, ovvero la Volontà, diventa qualcosa di opprimente nei confronti dell’essere e che deve essere in qualche modo sconfitta. Qui si percepisce il pessimismo insito nella sua filosofia. Per Schopenhauer, le due parti del mondo, quella della Volontà e quella della rappresentazione, costituiscono un solo mondo, ovvero questo mondo nel quale ci troviamo; in Platone, abbiamo il mondo delle Idee e il mondo delle apparenze. Cercare di mettere le due visioni filosofiche d’accordo è impresa praticamente impossibile. Seguendo questa logica, si può dire che per Schopenhauer esiste solo questo mondo e tutto finisce qui, mentre per Platone questo mondo in cui ci troviamo costituisce solo apparenze di un altro mondo, quello vero, quello delle Idee.

    Anche in questo caso userò il termine “Idea” con la prima lettera maiuscola, in riferimento alla concezione

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    platonica, mentre il termine “idea”, tutto in minuscolo, riferendomi all’accezione moderna, ovvero tutto quello che costituisce l’oggetto del pensiero in generale.

    Con questa dissertazione cercherò di capire proprio questo problema dell’essere e di come Schopenhauer pensa di risolverlo tramite le arti, ossia propriamente qual è lo scopo delle arti nell’esistenza umana e perché il filosofo mette la musica come la principale di esse. Come vedremo, la ricerca si svolgerà in due capitoli: nel primo, verrà inquadrata la musica nel contesto delle arti attraverso un’analisi delle principali arti e il rapporto di ognuna con la musica stessa; si comincia dall’architettura, posta da Schopenhauer al gradino più basso, passando tramite la scultura, la pittura e la poesia per arrivare all’apice della scala delle arti, cioè la musica. Nel secondo capitolo verrà affrontata specificamente l’analogia tra mondo e musica e la funzione della musica nel tentativo di liberare l’uomo dalla prigionia della Volontà. Questo studio vuole essere un approfondimento della teoria estetica di Schopenhauer e un’analisi della particolare filosofia esposta dal pensatore di Danzica. Cercherò di esporre i punti principali della sua dottrina in modo critico. E’ un compito non facile, visto che il nostro autore ha una bizzarra visione del funzionamento delle arti nel mondo e lavora molto con l’analogia e con le metafore per spiegare le sue teorie, il che spesso crea seri problemi di plausibilità, rendendolo estremamente vulnerabile alle critiche. Tra l’altro, è stata proprio un’analogia quella che mi ha ispirato questa ricerca: l’analogia tra il mondo e la musica.

    Tutti i riferimenti riguardanti l’opera principale di Schopenhauer, vale a dire Il mondo come volontà e rappresentazione, verranno indicati direttamente nel corpo del testo, rendendo più comoda la lettura. Questi riferimenti, indicati per lo più tra parentesi, sono composti da una prima parte in numeri romani che indica il volume dell’opera (I o II) e da una seconda parte in cifre arabe che

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    indica il punto esatto del testo chiamato in causa. Tutti gli altri riferimenti verranno indicati normalmente in calce.

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  • CAPITOLO I: LE ARTI BELLE 1.1 La musica nel contesto delle arti

    In questo primo capitolo s’intende chiarire la

    posizione della musica nella filosofia di Schopenhauer attraverso la lettura dell’opera principale dell’autore, ossia Il mondo come volontà e rappresentazione5, in modo speciale il terzo libro di essa e i supplementi al terzo libro; un ruolo importante avranno anche i riferimenti secondari, i quali comprendono autori italiani e stranieri.

    Infatti, nella sopraindicata opera, pubblicata per la prima volta nel 1818/196, Schopenhauer fa un’interessante esposizione riguardo le arti in generale. Nonostante la particolare visione di mondo che ha, conforme già

    5 A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, Milano, 2006. 6 Il secondo volume dell’opera, ossia i Supplementi al I volume, appare solo nel 1844 (Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 5-11).

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    esplicitato nella parte introduttiva, la sua descrizione e organizzazione delle arti secondo una gerarchia ben definita è qualcosa da tenere presente e sicuramente di grande valore per quanto riguarda lo studio di esse nella loro complessità.

    C’è da dire da subito che le arti in Schopenhauer sono viste come un insieme, cioè una manifestazione umana e una forma di conoscenza che possono essere prese come un complesso unitario; l’unico problema è che, organizzando le arti in una scala di valori, come vedremo in seguito, il filosofo condanna alcune arti ad occupare un grado più basso in relazione ad altre, il che ci lascia un po’ perplessi.

    Le arti costituiscono una forma di espressione caratteristica dell’essere umano (I, 315), ma, allo stesso tempo, cercano di allontanarsi il più possibile dai concetti, intesi come gli intende Kant, ossia come concetti dell’intelletto; in esse regna, in gradi diversi, l’intuizione immediata della Volontà. Tra l’altro, in Schopenhauer la filosofia non è altro che il tentativo di tradurre in concetti la conoscenza acquisita nella contemplazione artistica7. Stando a quello che dice G. Invernizzi, è proprio la teoria estetica quella che spiega la filosofia del nostro autore8, il quale possiede vasta e indiscussa conoscenza riguardo le arti9. Ma riferendosi all’arte, ci sono delle distinzioni da tener presente.

    7 Cf. R. SAFRANSKI, Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia, 320-321. 8 Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 173. 9 Cf. D. JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer, 145-146.

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    1.1.1 La scala delle arti

    L’obbiettivo principale di questa sezione è quello di contestualizzare la musica nell’insieme delle arti, secondo Arthur Schopenhauer. Per fare questo si procederà alla descrizione e caratterizzazione delle principali arti belle in particolare e, possibilmente, il rapporto che ognuna di esse intrattiene con la musica, per poi arrivare a una caratterizzazione della musica stessa. Non sarà possibile abbordare tutti gli aspetti esposti dall’autore riguardanti ogni arte analizzata, data la vastità degli argomenti che girano intorno ad ognuna.

    Esiste una vera e propria gerarchia delle arti nella filosofia di Schopenhauer, secondo la quale l’architettura rappresenta il grado più basso e la musica quello più alto in assoluto. E’ stato chiarificante per me a tale riguardo l’esposizione di D. Jacquette, il quale espone con chiarezza e brevità che Schopenhauer organizza le arti belle seguendo una scala ascendente in quest’ordine: architettura, scultura, pittura, letteratura, poesia e musica10.

    Queste distinzioni fanno sì che il filosofo metta le arti figurative, come l’architettura, la pittura e la scultura da una parte, relegandole a un ruolo inferiore e, dall’altra parte, tende a considerare la poesia e la musica come essendo arti che sfuggono al regno della visibilità e, pertanto, di maggior pregio. Quanto più libera dai concetti e dal mondo fenomenico, più l’arte riesce ad esprimersi come oggettivazione della Volontà. E’ il caso di dire che Schopenhauer tende a confondere la pesantezza della materia con il mondo fisico, fenomenico; l’esempio più adatto in questo caso è proprio quello dell’architettura, visto che il materiale usato in essa è caratterizzato dal peso e dalla rigidità. D’altra parte, la leggerezza della materia è associata al mondo non fisico, come è il caso della musica,

    10 Cf. Idem, 151-154.

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    la quale è costituita da suoni che si propagano nell’aria e, pertanto, leggera, nel senso che non ha pesantezza come una pietra o un cavallo.

    Ovviamente, questo modo di pensare non va d’accordo con il modo odierno di pensare il suono, il quale è considerato un evento fisico a tutti gli effetti, come qualsiasi altro evento appartenente al mondo fenomenico e, pertanto, costituito di materia. In tal senso, essendo la musica un fenomeno fisico, anche se caratterizzata dalla leggerezza della materia, viene considerata appunto come qualcosa di fisico, alla pari dell’architettura, perfettamente spiegabile tramite le leggi fisiche.

    Il fatto che alcune tra le arti belle siano di carattere più spirituale che altre, cioè non hanno bisogno di un supporto materiale così tangibile come le altre, fa sì che esse si presentino più legate al tempo e meno bisognose dello spazio. Questo è il motivo per cui le due forme a priori della conoscenza, vale a dire spazio e tempo, tratte da Schopenhauer dalla dottrina kantiana, vengono considerate largamente nel discorso sulle arti: lo spazio è più necessario alle arti visive, come la pittura e la scultura, anche se non si esclude il tempo, mentre il tempo si addice più alle arti non visive11, come la narrativa e la musica. «L’esperienza di quadri e statue richiede tempo. L’esperienza di romanzi, drammi teatrali e sinfonie richiede un tempo rigorosamente preordinato»12.

    In tal senso, la musica, essendo un’arte non visiva, non ha bisogno dello spazio allo stesso modo che succede

    11 Cf. P. KIVY, Filosofia della musica: un’introduzione, 164-165. 12 Idem, 165. Secondo il mio parere, queste frasi di Schopenhauer sono mal formulate, visto che l’esperienza di quadri e statue può avvenire in una frazione di secondo, mentre quella della poesia e della musica richiede un tempo preordinato. In tal senso, le arti figurative, trattandosi di esperienza sensitiva, sono più “libere” dal tempo, ma non dallo spazio.

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    con le altre arti; d’altra parte, le arti figurative, le quali sono strettamente legate allo spazio, hanno meno bisogno del tempo per essere esperite.

    E’ doveroso notare come le due forme a priori, spazio e tempo, siano così importanti nel mondo fenomenico, a tal punto da determinare tutta l’esistenza delle cose fisiche. Ecco perché i due sensi più importanti presenti nella maggioranza degli esseri viventi, tra i quali l’uomo, sono la visione e l’udito13, i quali sono strettamente legati allo spazio e al tempo. Infatti, l’occhio è colpito in un unico momento14, mentre l’udito ha bisogno di una successione di suoni nel tempo per poter capire il messaggio.

    Siccome Schopenhauer condivide, almeno in parte, la concezione platonica di mondo, possiamo dire che lui si riferisce alle arti belle proprio con questa concezione, dove le Idee stanno da qualche parte che non in questo mondo fenomenico influenzato dallo spazio e dal tempo che siamo abituati a vedere e a sentire ad ogni momento. L’idea, che non rientra nel principio di ragione (I, 199), va oltre il mondo dei fenomeni, cioè oltre il velo della Maia (I, 299). L’arte, in tal senso, è la responsabile del compimento di questo passo che costituisce un grande salto di qualità dell’essere umano in relazione agli animali e a tutto il mondo fenomenico in genere (I, 199-205; II, 415-419), ossia fa sì che l’uomo oltrepassi la soglia del puramente sensibile15.

    13 Non si può certamente tralasciare e disprezzare gli altri sensi, ma forse è il caso di dire che la visione e l’udito sono i due sensi più importanti per quanto riguarda la percezione e l’apprezzamento delle arti. 14 «Ma un quadro, o una statua, sono lì davanti a noi in un sol colpo» (Cf. P. KIVY, Filosofia della musica: un’introduzione, 165). 15 C. Janaway analizza la concezione estetica in Schopenhauer mettendola in relazione con la dottrina platonica; quello che lascia intendere è che i due filosofi

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    Comunque, si ha l’impressione che Schopenhauer non faccia altro che esporre in modo diverso la teoria platonica secondo la quale l’arte è mimesis, ossia imitazione degli oggetti del mondo sensibile, i quali sono loro stessi imitazioni del mondo reale, che è quello dell’Iperuranio o delle Idee, in modo che le arti si discostano di tre lunghezze dalla verità e, per questo devono essere bandite dallo Stato ideale, conforme esposto nella Repubblica16. Da questa concezione di fondo sembra provenire la scala delle arti proposta da Schopenhauer, il quale non ha un evidente disprezzo nei confronti di esse come riscontrato nel pensiero di Platone, ma si avverte una certa tendenza, a prediligere la musica come un’arte diversa e superiore rispetto alle altre.

    Il nostro filosofo fa coincidere la sua nozione di Volontà con la nozione di Idea di Platone e con la cosa-in-sé di Kant. Anche se lui si tiene in un atteggiamento abbastanza prudente, in un brano della sua opera principale (I, 199-205) espone questa sua visione dicendo che, nonostante non si possa dire che queste tre concezioni sono esattamente omogenee, si arriva allo stesso risultato; anzi, Schopenhauer è incline ad avvicinare il suo concetto di Volontà a quello di Idea di Platone e a quello di cosa-in-sé di Kant, lasciando trasparire che la differenza tra queste nozioni sono solo sfumature:

    Se si fosse mai intesa e afferrata la dottrina di Kant, se si fosse da Kant in poi inteso e afferrato veramente Platone, se si fosse meditato con fedeltà e serietà l’intimo senso e contenuto delle dottrine dei due grandi maestri, invece di spacciare a destra e a manca i termini tecnici dell’uno e di parodiare lo stile dell’altro, non si sarebbe mancato di riconoscere da gran tempo quanto i

    non sono concordi pienamente riguardo la metafisica. (Cf. C. JANAWAY, Self and world in Schopenhauer’s philosophy, 276-277). 16 Cf. PLATONE, Repubblica, X.

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    due grandi sapienti concordino e quanto il puro significato, il punto d’arrivo delle due dottrine sia esattamente lo stesso (I, 204).

    Non si può non notare, comunque, la difficoltà di comprensione che viene fuori da questi passaggi di Schopenhauer (I, 199-206). In fondo, se si tratta solo di sfumature tra la nozione di Idea di Platone, quella di cosa-in-sé di Kant e quella di Volontà, alla fine non c’era bisogno di inventarsi un nuovo termine, Volontà appunto, per esprimere con precisione e chiarezza il suo pensiero riguardo l’organizzazione del mondo e le arti in genere.

    Comunque sia, nella contemplazione estetica, secondo Schopenhauer, succede qualcosa che sospende per un momento l’essere dalla catena causale spazio-temporale. Come dice C. Janaway nel passo indicato poco fa, alla nota 15, è come se ci fosse la celebrazione del “sabato” in mezzo alla penosa servitù della Volontà; è un momento di svago, in cui vengono messi da parte i concetti.17

    17 «Aesthetic experience, for Schopenhauer, is characterized by suspension of the laws of connection between representations. Using the very perceptual apparatus produced in us by the will, we can subvert the will by refusing temporality to see things according to their law-like connection, as we must do in empirical consciousness if we are to manipulate things successfully to meet our ends. Taking no interest in the ends it may serve for us, we can merely perceive an object for the sake of perceiving it, and in so doing we experience the object as unhooked from its spatio-temporal and causal connections with the rest of the world. Contemplating, say, a horse in this way brings our mind – according to Schopenhauer – into contact not merely with a particular horse, but with the eternal Idea of the horse in general. And, as before, this state of contemplation is associated with a release from the torment of life: “we are, for that moment, relieved of the will’s vile urge, we celebrate a

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    Anche se, nella visione di Schopenhauer, solo l’ascesi può annullare il dominio della Volontà sull’essere umano18, sciogliendolo dal paradosso continuo creatosi tra gli estremi del desiderio/dolore e della noia, le arti costituiscono un lenitivo alla vita umana, trasportando l’individuo, principalmente l’ascoltatore di musica, verso una dimensione più sciolta e “spensierata”, diversa da quella dominata dai concetti19. Parlando dell’arte in genere, Schopenhauer dice che essa

    arresta la ruota del tempo; scompaiono per essa le relazioni: solo l’essenziale, l’idea, è il suo oggetto. Possiamo quindi definirla addirittura il modo di considerare le cose indipendentemente dal principio di ragione, in contrapposizione al modo di considerare le

    Sabbath from the penal servitude of willing, the wheel of Ixion stands still”; “it is if we have entered into a different world, where everything which moves our will and shakes it so mightily is no more…happiness and unhappiness have disappeared”». (Cf. C. JANAWAY, Self and world in Schopenhauer’s philosophy, 276-277). 18 Questo è l’oggetto di indagine di Schopenhauer esposto a lungo nel Libro IV de Il mondo come volontà e rappresentazione. Con il termine “ascesi”, l’autore intende sia quella cristiana sviluppatasi in Occidente che quella orientale, legata principalmente alla cultura buddhista, della quale era cultore e possedeva vasta conoscenza. 19 G. Invernizzi, nell’opera già citata sopra, Invito al pensiero di Schopenhauer, alle pagine 52-53, fa un riassunto dell’opera Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, dove dice che il terzo libro tratta l’arte come una via di liberazione dal dolore e il quarto libro riguarda l’ascesi, che è la definitiva liberazione dell’uomo dal potere della Volontà.

  • Le arti belle 31

    cose che proprio quello segue, e che è la via dell’esperienza e delle scienze (I, 218)20.

    Tenendo presente questo brano, non si può non

    notare una certa difficoltà nella comprensione di quale tipo di tempo si riferisce Schopenhauer. Dato che la musica osserva un andamento di tempo che si può dire matematicamente esatto, sembra che quando il filosofo parla del tempo in musica e nelle arti in genere, non si riferisce al tempo meccanico, ma al tempo così detto “psicologico”. Nella contemplazione artistica, quindi viene lasciato da parte il cronometro per dare spazio a una dimensione in cui il soggetto non si accorge del trascorrere del tempo stesso: la preoccupazione con la cronologia viene messa da parte per il soggetto in particolare, anche se l’orologio non si ferma mai. Solo in questo modo si può interpretare cosa voglia dire Schopenhauer con l’arresto della ruota del tempo.

    Da questa breve esposizione riguardo la gerarchia delle arti secondo Schopenhauer, si può dedurre che il criterio di classificazione è da ricercarsi nell’esperienza estetica stessa, cioè quanto più l’arte è legata alla materialità, tanto più rimane legata anche al mondo della rappresentazione o dei concetti; invece, quanto più l’arte si libera dai concetti, tanto più porta l’uomo verso il mondo della Volontà. Come esempio del primo caso possiamo indicare l’architettura; il secondo caso trova piena conformazione nella musica, la quale è il più alto grado di oggettivazione della Volontà, cioè la musica, tra tutte le arti, è quella che meglio riesce a svelare qualcosa da questo mondo arcano che è la Volontà. Va fatto presente che il nostro filosofo considera la materia dotata di pesantezza e rigidità, come per esempio una pietra, come qualcosa di materiale, mentre la materia dotata di leggerezza, come i suoni, come qualcosa di immateriale. Come già accennato

    20 Questo brano apparirà un’altra volta all’interno di un’altra citazione più ampia, conforme verrà segnalato alla nota 40.

  • 32 L’analogia tra mondo e musica...

    in precedenza, questa concezione non va tanto d’accordo con la scienza acustica, la quale considera il suono come un fenomeno puramente fisico. Ma questa gerarchia delle arti può essere intesa come tale solo all’interno del sistema filosofico di Schopenhauer, il quale ha per obbiettivo trovare una via di fuga dall’oppressione della Volontà.

    La dottrina estetica schopenhaueriana cerca di raggiungere proprio questo traguardo, cioè mostrare come l’arte può liberare l’uomo dall’intreccio del mondo della rappresentazione e della Volontà, con le sue forme a priori di spazio e tempo e le categorie della causalità, per immetterlo in un mondo che va aldilà dalle apparenze. In questo senso, la Volontà è conoscibile per Schopenhauer tramite questa via, ovvero la contemplazione del bello, anche se la mente umana non riesce ad afferrare e a delimitare questa dimensione.

    In seguito analizzeremo nello specifico alcune delle principali arti belle, cominciando dall’architettura fino ad arrivare alla sommità della scala, occupata dalla musica.

  • Le arti belle 33

    1.1.2 L’architettura

    La prima arte bella ad essere analizzata da Schopenhauer è l’architettura. Essa viene paragonata da lui a quella parte della natura, del mondo fenomenico, la quale è dominata essenzialmente dal regno minerale. La caratteristica principale di questo regno è la posatezza e l’apparente immobilità.

    Non è un caso che Schopenhauer incominci la sua riflessione sulle arti belle proprio dall’architettura; essa viene considerata da lui come il più basso grado di oggettivazione della Volontà, visto che, nella sua visione, l’arte deve essere capace di portare il soggetto all’apprensione immediata di quella che è l’essenza del mondo, cioè la Volontà. In questo senso, l’architettura non è capace di contribuire molto alla conoscenza di quel mondo che va aldilà della rappresentazione, dato che è troppo legata alla concretezza della materia, vale a dire alle sue qualità naturali di durezza, rigidità, peso e massa. Con Schopenhauer, l’architettura è condannata ad occupare il più basso gradino della scala delle arti belle21.

    La concezione di fondo, a mio avviso, è quella platonica, secondo la quale la materialità esercita una situazione di oppressione sull’essere, come l’anima che rimane incatenata nel corpo e non riesce a tornare verso il mondo ideale, da dove è venuta, finché non si libera dal corpo, ossia dalla materia. L’architettura, in questo modo, è l’arte che più esprime questo bisogno di rapportarsi con la materia e, pertanto, è tanto più prigioniera di essa rispetto alle altre arti.

    Infatti, l’architettura è, prima di tutto, un’arte caratterizzata dalla materialità. Qualsiasi opera architettonica, bella o brutta che sia, deve essere

    21 Cf. M. SCHWARZER, “Schopenhauer’s philosophy of architecture”. In: D. JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and the arts, 277-179.

  • 34 L’analogia tra mondo e musica...

    letteralmente un “fenomeno”, vale a dire deve apparire agli occhi di chiunque si presenti come osservatore. D’altra parte, anche la musica si presenta come un fenomeno, secondo la concezione kantiana, allo stesso modo dell’architettura e delle altre arti. Ma credo che sia il caso di dire che Schopenhauer dispone le arti nella sua scala usando il criterio della materialità; da una parte ci mette l’architettura, come la più legata alla materia nel senso più naturale possibile, con le sue caratteristiche di durezza, rigidità, peso e massa; mentre dall’altra parte colloca quell’arte che è la più distaccata dalla materia in questo senso, in quanto è caratterizzata dalla leggerezza e dalla sottigliezza, cioè la musica. In mezzo a queste due ci mette tutte le altre arti conforme il “criterio della materialità”.

    Un’altra caratteristica dell’architettura è quella per cui siamo, in genere, impressionati dalla grandezza delle forme (II, 472). Quando si parla di un’opera architettonica si ha subito l’impressione di star parlando di qualcosa di grandioso e che oltrepassa le dimensioni dell’essere umano come corporeità. Infatti, ci fa grande impressione vedere il complesso di San Pietro in Vaticano, formato dalla grande piazza delimitata dal colonnato e con in fondo l’imponente basilica. Ma tutto questo non ci fa molta impressione se ci mettiamo ad osservare una miniatura di tale opera.

    Tenendo presente che, secondo Schopenhauer, la natura è la Volontà stessa, ossia quella forza cieca presente già nella materia inorganica, e che l’arte e tutte le attività che caratterizzano l’essere umano sono un prodotto della rappresentazione del soggetto, c’è da dire che il paragone fatto da Schopenhauer in relazione all’architettura è che essa, nei confronti della natura, è la rappresentazione del regno minerale; questo perché ci fa venire subito il pensiero di qualcosa di stabile e posato. La massa enorme che caratterizza l’architettura si presta bene a rappresentare il cosmo nella sua parte più rozza e statica (I, 253). All’interno delle arti, l’analogia tra l’architettura e la musica è che la prima è paragonabile a quella parte della

  • Le arti belle 35

    musica delegata ai suoni gravi, più posati e più robusti, se così si può dire; però, non si può stabilire nessun legame logico tra la materia pesante dell’architettura e i suoni bassi della musica, come vorrebbe l’autore; si può soltanto stabilire un legame metaforico che, se non altro, ci aiuta a capire la funzione sia della materia dotata di pesantezza per il mondo fisico, sia dei suoni gravi per l’armonia musicale.

    Se ora consideriamo l’architettura, meramente in quanto arte bella, prescindendo dalla sua destinazione a fini pratici, nei quali essa serve la volontà e non la conoscenza pura, e dunque non è più arte nel nostro senso; non possiamo attribuire nessun’altra finalità se non quella di portare a chiara evidenza alcune di quelle idee, che sono gli infimi gradi di oggettità: vale a dire la gravità, la coesione, la solidità, la durezza, queste proprietà generali della pietra, queste prime, più semplici e più opache qualità visibili della volontà, note di basso continuo della natura; e poi accanto ad esse la luce, che per molti versi è un contrapposto di quelle (I, 252).

    L’architettura si distingue dalle altre arti figurative per il suo modo di presentare la cosa-in-sé, ovvero non dà un’immagine della cosa, ma è la cosa stessa (I, 256). Qui Schopenhauer si avvale della teoria platonica che dice che le arti sono imitazioni degli oggetti del mondo fenomenico, i quali sono a loro volta copie delle Idee; nel dire di Schopenhauer, l’architettura non imita alcun oggetto del mondo fenomenico, come la pittura e la scultura, e addirittura la poesia, che si avvalgono proprio dell’imitazione. Mentre la pittura e la scultura parlano e vogliono esprimere un’immagine di qualcosa, l’architettura si presenta, per così dire, con la propria faccia, cioè senza imitazioni. Seguendo la terminologia platonica, si può dire che si tratta di copie delle idee, per quanto riguarda l’architettura, ma non di imitazioni delle copie delle idee.

    Fra le arti figurative l’architettura offre a Schopenhauer le migliori possibilità di applicare la sua

  • 36 L’analogia tra mondo e musica...

    teoria della natura espressiva e non rappresentativa degli oggetti artistici: un bel palazzo non imita nessun modello naturale né rappresenta figurativamente una qualche idea: esso esprime invece la lotta fra la rigidità e il peso, cioè la lotta fra le corrispondenti idee22.

    L’architettura occupa il gradino più basso nella scala delle arti, secondo Schopenhauer, per il suo forte legame con la pesantezza e con la rigidità della materia; questo fatto la fa paragonabile al regno minerale in natura. Nonostante questo, quando Invernizzi dice, all’inizio della precedente citazione, che «l’architettura offre a Schopenhauer le migliori possibilità di applicare la sua teoria …», vuol dire che essa, proprio perché è così legata alla materialità, è tanto più visibile agli occhi di tutti e si mostra come un’arte non imitativa. Qui si potrebbe addirittura azzardare un paragone con la musica stessa, in quanto spesso si usa l’espressione “architettura musicale” riferendosi alla struttura armonica di un’opera musicale.

    Non è solo l’aspetto anteriormente descritto della lotta delle forze della natura che va preso in considerazione. Spesso un’opera architettonica non viene eseguita a scopi puramente estetici, ma con fini pratici, facendola diventare più un’arte utile che bella (II, 467). Questo fa sì che la bravura dell’architetto e il clima determinino la bellezza di tali opere. Il clima mite dà più libertà alla ricerca estetica, mentre il clima rigido fa sì che si anteponga il pratico al bello. Questa è la visione di Schopenhauer a tale riguardo:

    Quanto più il clima crudo accresce quelle esigenze del fine pratico, dell’utilità, quanto più saldamente le determina e inderogabilmente le prescrive, tanto meno campo ha il bello nell’architettura. Nel clima mite dell’India, dell’Egitto, della Grecia e di Roma, dove le esigenze pratiche erano minori e determinate con più larghezza, l’architettura poté perseguire i suoi fini estetici

    22 G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 88.

  • Le arti belle 37

    nel modo più libero; sotto il cielo nordico essi le vennero molto pregiudicati: qui, dove si richiedevano casermoni, tetti a punta e torri, l’architettura, potendo sviluppare la propria bellezza solo entro limiti molto ristretti, dové in compenso adornarsi tanto più con gli ornamenti presi a prestito dalla scultura, come si può vedere dalla bella architettura gotica (I, 156).

    In questo brano, Schopenhauer chiarisce bene la

    sua posizione critica e quasi dispregiativa nei confronti dell’architettura gotica, nonostante riconosce, stranamente, che questo stile è bello. Come amante della cultura e dell’arte greco-romana, ha sempre la tendenza a preferire lo stile antico. Specificamente, la critica è rivolta allo stile gotico, più diffuso nell’Europa del nord, il quale crea uno squilibrio appunto tra il sostegno e il carico, perché molto preoccupato con la linea verticale a scapito di quella orizzontale. Questa “verticalizzazione” dell’edificio, secondo lui, si discosta dallo stile architettonico antico e porta a un tipo di opera meno bella. Dall’altra parte, lo stile italiano è più fedele a quello antico, per il fatto di essere il diretto erede della cultura greco-romana antica23. Se poi confrontiamo questo testo con un altro che si trova in II, 475-476 de Il mondo come volontà e rappresentazione, la situazione diventa ancora più aspra, visto che lo stile gotico viene considerato da Schopenhauer uno stile “barbaro”, nell’accezione dispregiativa del termine.

    L’effetto estetico dell’architettura sta nel giusto equilibrio tra il sostegno e il carico, il che non significa che non ci sia la tensione, la lotta tra le forze naturali. Ma i due elementi (sostegno e carico) producono un effetto positivo solo se sono ben distinti l’uno dall’altro. Un muro non produce un effetto estetico perché in esso vengono confusi questi elementi caratteristici di quest’arte (II 468-469). Un edificio dove non vengono distinti questi elementi,

    23 Cf. F. VERCELLONE, Oltre la bellezza, 90.

  • 38 L’analogia tra mondo e musica...

    nonostante devono stare in equilibrio affinché la costruzione non crolli, è un edificio brutto.

    Tornando sempre al paragone con la musica, Schopenhauer dice che il colonnato e la travatura sono per l’architettura quello che è per la musica l’esecuzione di una scala diatonica, ossia a gradi ben distinti (II, 469). L’equilibrio tra colonna e travatura è analogo a quello tra il basso e le altre voci più acute che si poggiano su di esso. Ovviamente, lo squilibrio tra questi elementi crea una sensazione di bruttezza; in questo caso, i sensi vengono colpiti in modo negativo e sgradevole.

    La concezione estetica di Schopenhauer nei confronti dell’architettura è che essa è una lotta, un conflitto permanente tra le forze della natura: è l’espressione della Volontà stessa; un edificio, che può sembrare qualche cosa di inerte, in realtà si mantiene in piedi grazie alla continua lotta tra il sostegno e il carico. La bravura dell’artista nel combinare questi elementi è fondamentale per la bellezza di un’opera architettonica.

    Nella visione di M. Schwarzer24, Schopenhauer ha condannato l’architettura al più basso grado dell’arte a causa della sua concretezza. Essa riesce ad esprimere solo in un grado molto basso la cosa-in-sé, dato che rimane sempre molto attaccata al mondo della rappresentazione e, pertanto, al fenomeno e alla materia.

    In conclusione, quello che più mi lascia perplesso nel ragionamento di Schopenhauer sull’architettura, è il fatto che lui tende a staccare completamente il fattore estetico dal fattore pratico; l’architettura antica, nella sua opinione, è la più bella perché più distaccata dal bisogno di preoccuparsi con l’aspetto utilitario e, pertanto, pratico.

    Personalmente non sono tanto d’accordo con tale concezione, in quanto l’architettura è un’arte che deve preoccuparsi senz’altro della questione pratica o dell’utilità.

    24 Cf. M. SCHWARZER, “Schopenhauer’s philosophy of architecture”. In: D. JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and the arts, 285.

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    Nessun architetto può permettersi di staccare questi due fattori, ossia bellezza ed utilità. Tra l’altro, secondo la mia modesta opinione, l’utilità di un edificio è anch’essa un criterio di bellezza. In tal senso, penso che l’architettura sia un’arte particolarmente diversa da tutte le altre arti, inclusa la musica, perché deve sì preoccuparsi dell’utilità; essa deve saper coniugare la bellezza con l’utilità, altrimenti perde buona parte della sua ragione di esistere come arte. Tra l’altro, l’arte di edificare parte proprio dalla necessità naturale di trovare riparo e di delimitare spazi nello spazio, non solo presente negli esseri umani, ma anche negli animali in genere, anche se in modo istintivo. Su questa necessità, l’uomo ha sempre saputo agire con intelligenza artistica. In questo senso, la bellezza viene addirittura posposta alla praticità.

    Un’altra perplessità nel pensiero di Schopenhauer sull’architettura è che lui afferma con assoluta convinzione che l’architettura antica, ossia quella greco-romana, ha già esaurito a suo tempo tutte le possibilità di sviluppo (II, 480), in modo tale che qualsiasi cosa appaia dopo tale epoca riguardante quest’arte è un regresso tanto più notevole quanto più si distacca dallo stile greco-romano antico. Questa è una tesi molto azzardata, visto che non lascia spazio a nuovi sviluppi in tal senso e qualsiasi tentativo di innovazione fallirebbe in partenza. Ecco perché parla così male dello stile gotico, nonostante apprezzi questo stile qualificandolo addirittura come “bello” (I, 156).

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    1.1.3 La scultura e la pittura

    Nella sequenza proposta da Schopenhauer nella sua riflessione sulle arti belle abbiamo la scultura e la pittura, le quali occupano rispettivamente il secondo ed il terzo posto nella gerarchia delle arti secondo la scala ascendente, esposta in modo chiaro e riassuntivo da D. Jacquette25.

    La prima cosa che si può dire, tenendo in mente il pensiero platonico, è che queste due arti si propongono come arti imitative del mondo fenomenico. In qualche modo, se non nella totalità espressiva di esse, almeno in parte c’è l’imitazione di qualcosa che è già presente in natura o costruito dall’uomo, diversamente da quanto succede con l’architettura e con la musica (I, 260).

    Nel dire di Schopenhauer, la scultura raggiunge il massimo del suo splendore già nella cultura antica, come l’architettura, dove si doveva cercare di esprimere la bellezza in modo più reale e concreto. La pittura si è sviluppata dopo, principalmente in tempi cristiani (II, 478), anche per una questione di necessità comunicativa di un messaggio ben preciso legato alla dottrina religiosa.

    La principale differenza, comunque, della scultura e della pittura nei confronti della musica è che esse sono arti imitative e che hanno sempre bisogno di un modello ispiratore che si trova già nel mondo fenomenico, mentre la musica non ha bisogno di questo modello ispiratore presente nel cosmo: il suo paradigma sta da qualche altra parte. Nella musica, come anche nell’architettura, il modello viene ricavato dall’immaginazione del soggetto. La pittura e la scultura danno anch’esse ali alla fantasia, ma in questo caso ci deve essere un modello ispiratore esistente nel mondo fenomenico che permetta all’artista di lavorarci sopra. Nel caso della musica, sia il modello che

    25 Cf. D. JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer, 152.

  • Le arti belle 41

    anche l’ulteriore lavorazione, dipendono solo ed esclusivamente dall’immaginazione dell’artista.

    La musica si serve delle strutture compositive, le quali sono molto simili ad esercizi aritmetici, ma il “materiale” sonoro viene percepito ed espresso a partire da una fonte che sta nell’intimo dell’uomo stesso, in quella parte più nascosta e più enigmatica del soggetto, che è la sua mente. Riconosciamo in questo aspetto della musica il suo carattere di libertà. Non si sa da dove l’artista ricava i soggetti musicali e non si sa neanche cosa produrranno questi soggetti quando incontreranno la sensibilità dell’ascoltatore. Questa libertà si ha anche nelle altre arti, soltanto che in minor grado. A tale riguardo, G. Invernizzi propone la seguente soluzione per l’apprezzamento dell’arte in genere:

    Per apprezzare ed ammirare un’opera d’arte non è necessario condividerne per intero il contenuto, né è necessario concordare con quanto l’artista ritiene più importante o addirittura decisivo: l’opera d’arte vale spesso nonostante il suo contenuto, nonostante il messaggio che vuole comunicare, talvolta per aspetti

    considerati marginali26.

    La musica lascia ampia libertà di interpretazione, a

    differenza della pittura e della scultura; in quest’ultimo caso il messaggio è ben preciso. Anche se le arti figurative danno margine ad una certa diversità di interpretazioni, il loro messaggio è ben preciso e definito dall’artista stesso, il quale trae ispirazione da soggetti vari presenti nel mondo fenomenico, eseguendo opere scultoree e pittoriche di più o meno pregio, secondo le sue abilità tecniche personali e secondo lo stile. Riguardo i capolavori delle arti figurative, Schopenhauer propone un’interessante spiegazione. Secondo lui, la rarità di un capolavoro di questo tipo di arte

    26 G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 174.

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    fa sì che esso diventi prezioso a tal punto da avere un valore anche sproporzionato.

    Un’altra importante differenza che possiamo notare tra le arti figurative e la musica è che si ha nelle prime a disposizione in un unico istante tutta l’opera senza aver bisogno di tanto impegno di tempo, cosa che non succede con la poesia e con la stessa musica. Ma il vantaggio di queste ultime due, secondo Schopenhauer, è che nessuno vive senza di esse, mentre nel caso delle arti figurative ci si può fare a meno:

    Che i grandi e i ricchi dedichino l’appoggio più forte proprio alle arti figurative e impieghino somme considerevoli solo nelle opere di quelle, anzi che oggi giorno un’idolatria, nel vero senso della parola, dia per un quadro di un celebre maestro antico il valore di un intero latifondo, dipende principalmente dalla rarità dei capolavori, il cui possesso quindi conferisce all’orgoglio, e poi però anche da ciò, che il godimento di essi richiede pochissimo tempo e sforzo, ed è pronto per un momento ogni momento; mentre la poesia e la stessa musica pongono condizioni incomparabilmente più gravose. Corrispondentemente, delle arti figurative si può anche fare a meno: popoli interi, come per esempio i maomettani, ne sono privi; ma nessun popolo è privo di musica o di poesia (II, 485).

    Questa tesi è facilmente contestabile, visto che si

    può fare a meno anche della poesia e della musica. Se pensiamo poi che Schopenhauer intende con il termine “musica” solo, o quasi solo, quello che oggi intendiamo con il termine “musica classica”, possiamo dire che grande parte delle persone, se non popoli interi, hanno vissuto e vivono senza la musica classica.

    Nonostante l’apprezzamento di Schopenhauer nei confronti di queste due importanti arti nella storia dell’Occidente, ovvero la scultura e la pittura, esse vengono collocate da lui in una posizione relativamente bassa nella scala delle arti belle. Il motivo per cui fa questo

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    è da ricercarsi nelle caratteristiche stesse di queste arti, le quali non riescono ad essere libere, almeno in gran parte, dall’imitazione.

    Viene da chiedersi come mai Schopenhauer non abbia messo la scultura e la pittura al di sotto dell’architettura nella sua gerarchia delle arti, dato che si tratta di imitazioni di oggetti del mondo fenomenico, mentre l’architettura non si presta a queste imitazioni, secondo lui. La soluzione a tale problema, a mio avviso, è da ricercarsi sempre in quello che ho chiamato il “criterio della materialità”, esposto in precedenza, secondo il quale le arti vengono disposte in una scala che rispetta i gradi della materia, vale a dire si passa dall’architettura, che è l’arte più legata alla pesantezza e alla rigidità della materia, alla musica, la quale risente meno di tutte di questa pesantezza. La scala delle arti in Schopenhauer coincide, metaforicamente, con la scala del mondo fisico o dei regni della natura, ovvero i regni minerale, vegetale, animale e uomo.

  • 44 L’analogia tra mondo e musica...

    1.1.4 La poesia e il suo rapporto con la musica

    Analizziamo adesso il rapporto che intercorre tra la poesia e la musica. Per Schopenhauer quest’arte, la poesia, si è sviluppata storicamente ed è arrivata al suo culmine molto prima della musica. Già nel mondo greco, mentre la musica era considerata un’arte di poco conto e che serviva più da accompagnamento all’arte poetica, la poesia era un’arte molto importante e faceva parte della vita della polis27. E’ vero che le fondamenta della musica occidentale sono da ricercarsi nella cultura greca antica, vale a dire nella musica modale28, ma è ancora più palese il fatto che l’arte poetica ha raggiunto alti livelli ancora nel mondo greco, principalmente con quel genere considerato da Schopenhauer come il massimo livello dello sviluppo della poesia: «Come il vertice dell’arte poetica, tanto per la grandezza dell’affetto quanto per la difficoltà dell’esecuzione, è da considerarsi ed è effettivamente considerata la tragedia» (I, 298). Essa, la tragedia, mette in luce la natura umana con tutta la sua debolezza.

    Una definizione molto semplice della poesia, Schopenhauer la propone nel secondo volume della sua opera principale, dicendo semplicemente che «essa è l’arte di mettere in gioco l’immaginazione con le parole» (II, 484). Pertanto, la poesia è l’arte della parola. Questo fatto già impone una grande distinzione tra la musica29 e la poesia, dato che, se è vero che la poesia è l’arte che utilizza la parola come “materia prima” per il proprio

    27 E’ importante ricordare che Schopenhauer non condanna l’arte poetica come lo fa Platone, conforme si legge nella sua opera Repubblica (Libro X, 595A-608C), il quale vuole che quest’arte sia bandita dal suo Stato ideale. 28 Cf. C. CASINI, Storia della musica: dall’antichità classica al Cinquecento, 18-24. 29 Quando Schopenhauer si riferisce alla musica, intende la musica assoluta, ossia la sola musica senza l’aggiunta delle parole.

  • Le arti belle 45

    sviluppo, conseguentemente è un’arte che ha a che fare con i concetti30. Non si può pensare di impostare un discorso verbale senza utilizzare concetti prestabiliti da una comunità linguistica, dove tutti i componenti di questa comunità hanno più o meno lo stesso codice semantico. Nonostante la poesia abbia il carattere di dare ali a interpretazioni varie, dipendendo da chi la legge o l’ascolta, c’è da considerare la mediazione della parola. Quindi, l’arte di combinare le parole è molto diversa dall’arte di combinare i suoni. Anche se la poesia ha in sé la componente sonora quando viene recitata, essa non è suono puro come la musica, dato che in questo suono c’è l’articolazione di un messaggio concettuale e, quindi, un significato più o meno preciso, che si può considerare di carattere universale, cioè intelligibile a tutti i lettori e ascoltatori.

    Se ora, con le considerazioni finora svolte sull’arte in generale, ci volgiamo dalle arti figurative alla Poesia, non dubiteremo che anch’essa abbia il fine di manifestare le idee, i gradi di oggettivazione della volontà, e di comunicarle all’ascoltatore con la chiarezza e vivacità con cui le colse l’animo poetico. Le idee sono essenzialmente intuitive: se quindi nella poesia ciò che viene immediatamente comunicato con le parole sono soltanto concetti astratti, è tuttavia palese l’intento di far intuire all’ascoltatore, nelle parole che rappresentano questi concetti, le idee della vita, il che può avvenire solo con l’ausilio della sua fantasia. Ma per mettere in moto quest’ultima in conformità dello scopo, i concetti astratti, che sono il materiale immediato della poesia come della più arida prosa, devono venir così combinati che le loro sfere si intersechino in maniera che nessuno di essi possa persistere nella sua astratta generalità; in luogo di essa si presenti invece alla fantasia un’immagine che li rappresenti

    30 Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 89.

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    intuitivamente, e che poi le parole del poeta modifichino sempre più secondo il suo intento (I, 286).

    La parola è un prodotto della mente umana e solo l’essere umano è riuscito a sviluppare un linguaggio così articolato e complesso, il quale rimane ancora un mistero sia per la filosofia che per la scienza linguistica. Questo succede perché l’essere umano è un animale razionale e il linguaggio è uno strumento che gli permette di soddisfare il suo naturale bisogno di comunicazione e di relazione interpersonale.

    E’ noto a tutti la potenza della parola e l’importanza che essa ha nel mondo razionale; essa è fattore di conoscenza, visto che tramite la parola avviene la trasmissione della conoscenza umana acquisita durante secoli di storia. La scienza, non appena scopre qualcosa, cerca subito di mettere in parole i risultati delle proprie scoperte per poterle trasmettere a tutta la comunità umana e affinché questa conoscenza rimanga nel tempo. Tutto questo è prodotto di molto lavoro e sacrificio svolto da tante persone impegnate nella ricerca.

    Tuttavia, la poesia, utilizzando la parola, ha altri scopi: essendo un’arte, è da collocarsi nella parte dilettevole della vita umana. Poteva anche non esistere affatto; eppure esiste. E’ una forma di conoscenza che va oltre la parola scritta e pronunciata. Non è un linguaggio scientifico preciso e indubitabile, ma un linguaggio che lascia una certa libertà di interpretazione e persino un linguaggio che ama l’ambiguità. Parlando dell’allegoria (I, 279-286) Schopenhauer dice che essa costituisce un vizio per le arti figurative, ma va perfettamente d’accordo con l’arte poetica:

    In tutt’altro rapporto sta invece l’allegoria con la poesia che non con le arti figurative, e benché qui essa sia riprovevole, là essa è ammissibilissima e opportuna. Giacché nelle arti figurative conduce dall’intuizione data, oggetto proprio di ogni arte, a pensieri astratti, mentre nella poesia il rapporto è rovesciato: qui ciò che è dato

  • Le arti belle 47

    direttamente con le parole è il concetto, e il fine prossimo è sempre di condurre da questo all’intuizione, la cui rappresentazione deve essere intrapresa dalla fantasia dell’ascoltatore (I, 283).

    Questa caratteristica della poesia la avvicina alla

    musica, la quale, priva di parole, lascia il soggetto ascoltatore più libero di interpretare il messaggio musicale come vuole.

    La cosa più interessante del rapporto tra l’arte poetica e l’arte musicale è che, essendo così diverse l’una dall’altra, vanno molto d’accordo quando si mettono insieme31. Questo rapporto viene da lontano nella storia; come già menzionato sopra, sin dai tempi dell’Antica Grecia la poesia era accompagnata da melodie. Nonostante in questo senso la musica abbia sempre ricoperto un ruolo di secondo ordine, c’è sempre stata questa collaborazione.

    In tempi cristiani è meritevole notare il ruolo che hanno avuto queste due arti in ambito religioso. Nella liturgia cristiana la musica ha sempre accompagnato i testi sacri e si è sviluppata grandemente in questo ruolo di subalterna del testo. L’esempio più alto in questo senso è dato dal Canto Gregoriano32, nel quale la cadenza del testo viene accompagnata dalla musica, che deve dare enfasi a certe parole o addirittura a certe sillabe importanti da essere sottolineate a chi ascolta. Un altro esempio di grande valore è quello della polifonia sacra, la quale ha raggiunto il suo culmine attorno al XVI secolo, con Giovanni Pierluigi da Palestrina, sopranominato “Principe della musica”33.

    31 Schopenhauer è contrario a questo legame tra poesia e musica. (Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 90-91). 32 Cf. C. CASINI, Storia della musica: dall’antichità classica al Cinquecento, 59-75. 33 Idem, 314-338.

  • 48 L’analogia tra mondo e musica...

    In tempi moderni si ha un altro esempio di collaborazione tra musica e poesia: è l’Opera34. In questo stile si ha un progressivo sviluppo dell’arte musicale. Se all’inizio della storia dell’Opera il testo la faceva ancora da padrone, nel periodo aureo, principalmente con Gioacchino Rossini, la musica ha preso il sopravento ed è diventata la protagonista, anche se il testo non è mai stato sottovalutato. Ecco perché Schopenhauer predilige la musica di Rossini e la esalta in questi termini:

    perciò la sua musica parla con tanta chiarezza e purezza la sua propria lingua, da non aver affatto bisogno delle parole, e da produrre quindi in pieno il suo effetto anche se eseguita dai soli strumenti. (I, 309)

    Nella storia della musica tonale, principalmente

    dopo J. S. Bach, la musica strumentale conquista sempre più campo e arriva a grandi sviluppi, con compositori della portata di Haydn, Mozart, Beethoven e tanti altri. Questo tipo di musica è quello che viene definito con il termine “musica assoluta” oppure music alone, ossia quel tipo di musica che non si avvale più dell’ausilio della parola35. Così, la musica si sente sempre più sicura di andare avanti da sola per la sua strada senza l’appoggio della poesia. Gli stessi operisti, come Rossini e Verdi, solo per citare due tra i più grandi, danno grande importanza a momenti di musica strumentale, principalmente attraverso le famose ouverture36 delle loro Opere. In questo senso

    34 Il termine “Opera”, riferito alla messa in scena musicale, verrà usato qui con la lettera iniziale maiuscola per distinguerlo dalla comune accezione attribuita a questo termine. 35 Cf. P. KIVY, Filosofia della musica: un’introduzione, 31-32. 36 Il termine “ouverture” viene dal francese e significa “apertura”; è usato per designare appunto l’apertura dell’Opera e, in genere, accenna i principali temi musicali

  • Le arti belle 49

    Schopenhauer dice che le composizioni di Rossini sono da considerarsi modelli intramontabili di musica assoluta, dove la musica parla da sé, senza il concorso della parola. Infatti, c’è da riconoscere che nelle composizioni operistiche, le parti dove i protagonisti devono recitare un testo, cioè il recitativo appunto, sono le parti più noiose e di difficile comprensione. Invece, dove l’orchestra “parla” tramite la sola musica, l’ascolto diventa interessante e dilettevole. Questo succede perché la musica ha in sé qualcosa che colpisce la nostra sensibilità in modo irresistibile, richiamando l’attenzione dell’ascoltatore su di sé.

    Dunque, guardando la storia di queste due arti, si ha una specie di sviluppo anacronistico, dove la poesia sin dall’Antichità era l’arte più sviluppata e sicuramente più pregiata e la musica fungeva da ausiliare del testo; mentre nei tempi più recenti la musica si è sciolta da questa posizione di inferiorità per raggiungere alti livelli con la musica assoluta.

    Nei nostri giorni, a parte una minoranza di intenditori e amanti della musica classica o colta, la stragrande maggioranza delle persone intende con il termine “musica” come se fosse quell’arte di combinare i suoni di una canzone con un testo più o meno sostanzioso come significato. Anzi, spesso il testo viene composto prima e solo dopo viene “musicato”, il che spiega il perché di molte canzoni poco pregevoli dal punto di vista musicale, anche se il testo riporta un contenuto interessante37; o vice

    che riappariranno nelle varie parti della messa in scena. Molte Opere vengono popolarmente riconosciute dalle ouverture e non tanto dalle arie o, peggio ancora, dai recitativi che ne fanno parte della trama. 37 Allan Bloom fa un’interessante riflessione sul potere della musica sugli adolescenti nordamericani. La sua critica riguarda il genere musicale conosciuto popolarmente come “Rock” e della forza che il ritmo e la

  • 50 L’analogia tra mondo e musica...

    versa, melodie gradevoli con un testo poco interessante. Questo tipo di arte è senz’altro interessante e diletta chi l’ascolta, ma non si tratta della musica assoluta, quella analizzata a fondo da Schopenhauer, la quale è ben poco ascoltata nei giorni nostri dalla stragrande maggioranza delle persone.

    Dicendo questo non si sta disprezzando il repertorio canoro legato al genere musicale “canzone”, abbondantemente presente in ogni parte del mondo e espresso in tutte le lingue, senza eccezioni. La canzone è presente da lungo tempo nella vita artistica dell’umanità e ha il suo inestimabile valore; si tratta sempre di quella tendenza inspiegabile e quasi naturale di coniugare i suoni prodotti da uno strumento musicale, pertanto da un artefatto costruito dall’uomo, con i suoni prodotti dallo strumento musicale per antonomasia, ovvero la voce umana (II, 512), la quale emana suoni estremamente complessi e pieni di significato. Questo è esattamente quello a cui si propone di fare l’Opera, come già spiegato sopra. Ma è vero anche che la voce umana è capace di produrre suoni estremamente significativi dal punto di vista musicale senza preoccuparsi del loro significato linguistico e, pertanto, poetico.

    Nella visione di Schopenhauer, comunque, resta chiaro che la poesia rimane qualcosa di estraneo alla musica, cioè la musica la fa da padrona, anche se per molti secoli è successo l’esatto contrario:

    Le parole sono e rimangono per la musica un’aggiunta estranea, di valore subordinato, essendo l’effetto dei suoni incomparabilmente più potente, infallibile e rapido di quello delle parole; queste devono, dunque, quando vengono incorporate nella musica, occupare solo un

    melodia esercitano su di noi: secondo lui esiste un delicato equilibrio tra ragione e passione, ma la tendenza è quella di dare ali alla passione (Cf. A. BLOOM, The closing of the american mind, 68-81).

  • Le arti belle 51

    posto del tutto subordinato, adattandosi interamente ad essa (II, 512).

    Per sottolineare ancora una volta il rapporto tra

    musica e poesia e la grande differenza che intercorre tra queste due arti, si può usare una breve frase dello stesso Schopenhauer che recita così: «la musica è il linguaggio del sentimento e della passione, così come le parole sono il linguaggio della ragione» (I, 307). Da qui si può desumere che le due arti seguono strade ben diverse, anche se spesso si intersecano e collaborano tra di loro.

    In ultima analisi, secondo la filosofia estetica di Schopenhauer, la poesia, nonostante il suo grande sviluppo sin dal tempo dai Greci e la sua grande importanza nella vita culturale dei popoli, non supera, come arte bella, la musica, dato che è troppo legata ai concetti, mentre la musica segue una strada diversa, quella dell’intuizione e del sentimento. La collaborazione della poesia con la musica si limita a un ruolo subordinato. A mio avviso, anche per quanto riguarda la poesia, come per la scultura e per la pittura, si intravede una posizione concorde da parte di Schopenhauer nei confronti del pensiero di Platone, il quale disprezza queste arti, considerandole imitative del mondo delle apparenze e, pertanto, lontane dal mondo delle Idee, che è il solo criterio di verità e di bellezza.

  • 52 L’analogia tra mondo e musica...

    1.1.5 La caratteristica peculiare della musica

    Dopo questa riflessione sulle principali arti belle, cioè l’architettura, la scultura, la pittura e la poesia e il loro rapporto con quella che viene definita da Schopenhauer l’arte per eccellenza, vale a dire la musica, resta ora da verificare più chiaramente quale sia il carattere particolare della musica nei confronti delle altre arti e perché la musica è messa in posizione rilevante nel contesto artistico.

    Dagli scritti di Schopenhauer, non si evince un disprezzo esplicito nei confronti delle altre arti, come riscontrato in Platone38, nel tentativo di far spiccare la musica. Anzi, si può notare come lui consideri le arti in un contesto unitario, come un complesso espressivo unico facente parte dell’essere umano, anche se suddiviso in vari gradi, dove ognuno è rappresentato da un’arte, o meglio ancora, dove ogni arte rappresenta un grado di oggettivazione della Volontà.

    Se tutto il mondo come rappresentazione non è che la visibilità della volontà, l’arte è il rischiaramento di questa visibilità, la camera obscura, che mostra gli oggetti più puramente e li fa meglio vedere e abbracciare insieme, spettacolo nello spettacolo, scena sulla scena, come nell’Amleto (I, 315).

    Se esiste una certa prevalenza di un’arte sulle altre, questo va spiegato come un fenomeno naturale. Il fatto che la musica, nelle sue diverse forme, stili e generi spicchi sulle altre arti in tutte le culture, non è una questione di predilezione da parte di qualcuno o di un certo gruppo sociale, ma c’è dell’altro dietro questa tendenza: è qualcosa presente intrinsecamente nella musica stessa e non una qualità attribuita ad essa dal di fuori (II, 512).

    In tal senso, possiamo notare come la musica sia tanto presente in tutte le culture del mondo. Se prendiamo in esame un qualsiasi popolo poco sviluppato culturalmente, possiamo trovare povertà architettonica,

    38 Cf. PLATONE, Repubblica, X.

  • Le arti belle 53

    poca presenza di opere scultoree, insignificante espressione pittorica, scarsa cultura poetica, ecc; ma per quanto riguarda la musica, il fenomeno è diverso: anche le persone poco istruite hanno una conoscenza musicale proporzionalmente più spiccata se paragonata con le altre arti belle. Sono ben noti nella storia della musica i fatti riguardanti l’affermazione di certi generi musicali (mazurca, tango, valzer, ecc.)39, i quali affondano le proprie radici nel vissuto di gruppi etnici poveri culturalmente, spesso insediati in luoghi disprezzati dal ceto sociale più raccomandato. In questo senso, sembra che dobbiamo proprio dare ragione a Schopenhauer quando dice che le arti belle, e la musica in particolare, ricoprono una funzione di lenitivo del dolore nella vita umana, facendo sì che l’uomo viva momenti di gioia, nonostante i problemi della vita. Come sarà spiegato meglio nel secondo capitolo, si tratta di una sospensione momentanea di quelle che sono le preoccupazioni della vita quotidiana e delle attività della ragione strettamente collegate ai concetti: «Il concetto è qui, come sempre in arte, sterile» (I, 307).

    Nelle arti, secondo Schopenhauer, viene meno il principio di ragione, in modo tale che quello che è acquisito non ha a che fare con la logicità della conoscenza umana concettuale, ma è una conoscenza della cosa-in-sé, l’essenza stessa del mondo. Parlando dell’arte, Schopenhauer fa la seguente descrizione:

    Essa si ferma perciò a questo oggetto; arresta la ruota del tempo; scompaiono per essa le relazioni: solo l’essenziale, l’idea, è il suo oggetto. Possiamo quindi definirla addirittura il modo di considerare le cose indipendentemente dal principio di ragione, in contrapposizione al modo di considerare le cose che proprio quello segue, e che è la via dell’esperienza e della scienza. Si può paragonare quest’ultimo modo di

    39 Cf. AA. VV., Enciclopedia della Musica, IV, 158-159; VI, 130, 273-275.

  • 54 L’analogia tra mondo e musica...

    considerare a una linea infinita che corre orizzontalmente; il primo invece alla verticale che la taglia in qualsivoglia punto. Quello che segue il principio di ragione è il modo di considerare razionale, che soltanto vale e soccorre nella vita pratica, come nella scienza; quello che prescinde dal contenuto di detto principio è il modo di considerare geniale, che soltanto vale e soccorre nell’arte. Il primo è il modo di considerare di Aristotele; il secondo è in complesso quello di Platone

    (I, 218)40.

    Poche righe più avanti, Schopenhauer descrive

    l’agente dell’arte, cioè il genio, colui che è capace di apprendere il mondo dell’arte e trasmetterlo agli altri, in questi termini:

    In conseguenza la genialità è la capacità di comportarsi in modo puramente contemplativo, di perdersi nella contemplazione e di sottrarre la conoscenza, che esiste originariamente solo per servire la volontà, a codesto servizio, vale a dire la capacità di perdere completamente di vista il proprio interesse, il proprio volere e i propri fini, e in tal modo di rinunciare appieno, per un certo tempo, alla propria personalità, per rimanere come soggetto puro della conoscenza, come chiaro occhio del mondo (I, 218-219).

    Questa è la principale differenza tra la conoscenza

    scientifica, totalmente impostata sul principio di causalità e, pertanto imprescindibilmente sviluppata tramite i concetti, e la conoscenza artistica, la quale non segue tale principio ed è libera di esprimersi secondo il proprio modo di essere, riproducendo le Idee stesse (I, 217-218). La musica, tra le arti belle, è quella che meglio riesce a svolgere questo compito, in quanto rappresenta la volontà stessa.

    40 Conforme già segnalato alla nota 20, questo brano contiene al suo interno un brano già citato in precedenza («arresta la ruota del tempo … e della scienza»).

  • Le arti belle 55

    A tale proposito, quando Schopenhauer parla della

    musica, mostra un atteggiamento diverso e tende a preferire essa a tutte le altre arti belle, anche se non disprezza le altre, lasciando trasparire il suo assenso alla concezione di Platone, il quale predilige la musica, dicendo che essa è per l’anima quello che la ginnastica è per il corpo, anzi la musica deve essere addirittura proposta agli educandi prima della ginnastica41. Nella stessa opera, Platone critica aspramente la pittura e la poesia; secondo lui, queste arti non passano di vaghe imitazioni delle Idee, cioè hanno a che fare con le apparenze e non con la verità42, vale a dire producono copie delle apparenze e non delle Idee stesse.

    Comunque, nel pensiero di Schopenhauer non notiamo alcun accanimento contro le arti imitative come in Platone, dato che lui considera l’arte come una totalità espressiva dell’essere umano. Però non c’è dubbio che, per quanto riguarda la musica, è il caso di dire che la concezione è la stessa: il nostro autore considera quest’arte come la più alta espressione della Volontà stessa. Non possiamo far coincidere la concezione platonica del mondo delle Idee con la concezione schopenhaueriana della Volontà; ma è innegabile che c’è qualche somiglianza tra queste due concezioni.

    La seguente affermazione di Schopenhauer può essere presa come una prova della profonda convinzione del filosofo nei confronti della musica:

    Poiché la musica non rappresenta, come tutte le altre arti, le idee o i gradi di oggettivazione della volontà, bensì immediatamente la volontà stessa, con ciò si spiega anche che essa influisca immediatamente sulla volontà, vale a dire sui sentimenti, le passioni e gli affetti dell’ascoltatore, in modo da accrescerli rapidamente, o anche da mutarli (II, 512).

    41 Cf. PLATONE, Repubblica, II 376C-177A. 42 Cf. Idem, X 600E-601C; X 605A-606A.

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    La musica ha, pertanto, una forte azione direttamente sui sentimenti umani, più potente che l’azione delle altre arti belle. Questa è la nota peculiare della musica e il motivo per cui Schopenhauer la colloca al più alto grado nella gerarchia delle arti, considerandola come la chiave di volta tra il mondo della rappresentazione e quello della Volontà; nella metafisica delle arti la musica è l’oggettivazione della Volontà stessa, ma purtroppo questa tesi è difficile, se non impossibile, da essere dimostrata logicamente. Questa difficoltà è riconosciuta dallo stesso autore (I, 303-304), il quale ammette che tale rapporto è spiegabile solo tramite l’artificio dell’analogia. Secondo L. Ferrara43, la metafisica della musica viene confusa con il misticismo. Ho l’impressione che Schopenhauer pratichi una forzatura nei confronti della musica, facendo un passaggio dal piano fisico al piano metafisico difficile da essere accettato logicamente. Per lui le arti costituiscono il solo passaggio possibile tra la parte del mondo come rappresentazione e la parte del mondo detta Volontà; la musica è l’arte più spinta verso il mondo come Volontà e quella che meglio riesce a cogliere ed oggettivare la Volontà stessa.

    43 Cf. L. FERRARA, “Schopenhauer on music as the embodiment of Will”, in: D. JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and the art, 189.

  • CAPITOLO II: