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Nova itinera percorsi del diritto nel XXI secolo N° 2 - Settembre 2011 L’EDITORIALE EUROPA, CRISTIANITÀ, CULTURA ACCADE OGGI LA QUESTIONE DI DIO E IL CORTILE DEI GENTILI DOVE PENDE LA BILANCIA LE CAUSE DELLA LUNGHEZZA DEL PROCESSO PENALE IN ITALIA

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Novaitinera

percorsi del dirittonel XXI secolo

N° 2 - Settembre 2011

L’EDITORIALE

EUROPA,CRISTIANITÀ,CULTURA

ACCADE OGGI

LA QUESTIONEDI DIO E IL CORTILEDEI GENTILI

DOVE PENDE LA BILANCIA

LE CAUSE DELLALUNGHEZZA DELPROCESSO PENALEIN ITALIA

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sommarioL’EDITORIALE

EUROPA, CRISTIANITÀ, CULTURA. 5

di STEFANO AMORE

ACCADE OGGI

LA QUESTIONE DI DIO E IL CORTILE DEI GENTILI 7

di LORENZO LEUZZI

PER NON DIMENTICARE

IL MESTIERE DEL GIUDICE, IL MESTIERE DEL POLITICO 13

Intervista a Claudio Martelli di Stefano Amore

UNIvERsITà TRA INNOvAzIONE E TRADIzIONE

MERITOCRAZIA, FORMAZIONE E PROFESSIONE 19

di LANFRANCO ROSATI

ACTA NOTARILIA

RIFLESSIONI SULL’IMPARZIALITÀ DEL NOTAIO 22

di GIUSEPPE CELESTE

AssIsTENzA sANITARIA IN ITALIA: QUALE FUTURO?

LE SFIDE DEL FASI: INTERVISTA A STEFANO CUZZILLA 37

CRONAChE DELLA MAGIsTRATURA

L’IMPORTANZA DEL SISTEMA DISCIPLINARE

PER LA MAGISTRATURA ONORARIA 40

di Fabio MASSIMO GALLO

Quadrimestrale di legislazione,giurisprudenza, dottrinae attualità giuridicaN° 2 - Settembre 2011Autorizzazione del Tribunaledi Roma nr. 445del 23 novembre 2010

DIRETTORE RESPONSABILE:Stefano Amore

VICE DIRETTORI:Paolo LiberatiLuigi Viola

DIRETTORE EDITORIALE:Cynthia Orlandi

COMITATO DI REDAZIONE:Alessandra AlessandroGiuseppe BiancoCarlo CarboneCristian CarusoLauretta CasadeiUmberto CerasoliPietro ChiofaloMaria Antonietta CrocittoFrancesco De ClementiMario De IorisVito Antonio De PalmaAndrea GiordanoMassimiliano LucchesiGiuseppe MoranoLaura MorselliSandra MoselliEmanuela PorruGianluigi PratolaDaria ProiettiEnzo ProiettiMarco ProiettiLorenzo QuiliciLucia SpiritoFederico Tomassini

SEGRETERIA DI REDAZIONE:Elisabetta ArrabitoBarbara del SerroneGiacomo PompeoAntonio Torroni

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IL “SISTEMA DISCIPLINARE” DEI MAGISTRATIONORARI DI TRIBUNALE 43di Leonardo Circelli

AvvOCATURA PER L’AvvENIRE

LA PROFESSIONE FORENSE NELLA PROSPETTIVA EUROPEAE GLI EQUIVOCI DELLA POLITICA IN ITALIA 56di Vito ANTONIO DE PALMA

REGIONI ED AUTONOMIE LOCALI

FINANZA GLOBALE E ENTI LOCALI:QUALI PERCORSI PER LIBERARSI DAI DERIVATI? 59di VALERIO LEMMA

INFORMAzIONE, TECNOLOGIA E sOCIETà

EFFICIENZA ENERGETICA E SISTEMI DI TRASPORTO 62di MARIA CARMEN FALVO

OssERvATORIO sUL LAvORO

L'EFFICACIA DEROGATORIA DEI CONTRATTIAZIENDALI O TERRITORIALI: SI SGRETOLA L'IDOLO DELL'UNIFORMITÀ OPPRESSIVA 68di ANTONIO VALLEBONA

sALUTE E GIUsTIzIA: PILLOLE DI DIRITTO

LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL PRODUTTORE DI FARMACI 79di CARLO COCO

ORDINAMENTO ED ETICA DELLO sPORT

IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DELLE SOCIETÀ SPORTIVE 87di PIERO SANDULLI

TEORIA E PRATICA DEL PROCEssO

INDAGINI, INTERCETTAZIONI E TEMPI DEL PROCESSO PENALE 101di ANGELO ALESSANDRO SAMMARCO

L’ANGOLO DELLE RIFORME

L’INGANNO DELLE LIBERALIZZAZIONI 105di LUCA DE COMPADRI

COMITATO SCIENTIFICO:

Mario AscheriProfessore Ordinario di Storia

del Diritto Medievale e Moderno

Paola BalducciAvvocato, Professore Associato di DirittoProcessuale Penale

Giovanni BiancoProfessore di Dottrina dello Stato e Diritto Pubblico

Guido CalviDocente di Filosofia del Diritto, Componente del C.S.M.

Giuseppe CelesteNotaio, Componente Consiglio Nazionale Notariato

Bona Ciaccia Professore Ordinario di Diritto Processuale Civile

Fiorella D’AngeliProfessore Ordinario di Diritto Civile

Rosario De LucaPresidente della Fondazione Studidei Consulenti del Lavoro

Giuseppe de RosaConsigliere della Corte dei Conti

Angela Del VecchioProfessore Ordinariodi Diritto dell’Unione Europea

Pasquale d’Innella CapanoAmministratore di Telpress Italia S.p.A.

Fabio Massimo GalloPresidente Sez. Lav. Corte di Appello di Roma

Antonio LaudatiProcuratore della Repubblica del Tribunale di Bari

Giuseppina LeoGiudice del Tribunale del Lavoro di Roma

Filiberto PalumboAvvocato, Componente del C.S.M.

Piero SandulliProfessore di Diritto Processuale civile

Giuseppe ValentinoAvvocato

Antonio VallebonaProfessore Ordinario di Diritto del Lavoro

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sommario

DIRITTO ED ECONOMIA

RIFLESSIONI SUL PROCESSO DI VALUTAZIONEDEL RISCHIO NEL RAPPORTO BANCA-IMPRESANELL’ERA DELLA CRISI ECONOMICA 107di Simone Gambardella

GIURIsPRUDENzA COMMENTATA

a cura di: Mariantonietta Crocitto, Daria Proietti e Federico Tomassini 113

ELOGIO DELL’INERzIA: IDEE E PROPOsITI NON ANCORA ATTUATI

LE RIFORME DI FALCONE E DI BORSELLINO 117di Elisabetta Rampelli

LETTURE E RECENsIONI 121

LETTERE AL DIRETTORE

Osservazioni, critiche e proposte di una giovane italiana

di Daniela De Luca 127

DOvE PENDE LA BILANCIA: PROBLEMI DELLA GIUsTIzIA

LE CAUSE DELLA LUNGHEZZA DEL PROCESSOPENALE IN ITALIA 129di Antonio Patrono

COMITATO D’ONORE:

Marina CalderonePresidente del Comitato Unitariodelle Professioni

Giuseppe ChiaravallotiVice Presidente dell’Autorità Garanteper la Protezione dei Dati Personali

Antonio ContePresidente del Consiglio dell’Ordine

degli Avvocati di Roma

Adolfo de RienziPresidente dell’Accademia

del Notariato

Ignazio LeottaPresidente di Federnotai

Alberto SarraSottosegretario alle Riforme

della Regione Calabria

Francesco SchittulliPresidente della Provincia di Bari

Giuseppe ScopellitiPresidente della Regione Calabria

Nova ItineraQuadrimestraleSpedizione in abbonamento postale

Casa editrice Nuova Scienza S.R.L.,Via S.Tommaso d’Aquino, 4700136 RomaCod. Fisc. / P.I. 11072071001

Stampa: Stamperia Lampo - RomaFinito di stampare nel mese di settembre 2011

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NOVALIS - Friedrich von Hardenberg

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Europa, cristianità, cultura.

Stefano AmoreMagistrato

In un suo famoso scritto, “l’Europa ossia laCristianità”, Novalis, il grande poeta tedesco au-tore degli Inni alla Notte, proponeva, alla fine del1799, il modello di una Europa unita nella fedecristiana, con Roma suo grande centro spirituale.Quell’idea di Europa, monolitica e fondata sul-l’ideale religioso, riscoperta nello studio e nel va-gheggiamento del Medioevo, mai pienamenteattuata e apparentemente superata dai tempi giànell’epoca in cui apparve lo scritto, continua a tur-bare ancora oggi le coscienze più sensibili e adagitare il sonno degli intellettuali.

E se ha certamente ragione chi coglie il mo-dello di sviluppo dell’Europa contemporaneanelle idee di Guizot, che ne proponeva nel 1828una ben diversa concezione, legata allo sviluppodegli Stati nazionali e alla vitalità delle differenzeculturali in essa esistenti, in questo inizio di terzomillennio l’Europa alla Novalis, o quantomeno ilrimpianto di essa, sta tornando di moda, com-plice l’acuirsi dello scontro politico e religioso traOccidente ed Oriente.

Sotto certi profili, la metafora della perdita dicentro utilizzata da un grande storico dell’arte,Hans Sedlmayr, per descrivere la parabola del-l’arte moderna, caratterizzata da una profondacesura rispetto alla tradizione precedente e dallasua crescente disumanizzazione, potrebbe co-gliere nel segno anche rispetto all’idea e allo svi-luppo dell’Europa e questo spiegherebbe ilmotivo per cui si cerchino sempre più nel passato,e con sempre maggiore insistenza, gli elementidella sua identità e se ne scopra invece, triste-mente, la diversità profonda rispetto alla situa-

zione presente. L’idea e la stessa identità di Eu-ropa si sta dunque perdendo?

Certamente, per far crescere e progredire qua-lunque Europa, quella delle differenze e delleidentità nazionali di Guizot, come quella vagheg-giata da Novalis, è indispensabile alimentare il di-battito e far appello alle coscienze per continuarea diffondere la sua cultura e i suoi valori.

Non può esistere, infatti, alcuna Europa senzala cultura e i valori cattolici, senza lo studio e lalettura di Dante, di Omero e di Shakespeare,senza le grandi opere di Beethoven e di Mozart,senza le arti e la filosofia, senza, insomma, unaspecifica cultura europea.

Thomas Mann, a proposito del rapporto traKultur e Zivilisation, un’altra coppia di concettidi fondamentale importanza nella storia europea,si esprimeva così: «Civilizzazione e cultura nonsono soltanto un’unica e stessa cosa, ma terminiantitetici; formano una delle molteplici manife-stazioni dell’eterna discordanza della nostra uma-nità e del contrasto tra spirito e natura…..Evidentemente la cultura non è l’opposto dellabarbarie; essa è più verosimilmente e abbastanzaspesso una primitività stilizzata…… Cultura si-gnifica unità, stile, forma, compostezza, gusto; èuna certa organizzazione spirituale del mondo».L’Europa che ci attende, se non vuole rinnegaresé stessa, dovrà essere capace di continuare ad ali-mentare questa ed altre dialettiche e lo può faresolamente tornando a nutrire i giovani, e i menogiovani, con la sua grande cultura e con i suoi va-lori morali e spirituali.

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Michelangelo Buonarroti, “La creazione di Adamo”, particolare.

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La questione di Dioe il cortile dei gentili

Lorenzo LeuzziCappellano della Camera dei Deputati, Direttore della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma

La proposta di Benedetto XVI di aprire unasorta di “cortile dei gentili” annunciata nel fa-moso discorso alla Curia romana in occasionedegli auguri natalizi del 21 dicembre 2009 puòdavvero esser considerata, dopo quella di “al-largare gli orizzonti della razionalità”, il se-condo snodo storico-culturale del primodecennio del terzo millennio.

Mentre il mondo sta vivendo la sua terzaesperienza di crisi, quella economico-finanzia-ria dopo gli eventi dell’89 e del 2001, di ciò chesembrava ormai consolidato, ossia l’interpreta-zione illuministica dell’idea di modernità, laChiesa, che con Giovanni Paolo II si è immersanella modernità senza paura e senza nostalgia,si prepara con Benedetto XVI ad offrire la verachiave interpretativa della modernità.

Le due proposte di Benedetto XVI - quella diallargare gli orizzonti della razionalità e quelladel cortile dei gentili - sono un vero dono pertutta l’umanità per far ripartire con entusiasmoe fiducia il cammino di ricerca spirituale ed in-tellettuale dell’uomo contemporaneo. Essesono talmente unite tra di loro che l’una senzal’altra sono destinate alla sterilità storica. Infattila prima proposta, isolatamente non è statacompresa nella sua novità, per il fatto che nonè stata sostenuta da un contesto teologico ade-guato e si è arenata intorno a discorsi intellet-tualistici, ormai privi di significato culturale,circa il rapporto tra scienza e ragione, tra sapere

scientifico e sapere teologico e così a seguirefino a forme di retorica nominalistica.

La seconda proposta, privata della forzapropositiva della prima, si avvia ad essereemarginata storicamente proprio da coloro chele avevano dimostrato simpatia o le avevanodato credito. Infatti, in che cosa consisterebbela forza profetica di questa seconda proposta sela realtà storica nella quale essa si colloca èpriva di novità e, qualora ci fosse, si configu-rasse come semplice fenomeno sociale privo diconsistenza ontologica?

In merito all’allargamento degli orizzontidella razionalità, mi limiterò semplicemente aricordare che la sua forza profetica sta nel fattoche la realtà storica è diventata dinamica e che,quindi, per la sua comprensione è necessariauna chiave interpretativa che prolunghi, senzainterruzione di continuità, il processo conosci-tivo della realtà. Non si tratta dunque di com-piere un’operazione gnoseologica di naturametodologica, ma di scoprire la novità ontolo-gica della realtà storica, che richiede un vero al-largamento degli orizzonti della razionalità.Che le cose stiano così, lo dimostra il fatto cheBenedetto XVI ha sentito il bisogno di aggiun-gere alla prima una seconda proposta, non percorreggere ma per portare a compimento laprima e, quindi, liberarla da ogni interpreta-zione riduttivistica, che ormai si stava rive-lando nel contesto culturale

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Raffaello Sanzio, “S. Paolo che predica nell'Areopago di Atene”

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In questa prospettiva la seconda proposta,per il suo intrinseco e inscindibile rapporto ge-netico con la prima, senza un’adeguata inter-pretazione di quest’ultima non può esserecompresa, dal momento che la sua fonte profe-tica non è in se stessa, ossia nella riscoperta diun luogo, quello del cortile dei gentili, che puòsuscitare interesse storico o culturale, destinatoai circoli intellettuali del nostro tempo. La verafonte della novità della seconda proposta è lanuova questione di Dio, la quale si qualifica taleproprio perché nuova è la realtà storica cui fa rife-rimento, ossia l’emergere nel mondo, in modosempre più stabile e omogeneo, della dinami-cità della realtà storica.

A tale proposito è interessante leggere il ca-pitolo primo del secondo volume del Gesù diNazareth, là dove Joseph Ratzinger-BenedettoXVI parla della purificazione del tempio ricor-dando come il “grandissimo cortile dei gentiliè lo spazio aperto, che invita tutto il mondo apregarvi l’unico Dio”. È la finalità che lo stessoGesù, parafrasando la profezia di Isaia, intenderichiamare sia con il rimprovero, “ne avete fattoun covo di ladri” (Mc 11,17), sia con il rilanciodella profezia: “la mia casa sarà chiamata casadi preghiera per tutti i popoli” (Is 11,17).

A ciò si aggiunge un’ulteriore riferimento bi-blico che Benedetto XVI ha richiamato nel suoDiscorso pronunciato e trasmesso sul sagratodi Notre-Dame di Parigi in occasione del pro-getto parigino del Cortile dei gentili. Si trattadel testo di Paolo agli Efesini nel quale l’apo-stolo ricorda che Cristo Gesù è venuto per “ab-battere il muro di separazione che divideva”ebrei e gentili (Cf. Ef 2,14.17), ossia quel muroche separava il popolo eletto dai gentili, desti-nati quest’ultimi a non superare il limite delcortile a loro destinato.

Quale novità può suscitare la proposta delcortile dei gentili collocata fuori da questo con-testo storico-culturale così delineato? Per la ve-rità nulla. A meno che non si voglia entrare

nella prospettiva di un sincretismo sia di naturareligiosa o filosofica che non ha nulla a che ve-dere con quella finalità propria del cortile deigentili, rivendicata da Gesù: aprire Israele inmodo che tutti nel Dio di questo popolo pos-sano riconoscere l’unico Dio comune a tutto ilmondo (Gesù di Nazareth, p. 28).

In altri termini, se una tale proposta puòaver senso in un mondo statico-sacrale, doveogni religione - confrontandosi o scontrandosicon le altre, talvolta anche con la violenza dellearmi - al di fuori del proprio tempio (cristiano,islamico, buddista o altri templi dell’ateismoorganizzato e altri ancora) edifica il luogo dei“non aggregati”, privilegiando in tal modol’appartenenza come termine ultimo dell’espe-rienza religiosa, nel mondo dinamico una ri-proposizione antistorica della proposta è privadi senso.

Paradossalmente, però, una riproposizionesic et simpliciter del cortile dei gentili può es-sere non solo sostenuta ma addirittura fattapropria da forze culturali agnostiche o di chiaraispirazione ateistica. Infatti una non chiara eambigua definizione della proposta del “cortiledei gentili” metterebbe in crisi non solo gli or-ganismi cattolici che ne sono promotori, cosa diminore importanza, quanto piuttosto può osta-colare il desiderio di Dio negli uomini di buonavolontà, che sono proprio quegli uomini chia-mati in causa da Benedetto XVI, gli uomini de-lusi da ogni religione o progetto culturale aforma sacrale ormai superata dal contesto sto-rico. Se la proposta del cortile dei gentili en-trasse in questo corto circuito religioso-culturale, ormai in fase di esaurimento nellavita dell’umanità, rischia di essere lentamenteemarginata e resa insignificante per il futurodell’umanità.

La sua novità può essere colta precisamentesolo se essa è collocata in continuità con laprima proposta, intesa secondo le linee inter-pretative su indicate, o, meglio ancora, come

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esplicitazione di essa. Infatti la nuova realtàstorica, sottesa alla proposta di allargare gliorizzonti della razionalità, pone una nuovaquestione di Dio che non può trovare solu-zione adeguata nelle riflessioni teologichedella ragione teologica o della teologia filo-sofica oggi dominanti ed invoca la scelta delrealismo della fede.

Questione di Dio e realismo della fedesono le due chiavi interpretative della propo-sta del cortile dei gentili, la prima di naturametafisica, la seconda di natura metodolo-gica, perché la nuova realtà storico-dinamicasollecita una riflessione su Dio che va oltre ildesiderio religioso naturale per entrare deci-samente nella dimensione storica, che nonsolo apre alla pienezza dell’uomo ma anchealla verità più profonda del cristianesimo,quella cioè di essere una religione storico-di-namica e non a forma sacrale. E ciò può es-sere colto solo aprendosi alla realtà, per ilfatto che la fede non è un mito. Nel contestostorico-dinamico, a differenza di quanto sipensi, solo il realismo della fede può salvareil cristianesimo dalla sua trasformazione ingnosi, tanto più pericolosa quanto più di ar-ricchisce di religiosità che nel mondo storico-dinamico può essere anche di naturaa-teologica.

L’uomo contemporaneo, che desidera es-sere pienamente nella modernità, cerca que-sta religione, ossia il Dio vivo e vero e non undio generico e astratto. È un desiderio che vaoltre la preoccupazione del suo destinoeterno dopo la morte per aprirsi al desideriodi eternità da vivere nella storicità. Ossia è lamorte storica la vera questione dell’uomocontemporaneo, che spazza via tutti gli dei ele utopie antirealistiche e apre a quel Dio cheè entrato nella storia in modo da non assor-bire l’uomo, ma lo ha trasformato per ren-derlo suo interlocutore.

Ad un attento esame del famoso discorso

del 21 dicembre 2009, così come il discorsovideo trasmesso il 26 marzo 2011, non è dif-ficile cogliere la vera origine della propostadi Benedetto XVI: “dobbiamo preoccuparciche l’uomo non accantoni la questione di Diocome questione essenziale della sua esi-stenza”. È l’esistenza concreta e storica del-l’uomo, della nuova realtà storica, a porreuna nuova questione di Dio, più impegna-tiva del passato, perché si tratta di indicare escoprire la presenza del Dio vivo e vero.

Senza questa consapevolezza, ossia senzala scoperta sia teologica che filosofica di unanuova questione di Dio, il cortile dei gentiliè una interessante esperienza culturale vete-rotestamentaria, lasciando la religione o le re-ligioni in balia della prassi storicheantirealistiche le quali cercano morbosa-mente il religioso per rilanciarsi.

La proposta del cortile dei gentili, al con-trario, è l’annuncio che è possibile incontrarenella storia il Dio vivo e vero e che è giuntoil momento in cui tutti gli uomini possono li-berarsi dal fardello delle precomprensioni odei pregiudizi religiosi e culturali e nellostesso, senza rinunciare alla loro libertà dipensiero e di ricerca, possono scoprire chenella modernità, intesa in senso realistico enon idealistico, è nascosta la vera rivincita diDio, ossia il tempo in cui l’uomo può sco-prire e rivendicare i tre pilastri della sua esi-stenza storica: l’identità, la stabilità el’eternità. E ciò è possibile perché non ci sonosolo gli dèi, ma c’è il Dio vivo e vero. E, perironia della sorte, liberando l’uomo dagli dèinon sorge il nulla o l’ateismo, ma il vero Dioe la vera fede. È davvero in gioco l’onestà in-tellettuale e morale di tutti gli uomini. Soloil Dio vivo e vero non ha paura dell’onestaintellettuale, anzi la sostiene e la protegge,perché è l’Amore-Logos.

È una proposta esigente: a tutti gli uominidi buona volontà l’invito ad entrare nel cortile

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dei gentili, non necessariamente in quelli uf-ficiali, ma anche in quelli occasionali che il Diovivo e vero non farà mancare, perché è finitoil tempo dell’astrazione ed è iniziato il tempodel concreto storico, dove l’uomo è chiamatoa decidere se camminare verso la vita o lamorte. La proposta del cortile dei gentili èl’annuncio che l’uomo non è solo in questocammino e che la ricerca non sarà vana.

Il cortile dei gentili proposto da BenedettoXVI è allora davvero “nuovo” e merita l’at-tenzione e il sostegno di tutti, credenti e non:insieme sarà possibile promuovere un nuovodialogo tra fede e ragione, tra secolarità e sa-cralità, senza alcuna invadenza di campo, mauniti nella costruzione della civiltà del-l’amore.

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Onorevole Martelli, ci può raccontare

come e quando ha incontrato per la prima

volta Giovanni Falcone?

Ci siamo incontrati per la prima volta nelmaggio del 1987, a Palermo, durante la cam-pagna elettorale. Mi era stato chiesto dai so-cialisti siciliani di candidarmi come capolistaa Palermo e io avevo accettato. Appena arri-vato, la prima persona che volli incontrare fuGiovanni Falcone che, da mesi, viveva blin-dato nel suo ufficio a lavorare per il maxipro-cesso. Quello che doveva essere un breveincontro, si trasformò in un lungo colloquio,l’inizio di un rapporto profondo che sarebbedurato nel tempo e avrebbe segnato il miopercorso politico ed umano.

Cosa Nostra, mi spiegò Falcone, non erapiù la mafia di una volta, era divenuta unagrande organizzazione economica che utiliz-zava gli strumenti tecnologici più avanzatiper gestire il narcotraffico ed il riciclaggio,ma che, nonostante questi cambiamenti, erarimasta profondamente siciliana nella strut-tura e nei meccanismi di comando. TotòRiina, che io stentavo a credere potesse es-sere, con il suo aspetto rozzo di contadino ebandito di provincia, il Capo dei Capi, rap-presentava perfettamente la feroce determi-nazione e l’impenetrabilità di questa mafia.Sottovalutarla, non coglierne la pericolosità- aggiunse Falcone - sarebbe stato un erroregravissimo.

Mentre parlava, Falcone era pallido e con-centratissimo ed io, nonostante cercassi dinon farlo trasparire, ero scosso, impressio-nato dalle sue parole.

Continuai con le mie domande e gli chiesi,da buon garantista e primo firmatario del re-ferendum sulla giustizia innescato dal casoTortora, se il maxiprocesso a cui stava lavo-rando non rischiasse di fare la fine di quellodi Napoli, in cui si erano arrestate personetotalmente estranee ai fatti, per grossolani er-rori di omonimia o per la stessa ambiguitàdelle dichiarazioni rese dai pentiti, delin-quenti incalliti inopinatamente e, in molticasi, imprudentemente, elevati al ruolo di al-leati dei giudici e della Giustizia.

La risposta di Falcone fu precisa,imme-diata, puntigliosa.

Mi spiegò che per indagare su Cosa No-stra era necessaria una grande preparazione,esperienza e professionalità. Che il rapportocon i pentiti non doveva mai trasformarsi inuna relazione intimistica e personale e cheogni notizia fornita doveva essere esaminatae controllata ripetutamente, anche dagli altriinvestigatori, verificata sotto ogni profilo. Unsolo errore, un abbaglio preso dai magistratiavrebbe, infatti, rischiato di screditare il la-voro di anni e di inficiare la credibilità delleindagini.

Non solo. Per guadagnare la fiducia di chiaveva deciso di rompere l’omertà era indi-

Il mestiere del giudice,il mestiere del politico

Intervista a Claudio Martelli di Stefano Amore

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spensabile rispettare la dignità del mafioso enon dare mai neppure l’impressione di volerpiegare i fatti raccontati ad una tesi, ad unaconvenienza. Chiunque lo avesse fattoavrebbe perso il rispetto di questi uomini e, daquel momento, si sarebbe potuto aspettare daloro solo inganni e bugie. Queste parole, que-sta prima lezione sulla mafia di Giovanni Fal-cone non l’avrei dimenticata.

Se ne ricordò, infatti, appena nominato

Ministro della Giustizia chiamando Gio-

vanni Falcone alla Direzione Generale degli

Affari penali. Ci può parlare di quel pe-

riodo? Delle iniziative e delle idee di Fal-

cone? Di cosa fece e di cosa avrebbe voluto

fare?

Far venire Falcone a Roma, a guidare la Di-rezione Generale degli Affari Penali, fu, in ef-fetti, uno dei miei primi atti come MinistroGuardasigilli. Il maxiprocesso aveva supe-rato, nel frattempo, il vaglio del giudizio diprimo e secondo grado, mostrando la soliditàdel suo impianto e la grande professionalitàdei magistrati che ci avevano lavorato. Fal-cone portò al Ministero, però, non solo la suagrande conoscenza delle questioni di crimi-nalità organizzata, di mafia, ma anche unospirito nuovo.

Molte delle iniziative che assunsi in quelperiodo - i provvedimenti antiracket, le leggisui collaboratori di giustizia, la Procura Na-zionale Antimafia, il carcere duro per i ma-fiosi, il coordinamento internazionale con lepolizie e le magistrature europee e con quellaamericana – nascono dalla nostra intesa. Si erastabilita una forte sinergia ed una forte amici-zia tra me e Giovanni. Naturale, quindi, checercassi di assecondare politicamente moltedelle sue intuizioni. Mi preoccupai anche dichiedere, in quel periodo, al Primo Presidentedella Corte di Cassazione, Brancaccio, di adot-tare un principio di rotazione nell’assegna-zione dei processi di mafia e di terrorismo, a

partire proprio dai ricorsi per il Maxiprocessoe dal caso Sofri.

Brancaccio mi ascoltò senza fare commenti,ma provvide ad introdurre quel criterio, a mioparere indispensabile per assicurare la mas-sima trasparenza all’operato della Cassazione.L’idea della Procura Nazionale Antimafia latrassi invece da un progetto di legge presen-tato qualche anno prima dal Senatore Valiani.

La reazione dell’ANM a quell’idea fu vera-mente inaudita: venne proclamato addiritturauno sciopero, sulla base del timore che ilnuovo organismo preludesse alla separazionedelle carriere tra giudici e pubblici ministeri esi scatenò una campagna di stampa senza pre-cedenti contro la proposta di istituire una Pro-cura Nazionale e di nominare FalconeProcuratore. In particolare, si cerco di scredi-tare Falcone in ogni modo, dipingendolocome un magistrato asservito alla politica, cheaveva perso la sua indipendenza. Quando ilCSM votò e indicò a maggioranza come Pro-curatore Nazionale Antimafia Agostino Cor-dova invece che Falcone, negai il mio assenso,indispensabile per il concerto e la nomina. Senon ci fosse stata Capaci, sono convinto cheFalcone sarebbe riuscito a diventare, nono-stante questo assurdo livore nei suoi confronti,Procuratore Nazionale Antimafia.

Il progetto di istituire una Procura Nazio-

nale Antimafia divise, indubbiamente, la

magistratura italiana. Lo stesso Borsellino,

uno dei più cari amici di Falcone, non condi-

videva, almeno inizialmente, il progetto.

Ecco, Paolo Borsellino. Non si può parlare in

modo approfondito di Falcone senza parlare

anche di Paolo Borsellino. Che ricordo ha di

Paolo Borsellino?

Ebbi modo di incontrare e discutere appro-fonditamente con Paolo Borsellino dell’ideadella Procura Nazionale. Era contrario, essen-zialmente perché riteneva che il nuovo ufficioavrebbe generato una serie di complessi con-Pe

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flitti di competenza con le procure territo-riali. Poi c’era, evidentemente, la diffidenzaverso il possibile legame che questo ufficioavrebbe potuto determinare tra potere esecu-tivo e potere giudiziario. Nonostante ciò, laconversazione fu molto pacata e produttiva,probabilmente anche per l’amicizia che le-gava Borsellino a Falcone.

Dopo qualche tempo ci incontrammonuovamente, ad un convegno organizzato aRacalmuto, la cittadina natale di Sciascia, ein quell’occasione emersero posizioni sostan-zialmente concordi sulla questione. Il pro-blema era quello di organizzare non solo larisposta dello Stato alla mafia, quanto soprat-tutto le sue iniziative di contrasto.

Affidare questa iniziative ai singoli sosti-tuti, spesso isolati in piccoli uffici giudiziari,era pericoloso per l’incolumità dei singoli eper le istituzioni.

In questa occasione ebbi modo di apprez-zare la grande onestà intellettuale di Borsel-lino, che si rese conto che l’iniziativa dellasuper procura non costituiva un escamotageper subordinare la magistratura al potereesecutivo e che dietro questo progetto c’erasolo l’idea da parte mia di trovare una for-mula organizzativa che consentisse una piùefficace lotta a cosa nostra. Lo Stato, sino adallora, aveva proceduto “a strappi” nei con-fronti della mafia, avviando iniziative saltua-rie, e mostrandosi incapace di darecontinuità alla propria azione.

La Procura Nazionale aveva appunto loscopo di superare questo atteggiamento,questa mancanza di iniziativa e di continuitànell’iniziativa da parte dello Stato. Borsellinocomprese che questi intenti erano assoluta-mente sinceri e mi apparse, francamente,molto rasserenato.

So che Le sto per fare una domanda do-

lorosa. Cosa provò quando seppe delle

stragi di Capaci e di Via d’Amelio? Che im-

patto hanno avuto queste stragi, secondo

Lei, sulla politica e sul paese?

Il pomeriggio del 23 maggio 1992 mi tro-vavo nello studio di Andreotti, in quel mo-mento Presidente del Consiglio, a discuteredei possibili scenari dell’elezione del Presi-dente della Repubblica. Andreotti sapeva chenoi socialisti avremmo appoggiato la candi-datura di Forlani e mi stava prospettando lapossibilità, laddove Forlani non ce l’avessefatta, di prendere in considerazione anche ilsuo nome.

Mentre discutevamo, lo chiamarono al te-lefono. Ascoltò senza dire nulla, poi, appenaterminata la chiamata, mi disse che c’erastata un attentato a Palermo contro Falcone,ma che sembrava che il giudice fosse stato fe-rito in modo non grave.

Mi alzai subito e gli dissi che dovevo an-dare a Palermo per sincerarmi della situa-zione. Partii immediatamente con il volo diStato da Ciampino.

Falcone, in realtà, era già deceduto equando arrivai a Palermo non riuscii nep-pure a vedere il suo corpo e quello della mo-glie. Era uno spettacolo tropporaccapricciante, mi dissero. Tornai a Romaquella sera stessa. Nei giorni successivi siscatenò una ridda di ipotesi, di illazioni sulladinamica dell’attentato che non sono ancoracessate.

Le indagini più recenti, e qui vengo allaseconda parte della domanda, tendono adavvalorare l’idea che l’attentato a Falcone equello successivo a Borsellino siano da inse-rire in una strategia di destabilizzazionedello Stato italiano, che in quel momento sof-friva la crisi incombente della prima Repub-blica e del sistema dei partiti, voluta da cosanostra per individuare nuovi interlocutoripolitici.

E’ difficile elaborare una tesi coerente suquanto è successo, e forse bisogna anche dif- Pe

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Agostino PIANTA - 17 marzo 1969

Pietro SCAGLIONE - 5 maggio 1971

Francesco FERLAINO - 3 luglio 1975

Francesco COCO - 8 luglio 1976

Vittorio OCCORSIO - 10 luglio 1976

Riccardo PALMA - 14 febbraio 1978

Girolamo TARTAGLIONE - 10 ottobre 1978

Fedele CALVOSA - 8 novembre 1978

Emilio ALESSANDRINI - 29 gennaio 1979

Cesare TERRANOVA - 25 settembre 1979

Nicola GIACUMBI- 16 marzo 1980

Girolamo MINERVINI - 18 marzo 1980

Guido GALLI - 19 marzo 1980

Mario AMATO - 23 giugno 1980

Gaetano COSTA - 6 agosto 1980

Gian Giacomo CIACCIO-MONTALTO - 25 gennaio 1983

Bruno CACCIA - 26 giugno 1983

Rocco CHINNICI - 29 luglio 1983

Alberto GIACOMELLI - 14 settembre 1988

Antonino SAETTA – 25 settembre 1988

Rosario Angelo LIVATINO - 21 settembre 1990

Antonio SCOPELLITI - 9 agosto 1991

Giovanni FALCONE - 23 maggio 1992

Francesca MORVILLO - 23 maggio 1992

Paolo BORSELLINO - 19 luglio 1992

Luigi DAGA - 26 ottobre 1993

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fidare di ricostruzioni troppo coerenti, con-siderate le contraddizioni e le casualità dellavita. Se Falcone non fosse stato alla guidadella macchina, ma al suo posto, nel sedileposteriore, si sarebbe probabilmente salvato.Si è invece salvato il suo autista.

Certamente, però, possiamo affermare chela prima Repubblica sia caduta anche perquanto accaduto in Sicilia. L’onta di quellestragi, il fatto di non essere riusciti a scongiu-rare l’assassinio di Falcone e Borsellino, fucertamente un elemento che influì sulla dis-soluzione di quel sistema politico. In realtà,la reazione dello Stato alla strage di Capacinon fu corale, la trasformazione in legge deldecreto incontrava resistenze. Solo dopo l’as-sassinio di Borsellino riuscii ad ottenere intempi rapidissimi l’approvazione in Parla-mento, pressoché unanime e quasi senzaemendamenti, del cosiddetto decreto Fal-cone.

E l’applicazione di quei provvedimenti(carcere duro per i mafiosi, rafforzamentodella legge sui pentiti, prolungamento deitermini di indagine e custodia cautelare pergli imputati di mafia, trasferimento dei bosssulle isolette, Pianosa e Asinara) fu certo de-terminante per rilanciare l’azione dello Statocontro cosa nostra.

I giovani sono oggi in prima linea nel

combattere la mafia e sono soprattutto i gio-

vani a serbare la memoria e a cogliere il

senso del sacrificio di Giovanni Falcone e

di Paolo Borsellino. Tanti giovani hanno in-

trapreso carriere nelle forze di polizia e in

magistratura per assecondare l’esempio

morale di questi due eroi del nostro tempo.

Che conseguenze hanno avuto, secondo

Lei, sulla nostra cultura le stragi di Capaci

e di via d’Amelio?

Tra i nostri giovani e la memoria di Fal-cone e Borsellino si è creato un rapporto pro-fondo, commovente. Ogni volta che ho avutomodo di partecipare a riunioni, a manifesta-zioni di giovani in ricordo di Falcone e Bor-sellino ne ho tratto un sentimento di sollievo,di speranza. In realtà, le stragi hanno ampli-ficato e diffuso enormemente il loro messag-gio, le loro idee, determinando culturalmenteun terremoto, in cui, finalmente, “l’antipa-drino”, il servitore dello Stato, il magistratoè divenuto più popolare del padrino. Questasconfitta culturale della mafia è recente e ilsacrificio di Giovanni e di Borsellino è stato,in realtà, determinante.

Un’ultima domanda. Immagino che Fal-

cone e la sua vicenda umana e professio-

nale siano tornati molte volte nella sua vita

e nei suoi pensieri. Oggi, dentro di Lei, cosa

è rimasto di quella stagione e di quel rap-

porto?

Innanzitutto la consapevolezza che la bat-taglia contro l’esercito mafioso, contro quellacupola, contro Riina, Brusca e Aglieri, controla cosa nostra di allora, è stata vinta dalloStato, proprio grazie al sacrificio di Falconee di Borsellino. Poi la lezione fondamentaledi Giovanni Falcone, che il potere della mafiaè la paura, una paura che nasce dalla morte.Se la mafia può fatturare miliardi, è perchéfattura migliaia di morti. Oggi giovani, uo-mini e donne comuni, magistrati e poliziottiricordano, in tutto il mondo Giovanni Fal-cone per la sua intelligenza e il suo coraggio.

Grazie a Giovanni milioni di italiani e disiciliani hanno riconquistato la loro identitàmorale, hanno potuto, a ragione, tornare adavere un loro orgoglio nazionale, qualcosa incui credere senza dubbi.

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Con queste tre espressioni ecco definitoil problema che ci si pone di fronte, con tuttele incognite che rivela. Tre poli di discorso,dunque, sicuramente fra loro collegati, tut-tavia indipendenti e che pertanto esigono ri-flessioni specifiche non sempre comunquestrettamente e sinergicamente richiamantil’un l’altro. Spiego subito perché.

La meritocrazia è sinonimo di domi-nanza e diffusione del merito. AffermaRoger Abravanel, autore di un saggio dal ti-tolo Verso la meritocrazia, che oggi “il terminenon è più una brutta parola”.

Ma la natura semantica della parola cu-stodisce delle ambiguità macroscopiche: checos’è il merito? quando è da tutelare e inquali condizioni? C’è da credere che la me-ritocrazia, come una diffusa esigenza di pre-miazione dei comportamenti corretti erazionali, rispettosi delle regole del gioco,debba interrelarsi con una specifica visionedella vita, con una “carta dei valori” condi-visi che rinviano alla filosofia giusnaturali-sta e libertaria di Rothbard nella quale gliuomini assumono fini e stabiliscono i mezziper conseguirli. Come, per analogia, nella fi-losofia politica deweyana, la democrazia èlibera circolazione di esperienze, così in unasocietà meritocratica debbono essere aprio-risticamente definiti fini e valori condivisi,primo fra tutti quello della libertà che pre-scinde dal diritto umano, quel diritto che

nessuna visione glocalistica può pretenderedi azzerare, come ha scritto Amarthya Sen.

Detto più semplicemente la meritocraziareclama un tipo di società con caratteristichee regole ben definite, una società ideale cheaffossa il convenientismo, le prevaricazioni,l’immoralità. Una società appunto ideale,perché al riparo da una volontà politica chenon può essere sostenuta con provvedi-menti parziali e temporali. Ciò è tanto piùvero se si è potuto constatare – ma questa èstoria recente – che le fratture sociali emer-gono con forme di ribellione, come quelleche hanno visto una cesura irrazionale traNord e Sud o, per lo specifico, tra insegnantidi discipline scolastiche e insegnanti di reli-gione, esclusi quest’ultimi dall’attribuzionedi crediti nelle sedute di esame.

Chi è dunque degno di merito? Colui cherispetta le regole, che obbedisce alla propriacoscienza, che si comporta con razionalità erispetto della personalità altrui, che si donaall’altro in un generoso atto d’amore, conquella “Caritas” per la verità di cui ha par-lato Benedetto XVI?

Se questa trama di discorso ha una suaragione di legittimazione, allora diventafondamentale chiamare in causa l’uomo, lapersona che, pascaliana “canna al vento”, siforma in un processo di maturazione e cre-scita intellettuale e morale. Di qui il discorsosulla formazione.

Meritocrazia, formazione e professione

Lanfranco RosatiCoordinatore della Facoltà di Psicologia dell’Università E-Campus

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Ho avuto modo di affermare in un saggiodel 1995 che la formazione è l’aiuto offertoalla persona perché ritrovi e liberi la propriaforma se, assumendo l’ottimismo di naturadi Rousseau, perché “tutto ciò che vienedall’Autore è buono, solo la società lo cor-rompe”, ciò non solo è possibile, ma dove-roso. Il destinatario di questo messaggio saràallora un uomo libero, responsabile e compe-tente, sicuro di sé, capace di produrre cul-tura, di pensare in grande, di amare. Così egliesprimerà la propria creatività, anima dellosviluppo nella vita e quindi nell’impresa, atutti i livelli da quello espressivo a quelloemergente, proprio dell’artista, secondo lagraduale progressione dei livelli di creatività,descritti dal Taylor e assunti, nella loro appli-cazione pratica, dall’americano Gardner cheanalizza le forme di intelligenza che assicu-rano all’uomo la piena estrinsecazioni dell’-humanitas che è in lui. Formazione creativa,dunque, come condizione di sviluppo socialee culturale, ma prima di tutto condizione diautentica salute fisica e psichica che potrà ef-ficacemente riversarsi nella vita lavorativa,nell’esercizio di un’attività professionale.

Questo modello d’uomo saprà meritarel’attenzione di tutti?

Nella libertà potrà agire secondo orienta-menti di giustizia e di solidarietà, anche nellaformazione scolastica ed universitaria, sia in-staurando una sicura relazione d’aiuto con ipropri allievi sia un dialogo costruttivo con isuoi colleghi, sia, che è quel che più conta,saprà intessere relazioni interpersonali gui-dato dall’amore, sentimento diffuso che va ri-guadagnato per la sua intensità positiva.

Come affrontare allora il discorso sul me-rito nel promuovere lo sviluppo dei singoli edella comunità sociale, scientifica e culturale?Come resistere alle pressioni esterne, affet-tive e politiche, ideologiche e affaristichequando sarà la coscienza a dirigere ed orien-

tare i comportamenti individuali?Come si avverte, tuttavia, siffatti compor-

tamenti reclamano una ulteriore riflessionesulla professione e sulla deontologia che lasostiene.

La professione è una prova di fede, comequella del Vicario Savoiardo descritta dalRousseau. Non una soluzione astratta edideologica: è un esercizio pratico, l’applica-zione dei principi che si sono scelti dopo es-sere stati opportunamente delineati. Illegame con la comunità e la società più vastaè indissolubile, perché per non essereastratto, o semplicemente accademico, l’eser-cizio della professione chiama in causa lapersona, la persona colta, cioè la persona che“sa e vuole – aggiungeva Cousinet – e quindipuò”.

La scelta della professione, quantunque lasocietà ne fissi gli attributi in relazione allesue necessità (occorrono insegnanti ed edu-catori, occorrono interpreti rispettosi dellalegge, difensori dei diritti inalienabili dellapersona umana, dispensatori di servizi so-ciali e culturali e via dicendo), non è mai ri-gida, nel senso che autorizza passaggi diruoli e quindi di attribuzioni, ma nell’unocome negli altri casi implica quella fede neiprincipi sui quali è costruito il Giuramento di

Ippocrate e, quindi, l’onestà, la disponibilità,la prontezza d’aiuto, la ricerca della verità daservire ed onorare.

In ciò si fonda la deontologia professio-nale che sicuramente si differenzia a secondadel ruolo professionale che si esercita. Il con-cetto di deontologia rinvia alla natura dellapersona umana che custodisce dentro di séquell’humanitas che compendia tante qualità:la riservatezza, la competenza, la verità, anzi– ormai possiamo dirlo con le parole del PapaRatzinger – la “Caritas in Veritate”, cioèl’amore per la verità che non fa sconti disorta, ma che invita al dialogo, all’incontro,

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all’accoglienza e che dovrà essere posta allabase della ricerca scientifica.

La persona formata che si nutre di questeidealità e le testimonia nella quotidianità,certamente irrobustita da una visione coltadella vita, presenta la sua carta di credito edi merito, così da non essere ignorata, piut-

tosto assunta a modello di vita ed apprez-zata davanti a tante pretese esterne, spessofuorvianti, ricavate dalla pressione eserci-tata dal potere pubblico e privato, ed avràbuona ragione di trovare nella società pos-sibilità di sviluppo e di lavoro, se è questoche si deve intendere per “meritocrazia”.

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Le riflessioni che seguono sono dedicateall’inquadramento dell’imparzialità del no-taio nel sistema delle regole costituzionaliche presidiano l’esercizio delle funzioni pub-bliche nell’ordinamento italiano.

L’obiettivo perseguito è quello di definirecome si inserisce la imparziale funzione no-tarile di garanzia nel contesto dei poteri pub-blici e nel quadro dell’economia del liberomercato1, alla quale il nostro ordinamento sista adeguando, non sulla base di un indi-rizzo politico contingente, ma in virtù di unascelta compiuta con l’adesione a trattati in-ternazionali, ai quali l’ordinamento giuridiconazionale deve perciò conformarsi.

Si assiste, infatti, non soltanto nel nostropaese, ma anche nelle altre nazioni europeeed in ambito comunitario, all’affermarsi diun nuovo modello organizzativo, corrente-mente definito amministrazione o autorità«indipendente2» che si caratterizza, sotto ilprofilo strutturale, per una posizione diestraneità all’apparato amministrativo e dineutralità, a presidio della quale vi è un com-plesso di norme, variabile a seconda delle di-verse autorità, che regolano la preposizioneall’ufficio, l’autonomia finanziaria e che san-ciscono l’assenza di vincoli di subordina-zione nei confronti degli organi dellaPubblica amministrazione.

Significativamente, questi uffici sono statidefiniti “quasi magistrature3” con un’opera-zione concettuale non dissimile, a nostro av-

viso, da quella dinanzi esaminata con ri-guardo al notaio.

Dal punto di vista funzionale, sembra chei caratteri comuni di tali autorità indipen-denti risiedano in un’autonomia organizza-tiva piena, in un potere regolamentare nonsoggetto all’autorità di governo, (che a volte,per espressa previsione di legge, può inci-dere anche sulle posizioni dei privati), e inun complesso di norme finalizzate a tutelarela professionalità e l’indipendenza delle per-sone preposte.

Sulla scorta del fenomeno descritto, si èdiffusa la tesi che ascrive, nell’ambito dei po-teri pubblici, alle autorità in discorso unafunzione di garanzia, diversa e distinta daglialtri poteri statuali. E le motivazioni socio -politiche dell’adozione del nuovo modellosono state individuate non tanto nelle ca-renze dell’Amministrazione statale, quantonella crisi delle tradizionali forme organizza-tive e, in particolare, del modello dell’appa-rato centralizzato con la conseguente spintaverso un diffuso policentrismo.

Orbene, a noi sembra che la potestà de-mandata al notaio presenti notevoli fattoricomuni alla funzione di garanzia in discorso.

Tali caratteri, che erano presenti in nuce,nei compiti di adeguamento previsti dallalegge fondamentale, tendono, infatti, a no-stro avviso, ad emergere successivamentesulla base di una rilettura di queste normenel quadro dei princìpi introdotti dalla Co-

Riflessioni sull’imparzialità del notaio

Giuseppe CelesteNotaio, Componente del Consiglio Nazionale del Notariato

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stituzione e alla luce dei compiti ausiliari dipiù recente attribuzione4.

E questa affermazione ci sembra plausibilese si considera, prima facie, che l’istituzione no-tarile, intesa proprio come ufficio deputatoalla cura di interessi diffusi, è nata assai primache nei moderni stati nazionali si affermasseil modello dello Stato centralista.

Né sembra potersi addurre, in senso con-trario alla tesi proposta, la circostanza che l’or-dinamento notarile sia di gran lunga anteriorealla genesi delle amministrazioni indipen-denti. Obiezioni analoghe vengono, infatti, su-perate in dottrina, con riferimento ad altreautorità, affermando che il modello organiz-zativo in discorso si stava già profilando benprima che esso formasse oggetto, come di re-cente è avvenuto, di specifica attenzione daparte della dottrina5.

Neppure sembra rilevante, in senso contra-rio, la struttura unipersonale dell’ufficio nota-rile, la cui indipendenza - su questo punto sifa riserva di ritornare più ampiamente nelprosieguo -, ci sembra, comunque, adeguata-mente tutelata.

E’ stato, anzi, sostenuto in dottrina che ilmodello organizzativo monocratico è quelloche sembra più consono ai compiti demandatia questo genere di uffici.

La funzione notarile appare, dunque, cor-redata da un complesso di penetranti poteripubblicistici, affini a quelli che spettano alleautorità indipendenti le quali, se pur caratte-rizzate da una notevole varietà di modelli, ap-paiono accomunate, sotto il profilo funzionale,dallo svolgimento di un’attività non soggettaall’indirizzo politico governativo, a fini di sal-vaguardia del mercato.

E ci sembra che quest’ultima definizione,rinviando al prosieguo del presente lavorol’indagine sul profilo strutturale della terzietàdel notaio, ben si adatti, sia pure in linea di

massima, a rappresentare, in una visione sin-tetica, anche il complesso delle attività ad essodemandate.

Questa funzione non comporta poteri di-screzionali, ma di certificazione e adegua-mento, alla cui base vi è una certazione, laquale comporta l’esercizio di una attività di-screzionale e procedimentalizzata, così garan-tendo in una prospettiva dinamical’imparzialità della funzione6.

Quanto alle funzioni del notaio nel pro-cesso, è anche in base ad esse che è stata giu-stamente sottolineata la posizione carat-teristica e privilegiata che gli viene riservatanell’ordinamento.

In particolare il notaio assume un ruolo dirilievo nella procedura esecutiva; infatti la l. 3agosto 1998, n. 302, perseguendo l’intento disemplificare l’iter del processo esecutivo conl’introduzione dell’art. 591 bis c.p.c., ha con-sentito al giudice di affidare al notaio talunefasi della procedura esecutiva, pur rimanendodi competenza del giudice la fase degli attipreliminari, la risoluzione di tutte le contro-versie ed, infine, l’emanazione del decreto ditrasferimento.

La ragione giustificatrice dell’attribuzionedi tali funzioni è stata ravvisata nell’esserel’attività notarile, nelle sue diverse estrinseca-zioni, una funzione pubblica, unitariamenteintesa, caratterizzata, sotto il profilo dellastruttura dell’ufficio, da una posizione di in-dipendenza ed estraneità nei confronti dellaPubblica amministrazione7.

Ciò che rileva, dunque, in tutte le attivitàprocessuali demandate al notaio8, non è tantola delega di poteri, ma l’attribuzione di deter-minate funzioni proprio e soltanto in ragionedella sua posizione pubblicistica e, in partico-lare, quindi, delle garanzie di imparzialità eterzietà offerte dal suo ufficio.

La funzione notarile si inserisce così in un

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processo storico nell’ambito del quale i mo-derni stati di diritto si caratterizzano per unasempre più accentuata divisione dei poteri.

Tale principio che è alla base di ogni Statoliberale, è nato e s’è evoluto nel corso dei se-coli XVIII e XIX, quando dal princìpio dell’ac-centramento del potere in un’unica personasi è passati alla divisione dei poteri fra più or-gani diversi, in modo che il potere, uniconella sua essenza, pur rimanendo in capo alloStato, sia suddiviso per garantire che non siaesercitato in modo arbitrario o comunque in-controllato. I poteri sono stati separati tra di-versi organi, fra loro collegati, ai qualil’ordinamento attribuisce in via istituzionalel’esercizio di una frazione dell’autorità.

Lo Stato moderno assume, così, come pro-pri, i princìpi dell’eguaglianza formale, dellatutela dei diritti fondamentali e per procla-marli solennemente, tramite il consenso delpopolo si dà Costituzioni scritte.

Anche la Costituzione italiana accogliecome princìpio cardine quello della divisionedei poteri, menzionando in modo specificoquali sono gli organi, secondo un criterio diprevalenza, ai quali deve essere attribuitol’esercizio delle funzioni9; dunque, alla di-stinzione delle funzioni in legislative, ammi-nistrative e giurisdizionali corrisponde ladistinzione tra gli organi in legislativo, am-ministrativo e giurisdizionale.

In attuazione di tale principìo il potere le-gislativo è stato affidato alle Camere, quellogiudiziario alla magistratura (esiste, infatti,una riserva di giurisdizione a favore del giu-dice, potendo solo quest’ultimo applicare lanorma al caso concreto e sindacare gli attiprovvedimentali), ed, infine, il potere esecu-tivo al Governo (organo indipendente dalParlamento, pur se collegato a questo, dotatodi una propria responsabilità amministrativae politica). Il Governo si differenzia, poi,dall’amministrazione, anche se collabora con

essa per garantire l’esecuzione dell’indirizzopolitico, espresso dalla maggioranza, e perassicurare l’imparzialità10.

Alle pubbliche amministrazioni, deputatea provvedere alla realizzazione dei fini de-mandati dallo Stato, si affiancano, inoltre,anche altre istituzioni, o “autorità,” istituitedalla legge, le quali svolgono una funzionepubblica per il soddisfacimento di interessicollettivi.

E’ la legge statale che determina la sferadi competenza di tali “entità” ed è sempre lalegge che conferisce in via esclusiva le speci-fiche funzioni a quella più idonea, in ragionedella sua organizzazione e della sua strut-tura, ad esercitarle, in vista del consegui-mento e del soddisfacimento dell’interessepubblico11.

Venuto meno,dunque, il “monopolio”dello Stato sulle pubbliche potestà, le fun-zioni amministrative sono esercitate, in viaesclusiva o concorrente, anche da soggetti oapparati esterni a quelli amministrativi, pur-ché il conferimento delle funzioni avvengatramite una legge.

Ad esempio, le Autorità indipendenti esoggetti privati, come il notaio, ai quali, perassicurare il raggiungimento di un interessepubblico, viene delegato l’esercizio di com-piti propri dello Stato, svolgono una fun-zione strumentale all’amministrazione,utilizzando per l’esercizio della loro attivitàmezzi propri e restando separati dall’orga-nizzazione statale.

Per spiegare poi, in particolare, la parteci-pazione all’amministrazione di soggettiestranei all’apparato si è ricorsi alla nozionedi esercizio privato di pubbliche funzioni.Ciò avrebbe luogo ogni qual volta una por-zione della funzione amministrativa è eser-citata da un soggetto estraneo all’apparatoamministrativo, il quale non è legato daalcun rapporto di servizio.

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Con riguardo, infatti, alla figura del notaio,secondo una tradizionale tesi, egli sarebbe unsoggetto privato esercente un’attività liberoprofessionale, attributario anche di poteri dicertificazione, nell’ambito dell’attività di am-ministrazione pubblica del diritto privato12.

Ma tale tesi non riceve più consensi. Anzi,la stessa categoria dogmatica dell’esercizioprivato di funzioni e servizi pubblici può dirsioggi definitivamente superata dalla dottrina,la quale ne ha sottolineato l’assoluta eteroge-neità, proponendo una ricostruzione dellafunzione notarile in termini di munus.

Il titolare del munus, accanto ad un’attivitàdi tipo privato che si sostanzia nella cura deipropri interessi, ne svolge un’altra, rivolta allacura di un interesse pubblico.

L’esercizio della funzione, a causa dellamancanza di un ufficio organizzato nell’am-bito dei pubblici poteri, al quale imputare l’at-tività, deve essere compiuto in nome propriodal soggetto agente, mentre gli effetti dell’at-tività vengono imputati alla collettività, o per-sino all’apparato dei pubblici poteri, sebbeneil titolare del munus non vi appartenga.

La funzione amministrativa è demandata,dunque, ad un soggetto che non è titolare dialcun complesso organizzativo; esiste pursempre un ufficio in senso oggettivo, intesocioè come determinazione delle potestà nellequali il suo esercizio si concreta, ma non vi èuna struttura materiale servente, con la con-seguenza che la potestà pubblica non può es-sere riferita ad un’istituzione organizzatanell’ambito dei pubblici poteri, ma soltanto alsuo titolare.

Tale tesi ci sembra quella più idonea a de-scrivere la posizione del notariato, il quale èorganizzato secondo il modello libero - pro-fessionale, ma riferisce la sua attività allo Stato- comunità13, così collocandosi nel moderno si-stema di organizzazione fondato sulla riparti-zione dei poteri e caratterizzato, come si è

visto, dalla frantumazione dello Stato - appa-rato.

La funzione del notaio è ordinata in confor-mità ai princìpi relativi all’organizzazione deipubblici poteri ed, in particolare, al princìpio14

della separazione, secondo il quale la leggedetermina la sfera di competenza dei vari isti-tuti e conferisce specifiche funzioni all’organopiù idoneo, in ragione della sua struttura edorganizzazione, ad esercitarle con il massimosoddisfacimento dell’interesse pubblico.

E il notaio può definirsi ufficio della Re-pubblica, purché con tale espressione si vogliadesignare solo la potestà attribuitagli, cheviene da questo esercitata in nome proprio. Intal modo si attua il necessario raccordo tra lasua posizione pubblicistica e l’esercizio del-l’attività in regime di libera professione.

L’imparzialità del notaio nell’eserciziodella sua funzione si pone in coerenza con lasua collocazione nell’ambito dei pubblici po-teri, ai sensi dell’art. 97, Cost.

Ma, prima di evidenziare come si atteggil’imparzialità nell’organizzazione e nell’ese-cuzione dell’attività notarile, è opportuno sof-fermare la nostra indagine sulla funzione delnotaio, al fine di delineare il ruolo che questiassume nell’ordinamento statale.

La legge nazionale definisce il notaio pub-blico ufficiale. Da ciò deriva che, pur non es-sendo il notaio un organo dell’apparato,tuttavia, egli esplica una funzione pubblica.Possono trovare, pertanto, piena applicazionei princìpi propri dell’organizzazione dell’am-ministrazione15.

Il notaio è, il garante della legalità dell’attoconcluso tra i privati e, oltre a realizzare le fi-nalità perseguite dalle parti, deve “inibire laregolazione di interessi suscettibili di incrinarela certezza della legalità16.”

Il notaio, pertanto, può esercitare tale com-plessa funzione solo ed in quanto la sua operasia imparzialmente prestata a tutela di tutte le

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parti per evitare l’arbitrio di una sull’altra17.L’imparzialità è strettamente connessa

all’indipendenza, intesa come assenza di su-bordinazione gerarchica, ma anche come as-senza di ogni forma di compromissione, nelsenso che il notaio non deve dipendere, eco-nomicamente, gerarchicamente, o in altromodo da terzi, perché per essere imparzialedeve essere soggetto solo alla legge.

L’attività del notaio deve essere indipen-dente anche dallo Stato, atteso che egli non èlegato da alcun rapporto di subordinazionecon la pubblica amministrazione, pur do-vendo, in virtù del giuramento prestato almomento dell’assunzione dell’incarico, ri-spettare i doveri di fedeltà e lealtà verso gliutenti.

La figura del notaio, infatti, è posta a tu-tela dei diritti del cittadino, ed in particolare,del diritto del contraente più debole e del di-ritto dei terzi a non essere pregiudicati dal-l’attività delle parti.

Accanto alla tutela dei diritti dei singoli,al notaio è demandata anche la cura di inte-ressi superiori, connessi al rispetto della le-galità e della certezza del diritto, allasicurezza ed efficacia della contrattazione, al-l’uguaglianza delle parti.

Per assolvere tali attività, l’imparzialità sipone come condizione dell’esercizio dellafunzione notarile, indicando un modo di es-sere del notaio non nei confronti dei soli con-traenti ma di qualunque soggettodell’ordinamento.

Pertanto, il caso di conflitto tra interessestatuale, cioè pubblico, e quello privato nondeve essere risolto sempre con la prevalenzadel primo. In presenza di un obbligo o di-vieto imposto dalla legge per la soddisfa-zione di un interesse pubblico, il notaio nondovrà imporre tale interesse su quello volutodalle parti, ma dovrà adeguare la realizza-zione di quest’ultimo al raggiungimento di

quello primario, sacrificando l’interesse deiprivati solo in mancanza di soluzioni alter-native che non consentano di realizzare co-munque il fine voluto senza incorrere nellaviolazione di norme cogenti.

Imparzialità, indipendenza, terzietà sonoquindi, giustamente da sempre considerati inmodo unanime dalla dottrina valori imma-nenti della professione notarile.

Nella legge fondamentale del notariato sirinvengono numerose disposizioni a presi-dio di questo princìpio: in primo luogo, l’art.28, primo comma, nn. 2) e 3)18, che dettanorme sulle incompatibilità, prescrivendo undovere di astensione la cui violazione è san-zionata con la nullità dall’art. 58, primocomma, n. 3); l’art. 47, che demanda esclusi-vamente al notaio (si veda pure l’art. 67,primo comma, del regolamento di attua-zione) la redazione dell’atto, la cui violazioneè sanzionata con la nullità dall’art. 58, primocomma, n. 4), l. not.

La garanzia di imparzialità è poi raffor-zata dalla immediatezza del rapporto tra no-taio e le parti, che si realizza attraverso lanecessaria personalità della prestazione, san-cita dall’art. 5, secondo comma, l. not., in di-fetto della quale è comminata la nullitàdell’atto (art. 58, primo comma, n.6), l. not).

L’art. 14719, l. not., contiene, poi, una di-sposizione che tutela in via generale il prin-cìpio di imparzialità in discorso, ponendo acarico del singolo notaio un obbligo di com-portamento nei confronti dei colleghi e delgruppo professionale nel suo insieme. Va aquesto riguardo osservato che, sulla base diun’interpretazione che tenga nel debito contoi princìpi costituzionali, i valori protetti daquesta norma sanzionatoria devono essere anostro avviso ricondotti al contenuto di cuiall’art. 5420, Cost., secondo il quale i cittadini,ai quali sono affidati funzioni pubbliche, de-vono adempiervi con disciplina ed onore21.

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La disposizione di cui al citato art. 147, siraccorda, poi, con la previsione di cui all’art.16, l. n. 220 del 1991, che, ampliando l’ambitodell’autonomia normativa dell’ordine profes-sionale notarile in coerenza con il diffuso po-licentrismo, al quale si è già fatto riferimento,ha demandato al Consiglio nazionale del no-tariato il potere di elaborare princìpi di deon-tologia professionale anche per quantoconcerne le modalità di svolgimento della fun-zione pubblica.

I contenuti del codice deontologico adot-tato dal Consiglio nazionale sono improntati,infatti, ai princìpi di indipendenza e imparzia-lità e si caratterizzano specialmente per la pre-senza di numerose norme tecniche edattuative, che investono tutte le fasi dell’atti-vità del notaio22, a presidio della funzionepubblica ad esso demandata.

Né può tacersi il rilievo che assumononell’ambito di questo codice le norme chepongono a carico del notaio l’obbligo di un co-stante aggiornamento professionale.

Quanto alla disciplina della concorrenzatra colleghi, in particolare, alla quale è dedi-cata una parte del codice, essa non appareavulsa dai princìpi in discorso, ma intima-mente connessa ad essi, in quanto, nell’eserci-zio della funzione pubblica, la liberaconcorrenza tra notai necessariamente deveessere subordinata agli interessi pubblici, a tu-tela dei quali l’ufficio è preposto. Come risultada diverse situazioni tipizzate nel codice, in-fatti, la concorrenza può subire alterazioni nelsuo regolare svolgimento da impedimenti difatto nella libera scelta del notaio da partedell’utenza (fenomeno definito nel codice conl’espressione «accaparramento»). Orbene,quando ciò avviene, la posizione di indipen-denza del notaio risulta quasi sempre già com-promessa con inevitabili riflessi sul regolareesercizio della funzione.

Ed è significativo che l’Autorità garante na-

zionale della concorrenza e del mercato, achiusura della propria indagine sulle profes-sioni cosiddette protette23, ha riconosciuto lanatura pubblica della funzione notarile e, nelrilevare che «le prestazioni rese dal notaio aipropri clienti possono avere effetti esterni perl’intera collettività» e che «il controllo dellaconformità degli atti all’ordinamento corri-sponde ad un’attività di giustizia preventiva,che consente di limitare il contenzioso», hatratto la conseguenza che «sussistono condi-zioni di significativa asimmetria che rendonopossibile l’erogazione di servizi qualitativa-mente insoddisfacenti con effetti anche moltonegativi sul benessere del cliente.» Considera-zioni, queste, dalle quali risulta indubbia-mente valorizzato il ruolo della normazionedeontologica, la quale non deve affatto garan-tire posizioni di privilegio corporativistico, maporsi a presidio del corretto esercizio dellafunzione di garanzia dei traffici giuridici, laquale, come già si è visto, non è posta solo aprotezione dell’interesse individuale alla cer-tezza dei rapporti giuridici e alla prevenzionedelle liti, ma anche di altri rilevanti interessipubblici che possono collidere con l’autono-mia privata.

In questa prospettiva, che, a nostro avviso,conduce ad assegnare al notaio un ruolo di ga-rante del mercato, la normazione deontologicatrova indubbio fondamento, per quanto con-cerne la sua classe professionale nel già richia-mato art. 97, Cost., che afferma il princìpiosecondo il quale l’esercizio delle funzioni pub-bliche deve essere organizzato in modo da as-sicurare anche il buon andamento.

E ciò, si noti, non solo per quanto concernela potestà di certificazione, ma anche per glialtri compiti che, come si è visto, rientranonella sua funzione pubblica, tra i quali, in par-ticolare, l’indagine sulla volontà delle parti el’adeguamento della stessa ai canoni dell’or-dinamento.

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Ed è in questo quadro che si inserisce ladisposizione di cui all’art. 16, della citata l. n.220 del 1991, la quale, del resto, ha una ratioidentica a quella che sta a fondamento, perl’ordinamento giudiziario, del d. lgs 23 di-cembre 1993, n. 546, art. 26. Anche per la fun-zione giurisdizionale, infatti, il legislatore haritenuto necessario un corpus di norme deon-tologiche, in modo da disporre di una fontedi integrazione che adeguasse i doveri allamolteplice e mutevole realtà delle situazioniconcrete, aggiungendo altre ipotesi a quelletipizzate legislativamente.

E, se si vuol rintracciare nella legge fon-damentale del notariato una disposizione ge-nerale, in virtù della quale il notaio,nell’esercizio della funzione, è tenuto a con-formarsi al complesso dei suoi doveri deon-tologici, si deve, a nostro avviso, richiamarel’art. 18, primo comma, n. 2), l. not, che ponea suo carico, attraverso la formula del giura-

mento, tra l’altro, un generale obbligo diadempiere ai doveri inerenti l’ufficio. E sinoti che questo generale dovere non è postoa carico del singolo notaio nei confronti deisoli appartenenti al gruppo professionale -come dispone, invece, il già citato art. 147, l.not., -, ma nei confronti della generalità deisoggetti dell’ordinamento, come si deducedalla diversa formulazione del citato art. 18.

Il princìpio di imparzialità, quale regolaper l’ordinato svolgimento della funzionenotarile, assume rilevanza fondamentale almomento della formazione del regolamentocontrattuale. In questa fase, corollario di taleprincìpio è la regola della trasparenza, chedeve connotare l’esecuzione dell’incarico daparte del notaio.

Infatti, nei rapporti tra il notaio, quale ti-tolare di un ufficio dello Stato - comunità, edi privati che richiedono il suo ministero, as-sumono un ruolo fondamentale i princìpi

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sulla trasparenza nell’esercizio delle funzionipubbliche, sia ai fini della determinazionedel compenso professionale sia ai fini dellaformulazione delle regole deontologiche, lequali devono presiedere alla formazione delcontenuto dell’incarico e ad una chiara ecompleta informazione dell’utente circa le at-tività che il notaio è tenuto ad eseguire per ilcompimento dell’atto voluto dalle parti invista del raggiungimento dello scopo.

Il princìpio della trasparenza deve,quindi, poter governare il rapporto profes-sionale soprattutto per assicurare la tuteladell’affidamento che i singoli ripongononelle garanzie apprestate dall’intervento no-tarile, ed, in tal modo, l’imparzialità ed ilbuon andamento dell’ufficio.

La vigilanza sull’autonomia privata de-mandata al notaio si colloca così nel punto dimaggiore efficienza: la fase della formazionedella volontà, realizzando un’allocazione deipubblici poteri nell’ambito della società ci-vile, che trova il suo fondamento, da unlato, in un’esigenza di buon andamentodell’azione amministrativa e, dall’altro,nella necessità di assicurare l’indipendenzanell’esercizio della funzione in discorso, af-finché non risulti menomata la tutela chel’ordinamento riconosce all’autonomia pri-vata.

Sulla base della ricostruzione della fun-zione pubblica del notaio, da noi preceden-temente svolta, finalizzata a garantire chel’autonomia privata non si ponga in conflittocon altri interessi costituzionalmente protetti,ci sembra corretto affermare che la impar-ziale formulazione del regolamento contrat-tuale in termini chiari e comprensibili rientratra i munera della funzione notarile, che as-surge così a strumento di trasparenza per ilcorretto funzionamento del mercato.

E, se si vuole rintracciare nel sistema una

norma da porre a fondamento diretto del ge-nerale dovere di garantire la trasparenza delcontratto, deve farsi sicuramente riferimentoproprio all’art. 97, Cost., disposizione, que-sta, di immediata efficacia precettiva.

L’imparzialità e il buon andamento sonoallora a fondamento del dovere del notaio digarantire la trasparenza del contratto. In at-tuazione di tali princìpi il notaio deve redi-gere il contratto articolando le singoleclausole in modo uniforme e logicamenteconsequenziale, in modo da evitare, in parti-colare, che talune di esse assurgano ad un ri-lievo tale da ostacolare la percezione dellealtre.

Il ministero notarile concorre così anche arealizzare quel risultato che, con un terminedel quale forse oggi si abusa, può definirsi«trasparenza del contratto24,» la quale è ilprodotto dell’agire imparziale del notaionella fase della formazione della volontà ne-goziale.

Il canone della trasparenza, che vale perla generalità dei contratti stipulati tramitel’ausilio del notaio, deve raccordarsi con lespecifiche norme poste dal legislatore in casodi contratti con i consumatori.

La tutela che il notaio può apprestare al ri-guardo non si realizza, peraltro, a nostro av-viso, con il rifiuto di ricevimento dell’atto, inquanto contenente clausole cosiddette «abu-sive», le quali, sulla base della sistematicaadottata dal legislatore negli artt.1469 bis ess., c.c., sembrano senz’altro esulare dai pa-radigmi dell’art. 28, primo comma, n. 1), l.not.

Un intervento del notaio a tutela del con-sumatore rispetto a siffatte clausole sembra,invece, che possa configurarsi, e in misura si-gnificativa, nella fase della formazione delregolamento contrattuale, mediante il poteredi indagine della volontà, che comporta

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anche l’obbligo del notaio di chiarire alleparti, e segnatamente alla parte che non rive-ste, in relazione a quel contratto, la posizionedi operatore professionale, gli effetti giuridicidell’atto; il notaio, infatti, nello svolgimentodel suo ruolo di consigliere imparziale delleparti, deve illustrare ed informare le parti ri-guardo al contenuto di tali clausole, laddòvequeste possano potenzialmente produrreuno squilibrio25.

Il notaio potrà, poi, concorrere a precosti-tuire la prova di una effettiva trattativa sulleclausole abusive.

È discusso, peraltro, se talune clausole«abusive», alle quali, secondo la sistematicadella novella legislativa, viene riconosciutagiuridica rilevanza solo se hanno formato og-getto di «trattativa», siano da ritenersi, se in-serite nell’atto pubblico, senz‘altro efficaci,essendo il ministero notarile in sé conside-rato sufficiente ad integrare il presupposto ri-chiesto dalla legge26.

Secondo una tesi minoritaria, infatti, lalettura che il notaio fa dell’atto può equiva-lere alla trattativa, e di conseguenza, sarebbeintegrato tale presupposto27.

Secondo un altro orientamento che ap-pare preferibile, in caso di atto pubblico, lalettura del notaio comporta solo che il con-sumatore conosce il contenuto dell’atto, matale conoscenza non esclude la vessatorietàdelle stesse.

La lettura, quindi, non esclude il controllosulla vessatorietà delle clausole, eccettuato ilcaso in cui si dimostri che il notaio non si èlimitato a dare lettura dell’atto e, quindi,delle relative clausole, predisposte dal pro-fessionista, ma che sia intervenuto nella for-mazione dell’atto, determinandoaggiustamenti o modifiche al testo predispo-sto unilateralmente dal professionista28.

Non sembra, comunque, rientrare tra gli

obblighi del notaio anche quello di assicu-rarsi che tutte le clausole approvate dalleparti e trasfuse nell’atto da lui stesso rogatosiano state oggetto di specifica trattativa, es-sendovi solo a suo carico un obbligo di infor-mativa.

Occorre, infine, accennare ai rapporti trala regola della trasparenza, intesa quale for-mulazione chiara e completa dell’atto nota-rile, e il requisito della conoscenza, nellacontrattazione standardizzata, delle clausolepredisposte unilateralmente da uno dei con-traenti.

La giurisprudenza, infatti, non ritiene ap-plicabile la disciplina di cui all’art 1341, c.c.anche ai contratti conclusi per atto pubblico,in quanto, in tali casi, l’intervento del notaiosurroga la specifica approvazione periscritto. Infatti, proprio in considerazione deicompiti demandati nella sua fase formativaal notaio, l’atto notarile sembra di per sé ido-neo ad assolvere quell’esigenza di conoscibi-lità che è alla base dell’onere posto a caricodel soggetto che predispone clausole uni-formi.

L’imparzialità dell’agire del notaio, che siconcretizza nei doveri di formulare in modotrasparente il contratto e di garantire un’ade-guata conoscenza di tutte le sue clausoleanche al soggetto che non le ha predisposte,trova, dunque, una sua concreta esplicazionesia in materia di contratti con i consumatoriche di contrattazione standardizzata. E ri-sulta così valorizzato il ruolo imparziale delnotaio proprio con riferimento ad alcuni trai più significativi settori dell’esperienza giu-ridica attuale.

L’ordinamento pubblicistico del notariato,la natura pubblica della funzione incidono inmisura determinante sul problema dell’ap-plicabilità a questa professione dei princìpiinerenti la libera circolazione dei servizi che

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si stanno affermando nel diritto internazionalee dell’Unione Europea.

L’adesione dell’Italia agli atti concernenti irisultati dell’Uruguay Round dei negoziatimultilaterali aperti nell’ambito del General

Agreement on Tariffs and Trade (GATT) ha, in-fatti, introdotto nel nostro ordinamento lenorme di carattere generale contenute nell’ac-cordo in questione. Il fulcro della normativa èrappresentato dagli artt. XVI - XVII, applica-bili solo ai servizi inseriti in apposito elenco,nel quale sono incluse talune attività svoltedagli iscritti all’Ordine dei dottori commercia-listi, mentre non vi figura l’attività notarile.

Il punto è che il notariato non è affatto,come abbiamo sostenuto, un “servizio” dalpunto di vista tecnico - giuridico, ma una fun-zione pubblica, alla quale la prima definizionesolo parzialmente si adatta anche sotto unprofilo economico - sociale. Ed, infatti, se purel’esercizio dell’attività notarile in regime di li-bera professione è il modulo tecnico adottatodal legislatore per disciplinare il rapporto chesi instaura tra il titolare del munus e l’utenza,ciò, come si è visto, non modifica, né contrad-dice, la natura di funzione pubblica di que-st’attività. Ben diverso, invece, è il discorso siaper i servizi svolti dai dottori commercialistisia per la consulenza legale (quest’ultima èstata inserita nella “lista di concessione” limi-tatamente alla consulenza sulla legislazionedel paese di origine e sul diritto pubblico in-ternazionale), che sono attività professionalitout court.

Vi è, poi, da considerare che l’attività delnotaio appare obiettivamente finalizzata a ga-rantire, nei settori nei quali è prescritto il suonecessario intervento, anche l’ordine pubblicononché la riscossione efficace dei tributi. In taliipotesi, l’applicazione del trattato GATS è sog-getta ad eccezioni generali, che consentonoagli stati aderenti di adottare misure limitativealla libera circolazione dei servizi.

Ben più rilevanti per la professione notarilesono gli effetti del processo di integrazione eu-ropeo, improntato dai princìpi della liberaprestazione dei servizi e della libertà di stabi-limento, in relazione ai princìpi informatoridell’ordinamento del notariato per il quale,nella maggior parte degli Stati membri del-l’Unione è stato adottato il modello di tipo la-tino.

Per un corretto approccio al problema oc-corre qui muovere dall’art. 55, tratt. CEE, chederoga al diritto di stabilimento per le attivitàche partecipino, sia pure occasionalmente,all’esercizio dei pubblici poteri. La sussistenzadei presupposti per l’applicazione al notariatodel regime derogatorio è ampiamente docu-mentata sia dalla risoluzione adottata il 23marzo 1990 a Madrid dalla Conferenza dei no-tariati dell’Unione Europea, sia nel rapportodella Commissione giuridica e dei diritti delcittadino del Parlamento Europeo, dedicatoalla situazione ed all’organizzazione del nota-riato negli stati membri della Comunità , alquale ha fatto seguito una risoluzione dellostesso Parlamento. In questi atti ufficiali i ca-ratteri della funzione notarile sono stati indi-viduati, in sostanza, nell’attribuzione di unapotestà autoritativa da parte dello Stato, eser-citata in regime di indipendenza e imparzia-lità ed assoggettata a controlli pubblicistici,finalizzata a prevenire le liti. E si noti che,sotto il profilo dell’ampiezza di tali compiti, ilcitato rapporto fa espresso riferimento alla ri-soluzione adottata dalla Conferenza dei No-tariati Europei che sottolinea la inscindibileunitarietà dei compiti notarili.

Sulla base di questi caratteri essenziali, chevengono ampiamente confermati dalle con-clusioni alle quali si è pervenuti nel corso delpresente lavoro sia in merito alla funzionepubblica del notaio in Italia sia quanto allastruttura del suo ufficio, risulta evidente chela professione notarile, ai sensi dell’art. 66,

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tratt. CEE, che dichiara applicabile il prece-dente art. 55 anche in materia di prestazionedi servizi, esula dal campo di operatività del-l’intero capo del trattato concernente il dirittodi stabilimento. Ne deriva che l’esclusionedella libertà di stabilimento non va riferita sol-tanto alla potestà di certificazione ma a tuttal’attività notarile nel suo insieme e che l’impo-sizione, nelle diverse legislazioni degli statimembri, del requisito della cittadinanza na-zionale ai fini della nomina a notaio non è per-ciò contraria ai trattati comunitari.

Del resto, la stessa Commissione Europea ,

nell’elencare le “attività specifiche della fun-zione pubblica nazionale”, di cui all’art. 48,quarto comma, tratt. CEE, per le quali, in de-roga al princìpio di libertà di stabilimento, sirichiede a ciascuno stato membro il requisitodella cittadinanza nazionale, ha, tra l’altro,menzionato la magistratura, l’amministra-zione fiscale e le “attività coordinate ad un po-tere pubblico giuridico dello Stato (...), comel’elaborazione degli atti giuridici, la loro ese-cuzione, il controllo della loro applicazione”.

Queste considerazioni, svolte con riferimentoa cariche ricoperte da impiegati pubblici, benpossono estendersi, a nostro avviso, mutatismutandis, alla funzione notarile.

Il problema della libertà di stabilimento,d’altro canto, non può ridursi, come mostra,invece, di ritenere la Commissione Europea ,

a quello del mutuo riconoscimento dei di-plomi, che ha formato oggetto di una recentedirettiva. L’accesso al notariato, infatti, ri-chiede in ogni caso una preparazione profes-sionale che può raggiungersi solo con ilconseguimento di titoli di studio di durata su-periore a quelli che hanno formato oggettodella citata direttiva, a tacere, poi, della com-plessità delle misure previste ai fini del mutuoriconoscimento.

Ovviamente non può tacersi che le posi-zioni assunte dagli organi comunitari, allequali si è fatto cenno, hanno anche una va-lenza politica, che non può essere approfon-dita in questa sede. Ma dai princìpi comunialla professione notarile nell’Europa continen-tale ed, in particolare, dall’unitarietà della fun-

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zione notarile e dalla sua rilevanza pubblici-stica non potrà, certo, prescindersi, qualora sivoglia procedere ad armonizzare la legisla-zione degli Stati membri della Comunità Eu-ropea, a favore della quale si è espresso ilParlamento Europeo nella citata risoluzione,pur prendendo atto che tale iniziativa esuladall’ambito delle istituzioni comunitarie,quale delineato dai trattati vigenti.

In realtà, il problema, che per primo deveessere affrontato per la costruzione del-l’Unione, è quello della circolazione e, quindi,dell’efficacia nell’ordinamento interno deglistati membri, degli atti notarili formati neglistessi 29, a favore della quale pure si è espressoil Parlamento Europeo nella citata risoluzione.

Ed è in questa prospettiva che l’istituzionenotarile, attributaria di una funzione che si pa-lesa idonea a concorrere ad un ordinato svi-luppo del libero mercato, può dare il suocontributo alla realizzazione dell’Unione Eu-ropea.

NOTE

1 Spunti interessanti in PERCHINUNNO, Il notariato nell’eco-

nomia liberale, in Riv. not., 1994, pp. 551 ss., con partico-lare riguardo al ruolo attivo del notaio ai finidell’effettiva attuazione del dovere di correttezza che leparti devono osservare sia nelle trattative che in ognifase delle vicende contrattuali. Un quadro aggiornatosull’attività notarile nel contesto dell’economia di liberomercato in TRAPANI, Il notaio, consulente giuridico delle

parti, interprete e garante di interessi pubblici e privati, in Ilnotaio istituzione, pp. 75 ss.2 Su questo modello organizzativo cfr., VALENTINI, Fi-

gure, rapporti, modelli organizzatori, in Tratt. dir. amm.

Santaniello, vol. IV, Padova, 1996, pp. 125 ss.; BARILE,CHELI E GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, VIIEdiz.,Padova, 1995, pp. 289 ss..; CERULLI IRELLI, Corso di

diritto amministrativo, II Ediz., Torino, 1997, pp. 229 ss.;CERULLI IRELLI, Premesse problematiche allo studio delle

«Amministrazioni indipendenti», in Mercati e amministra-

zioni indipendenti, a cura di BASSI e MERUSI, Milano,1993, pp. 1 ss.; LONGOBARDI, Le amministrazioni indipen-

denti: profili introduttivi, in Scritti per M. NIGRo, vol. II,

Milano, 1991, pp. 174 ss.; idem, «Amministrazioni indi-

pendenti» e posizioni istituzionale dell’Amministrazione

pubblica, in Dir. banc finanz., 1993, I, pp. 33 ss.; FRAN-CHINI, Le autorità amministrative indipendenti, in Riv. trim.

dir. pubbl., 1988, pp. 549 ss.; MASSERA, «Autonomia» e “in-

dipendenza” nell’Amministrazione dello Stato, in Scritti in

onore di Giannini, Milano, 1988, pp. 488 ss.; CAGLI, Il qua-

dro normativo delle Amministrazioni pubbliche indipen-

denti, in Foro amm., 1991, pp. 1627 ss.; EMILIOZZI, Le

decisioni delle Autorità amministrative indipendenti, in Dir.

e soc., 1995, pp. 365 ss.; PORTELLI, Brevi note sulle autorità

amministrative indipendenti, in Nuove autonomie, 1995,pp. 523 ss; LOMBARDI, Autorità amministrative indipen-

denti: funzione di controllo e funzione sanzionatoria, in Dir.

Amm., 1995, pp. 629 ss.; POLITI, voce Regolamenti delle

autorità amministrative indipendenti, in Enc. giur., vol.XXVI, Roma, 1996, pp. 1 ss.; PERICU, Brevi riflessioni sul

ruolo istituzionale delle Autorità amministrative indipen-

denti, in Dir. Amm., 1996, pp. 1 ss.3 Si vedano ad esempio BARILE, CHELI e GRASSI, Istituzioni,

cit., p. 292; VALENTINI, Figure, cit., p. 130, che discorre diposizione “paragiurisdizionale”; CLARICH, Per uno studio

sui poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mer-

cato, in Mercati e amministrazioni, cit., p. 116.4 In dottrina una funzione di garanzia è stata riferita perla prima volta al notaio, da NIGRO, Il notaio nel diritto pub-

blico, in Riv. not., 1979, p. 1171. Si badi bene, peraltro, chenon si tratta, come è stato autorevolmente osservato dalCASAVOLA, nella Prefazione al volume Il notaio istituzione

garante, pp. 3 ss., di istituire un parametro a fini defini-tori con le autorità di garanzia, quanto piuttosto di regi-strare un comune fattore evolutivo tra quelle garanzieistituzionali e la garanzia notarile.Per approfondimenti, con specifico riguardo all’accosta-mento della funzione notarile a quella delle autorità in-dipendenti, si veda il nostro lavoro, La funzione pubblica

del notaio, in Cons. St., 1998, pp. 1390 ss.5 Per questa affermazione, cfr., ad esempio, MEZZACAPO,L’indipendenza, 5 ss.6 NIGRO, Il notaio, cit., p. 1160; BARILE, Riflessioni di un co-

stituzionalista sulla professione di notaro, in Vita not, 1984,

p. 39. Significativa sotto questo aspetto è anche la pro-posta di riformare la legge notarile prevedendo la pos-sibilità (o l’obbligo) per il notaio di inserire nell’attonotarile una motivazione circa il suo ricevimento. Cfr.,sul punto, ad esempio, SANTANGELO, Schematismi e crea-

tività, in Vita not., 1979, p. 431.7 VOCINO, Contributo alla teoria del beneficio d’inventario,

Milano, 1942, pp. 6 ss.8 Non vi è delega di poteri giurisdizionali, ad esempio,in caso di rappresentanza delle parti negli affari di vo-lontaria giurisdizione.

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9 La nostra Costituzione si limita infatti ad indicare qualisiano gli organi ai quali viene attribuito l’esercizio di cia-scuna funzione secondo un criterio di prevalenza, manon esclude, allo stesso tempo, che la stessa funzionepossa anche essere esercitata da organi diversi. In talsenso, si veda, T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano,1992, pp. 204 ss. 10 Appare, a questo punto, opportuno soffermarsi, se purbrevemente, sui diversi significati giuridici che il ter-mine Stato assume.Lo Stato può essere infatti inteso come istituzione e, cioè,indicare uno dei tanti corpi sociali organizzati – istitu-zioni - con determinate caratteristiche, con propri edesclusivi elementi costitutivi che valgono ad individuarel’ordinamento giuridico statale come comprensivo oltreche di tutti i minori corpi sociali, anche di tutti gli ordi-namenti particolari ai quali è sovraordinato. Allo scopo di assicurare un ordinato svolgimento dellavita sociale è, infatti, necessario che la pluralità e la va-rietà degli ordinamenti giuridici diversi sia ricondottaad unità; occorre pertanto assegnare allo Stato - intesocome gruppo sociale, il quale comprende, esprime e tu-tela gli interessi di tutta la collettività - una posizione dipreminenza sugli altri tipi di ordinamenti. Lo Stato, pertanto, deve essere identificato come quel-l’ordinamento a carattere originario - nel senso che l’or-dinamento del gruppo sociale è indipendente ossia nondipende da nessun altro ordinamento superiore - chepersegue fini generali, cioè gli interessi propri della col-lettività, ha base territoriale - nel senso che il territorio èl’ambito spaziale di riferimento degli interessi a cui l’or-dinamento appresta tutela - ed è dotato di un apparatoautoritario posto in posizione di supremazia, perché pre-vale su quello degli altri gruppi sociali.E’ questo lo Stato istituzione o Stato ordinamento che laCostituzione italiana designa con il nome di Repubblica.In un secondo significato il termine Stato indica l’in-sieme delle autorità a cui l’ordinamento conferisce for-malmente il potere di emanare e di portare adesecuzione le norme e i comandi, mediante i quali loStato fa valere la sua supremazia. Lo Stato, così conce-pito, si definisce Stato - apparato, ed è costituito dall’in-sieme dei governanti che esercitano la loro autoritàmediante atti tipici.Dallo Stato – apparato, poi, vanno distinti tutti gli altrisoggetti, definiti i governati, perché sottoposti alla supre-mazia di questo, che compongono lo Stato - comunità.Sull’applicazione di tale ultima accezione del termineStato si dubita. Non essendo questa la sede adatta peranalizzare in modo approfondito tali prospettazioni, sipreferisce rinviare a T. MARTINES, Diritto, cit., pp. 7 ss.La distinzione fra Stato - istituzione e Stato - apparato si

palesa solo formale ed oggi non ha più alcun ragioned’essere. Si veda, GIANNINI, L’ammnistrazione pubblica

dello Stato contemporaneo, in Trattato di diritto amministra-

tivo, diretto da G. SANTANIELLO, vol. I, Padova, 1998, pp.61 ss., il quale afferma che tale distinzione, “che potevaavere un significato nello Stato monoclasse, in sostanzanon era che un tentativo di razionalizzare l’anfibologiadel termine Stato, con cui si designavano effettivamenteor l’entità Stato or il complesso dell’entità e del popolo.”11 La legge demanda a determinati soggetti, quali adesempio i notai, l’esercizio di funzioni pubbliche, tra cuiquelle che riguardano la certezza pubblica.12 Si veda, ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei

servizi pubblici, in Tratt. orlando, vol. II, parte III, Milano,1935, pp. 34 ss.; idem, Corso di diritto amministrativo, vol.III, VI ediz., Milano, 1958, pp. 341 ss.13 Alcuni autori hanno tentato di superare tale ricostru-zione della funzione del notaio come munus, sostenendoche la rilevanza pubblicistica della funzione di garanziademandata al notaio sarebbe inconciliabile con la circo-stanza che essa è attribuita interamente ad un privato,cioè ad un soggetto estraneo alla pubblica amministra-zione. Secondo tali autori i caratteri dell’organizzazionenotarile potrebbero, invece, far ritenere che essa è unvero e proprio ufficio pubblico o meglio è un ufficio nonpersonificato dello Stato - comunità. Si veda, NIGRO, Ilnotaio nel diritto pubblico, in Riv. not., 1979, p. 1161; BARILE,Riflessioni di un costituzionalista sulla professione di notaro,in Vita not., 1984, pp. 38 ss.14 Si vedano, in particolare, SANDULLI, Manuale di Diritto

amministrativo, vol. I, X ediz., Napoli, 1962, p. 9 ss.; F.CARNELUTTI, La figura giuridica del notaio, in Riv. not., 1951,V, pp. 1 ss.15 Si veda, POET, L’esclusività delle funzioni di ricevere atti

negoziali nella tradizione e nella struttura del notariato inVita not., 1965, pp. 266 ss., il quale, riguardo alla naturadell’attività notarile, afferma che “si tratta in ogni casodi un’attività amministrativa sui generis la quale istitu-zionalmente e necessariamente, non può essere affidataad altri che a privati. Il notaio è un ufficio pubblico, maesso non potrà mai essere un organo dell’amministra-zione dello Stato. Infatti, la terzietà del notaio, la sua ne-cessaria imparzialità posta opportunamente in evidenzada tanti autori, è un attributo indispensabile del notaio,onde esso non può concepirsi che come un libero pro-fessionista. In altri termini così come il giudice, il notaio,non può dipendere da alcuna delle parti ed essere inqua-drato alle dipendenze del potere esecutivo, a pena diperdere la sua peculiare caratteristica di organo impar-ziale.”16 CASAVOLA, Il notaio istituzione garante dei diritti del cit-

tadino e dell’interesse pubblico, in Consiglio nazionale del

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notariato, XXXIV Congresso nazionale del notariato 1997,pp. 3 ss., per spiegare la peculiare funzione, non arbi-traria, ma tipizzata, di garanzia propria del notaio, ri-corre all’analogia con le Autorità indipendenti.17 In tale ottica vanno letti i divieti di cui all’art. 28, Icomma, nn. 2) e 3), l. not.18 Cfr., BOERO, La legge notarile commentata, vol. I, Torino,1993, pp. 222 ss.19 Tale articolo, infatti, prevede la possibilità di sanzio-nare la condotta del notaio sia nella vita pubblica cheprivata qualora egli comprometta la sua dignità e re-putazione e quindi il “decoro e il prestigio della classenotarile” o ancora egli “con la riduzione di onorari ediritti accessori faccia ai colleghi illecita concorrenza.”Si veda anche il R.D.L., 14 luglio 1937, n. 1666, art. 14,nel testo modificato dalla l., 30 dicembre 1937, n. 2358.20 Cfr., al riguardo, ampliamente, il nostro lavoro, La de-

ontologia, p. 100 e nota 23. Si veda anche RIVASANSEVE-RINO, Sulla funzione del notaio, in Riv. not., 1954, p. 23.21 Cfr., VENTURA, Art. 54, in BATISTONI FERRARA VENTURA,Rapporti politici, tomo II, in Comm.Cost. diretto da Branca,

Bologna - Roma, 1994, pp. 84 ss., pp. 108 ss.; LOMBARDI,Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano,1967, pp. 175 ss., pp. 196 ss.; VENTURA, La fedeltà alla Re-

pubblica, Milano, 1984, pp. 184 ss. Si richiama al dettatocostituzionale DI FABIO, voce Notai (dir. vig.), in Enc. dir.,

vol. XVIII, Milano,1978, p. 613.22 Circa l’esatto significato di questa definizione si rin-via al nostro lavoro, La deontologia, p. 112 e nota 63.23 L’indagine fu aperta con decisione dell’Autorità ga-rante della concorrenza e del mercato, il 1° dicembre1994 n. 2523 (IC 15), pubblicata in Notariato, 1995, pp.209 ss. Questa decisione suscitò perplessità, special-mente in merito all’esattezza dell’assimilazione dellelibere professioni alle imprese sotto il profilo dell’os-servanza delle regole della concorrenza, sulla basedella sentenza Corte di giustizia C.E.E., 23 aprile 1991,n. 41 (caso Macroton), in Riv. dir. pubb. comun., 1992, pp.1322 ss. (su tale assimilazione si vedano le considera-zioni critiche di MARICONDA, Libere professioni e anti-

trust: un binomio da scindere, in Notariato, 1996, pp. 407ss.). Circa il merito delle conclusioni raggiunte dall’Au-torità garante, che non possono essere approfondite inquesta sede, va rilevato che quest’ultima, pur paven-tando che i codici deontologici, al pari delle tariffe e deivincoli all’accesso alle attività professionali, possonodivenire strumentali ad una predeterminata articola-zione dell’offerta, ne riconosce la potenzialità a contri-buire alla creazione di un quadro di garanzie perl’utenza. Orbene, proprio nel caso della codificazionedeontologica notarile, in particolare, ci sembra che essapossa incidere, a tutela degli interessi generali, sulla

qualità della prestazione resa all’utenza. Se pure, in-fatti, da un lato, fosse dimostrato che l’ordinamento no-tarile realizza una predeterminata articolazionedell’offerta, si dovrebbe, dall’altro, allora verificare, conun bilanciamento degli interessi costituzionalmenteprotetti, che sono coinvolti nella fattispecie in esame,se la tutela della fede pubblica e dell’autonomia nego-ziale non sia comunque prevalente rispetto all’esigenzadi una assoluta libertà di concorrenza. Quest’ultima,infatti, in assenza di norme comportamentali, potrebbesfociare in un incontrollato esercizio dei poteri deman-dati al notaio. Cfr., sul punto, LAURINI, Tariffe professio-

nali e libera concorrenza, in Notariato, 1995, pp. 105 ss.;MULIERI, Attualità del codice deontologico, in Riv. not.,

1997, pp. 1145 ss.24 Cfr., ALPA, Note minime sulla trasparenza dei contratti

bancari e finanziari, in Vita not., 1995, pp. 559 ss.; DE DO-NATO, Garanzia e trasparenza nell’attività notarile, in Fe-

dernotizie, Quaderni n. 9, Atti, cit., pp. 45 ss.25 ANGELONI, Responsabilità del notaio e clausole abusive,

Milano, 1999, p. 70, Per tale Autore la rogazione di unatto notarile contenente una o più clausole vessatorie,ai sensi dell’art. 1469 bis, non può comportare la re-sponsabilità del notaio per violazione dell’art. 28, at-teso che tale articolo si riferisce solo agli atti nulli. 26 In questo senso, CONDò, Condizioni generali di con-

tratto, clausole vessatorie, clausole abusive e intervento del

notaio, in Federnotizie, 1997, pp. 74 ss.; MARICONDA, Con-

siderazioni generali di contratto e atto pubblico, in AA.VV.,Clausole abusive, p. 80; contra, COSTANZA, Clausole abusive

e atto notarile, che cosa potrebbe cambiare con l’applicazione

della direttiva C.E.E. del 5 aprile 1993, in Vita not., 1995,pp. 569 ss.; E. MARMOCCHI, Atto pubblico tra clausole ves-

satorie e clausole abusive, in Riv. not., 1997, pp. 63; SCA-RANO, Art. 1469 - ter, IV comma, in AA.VV., Le Clausole,cit., pp. 644 ss. Non condivisibile, comunque, ci sembrala conclusione alla quale perviene COSTANZA, Clausole,

cit., secondo la quale “Il sigillo notarile, non è più si-nonimo di consenso” (p. 573). La ratio della tutela le-gislativa, infatti, non sembra risiedere in una deficienzadel consenso, ma in uno squilibrio significativo tra laposizione della parti del contratto.27 MARICONDA, Condizioni generali di contratto e atto pub-

blico, in AA.VV., Clausole abusive, cit., p. 80; CAPOBIANCO,La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con

i consumatori, in Vita not., 1996, pp. 1142 ss.28 ANGELONI, Responsabilità del notaio, cit., pp. 80 ss.Legge 29 dicembre 1994, n. 747. La Comunità Europeaha aderito con Decisione del Consiglio in data 22 di-cembre 1994, n. 94/800/CE (in G.U.C.E. 23 dicembre1994, n. L 336).Si veda in modo particolare, l’Accordo generale sugli

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scambi di servizi (GATS), allegato 1B all’Atto finale, che in-corpora i risultati commerciali multilaterali dell’Uruguay

round, sottoscritto a Marrakesh il 5 aprile 1994 (pubbli-cato, in traduzione italiana non ufficiale, sulla G.U.C.E.23 dicembre 1994, n. L 336).Cfr. DORDI, La liberalizzazione dei servizi professionali e l’as-

setto normativo italiano, in AA.VV., La liberalizzazione mul-

tilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, a cura diSACERDOTI E VENTURINI, Milano, 1997, pp. 89 ss.; più ingenerale, SACERDOTI, L’accordo generale sugli scambi di ser-

vizi (GATS): dal quadro oML all’attuazione interna, in La li-

beralizzazione multilaterale, cit., pp. 16 ss.Si veda l’art. XIV, primo capoverso, lettere a) e d) delGATS. La salvaguardia dell’ordine pubblico può essereinvocata, secondo la nota 1 all’art. XIV, primo capoverso,lettera a), del GATS, quando sia esposto “ad un rischioreale e sufficientemente grave” “uno degli interessi fon-damentali della società” (citiamo dal testo italiano in tra-duzione non ufficiale, di cui alla precedente nota 90).Cfr. GASS, Il notaio latino nella Comunità europea, in Riv.

not., 1990, pp. 23 ss.; LAURINI, Il notariato nell’Europa del

1993, in Riv. not., 1990, pp. 5 ss.; WEHRENS, Sviluppi ed at-

tività nell’ambito del Notariato in Europa, in Riv. not., 1994,pp. 919 ss. ; LAUGIER e MUGARRA, Avenir du notariat et per-

spectives européennes, in Riv. not., 1992, pp. 1131 ss.Per un quadro generale in materia, AA. VV., Il notariato

nell’Europa, cit., vol. I, Tavola dei notariati d’Europa, cit.; PI-CARD E ISAAC, Le notariat et la CEE, Introduction au droit

communataire, Parigi, 1992, pp. 55 ss.Per un resoconto della riunione si veda ATTAGUILE, Per

una interpretazione non riduttiva dell’art. 55 Trattato CEE,in CNN Attività, 1990, II, pp. 28 ss.Relatore il parlamentare MARINHO.Approvata il 18 gennaio 1994.In questo senso si vedano sia il “rapporto MARINHO”(considerando c della proposta di risoluzione, allegato II,al rapporto) sia la risoluzione del Parlamento Europeo(di tenore identico alla proposta di risoluzione).L’inscindibilità delle funzioni attribuite al notaio è ve-

ramente il fulcro del problema, come emerge dalla rispo-sta del commissario CEE BANGEMANN in data 19 maggio1989 all’interrogazione scritta n. 2199/88 del parlamen-tare KUJJPERS del 14 febbraio 1989, in G.U.C.E. 23 ottobre1989, n. C 270 (89/C 270/49) entrambe pubblicate inCNN Attività, 1990, I, p. 34. In questa risposta si osserva,infatti, proprio con riferimento alla professione notarile,che la deroga di cui all’art. 55, tratt. CEE, è estensibileall’intera professione solo se le attività connesse con i

pubblici poteri non possono essere scisse dall’insiemedell’attività in questione. Ed, infatti, la Corte di GiustiziaCEE, con decisione 21 giugno 1974, n. 296 (Caso “Rey-ners”), in Racc. giur. Corte, 1974, pp. 631 ss., aveva sta-tuito, con riferimento alla professione dell’avvocato, chenon si potevano considerare soggette ad eccezione alprincìpio della libertà di stabilimento la consulenza el’assistenza legali o la rappresentanza e la difesa in giu-dizio, anche se costituenti oggetto di un obbligo o diun’esclusiva voluta della legge, in quanto di per sé nonimplicanti partecipazione diretta all’esercizio dei pub-blici poteri.Altri materiali giurisprudenziali sull’argomento in Casi

e materiali di diritto comunitario, a cura di MENGOZZI, Pa-dova, 1994, pp. 469 ss.Comuni a tutti gli Stati membri, ad eccezione del RegnoUnito, di un land tedesco e del Portogallo, dove il notaioè un funzionario pubblico.Sul punto, si vedano, WEHRENS, Sviluppi, cit., p. 919; LAU-GIER e MUGARRA, Avenir, cit., p. 1133.Comunicazione 17 marzo 1988, in G.U.C.E. 18 marzo1988, n. C 72 (88/C 72/02).Nella legislazione italiana le regole enunciate sono stateaccolte dal d.l. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 37, che consentel’accesso dei cittadini comunitari solo agli impieghi chenon implichino esercizio diretto o indiretto di pubblicipoteri. Si veda, pure, il d.P.C.M. 7 febbraio 1994, n. 174,in G.U. 15 marzo 1994, n. 61, emanato in virtù del citatoart. 37.Si vedano, oltre al rapporto citato alla precedente nota,la risposta della Commissione Europea in data 22 luglio1996 all’interrogazione E - 1458/96 in data 12 giugno1996 del parlamentare PIQUER in materia di libera circo-lazione degli atti notarili in G.U.C.E. 25 novembre 1996,n. C 356, (n. 96/C 356/64).Direttiva 21 dicembre 1988, n. 89/48/CEE, in G.U.C.E.24 gennaio 1989, n. L 19.La Commissione Europea, nella propria risposta alla ci-tata risoluzione, ha escluso, allo stato, qualsiasi iniziativain tal senso (si veda il processo verbale dei lavori dellaCommissione, II parte, 18 gennaio 1994).29 Cfr. PICARD e ISAAC, Le notariat, cit., pp. 93 ss.E’ questo il monito formulato dal Presidente della Re-pubblica Italiana nel suo incontro con i partecipanti allaConferenza dei Notariati dell’Unione Europea, Roma, 5dicembre 1996. Uno stralcio del discorso si legge in CNN

Attività, 1997, 3 - 4, pp. 12 s.

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?Intervista a Stefano Cuzzilla, Presidente

del FASI, fondo di assistenza sanitaria in-

tegrativa costituito trent’anni fa a beneficio

dei dirigenti delle aziende produttrici di

beni e servizi e che oggi si sta ulteriormente

evolvendo, attraverso l'introduzione di una

serie di iniziative volte a potenziare i ser-

vizi e la comunicazione con gli assistiti.

Le sfide del Fasi:intervista a Stefano Cuzzillla

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Presidente Cuzzilla due anni di Presi-

denza all’insegna dell’innovazione.

Dal momento del mio insediamento comePresidente del Fasi, conoscendo già il Fondoda utente, avevo individuato aree di inter-vento al fine di rendere il Fasi più aderentealle necessità dei propri iscritti. Tra i più signi-ficativi interventi di miglioramento realizzatiin questi primi due anni di presidenza delFondo ho portato avanti: la semplificazionedelle procedure, il potenziamento della comu-nicazione con gli iscritti e le aziende, l’ulte-riore potenziamento dei sistemi informativi,l’implementazione del numero delle strutturesanitarie convenzionate in forma diretta con ilFondo (passate da 1.228 nel 2009 a 1.806 nel2011); l’adeguamento del Nomenclatore delFondo al fine di prevedere anche l’evoluzionedelle nuove tecniche e metodologie introdottenella medicina e nella chirurgia.

Per completare questa innovativa lineastrategica ciò che mancava era l’introduzionedi importanti interventi di prevenzione sani-

taria.In cosa consistono nello specifico questi

interventi di Prevenzione?

In realtà, si tratta di un vero e proprio Pro-getto Prevenzione - spiega Cuzzilla - che con-sta di cinque pacchetti di prestazionipreventive, i primi tre dei quali destinati aisoggetti di 45 anni e oltre: - Pacchetto Prevenzione donna, contro il

cancro del collo dell’utero, del colon rettoe del seno e che comprende: pap test,esame delle feci, mammografia bilaterale.

- Pacchetto Prevenzione uomo, contro il can-cro della prostata, che comprende: ecogra-fia prostatica e vescicale trans rettale, Psa,Psa free.

- Pacchetto Prevenzione, per uomini edonne, del carcinoma del cavo orale.

- Pacchetto Prevenzione, uomo/donna conetà uguale o superiore ai 65 anni, delle pa-tologie a seguito di edentulia (mancanzadei denti).

- Pacchetto Prevenzione, uomo/donna di

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età uguale o inferiore ai 30 anni, della ma-culopatia e del glaucoma (esame Oct, peri-metria computerizzata, tomografia acoerenza ottica).Con questi pacchetti i nostri iscritti po-

tranno effettuare verifiche diagnostiche pre-ventive ad ampio spettro, che il Fasirimborserà integralmente, salvo che per laprevenzione di patologie a seguito di edentu-lia, per la quale è richiesta una modesta par-tecipazione di spesa da parte dell’assistito, perun importo massimo di euro 500, nei casi incui sia necessario o comunque richiesto di di-sporre di una nuova protesi.

Gli assistiti potranno beneficiare dellenuove prestazioni offerte dal Fasi nelle strut-ture sanitarie convenzionate con il Fondo chehanno aderito all’iniziativa.

Ha accennato anche al potenziamento

della comunicazione con gli iscritti e le

aziende.

Si, certo. Questo è stato possibile grazie allarealizzazione di un innovativo Progetto My-Fasi che ha l’obiettivo di semplificare l’acces-sibilità alle informazioni proprie di aziende edirigenti, in alternativa all’utilizzo delle clas-siche credenziali, posizione utente e pas-sword, che comunque resterà ancorapossibile.

Si tratta di un sistema automatico che, nelrispetto delle norme di legge sulla privacy, ba-sandosi sul riconoscimento sicuro, consente difornire in linea dati “sensibili” e accettare conmaggior sicurezza, dagli utenti, informazionie dati atti a modificare le informazioni, adesempio quelle anagrafiche e contributive equindi di fornire ad aziende e dirigenti ulte-riori servizi automatici, correlati agli adempi-menti richiesti, consentendo con ciò lasemplificazione, il potenziamento e l’automa-zione dei processi correlati. Ad oggi, tutte leAziende e tutti i dirigenti iscritti al Fondohanno ricevuto ed iniziato ad utilizzare la

Card MyFasi. Può spiegarci meglio quali vantaggi

avranno le aziende e gli iscritti dal MyFasi?

Come detto, le aziende potranno accederein modo semplificato, tramite il sito del Fondo(ndr www.myfasi.it), ai dati aziendali ed aglispecifici servizi connessi, senza inserire ulte-riori credenziali; non avranno la necessità dirinnovare periodicamente le credenziali stessee potranno fruire di ulteriori servizi quali, adesempio, inserire in tempo reale i dati relativiai nuovi dirigenti nominati o assunti, inviarei documenti a supporto di queste iscrizioni de-terminando comunque la decorrenza del-l’iscrizione stessa e velocizzandone ilperfezionamento; questa possibilità sarà alter-nativa alle attuali modalità che prevedonol’invio di tutta la richiesta in cartaceo tramiteraccomandata e quindi è profondamente in-novativa.

Anche i nostri dirigenti iscritti - continuaancora Cuzzilla, potranno monitorare gli ac-cessi effettuati alle proprie pagine personali;accedere anch’essi, in modo semplificato aipropri dati personali ed agli specifici serviziconnessi, senza inserire ulteriori credenziali,potranno accedere più facilmente ai numerosiservizi previsti già che saranno via via imple-mentati e potranno ricevere on line comunica-zioni e dati sempre aggiornati.

Presidente quali saranno le prossime

sfide?

Sicuramente la prima è quella di vedere ilcompletamento di questi due progetti, rispet-tando, come sempre, la qualità e l’efficienzache il Sistema Fasi ha dimostrato fino ad oggi.Per il futuro, completato il potenziamento deisistemi informativi, si apriranno interessantiopportunità sulle quali stiamo già lavorando,con la massima collaborazione e con il mas-simo sostegno delle nostre Parti Sociali, Con-findustria e Federmanager.

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Cenni storici sulla Magistratura Onoraria

La crisi di efficienza con cui è costretto afare i conti il sistema giudiziario del nostroPaese ha radici antiche, essendo un feno-meno già presente nel periodo immediata-mente post-unitario.

Le ragioni sono molteplici e assai varie-gate, dall’innata litigiosità di noi Italiani (chinon ricorda il Don Lollò della pirandelliananovella La Giara?) alla irrazionale disloca-zione degli uffici giudiziari, retaggio spessodella situazione preunitaria; dalla tendenzadegli operatori del diritto (inclusi, ovvia-mente, i magistrati) a spaccare il capello inquattro, sovente a scapito della celerità deldecidere, alla complessità del nostro appa-rato legislativo, sostanziale e processuale,tanto nel settore civile come nel penale.

Dobbiamo anche rilevare il costante incre-mento di controversie civili, che pure è davalutare positivamente sotto molti aspetti, inquanto indice di una maggiore consapevo-lezza dei propri diritti da parte dei cittadini,si pensi a rilevanti settori come il contenziosodel lavoro, o quello della tutela dei consuma-tori, e di un incremento socioeconomico,come avviene per il settore dei rapporti so-cietari e commerciali.

Quanto al settore penale, la perdurante

tendenza ad introdurre continuamentenuove ipotesi di reato, costantemente portataavanti da tutte le maggioranze degli ultimitrenta, quarant’anni, non affiancata da unaadeguata politica di depenalizzazione, nonpoteva che ripercuotersi massicciamente sulfunzionamento della Giustizia penale.

A ciò si deve aggiungere l’endemica va-canza di cospicue percentuali nell’organicodella magistratura ordinaria: alla data del 19Agosto 2011, su un organico di 10.151 stabi-lito dalla Legge 13.11.2008 n. 181, risultanovacanti 1.289 posti (quindi, più del 12%) peri quali bandire il concorso per magistrato or-dinario; dato allarmante, che si somma allagià sottolineata cattiva distribuzione dei ma-gistrati sul territorio nazionale.

Tutti gli schieramenti politici, da decenni,si dicono consapevoli della necessità di rive-dere le circoscrizioni giudiziarie, ma nessunoha posto mano ad un effettivo riordino, conla soppressione di taluni tribunali dall’orga-nico così limitato da non essere oggettiva-mente in grado di funzionare, e lasoppressione di inutili e costose sedi distac-cate, perché la presenza di un ufficio giudi-ziario è comunque un elemento di prestigio,oltre che fonte di ricchezza e di posti di la-voro, sicché c’è sempre il deputato o senatoredel luogo che, per ragioni facilmente intui-

L’importanza del sistema disciplinareper la Magistratura Onoraria

Fabio Massimo GalloPresidente della Sezione Lavoro presso la Corte di Appello di Roma,Componente del Consiglio Giudiziario

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bili, si oppone con forza a modifiche in talsenso.

Tra i vari tentativi, più o meno convinti epiù o meno riusciti che il Legislatore ha postoin essere merita certamente menzione, per larilevanza numerica e per i risultati concreti, ilpotenziamento della magistratura onoraria.

Questo istituto, di antica tradizione, ha su-bito negli ultimi venti anni un vistoso incre-mento sia nel numero che nelle competenze,fino a rappresentare oggi, nelle sue varie com-ponenti, quantitativamente la metà dell’interoorganico della magistratura civile e penale(escluse quindi la magistratura amministra-tiva e quella contabile).

Uno sguardo al presente…

con un pensiero per il futuro.

Alla data dell’1 Giugno 2011 risultano inservizio 2456 Giudici di pace (su 4689 postiprevisti in organico), 1793 Giudici onorari ditribunale (su 2569), 1640 Vice procuratori ono-rari (su 1991) ai quali si aggiungono 322 com-ponenti privati delle Sezioni minorenni incorte di appello, 733 componenti privati deiTribunali per i minorenni, 457 esperti nellaSorveglianza e 24 esperti nel Tribunale delleacque pubbliche: in tutto, 7425 magistrati ono-rari su un organico complessivo di 10825 (su-periore quindi a quello dell’interamagistratura ordinaria, giudicante e requi-rente).

I numeri parlano da soli, specialmente seconfrontati ai dati sulla magistratura ordinariagià esposti.

Quanto alle funzioni, l’elemento innovativoper il nostro sistema giudiziario è indubbia-mente rappresentato dalla figura del Giudicedi pace, introdotta con la Legge 21 Giugno 1991n. 374, in vigore dall’1 Maggio 1995.

La competenza civile del Giudice di pace èandata via via aumentando, ed attualmentequesto Ufficio ha competenza per le cause re-lative a beni mobili di valore non superiore ad€ 5.000,00 e addirittura ad € 20.000,00 per lecause di risarcimento del danno prodottodalla circolazione di veicoli e di natanti; il Giu-dice di pace ha inoltre una sua competenzaper materia, e dunque senza limiti di valore,per una serie di questioni che interessano unnotevole numero di controversie, quali l’osser-vanza delle distanze per il pianta mento di al-beri e siepi, la misura e le modalità d’uso deiservizi per il condominio di case, cause in ma-teria di immissioni di fumo o calore, esala-zioni, rumori, scuotimenti e similipropagazioni, nonché per le cause relative agliinteressi o accessori da ritardato pagamentodi prestazioni previdenziali o assistenziali.

La competenza penale, attribuita nel 2000,comprende una serie di reati di modesta entitàma tuttavia numericamente assai rilevanti: sipensi ai delitti di percosse, ingiuria, diffama-zione, furti punibili a querela dell’offeso, dan-neggiamento, uccisione o danneggiamento dianimali altrui, deturpamento e imbrattamentodi cose altrui. (Il giudice di pace non può peròirrogare sanzioni detentive ma soltanto pecu-niarie.)

Contrariamente al GDP, il GOT (Giudiceonorario di tribunale) ed il VPO (Vice procu-ratore onorario) non hanno un proprio ufficioma collaborano, sia affiancandoli che sosti-tuendoli in molteplici incombenti, con il giu-dice ed il sostituto procuratore dellaRepubblica; il GOT inoltre ha anche un pro-prio ruolo da gestire, fino alla pronuncia delladecisione finale.

La collaborazione tra GOT e VPO e magi-strati ordinari è quindi più diretta e stretta chequella del GDP, il quale tramite il proprio Uf-ficio fornisce il suo contributo al funziona-mento della Giustizia ma non direttamente ai

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magistrati degli altri Uffici giudiziari, tribu-nale e procura.

Il Consiglio Superiore della Magistraturariserva particolare attenzione alla formazioneprofessionale dei magistrati onorari, così come– del resto - a quella dei magistrati ordinari,mediante numerosi corsi di aggiornamentosia a livello nazionale che decentrato su basedistrettuale, come pure alla selezione, agli svi-luppi di carriera e alla revoca o decadenza dal-l’incarico dei magistrati onorari, ai quali èriservata l’attività di una apposita commis-sione del CSM, l’Ottava.

Proprio in considerazione della rilevanzasempre maggiore assunta dalla magistraturaonoraria nel suo insieme, appare evidentel’importanza delle procedure disciplinari ap-plicabili ai GDP, ai GOT e ai VPO, ciascuna ca-tegoria con le sue caratteristiche, tutteaccomunate dalla necessità di controlli rigo-rosi, nell’interesse degli utenti della Giustizia,ma compiutamente regolamentati, nell’inte-resse della dignità e professionalità dei magi-strati onorari.

In questo contesto, appare quanto mai pre-zioso il contributo fornito dal collega Leo-nardo Circelli, magistrato addetto al CSM confunzioni di magistrato addetto alla segreteria,

il quale in modo incisivo e lineare, con leforme di una lezione, traccia una panoramicaorganica, esaustiva ed approfondita del si-stema disciplinare applicabile ai GOT ed aiVPO, raffrontandolo utilmente con quello deiGDP, così approntando un utilissimo stru-mento di conoscenza per tutti quegli operatoridel diritto, che sentano la necessità o almenoil desiderio di approfondire una tematica cosìdelicata e tuttora in evoluzione.

Tale studio è particolarmente utile, ovvia-mente, per i magistrati onorari, i quali entranocosì in possesso di nozioni indispensabili perla propria professionalità, e per i componentidei Consigli Giudiziari, che assai di frequentesono chiamati a confrontarsi con tali proble-matiche.

Un migliore funzionamento della GiustiziaItaliana, è evidente, passa anche attraverso lamigliore professionalità, dignità ed efficienzadella magistratura onoraria, e l’aspetto disci-plinare riveste un ruolo di primaria impor-tanza ai fini dell’acquisizione di una maggioreconsapevolezza dei propri obblighi, della pro-pria tutela e, in definitiva, del proprio ruoloda parte dei GOT e, più in generale, di tutti imagistrati onorari.

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I - Introduzione. Differenze con la disciplina

vigente per i Magistrati Ordinari e per i Giu-

dici di Pace.

La riforma dell’ordinamento giudiziario va-rata nel 2006 ha interessato anche il sistema di-sciplinare della magistratura professionale (D.Lgs. 109/2006, modificato dalla L. 269/06 edalla L. 111/07) senza intervenire nel settore,omologo, riguardante i magistrati onorari, Giu-dici Onorari di Tribunale (g.o.t.) e Vice Procu-ratori Onorari (v.p.o.). Questi ultimi - comeaccade, anche se con alcune differenze, per iGiudici di Pace - sono sottoposti ad una regola-mentazione strutturalmente diversa1: di quisorge l’esigenza di compiere una, non sempreagevole, attività di reductio ad unitatem della nor-mativa vigente, nel tentativo di individuare itratti connotativi di un autonomo “sistema di-sciplinare”.

Per i magistrati ordinari è oggi previsto unsistema estremamente tipizzato di illeciti e san-zioni disciplinari, in quanto la legge prevedetassativamente: i doveri nell’esercizio delle funzioni

(“imparzialità, correttezza, diligenza, laborio-sità, riserbo ed equilibrio” oltre al “rispetto”della “dignità della persona”); gli illeciti, distin-guendo tra comportamenti nell’esercizio dellefunzioni, fuori dell’esercizio delle funzioni2 e il-leciti disciplinari conseguenti a reato; le sanzioni

(ammonimento, censura, perdita di anzianità,

incapacità temporanea a esercitare un incaricodirettivo o semidirettivo, sospensione dalle fun-zioni e dallo stipendio da tre mesi a due anni,rimozione). La legge sancisce, altresì, l’obbligo diesercitare l’azione disciplinare per il ProcuratoreGenerale presso la Corte di Cassazione, con ob-bligo - per i Consigli Giudiziari, il CSM e i Capidegli Uffici - di comunicare al Ministro dellaGiustizia e al Procuratore Generale presso laCorte di Cassazione ogni fatto rilevante sotto ilprofilo disciplinare; il termine per la promozionedell’azione entro un anno dalla notizia del fatto,acquisita dal Procuratore Generale presso laCorte di Cassazione a seguito dell’espletamentodi sommarie indagini preliminari o di denunciacircostanziata o di segnalazione del Ministrodella Giustizia; parimenti di un anno dalla no-tizia del fatto è il termine entro il quale il Mini-stro della Giustizia ha facoltà di promuoverel’azione disciplinare mediante richiesta di inda-gini al Procuratore Generale presso la Corte diCassazione3.

In termini comparativi, può già rilevarsi cheper i magistrati onorari (g.o.t. e v.p.o.) difetta

dunque un “codice disciplinare” connotato dalla pre-

visione tassativa degli illeciti. Ad accentuare le dif-ferenze rispetto al sistema vigente per imagistrati ordinari concorrono, inoltre, la facol-

tatività dell’esercizio dell’azione disciplinare e la na-tura dell’organo di giustizia disciplinare4, che èil CSM che non delibera in composizione giuri-

Il “sistema disciplinare”dei Magistrati Onorari di Tribunale

Leonardo CircelliMagistrato addetto alla Segreteria del C.S.M.

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sdizionale (sezione disciplinare) ma nelle formedel procedimento amministrativo con la possibilità,per il magistrato sanzionato, di impugnare ilprovvedimento conclusivo dinanzi al giudiceamministrativo

A riprova della frammentarietà dello status

del magistrato onorario sul piano disciplinare,appare utile, altresì, schematizzare le differenzerispetto ai Giudici di Pace, i quali sono assogget-tati ad un sistema sanzionatorio che presenta si-gnificative analogie con quello dei magistratiordinari, in considerazione della inclusione deiGiudici di Pace nell’Ordine Giudiziario in virtùdella previsione dell’art. 1 secondo comma L.374/915.

In particolare, vi è una disciplina particolarmenteanalitica6 che prevede, sul piano procedimentale,che il titolare dell’azione è il Presidente dellaCorte di Appello, tenuto ad iscrivere immedia-tamente la notizia di fatti costituenti causa di de-cadenza o illecito disciplinare, che formula lacontestazione e - se non ritiene di archiviare -entro quarantacinque giorni trasmette gli atti alConsiglio Giudiziario con le sue proposte; sonotipizzate le condotte che integrano l’illecito disci-plinare e le relative sanzioni7; è prevista, nelle fasifinali del procedimento (istruttoria e redazionedella proposta da inviare al CSM) una composi-zione integrata del Consiglio Giudiziario con la par-tecipazione di un rappresentante del Consigliodell’ordine forense e di un rappresentante deigiudici di pace del distretto8; il termine impostoper la conclusione del procedimento con decretoministeriale9 è - a pena di estinzione - di un annodall’iscrizione della notizia nel registro.

II - Ricostruzione della normativa applicabile

ai Magistrati Onorari

Occorre, dunque, indirizzare la presente in-dagine all’individuazione delle regole di com-portamento alla cui osservanza sono tenuti i

magistrati onorari nonché delle sanzioni previstein caso di violazione delle predette10.

Il quadro normativo a livello primario è of-ferto dalle disposizioni dell’Ordinamento Giudi-ziario, che sono: per i g.o.t. l’art. 42septiessecondo cui ”Il giudice onorario di tribunale è tenuto

all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati or-

dinari, in quanto compatibili” e l’art. 42 sexies cheprevede che“Il giudice onorario è revocato dall’ufficio

in caso di inosservanza dei doveri inerenti al mede-

simo”. Per i v.p.o. l’art. 71 secondo comma con-tiene - ai fini in esame - il solo rinvio alladisciplina dettata per i g.o.t. dall’art. 42sexies (checommina la sanzione della revoca dall’ufficio perinosservanza dei doveri inerenti al medesimo) ma nonalla disposizione dell’art. 42septies per quantoconcerne “i doveri” alla cui “osservanza” è te-nuto il magistrato onorario. Tale dettato norma-tivo parrebbe dunque legittimare la conclusionesecondo cui, a differenza dei g.o.t., i v.p.o. sono te-nuti alla generica osservanza dei doveri inerenti l’uf-ficio e non all’osservanza di tutti i doveri previsti peri magistrati ordinari11.

A livello normativo secondario, la disciplinaè dettata, per i g.o.t., dalla circolare consiliare P-10358 del 26.5.2003, successivamente modificatadalla circolare P-17794 del 25.07.2007 e da ultimodalla circolare P-8620 del 09.04. 2009; analoga-mente, per i v.p.o., le fonti sono costituite dallacircolare P-10370 del 26.052003, modificata dallacircolare P-17795 del 25.07.2007 e, da ultimo,dalla circolare P-8621 del 09.04.2009.

In particolare, per quanto concerne i “doverie diritti” dei magistrati onorari, l’art. 10 della cir-colare applicabile ai g.o.t. prevede che essi sonotenuti al svolgere le funzioni “in posizione di asso-

luta indipendenza ed autonomia, nel rispetto dell’im-parzialità e del ruolo di terzietà richiesto dalla funzione

giurisdizionale, nonché all’osservanza di tutti gli altri

doveri previsti per i magistrati ordinari, in quantocompatibili”12. Ai v.p.o. l’art. 10 della relativa cir-colare impone l’”osservanza dei doveri previsti per i

magistrati ordinari, in quanto compatibili”, così in-

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troducendo ex novo, a livello di normazione se-condaria, la generale previsione dettata per ig.o.t. dalla fonte primaria13.

Sotto il profilo sanzionatorio l’art. 12 terzocomma delle circolari applicabili a g.o.t. e v.p.o.prevede “la revoca dall’ufficio in caso di inosser-

vanza dei doveri inerenti al medesimo”, in ciò ripro-ducendo esattamente le previsioni vigenti alivello primario ed accomunando le due cate-gorie di magistrati onorari.

Non può essere infine omesso un breve rife-rimento all’istituto della decadenza dall’inca-rico, per la rilevanza che esso è destinato adesplicare ai fini della presente ricostruzione14.Invero, l’art. 12 secondo comma lett. c) delle cir-colari vigenti per i g.o.t. e i v.p.o.15 tra i casi didecadenza dall’ufficio contempla il “venir menodi uno dei requisiti necessari (per la nomina)”. Tratali requisiti rientra, ex art. 2 lett. h) delle circo-lari, la condizione che l’aspirante alla nomina ag.o.t. e v.p.o. “abbia tenuto condotta incensurabilecosì come previsto dall’art. 35, sesto comma, D. Lgs.30 marzo 2001 n. 165 e succ. mod. e integrazioni”16.Il richiamo alla presente fattispecie si giustificain ragione del fatto che la decadenza del magi-strato onorario “se viene meno uno dei requisiti ne-cessari (per la nomina)” è chiamata a sopperire -anche in ragione della identità della proceduraapplicativa prevista per decadenza e revocadall’art. 13 delle circolari vigenti - all’impossi-bilità di applicare la revoca dall’ufficio laddovela misura “sanzionatoria” non sia normativa-mente prevista a presidio delle condotte (“do-veri”) alla cui ”osservanza” sono tenuti i g.o.t.ed i v.p.o.17.

III - Le caratteristiche del sistema disciplinare

vigente per i g.o.t. e i v.p.o.

Il suddetto quadro normativo consente didelineare le seguenti conclusioni: 1) il g.o.t. e ilv.p.o. possono essere revocati dall’incarico per

inosservanza dei doveri di ufficio; 2) il g.o.t. e ilv.p.o. – per espressa previsione dell’art. 6 dellerelative circolari – possono essere revocati dal-l’ufficio ove l’esito del tirocinio sia stato nega-tivo; 3) il g.o.t. e il v.p.o. possono esseredichiarati decaduti dall’ufficio per il venir menodi uno dei requisiti necessari per la nomina, edunque anche se abbiano tenuto una “condottacensurabile” successivamente al conferimentoe durante l’esercizio delle funzioni onorarie18; 4)

il g.o.t. può essere revocato dall’ufficio ancheper condotte illecite poste in essere al di fuoridell’esercizio delle funzioni; 5) il v.p.o.19 nonpuò essere revocato ma può essere dichiaratodecaduto dall’ufficio per le condotte illeciteposte in essere al di fuori dell’attività giudizia-ria.

Quanto precede consente, altresì, di ritenereche per i g.o.t. e i v.p.o. si è in presenza di un si-stema basato su illeciti atipici essendo “aperta”la categoria delle condotte sanzionabili, la cuiindividuazione è rimessa all’interprete (il CSMe, in ultima analisi, il giudice amministrativo)nel rispetto, ovviamente, dei principi impostidalla normativa primaria e della regolamenta-zione di dettaglio contenuta nelle circolari con-siliari.

Per la determinazione, in concreto, dei do-veri comportamentali dei magistrati onorari siregistra la tendenza ad inquadrare le condotte“illecite” secondo i tratti connotativi degli illeciti

tipizzati per i magistrati ordinari, come è datoevincere dal contenuto delle decisioni assuntedalla VIII Commissione del CSM20. Per i g.o.t.,una riprova di ciò è data dal fatto che - comeprevisto dall’ordinamento giudiziario e, nel det-taglio, dalla relativa circolare - essi sono tenutiall’osservanza dei “doveri previsti per i magi-strati ordinari”21.

Un’altra chiave ricostruttiva sottesa a moltedecisioni della giurisprudenza22 si fonda sul ri-lievo che l’accettazione della nomina a magi-strato onorario comporta l’assunzione di un

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incarico di natura pubblicistica, che deve indurre aposporre gli impegni dell’attività libero-profes-sionale privata dando priorità alle esigenze con-nesse al serio e corretto esercizio funzionionorarie.

Peraltro – e ciò è estremamente utile per col-mare le lacune e ad attenuare ulteriormente ledifferenze tra gli “ordinamenti disciplinari” dellevarie categorie di magistrati onorari – le associa-zioni rappresentative di g.o.t. e v.p.o. si sono do-tate di codici etici che, come già accade per igiudici ordinari e per i giudici di pace, defini-scono i valori fondamentali a presidio delle fun-zioni onorarie e delimitano con precisione leregole di condotta “nel processo” e “fuori delprocesso”23.

Di contro, la lacunosa e frammentaria disci-plina sul piano sanzionatorio (assenza di unagraduazione delle sanzioni con la sola generalizzataprevisione della revoca dall’ufficio per inosser-vanza dei doveri inerenti al medesimo) ha inge-nerato il dubbio che possa addirittura ipotizzarsil’esistenza di un sistema disciplinare e non, in-vece, di procedure amministrative che consen-tono di regolamentare il rapporto e l’attivitàonoraria di g.o.t. e v.p.o.24.

IV - La nomina, la decadenza per sopravvenuta

incompatibilità e la revoca: una lettura compa-

rata degli istituti ai fini della ricostruzione del

“sistema disciplinare” dei magistrati onorari

Come è stato evidenziato dalla dottrina25,l’analisi complessiva della normativa in materiadi funzioni onorarie - dal conferimento all’eser-cizio, fino alla cessazione dell’incarico26 - con-sente di ritenere che la “procedura disciplinare”sia principalmente uno “strumento di verifica del

corretto svolgimento del mandato onorario” e di “va-

lutazione del magistrato onorario, in momenti diversidel suo mandato”. Con tali strumenti, in partico-

lare, l’esistenza delle “garanzie di professionalità,

indipendenza e prestigio” in capo ai magistrati ono-rari è assicurata nella formulazione del giudiziodi idoneità ai fini del conferimento dell’incarico(nomina) e della sua continuazione (confermatriennale); la persistenza di tali requisiti è sotto-posta ad una valutazione che può compiersi, inconcreto, nel corso dell’esercizio delle funzionionorarie (decadenza); il venir meno delle garan-zie – per effetto della violazione di uno dei doveridell’ufficio – può comportare la fine anticipatadel rapporto onorario (revoca). Il risvolto di taleapproccio ricostruttivo27 è che gli effetti negatividi una condotta potranno assumere rilevanza invia preventiva come causa ostativa alla nomina;ai fini della persistenza dei requisiti di legge siain sede di conferma sia in ogni momento, pertutta la durata dell’incarico (decadenza per ilvenir meno di uno dei requisiti necessari o per ilsopravvenire di una causa di incompatibilità);come presupposto per la risoluzione anticipatadel rapporto onorario (revoca dall’ufficio).

Per quanto concerne in particolare la nomina,ai requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dallalegge28 le circolari consiliari sui g.o.t. e i v.p.o. –per quel che rileva in questa sede, agli articoli 2e 329 – hanno aggiunto: l’aver tenuto condotta in-censurabile; l’inesistenza di cause di incompatibilitào di precedente revoca o mancata conferma dall’in-

carico; l’inesistenza di fatti e circostanze che, te-nuto conto dell’attività svolta e dellecaratteristiche dell’ambiente, possono ingeneraretimore di parzialità nell’amministrazione della giu-

stizia; l’idoneità degli aspiranti ad assolvere de-gnamente ed a soddisfare con assiduità edimpegno le esigenze del servizio, desunta da pro-

vate garanzie di professionalità e da accertati requisiti

di credibilità ed indipendenza; assenza di condanne o

pendenza di procedimenti penali. Venendo alla conferma, è l’art. 42quinquies

ord. giud. che al terzo comma ne rimarca la na-tura di giudizio di idoneità alla continuazione

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dell’esercizio delle funzioni, da formularsi“sulla base di ogni elemento utile”30.

Per l’individuazione di tutte le ipotesi di de-

cadenza per il sopravvenire di una causa di incom-

patibilità è necessario rinviare alla disciplinadelle incompatibilità dettata dall’art. 42quaterdell’ordinamento giudiziario e dall’art. 5 dellecircolari sui g.o.t. e v.p.o. Giova qui soffermarsisul divieto assoluto che discende direttamentedal dettato del secondo comma del citato art.42quater (per quanto concerne le incompatibilitàrelative, richiamate dal secondo comma dell’art.5 delle circolari), per cui gli avvocati ed i prati-canti ammessi al patrocinio non possono eser-citare la professione forense dinanzi agli ufficigiudiziari compresi nel circondario del Tribu-nale presso il quale svolgono le funzioni di g.o.t.e non possono rappresentare e difendere leparti, nelle fasi successive, in procedimenti svol-tisi dinanzi ai medesimi uffici. Per i v.p.o. vigeanaloga previsione, ma se esercitano le funzionidi PM solo presso la sede centrale del Tribunaleovvero in una o più sezioni distaccate l’incom-patibilità è limitata soltanto agli uffici presso iquali sono svolte le funzioni31.

Ora - se ci si è già soffermati sui rapporti trarevoca e decadenza laddove la seconda è depu-tata a sopperire all’impossibilità di applicare laprima32 - occorre riflettere sulle sovrapposizioniche possono verificarsi tra le valutazioni che ilCSM è chiamato a compiere in sede di con-ferma e decadenza per il sopravvenire di unacausa di incompatibilità ed il giudizio oggettodella revoca dall’incarico onorario. Si ritieneutile, a tal fine, riportare alcune delle decisioniconsiliari in cui, spesso, si assiste alla riduzionedei confini tra giudizio di idoneità alla conti-nuazione dell’esercizio delle funzioni onorarie“sulla base di ogni elemento utile” (conferma),“venir meno di uno dei requisiti necessari” o“sopravvenire di una causa di incompatibilità”(decadenza) e revoca per inosservanza dei do-

veri di ufficio. In particolare, in caso di violazione del do-

vere di laboriosità per gravi ritardi nel depositodelle sentenze - condotta che integra una sicuramancata osservanza dei doveri inerenti l’ufficioed è idonea a compromettere l’idoneità del ma-gistrato onorario ad assolvere degnamente econ prestigio alle proprie funzioni - ovvero disopravvenuta situazione di incompatibilità -che parimenti può configurare il venir meno deirequisiti di indipendenza ed imparzialità - lagiurisprudenza riconosce, in capo al CSM, un poterediscrezionale di dichiarare la decadenza o applicarela revoca dall’ufficio 33.

Per quanto attiene ai rapporti tra confermanell’incarico e revoca, possono refluire nel giu-dizio di conferma condotte scorrette sul piano di-sciplinare, ma non così gravi da determinare larevoca prima del decorso del triennio. E’ stato op-portunamente rilevato che la mancata con-ferma è divenuto il principale strumento -essendo improntato a maggior discrezionalitànell’apprezzamento di “ogni elemento utile” -con cui il CSM attua il controllo interno dellaprofessionalità dei magistrati onorari34.

Tra le delibere di mancata conferma pronun-ciate in relazione a situazioni che avrebbero po-tuto senz’altro assumere rilevanza disciplinarerilevano quelle motivate sulla scorta di una con-danna penale, in ragione della concreta ricadutasull’indipendenza ed il prestigio esplicata daifatti nella loro materialità. Per quanto concerneinfine le condanne disciplinari vi è autonomiatra il giudizio disciplinare e quello di con-ferma35, per cui se la precedente revoca dall’in-carico è ostativa alla proposta per la nomina ola conferma (ai sensi del secondo comma del-l’art. 3 delle circolari applicabili ai g.o.t. e aiv.p.o.) è dibattuta la questione relativa all’in-fluenza esplicata, in sede di giudizio di con-ferma, da una sentenza di assoluzione riportatain sede disciplinare (o penale)36.

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V - Le fasi del procedimento disciplinare

La disciplina del “procedimento disciplinare”a carico dei g.o.t. e v.p.o. è dettata, a livello di nor-mazione primaria, dall’art. 42sexies ultimocomma ord. giud., il quale prevede che (cessa-zione), decadenza e revoca sono dichiarate o di-sposte con le stesse modalità previste per lanomina.

Nel dettaglio sono le circolari consiliari che,all’art. 13, regolano la “procedura per la deca-denza e la revoca”, la cui unificazione è giustifi-cata dalla circostanza che la decadenza per ilvenir meno di uno dei requisiti necessari o per lasopravvenienza di una causa di incompatibilitàe la revoca per inosservanza dei doveri dell’uffi-cio - a differenza, come si è detto, della cessazionee degli altri casi di decadenza in cui si tratta diprendere atto di un accadimento al quale la leggericollega determinati effetti - presuppongono lavalutazione di episodi comportamentali da cuipuò dipendere la cessazione del rapporto onora-rio e sono, pertanto, assistite da significative ga-ranzie.

L’avvio del procedimento avviene su impulsodel Presidente del Tribunale (per i g.o.t.) e delProcuratore della Repubblica (per i v.p.o.) che -se nell’esercizio dei loro poteri di vigilanza ven-gono a conoscenza di fatti o comportamenti chepossano dar luogo alla decadenza o alla revoca -possono avanzare “in ogni momento” la richiestaal Consiglio Giudiziario.

Il Consiglio Giudiziario formula la contesta-

zione, indicando succintamente i fatti e le fonti diconoscenza, avvertendo l’interessato che entroquindici giorni dal ricevimento dell’atto può pre-sentare memorie, documenti o indicare circo-stanze sulle quali richiede indagini otestimonianze. Il Consiglio Giudiziario procede,ove ne ravvisi l’esigenza, ad eventuale istruttoria,delegando uno dei suoi componenti; se la notiziasi è rilevata infondata il Consiglio Giudiziario di-

spone l’archiviazione ed in caso contrario notificatempestivamente all’interessato (almeno diecigiorni prima) luogo, giorno ed ora della delibe-razione.

A questo punto si innestano nuovamente legaranzie del contraddittorio, dovendosi avver-tire l’interessato che può prendere visione degliatti del procedimento e potrà comparire perso-nalmente – assistito da un magistrato anche ono-rario o da un avvocato – e che senza addurrelegittimo impedimento si procederà in sua as-senza. Se compare può essere interrogato daimembri del Consiglio Giudiziario, può presen-tare memorie e produrre documenti (che dimo-stri di non aver potuto produrre in precedenza)ed ha diritto di prendere per ultimo la parola.

All’esito il Consiglio Giudiziario adotterà“proposta motivata di decadenza o revoca” e la in-vierà al CSM, che è il titolare del potere decisio-nale. Della questione viene investita la VIIICommissione, che potrà accogliere la propostaovvero modificarla, anche chiedendo chiarimential Consiglio Giudiziario o svolgendo ulterioreistruttoria.

La decadenza e la revoca sono infine dispostecon Decreto del Ministro della Giustizia, in con-formità con la deliberazione dell’Assemblea Ple-naria del CSM37.

Tra le garanzie che assistono la procedura viè la previsione dell’organo collegiale (ConsiglioGiudiziario), dalla fase della contestazione deifatti, all’eventuale istruttoria, fino alla delibera-zione della proposta. Se la fase conclusiva dellaprocedura è identica a quella prevista per i giu-dici di pace38, rispetto a questi ultimi varia peròla composizione del Consiglio Giudiziario, chenon prevede l’intervento di membri diversi daimagistrati ordinari. Ciò accade per il dettatodell’art. 16, D. Lgs. 25/06 (Istituzione del Consi-glio Direttivo della Corte di Cassazione e nuovadisciplina dei Consigli Giudiziari) il quale pre-vede una composizione integrata del Consiglio

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Giudiziario con (i componenti designati dalconsiglio regionale ed i componenti avvocati eprofessori universitari, anche nella qualità divice presidenti, nonché con) il componente rap-presentante dei giudici di pace “esclusiva-mente” per le materie previste dall’articolo 15,comma 1, lettere a, d ed e (pareri in materia ta-bellare; vigilanza sugli uffici giudiziari del di-stretto; pareri su organizzazione efunzionamento degli uffici dei Giudici di Pacedel distretto) e che il componente rappresen-tante dei giudici di pace partecipi, altresì, allediscussioni e deliberazioni relative all’eserciziodelle competenze di cui agli articoli 4, 4-bis, 7,comma 2-bis e 9, comma 4, della legge 21 no-vembre 1991, n. 374 e successive modificazioni(legge istitutiva dei Giudici di Pace). Il CSM,con delibera del 10.09.08 ha ritenuto, in osse-quio al dato normativo, che “appare preferibile chel’intera materia della magistratura onoraria sia trat-tata dal consiglio giudiziario in composizione esclu-sivamente togata” poiché “la norma in esame, dicarattere generale, prevede che i membri non togaticompongano il consiglio giudiziario solo per deter-minate materie, specificamente individuate. Per-tanto, affermare che gli stessi possano interloquireanche su altri temi sembra violare la lettera del pre-cetto, costruito in maniera tale da riconoscere possi-bile il loro intervento soltanto in particolari casi,

previsti ovvero da prevedere ex lege”. Con succes-siva delibera del 12.03.09 il CSM ha comunquericonosciuto ai componenti laici del ConsiglioGiudiziario la possibilità di assistere ai lavoricompatibilmente con i regolamenti interni39.

VI - La sospensione cautelare dalle funzioni

dei Magistrati Onorari

Un capitolo autonomo va riservato alla so-spensione cautelare del magistrato onorario edalla sospensione della procedura di decadenza

o revoca - in pendenza di procedimento penale.La materia non era contemplata dalla norma-tiva primaria e neppure dalle circolari consiliarifino a quando il CSM è intervenuto (con deli-bera del 9 aprile 2009) per colmare la lacuna, ri-correndo (in analogia juris) alla disciplinavigente per i magistrati ordinari (D. Lgs.109/06, come modificato dalla L. 269/06 e dallaL. 111/07) e per i Giudici di Pace (DPR198/2000), con i necessari adattamenti dovutialla specificità dell’incarico svolto da g.o.t. ev.p.o.

In particolare, quanto alla contemporanea pen-denza di un procedimento penale per gli stessi fattioggetto del procedimento di decadenza o revoca, iprincipi sono stati desunti dal D. Lgs.109/200640. E così, l’art. 4bis – introdotto nellecircolari applicabili a g.o.t. e v.p.o. – stabilisceche nel caso di contemporanea pendenza diprocedimento penale per gli stessi fatti oggettodel procedimento di decadenza o revoca, il Pre-sidente del Tribunale o il Procuratore della Re-pubblica - valutate le ragioni di economia istruttoriae per evitare pronunce contraddittorie - può richie-dere la sospensione del procedimento al Con-siglio Giudiziario, che esprime un parere etrasmette gli atti al CSM. Se la richiesta è accoltail procedimento di decadenza o revoca resta so-speso fino alla definizione del procedimentopenale. Le sentenze penali irrevocabili di con-danna (anche all’esito di rito abbreviato) e di as-soluzione hanno autorità di cosa giudicata nelprocedimento di decadenza o revoca quanto ailliceità penale del fatto (sentenze di condanna)ovvero quanto a sussistenza/non sussistenzadel fatto o affermazione che l’imputato loha/non lo ha commesso.

Anche per la disciplina della sospensione cau-

telare del magistrato onorario in pendenza del pro-cedimento di decadenza o revoca, la soluzioneadottata della circolare ricalca quella dettata peri magistrati ordinari dal D. Lgs. 109/200641,

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nonché, per i giudici di pace, dall’art. 18 del DPR198/200042. E così, l’art. 4ter delle circolari pre-vede che - sempre su richiesta del Presidente delTribunale o del Procuratore della Repubblica, aseconda che si tratti di un g.o.t. o di un v.p.o - ilCSM sospende obbligatoriamente dalle funzioni e

dallo stipendio il magistrato onorario sottoposto a pro-

cedimento penale nei cui confronti sia stata adottata

una misura cautelare personale. La sospensione:permane fino alla sentenza di non luogo a pro-cedere o di proscioglimento irrevocabile; deveessere revocata, anche d’ufficio, se è revocata lamisura cautelare per carenza dei gravi indizi dicolpevolezza; può essere revocata, previo pareredel Consiglio Giudiziario, negli altri casi di ces-sazione della misura cautelare.

Sempre nella medesima ottica di armonizza-zione delle diverse discipline, l’art. 4quater dellecircolari oggi prevede che quando il magistratoonorario è sottoposto a procedimento penale o quandoal medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti aifini della revoca o della decadenza che per la loro gra-vità siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni,il Presidente del Tribunale o il Procuratore dellaRepubblica possono richiederne la sospensionecautelare dalle funzioni anche prima dell’iniziodel procedimento di revoca o decadenza. In que-sto caso è previsto un rafforzamento delle garan-zie per l’interessato43 per cui la richiesta vatrasmessa al Consiglio Giudiziario che deve sen-tire il magistrato con un preavviso di almeno tregiorni ed anche con l’assistenza di un difensore,e all’esito il trasmette il parere al CSM, che puòconcedere la sospensione. La sospensione puòessere revocata d’ufficio dal CSM in qualsiasimomento, previo parere del Consiglio Giudizia-rio. La sospensione cessa, ove penda procedi-mento penale, al proscioglimento con sentenzairrevocabile o di non luogo a procedere non sog-getta ad impugnazione; la sospensione cessa, al-tresì, all’atto dell’archiviazione del procedimentodi decadenza e revoca.

VII - I progetti di riforma organica della magi-

stratura onoraria all’esame del Parlamento: le

linee di riforma in materia disciplinare.

Le caratteristiche dell’attuale assetto del “si-stema disciplinare” di g.o.t. e v.p.o. sul piano nor-mativo rispecchiano, inevitabilmente, unaconcezione della magistratura onoraria inizial-mente concepita come un corpo di giudici “nonprofessionisti”, destinati ad affiancare la magi-stratura ordinaria per le competenze nelle que-stioni meno rilevanti. Una siffatta impostazioneè apparsa giustificata, d’altro canto, dalla previ-sione costituzionale (art. 106) che impone il re-clutamento dei magistrati a seguito di concorso,di guisa che la nomina secondo altre modalità co-stituisce sempre un’eccezione. L’evoluzione dellamagistratura onoraria negli anni – attestata dacrescita dell’organico, incremento delle compe-tenze ed attribuzione di tipologie di materie in-dividuate dal CSM, adozione di un sistema di“proroghe legali” per i got e i vpo non più con-fermabili e con mandati in scadenza al 31 dicem-bre di ogni anno – ha però reso anacronistico ilruolo di mera collaborazione e supplenza stori-camente attribuito alla magistratura onoraria44.Senza addentrarsi ulteriormente, in questa sede,nelle complesse problematiche sottese al com-piuto inquadramento della magistratura onora-ria nel tessuto ordinamentale, appare utilefornire una rapida disamina dei più recenti pro-getti di riforma, evidenziandosene le linee diret-trici, che non possono non interessare anche ilsettore disciplinare.

Il Disegno di Legge n. 897 del 9 luglio 200845

in materia di magistratura onoraria si muovelungo la direttrice tesa alla creazione di uno status

unitario dei magistrati onorari nel quale rientraanzitutto la compiuta individuazione dei proce-dimenti trattabili da g.o.t. e v.p.o.; l’accentuazionedella professionalità mediante un sistema di se-lezione ed aggiornamento professionale perma-

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nente; un rigoroso sistema di valutazione del-l’attività svolta; la previsione di un sistemacomplesso di incompatibilità; l’esonero del ma-gistrato onorario che abbia tenuto un compor-tamento o svolto l’attività in modo nonadeguato.

Il corollario necessario di tale processo è “un

sistema disciplinare completo che sia in grado da un

lato di individuare le ipotesi di illecito disciplinare, le

sanzioni applicabili ed il procedimento di accerta-

mento, e dall’altro di assicurare la reale partecipa-

zione dell’incolpato e il diritto di difesa”.

E’ prevista la specificazione dei diritti e do-veri del magistrato onorario, che è “tenuto all’os-

servanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari

in quanto compatibili” ed è gravato dall’”obbligo

di comunicare tempestivamente quei fatti che costi-

tuiscono specifiche cause di incompatibilità o che pos-

sano comunque essere rilevanti nella corretta

valutazione del principio di imparzialità, sia in senso

soggettivo sia in senso oggettivo”.

Le principali novità, in concreto, consistononel rinvio a molte delle previsioni del D. Lgs.109/06 (eccettuate alcune ipotesi tipicamentepreviste per i magistrati ordinari) per quantoconcerne la tipizzazione dei doveri e degli ille-citi disciplinari entro e fuori l’esercizio delle fun-zioni; nella previsione di un illecito disciplinareladdove vi sia lo svolgimento di attività incom-patibili con la funzione giudiziaria onorarianonché di attività tali da recare in concreto pre-giudizio all’assolvimento dei doveri di impar-zialità, correttezza, diligenza, laboriosità,riserbo, equilibrio e rispetto della dignità dellapersona; nella definizione, graduazione e tipiz-zazione delle sanzioni (censura e revoca dall’in-carico); nell’attribuzione della titolaritàdell’azione disciplinare al Presidente dellaCorte di Appello ed al Procuratore Generalepresso la Corte di Appello, che deve procederealla contestazione entro un anno dalla “notiziadell’illecito circostanziata”; nella garanzia ag-

giuntiva, per l’interessato, di poter presentareosservazioni al CSM avverso la proposta for-mulata dal Consiglio Giudiziario; nel termineper la decisione del CSM, che deve essere adot-tata entro 18 mesi dal promovimento del-l’azione.

Il Disegno di Legge n. 2080 del 23 marzo201046 - sempre con la finalità di disegnare unadisciplina organica della magistratura onoraria- definisce il magistrato onorario come “un av-

vocato specializzato che esercita la professione al ser-

vizio dello Stato nella veste di giudice di pace o di vice

procuratore onorario”, prevedendo che i g.o.t.vengano assorbiti gradualmente nei giudici dipace, che l’ufficio del giudice di pace possa di-ventare una sezione specializzata di Tribunalecon maggior flessibilità di competenze, che iv.p.o. possano essere impiegati anche nelleudienze davanti al Tribunale collegiale.

Sul piano disciplinare, la proposta di riformaindica in modo chiaro e preciso i diritti e i do-veri del professionista chiamato a svolgere lefunzioni onorarie.

In particolare, prevede una completa assimi-lazione al sistema disciplinare dei magistrati dicarriera mediante un rinvio agli articoli1,2,3,4,6,7,10 e 11 e, in quanto compatibili, agliarticoli 15,16,17,18,19 e 20 del D. Lgs. 109/06;l’applicazione delle medesime garanzie difen-sive sia dinanzi al Consiglio Giudiziario sia di-nanzi al CSM; l’avvio del procedimento entrosei mesi dalla comunicazione della notizia daparte del Presidente della Corte di Appello peri giudici di pace e del Procuratore Generalepresso la Corte di Appello per i v.p.o.; l’ado-zione della delibera del CSM di un anno dallaproposta del Consiglio Giudiziario.

Il Disegno di Legge n. 2359 del 6 ottobre201047 contiene la delega al governo per una ri-forma della magistratura onoraria che si ispiriai seguenti principi: creazione di uno status uni-tario dei magistrati onorari, tale da assorbire

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gradualmente i g.o.t. nei giudici di pace, am-pliando le competenze di questi ultimi; istitu-zione di un ruolo organico e di una piantaorganica della magistratura onoraria; tipizza-zione delle incompatibilità, dei doveri e dei dirittidel magistrato onorario; istituzione di un organo di

autogoverno per la magistratura onoraria con poteri

disciplinari.

NOTE

1) La legge non contiene una definizione dettagliata dellecondotte sanzionabili né prevede la correlazione tra illecitoe sanzione, configurando, in termini generali, i doveri dicomportamento del magistrato onorario (g.o.t. e v.p.o.) edettando un’unica tipologia di provvedimento sanzionato-rio (la revoca). Per quanto concerne il procedimento, la di-sciplina è interamente dettata dalla circolare. In ordine a talesituazione si è evidenziato in dottrina che “trattasi di uno sta-

tus che rende ardua la stessa configurabilità di un procedimento

disciplinare” (E. Aghina, La Magistratura onoraria, in ordina-

mento Giudiziario a cura di E. Albamonte e P. Filippi, UTET2009, pagg. 903 e ss); che “…i magistrati onorari si trovano in

una situazione particolarissima. La loro appartenenza all’ordine

giudiziario appare meramente nominale, non essendo essi in alcun

modo parificati ai giudici di carriera, neppure in quel settore deli-

catissimo che è la materia disciplinare” (Ambrosini, voce Giudice

onorario, in Enc. Giur., Roma 1989) e che “…l’utente della

giustizia ha necessità che tutti i magistrati – e non soltanto alcuni

di essi – siano autonomi ed indipendenti: e l’indipendenza interna

è essenziale quanto quella esterna” (Luiso, Magistratura togata,

magistratura onoraria, “altra” giustizia, in Rass. Forense, 2005,pag. 553).2) Cfr. gli articoli 2 e 3, D. Lgs. 109/06, dopo l’abrogazionedell’art. 1 secondo e terzo comma ad opera dell’art. 1 terzocomma, lett. a), L. 269/06, che prevedeva, per i magistratiordinari, comportamenti vietati, “ancorché legittimi” e postiin essere “anche fuori dell’esercizio delle proprie funzioni”. 3) In questi termini dispone l’art. 14 D. Lgs. 109/2006, comemodificato dalle Leggi 269/06 e 111/07, che disciplina lemodalità di esercizio dell’azione disciplinare da parte deisuoi titolari. 4) Vedi, in proposito, E. Aghina, op. cit..5) Cfr. l’art. 1 secondo comma L. 374/91, che prevede che:“L’ufficio del giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorarioappartenente all’ordine Giudiziario”. Di contro, l’ordinamentogiudiziario (art. 42bis secondo comma RD 12/41, come mo-dificato dal D. Lgs. 51/98) definisce il g.o.t. come magistrato

“addetto” al tribunale ordinario, disciplinandone la nomina,la durata dell’incarico, le incompatibilità, la cessazione, ladecadenza e la revoca dall’incarico; parimenti l’art. 71 primocomma ord. giud. prevede che “Alle procure della Repub-blica presso i tribunali ordinari possono essere addetti ma-gistrati onorari in qualità di vice procuratori”, richiamandola quasi totalità delle disposizioni dettate per i giudici ono-rari di tribunale). Sulla “dipendenza” del magistrato ono-rario dal dirigente dell’ufficio giudiziario, in dottrina, vediAghina, op. sup. cit., pag. 905. 6) Cfr. gli articoli 9 e 10 della L. 374/91 come modificata dallaL. 468/99, ed il capo VIII della Circolare del CSM, P-15880del primo agosto 2002, e successive modifiche ed integra-zioni).7) Generale, in materia, è la previsione normativa dell’art.10 L. 374/91 per cui “Il giudice di pace è tenuto all’osservanza

dei doveri prevista per i magistrati ordinari” con “l’obbligo di aste-

nersi, oltre che nei casi di cui all’art. 51 cpc, in ogni caso in cui

abbia avuto o abbia rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione

con una delle parti”, nonché l’art. 9 terzo comma L. cit. checommina le sanzioni dell’ammonimento, della censura edella revoca al Giudice di Pace che “…non è in grado di svol-

gere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in

caso di comportamento negligente e scorretto…”.8) Un siffatto “decentramento” è stato introdotto dalla legge468/99 sul presupposto della migliore conoscenza dei fattida parte degli organi istituzionali territoriali ai fini della ve-rifica della fondatezza dell’addebito disciplinare. Un’ana-loga soluzione non è stata prevista nell’ambito delprocedimento disciplinare a carico dei g.o.t. e dei v.p.o., op-zione condivisa dal CSM con delibera del 10.09.08 ed og-getto di posizioni critiche in dottrina, come si dirà infra. 9) Il decreto ministeriale è richiesto dall’art. 9 quinto commaL. 374/91, come sostituito dall’art. 7 L. 468/99, per i prov-vedimenti di decadenza, dispensa e per le sanzioni adottatenei confronti dei giudici di pace. 10) Per una recente ed approfondita analisi del tema com-plessivo e di tutti i suoi risvolti problematici, vedi D. Caval-lini e B. Giangiacomo, Magistrati onorari e Responsabilità

Disciplinare, Giuffrè 2009, pagg. 30 e ss. 11) La questione sarà approfondita in seguito. Da un tale ap-proccio ricostruttivo discenderebbe, altresì, che gli illeciticomportamenti posti in essere dal v.p.o. all’infuori dell’eser-cizio delle sue funzioni non potrebbero essere sanzionaticon la revoca dall’incarico. In questo caso - e la soluzione,come si dirà, ben si armonizza con la revoca sul piano pro-cedimentale - le suddette condotte potrebbero integrare unadelle ipotesi di decadenza (previste dall’art. 42 sexies se-condo comma)“…se viene meno uno dei requisiti necessari per

la nomina o sopravviene una causa di incompatibilità”. Vedi, perl’approfondimento di tali spunti, D. Cavallini e B. Giangia-como, op. cit., pagg. 30 e ss.

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12) La Circolare disciplina, nel dettaglio, il precetto dettato alivello primario: ciò contribuisce ad assimilare - sul pianodei “prerequisiti” richiesti per l’esercizio della funzione giu-risdizionale, e dunque dei valori fondamentali cui deve ispi-rarsi l’attività funzionale - i magistrati ordinari e i g.o.t. 13) Si ripropone, dunque, la questione interpretativa già esa-minata nella nota n. 11. E’ arduo, tuttavia, ritenere che la cir-colare possa avere colmato la lacuna della legge -equiparando, anche sul piano dei doveri comportamentali,la posizione del v.p.o. a quella del g.o.t. - per la difficoltà diconfigurare un’operazione ermeneutica in cui la disciplinasecondaria possa operare contra legem. 14) Per tale interessante approccio, cfr. Cavallini-Giangia-como, op. cit.15) Recependo integralmente il dettato dell’art. 42sexies, se-condo comma lett. c) dell’ordinamento giudiziario, dettatoper i g.o.t. ed applicabile anche ai v.p.o. per espresso ri-chiamo del successivo art. 71),16) La previsione citata, in materia di TU del pubblico im-piego, richiama l’art. 26 della L. 53/89 (disciplina della for-mazione dei ruoli della Polizia di Stato ed altre forze dipolizia), che per l’accesso a dette cariche richiede il possessodelle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissioneagli scritti dei concorsi in magistratura (dai quali l’art. 2quarto comma D. Lgs. 160/06 esclude coloro che non ab-biano serbato una condotta incensurabile). 17) Così, ancora, Cavallini-Giangiacomo, op. sup. cit.18) Così, Cavallini-Giangiacomo, op. cit., pag. 32. 19) Laddove si ritenga incolmabile, con la disciplina intro-dotta con circolare consiliare, la disciplina operante a livellonormativo primario, condizionata dall’applicabilità dell’art.42septies dell’ordinamento giudiziario ai soli g.o.t. e non aiv.p.o.: cfr. anche la nota 13. 20) La Commissione è preposta all’intero settore della magi-stratura onoraria, incluse le procedure di decadenza ed iprovvedimenti riguardanti “in genere” i magistrati onorari. 21) Significative per quanto concerne i g.o.t. (per queste e perun compiuto esame di altre fattispecie vedi Cavallini-Gian-giacomo, op. cit. pagg. 255 e ss.) sono, ad esempio, la revocaper violazione del dovere di imparzialità (per aver conti-nuato ad occuparsi, quale avvocato, di una procedura ese-cutiva della cui decisione era stato poi investito qualegiudice della esecuzione (decisione confermata dal TARLazio, 12 marzo 2008, n. 2228) e la revoca per reiterata vio-lazione del dovere di astenersi, nei limiti indicati dalla legge,dall’attività libero-professionale (per aver svolto libero pa-trocinio nel circondario del Tribunale, decisione confermatadal TAR Lazio, 31 dicembre 2007, n. 14279). In generale, ven-gono poi in rilievo le decisioni concernenti i comportamentiscorretti in udienza, le violazioni delle norme sull’incompa-tibilità, l’immotivate indisponibilità alle necessità dell’uffi-cio, le gravi carenze e lacune nelle motivazioni dei

provvedimenti, la grave e reiterata violazione dei terminiper il deposito dei provvedimenti, lo svolgimento di attività“extragiudiziarie” incompatibili con l’indipendente eserci-zio delle funzioni o tali da arrecare pregiudizio all’imma-gine, al dovere di imparzialità ed al corretto svolgimentodell’incarico onorario. 22) A tale proposito si è stabilito, in materia di ritardi, che lascarsa laboriosità del magistrato onorario non possa esseregiustificata dalla gravosità della professione forense, cosìcome una grave carenza comportamentale sotto il profilodella morale e dell’equilibrio non possa ritenersi compen-sata dal riconoscimento di buone qualità professionali. LeSezioni Unite della Suprema Corte (n. 9216 del 13.01.06)hanno affermato il principio che un avvocato può essere sot-toposto a procedimento disciplinare dal Consiglio dell’Or-dine per comportamenti tenuti nell’esercizio delle funzionionorarie, poiché ciò non limita l’autonomia della magistra-tura sancita dall’art. 104 Cost..23) Il codice etico del Giudice di Pace, elaborato e adottatodall’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace, sancisceche “Nella vita sociale il Giudice di Pace si comporta con dignità,

correttezza, sensibilità all’interesse pubblico. Nell’ adempimento

delle sue funzioni e in ogni comportamento professionale si ispira

a valori di disinteresse personale, di indipendenza, di imparzialità”

e che “Il Giudice di Pace svolge le sue funzioni con diligenza e ope-

rosità. Conserva e accresce il proprio patrimonio culturale impe-

gnandosi nell’aggiornamento e approfondimento delle conoscenze

professionali, frequentando i corsi organizzati a tal fine”, disci-plinando espressamente “La condotta nel processo”. Analo-gamente, il codice deontologico adottato dallaFEDER.M.O.T. richiama al rispetto dei “valori di indipendenza

ed imparzialità” nello svolgimento delle funzioni e stabilisceche “Nella vita sociale il magistrato onorario di tribunale si com-

porta con dignità e correttezza, dimostra sensibilità verso l’inte-

resse pubblico, e non si serve del suo ruolo per ottenere benefici o

privilegi di alcun genere”; codifica i “pre-requisiti” della indi-pendenza (“Il magistrato onorario di tribunale garantisce e di-

fende l’indipendente esercizio delle proprie funzioni”) e dellaimparzialità (“Nell’adempimento delle sue funzioni il magistrato

onorario di tribunale si adopera per rendere sempre effettivo il va-

lore dell’imparzialità, rispettando la dignità di ogni persona, evi-

tando discriminazioni e/o pregiudizi di qualsiasi tipo e respingendo

ogni pressione, segnalazione o sollecitazione comunque diretta ad

influire sui tempi e sui modi dell’amministrazione della giustizia.

Il magistrato onorario di tribunale assicura altresì che nell’esercizio

delle sue funzioni la sua immagine di imparzialità sia sempre pie-namente garantita. A tal fine valuta con il massimo rigore la sus-

sistenza di situazioni di possibile astensione per gravi ragioni di

opportunità”); disciplina la “condotta nel processo” del giudiceonorario di tribunale (riserbo e rispetto del ruolo delle parti)e del vice procuratore onorario (acquisizione anche deglielementi di prova a favore dell’indagato ed equidistanza

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dall’organo giudicante); regolamenta espressamente la“condotta fuori del processo” imponendo: “educazione e corret-

tezza” nei rapporti col personale amministrativo; “diligenza, ope-

rosità ed accrescimento del proprio patrimonio professionale”;

impone il rispetto di tutte le incompatibilità “a cominciare da

quella relativa all’esercizio della professione forense di cui agli

artt.42quater, 2° comma, e 71bis del R.D. 30 gennaio 1941 n.12”.24) La giurisprudenza amministrativa (Tar Lazio, 12 marzo2008 n. 2228 e 25 settembre 2007 n. 9397) ha ritenuto che l’as-senza di un sistema graduato di sanzioni non configura unadisparità di trattamento con i magistrati ordinari, in ragionedel carattere fiduciario e temporaneo dell’incarico del g.o.t.(e del v.p.o.) per il quale dunque “…è certamente giustificato

e coerente con le modalità di nomina che in caso di inosservanza

dei relativi doveri… con atto parimenti discrezionale possa essere

revocato”.

Peraltro, è stato opportunamente evidenziato (Cavallini-Giangiacomo, op. cit. pag. 33) come il reclutamento di g.o.t.e v.p.o. sulla base di graduatorie approvate ed utilizzabilifino al successivo bando (cfr. articolo 3 delle circolari) attu-tisca gli effetti della revoca sul piano organizzativo e con-senta una rapida sostituzione (non condizionata dallevacanze dei posti, come accade per i Giudici di Pace, inqua-drati in piante organiche) senza incidere traumaticamentesull’assetto della giurisdizione. 25) Vedi Cavallini-Giangiacomo, op. cit., pagg. 209 e ss.; pagg.263 e ss.26) Ci si riferisce ai casi di cessazione per cause diverse daquelle in cui si tratta di prendere atto dell’accadimento diun atto al quale la legge ricollega automaticamente deter-minati effetti, come accade per la cessazione per limiti di etàe per dimissioni ovvero per la decadenza in assenza dellapresa di possesso dell’ufficio nei termini o per mancato eser-cizio delle funzioni: cfr. art. 13, primo comma, delle circolariin materia. 27) Per la rilevanza ai fini della ricostruzione di un sistemaunitario di precetti comportamentali e sanzioni si rinvia alprimo paragrafo dei capitoli II e III, ed ai richiami contenutinelle relative note. 28) Cfr. art. 42ter ord. giud.29) Su tali requisiti il secondo comma dell’art. 3 delle circolaririchiede “espressa motivazione” delle proposte dei ConsigliGiudiziari.30) La definizione è richiamata all’art. 7 delle circolari, cherichiede, in aggiunta, una dichiarazione sulla inesistenza dicause di incompatibilità derivanti dall’esercizio della pro-fessione forense o in relazione alle previsioni dell’art. 19 ord.giud. La giurisprudenza ha più volte agganciato la nozionedi “ogni elemento utile” alla natura discrezionale dell’apprez-zamento che il Consiglio superiore è chiamato ad esprimerein sede di conferma nell’incarico, in ragione del rapporto fi-duciario intercorrente con i magistrati onorari.

31) Le decisioni assunte dal CSM - nelle proprie delibere enelle procedure di decadenza e revoca in cui è stata spessomitigata la portata del divieto - si ispirano all’imposizionedel minor sacrificio per l’esercizio della libera attività pro-fessionale che sia “strettamente funzionale alle reali esigenze di

correttezza e trasparenza che devono sorreggere l’esercizio della

funzione” (cfr. delibera del 30 maggio 2007). E così, le circo-lari vietano: l’assunzione di un altro incarico onorario e dicomponente laico di organi giudicanti (arg. ex art. 2 quartocomma lett. e); l’esercizio dell’attività legale c.d. stragiudi-ziale, diretta all’esercizio dell’attività professionale nei pro-cedimenti che si svolgono dinanzi agli uffici giudiziaripresso il quale si esercitano le funzioni onorarie (art. 5 terzocomma, circolare sui got, ed art. 5 quarto comma, circolaresui vpo); gli incarichi di consulente, perito o interprete neiprocedimenti dinanzi agli uffici giudiziari dell’intero circon-dario di Tribunale (art. 5 quarto comma, circolare sui got,ed art. 5 quinto comma, circolare sui vpo). Il Consiglio hainvece consentito lo svolgimento dell’attività libero-profes-sionale dinanzi ai giudici amministrativi, tributari e conta-bili (aventi ambiti di competenza territoriale sovraordinatirispetto al circondario del Tribunale, salva la verifica, in con-creto, della concreta interferenza con le funzioni onorarie)come pure dinanzi al Tribunale per i Minorenni ed allaCorte di Appello ma non nei procedimenti provenientidall’ufficio dove il magistrato onorario opera. A norma dicircolare non si estendono, infine, a g.o.t. e v.p.o. le incom-patibilità ex art. 18 ord. giud. (di sede, per rapporti di pa-rentela e affinità con esercenti la professione forense) ma siestendono quelle ex art. 19 ord. giud. (per rapporti di pa-rentela, affinità, coniugio o convivenza con magistrati ordi-nari o con altri magistrati onorari), secondo i criteri dettatidalla circolare del CSM del 23 maggio 2007 in quanto com-patibili. 32) Cfr. in proposito cap. III, ult. §).33) In tal senso, Tar Lazio 31 dicembre 2007 n. 14279, secondocui, pur costituendo la decadenza un accertamento costitu-tivo e la procedura disciplinare una valutazione discrezio-nale, i loro effetti sono identici in quanto precludonol’ulteriore svolgimento delle funzioni onorarie. 34) “Il giudizio di conferma sembra dunque essere il principale

strumento di selezione negativa utilizzato dal CSM”, così Ca-vallini-Giangiacomo, op. cit., pag. 269. Secondo il Tar Lazio,20 febbraio 2008 n. 1528, anche una “condotta non consona

allo status di magistrato è sufficiente a sorreggere il diniego di con-

ferma”. All’esito dell’indagine statistica compiuta dagli Au-tori sopra citati è emerso che molte delle delibere consiliaridi mancata conferma sono state motivate con la violazionedel dovere di diligenza, e poi, a seguire, per violazione deldovere di laboriosità, esistenza di procedimenti disciplinario penali, violazione del dovere i imparzialità, sussistenza dicause di incompatibilità. A fronte di 75 casi di mancata con-

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ferma, per quanto concerne gli altri “strumenti di selezionenegativa”, evidenziano sempre gli Autori, sono stati riscon-trati 28 casi di decadenza e 25 casi di revoca. Altra indaginestatistica compiuta sulle delibere assunte nel quinquennio2002-2006 – citata da Aghina, La magistratura

onoraria cit., pag. 906 – evidenzia la quasi coincidenza nu-merica tra le revoche pronunciate nei confronti dei Giudicidi Pace e quelle nei confronti di got e vpo. 35) In tal senso, Tar Lazio 29 marzo 2006, n. 2171. 36) Si contrappongono l’orientamento secondo cui potrebbeessere ostativo alla conferma anche l’esito favorevole di unprocedimento disciplinare o penale - laddove la vicendaabbia comunque compromesso i requisiti di indipendenza,credibilità e prestigio della funzione onoraria -, e quello percui se il suddetto pregiudizio è stato escluso in sede disci-plinare o penale gli stessi fatti non potrebbero essere diver-samente valutati in sede di conferma. 37) Le forme conclusive del procedimento sono quelle pre-viste dall’ultimo comma dell’art. 42 ter ord. giud. per la pro-cedura di nomina, richiamata dall’ultimo comma dell’art.42 sexies, e riprodotte dalle circolari consiliari. Ai sensi del-l’ultimo comma dell’art 13 delle circolari, in caso di deca-denza e/o revoca il Presidente del Tribunale o il Procuratoredella Repubblica chiederanno al Consiglio Superiore di co-prire il posto resosi vacante con il candidato che risulti ido-neo secondo l’ordine progressivo della graduatoria giàapprovata. Per ulteriori considerazioni e per le differenzerispetto alle “piante organiche” previste per i Giudici diPace, vedi anche la nota 24.38) Per le differenze con la procedura prevista per l’irroga-zione delle sanzioni disciplinari ai Giudici di Pace, vedi cap.I, ult. §). 39) Parte della dottrina (Cavallini-Giangiacomo, op. cit.,pag. 35) assume una posizione molto critica denunciandoun’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai GdP;deducendo che la dizione “esclusivamente” adottata dal-l’art. 16 atterrebbe solo alla selezione di materie indicatedall’art. 15, e non anche alle ulteriori attribuzioni dei Con-sigli Giudiziari previste dalla legge (pareri per il passaggiofunzioni, attitudinali specifici, per il conferimento fun-zioni, inclusi dunque i pareri per la nomina e la confermadei magistrati onorari); stigmatizzando il risultato antite-tico rispetto alla ratio ispiratrice della riforma dei ConsigliGiudiziari, la quale prevede un’apertura alla componentediversa dai magistrati professionali laddove non si incidasullo status di questi ultimi ma sull’andamento degli uffici,prevedendo la componente laica in sede di formazione de-centrata di tutti i magistrati onorari). Per un completo ex-

cursus sulle novità introdotte dal D. Lgs. 25/2006 perquanto riguarda la giustizia di pace, per le decisioni as-sunte nel tempo dal CSM e per la “emarginazione” dellealtre categorie di magistrati onorari rispetto ai giudici di

pace, vedi Aghina, op. cit., pagg. 832 e ss. 40) L’art. 20 dispone che l’azione disciplinare è promossa in-dipendentemente dall’azione civile risarcitoria o dall’azionepenale per lo stesso fatto; sancisce l’efficacia delle sentenzepenali irrevocabili di condanna nel procedimento discipli-nare, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto,della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputatolo ha commesso; sancisce l’efficacia delle sentenze penali ir-revocabili di assoluzione nel procedimento disciplinare,quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’im-putato non lo ha commesso.41) Gli articoli da 21 a 24 prevedono la sospensione cautelareobbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio per il magi-strato ordinario sottoposto a misura cautelare personale nel-l’ambito di un procedimento penale, e la sospensionecautelare facoltativa quando il magistrato è sottoposto aprocedimento penale per delitto non colposo punibile anchein via alternativa con pena detentiva o quando al medesimopossono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo discipli-nare che per la loro gravità siano incompatibili con l’eserci-zio delle funzioni. 42) L’art. 18 prevede che il giudice di pace è sospeso auto-maticamente dalle funzioni quando è sottoposto a misuracautelare, mentre può essere sospeso dalle funzioni neglistessi casi previsti per i magistrati ordinari.43) Trattandosi di una decisione idonea ad incidere sullo sta-

tus del magistrato onorario a fronte della mera pendenza diun procedimento penale si richiede, comunque, la consi-stenza e la serietà degli addebiti mossi, proprio come le con-dotte rilevanti sul piano disciplinare devono apparire di unagravità tale da impedire il professionale e dignitoso prose-guimento dell’incarico onorario.44) Tra le numerose riflessioni critiche, in dottrina, vedi:Aghina, op. cit., pagg. 823 e ss., anche a proposito della“am-

piezza della quota di giurisdizione rimessa nel nostro ordinamento

alla magistratura onoraria” e del “processo di semiprofessiona-

lizzazione della magistratura onoraria incentivato dal CSM”; Ca-vallini-Giangiacomo, op. cit. pag. 211, con i relativiapprofondimenti sulla “clamorosa scissione tra norme e prassi

in materia di magistratura onoraria”; Cavallini, Il giudice ono-

rario di Tribunale: quali limiti alle sue funzioni?, in Riv. trim.proc. civ., 2007, pagg. 199 e ss.; Luiso, L’ordinamento giudi-

ziario in rivoluzione, in Giur. It., 1999, pag. 767 e ss. per la sug-gestiva valutazione per cui “la magistratura onoraria sembra

avere lo stesso ruolo degli immigrati, i quali compiono quei lavori

che gli altri non sono disponibili a svolgere”.45) d’iniziativa del Senatore Maritati. 46) d’iniziativa del Senatore Valentino.47) d’iniziativa dei Senatori Berselli e Mugnai.

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Quale avvocatura per l’avvenire in Italia?

Non abbiamo ancora sufficienti elementiper trarre delle conclusioni, ma certamenteè una contesa aspra quella che contrap-pone, ormai da qualche anno, due modelliconcettuali della professione forense: quellocd. liberista e quello che definiremo,invece,tradizionale.

Il modello liberista è, come noto, aval-lato dai sostenitori della concorrenza senzavalori e senza limiti, dagli entusiasti di unasocietà degli individui uti singuli, caratte-rizzata dall’assenza di intermediazioni trail cittadino-monade e lo Stato. Secondo co-storo anche l’avvocatura e le professioni li-berali, da considerarsi mere sovrastrutture,volendo usare una terminologia marxista,debbono assecondare le logiche di mercatoed essere funzionali ad esso.

Il modello tradizionale raffigura, in-vece, l’avvocatura legata ai valori costitu-zionali della nostra cultura giuridica, anticae sempre dignitosa, modificatasi profonda-mente, peraltro, in funzione delle nuove ericonosciute esigenze sociali. Tale conce-zione è anche quella accolta, in primis, dallaCorte di Giustizia che in più pronunce ha

riconosciuto l’indipendenza, l’assenza diconflitti di interesse e il segreto professio-nale quali valori fondamentali della profes-sione legale e rimarcato l’indispensabilitàdi una normativa che salvaguardi questivalori fondamentali, a prescindere e nono-stante gli effetti restrittivi sulla concorrenzache ne potrebbero risultare.

Lo stesso Parlamento europeo, d’al-tronde, nella Risoluzione del 23 marzo2006, “riconosce pienamente la funzione cru-ciale esercitata dalle professioni legali in una so-cietà democratica, al fine di garantire il rispettodei diritti fondamentali, lo stato di diritto e lasicurezza nell’applicazione della legge, sia

quando gli avvocati rappresentano e difendono

i clienti in tribunale, che quando danno parerelegale ai loro clienti.”

Volendo trarre una prima conclusione,va subito evidenziato che la cd. visione li-

berista non solo non concreta, ma addirit-tura stravolge e fraintende i principigenerali del diritto comunitario. Esaltandola diversità degli ordinamenti e la competi-zione delle regole tra gli Stati, si oppone, in-fatti, all’unificazione delle regole di dirittosostanziale e processuale, in netto contrastocon quella libera circolazione dei servizi le-

La professione forensenella prospettiva europeae gli equivoci della politica in Italia

Vito Antonio De PalmaAvvocato del Foro di Bari, Docente di Diritto Penale della Prevenzione – L.U.M.

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gali in Europa, tanto auspicata dalla Comu-nità.

Inoltre, auspicando l’abolizione degli

Ordini, l’eliminazione delle tariffe, la li-

bertà di pubblicità, la visione liberista in-vece di abbattere le reali “barriere” alladiffusione della libera concorrenza nei ser-vizi, rimuove proprio quegli elementi chegarantiscono il corretto funzionamento delmercato dei servizi professionali, elimi-nando l’asimmetria informativa altrimentiesistente tra il professionista ed il suo cliente.

Questa visione è, infatti, chiaramente con-traddetta dalla “posizione comune” del

Consiglio e del Parlamento europei del 17

luglio 2006 in materia di disciplina di ser-vizi, che distingue coerentemente la presta-zione di servizi di natura professionale dallaprestazione di servizi d’impresa.

La distinzione è peculiare e importante,in quanto la disciplina differisce con riferi-mento agli stessi interessi tutelati: la primaessendo improntata sulla garanzia dell’inte-resse pubblico sotteso alla libera professione,la seconda risultando orientata, invece, allatutela dell’interesse privato nell’ambito delleregole di mercato.

Ma c’è molto di più. La posizione comuneaffronta, infatti, molteplici temi che appa-iono in totale contraddizione con la visioneliberista in auge nelle recenti posizioni as-sunte dalla politica italiana.

Il considerando n. 101 della “posizione co-mune” afferma, così, che la prestazione diservizi multidisciplinari da parte del pro-fessionista è consentita solo nel limite dei va-lori di “imparzialità, indipendenza,integrità”: gli Stati membri non solo pos-sono, ma devono applicare restrizioni o di-vieti che li garantiscano.

Il considerando n. 113 auspica, invece, la re-dazione di codici di condotta comunitari, ri-

spettosi allo stesso tempo del diritto comu-nitario e del diritto della concorrenza e inlinea con i codici deontologici dei singolistati membri.

Al riguardo, il CCBE, l’organismo rappre-sentativo degli avvocati in Europa, ha re-datto “The right kind of justice for

Europe”, un manifesto che indica i quattroobiettivi fondamentali che l’avvocatura eu-ropea si deve prefiggere:

Finding the right organisation at the Euro-pean Commission to deal with justice issues bysetting up a DG Justice: instaurare un Diret-

torato Generale della Giustizia a livello eu-ropeo al fine di mantenere la separazione deipoteri, combattere i conflitti di interessi, co-ordinare le legislazioni tra i Paesi membrinel settore giustizia;

Protection of all guarantees of the rule of law,including the right of a client to consult a lawyerin full confidence: poiché gli avvocati sono i“garanti dei diritti fondamentali e delle li-bertà” (come testualmente si legge), deve es-sere tutelato il diritto dei clienti diconsultare l’avvocato in totale confidenza,nel rispetto della segretezza e della privacy.Non si tratta di difendere gli interessi di unacategoria, bensì di tutelare l’interesse pub-blico ad una difesa piena ed efficace;

Introduction of minimum common procedural

safeguards for the rights of suspects and defen-dants in criminal proceedings: istituire misureprocedurali minime di salvaguardia, a li-vello europeo, dei diritti dell’indagato e

dell’imputato nel processo penale vuol direconsentire loro di consultarsi con un legaleprima e durante il processo; garantire loroun interprete durante il procedimento e latraduzione gratuita degli atti processuali; ri-volgere particolari attenzioni alle personeche hanno difficoltà a capire o seguire il pro-cesso; garantire il diritto di comunicare con

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le autorità consolari nel caso in cui l’inda-gato sia straniero (fuori dalla UE); renderenoti alle persone indagate i loro diritti,anche mediante una “lettera dei diritti”;

Ensuring a better balance between liberty

and security in legislation against terrorism

and organised crime: talvolta risulta partico-larmente complesso trovare un bilancia-mento tra la garanzia della sicurezza

pubblica e quella dei diritti umani e delle

libertà civili. Tuttavia, sicurezza e dirittiumani possono pienamente coesistere esono entrambi indispensabili per preveniree combattere efficacemente il terrorismo. IlCCBE si preoccupa, pertanto, in armoniacon quanto già ribadito dal Parlamento edal Consiglio europei, nonché dal Consigliodi sicurezza e dall’Assemblea Generale, digarantire un giusto equilibrio. Spesso unalegislazione eccessivamente restrittiva e se-vera, più che combattere il fenomeno terro-ristico, ingenera nei cittadini unainsicurezza dovuta alle ripercussioni di talilegislazioni sulle libertà fondamentali. Laricerca del bilanciamento, in ogni singolaattività di contrasto, deve costituire obiet-tivo primario dei singoli Stati.

Ritornando alla “posizione comune”, ilconsiderando n. 114, in tema di pubblicità

commerciale, prevede che essa sia inseritanei codici di condotta, ma con due limita-zioni, dovendosi coniugare tale pubblicitàcon la natura specifica di ogni professionee con l’esigenza, imprescindibile, di garan-tire l’indipendenza, l’imparzialità e il se-greto professionale.

Alla luce di quanto detto, non può nonessere evidenziato lo stretto legame che,anche in sede europea, è quindi ricono-sciuto tra l’avvocatura e quei diritti fonda-

mentali che, salvaguardati in Italia dallaCostituzione, sono riconosciuti quali prin-cipi generali del diritto comunitario edespressi chiaramente nella Carta di Nizza.

Non solo al giudice, ma anche, e prelimi-narmente, all’avvocato spetta il difficile, mafondamentale, compito di selezionare, va-gliare, interpretare i diritti fondamentaliper renderli azionabili in giudizio (non acaso la Risoluzione del Parlamento Euro-

peo del 23 marzo 2006 affida all’avvocaturauna funzione sociale, prima che proces-suale).

Insomma, anche nel terzo millennio, èl’avvocato che, insieme al giudice, tra-sforma i diritti astrattamente riconosciuti indiritti effettivamente garantiti, i diritti de-boli in diritti forti.

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Swap, options e futures, negli ultimi diecianni, sono entrati negli enti locali, proiet-tando l’attività degli amministratori pubbliciverso la frontiera più avanzata dei mercati fi-nanziari. Tuttavia, di fronte agli esiti delleprime vicende giudiziarie in materia (Tribu-nale di Rimini, sentenza n. 1523/2010; T.A.R.Toscana, sentenza n. 66/2010), da più parti sisollevano taluni dubbi sull’opportunità ditale scelta. E ciò, non tanto con riguardo allacapacità dei comuni di relazionarsi con lacomplessità di tali contratti, né tantomenocon esclusivo riferimento alla crisi finanzia-ria che funesta il mercato dei capitali a par-tire dal 2006. L’indagine, condotta secondo iparadigmi di law and economics, deve, infatti,valutare la coerenza di tali strumenti con gliobiettivi propri della gestione finanziaria diun ente locale, secondo i dettami previsti dalnostro ordinamento.

Va, infatti, tenuto presente che l’utilizzo ela diffusione dei derivati nella pubblica am-ministrazione deve rispondere, in via priori-taria, alla finalità di fronteggiare improvvisevariazioni nei parametri propri dei mercatifinanziari (e, quindi, di mitigare rischi ditasso, di cambio, di valore, di liquidità…) ov-vero all’esigenza di rimodulare le dinamichedei cash flow. Non v’è dubbio che la ricerca di

fini speculativi, oltre a rappresentare una di-storsione della finanza innovativa, è estraneaalle competenze degli amministratori locali,i quali possono perseguire esclusivamente fi-nalità di neutralizzazione nell’ambito di unapolitica di finanziamento adeguata all’operainfrastrutturale da realizzare.

Sul piano istituzionale, è stata da tempoavvertita l’esigenza di evitare che prevalganocomportamenti opportunistici, tali cioè daimpiegare gli strumenti finanziari derivatiper posticipare alcuni oneri a periodi futuri,successivi al rinnovo delle cariche elettive. Insiffatto contesto, il legislatore aveva già pre-visto imponenti presidi avverso tale compor-tamenti, presidi che si sostanziavano, da unlato, nell’introduzione di una nullità per icontratti di indebitamento relativi a spese di-verse da quelle di investimento (posti in es-sere in violazione dell’articolo 119 dellaCostituzione) e, dall’altro, nella previsione diuna sanzione pecuniaria a carico degli am-ministratori che hanno assunto la relativa de-libera (pari ad un minimo di cinque e fino adun massimo di venti volte l’indennità di ca-rica e rimessa all’autorità delle sezioni giuri-sdizionali regionali della Corte dei conti). Siprotegge, pertanto, l’assetto reddituale e l’in-tegrità patrimoniale dell’ente, nonché si per-

Finanza globale e enti locali:quali percorsi per liberarsidai derivati?

Valerio LemmaRicercatore di Diritto dell'Economia all'Università G.Marconi,Professore a contratto integrativo presso la Luiss

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segue il tentativo di offuscare la trasparenzadella relativa rappresentazione contabile( art.30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002,n. 289).

Passando al piano quantitativo, rilevano ilimiti posti sia per le Regioni (che, per quellea statuto ordinario, che non può superare il 25per cento del totale delle entrate tributarie nonvincolate; art. 10, comma 2, della legge 16maggio 1970, n. 281), sia per Province e Co-muni. Se è ormai chiaro che al computo di talelimite concorra anche la somma percepita almomento della sottoscrizione del derivato (cd.upfront; Art. 3, comma 17, della legge 24 di-cembre 2003, n. 350, e successive modifica-zioni), altrettanto non può dirsi per la regolache commisura i vincoli di Province e Comuninon allo stock di indebitamento, ma alla spesaper interessi (che attualmente non può supe-rare il 15 per cento delle entrate correnti rela-tive ai primi tre titoli - entrate tributarie,entrate derivanti dai trasferimenti correnti daparte degli enti pubblici ed entrate extra-tri-butarie - del rendiconto del penultimo annoprecedente quello in cui viene prevista l’ac-censione del debito; legge finanziaria per il

2007). È evidente che il ricorso all’ingegneriafinanziaria consente di modificare la spesa perinteressi, attraverso lo strumento dell’interest

rate swap (e, dunque, scambiando il propriotasso con un altro, anche solo per un periodolimitato nel tempo) ovvero tramite l’acquistodi cap o collars (che limitino il valore massimodel tasso applicabile) od ancora attraverso lavendita di floor (assicurando, per un periodofuturo, il pagamento di un livello minimo diinteressi, indipendentemente dall’eventualediminuzione dei tassi).

In altri termini, dall’inizio del nuovo mil-lennio, la normativa sull’utilizzo di strumentifinanziari derivati ha perseguito il fine di evi-tare l’assunzione di rischi eccessivi da parte

delle amministrazioni locali. A ciò deve esserricondotta sia la disciplina recata dalla citatalegge 28 dicembre 2001, n. 448, sia il susse-guente decreto ministeriale 1 dicembre 2003,n. 389 (cd. Regolamento concernente l’accessoal mercato dei capitali da parte delle province,dei comuni e delle regioni). L’effettività deldebito sottostante ai derivati e la semplicitàdella struttura negoziale avrebbero dovutorappresentare i cardini dell’eventuale opera-tività in derivati degli enti locali. È chiaro l’ap-proccio tuzioristico del regolatore, che si èpreoccupato anche di evitare l’esposizione alrischio di controparte (ammettendo solo inter-mediari finanziari di elevato standing).

Tuttavia, nel volgere di pochi anni si è resanecessaria una forma di vigilanza informativasui derivati, basata sull’introduzione di obbli-ghi di comunicazione dall’ente locale al Dipar-timento del Tesoro (responsabile dellasuccessiva informativa alla Corte dei Conti) epresidiata da una condizione legale di effica-cia dei contratti stessi, subordinata all’adem-pimento dell’obbligo in parola (art. 1, comma737, legge 27 dicembre 2006, n. 296), nonchésulla rappresentazione dei medesimi nel bi-lancio (art. 1, commi 381-384, legge 24 dicem-bre 2007, n. 244).

L’introduzione di elevati livelli di traspa-renza e pubblicità hanno permesso di com-prendere che non sia stata sufficiente sia laprevisione di un mero ruolo di coordinamentoal Ministero dell’Economia e delle finanze, siail conferimento di meri compiti di monitorag-gio (e non di supervisione) delle operazioni fi-nanziarie poste in essere dagli Enti locali (art.41, legge 28 dicembre 2001, n. 448).

Tale considerazione trova conferma nellevicende giudiziarie che hanno avuto ad og-getto gli strumenti finanziari derivati stipulatidagli enti locali, dalle quali si evince che, in ta-luni casi, i derivati non sono stati impiegati

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per allineare finanziamenti ed investimentipubblici, ma si sono trasfusi in formule im-proprie di indebitamento delle amministra-zioni locali. È dato riscontrare, infatti, ilproposito di anticipare i flussi positivi rive-nienti dal contratto derivato e di deferire adun periodo futuro i relativi oneri, senza unadeguato giudizio di convenienza. Ciò, conevidenti effetti negativi sul Comune, sullaProvincia o sulla Regione.

A valle di tali vicende si colloca la mano-vra triennale di finanza pubblica, adottatanel 2009, che ha introdotto il divieto - a carat-tere emergenziale - di sottoscrivere nuovicontratti derivati; divieto non assoluto, matemporalmente delimitato al periodo di rior-dino complessivo della regolamentazione (ecomunque di un anno; legge 133 del 2008).Denota significatività che la posizione di con-trarietà ai derivati non si è tradotta in un li-mite all’operatività, ma nell’obbligo diprocedere ad una disciplina della tipologiadei contratti (tipizzazione); all’individua-zione di un contenuto informativo minimo(trasparenza) ed alle regole di rendiconta-zione contabile e di pubblicità dei medesimi.

È questa una valida enucleazione degliaspetti più problematici che sono emersi a se-guito dell’utilizzo di strumenti finanziari de-rivati da parte degli enti locali. Tuttavia, nonsi potrà procedere oltre senza tener in debitoconto dei vincoli introdotti dal Patto di sta-bilità interno. Rigore e trasparenza sono,dunque, i principi cui dovrà riferirsi la ge-

stione delle risorse di finanza pubblica,anche nella più recente prospettiva del fede-ralismo fiscale (sì come è tracciata dalla leggedelega 5 maggio 2009, n. 42, in attuazionedell’articolo 119 della Costituzione).

Il nuovo assetto disciplinare permette dicomprendere che quali siano le ragioni del ri-corso alle aule dei tribunali da parte delleamministrazioni che, subentrando alla guidadi un ente locale, hanno ereditato contrattiderivati di dubbio valore (o meglio, con mark

to market negativo). Non va, dunque, conside-rata solo la possibilità di promuovere ricorsiancorati ad errori formali, ma di formularecontestazioni che possono trovare il propriofondamento anche nell’erronea qualifica-zione dell’ente locale (come «operatore pro-fessionale»), nella presenza di costi implicitio nella violazione del principio della conve-nienza economica del contratto.

Appare, infine, possibile formulare l’au-spicio che, in futuro, gli enti locali si orien-tino verso meccanismi avanzati per larealizzazione di investimenti che facciano af-fidamento sul coinvolgimento dei privati(come avviene nel project financing), piuttostoche verso la gestione del proprio fabbisognofinanziario con strumenti complessi (qualisono i derivati). È questa una scelta politica,che in quanto tale è rimessa agli amministra-tori; al giurista resta il solo compito di tute-lare le Regioni, le Province ed i Comuni chesono stati penalizzati da un’operatività in de-rivati non conforme alle regole.

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Mobilità e sostenibilità energetico-ambientale

Disporre di un sistema efficiente di mobi-lità è una fra le esigenze più consolidate dellasocietà moderna, in quanto presupposto es-senziale, per ogni individuo e per la colletti-

vità, per lo svolgimento delle proprie attivitàe per il soddisfacimento di bisogni personalie sociali.

Inoltre il trasporto ad oggi ha un ruoloprioritario nello sviluppo della società e nellivello di competitività di un Paese. Da

Efficienza energetica e sistemidi trasporto

Maria Carmen FalvoProfessore aggregato di Ingegneria Elettrica

Figura 1 – Proiezione della crescita dell’attività totale nei trasporti e delPIL nella UE27. (Fonte dati: “European Energy and Transport Trends to2030”, Commissione Europea, DG TREN 2008)

Figura 2 – Consumi Energetici in Europa per Settore (Fonte: Bilancioenergetico dei Paesi OECD, International Energy Agency (IEA) 2006)

Figura 4 - Proiezioni del Market Share dei veicoli su strada al 2030.Figura 3 - a) Emissioni totali di gas serra per settore nella UE 27 nel2005; b) emissioni di gas serra relative al settore dei trasporti nella UE27 nel 2005 (Fonte: “EU Energy and Transport in Figures”, Commis-sione Europea 2008)

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un’analisi condotta dalla Commissione Euro-pea DG TREN 2008, dal titolo “European

Energy and Transport Trends to 2030”, si evinceuna stretta correlazione tra il Prodotto InternoLordo (PIL) e le attività nel settore dei tra-sporti. La Figura 1 riporta dati relativi a questacorrelazione per l’Unione Europea (UE) ipo-tizzando uno scenario di tipo business as usual.L’effetto diretto di tale evoluzione è che la do-manda di trasporto aumenterà in futuro comeeffetto della crescita economica, ed al con-tempo tale incremento sarà possibile solo sel’attività nel settore dei trasporti potrà cresceredi conseguenza.

Contestualmente le esigenze di mobilità ri-sultano ad oggi fortemente interagenti con unaltro requisito fondamentale per lo sviluppodi un Paese: la sostenibilità energetica ed am-bientale. E’ infatti ormai consolidata la consa-pevolezza che le scelte strategiche delprossimo futuro, oltre a rispondere a requisitidi carattere economico-finanziario, dovrannorisultare compatibili con i vincoli ambientali,definiti a livello locale e globale, e con il con-senso sociale.

Recenti relazioni dell’IntergovernmentalPanel on Climate Change indicano la necessitàdi ridurre le emissioni globali di gas serra dialmeno del 60% entro il 2050, necessità checresce per i Paesi sviluppati (riduzione richie-sta intorno all’80%) in modo da contrastare leminori riduzioni nei Paesi in via di sviluppo,associate alla loro rapida crescita economica.

In un qualunque Paese industrializzato,come l’Italia, alle attività di trasporto è ricon-ducibile circa un terzo dei consumi finali dienergia. Parallelamente, il sistema di mobilitàurbana, basato prevalentemente su veicoli do-tati di motore a combustione interna, costitui-sce una delle maggiori fonti di inquinantiatmosferici. Anche a livello di UE il settore deitrasporti è responsabile di circa il 30% del-l’energia totale consumata e del 27% dei gas

serra emessi, il 72% dei quali sono attribuibilial solo trasporto su strada (vedi Figure 2 e 3).

Per tali motivi, la pianificazione e la ge-stione dei sistemi per la mobilità non possonopiù non tener conto di esigenze specifiche disostenibilità ambientale.

Nuovi modi di trasporto in contesto urbano

Riferendosi specificatamente ai sistemi ditrasporto urbano, collettivo e individuale, vin-coli di sostenibilità ambientale a livello locale- imposti dai limiti di emissione di sostanzenocive alla salute degli individui - si sovrap-pongono a quelli globali - definiti in terminidi limiti di emissione di sostanze clima-alte-ranti. A tali aspetti è poi necessario sommarealtre due necessità nel progetto del sistema ditrasporto:- favorire, per motivi autorizzativi, econo-

mici e di impatto territoriale, le soluzioniche ottimizzino lo sfruttamento delle infra-strutture esistenti, procrastinando la neces-sità di costruire ex-novo ulteriori impianti;

- considerare l’effettivo appeal che le solu-zioni proposte eserciteranno sui cittadini-utenti, che le promuoveranno edutilizzeranno solo se veramente sarannoincrementate la qualità e il livello di diver-sificazione del loro portafoglio di servizi dimobilità. Tali vincoli rendono obsoleto in contesto

urbano un sistema di mobilità basato esclusi-vamente sull’uso dei tradizionali mezzi di tra-sporto con motori a combustione interna chebruciano combustibili fossili. A ciò si aggiungela volatilità del prezzo del petrolio e l’incer-tezza sugli approvvigionamenti futuri, chehanno effetti fortemente negativi sull’econo-mia, con uno scenario destinato con buonaprobabilità ad aggravarsi in futuro, a causa

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del possibile declino della produzione glo-bale ed il parallelo costante aumento delladomanda di combustibili per il trasporto.

Risolvere i problemi di sostenibilità ener-getica, economica ed ambientale associati altrasporto in contesti urbani richiede dunquel’introduzione di soluzioni di trasporto alter-native.

In tal senso la trazione elettrica ha per-messo negli anni passati di dare un notevoleimpulso ai trasporti collettivi di massa, met-tendo a disposizione di veicoli ad elevateprestazioni ed alta capacità di trasporto. Tut-tavia, la necessità di alimentazione dalla reteelettrica attraverso una linea di contattoesterna ha consentito solo l’espansione di si-stemi a guida vincolata (tramvie, metropoli-tane), che risultano adatti prevalentementeper il servizio sulle direttrici principali. Que-sta tendenza è ripresa ai nostri giorni, a se-guito dello sviluppo di molti centri equartieri urbani in cui si sta assistendo allacostruzione di nuove linee metropolitane etranviarie.

Nelle direttrici secondarie, nei piccoli cen-tri e nella mobilità privata sta maturando in-vece un notevole interesse verso veicoli abasso impatto ambientale, come alternativaai tradizionali veicoli con motore a combu-stione interna. Il solo settore automobilisticosta spendendo 20 miliardi di Euro all’anno inEuropa in materia di ricerca e sviluppo tec-nologico. Allo stesso tempo, la Commissioneeuropea, nell’ambito del 7 ° programma qua-dro sostiene, con un bilancio per la ricerca dioltre 4 miliardi di Euro in 7 anni, tutte le ideeproponenti “greener, safer and smarter tran-

sport systems”. Il primo risultato di questo trend culturale

e finanziario è la comparsa di un arcobalenodi soluzioni per veicoli stradali caratterizzateda basse o zero emissioni, quali i veicoli elet-

trici o ibridi, ad idrogeno o a biocombusti-bile. Parallelamente è cresciuta la consapevo-lezza sociale dell’utilità comune degliinvestimenti individuali su sistemi di tra-sporto sostenibile: un recente sondaggionegli Stati Uniti, ha rilevato che il 72% degliamericani sarebbe disposto ad acquistare unauto a basse o zero emissioni più di un vei-colo tradizionale, indipendentemente dalprezzo.

Trascurando i veicoli a idrogeno o a bio-carburanti, il cui sviluppo è fortemente le-gato alla disponibilità della risorsa primaria,le principali opzioni tecnologiche corrispon-denti ai suddetti requisiti e, allo stessotempo, compatibili con lo stato attuale dellatecnologia, sono i veicoli elettrici e ibridi. Èda sottolineare che paradossalmente il pros-simo futuro sarà rappresentato dalla più “an-tica” delle soluzioni, come si evince dal titolodel secondo recente film di Chris Paine, “Re-

venge of Electric Car”, che ha seguito il primofilm del 2000 dal titolo “Who Kills the Electric

Car?”: la tecnologia alla base dei veicoli elet-trici ed ibridi risale agli anni ’90.

Un’analisi sulla futura penetrazione nelmercato - dal 2010 al 2030 - dei veicoli con-venzionali (CV), dei veicoli elettrici ibridi(Hybrid Electric Vehicle, HEV) e dei veicolielettrici ibridi Plug-in (Plug-in Hybrid Elec-

tric Vehicle, PHEV) conduce ai risultati mo-strati in Figura 4: gli HEV rappresentano giàcirca il 15% del mercato delle vendite di vei-coli nuovi, mentre gli PHEV dovrebbero en-trare nel mercato dal 2010. I PHEVpotrebbero raggiungere un massimo del30% entro il 2015. L’International Energy

Agency (IEA) individua un percorso mag-giormente dettagliato dell’evoluzione deiveicoli leggeri a propulsione elettrica, e pre-vede un aumento delle vendite annuali diqualche migliaio entro il 2012, di diversi mi-

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lioni entro il 2020, e oltre di 100 milionientro il 2050. Anche con una forte crescita ingenerale delle vendite di auto a livello mon-diale, gli EV ed i PHEV sarebbero più del50% dei veicoli commerciali leggeri vendutinel 2050, come mostrato nella Figura 5.

Tuttavia, la diffusione dei veicoli elettricied ibridi è vincolata alla disponibilità di in-frastrutture dedicate per la loro ricarica. Losviluppo di tali sistemi costituisce ad oggi lapiù importante barriera per la diffusionedella propulsione elettrica per il trasporto ur-bano. Infatti, se da un lato lo sviluppo delleinfrastrutture su ampia scala non può che se-guire di pari passo l’incremento del numerodi veicoli in circolazione, poiché gli elevatiinvestimenti richiesti non sarebbero altri-menti giustificabili, dall’altro l’inadegua-tezza della rete di rifornimento costituisce unpotente freno al loro acquisto e diffusione.

Per risolvere questo problema di tipo chic-

ken-and-egg, un ruolo importante è svolto daisistemi di trasporto pubblico e dalle flotte diveicoli in territorio urbano: il public procure-

ment di flotte di veicoli elettrici potrebbe ge-nerare sufficiente domanda da giustificare lacostruzione di nuclei iniziali di infrastrut-tura, che successivamente potrebbe anche es-sere messa a disposizione anche di utentiprivati.

Allo stato attuale, non esistono nel mondocasi di reti elettriche esclusivamente dedicatealla ricarica di veicoli. La tendenza odiernaporta all’impiego di reti di distribuzione giàesistenti, con molte problematiche di caratteretecnico conseguenti: la presenza di punti di ri-carica su una rete già esistente comporta pro-blemi di continuità, affidabilità, compatibilitàe qualità del servizio elettrico per gli altriutenti connessi alla stessa rete. L’importanzadi questo problema è sottolineata da un re-cente call della UE nell’ambito del FP7 dal ti-

tolo “Strategic impact of the roll-out of electric and

plug-in hybrid vehicles on grid infrastructure”. Concludendo il potenziamento delle reti

di distribuzione esistenti ed il loro adegua-mento a questo nuovo tipo di servizio risul-tano strutturalmente di difficile attuazionenelle aree urbane; la realizzazione ex-novo diuna rete dedicata è utopistica; quindi l’unicareale alternativa è una scelta oculata dellarete, tra quelle esistenti, che più è in grado diricevere questi carichi supplementari con mi-nimi effetti negativi sul suo esercizio.

Smart grids per una mobilità sostenibile

Tale indagine è allo studio dal 2008 di ungruppo di giovani ricercatori universitarieuropei del settore “Sistemi Elettrici perl’Energia” che, investigando fra le infra-strutture elettriche disponibili in contestourbano, hanno individuato nella rete elet-trica dedicata al trasporto metropolitano etramviario, una valida alternativa per la ri-carica dei veicoli elettrici. Infatti tali sistemidi trasporto sono notoriamente dotati diuna infrastruttura elettrica per l’alimenta-zione dei convogli, alimentata dalla rete didistribuzione urbana mediante sottosta-zioni elettriche. Tali sottostazioni sono par-zialmente utilizzate durante il giorno, equasi completamente prive di carico elet-trico per tutta la notte, perché di solito lemetropolitane ed i tram non garantiscono ilservizio nelle ore notturne. Grazie a loro di-slocazione spaziale ed al loro layout elet-trico, le sottostazioni potrebbero esserepensate come “grandi punti di ricarica” peri veicoli elettrici. A tale scopo è però neces-sario progettare una “interfaccia energeticaintelligente” che renderebbe l’intera rete

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quella che oggi si definisce una smart grid

(Figura 6). Il progetto del sistema di interfaccia sa-

rebbe finalizzato a garantire, sia un certo li-vello di qualità dell’alimentazione, sia unagestione ottimale dei flussi di energia elet-trica sulla rete di distribuzione urbana, conl’ulteriore vantaggio di risparmio energeticoe di riduzione dell’impatto ambientale sul si-stema della mobilità intero. Ad esempio, l’in-terfaccia potrebbe consentire di riutilizzare,per la ricarica dei veicoli, l’energia frenanterecuperata dai treni del sistema di trasporto

metropolitano e tramviario, con un rispar-mio energetico stimato intorno 30%. La ridu-zione dell’impatto ambientale del sistema ditrasporto integrato globale sarebbe garantitasia in ambito locale urbano, grazie alle mi-nori emissioni inquinanti assicurate dall’usodi veicoli elettrici/ibridi, sia a livello globale,grazie alla minore emissione di CO2 e di gasclima alteranti ed un più efficace impiegodell’energia primaria nella catena energetica.

La rete integrata e resa intelligente, ossiaquella che oggi si definisce una smart grid,

potrebbe essere utilizzata sia per la ricarica

Figura 5 - Proiezione del Market Share dei Veicoli su Strada al 2050. (Fonte: International Energy Agency (IEA)

Figura 6 – Smart grid a servizio di un sistema di mobilità urbana.

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diurna di veicoli come auto parcheggiate neigiorni lavorativi o autobus pubblici che effet-tuano servizio notturno, sia per la ricarica not-turna di veicoli in servizio durante il giorno.Ciò suggerisce un’ulteriore integrazione fra idue servizi di trasporto energeticamente so-stenuti dalla stessa rete, ossia in termini di“servizio all’utenza“: se autobus elettricivenissero ricaricati durante il giorno, quandola metropolitana è in servizio, essi potrebberoessere quindi utilizzati per il trasporto pub-blico durante la notte sullo stesso percorsodella metropolitana che è fuori servizio. Inquesto modo, un servizio 24 ore no-stop sa-rebbe garantito, ottenendo una massimizza-zione dell’offerta di mobilità. In tal caso, puntistrategici per la costruzione di questo tipo diinfrastruttura potrebbero essere i parcheggi diinterscambio situati in prossimità delle prin-cipali stazioni della metropolitana.

Concludendo il sistema di trasporto inte-grato proposto ottimizzerebbe i consumi ener-getici, si auto-sosterebbe e garantirebbe unforte abbattimento dell’impatto ambientale.Inoltre sarebbe realizzabile a basso costo, gra-zie ad un efficace sfruttamento logistico e tec-nologico delle infrastrutture elettriche giàesistenti.

Efficienza, sistemi di trasporto e Istituzioni.

La proposta di realizzazione di una smart

grid per un sistema di mobilità integrato inambito urbano, sebbene presenti un certogrado di unicità nella sua idea intrinseca di in-tegrazione fra più modi di trasporto, rappre-

senta solo un esempio nel vasto panorama diprogetti che Enti di Ricerca e Sviluppo, pub-blici e privati, stanno producendo negli ultimianni sul tema efficienza energetica e sistemi ditrasporto, andando di pari passo ai piani del-l’Industria già illustrati.

Il terzo attore, che riveste un ruolo fonda-mentale nello sviluppo di sistemi di mobilitàsostenibile, è rappresentato dalle Istituzioni:la Comunità Europea, lo Stato, le Regioni, iComuni e tutti gli Organi Normatori, nazio-nali ed internazionali, hanno infatti compitivitali, insieme agli Enti di Ricerca e Sviluppoe all’Industria, nella rivoluzione che si sta at-tuando in materia di trasporto. Ad essi spet-tano i compiti di:- adeguare il quadro regolatorio e legisla-

tivo;- provvedere alla stesura di standard co-

muni che garantiscano l’interoperabilità;- sviluppare politiche di incentivazione che

diano un valore aggiunto agli investimentiper lo sviluppo dei sistemi innovativi, pertutti gli attori, dalle Utilities elettriche e ditrasporto agli utenti finali.Le differenti costanti di tempo che regolano

lo sviluppo tecnologico e del know-how tec-nico, rispetto l’emanazione di disposizioni dilegge, normative e di incentivazione, nondeve in alcun modo costituire un freno allosviluppo dei progetti. Solo la sinergia fra Entidi Ricerca, Case Costruttrici, Utilities e Istitu-zioni può infatti garantire l’effettivo progressoin materia di mobilità, che vada nella dire-zione della sostenibilità energetica ed ambien-tale in tempi brevi.

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1. Stato sociale e principio

di responsabilità.

L’aspetto più importante della c.d. manovrad’agosto 2011 (d.l. n. 138/2011 conv. legge n.148/2011) è il deciso rafforzamento del princi-pio di responsabilità nello stato sociale.

In Italia la giustizia sociale è stata realizzataessenzialmente mediante il diritto del lavoro eil diritto tributario. Con il primo è stata riequi-librata la posizione delle parti del contratto in-dividuale di lavoro, sottoposto a normeinderogabili di fonte legale e collettiva di tuteladel dipendente. Con il secondo sono stati repe-riti i mezzi per assicurare anche ai meno ab-bienti istruzione, sanità e assistenza.

Le criticità del sistema così realizzato sononote. Quanto al diritto del lavoro: esasperazionedella conflittualità, a livello collettivo e indivi-duale, che secondo l’insegnamento di Buddha“turba la mente”, come risulta anche dall’eti-mologia della parola diavolo (gettare in mezzo,dividere) contrapposta alla parola unità, che

identifica il bene sin dalle origini della Sapienza;corrispondente accantonamento del principiocostituzionale di partecipazione dei lavoratorialla gestione delle imprese; rigidità e incertezzadel modello fondato sul binomio norma gene-rale astratta inderogabile - giudice; spersonaliz-zazione dei rapporti di lavoro e dellaprevidenza, con induzione di mortifera passi-vità e indecorosi abusi (falsi invalidi, falsi assi-stenti di parenti invalidi, falsi malati, falsidisoccupati, falsi occupati, falsi indigenti, falsiconiugi, ecc.). Quanto al diritto tributario e fi-nanziario: sperpero del denaro pubblico per as-sistenza passiva, clientelismo elettorale ecollusioni illecite; spese superiori alle entratecon creazione di un enorme debito pubblico; di-stinzione tra amministrazione prelevante e amministrazione erogante così deresponsabi-lizzata; evasione fiscale diffusa a causa di di-chiarazioni analitiche controllabili solo inpiccola parte entro il termine di prescrizione.

I rimedi sono assai semplici. Quanto al di-ritto del lavoro: tecniche di regolamentazione

L’efficacia derogatoriadei contratti aziendalio territoriali: si sgretola l’idolodell’uniformità oppressiva

Antonio Vallebona Professore Ordinario di Diritto del lavoro nella Facoltà di Giurisprudenzadell'Università di Roma - Tor Vergata

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del caso concreto, intrinsecamente idonee adescludere le incertezze, le rigidità e i conflittidella norma generica; sostegno della bilateralitàe di istituti partecipativi; eliminazione di privi-legi inconcepibili, come quelli che consentonoun periodo di vita attiva più breve di quello divita inattiva; legislazione antifraudolenta controi profittatori dello stato sociale. Quanto al dirittotributario e finanziario: divieto costituzionale dispese superiori alle entrate; esposizione al giu-dizio elettorale delle amministrazioni che spen-dono costringendole al corrispondenteprelievo; sostituzione al sistema di dichiara-zione analitica con controllo successivo di un si-stema di concordato preventivo tra ciascuncontribuente ed esperti di settore forniti di in-formazioni adeguate sul contribuente mede-simo che nella maggior parte dei casi sonouniversalmente note, specie a livello comunalecome era una volta, essendo nei miei ricordi dibambino la efficacissima frase del funzionarioa mio nonno “Don Ninu, se ssignuria paghicusì picca all’addri ci nde dicu”.

Questi rimedi sono stati ignorati a lungo peridolatria ideologica del diabolico conflitto e perclientelismo consociativo, specie quando i pattidi Yalta impedivano un governo dei comunisti,la cui vittoria elettorale, al pari di una insurre-zione non a caso temuta dallo stesso Togliatti(“non fate sciocchezze”), avrebbe svelato il li-mite della democrazia italiana rendendo neces-sario un golpe USA simile ai carri armatisovietici in Ungheria e Cecoslovacchia.

Ma la storia è andata avanti e finalmente i ri-medi contro le degenerazioni dello stato socialecominciano ad essere attuati.

Già nel Collegato lavoro 2010 sono conte-nute importanti norme antiabuso (termine didecadenza per l’introduzione del giudizio), an-tincertezza (indennità forfettaria per il periodoanteriore alla dichiarazione giudiziale dell’ille-gittimità del termine) e anticonflitto (arbitratoirrituale per la rapida risoluzione delle contro-

versie).Ora nella manovra di agosto 2011 è affer-

mato con decisione il principio di responsabilitànello stato sociale.

Quanto al diritto del lavoro, le disposizionidell’art. 8 consentono ai contratti collettiviaziendali e territoriali di derogare la legge e icontratti nazionali nell’interesse comune allaconservazione e alla espansione dell’impresa edell’occupazione. E non a caso tra le finalità in-dicate compare espressamente anche l’ “ado-zione di forme di partecipazione deilavoratori”.

E’ finita la dannosissima illusione del salariovariabile indipendente e della occupazione in-differente alla stratificazione di tutele oppres-sive nella loro rigida uniformità. Ora i sindacativaluteranno responsabilmente le forme ed i li-miti delle tutele compatibili non solo con la di-gnità del lavoratore,ma anche con ilmantenimento e la crescita dell’occupazione re-golare in ciascuna azienda. Per dirla con unasorta di slogan: responsabilità per l’occupazionee il proporzionamento delle tutele.

Quanto al diritto tributario e finanziario, ladisposizione dell’art. 1, comma 12 bis, eleva al100 per cento la quota spettante ai comuni suitributi statali evasi e recuperati mediante l’in-tervento dei comuni stessi.

E così non solo l’ordinamento si muoveverso l’accertamento per fatto notorio, che èpossibile solo nelle comunità più ristrette, macompensa la riduzione del trasferimento stataleai comuni incentivando proprio la loro “parte-cipazione all’accertamento tributario”.

Anche qui si afferma un sano principio di re-sponsabilità, per cui il governo locale che vuolespendere deve concorrere al prelievo, esponen-dosi davanti ai propri elettori. Che sono in tantiad essere evasori, compreso un gran numero dilavoratori dipendenti, dal secondo lavoro ancheautonomo dei pubblici impiegati fino al lavoronero non sempre obbligato ma spesso scelto per O

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convenienza fiscale anche da pensionati troppogiovani. Ricorrendo ad un altro slogan può dirsi:responsabilità per educare governanti e gover-nati.

2. Pregi e difetti della norma inderogabile.

La norma inderogabile con efficacia sostitu-tiva costituisce la tecnica fondamentale del dirittodel lavoro per la protezione della parte debolecontro la dittatura contrattuale della parte forte,superando le strettoie e i limiti dell’istituto civi-listico della rescissione. In questo sistema la pro-tezione minimale economica e normativa dellavoratore deriva da fonti esterne al contratto in-dividuale: la legge e i contratti collettivi.

Si tratta di una tecnica efficacissima di mas-sima invasione dell’autonomia privata indivi-duale, i cui prodotti difformi dalle normeinderogabili non sono solo eliminati, ma ancheautomaticamente sostituiti dal contenuto delprecetto violato, con conseguente conservazionedel contratto anche se ne sono travolte clausoleessenziali.

L’inderogabilità va oltre la fase acquisitiva deidiritti proiettandosi anche nella fase di disposi-zione dei diritti già sorti, che possono essere sot-tratti all’accertamento giurisdizionale, oltre chedall’inerzia del titolare fino al compimento delladecadenza o della prescrizione, solo mediante ri-nunzie e transazioni in sede assistita o non im-pugnate nel termine stabilito oppure mediantearbitrato irrituale liberamente scelto.

Questo consolidato sistema di tutela del lavo-ratore presenta, però, un difetto gravissimo al-lorché, come è avvenuto in Italia, le normeinderogabili si moltiplicano fino a costituire unapesante coltre che copre ossessivamente tutti gliaspetti del rapporto.

L’encomiabile aspirazione ad impedire qual-siasi pregiudizio della persona del lavoratore

anche nella sua realizzazione extraprofessionalesi trasforma, così, in una maledizione diabolica.Sia a causa della oppressiva uniformità di normecomuni troppo ampie, in sé per definizione ini-donee a disciplinare adeguatamente la variabilitàdel reale. Sia a causa della esiziale incertezza dinorme inderogabili a precetto generico e dei con-seguenti conflitti applicativi rimessi a procedi-menti giurisdizionali che si concludonodefinitivamente solo dopo molti anni.

Si verifica, così, una fortissima disincentiva-zione alla allocazione delle imprese, che, nellaconcorrenza internazionale, non possono rinun-ziare ad un sistema di regole adeguate e certe. Edanche le organizzazioni erogatrici di servizi legatial territorio hanno la stessa esigenza per accre-scere una produttività intollerabilmente bassa.

Pertanto sussiste un forte interesse comune diimprese, lavoratori, utenti e contribuenti a mo-dificare profondamente un diritto del lavorotroppo a lungo rimasto inalterato nei suoi snodiessenziali per uno stupido conservatorismo ideo-logico, quasi che fosse una variabile indipen-dente intoccabile.

3. La tecnica di attenuazione dell’inderogabilità

per evitare l’uniformità oppressiva.

Al di là della pur necessaria riformulazionedi alcune tutele legali sproporzionate, la tecnicaper realizzare questo bene comune è una sola.

Si tratta, come vado dicendo da molti anni,della previsione di procedimenti che consentanodi fissare preventivamente la regola specifica ecerta del caso concreto, con potere di discostarsiall’uopo dalle norme inderogabili di più ampiadimensione.

Questi procedimenti possono essere affidatiall’autorità amministrativa, a enti bilaterali, al-l’autonomia collettiva o all’autonomia indivi-duale assistita.

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Non si intendono qui approfondire vantaggie costi di ciascuna di queste variabili, indicandoi casi in cui l’una si può far preferire all’altra.Quel che conta è la loro natura di norme sullaproduzione giuridica secondo la classica distin-zione dalle norme di azione.

Le disfunzioni della tecnica della norma in-derogabile con efficacia sostitutiva possono es-sere fronteggiate solo con un’altra tecnica dellostesso tipo. Quella che, appunto, trasforma lanoma imperativa in norma semimperativa, cioéderogabile da un’altra fonte espressamente in-dicata.

Questa tecnica è finalmente riconosciuta nel-l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011,in cui si prevedono contratti aziendali con effi-cacia generale derogatori del contratto nazio-nale per “una politica di sviluppo adeguata alledifferenti necessità produttive” mediante disci-pline aderenti “alle esigenze degli specifici con-testi produttivi”, e ciò anche in mancanza dellerelative procedure rimesse al contratto nazio-nale se occorre “al fine di gestire situazioni dicrisi o in presenza di investimenti significativiper favorire lo sviluppo economico ed occupa-zionale dell’impresa”.

La medesima tecnica è definitivamente san-cita dall’art. 8 del d. l. n. 138/2011 conv. legge n.148/2011, che consente a contratti aziendali oterritoriali anche con efficacia generale di dero-gare la disciplina legale e quella collettiva na-zionale di fondamentali materie “con specificheintese finalizzate alla maggiore occupazione,alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozionedi forme di partecipazione dei lavoratori, allaemersione del lavoro irregolare, agli incrementidi competitività e di salario, alla gestione dellecrisi aziendali e occupazionali, agli investimentie all’avvio di nuove attività”.

Sia l’accordo interconfederale che la leggescelgono come fonte derogatoria l’autonomiacollettiva a livello aziendale (e la legge anche a

livello territoriale), affidando così alla respon-sabilità sindacale il proporzionamento delle tu-tele a specifici contesti per favorire lo sviluppoe l’occupazione.

Si tratta di una svolta epocale, poiché finoral’autonomia collettiva era stata chiamata dallalegge a collaborare soprattutto per il supera-mento delle crisi di impresa e per l’emersionedel lavoro irregolare (integrazione salariale, li-cenziamenti collettivi, trasferimento di aziendein crisi, solidarietà, riallineamento), ma senzal’amplissimo potere di derogare tante tutele le-gali ora riconosciuto per finalità assai piùampie. Sicché solo da ora i sindacati, se e nei li-miti in cui lo riterranno necessario per il benecomune, potranno di volta in volta adeguaregran parte della disciplina del lavoro nelleforme più utili in ciascuna azienda o in ciascunterritorio.

Stavolta la tecnica è quella giusta. Al contra-rio della certificazione, almeno fino a quandonon sarà trasformata in un procedimento dero-gatorio di tutele.

4. La derogabilità della legge da parte

dei contratti aziendali o territoriali.

Il potere di derogare la legge può venire solodalla legge, come nella specie dall’espressa di-sposizione dell’art. 8, comma 2 bis, d.l. cit.(“anche in deroga alle disposizioni di legge”).

La fonte così abilitata alla deroga sono “icontratti collettivi di lavoro sottoscritti a livelloaziendale o territoriale”.

Ma con una condizione relativa alla qualitàdei soggetti stipulanti, di cui si dirà subito, edun limite relativo all’oggetto della deroga, di cuisi dirà nel punto 7 che segue.

Sono previste anche le finalità della de-roga, di cui si è detto nel punto 3 che precede,

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ma con formulazioni così generali e ampieche difficilmente se ne potrà affermare l’in-sussistenza con la conseguente nullità del-l’accordo.

I soggetti abilitati alla stipulazione in de-roga, altrimenti nulla, sono individuati solocon riferimento alla parte sindacale, trattan-dosi di accordi ablativi che esigono l’affida-bilità di chi dispone delle tutele.

Innanzitutto sono abilitate le “associa-zioni dei lavoratori comparativamente piùrappresentative sul piano nazionale o terri-toriale”. La disgiuntiva “o” comporta la suf-ficienza di tale rappresentatività sull’uno osull’altro piano alternativamente. L’espres-sione sottoscritti “da” (e non “dalle”) con-sente la stipula anche da parte di una sola ditali associazioni.

In alternativa i contratti aziendali, e nonanche quelli territoriali, possono essere stipu-lati dalle rappresentanze sindacali in aziendadelle suddette associazioni comparativamentepiù rappresentative, come risulta dall’agget-tivo “loro”. Si aggiunge l’espresso richiamoagli “accordi interconfederali vigenti“ al finedella individuazione delle “rappresentanzesindacali operanti in azienda”, dovendosi,dunque, considerare legittimata anche la RSUove esistente. Anche qui, come per le associa-zioni esterne, basta una sola rappresentanzasindacale, essendo prevista la necessità di “uncriterio maggioritario relativo alle predetterappresentanze sindacali” ai soli fini dellaeventuale efficacia generale dell’accordo, dicui si dirà nel punto 6 che segue.

In conclusione il legislatore ha indivi-duato ragionevolmente i soggetti legittimatia sottoscrivere un accordo derogatorio conefficacia limitata ai soli lavoratori rappresen-tati dagli stipulanti o che abbiano fatto rin-vio, espressamente o tacitamente, all‘attivitànegoziale di questi.

5. La derogabilità del contratto nazionale da

parte dei contratti aziendali o territoriali.

Il problema della deroga anche in peius delcontratto collettivo nazionale da parte deicontratti territoriali o aziendali è completa-mente diverso.

Si tratta, infatti, di fonti paritetiche tuttenegoziali privatistiche, sicché non esiste traloro una gerarchia (Cass. nn. 3092/1996, SU1614/1989, 4758/1987, 7847/2003,9784/2003, 10762/2004, 9052/2006,13544/2008) ed è applicabile il principio ge-nerale di diritto comune relativo alla succes-sione di più contratti tra le stesse parti nelsenso della prevalenza dell’ultima pattui-zione ex art. 1372, c. 1, cod. civ. Sicché il so-pravvenuto contratto aziendale o territoriale,ovviamente nei limiti della sua efficacia sog-gettiva, può liberamente prevedere una di-sciplina diversa anche peggiorativa rispettoa quella del precedente contratto nazionalecon salvezza dei soli diritti già maturati(Cass. nn. 1403/1990, 931/1996, 3092/1996,8296/2001, 9784/2003, 19351/2007).

In questo quadro sia l’accordo interconfe-derale 28 giugno 2011, sia l’art. 8 d. l. cit. rile-vano non tanto per l’espresso riconoscimentoai contratti aziendali o territoriali di un po-tere derogatorio già esistente in base al ricor-dato principio generale, quanto per l’efficaciagenerale assegnata alla deroga di cui si dirànel punto 6 che segue.

Qui occorre precisare che solo la legge siriferisce anche ai contratti territoriali e che laselezione dei soggetti stipulanti e le regoleprocedimentali previste dall’accordo inter-confederale sono imposte solo ai fini dell’ef-ficacia generale del contratto aziendale,altrimenti operante con la consueta limitataefficacia soggettiva.

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6. L’efficacia generale del contratto aziendale o

territoriale.

I contratti collettivi possono avere efficacia ge-nerale solo se stipulati nel rispetto della disci-plina dell’art. 39, comma 4, Cost., conconseguente incostituzionalità: a) di una legisla-zione a tappeto che recepisca il contenuto deicontratti collettivi così rendendolo generalmentevincolante (Corte cost. n. 106/1962); b) di un rin-vio legale in bianco all’autonomia collettiva, lecui determinazioni andrebbero sistematicamentea riempire il precetto legale contenitore con con-seguente efficacia generale (Corte cost. n.10/1957); c) della attribuzione di efficacia gene-rale ai contratti collettivi stipulanti dai sindacatimaggiormente o comparativamente più rappre-sentativi, in contrasto con il ben diverso principiodella rappresentanza proporzionale sancito nellaCostituzione, che esige una verifica della effettivaconsistenza numerica di ciascun sindacato nellacategoria alla quale il contratto si riferisce (Cortecost. n. 334/1988).

Per i contratti aziendali ablativi o gestionali ilproblema si è riproposto in considerazione dellainnegabile esigenza di una disciplina unitaria.Ma le tesi avanzate per aggirare il vincolo costi-tuzionale non sono condivisibili o sono di limi-tata utilità: a) quella per cui avrebbe efficaciagenerale il contratto collettivo aziendale appro-vato dalla maggioranza di lavoratori partecipantiall’assemblea (Cass. nn. 298/1992, 4295/1994),perché sconta una volontà del singolo parteci-pante di vincolarsi al principio maggioritario cheandrebbe comprovata in concreto e, comunque,non risolve il problema nei confronti dei non par-tecipanti; b) quella per cui avrebbe efficacia ge-nerale il contratto collettivo aziendale stipulatoda un soggetto eletto dai lavoratori, non solo per-ché richiede il conferimento espresso di fonte le-gale o negoziale del potere di stipulare per tutti,ma soprattutto perché contrasta con il dettato co-stituzionale qualunque riserva di quote a favore

di alcuni sindacati come quella prevista per leRSU (Corte cost. n. 244/1996); c) quella per cuiavrebbe efficacia generale il contratto collettivorelativo a interessi indivisibili (Cass. nn.3607/1990, 1438/1993, 19351/2007), perché con-fonde l’esigenza con lo strumento giuridico persoddisfarla che deve rispettare la Costituzione;d) quella per cui esulerebbero dal vincolo costi-tuzionale i contratti collettivi non normativi(Corte cost. nn. 268/1994, 344/1996; Cass. n.11634/2004), perché non risolve il problema ge-nerale, che riguarda proprio i contratti collettivinormativi; e) quella per cui il contratto collettivocostituirebbe una fonte di diritto extra ordinem cuila legge potrebbe delegare funzioni di produ-zione normativa con efficacia generale (Cortecost. n. 344/1996), perché il rinvio legale inbianco all’autonomia collettiva le attribuisce ef-ficacia generale con un sistema diverso da quellocostituzionale fondato sul principio maggiorita-rio con partecipazione delle minoranze alla uni-taria rappresentanza negoziale.

In questo quadro non meraviglia che buonaparte della giurisprudenza continui corretta-mente ad escludere l’efficacia generale del con-tratto aziendale (Cass. nn. 1403/1990, 1102/1993,4802/1993, 4295/1994, 10353/2004).

Ora l’accordo interconfederale 28 giugno 2011e l’art. 8 del d.l. 138/2011 conv. legge n. 148/2011prevedono espressamente contratti collettiviaziendali e territoriali con efficacia generale.

L’accordo attribuisce al contratto aziendaletale efficacia nei confronti di “tutto il personalein forza” e di “tutte le associazioni sindacali fir-matarie del presente accordo interconfederale”.Ma le eventuali clausole di tregua sindacale vin-colano solo tali associazioni e le rappresentanzesindacali, con espressa esclusione dei singoli la-voratori.

L’efficacia generale è prevista dall’accordosolo “se” il contratto aziendale è stipulato dallaRSU a maggioranza dei suoi componenti oppure“se” è approvato dalle rsa costituite da sindacatiO

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che rappresentano la maggioranza dei lavora-tori sindacalizzati dell’azienda conteggiati me-diante il numero di deleghe per i contributisindacali. Solo in questa seconda ipotesi è pre-visto, ove richiesto da uno dei sindacati firma-tari dell’accordo interconfederale oppure dal30% dei lavoratori dell’impresa, un referendumnon per l’approvazione, ma per il rigetto delcontratto, che si verifica con la partecipazionealla consultazione di più della metà degli aventidiritto e con la maggioranza semplice dei vo-tanti.

Questo sistema di efficacia generale è difonte negoziale, sicché valgono le regole priva-tistiche. Pertanto opera per i sindacati stipulantil’accordo interconfederale e i loro iscritti, poichéper costoro il vincolo è voluto e non imposto.Invece i sindacati estranei all’accordo intercon-federale sono vincolati dal contratto aziendalestipulato dalla RSU solo se sottoscrittori del re-lativo accordo istitutivo o comunque rappre-sentati nella stessa, mentre il contratto aziendalestipulato da rsa ad essi estranee non li può maivincolare neppure per il tramite del referen-dum.

L’art. 8, c. 1, d.l. cit. attribuisce efficacia ge-nerale ai contratti aziendali o territoriali stipu-lati da associazioni comparativamente piùrappresentative sul piano nazionale o territo-riale oppure dalle loro rappresentanze azien-dali, purché sottoscritti “sulla base di un criteriomaggioritario relativo alle predette rappresen-tanze sindacali”.

In sostanza, a prescindere dalla stipulazioneda parte di sindacati esterni o da parte delle lororappresentanze aziendali, quello che conta peril legislatore è il rispetto di un criterio maggio-ritario riferito all’ambito aziendale. E, quindi,sia il contratto territoriale sia quello aziendalesi applicano a tutti i lavoratori di una determi-nata azienda se i soggetti stipulanti, siano essisindacati esterni o organismi aziendali, rappre-

sentano la maggioranza dei lavoratori del-l’azienda medesima. E per il conteggio do-vrebbe valere il riferimento al numero delledeleghe per i contributi sancito dall’accordo in-terconfederale 28 giugno 2011, non a casoespressamente richiamato nel medesimocomma 1 dell’art. 8.

Questo sistema di efficacia generale è difonte legale, sicché qui conta solo la valutazionedi legittimità costituzionale. Che è positiva solose alla trattativa e alla stipulazione a maggio-ranza nel senso suddetto possano parteciparetutti i sindacati, o almeno quelli che superinouna soglia ragionevole di iscritti nell’ambito deilavoratori interessati. Sicché i contratti con va-lida efficacia generale potrebbero essere quellistipulati dalla RSU oppure da un gruppo di rsao di sindacati esterni aperto alla partecipazionedi tutti i sindacati e/o da loro rappresentanzeaventi in azienda un numero ragionevole diiscritti, che la Corte costituzionale potrebbe in-dividuare ad esempio nel 5% del personale. Ov-viamente se i sindacati intendono anche quiapplicare le regole procedimentali dell’accordointerconfederale 28 giugno 2011 secondoquanto concordato il 21 settembre 2011, nonsorge alcun problema, purché sia rispettato ilpredetto vincolo di costituzionalità.

L’eventuale esclusione della efficacia gene-rale di un contratto aziendale o territoriale nontoccherebbe, ovviamente, il potere di derogarela legge e il contratto nazionale con riferimentoai soli lavoratori rappresentati dai soggetti sti-pulanti o che abbiano, espressamente o tacita-mente, fatto rinvio alla attività negoziale diquesti, come si è visto nei punti 4 e 5 che prece-dono.

Il comma 3 dell’art. 8 prevede l’efficacia ge-nerale anche per i contratti aziendali sottoscrittiprima dell’accordo interconfederale 28 giugno2011, purché approvati “con votazione a mag-gioranza dei lavoratori”. O

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E’ palese l’intenzione del legislatore di inci-dere sulle note vicende di Pomigliano e di Mira-fiori.

Ma il tentativo appare incostituzionale, per-ché, come si è già detto, per l’efficacia generaleoccorre una rappresentanza trattante aperta atutti con stipulazione a maggioranza in propor-zione agli iscritti. Condizioni che non possonoessere sostituite dal diverso criterio della mag-gioranza referendaria, qui indicato così precisa-mente da impedire quella interpretazioneconservativa invece possibile per la diversanorma a regime.

7. L’ambito di applicazione e le materie oggetto

della nuova disciplina.

Il lavoro pubblico anche privatizzato è esclusosia dall’accordo interconfederale in esame, stipu-lato da Confindustria, sia dell’art. 8 d.l. cit., le cuidisposizioni sono chiaramente riferite al solo set-tore privato.

La intese aziendali “modificative” del con-tratto nazionale previste nel punto 7 dell’accordointerconfederale possono riguardare qualsiasimateria e non solo quelle delegate, secondo ilprecedente punto 3, dal contratto nazionale, cuiperaltro spetta fissare “limiti” e “procedure” pertali intese, che, nelle more, possono comunquederogare la disciplina del contratto nazionaleconcernente “la prestazione lavorativa, gli orarie l’organizzazione del lavoro”.

I contratti aziendali e territoriali previsti dal-l’art. 8 d.l. cit. possono derogare la legge e i con-tratti nazionali, sempre nel rispetto dellaCostituzione, del diritto comunitario e interna-zionale, solo per le materie espressamente elen-cate nel comma 2. Il che, se per la deroga alla

legge costituisce una grande apertura, per la de-roga al contratto nazionale costituisce una limi-tazione del principio generale di illimitataderogabilità.

Le materie indicate dal legislatore sono nu-merose ed importanti. Si segnalano: le mansionie la classificazione del personale, con la facoltàdel contratto di indicare le mansioni tra loroequivalenti oppure di fissare una penale sostitu-tiva del risarcimento per le ipotesi di demansio-namento oppure di escludere la promozioneautomatica o di allungare il termine per la pro-duzione di questo effetto; il lavoro a termine, conla facoltà del contratto di prevedere specificheipotesi di legittimazione del termine oppure diescludere la c.d. conversione in determinati casicome ad esempio per il primo isolato contratto;il regime di solidarietà negli appalti, che il con-tratto potrà escludere o limitare; i casi di ricorsoalla somministrazione di lavoro, che il contrattopotrà liberamente individuare; la disciplinadell’orario di lavoro, che il contratto potrà oppor-tunamente flessibilizzare; le modalità di assun-zione, ad esempio con il prolungamento dellimite massimo della prova; il lavoro parasubor-dinato anche a progetto e il lavoro autonomo,con la possibilità per il contratto di escludere lanecessità di un progetto o la trasformazione au-tomatica in lavoro subordinato per mancanza diprogetto; il licenziamento, con la possibilità dielevare la soglia numerica per l’applicazionedella tutela reale incrementando l’indennità al-ternativa alla riassunzione o di escludere la tutelareale per le imprese minori che superino la sogliacon nuove assunzioni o di sopprimere l’inden-nità sostitutiva di reintegrazione o di escludereil risarcimento per il medio tempore dopo un certoperiodo o di onerare il lavoratore della provadella disoccupazione.

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La giurisdizione civile, pur intervenendoex post, quando si lamenta l’accadimento diun fatto lesivo, concretizza le prescrizioni ge-nerali contenute nella legge e con ciò fissa re-gole pratiche che hanno efficacia preventivae che debbono servire da linee guida per ladefinizione delle buone prassi anche in ma-teria di messa in circolazione e somministra-zione dei farmaci, creando deterrenzarispetto a comportamenti di negligenza, im-prudenza o imperizia in questi due campi.Per questo i temi oggetto di questa breve di-samina non sono meramente teorici e dottri-nari, ma debbono servire ad orientare glioperatori del settore e rendere consci i citta-dini dei propri diritti.

Diversi sono i campi d’intervento del giu-dice civile nella materia che stiamo esami-nando che riguardano, per esempio, leproblematiche della responsabilità professio-nale del medico nella somministrazione deifarmaci, secondo i parametri generali fissatidall’art. 2236 c.c. e con particolare riguardoalla somministrazione “off label”, cioè speri-mentale degli stessi, nonché del consenso in-formato del paziente al trattamentofarmacologico; le problematiche della pub-blicità ingannevole in ordine a proprietà edeffetti dei farmaci sulla base della disciplinaspecifica di settore (introdotta dal D.lgs. n.541 / 1992 attuativo della direttiva comuni-taria n. 28 del 1992) con la possibilità di

azione inibitoria dei comportamenti lesividegli interessi dei consumatori riconosciutaalle associazioni rappresentative dagli artt.139 e 140 del Codice del consumo, che si ag-giunge alla responsabilità diretta, contrat-tuale ed extracontrattuale nei confronti deisoggetti direttamente lesi; le problematiche,infine, della responsabilità delle case farma-ceutiche e dei soggetti che intervengononella distribuzione dei farmaci per gli even-tuali effetti nocivi prodotti sui pazienti inconseguenza del trattamento farmacologico,nel cui ambito si collocano anche i risvolti ci-vilistici di tematiche già oggi affrontate,come la tutela dalle contraffazioni e i pro-blemi posti dalla vendita on line di farmaci,nonché, sul piano processuale, della neoin-trodotta class action prevista dall’art. 140-bisdel Codice del consumo azionabile anche inqueste materie.

Fra tanti temi mi soffermerò sui profili so-stanziali, non processuali, particolari per ilsettore della responsabilità civile delle casefarmaceutiche.

E’ noto che, a fronte degli indubbi beneficiapportati alle condizioni di vita dei malati edella popolazione in generale dalla scopertadi nuovi farmaci e dall’applicazione dinuove terapie farmacologiche, sono crescentianche i casi di effetti nocivi, anche gravi, cau-salmente collegati all’assunzione di medici-nali, per i possibili effetti collaterali dovuti

La responsabilità civiledel produttore di farmaci

Carlo CocoGiudice del Tribunale di Bologna

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all’interazione del principio attivo del far-maco somministrato con le condizioni del-l’organismo o con altri farmaci assunti,oppure per veri e propri difetti di composi-zione del farmaco atti a provocare danni alpaziente.

In ambito giuridico si discute se la respon-sabilità delle case farmaceutiche per i dannicagionati dall’assunzione di prodotti farma-ceutici difettosi vada ricondotta alla c.d. re-sponsabilità per danno da prodotti difettosi,introdotta e già disciplinata dal DPR n. 224 /1988 di attuazione di apposita direttiva co-munitaria, la n. 374 del 1985, ed ora traspostanel D.lgs. n. 206 del 2005, meglio noto come“Codice del consumo”, che ha raccolto in untesto unico diverse norme in materia di tu-tela del consumatore, oppure se questa re-sponsabilità vada ricondotta a quelladerivante dall’esercizio di attività pericoloseprevista dall’art. 2050 del codice civile. La ri-conduzione della responsabilità della casafarmaceutica all’una o all’altra normativacomporta conseguenze diverse, soprattuttocon riferimento al c.d. rischio di sviluppo delfarmaco, cioè al rischio che lo sviluppo dellascienza permetta di appurare la difettosità diun prodotto, la pericolosità o gli effetti inde-siderati di un farmaco, che invece, nel mo-mento della sua immissione in commercio edallo stato delle conoscenze tecnico-scientifi-che, non poteva essere considerato difettoso.

La questione è assai rilevante perché ilmercato dei farmaci costituisce anche ungrosso business, tanto più dato l’invecchia-mento medio della popolazione nei paesi piùavanzati e quindi “altospendenti”, e in que-sto business operano grosse compagnie (ilc.d. Big Pharma) che pianificano le propriepolitiche al perseguimento del massimo pro-fitto. Per questo, nonostante sperimentazionie controlli imposti dalle normative italiane,europee e statunitensi prima dell’immissione

in commercio dei farmaci, e nonostante lenormative a tutela della ricerca e dei brevetti,è forte, fortissima la spinta a contrarre i tempidi sperimentazione prima della commercia-lizzazione dei medicinali.

Il problema dei controlli e della responsa-bilità delle case farmaceutiche nasce in ge-nere dai limiti insiti nella sperimentazionepre-marketing. I principali limiti sono: il ri-dotto numero di pazienti utilizzati nella spe-rimentazione, che non consente di scoprire lereazioni avverse rare (con un’incidenza pario inferiore ad 1 su 1’000); i protocolli speri-mentali rigidi, che portano all’esclusione disottogruppi di popolazione (ad esempiodonne in gravidanza, bambini, anziani,oggetti con più patologie, ecc.) che inveceutilizzeranno il farmaco quando commercia-lizzato; la durata limitata della sperimenta-zione (massimo 1-2 anni), che rende spessoimpossibile la scoperta di reazioni ritardate(ad esempio la cancerogenicità).

Soltanto se si ritiene applicabile la norma-tiva speciale sulla responsabilità del produt-tore la casa farmaceutica non saràconsiderata responsabile per i danni cagio-nati dal farmaco, se al momento dell’immis-sione in commercio ed allo stato delleconoscenze tecnico-scientifiche il difetto nonpoteva essere scoperto, e ciò perché l’art. 118del “Codice del consumo” contiene unanorma specifica di esonero da tale responsa-bilità.

Al contrario, la casa farmaceutica sarà te-nuta a risarcire il danno cagionato, anche seal momento dell’immissione in commercio ildifetto o la controindicazione del farmaconon era riconoscibile come tale, se si ritieneapplicabile la disciplina dell’art. 2050 del c.c.,perché in questo caso l’esonero da responsa-bilità può derivare soltanto dalla “prova diavere adottato tutte le misure idonee ad evi-tare il danno”. La norma speciale fissa poi

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termini di prescrizione del diritto più ristrettirispetto alla norma codicistica (3 anni dalla co-noscenza del fatto anziché 5) e un termine didecadenza dall’azione (di 10 anni dalla messain circolazione del prodotto) non previsto dalcodice civile.

Occorre dunque porre a confronto le duenormative in questione per meglio eviden-ziare le differenze sostanziali esistenti e pergiungere a qualche conclusione in merito.

La norma speciale, di fonte comunitaria, haintrodotto nel nostro ordinamento un’ipotesidi responsabilità extracontrattuale, da fatto il-lecito, basata sulla difettosità del prodotto esul nesso di causalità tra prodotto e fatto dan-noso.

Il Codice del consumo, come il DPR previ-gente, stabilisce all’art. 114 che “il produttoreè responsabile del danno cagionato da difettidel suo prodotto” e, dopo aver dato la defini-zione di “prodotto”, all’art. 115, e precisato, al-l’art. 116, i casi in cui del danno cagionatorisponde il fornitore, prevede una vera e pro-pria presunzione di responsabilità in capo alproduttore stesso, come si evince dal combi-nato disposto degli artt. 117 e 120.

Ai sensi dell’art. 117 un prodotto è difettoso“quando non offre la sicurezza che ci si puòlegittimamente attendere tenuto conto di tuttele circostanze, tra le quali: a) il modo in cui ilprodotto è stato messo in circolazione, la suapresentazione, le sue caratteristiche palesi, leistruzioni e le avvertenze fornite; b) l’uso alquale il prodotto può essere ragionevolmentedestinato e i comportamenti che, in relazionead esso, si possono ragionevolmente preve-dere; c) il tempo in cui il prodotto è statomesso in circolazione” oppure “se non offre lasicurezza offerta normalmente dagli altriesemplari della medesima serie”.

L’art. 120 ripartisce invece l’onere dellaprova stabilendo che mentre per ildanneggiato è sufficiente provare il danno, il

difetto ed il nesso causale tra difetto e danno,il produttore deve “provare i fatti che possonoescludere la responsabilità secondo le dispo-sizioni dell’art. 118”.

L’art. 118, alla lett. e, prevede, tra le causedi esclusione della responsabilità, il c.d. “ri-schio di sviluppo”, dato che la responsabilitàè esclusa “se lo stato delle conoscenze scienti-fiche e tecniche, al momento in cui il produt-tore ha messo in circolazione il prodotto, nonpermetteva ancora di considerare il prodottocome difettoso”. Dell’art. 118 va data peraltrouna lettura non elusiva degli standard di tu-tela normalmente richiesti dall’ordinamento.E pertanto le cause di esclusione della respon-sabilità vanno interpretate rigidamente: così,ad esempio, nello stato della scienza e dellatecnica debbono essere ritenuti rilevanti anchegli studi meramente teorici e gli orientamentiscientifici minoritari; e vanno considerate nonsolo le pubblicazioni facilmente accessibili maanche quelle aventi scarsa diffusione.

Deriva da quanto detto che, equiparando ilproduttore di farmaci ad ogni altro produttoredi beni, ed applicando quindi la disciplina delD.lgs. n. 206 / 2005, la casa farmaceutica nonpotrebbe essere considerata responsabile se, almomento in cui il bene è stato posto in circo-lazione, il difetto non esisteva o non era rico-noscibile come tale a causa dello stato delleconoscenze scientifiche e tecniche.

In modo assai più semplice e diretto l’art.2050 c.c. prevede che “chiunque cagionadanno ad altri nello svolgimento di un’attivitàpericolosa, per sua natura o per la natura deimezzi adoperati, è tenuto al risarcimento senon prova di avere adottato tutte le misureidonee ad evitare il danno”. La prova libera-toria per l’esercente l’attività pericolosa è dun-que particolarmente rigorosa dato che egli“deve provare di avere adottato tutte le mi-sure idonee ad evitare il danno, e quindi,eventualmente, l’assenza di tali possibili mi-

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sure”. Conseguentemente, ricondurre la pro-duzione dei farmaci nell’ambito delle attivitàpericolose, implica che la casa farmaceuticadebba essere considerata responsabile deidanni cagionati dal farmaco se era ragionevol-mente esigibile l’adozione di misure idonee aimpedire il verificarsi del danno ulteriori ri-spetto a quelle utilizzate ed anche ulteriori ri-spetto a quelle in un dato tempo previste dallenorme amministrative e di controllo del set-tore.

La dottrina non è concorde nel ricondurrela norma dell’art. 2050 nell’alveo della respon-sabilità oggettiva oppure in quello della re-sponsabilità colposa.

Per alcuni, si tratterebbe di una delle ipo-tesi di responsabilità oggettiva previste dalnostro ordinamento, nelle quali si rispondedel danno cagionato sulla base della sola esi-stenza del rapporto di causalità tra fatto edevento dannoso (e quindi indipendentementedallo stato soggettivo di “colpa” del soggetto

agente). In questi casi ci si libera da responsa-bilità soltanto provando l’assenza del nessocausale, cioè l’inevitabilità dell’evento nono-stante l’idoneità delle misure adottate.

Per altri autori invece l’art. 2050 c.c. nonpotrebbe ricondursi alla categoria della re-sponsabilità oggettiva in senso proprio per ilrilievo che comunque va riconosciuto al com-portamento dannoso, e quindi allo stato sog-gettivo di colpa, rispetto alle circostanzeoggettive in cui si realizza il fatto lesivo.

Quest’ultima è l’impostazione corretta e acui ci si deve attenere. Il presupposto dellasussistenza della colpa, anche a prescinderedalla distribuzione dell’onere probatorio ingiudizio e comunque senza spingersi a formedi vera e propria “oggettivizzazione dellacolpa”, è quello che giustifica la permanenza,a fianco della disciplina introdotta dalla diret-tiva comunitaria n. 374 del 1985, e recepita colCodice del consumo, di una più rigorosa nor-mativa nazionale, come consentito dallo

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stesso art. 127 del Codice del consumo cheprevede la non esclusione o limitazione deidiritti attribuiti al danneggiato da altre leggisulla base delle norme speciali sulla respon-sabilità da prodotto difettoso.

La Corte di giustizia delle CE, infatti, chia-mata a valutare la compatibilità fra le norma-tive nazionali preesistenti e la direttiva n. 374del 1985, con tre sentenze emesse in data25.4.2002 (cause C-52 / 154 / 183 / 2000), haprecisato che scopo la disciplina comunitarianon è garantire un livello minimo di tuteladel consumatore, di talchè con essa possanoconcorrere senza limiti normative nazionaliche sulla base dei medesimi presupposti for-niscano più elevati livelli di tutela.

La direttiva, istituendo un regime di re-sponsabilità civile armonizzato dei produttoriper i danni causati dai prodotti difettosi, ri-sponde alla finalità di garantire una concor-renza non falsata tra gli operatori economici,di agevolare la libera circolazione delle mercie di evitare le differenze nel livello di tutela deiconsumatori e quindi persegue un obiettivo diarmonizzazione globale della materia, garan-tendo parità di trattamento, di rischi e di re-sponsabilità a tutti i produttori comunitari.

L’art. 13 della direttiva non esclude peròl’applicazione di altri regimi di responsabi-lità contrattuale o extracontrattuale previstia livello di ordinamenti nazionali che si ba-sino su elementi diversi, come la garanzia deivizi occulti o la colpa o in base ad un regimespeciale di responsabilità, limitato a un set-tore produttivo determinato.

Si deve invece ritenere che un regime diresponsabilità del produttore che si basi sullostesso fondamento della disciplina attuatadalla direttiva, che consente cioè al danneg-giato di chiedere il risarcimento dei danniqualora fornisca la prova del danno, del di-fetto e della connessione causale tra il difettoe il danno, e che non sia limitato a un settore

produttivo determinato, non possa essere in-vocato per giustificare il mantenimento di di-sposizioni nazionali che offrano unamaggiore tutela rispetto a quelle della diret-tiva.

Salvo alcune pronunce di giudici di primogrado rare, isolate e risalenti nel tempo, lagiurisprudenza sia di merito che di cassa-zione ha ritenuto che per i danni cagionati da“farmaco difettoso” deve essere applicata lapiù rigorosa disposizione di cui all’art. 2050c.c.; e ciò anche dopo l’entrata in vigore dellanormativa speciale sulla responsabilità delproduttore e l’interpretazione che ne è statadata dalla Corte di giustizia delle Comunitàeuropee.

L’obiezione delle case farmaceutiche se-condo cui l’attività di produzione di farmacinon sarebbe in sé pericolosa è stata superatasostenendo che la pericolosità deve valutarsinon tanto nella produzione in sé considerata,quanto nella produzione strumentale allasuccessiva circolazione, perché l’attività nonsi esaurisce nella mera produzione farmaceu-tica (per esempio in sede di ricerca scienti-fica) ma nella produzione finalizzata alcommercio, e nella stessa conseguente com-mercializzazione di un medicamento desti-nato all’uomo: un’attività che di per sésostanzialmente diffonde nel pubblico un ri-levante pericolo di malattia, derivato dallanatura del mezzo adoperato.

La giurisprudenza italiana ha avuto mododi occuparsi di farmaci difettosi, soprattuttocon riferimento a prodotti emoderivati: cosìè stata ritenuta pericolosa l’attività di produ-zione e commercializzazione di un farmacocontenente gammaglobuline umane - poi ri-sultato contaminato dal virus dell’epatite B -che aveva provocato gravi danni epatici aipazienti che lo avevano assunto. La Cassa-zione ha infatti statuito che debbono essereritenute pericolose, oltre alle attività prese in

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considerazione per la prevenzione degli infor-tuni o la tutela dell’incolumità pubblica, anchetutte quelle altre che, pur non essendo speci-ficate o disciplinate, abbiano tuttavia una pe-ricolosità intrinseca o comunque dipendentedalle modalità di esercizio o dai mezzi di la-voro impiegati. Pertanto la produzione e l’im-missione in commercio di farmaci, contenentigammaglobuline umane e destinati all’inocu-lazione nell’organismo umano, costituisce at-tività dotata di potenziale nocività intrinseca,stante il rischio di contagio del virus della epa-tite di tipo B, non espressamente previsto inpassato dalla normativa riguardante gli emo-derivati ma compreso nell’ampia funzione diprevenzione propria della normativa in mate-ria sanitaria e farmaceutica.

Analogamente, la giurisprudenza ha rite-nuto pericolosa l’attività di produzione di far-maci non emoderivati: così il Tribunale diRoma, pronunciandosi su un farmaco anti-co-lesterolo la cui assunzione aveva provocatodisfunzioni cardiache (sentenza 20 aprile2002), ha sostenuto che la commercializza-zione di farmaci è disciplinata da un articolatocomplesso di norme volte a garantire la pub-blica salute ed incolumità al fine di evitare chesostanze nocive per la salute umana, presen-tate come miracolose panacee, possano esserefabbricate, importate, distribuite, vendute,pubblicizzate. Il legislatore, dunque, ha sti-mato ex ante che queste ultime attività sianopotenzialmente dannose per la salute del-l’uomo, ed ha inteso sottoporle ad un pene-trante controllo. Ma la potenzialità di dannonon è che un pericolo di danno: quindi, l’atti-vità potenzialmente dannosa - e per questosottoposta a controlli - è un’attività “perico-losa”, ai sensi dell’art. 2050 c.c.

Si tratta di un’interpretazione più volteconfermata, anche di recente, dalla giurispru-denza (v. sent. Cass. S.U. n. 576 / 2008, nonchéC.A. Roma 21.11.2006; Trib. Salerno 2.10.2007;

Trib. Messina 17.3.2005). Ho detto che dalla qualificazione dell’atti-

vità di produzione e commercializzazione difarmaci quale “attività pericolosa” discendeche la presunzione di responsabilità contem-plata dall’art. 2050 c.c. pone a carico dell’eser-cente l’attività pericolosa l’onere di dimostraredi aver impiegato ogni misura e ogni accorgi-mento idonei ad impedire il verificarsi del-l’evento dannoso: pertanto, non basta la provanegativa di non aver commesso alcuna viola-zione delle norme di legge o di comune pru-denza, ma occorre quella positiva di averimpiegato ogni cura e misura atta a impedirel’evento dannoso.

Le misure da adottare da parte della casafarmaceutica non si esauriscono in quellemaggiormente conosciute e utilizzate a livelloscientifico ovvero in quelle previste dalla nor-mativa vigente, dovendosi ritenere che il pro-duttore del farmaco, e prima di luil’importatore, e prima ancora il produttore delcomponente, hanno l’obbligo di verificare di-rettamente l’innocuità dei materiali ricevuti, etale obbligo di verifica impone la adozione ditutti quei metodi di analisi e di controllo chela scienza medica è in grado di esercitare, aprescindere dal loro costo o dalla loro perfet-tibilità.

Così nel caso degli emoderivati infetti, lagiurisprudenza ha ritenuto responsabile ilproduttore del farmaco per non aver compiu-tamente verificato l’innocuità dei componentiutilizzati: verifica che poteva avvenire utiliz-zando un metodo di analisi, già noto a livelloscientifico e già adottato nei laboratori di ri-cerca, relativamente impreciso, per eccesso,nel senso che rivelava la presenza del virusdell’epatite nelle gammaglobuline in un nu-mero superiore di casi a quelli di effettivo con-tagio.

Da questa più rigorosa interpretazione puòderivare – e, aggiungo io, è bene che derivi

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senz’altro – un impegno diretto delle casefarmaceutiche, col peso e l’impegno informa-tivo, organizzativo ed anche finanziario chequeste possono porre in atto, a sostegno diun efficace sistema di c.d. farmacovigilanza,cioè di monitoraggio costante dell’efficacia diun farmaco già in commercio per la rileva-zione tempestiva delle reazioni non note, piùo meno gravi, derivanti dall’assunzione delfarmaco. Superando i limiti delle forme difarmacosorveglianza previste su base volon-taria o anche obbligatoria, come in Italia,dove permangono comunque limiti nellasensibilizzazione degli operatori, nella com-prensione degli obiettivi e delle condizioni diattivazione e nella generalizzazione delle se-gnalazioni.

Se dunque l’obiettivo generale della far-macosorveglianza è di colmare le lacunedella sperimentazione pre-marketing dei far-maci, questa può essere considerata senz’al-tro obbligatoria, e da provarsi nella messa inatto, da parte del produttore, importatore odistributore dei farmaci in ottemperanza alpiù stringente canone di riconoscimentodella responsabilità posto dall’art. 2050 c.c. enon dal Codice del consumo.

Resta il fatto che la qualificazione giuri-dica dell’attività di produzione dei farmacicome “attività pericolosa”, se è adeguata ailivelli di tutela richiesti in diversa forma

dagli ordinamenti dei paesi economicamentee socialmente più sviluppati, si fonda suun’interpretazione in qualche modo esten-siva del dato normativo che parla di perico-losità derivante dalla natura dell’attività odei mezzi adoperati laddove in questo casola pericolosità, per l’aspetto della sommini-strazione ai pazienti di cui ci stiamo occu-pando, non è propria dell’attività diproduzione quanto del prodotto in sé consi-derato.

Permane dunque d’attualità il suggeri-mento al legislatore per una modifica del Co-dice del consumo, in particolare del giàrichiamato art. 127, nel senso del chiarimentoa favore del consumatore, soprattutto in queisettori, quali quello alimentare e quello far-maceutico, idonei a recare maggiore allarmesociale, escludendo il rischio di sviluppodalle cause di esonero della responsabilitàdel produttore, come fatto dal legislatore fin-landese, o escludendo tale esenzione per al-cune categorie di prodotti, appunto farmacie prodotti alimentari destinati al consumoumano, e quindi non equiparando la respon-sabilità del produttore di farmaci a quella diun comune “produttore”, così recependo leproblematiche giuridiche in esame e le solu-zioni dei casi pratici adottate dalla giurispru-denza.

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1. Tema dell’indagine - Violazione delle re-

gole sportive e delle regole di diritto co-

mune: profili di responsabilità

L’attività sportiva, svolta in modo dilettan-tistico o in ambito professionistico, divienemolto spesso, a causa del suo dinamismo e,in taluni casi, delle modalità proprie di svol-gimento delle singole discipline, l’occasioneper la verificazione di eventi dannosi a caricodei soggetti che, a vario titolo, vi sono coin-volti. Prima di addentrarci nella disamina deimolteplici profili di responsabilità, che pos-sono insorgere in capo alle “società sportive”occorre tuttavia, operare una breve, quantodoverosa, premessa.

Il tema oggetto della presente indagine deveessere affrontato avendo presente che le societàsportive sono considerate soggetti di dirittotanto dell’ordinamento statale, quanto diquello sportivo e, pertanto, agli obblighi e do-veri che derivano dalle leggi dello Stato, si af-fiancano quelli derivanti dalle normedell’ordinamento sportivo. Come per tutti isoggetti che entrano a far parte dell’organizza-zione sportiva ufficiale, così anche le societàsportive, o le associazioni, con l’affiliazione aduna Federazione sportiva, diventano “centri diimputazione” dei diritti e degli obblighi previ-sti dalla normativa federale. L’attività che ri-leva, da questo punto di vista, non è soltantoquella afferente lo svolgimento di una determi-nata disciplina sportiva, bensì ogni attivitàumana connessa con l’organizzazione e la ge-stione dell’evento sportivo.

Per le società sportive si pone, innanzi-tutto, la necessità di distinguere le diverse ti-pologie di responsabilità che possonoscaturire dalle condotte poste in essere nellosvolgimento dell’attività sportiva, a secondache integrino delle violazioni di regole spor-tive, o di quelle di diritto comune, ovvero,come più spesso accade, ad un tempo di en-trambe. Per tali soggetti, infatti, alla respon-sabilità generale prevista dall’ordinamentogiuridico statale, sia in ambito civile, che pe-nale, si affianca la responsabilità per la viola-zione delle regole sportive. In particolare, laviolazione di quest’ultime comporta l’insor-genza, a carico del trasgressore, della respon-sabilità sportiva e la conseguenteapplicazione, da parte degli organi di giusti-zia endofederali, di una sanzione, che, a se-conda dei casi, potrà essere sportiva odisciplinare.

Tale prospettiva deve costituire un puntodi riferimento costante nello svolgimentodella presente indagine, in quanto, nell’esple-tamento dell’attività sportiva, non di rado ac-cade che uno stesso fatto e/o comportamentoabbia rilevanza, e come tale venga qualificato,tanto dall’ordinamento sportivo, quanto daquello statale, creando dei momenti di colle-gamento e, quindi di interazione, tra i due or-dinamenti1. Tali momenti talvolta possonodeterminare se non delle vere e proprie dero-ghe, quanto meno delle “deviazioni” dalle re-gole comunemente operanti nell’ambito dellaresponsabilità “statale”. Pertanto, accade che,pur essendo i due procedimenti, quello spor- O

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In tema di responsabilitàdelle società sportive

Piero SandulliProfessore di Diritto Processuale civile

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tivo e quello che si svolge in sede civile o pe-nale, tra loro del tutto autonomi, le regole spor-tive possono essere utilizzate dal giudicestatale al fine di distinguere i comportamenti“corretti” sotto il profilo sportivo, da quelliche, invece, travalicano le finalità agonistichee le esigenze della competizione.

In tal modo, le regole sportive finiscono persvolgere un ruolo fondamentale nel “procedi-mento statale” (rectius “giudizio”) teso a valu-tare la liceità, o no, di un determinatocomportamento e, quindi, la sua idoneità adessere fonte di responsabilità in sede civile openale. Se, da un lato, si è ritenuto, in dottrina2,che qualsiasi responsabilità per fatto illecito, inambito sportivo, debba essere esclusa, allor-quando l’evento dannoso sia conseguito aduna attività di gioco conforme al suo tipicosvolgimento, quindi alle sue regole proprie,dall’altro, la giurisprudenza ha chiarito come,in caso di “infortunio sportivo”, il criterio perindividuare in quali ipotesi il comportamentolesivo sia esente da responsabilità civile, sta nelcollegamento funzionale tra gioco ed evento,di modo che tale collegamento deve escludersiogni qual volta la condotta sia stata posta in es-sere con l’intento di ledere, ovvero con unaviolenza incompatibile con le caratteristicheconcrete del gioco, con la conseguenza che sus-siste la responsabilità dell’agente, anche se lacondotta lesiva non integra una violazionedelle regole proprie dell’attività sportiva3.

In conclusione, non ogni violazione delleregole di gioco comporta l’insorgenza di unaresponsabilità fuori dal contesto sportivo,mentre la violazione delle comuni regole di di-ligenza e prudenza riconducibili al principiodel neminem laedere, posta in essere nel contestosportivo, può determinare l’insorgenza di una“responsabilità statale”, anche laddove nonsiano state violate le regole del gioco4.

Da quanto premesso, deriva che l’applica-bilità delle regole della responsabilità civile e

penale proprie dell’ordinamento statale al-l’evento sportivo pregiudizievole, dovendosiintendere come tale quello che si verifica in oc-casione dello svolgimento o dell’organizza-zione di una manifestazione sportiva, dipendedalla ricorrenza di talune circostanze peculiari,relative ai soggetti coinvolti, ovvero al tipo diattività sportiva espletata, nell’ambito dellequali viene posta in essere la condotta lesiva.Tanto che, soprattutto in riferimento all’appli-cazione delle regole della responsabilità civileall’infortunio sportivo si è avvertita la neces-sità di operare “case by case”5, onde poter valu-tare, rispetto alla singola fattispecie, laricorrenza delle predette circostanze che ren-dono operanti le regole della responsabilitàstatale. L’approccio caso per caso appare, tut-tavia, eccessivamente relativizzante, in un con-testo, nel quale si riscontra la necessità diindividuare, quanto meno, dei livelli minimidi tutela risarcitoria. Al contrario, appare cor-retto procedere per “macroaree”, analizzandoil sistema ora sotto il profilo dei soggetti coin-volti, ora sotto quello dell’attività sportiva con-cretamente espletata.

2. Cenni sulla responsabilità sportiva

delle società.

Dal punto di vista dell’ordinamento spor-tivo, qualora si verifichi un evento pregiudi-zievole nel corso di una competizione sportiva,il primo profilo di responsabilità, che occorreconsiderare, è quello derivante da “illecitosportivo”. Le società sportive rispondono, in-fatti, della violazione degli obblighi sanciti dairegolamenti federali, segnatamente quando ilfatto è commesso da chi rappresenta l’ente, aisensi della normativa federale; quando il fattoè commesso da persone estranee alla società,ma lo stesso risulti vantaggioso per la stessa;O

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infine, in conseguenza di fatti violenti com-messi dai propri sostenitori in occasione diuna competizione sportiva. Le società, per-tanto, rispondono talvolta a titolo di respon-sabilità oggettiva o presunta, talaltra a titolodi responsabilità diretta per gli illeciti com-messi da soggetti che la rappresentano, invirtù del rapporto organico6. Le sanzioni sonoinformate al principio di proporzionalità, percui variano a seconda della gravità dei fatticommessi, e consistono in una serie di prov-vedimenti riguardanti: lo svolgimento dellegare, come nel caso della squalifica delcampo, o la disputa di gare a porte chiuse; laposizione in classifica, quali la penalizzazionedi uno o più punti, o la non assegnazione orevoca del titolo; ed, infine, sanzioni econo-miche, quali l’ammenda.

3. Cenni sulla responsabilità penale

delle società sportive.

Si è visto come, per le società sportive sus-sista, accanto alla responsabilità derivantedalla violazione dei precetti sportivi, anchel’ordinaria responsabilità, sia civile, che pe-nale, per i fatti commessi dagli organi socialirappresentativi.

La disciplina delle società sportive, sottoquesto profilo, non differisce da quella dellesocietà contemplate dal codice civile, né dagliordinari principi di diritto in materia di re-sponsabilità delle persone giuridiche, siapure con alcuni adattamenti resi dall’intera-zione tra ordinamento sportivo e ordina-mento statale.

Per quanto concerne la responsabilità pe-nale, si deve, innanzi tutto, rilevare che gli“eventi sportivi”, competizioni e quant’altro,sono promossi ed organizzati da società spor-tive, comitati o altre tipologie di enti, di modo

che, stante il principio della personalità dellaresponsabilità penale, sancito dall’art. 27della Costituzione, si pone la questione dellaindividuazione dei soggetti responsabili, nonpotendo le persone giuridiche essere soggettiattivi del reato7. L’orientamento prevalente ingiurisprudenza è nel senso di ritenere chel’individuazione del responsabile debba es-sere indirizzata nei confronti di quei soggettii quali erano preposti ad una specifica fun-zione, ovvero alla direzione di un singolo set-tore dell’organizzazione, senza che possaricorrere la concorrente responsabilità delsoggetto delegante8. Altro aspetto da conside-rare è quello relativo al nesso causale chedeve sussistere tra manifestazione sportivaed evento lesivo penalmente rilevante verifi-catosi in danno degli atleti partecipanti, ov-vero degli spettatori. Il nesso di causalitàdeve essere valutato e verificato sia sotto ilprofilo attivo, che omissivo. Se la condotta ri-levante è di tipo omissivo, allora, per poter ri-tenere sussistente la responsabilità in capo alsoggetto preposto, è richiesto, da un lato, chel’evento non sia eccezionale, ma prevedibile,e, dall’altro, l’esistenza di un obbligo giuri-dico in capo alla società di impedire l’evento.

Altra ipotesi da considerare, nell’ambitodella quale possono emergere profili di re-sponsabilità penale, a titolo di colpa, a caricodei soggetti rappresentativi delle societàsportive, è quella relativa ad incidenti, verifi-catisi negli impianti gestiti dalle stesse, daiquali sono derivate conseguenze pregiudizie-voli particolarmente gravi per i partecipantio gli spettatori.

La società sportiva, oltre che la veste diente organizzatore, può rivestire anche, o sol-tanto, quella di ente gestore degli impiantiutilizzati per la manifestazione sportiva. Se-condo la giurisprudenza, il gestore di unimpianto sportivo è titolare di una posizionedi garanzia ai sensi dell’art. 40, comma 2°, c.p. O

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e, pertanto, egli è tenuto a predisporre un ido-neo servizio di assistenza per gli utilizzatoridella struttura medesima al fine di tutelarnel’incolumità fisica9.

Inoltre, il gestore potrebbe incorrere nellaresponsabilità penale, derivante dalla vio-lazione delle norme contenute nel D.Lgs. n.626/94, come modificato D.Lgs. n. 242 del 19marzo 1996, in materia di sicurezza nei luoghidi lavoro, sempreché, naturalmente, il “ge-store” si avvalga di lavoratori dipendenti o dicollaboratori ad essi assimilati e che svolganoattività imprenditoriale.

Infine, occorre considerare le figure delit-tuose in materia tributaria per evasione delleimposte, previste dal D.L.vo n. 74 del 200010,e quelle contenute nel Regio Decreto 16marzo 1942, n. 26711.

4. La responsabilità civile

delle società sportive.

Si è già detto che nello sport i canoni dellaresponsabilità civile, ed il consequenziale ob-bligo risarcitorio, possono subire un’attenua-zione, ovvero un aggravamento, in presenzadi talune circostanze specifiche, inerenti i sog-getti coinvolti, la disciplina praticata e gli ele-menti di fatto emergenti dalle condotte postein essere.

Dall’analisi della casistica giurispruden-ziale si evince come la problematica concer-nente i profili di responsabilità civile dellesocietà sportive sia stata affrontata da una du-plice prospettiva. Da un lato, infatti, si è fattoriferimento al principio generale del neminen

laedere, codificato dall’art. 2043 c.c., che im-pone a tutti i soggetti dell’ordinamento giu-ridico, quindi anche alle società, di informarela propria condotta ai canoni di diligenza e

prudenza “normali”, onde non cagionare adaltri un danno ingiusto; dall’altro, sono stateprese in considerazione talune ipotesi di re-sponsabilità speciali12 previste dagli articoli204913, 2050 e 2051 c.c., a seconda, per quantointeressa ai fini della presente trattazione, delruolo ricoperto dalla società nell’ambito dellamanifestazione sportiva e rispetto ai soggetti,atleti e non, coinvolti nell’evento14.

La situazione soggettiva del danneggiato,infatti, può essere determinante ai fini dell’ac-certamento della responsabilità in capo allasocietà sportiva, dal momento che la c.d.“scriminante non codificata” dell’accetta-zione del rischio15, secondo la quale vi èun’alea insita nell’espletamento di ogni atti-vità sportiva che, con la sua scelta, l’atleta ac-cetta, di modo che, entro i limiti di quelrischio, la società non potrebbe essere ritenutaresponsabile dei danni subiti dallo stesso, nonè applicabile agli altri soggetti terzi coinvoltinell’evento sportivo, quali, ad esempio, glispettatori.

In tema di responsabilità civile dello sport,un altro punto fermo è rappresentato dall’ap-plicazione delle regole sul concorso di colpadel danneggiato di cui all’art. 1227 c.c., dimodo che, a prescindere dalla forma giuri-dica del soggetto danneggiante, il quantum ri-sarcibile deve essere diminuito in ragionedella gravità della condotta colpevole ed im-prudente posta in essere dal soggetto dan-neggiato e delle conseguenze che ne sonoderivate16. L’onere della prova in ordine alconcorso del danneggiato grava natural-mente sul soggetto danneggiante17.

4.1 La società sportiva organizzatrice di eventi.

Alla società sportiva si applicano, senz’al-tro, le regole della responsabilità civilequando questa agisce nella veste di “organiz-zatore di competizioni sportive”.O

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L’organizzatore di un evento sportivo puòidentificarsi nella persona fisica, nella per-sona giuridica, nell’associazione, riconosciutae non, o nel comitato, che assumendosi tuttele responsabilità nell’ambito dell’ordina-mento giuridico dello Stato, promuove l’ “in-contro” tra due o più atleti, con lo scopo diraggiungere un risultato in una o più disci-pline sportive, indipendentemente dalla pre-senza degli spettatori18.

L’appartenenza ad una federazione spor-tiva, e, quindi, il fatto che il soggetto “orga-nizzatore” sia espressamente autorizzato adallestire manifestazioni sportive in determi-nate discipline, rileva unicamente per l’ordi-namento sportivo, segnatamente perl’omologazione dei risultati, ma non per l’or-dinamento statale, poiché, se l’organizzatoreha commesso un fatto rilevante ai fini del ri-conoscimento della responsabilità in sede ci-vile o penale, questi, a prescindere dalla suaposizione sportiva, ne risponderà davantiagli organi della giustizia statale.

Ciò che rileva, ai fini dell’attribuzione aduna società sportiva della “qualità” di orga-nizzatore, non è la forma giuridica assunta,quanto, piuttosto, il fatto di farsi promotoredi una competizione sportiva. Le societàsportive, promotrici di una competizione, de-vono rispettare le ordinarie regole di dili-genza e prudenza, predisponendo idoneecautele al fine di ridurre al minimo i rischi peri soggetti terzi, siano essi atleti, spettatori oaltri soggetti, quali gli ausiliari dell’organiz-zatore.

Più precisamente, le società sportive orga-nizzatrici sono tenute all’osservanza delle re-gole tecniche di preparazione e gestione dellagara, ivi compresa la supervisione delle con-dizioni logistiche di svolgimento della com-petizione, e degli ordini impartitidall’Autorità di pubblica sicurezza.

A titolo meramente esemplificativo, si ri-

tiene che la società promotrice dell’eventodebba innanzitutto controllare l’adeguatezza,la pericolosità e la conformità a sicurezza dei“mezzi tecnici” utilizzati dai partecipanti, perquanto si ritiene che nessuna censura possaessere mossa all’organizzatore se, nonostantel’attestata conformità ai regolamenti deimezzi utilizzati, quest’ultimi, per le loro ca-ratteristiche intrinseche e per l’uso che ne èstato fatto, abbiano causato danno agli atletio ad altri19.

L’organizzatore è tenuto a controllareanche l’idoneità e la sicurezza dei luoghi edegli impianti dove si svolge la manifesta-zione sportiva e, mediante l’ausilio di idoneopersonale medico, le condizioni psico-fisichedell’atleta, anche se di solito tali accertamentisono demandati agli organi delle federazioni,limitandosi il controllo, effettuato dall’orga-nizzatore, al mero riscontro documentale diaccertamenti medici svolti in altra sede20.

In generale, il fondamento della responsa-bilità della società organizzatrice di un eventosportivo deve individuarsi nella norma pre-vista dall’art. 2043 c.c., che, tuttavia, talvoltafinisce per svolgere un ruolo quasi residuale,posto che la giurisprudenza ha mostrato dipreferire il ricorso ai canoni di oggettività ti-pici di alcune responsabilità c.d. “speciali”,quali quelle disciplinate dagli artt. 2049, 2050e 2051 c.c., alternando, quindi, un criterio diimputazione condizionato dall’elemento sog-gettivo dell’illecito21, ad uno caratterizzato,invece, da una attribuzione di responsabilitàoggettiva o aggravata. In taluni casi, infatti,l’organizzazione di eventi sportivi è stata ri-tenuta attività pericolosa22. La norma di cuiall’art. 2050 c.c., com’è noto, si caratterizzaper avere una struttura aperta, di modo che,costituiscono attività pericolose non soltantoquelle espressamente qualificate come talidalle leggi di Pubblica sicurezza, o dalle altreleggi speciali, ma anche quelle che, per la loro

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stessa natura, ovvero per le caratteristiche deimezzi adoperati, comportano la rilevante pos-sibilità del verificarsi di un danno, per la loro“spiccata potenzialità offensiva”23. Il giudiziodi pericolosità di una determinata attività èuna valutazione che spetta al giudice di me-rito, il quale dovrà, a tal fine, valutare tutti glielementi di fatto acquisiti al giudizio e deci-dere anche in base a nozioni di comune espe-rienza24. Il giudizio ex art. 2050 c.c. circa lapericolosità di un’attività, peraltro, è bene ri-cordarlo, si sostanzia in una valutazione riser-vata al giudice del merito ed, in quanto tale,insindacabile in sede di legittimità25.

La prova dell’osservanza delle prescrizioniregolamentari sportive, in linea generale, nonè stata ritenuta sufficiente ad escludere la re-sponsabilità per i danni subiti dai terzi26, inparticolar modo per quanto concerne gli spet-

tatori egli altri soggetti terzi; tuttavia, qualorai soggetti danneggiati siano iscritti alla compe-tizione sportiva, la prova del pedissequo ri-spetto dei regolamenti potrebbe escludere laresponsabilità dell’organizzatore, in conside-razione del fatto che i partecipanti, nello svol-gere l’attività sportiva ne accettanoimplicitamente il rischio normalmente con-nesso, dovendosi indagare, a quel punto, se viè stato superamento di quel rischio, per unfatto imputabile alla società organizzatrice27.Per andare esente da responsabilità in questicasi, l’organizzatore dovrà provare di averepredisposto le normali cautele atte a contenereil rischio nei limiti confacenti alla singola atti-vità sportiva, nel rispetto di eventuali regola-menti28. Non è richiesta, invece, la prova diaver posto in essere misure idonee ad elimi-nare il rischio insito nella disciplina praticata,O

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posto che l’atleta non può avanzare le propriepretese risarcitorie nei confronti della società,se l’accaduto rientra nell’alea normale dell’at-tività agonistica prescelta.

Se, da un lato, si è detto che la responsabi-lità della società organizzatrice ha naturaextra-contrattuale, in quanto si fonda sul ge-nerale principio del neminem laedere, dall’al-tro, nei confronti degli spettatori, che hannoacquistato il titolo di acceso alla manifesta-zione sportiva, tale responsabilità ha anchenatura contrattuale, dal momento che tra gliobblighi assunti con il contratto deve anno-verarsi anche la tutela della incolumità dellospettatore, potendo pertanto quest’ultimo av-valersi sia dell’azione contrattuale che diquella extra-contrattuale, ovvero di en-trambe29.

Un’ulteriore prospettiva della presente in-dagine concerne la responsabilità a cui po-trebbe andare incontro la societàorganizzatrice dell’evento sportivo per idanni cagionati ai soggetti terzi, atleti e non,dall’operato dei propri ausiliari e collabora-tori. In tal caso, infatti, trova senz’altro appli-cazione l’art. 2049 c.c., con imputazioneessenzialmente oggettiva della responsabilitàin capo all’organizzatore, salvo la prova daparte di quest’ultimo che il fatto lesivo è statoposto in essere dai suoi ausiliari al di fuoridell’espletamento delle proprie mansioni.

4.2 La società sportiva gestore di impianti

sportivi.

Altro profilo di responsabilità della societàsportiva è quello che viene in rilevo quandoquesta assume la veste di “gestore” di un im-pianto sportivo. Invero, spesso accade che ilsoggetto organizzatore della competizione siaanche il gestore dell’impianto dove la stessasi svolge, tuttavia, non è sempre così e, per-tanto, s’impone una autonoma considera-zione dei profili di responsabilità

specificatamente connessi con tale ruolo. In linea generale, è possibile affermare che

il gestore di un impianto sportivo è tenuto agarantire la sicurezza e l’incolumità dei sog-getti che vi accedono, a prescindere dal fattoche siano lavoratori dipendenti, collaboratori,atleti, spettatori o altre tipologie di utenti ingenere, con conseguente responsabilità, azio-nabile da parte dei terzi danneggiati, e rela-tivo obbligo risarcitorio. In tal senso, apparecorretto dire che il gestore é titolare di una“posizione di garanzia”, però, non senza lim-iti, poiché egli potrà essere ritenuto respons-abile solo degli eventi dannosi “prevedibilied evitabili”.

In tale prospettiva, il gestore è tenuto apredisporre ogni cautela al fine di impedire ilverificarsi di danni in capo a chi accede al-l’impianto ed a garantirne il possesso dellecondizioni di agibilità. Al riguardo, si è osser-vato che l’omologazione dell’impianto stessorilasciata dalla federazione sportiva compe-tente non è una condizione sufficiente, poichéil gestore è chiamato a provvedere alla rego-lare manutenzione delle strutture sportive,affinché si conservino nello stesso stato in cuisi trovavano nel momento del rilascio del-l’omologazione, impedendo i degradi chepossano costituire una qualsiasi fonte di pe-ricolo30.

Come per l’organizzatore di eventisportivi, così anche per il gestore, la respons-abilità civile connessa alla gestione di unimpianto sportivo è di natura extra-contrat-tuale, per violazione del generale principiodel neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. e,tuttavia, il criterio d’imputazione di tale re-sponsabilità, talvolta, prescinde dall’ele-mento soggettivo; ciò che può accadere, siaper la sovrapposizione di una concorrente re-sponsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., nelcaso di uso oneroso dell’impianto e del con-seguente diritto dell’utente di fruirne in con- O

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dizioni di sicurezza, sia perché talvolta lagiurisprudenza ha ritenuto di poter richia-mare, anche in riferimento al gestore, forme diresponsabilità “speciali”, segnatamente quellepreviste dagli artt. 2049, 2050, 2051 c.c.; ricor-rendo anche al caso della “rovina dell’edificio”previsto dall’art. 2053 c.c.

Com’è noto, tali responsabilità spostano,rispetto alla previsione di cui all’art. 2043 c.c.,l’onere probatorio dal soggetto danneggiato aquello danneggiante, di modo che incomberàsul gestore l’onere di fornire la prova “posi-tiva” di aver adottato tutte le misure idonee adevitare il danno.

In tali casi, il criterio di imputazione nonsarà quello della colpa ma, a seconda dei casi,l’esercizio di una attività pericolosa, la custo-dia di cose, ovvero la proprietà di edifici31.

I danni risarcibili, naturalmente, sonosoltanto quelli conseguenti ad eventi verifi-catisi all’interno dell’impianto, o comunquecollegati all’accesso, ovvero allo stazionamentonello stesso, e che siano originati da una con-dotta, direttamente o indirettamente, riferibileal gestore.

Quest’ultimo, infatti, al pari dell’organizza-tore, potrebbe essere chiamato a rispondere aisensi dell’art. 2049 c.c., laddove il danno in-giusto sia conseguito da comportamenti postiin essere da dipendenti o collaboratori, sem-preché sussista tra questi ed il gestore un rap-porto di preposizione (non necessariamenteconnesso ad un rapporto di lavoro subordi-nato, essendo sufficiente anche soltanto il tem-poraneo o occasionale inserimento delpreposto nell’organizzazione aziendale32), conconseguente possibilità di controllo e sorveg-lianza delle attività espletata dagli stessi. Il ge-store, peraltro, potrebbe essere ritenutoresponsabile anche se il soggetto prepostoabbia agito al di fuori delle proprie mansioni,qualora dette mansioni abbiano reso possibile,o anche solo agevolato, il fatto dannoso, po-

nendosi con esso in relazione di “occasionalitànecessaria”33.

Infine, una considerazione a parte meritanole disposizioni in materia di sicurezza dei lu-oghi dove si svolgono le manifestazionisportive introdotte dal decreto legge n.187/201034. Esigenze di coerenza con il temadella presente indagine impongono di limitarei rilevi alla disposizione di cui all’art. 1, comma2°, del suddetto decreto, ai sensi del quale“All’articolo 1 del decreto-legge 8 febbraio 2007, n.8,convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile2007, n. 41, dopo il comma 3-quinquies, e’ ag-giunto, in fine, il seguente: «3-sexies. A garanziadella sicurezza, fruibilita’ ed accessibilita’ degli im-pianti sportivi la sanzione di cui al comma 3-quin-quies si applica anche alle societa’ sportive cheimpiegano personale di cuiall’articolo 2-ter, in nu-mero inferiore a quello previsto nel piano approvatodal Gruppo operativo sicurezza di cui al decreto at-tuativo del medesimo articolo 2-ter.35».”.

La norma, sanziona con una ammenda, daun minimo di 20.000 ad un massimo di 100.000euro, la società che impiega un numero di“steward” inferiore a quello prescritto. Al di làdella rilevanza della previsione nell’ottica diuna sempre maggiore fruibilità degli impiantisportivi in condizioni di piena sicurezza, anchein occasione di manifestazioni sportive carat-terizzate, oltre che da una dimensione numer-ica importante, da una significativa tensioneagonistica, la norma rileva, ai fini della pre-sente indagine, per i profili di responsabilitàcivile che possono derivare dalla sua eventualeviolazione. Appare evidente, infatti, comel’impiego da parte della società sportiva di unnumero di steward inferiore a quello prescrittodalla normativa costituisca una violazione dilegge rilevante ai fini dell’imputazione colposadella responsabilità per i danni eventualmentesubiti da un terzo, spettatore, atleta o altro, inoccasione di una manifestazione. Responsabil-ità quest’ultima, che non potrà essere esclusaO

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dalla non imputabilità dell’evento allacarenza di steward, posto che, in ogni casol’aver impiegato un numero di steward infe-riore a quello prescritto costituisce, già di persé, oltre che una violazione di leggi e regola-menti, come minimo una violazione dei gen-erali doveri di diligenza e prudenzaincombenti sulla società, sia nella veste di or-ganizzatore, che in quella di gestore del-l’impianto.

4.3 La società sportiva datore di lavoro: profili diresponsabilità ex art. 2087 c.c.

Da ultimo, si devono considerare i profilidi responsabilità della società sportivaquando questa assuma la veste di datore dilavoro. In particolare, in tema di rapporto dilavoro tra società sportiva ed atleta profes-sionista, la giurisprudenza ha sancito il prin-cipio secondo cui le società sportive, o leFederazioni con riferimento a sinistri avve-nuti nello svolgimento di competizioni dellesquadre nazionali, hanno l’obbligo, in forzadegli articoli 2043 e 2087 c.c., di tutelare lasalute dei propri atleti, adottando tutte lecautele necessarie, secondo norme tecniche edi esperienza, ad impedire eventi lesivi dellaloro integrità fisica36. A tal fine, bisogna con-siderare che le cautele richieste al datore di la-voro dall’art. 2087 c.c. devono “parametrarsi”alla specifica attività svolta dallo sportivoprofessionista ed alla sua particolare esposi-zione al rischio di infortuni.

Si tratta di un’obbligazione molto ampiadal punto di vista del contenuto, posto che lasocietà è chiamata a tutelare la salute degliatleti sia attraverso la prevenzione deglieventi pregiudizievoli della loro integrità psi-cofisica, che attraverso la cura degli infortunie delle malattie le quali possono trovare causanei rilevanti sforzi caratterizzanti la praticaprofessionale di uno sport. Ciò in quanto, nelcaso in cui il danno all’integrità fisica del-

l’atleta professionista sia stato cagionato dallacarenza dei necessari accertamenti sanitari,per errore nella diagnosi o nelle terapie pre-scritte, la società sportiva, come già ricordato,può essere chiamata a rispondere, in base aldisposto degli articoli 1218 e 2049 c.c. per ilfatto dei propri “ausiliari”, nella specie delpersonale medico sportivo o comunque diquello preposto alla tutela della salute degliatleti.

Conclusioni.Gli esiti dell’elaborazione dottrinale e

giurisprudenziale, poc’anzi evidenziati, con-sentono di rilevare come il sistemadella responsabilità civile delineato dall’ordi-namento giuridico statale abbia offerto aglioperatori giuridici gli istituti e le norme suf-ficienti a qualificare e regolamentare, pur inassenza di una specifica disciplina, le con-seguenze pregiudizievoli derivanti dallosvolgimento dell’attività sportiva, intenden-dosi anche quella, di organizzazione di com-petizioni e di gestione di impianti, svoltadalle società sportive.

La necessità di approntare una tutela effet-tiva e veloce per i soggetti danneggiati nelcorso dello svolgimento di un’attivitàsportiva giustifica, senz’altro, il ricorso aicanoni della oggettività, che appaiono ancorpiù adeguati laddove si considerano i fatti dicronaca che frequentemente accompagnanotalune manifestazioni sportive.

Residuano, tuttavia, alcune perplessitàsulle possibili linee evolutive di dettesoluzioni giurisprudenziali, che, se applicatein maniera rigida, rischiano di appesantire ec-cessivamente lo svolgimento di tali attività daparte degli operatori economici più deboli, inpalese contrasto con il favor riconosciuto allo“sport” dall’ordinamento giuridico statale(cfr. L. 280/2003).

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2050 c.c., infatti, può rappresentare, dal puntodi vista del rapporto costi benefici, un giustocompromesso, quando il soggetto danneg-giante, ritenuto “oggettivamente” respons-abile, è, ad esempio, una società calcistica divertice37, posto che i profitti connessi all’attiv-ità di organizzazione delle competizioni e digestione degli impianti ospitanti, sono tali darealizzare un accettabile bilanciamento degliinteressi contrapposti.

Viene da chiedersi, però, se il predetto rin-vio possa ritenersi altrettanto giustificatoquando la società a cui si vuole addossare laresponsabilità, in via oggettiva, è una realtàeconomica ben più modesta, in quanto svol-gente attività sportiva in ambiti meno remu-nerativi di quello calcistico. Si pone, pertanto,la necessità di introdurre un principio moder-atore rispetto alla tesi giurisprudenziale ap-pena richiamata, che consenta di tenere indebita considerazione anche il profilo econom-ico e, in particolare, il rapporto costi benefici,delle fattispecie di danno coinvolgenti le soci-età sportive, al fine, da un lato, di preservarel’equità del sistema, e, dall’altro, di evitare digravare le società sportive “minori” di obblighie costi, in linea di principio “giustificabili”, manella realtà inattuabili ed economicamente in-sostenibili.

NOTE

1M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti spor-

tivi, in Riv. dir. sport, 1949, 26; secondo l’autore, l’attivitàsportiva appare divisa in tre parti: una zona retta danorme dei diritti statali, ed esclusivamente da esse; un’al-tra solo da norme dei diritti sportivi, vi è poi una zonaintermedia, nella quale le due formazioni si trovano incontatto, e in alcuni punti si sovrappongono, in altri siescludono a vicenda, in altri configgono. In tema di ri-parto di giurisdizione tra ordinamento sportivo e ordi-namento statale si veda, P. SANDULLI, Giustizia sportiva e

giurisdizione statale, in Dir. d. sport, 3/2008, 429. Sulla cor-retta interpretazione dei limiti imposti all’autonomia del-

l’ordinamento sportivo, in base al disposto dell’art. 1della legge n. 280/2003, laddove vengano in rilievo si-tuazioni giuridiche soggettive di “tesserati” dell’ordina-mento sportivo, si veda E. LUBRANO, La sentenza

abbonati-Catania: Il Consiglio siciliano e il rischio del ritorno

della tutela giurisdizionale nello sport al paleozoico?!, in Dir.

d. sport, 6/2007, 789. Sotto altro profilo, si veda anche, V.PESCATORE, Sanzione sportiva, responsabilità civile e arbitrato,in NGCC, 2010, II, 467; l’autore svolge una disamina dellecondizioni alle quali l’irrogazione di una sanzione nel-l’ambito dell’ordinamento sportivo rileva in quello sta-tale alla stregua degli artt. 2043 e ss del c.c., finendo persussumere il provvedimento di irrogazione della san-zione nella categoria concettuale propria della responsa-bilità “aquiliana” del “fatto/atto fonte del danno”. Allostesse conclusioni era già pervenuto il Consiglio di Statocon sentenza del 25 novembre 2008, n. 5782, in Foro it.,2009, III, 1999.2M. SANINO, Diritto Sportivo, 2002, 419. 3Cass. 8 agosto 2002, n. 12012, in Danno e resp., 2003, 529.4 Nella giurisprudenza di merito, si veda, da ultimo, Tri-bunale Piacenza, 1 giugno 2010, n. 404, secondo la quale,in ipotesi di infortunio sportivo e “fuori dal caso dell’in-tenzionalità dolosa della lesione”, perché vi sia respon-sabilità risarcitoria civilistica è necessario non solo chesia configurabile la violazione delle regole sportive; maanche che detta violazione sia posta in essere con moda-lità di rude violenza o irruenza, sleali o tali da metterecoscientemente a rischio l’incolumità dell’avversario, inmodo che venga superato il cosiddetto rischio consentitonell’ambito della normale alea derivante dalla partecipa-zione all’attività sportiva.5S. SICA, Lesioni cagionate in attività e sistema delle responsa-

bilità, in Corr. Giur., 2000, 743.6 Al riguardo si veda: G. VALORI, Il diritto nello Sport, 2005,168; secondo l’autore, le figure di responsabilità oggettivache si riscontrano nell’ambito dell’ordinamento sportivorispondono ad un’esigenza di tutela dei soggetti terzi etrovano la loro “ratio” nella volontà del Legislatore di in-durre le società sportive a porre in essere tutti gli accor-gimenti necessari ad evitare l’accadimento di certi fatti.Il ricorso all’istituto della responsabilità oggettiva si giu-stifica anche per una severa scelta “politica” di arginareil ripetersi di determinati comportamenti, di per se stessiidonei a cagionare danni gravi all’incolumità delle per-sone e della cose, oltre che a compromettere la regolaritàdei campionati. Sulle ragioni del ricorso operato da dot-trina e giurisprudenza ai canoni di “oggettività”, sia purein materia di responsabilità civile, si veda A. MAIETTA, Laresponsabilità civile delle società di calcio, osservazioni a mar-

gine del caso Giampà, in Riv. di diritto ed economia dello sport,n. 1/2005, 45. O

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987 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, Mi-lano, 1989, 519.8 Cass. pen., sez. III^, 6 marzo 2003, in Foro it. 2003, II, 610;Cass. pen. 4 maggio 2007, n. 23838, in Guida al diritto 2007,35, 71, con nota di R. BRICCHETTI.9Cass. pen., 3 febbraio 2006, n. 4462; conforme a Cass.pen. 18 aprile 2005, n. 27396, secondo la quale “Il respon-sabile di una società sportiva che gestisce una piscina ètitolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell’art. 40,comma 2, c.p., in forza della quale è tenuto a garantirel’incolumità fisica degli utenti mediante l’idonea orga-nizzazione dell’attività, vigilando sul rispetto delle regoleinterne e di quelle emanate dalla Federazione italiananuoto, le quali hanno valore di norme di comune pru-denza, al fine di impedire che vengano superati i limitidel rischio connaturato alla normale pratica sportiva.10 D.L.vo n. 74 del 2000, “Nuova disciplina dei reati in mate-

ria di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma del-

l’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205“ (in G.U. n. 76del 31 marzo 2000).11 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, “Disciplina del fal-

limento, del concordato preventivo, dell’amministrazione con-

trollata e della liquidazione coatta amministrativa”, (in G.U.

n. 81, del 6 aprile 1942).12R. FRAU, La r.c. sportiva, in P. Cendon (a cura di), La re-

sponsabilità civile, X, Torino, 1998, 307; secondo l’autore ilricorso allo schema della responsabilità oggettiva trovail suo fondamento nella obbiettiva difficoltà di individua-zione del responsabile di un comportamento cagionevoledi danno, in occasione di un evento sportivo.13Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. civ.

prev., 2003, 765, secondo la quale “… nell’esercizio di at-tività sportiva a livello professionistico le società sportive(o la Federazione, con riferimento a sinistri avvenutinello svolgimento di competizioni delle squadre nazio-nali) sono tenute a tutelare la salute degli atleti, sia attra-verso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli dellaloro integrità psico-fisica, sia attraverso la cura degli in-fortuni e delle malattie che possono trovare causa nei ri-levanti sforzi caratterizzanti la pratica professionale disport, potendo essere chiamate a rispondere in base al di-sposto degli artt. 1218 e 2049 c.c. dell’operato dei proprimedici sportivi e del personale comunque preposto a tu-telare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute,come datore di lavoro del calciatore, ad adottare tutte lecautele necessarie, secondo le norme tecniche e di espe-rienza, per tutelare l’integrità fisica del lavoratore.14 Vedi, al riguardo, G. LIOTTA, in Lezioni di diritto sportivo

di G. LIOTTA e L. SANTORO, Milano 2009, 191.15 Sull’argomento, si veda: E. GALLI, “Responsabilità penale

per lesioni personali e giuoco del basket”, in Dir. d. sport. 2010,n. 2, 149.

16Trib. Genova 4 maggio 2000, in Foro it., 2001, I, 1402.17Cass. 23 maggio 2001, n. 7027, in Foro it. 2001, I, 2504.18P. DINI, L’organizzatore e le competizioni: limiti della respon-

sabilità, in Riv. dir. sport, 1971, 416. 19Così, V. FRATTAROLO, La responsabilità civile per le attività

sportive, Milano, 1984, 125.20 Cass. civ., sez. III^, 30 gennaio 2009, n. 2482, in Giust.

civ. Mass. 2009, 1, 140; secondo la quale “la gestione di unippodromo non costituisce di per se una attività perico-losa, ma può diventarlo in determinati casi; quando essaè funzionale all’attività di scuole di equitazione e all’or-ganizzazione di gare ippiche”.21 Cass. civ., sez. III^, 15 febbraio 2001, n. 2216, in Dir. tra-

sporti 2003, 183; secondo la quale: “Il contratto di tra-sporto dello sciatore (sugli impianti di risalita) ha naturaatipica, posto che non solo di trasporto si tratta, ma ditrasporto funzionale all’attività sciistica su piste sicure.Da ciò non deriva peraltro un’assunzione di responsabi-lità del gestore degli impianti anche per la manutenzionedelle piste. Nè il gestore assume una responsabilità ex-tracontrattuale ai sensi degli art. 2050 o 2051 c.c., perchéè da escludere sia la natura intrinsecamente pericolosadella sua attività, sia la sua qualità di custode delle piste”.Pertanto, se, a causa di una difettosa manutenzione dellapista, uno sciatore si infortuna, non può agire nei con-fronti del gestore dell’impianto di risalita a titolo di re-sponsabilità contrattuale.22 Cass. 13 febbraio 2009, n. 3528, in Resp. civ. e prev. 2009,7-8, 1551;in senso conforme Cass. 27 ottobre 2005, n.20908; Trib. Milano, 29 febbraio 2008, n. 2671; in dottrina,si veda B. BERTINI, La responsabilità sportiva, 2002, 120 e ss.23 Cass. 13 febbraio 2009, n. 3528, in Resp. civ. e prev. 2009,7-8, 1551; con tale pronuncia la Corte di legittimità con-ferma l’orientamento secondo il quale per «attività peri-colose», agli effetti di cui all’art. 2050 c.c., devonointendersi quelle così qualificate da specifiche norme de-stinate a prevenire sinistri e a tutelare la incolumità pub-blica, ovvero quelle per le quali la pericolosità trovariscontro nella natura delle cose e dei mezzi adoperati;mentre non possono considerarsi tali quelle nelle qualila pericolosità insorga per fatti estranei; conformi: Cass.19 gennaio 2007, n. 1195; Cass. 26 aprile 2004, n. 7916;Cass. 5 luglio 2002, n. 8148; Cass. 2 dicembre 1997, n.12193; Cass. 9 dicembre 1996, n. 10951; Cass. 27 luglio1990, n. 7571; Cass. 24 novembre 1988, n. 6325.24Cass. 27 luglio 1990, n. 7571, in Resp. Civ. e prev., 1991,458.25Cass. 19 gennaio 2007, n. 1195, in Giust. civ. Mass. 2007,1; Cass. 21 ottobre 2005, n. 20357, in Giust. civ. Mass. 2005,10.26 Cass. 16 gennaio 1985, n. 97, in Riv. dir. sport., 1985, 214;Trib. Rovereto 5 dicembre 1989, in Riv. dir. sport., 1990,O

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498; Trib. Milano, 12 novembre 1992, in Resp. civ. e prev.,1993, 616.27 Cass. 13 febbraio 2009, n. 3528, in Giust. civ. 2009, 7-8,1561; secondo la quale, l’organizzazione di una garasportiva non può essere considerata “attività perico-losa”, ai sensi dell’art. 2050 c.c., con riferimento ai dannisubiti dagli atleti e dei quali è prevedibile la verifica-zione, in quanto provocati dagli inevitabili errori delgesto sportivo degli atleti impegnati nella gara. La me-desima attività, invece, deve essere considerata “peri-colosa” se in conseguenza di essa gli atleti sono statiesposti a conseguenze più gravi di quelle che possonoessere determinate dai predetti errori. (Nella specie, ilgiudice di merito aveva rigettato la domanda propostada un atleta che, durante una gara di bob, aveva persoil casco a causa di una scheggia di legno distaccatasi dauno dei tavoloni di sostegno della pista contro cui avevacozzato con la testa rivestita dal casco, riportando gravidanni alla persona. La S.C., in applicazione del princi-pio che precede, ha cassato la decisione, per non avereil giudice di merito adeguatamente accertato se le mo-dalità di predisposizione delle paratie di sostegno aves-sero o meno aumentato la pericolosità del campo digara).28 Cass. 20 febbraio 1997, n. 1564, in Resp. civ. prev., 1997,699.29Tribunale Perugia, 15 luglio 2005, in Resp. civ. e prev.

2006, 7-8, 1297; in dottrina, B. BERTINI, La responsabilità

sportiva, 2002, 132 e ss.; in senso contrario, però, Trib.Milano, 21 settembre 1998; App. Milano, 18 maggio2001.30P. DINI, op. cit., 426.31 Si vedano, a titolo esemplificativo: Cass. 17 gennaio2008, n. 858; Cass. pen. 24 gennaio 2006, n. 16998; Cass.14 ottobre 2005, n. 19975; Cass. 14 ottobre 2005, n. 19974;Tribunale Monza, sez. IV, 16 aprile 2004.32 Tribunale Milano, sez. X, 3 ottobre 2009, n. 11786, inGiustizia a Milano 2009, 10, 66; Cass. 24 luglio 2009, n.17393, in Giust. civ. Mass. 2009, 9, 1234; Cass. 5 marzo2009, n. 5370, in Guida al diritto 2009, 23, 71; Cass. 22giugno 2007, n. 14578, Giust. civ. 2008, 7-8, 1766; Tribu-nale Milano, 19 febbraio 2003, in Giur. milanese 2004, 76.

33 Cass. 26 gennaio 2010, n. 1530.34 Decreto legge 12 novembre 2010, n. 187, recante “Mi-

sure urgenti in materia di sicurezza”, in Gazzetta Ufficiale

n. 265 del 12 novembre 2010.35 Decreto del Ministero dell’Interno 8 agosto 2007, re-cante “organizzazione e servizio degli “steward” negli im-

pianti sportivi”, in attuazione dell’art. 2-ter deldecreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con mod-ificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41; in particolare,è da esaminare il dettato dell’art. 5, “Disposizioni gene-rali sul servizio degli steward”: 1. Nell’espletamento deicompiti di direzione e controllo, il delegato per la sicu-rezza pianifica l’impiego degli steward sulla base del-l’organigramma di cui all’allegato C al presente decreto,secondo un piano approvato dal G.O.S. almeno 3 giorniprima della gara. Predispone, altresì, l’elenco del per-sonale impiegato, avendo cura di associare ciascun no-minativo ad un numero progressivo, specificando l’areao settore di impiego e le mansioni assegnate a ciascunaunità operativa, ed al documento attestante la coperturaassicurativa. L’elenco, con la documentazione predetta,è trasmesso al questore. Il conferimento dei compiti di“coordinatore” e di “responsabile di funzione” è subor-dinato al preventivo assenso del questore. 3. Gli ste-ward, durante lo svolgimento delle loro mansioni,indossano una casacca, con le caratteristiche di cui al-l’allegato D del presente decreto, di colore giallo fluo-rescente, ovvero arancione fluorescente, in relazionealle circostanze di impiego, contenente la scritta “ste-ward” ed un numero progressivo associato al nomina-tivo dell’operatore. E’ consentito applicare sulla tascaper supporto radio della casacca uno o più asterischi,in colore contrastante, che individuano i compiti di“capo unita”, di “coordinatore” e di “responsabile difunzione”.36Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 85, in Lavoro nella

giur. (II) 2003, 544, con nota di G. MANNACCIO.37 E’ auspicabile, per il futuro che le società professioni-stiche si dotino di impianti propri che possano megliogarantire (oltre al patrimonio delle società) una migliorefruibilità dell’evento sportivo ed una maggiore sicu-rezza per gli spettatori.

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1. Se c’è un punto sul quale tutti concor-dano a proposito delle disfunzioni della giu-stizia penale italiana, è quello dell’eccessivadurata del processo: la Corte Europea dei Di-ritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale, lagiurisprudenza, la dottrina, tutte le forze po-litiche, le Istituzioni dello Stato, le associa-zioni a protezione dei diritti umani,costantemente formulano richiami più omeno vincolanti al rispetto della regola, oggicostituzionalizzata, della “ragionevole du-rata” del processo (art. 111 Cost.).

Il problema è molto complesso e non puòessere certamente trattato in questa sede inmodo esauriente, anche se in modo molto ge-nerale possono essere sottolineati due aspettisicuramente macroscopici, troppo spesso tra-scurati nei dibattiti sul tema.

In primo luogo, come soluzione del pro-blema non può essere propugnata la genera-lizzata semplificazione delle formeprocessuali, con la conseguente, inevitabile,drastica riduzione delle garanzie (ad esem-pio, l’abolizione dell’appello, il restringi-mento dell’area dei vizi processuali, ladiminuzione delle facoltà difensive, gli inter-venti sulla “circolazione” della prova tra iprocessi); si aprirebbe così la strada al “pro-cesso sommario” che, in quanto processo

semplificato, non appesantito da adempi-menti procedurali, potrebbe giungere intempi rapidi alla conclusione.

Una simile impostazione ideologica cadenell’insidioso equivoco dell’equiparazionedel concetto giuridico di “ragionevole du-rata” del processo, con la diversa e demago-gica nozione di durata “semplicementetemporale” del processo, come se, tanto piùbreve fosse il processo, quanto più si rispet-terebbe il principio costituzionale della ragio-nevole durata.

In ogni caso, tra le tante conseguenze ne-gative dei tempi eccessivi della giustizia, vasicuramente collocato lo spostamento del ba-ricentro del procedimento penale sulla fasedelle indagini, sempre più intesa come mo-mento di effettiva trattazione della regiu-dianda, quando non addirittura, momento diapplicazione della pena. Penso, ad esempio,all’uso eccessivo della custodia cautelare incarcere, concepita spesso come vera e propriapena “anticipata”.

Insomma, l’esigenza di una giustizia ra-pida ed efficiente, l’ansia di una soluzione, lapiù rapida possibile, di vicende che in molticasi turbano l’opinione pubblica e suscitanola spasmodica attenzione dei media, tra-sforma la fase delle indagini preliminari, de- Te

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Indagini, intercettazioni e tempidel processo penale

Angelo Alessandro Sammarco Professore Universitario, Avvocato del Foro di Roma

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dicata all’acquisizione di mere “fonti diprova”, necessarie al PM per decidere seesercitare o meno l’azione penale, in vero eproprio giudizio, dove già si acquisiscono le“prove”, anche queste “anticipate” della col-pevolezza dell’”indagato”.

L’esempio, eclatante, di questa nuova ti-pologia di prova “anticipata” è costituitoproprio dalle intercettazioni telefoniche cheda semplice “mezzo di ricerca della prova”,sono ormai divenute prove a tutti gli effetti,per di più, come è noto, veicolate e circola-rizzate in un ossessivo e martellante circuitomediatico.

Provo a suggerire una soluzione norma-tiva del problema.

2. Il problema principale delle intercet-tazioni deriva dal fatto che si tratta di ele-menti che hanno un’obiettiva duplicevalenza: da un lato servono a dimostrare lacommissione di reati (quando, ad esempio,

parlando a telefono, due complici si accor-dano per la commissione di un reato); daun altro lato, servono come informazioniutili alle indagini (quando, ad esempio,parlando a telefono, due complici fissanoun appuntamento per lo scambio di unapartita di stupefacenti). Dunque, sotto unprimo aspetto le intercettazioni sono un“mezzo di prova”; sotto un secondo aspettosono un “mezzo di ricerca della notizia direato”.

Il codice di procedura penale non tieneconto della duplice natura delle intercetta-zioni, semplicemente classificandole come“mezzi di ricerca della prova” e attribuendoloro una funzione ambigua che può essere,sia di mezzo investigativo, sia di mezzo di-rettamente probatorio. Di qui, nascono leanomalie, note a tutti, dell’abuso delle inter-cettazioni, che, iniziate a scopi, puramenteinvestigativi, al fine di acquisire notizie direato o preventivi, per impedire la commis-Te

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sione di reati, finiscono per essere poi inde-bitamente utilizzate come prove per tutto econtro tutti, con le inevitabili violazioni dellepiù elementari garanzie processuali.

L’equivoco generato dalle ambiguitàdell’attuale disciplina normativa, che, comedetto, non chiarisce l’effettiva natura delle in-tercettazioni, si ripercuote nell’eterna pole-mica tra “giustizialisti” che non voglionolimitazioni alle intercettazioni perché sonomezzo utile se non necessario per le indaginie per la prevenzione del crimine e “garanti-sti” che invece pretendono la limitazionedelle intercettazioni che, interferendo in sfereprotette dell’individuo, finiscono per violarediritti e libertà fondamentali.

E’ evidente che entrambi i punti di vistasono corretti; si tratta, semmai, di realizzareun “bilanciamento” delle varie esigenze inuna disciplina che, semplicemente, tengaconto, in maniera non ambigua, come accadeattualmente, della duplice natura delle inter-cettazioni.

E’ sufficiente quindi prevedere una disci-plina differenziata delle intercettazioni, a se-conda che esse siano “mezzi di ricerca dellanotizia di reato o di semplice investigazione”o veri e propri “mezzi di prova”: nel primocaso dovrebbero, ovviamente, trovare spaziole esigenze investigative e di prevenzionedella criminalità; nel secondo caso, le garan-zie del rispetto dei diritti fondamentali dellapersona sottoposta a procedimento e di ognialtro soggetto coinvolto nella captazione dinotizie informazioni riguardanti la propria

vita privata.Si dovrebbero quindi introdurre;a) le intercettazioni “di polizia giudizia-

ria”, esperibili, previa autorizzazione dell’au-torità giudiziaria (preferibilmente di tipogiurisdizionale, ad esempio il gip) all’esclu-sivo fine di acquisire la notizia di reato odella prosecuzione delle indagini, non verba-lizzate e non registrate e inutilizzabili (comeè previsto attualmente, nel comma 5 dell’art.350 c.p.p., in tema di dichiarazioni assuntedalla polizia nei confronti dell’indagato, “aifini della immediata prosecuzione delle in-dagini”, sul luogo e nell’immediatezza delfatto, senza la presenza del difensore e condivieto di verbalizzazione e di utilizzazione);

b) le intercettazioni “mezzo di prova”,esperibili su richiesta al giudice da parte delpm con adeguate garanzie di durata e di uti-lizzabilità. Sotto questo aspetto, la propostadi introduzione del presupposto dei “graviindizi di colpevolezza”, rende chiaro, se nonaltro, che se si pensa ad un uso probatoriodelle intercettazioni, non si può prescinderedalla previa identificazione di una personacui attribuire con ragionevoli margini di pro-babilità (allo stato delle indagini in corso) unreato oggetto di procedimento; ma questopassaggio normativo sarebbe comunque nonrisolutivo, posto che lascerebbe irrisolta la se-gnalata natura ambigua delle intercettazionicon le conseguenze descritte.

Se attendiamo la legge perfetta rassegnia-moci ad una kafkiana attesa.

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Se il senso della modernità migliore trovauna sua realizzazione nella soppressionedegli ordini professionali, in quanto barriereinutili e di fatto ostacolanti lo sviluppo eco-nomico, si prefigurerebbe un’ipotesi di Stato,fondata sul c.d. liberismo, secondo cui loStato medesimo, limitandosi a costruire so-lamente essenziali infrastrutture, lascerebbeal mercato la determinazione di regole spon-tanee in un contesto evolutivo proprio, go-vernato da una mano invisibile, che secondoAdam Smith rappresenterebbe la Provvi-denza del libero mercato.

Conseguenza diretta del processo liberistaè la deregolamentizzazione del sistema, alfine di eliminare ogni restrizione agli affari,dando maggiore impulso alla concorrenza.

Quest’ultima sarebbe da sola in grado diregolare i meccanismi dell’economia: la con-correnza offre un compenso immediato e na-turale che una folla di rivali si affanna adottenere, ed agisce con più grande efficaciadi una punizione distante, dalla quale cia-scuno può sperare di sfuggire “ (cfr. AdamSmith, La ricchezza delle nazioni).

Ma in un contesto normativo, così rigida-mente segnato e caratterizzato da continuiimpulsi precettivi, la soppressione del si-stema ordinistico, sistema strutturato ed an-teriore alla idea stessa di Stato, non trova unsenso giuridico compiuto, assumendo, in-vero, la veste di un evidente, ma inganne-vole, “laissez faire”.

L’ordine professionale, fondando la suaidentità nella c.d. regola deontologica, fungeda interprete misurato e moralizzante nellanecessaria dinamica della relazione tra lo

L’inganno delle liberalizzazioni

Luca De CompadriConsulente del lavoro, Avvocato, Coordinatore della rivista “Leggi di lavoro”

Adam Smith

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stato ed il cittadino, atteso che il sistema ne-cessita di regolare i rapporti diretti con unapubblica amministrazione, che è parte attivanella gestione dei beni primari, compresiquelli previdenziali ed assistenziali.

Non può, al riguardo, sfuggire il fatto chelo stesso rapporto lavoristico sia rigidamentevincolato al rapporto previdenziale, che vedecome parte terza obbligatoria l’ente ammini-strativo.

L’attuale tentativo di soppressione degli or-dini sembra non rispondere ad una logica diristrutturazione dello Stato, ma più semplice-mente ad uno spossessamento di competenze,al fine di attrarre le medesime verso “il capi-tale”, che diverrebbe l’unico contraddittoredella pubblica amministrazione nell’unica lo-gica conosciuta del profitto, senza regole, poi-ché non troverebbe più cittadinanza laessenzialità deontologica della singola profes-sione.

La concorrenza vera tutelata dall’ordine,ente di diritto pubblico, nell’ambito di una ga-ranzia di conoscenza professionale necessaria,lascerebbe il posto ad un sistema di oligopolio,dove la conoscenza del singolo perderebbel’autonomia propria dell’arte liberale, dive-nendo propedeutica ad un profitto di mercato,in cui verrebbero a confondersi i controllanticon i controllori. L’oligopolio dei servizi pro-fessionali in dote al capitale porterebbe all’ine-vitabile massimizzazione del profitto e,quindi, ad un sicuro innalzamento del prezzodel servizio professionale spossessato agli or-dini. Questi ultimi, in realtà, rappresentano lagaranzia statale del giusto accesso professio-nale, alimentando una concorrenza in cui ilprofitto trova una sua umanizzazione nel con-

trollo dell’ordine stesso sul rispetto della di-gnità e del decoro della professione, anche de-limitato dalle indicazioni della tariffa.Peraltro, la dignità ed il decoro menzionatisono a tutela dell’affidamento dei terzi, desti-natari dell’opera del professionista e sono lanecessaria specificazione del principio civili-stico della correttezza e buona fede, attesa laparticolare importanza dell’opera professio-nale, che è volta a soddisfare esigenze prima-rie del cittadino. Il contenuto dell’impegnoordinistico è coltivato nella crescita dell’indi-viduo professionista nella sua globalità, poi-ché la prestazione professionale non sicompone unicamente di profitto, ma di impe-gno e qualità della prestazione medesima.

In verità mentre nel sistema oligopolistico(capitalistico puro) è l’offerta che determina ilprezzo, portando sempre più profitto agli of-ferenti, non essendovi regole di mercato, nelsistema attuale, fondato sugli ordini, il prezzoviene calmierato nel sistema di controllo ope-rato dagli ordini stessi.

La concorrenza perfetta non può essere ot-tenuta senza regole: la mano invisibile, cosìtanto decantata dai teorici del liberismo, qualeprovvidenza genetica del sistema economicolibero, realizza un’utopia.

Il sistema ordinistico, non è un limite allosviluppo, ma una garanzia di sviluppo profes-sionalmente garantito, un ambito di vera con-correnza, che necessita certamente di nuoveregole, di nuova linfa normativa, di nuovistrumenti di svolgimento dell’attività, dinuove modalità di accesso, ma sempre nelfermo rispetto dell’originario principio deon-tologico, che, purtroppo, è sconosciuto daiteorici del liberismo.

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1. Introduzione

La materia del finanziamento alle imprese incrisi e le recenti riforme che hanno investitoil R.D. 16/03/1942, n. 267 (d’ora in poi Leggefallimentare), il cui iter legislativo si è con-cluso con il decreto correttivo n. 169 del 2007,in vigore dal 1 gennaio 2008, da un lato con-fermano il ruolo centrale delle imprese ban-carie nell’attività di erogazione del credito,dall’altro pongono limiti alla stessa attivitàcreditizia.Il presente scritto, senza alcuna pretesa dicompletezza, analizza le possibili ripercus-sioni dell’azione revocatoria sul sistema delcredito e i profili di incidenza dell’ eserciziodella predetta azione sulle operazioni di fi-nanziamento più diffuse: mutuo e aperturadi credito.La disciplina dell’azione revocatoria falli-mentare costituisce senza dubbio uno degliaspetti più rilevanti anche e soprattutto in re-lazione agli effetti che la riforma della Leggefallimentare ha prodotto e produce sul si-stema bancario. La riforma non interviene amutare l’impianto normativo del sistema

delle revocatorie fallimentari (articoli 64 e se-guenti Legge fallimentare), ma limita l’inter-vento all’articolo 671 Legge fallimentare,introducendo (con riferimento ai commi 1 e2) alcuni correttivi ed alcune precisazioni: a) la riduzione a metà del periodo sospetto2; b) la sproporzione di cui all’articolo 67,comma, n. 1 Legge fallimentare, da “note-vole” diventa “oltre un quarto”;c) la previsione, tra i debiti contestualmentecreati a fronte della costituzione di diritti diprelazione, anche di debiti di terzi (articolo67, comma 2, Legge fallimentare);d) la previsione di sette nuove ipotesi diesenzione dall’azione revocatoria che inci-dono sui pagamenti e, dunque, sul sistemadei finanziamenti (articolo 67, comma 3, let-tere a)- g, Legge fallimentare).

2. Mutuo fondiario ipotecario e sorte dei

debiti pregressi. La revocatoria

Ai sensi dell’articolo 1813 codice civile:” ilmutuo è il contratto con il quale una parte conse- D

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Riflessioni sul processodi valutazione del rischionel rapporto banca-impresa nell’eradella crisi economica

Simone GambardellaDottorando di Ricerca in Diritto Civile presso l’Università di Roma Tre

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gna all’altra una determinata quantità di denaro o

di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire

cose della stessa specie e qualità“. Il mutuo è uncontratto di natura reale poiché si perfezionacon la consegna della cosa o del bene e com-porta il trasferimento della proprietà dei beniconsegnati dal mutuante al mutuatario.In generale, il tema del mutuo va ad intrec-ciarsi con l’istituto della revocatoria fallimen-tare laddove la sola finalità che spinge le partia stipulare un contratto di mutuo è quella diutilizzare le somme ottenute per estinguere undebito precedente che già esiste nei confrontidi un terzo o dello stesso istituto di credito cheha proceduto ad erogare il finanziamento. Insimili casi, risulta alterata la tradizionale fun-zione economica del contratto di mutuo la cuistipula si riduce invece ad un mero espedienteper ripianare preesistenti difficoltà finanziarieed è questa la ratio per la quale siffatte opera-zioni di finanziamento sono soggette al-l’azione revocatoria. In particolare le problematiche appena accen-nate si presentano soprattutto in tema dimutuo fondiario ipotecario.Orbene, l’articolo 38, comma 1, del Dlgs. n.385 del 1 settembre 1993 (d’ora in avanti TestoUnico delle leggi in materia bancaria e credi-tizia), stabilisce che: “il credito fondiario ha per

oggetto la concessione, da parte di banche, di finan-

ziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipo-teca di primo grado su immobili”, demandando,nel comma 2, alla Banca d’Italia la determina-zione dell’ammontare massimo dei finanzia-menti, da stabilirsi in rapporto al valoredell’immobile cauzionale o al costo delleopere da eseguire sul bene ipotecato, nonchédelle ipotesi in cui la presenza di precedentiiscrizioni ipotecarie non impedisce la conces-sione di finanziamenti3.La disposizione in esame delinea i requisitiche deve necessariamente possedere una ope-razione di finanziamento per essere qualifi-

cata di “credito fondiario” e conseguente-mente per beneficiare dell’ applicazione delladisciplina prevista dai successivi articoli da 39a 41 del Testo unico delle leggi in materia ban-caria e creditizia.In sintesi, gli elementi essenziali di una ope-razione di credito fondiario sono i seguenti:a) finanziamento bancario a medio e lungo

termine; b) l’ammontare del finanziamento è determi-

nato da parametri prestabiliti;c) il finanziamento è assistito da ipoteca im-

mobiliare concessa contestualmente all’ero-gazione del prestito stesso.

Ebbene, i rischi dell’esercizio dell’azione revo-catoria si pongono soprattutto in questa speciedi mutuo. Infatti, lo stesso articolo 67 ultimocomma Legge fallimentare esclude dal noverodei soggetti esposti all’azione revocatoria fal-limentare, tra gli altri, gli istituti di credito fon-diario. Segnatamente, l’art. 39, comma 4, delTesto unico delle leggi in materia bancaria ecreditizia prevede: a) il breve termine di consolidamento delle

ipoteche concesse stabilendo che “le ipote-che a garanzia dei finanziamenti non sono as-soggettate a revocatoria fallimentare quandosiano state iscritte dieci giorni prima della pub-blicazione della sentenza dichiarativa di falli-

mento“; b) in secondo luogo la stessa norma stabilisce

che “l’art. 67 della legge fallimentare non si ap-

plica ai pagamenti effettuati dal debitore a

fronte di crediti fondiari“.A fronte di tale quadro normativo, i rischi direvocatoria del contratto di mutuo avente lecaratteristiche delineate in precedenza, si pon-gono in quanto, gli istituti bancari, moltospesso fanno un “uso distorto” di tale norma-tiva in presenza dei primi segnali di difficoltàfinanziarie del proprio cliente. Nella pratica, in sostanza, l’erogazione di unmutuo fondiario ipotecario è spesso posta in D

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essere al fine di estinguere un precedente de-bito dell’imprenditore, con somme messe adisposizione dal medesimo istituto di creditonei cui confronti esisteva il debito già sca-duto ed esigibile e allo scopo di trasformareil credito chirografario preesistente dellabanca in credito privilegiato. In tutte queste ipotesi la giurisprudenza4, haritenuto che: essendosi il contratto di mutuoindirettamente tradotto in un negozio solu-torio, esso è soggetto all’azione revocatoriaex articolo 67 commi 1 e 2 Legge fallimentaree, conseguentemente, viene travolta anchel’ipoteca diretta a garantire un debito preesi-stente5. In particolare se l’erogazione del mutuo nonè destinata a creare una effettiva disponibilitàal cliente-mutuatario, ma ha funzione diestinguere un precedente debito non assistitoda garanzia, la giurisprudenza, per assogget-tare il mutuo fondiario garantito da ipotecaa revocatoria fallimentare, ha qualificato, al-ternativamente, l’operazione di erogazionedel credito come6:a) procedimento negoziale indiretto posto in

essere per conseguire l’estinzione di unprecedente debito. L’operazione sarebberevocabile essendo stato effettuato il pa-gamento con un mezzo anomalo secondoquanto prevede l’articolo 67 comma 1, n.2, Legge fallimentare;

b) simulazione nel caso in cui, con la conces-sione di un mutuo fondiario, implicantela contestuale costituzione dell’ipoteca, leparti abbiano inteso munire di prelazioneipotecaria il preesistente debito chirogra-fario. In questa ipotesi, sussisterebbe il ri-schio di revocatoria della garanzia ai sensidell’articolo 67 comma 1 n. 3 Legge falli-mentare;

c) pagamento effettuato con mezzi anomali7,revocabile ai sensi dell’articolo 67 comma

1, n. 2 Legge fallimentare, qualora labanca abbia stipulato con un imprendi-tore un contratto di mutuo convenendol’apertura di un conto corrente bancario el’attribuzione al mutuante della facoltà diprelevare le somme su questo versate alfine di soddisfare il proprio credito.

3. Apertura di credito e versamenti in conto

corrente. Profili giurisprudenziali in tema

di revocatoria.

Ai sensi dell’articolo 1842 del codice civile“L’apertura di credito bancario, è il contratto colquale la banca si obbliga a tenere a disposizionedell’altra parte una somma di denaro per un datoperiodo di tempo o a tempo determinato“. A dif-ferenza del mutuo, l’apertura di credito è uncontratto consensuale che si perfeziona conil solo accordo delle parti e produce effettiobbligatori in quanto la banca diviene debi-trice del cliente per la somma accreditatagli,e il cliente, a sua volta, acquista verso labanca il diritto di utilizzare il credito conces-sogli (detto anche provvista o disponibilità)in tutto o in parte, in una o più soluzioni.Sotto il profilo dei rischi dei rapporti traapertura di credito e azione revocatoria ilproblema si pone in tema di revoca di paga-menti effettuati alla banca su conto corrente:l’articolo 67, comma 3, lett. b) Legge falli-mentare, risolve tale delicata questione sta-bilendo che non sono soggette all’azionerevocatoria le rimesse effettuate su un contocorrente bancario, purché non abbiano ri-dotto in maniera consistente e durevolel’esposizione debitoria del fallito nei con-fronti della banca8.Tutto ciò, per altro, in coerenza con il più re-cente orientamento della giurisprudenza9, laquale ha avuto modo di precisare che:

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a) qualora l’apertura di credito in conto cor-rente sia stata stipulata al fine di utilizzarei versamenti allo scopo di estinguere pre-cedenti debiti, in questo caso, tali versa-menti hanno natura solutoria e nonripristinatoria, con conseguente revocabi-lità dei medesimi ai sensi dell’articolo 67comma 2, Legge fallimentare.;

b) allorquando invece i versamenti abbianonatura ripristinatoria, essi non sono assog-gettabili all’azione revocatoria, poiché loscopo di questi ultimi è coerente con loschema dell’apertura di credito che è, ap-punto, di ricostituire la disponibilità origi-naria per consentire al cliente-utilizzatoredi continuare ad utilizzarla.

In materia di revocatoria fallimentare è statoaltresì chiarito10 che la banca che eccepisce lanatura non solutoria del versamento sulconto corrente bancario dell’imprenditorepoi fallito, sulla base dell’esistenza di un con-tratto di apertura di credito alla data in cui lostesso versamento è stato effettuato, hal’onere di dimostrare in giudizio:a) l’esistenza di appositi accordi con il

cliente; e b) che da tali accordi risulti inequivocabil-

mente che il versamento non ha la fun-zione di estinguere un precedente debitoma di creare una specifica provvista perconsentire operazioni di pagamento a fa-vore di terzi o di prelievo da parte delcliente.

NOTE

1 L’articolo 67 L.F. stabilisce che: “Sono revocati, salvo che

l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenzadel debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla

dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o

le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un

quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non

effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento,

se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di falli-

mento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nel-

l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti

preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie co-

stituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di falli-

mento per debiti scaduti.

Sono altresì’ revocati, se il curatore prova che l’altra parte

conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di

debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli co-

stitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi,

contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori

alla dichiarazione di fallimento.

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio del-

l’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché

non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’espo-

sizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi

dell’art. 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano ces-

sati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, con-

clusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso

abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale del-

l’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del de-

bitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che

appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione

debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua

situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da

un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e

che abbia i requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) ai sensi

dell’art. 2501-bis, quarto comma, del codice civile;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecu-

zione del concordato preventivo, dell’amministrazione con-

trollata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’art.

182-bis;

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro ef-

fettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non su-

bordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla sca-

denza per ottenere la prestazione di servizi strumentali al-

l’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione

controllata e di concordato preventivo. Le disposizioni di que-

sto articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle

operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sonosalve le disposizioni delle leggi speciali“.

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2 Ai fini della revocatoria fallimentare il curatore deveprendere in considerazione solo quella parte dell’atti-vità del debitore (pagamenti, contratti, atti e costitu-zioni di garanzie) compiuta in un periodo che la leggeconsidera sospetto e che corrisponde ad un lasso ditempo che precede la data della sentenza dichiarativadi fallimento.3 A seguito della deliberazione adottata dalla BancaD’Italia il 26/06/1995, in attuazione del disposto di cuiall’articolo 38, comma 2 del TUB, l’importo massimofinanziabile attraverso operazioni di credito fondiarioè pari all’80% del valore dell’immobile (c.d. Loan tovalue che rappresenta la quota dell’investimento finan-ziata con il mutuo). 4 Cfr. in particolare Cass. Civ. 22/03/1994 n. 2742, inBanca Borsa e titi. di cred. 1994, II, p. 272 5 Cfr. Cass. Civ. 19/11/1997, n. 11495, in Banche dati Foro

it.; Cass. Civ. 11/10/2007, in www.cortedicassazione.it. 6 Cfr. Cass. Civ. 20/03/2003 n. 4069, in Banche dati Foro

it.; Cass. Civ. 19/11/2003 n. 17540 in Banche dati Foro

it.; Cass. Civ., 22/11/1996, n. 10374, in Dir. Fall. 1997,II, p. 242; Trib. Padova, 01/03/2002, in Giur. mer., 2002,I, p. 1264; App. Milano 02/02/1990 in Banca Borsa e tit.

di cred., 1991, II, p. 477 ove si aggiunge che, in altri casi,la revocatoria viene fatta derivare dagli artt. 65 o 67,comma 1, della L.F. e si tratta di una delle ipotesi di re-vocatoria degli atti c.d. sintomatici dell’insolvenza incui vige un regime probatorio di tipo presuntivo, nel

senso che incombe sulla banca-mutuante dimostrareche ignorava lo stato di insolvenza in cui versava il de-bitore-mutuatario. Da ultimo poi cfr. Cass. 11/10/2007,in www.cortedicassazione.it, la quale ha precisato che larevoca del mutuo “è sufficiente ad escludere il c.d be-neficio del consolidamento dell’ipoteca fondiaria pre-visto dall’art. 39, comma 4 del TUB: una voltaricostruita la fattispecie come procedimento indirettoanormalmente solutorio e revocato lo stesso contrattodi mutuo anche l’ipoteca perde la sua qualificazione-che deriva dal contratto- di ipoteca iscritta a garanziadi un mutuo fondiario”. 7 Costituiscono atti anomali quei pagamenti che per leloro caratteristiche pregiudicano palesemente le ra-gioni dei creditori tanto che il loro compimento costi-tuisce sintomo della conoscenza dello stato diinsolvenza da parte di chi se ne avvantaggia.8 Per i rapporti tra esenzioni dalla revocatoria e la na-tura redistributiva dell’azione revocatoria Vd. Cass.S.U. 28/03/2006, n. 7028.9Cfr. Cass. Civ. 11/11/2010 n. 22915, in Banche dati Foro

It. Nella fattispecie, la Corte subordina l’esperibilitàdell’azione revocatoria anche al ricorrere dell’ulteriorepresupposto richiesto dall’art. 67, comma 2, L.F.: la co-noscenza dello stato di insolvenza del debitore.10 Cfr. Cass. Civ. 30/03/2010, n. 7734, in www.cortedi-

cassazione.it; Cass. Civ. 09/11/2007, n. 23393, in Il Fal-

limento, n. 11, 2007.

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Responsabilità civile derivante dall’attività

giornalistica – diffamazione a mezzo

stampa – scritto anonimo.

Cass. Civ. Sez. III, sentenza 19.5.2011 n.

11004 – Pres. Trifone – Rel. Spirito.

(Massima)“In tema di risarcimento del danno da diffa-

mazione a mezzo stampa, nel caso in cui l’articologiornalistico riporti il contenuto di uno scrittoanonimo offensivo dell’altrui reputazione, l’appli-cazione dell’esimente del diritto di cronaca (art.51 cod. pen.) presuppone la prova, da parte del-

l’autore dell’articolo, della verità reale o putativa

dei fatti riportati nello scritto stesso (non dellamera verità dell’esistenza della fonte anonima);

con la conseguenza che, laddove siffatta prova

non possa essere fornita, proprio in ragione delcarattere anonimo dello scritto, la menzionata esi-

mente non può essere applicata, anche per la ca-

renza del requisito dell’interesse pubblico alla

diffusione della notizia”.

La sentenza in commento attiene ad unfatto riguardante un articolo apparso nel2001 sul quotidiano “Libero” nel quale eradata notizia di una lettera anonima che accu-

sava alcuni produttori televisivi di aversvolto attività di corruzione verso i dirigentidella RAI.

Il percorso della vicenda processuale si èarticolato, in sede civile, in tre gradi di giu-dizio con esiti differenti.

In primo grado, infatti, il Tribunale di Mi-lano accolse la richiesta risarcitoria propostadai produttori televisivi verso la casa editricee verso il direttore del giornale, ritenendo chela mancanza di prova circa la veridicità delcontenuto dello scritto anonimo non consen-tisse l’applicazione della scriminante del-l’esercizio del diritto di cronaca ex art. 51cod. pen..

In secondo grado la decisione è stata rifor-mata dai giudici d’appello, i quali, nell’assol-vere da ogni responsabilità sia il direttore delgiornale che la casa editrice, hanno ritenutoesistenti i requisiti necessari per l’operativitàdella scriminante cioè la veridicità, la conti-nenza e l’interesse pubblico.

La Corte d’Appello ha motivato la propriadecisione mettendo in luce come l’articolo inquestione non si era limitato a riportare ilcontenuto dello scritto ma aveva, altresì,preso in considerazione le reazioni suscitatenei dirigenti RAI (i quali avevano sporto im-

I limiti dell’attività giornalistica

e il reato di diffamazione

a mezzo stampa

a cura di: Daria Proietti Avvocato del Foro di Roma, Cultrice universitaria di Diritto Penale

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mediatamente querela) evidenziando che sitrattava di uno scritto anonimo nel qualeerano narrati fatti di scarsa attendibilità econtraddetti da documenti vari.

In tal modo all’articolo giornalistico èstato accreditato il requisito della veridicitàdella notizia narrata e, in applicazione dellascriminante dell’esercizio del diritto di cro-naca, è stato considerato non diffamante enon lesivo di alcun diritto.

In conseguenza a ciò è stata quindi re-spinta la richiesta risarcitoria per i danni la-mentati.

Proposto ricorso innanzi alla SupremaCorte di Cassazione, parte ricorrente chie-deva affermarsi che l’esimente della c.d. cro-naca neutrale non dovesse trovareapplicazione quando la notizia, della qualesi era data diffusione, fosse derivata da fonteanonima, dal momento che impediva al sog-getto leso di poter agire a tutela dei propri di-ritti nei confronti dell’autore delladiffamazione.

La parte ricorrente adduceva a propria ra-gione che l’esimente del diritto di cronacanon potesse essere applicata quando la noti-zia divulgata fosse accompagnata da allu-sioni o espressioni insinuanti del giornalistaidonee ad avvalorarne l’attendibilità e la cre-dibilità; inoltre, nel caso di fonte anonima,l’invocazione dell’esimente in questioneavrebbe comunque richiesto la prova di unoculato ed attento esame circa l’attendibilitàdi quanto riportato, oltre ad un controllovolto alla verifica dei fatti narrati.

La Suprema Corte, cassando la sentenzadi secondo grado, puntualizza che le caratte-ristiche dell’articolo in questione sono tali dafarlo ritenere diffamatorio e causa di danniverso i soggetti coinvolti.

A vedere della Corte l’articolo de quo, nelriportare il testo dello scritto anonimo hafatto riferimento a persone identificate e/o

identificabili in ragione della loro qualifica edella funzione svolta; in tal caso, non limi-tandosi ad esporre il contenuto della fonteanonima senza alcuna allusione a personema, argomentandolo in modo piuttosto det-tagliato e ben contestualizzato, non v’è dub-bio che ciò abbia determinato unapropalazione dello scritto anonimo con riper-cussioni dannose sui soggetti di cui è statafatta menzione.

Nel caso di notizia derivante da fonte ano-nima, questa deve essere trattata dal giorna-lista come qualunque altra fonte e, per poterinvocare l’esimente del diritto di cronaca, ènecessario che venga controllata “nella sua ve-rità reale o putativa, intendendo con ciò che ilgiornalista deve per lo meno dedurre e provare lacura posta negli accertamenti svolti per vincereogni dubbio ed incertezza in ordine alla veritàdella notizia”.

Merita attenzione ripercorrere l’iter argo-mentativo seguito dalla Corte che, nel ripren-dere il caso analogo del c.d. diritto diintervista, rammenta l’opinione valsa in giu-risprudenza secondo cui l’esimente del di-ritto di cronaca non possa essere applicatosolo in quanto il giornalista riporti “alla let-tera” il testo di un’intervista diffamatoria, inquanto ha comunque il dovere di controllarela veridicità delle circostanze e la continenzadelle espressioni riferite.

Sul punto, a seguito di un vivace dibattitogiurisprudenziale nel quale si è cercato disciogliere il quesito se il limite della veritàoggettiva abbia ad oggetto il fatto narratodall’intervistato o l’intervista in sè conside-rata, la Cassazione è giunta a ritenere, se-condo un orientamento più garantista, che illimite della verità del fatto vada riferito nonal contenuto dell’intervista ma al fatto chel’intervista sia realizzata e che i concetti e leparole riportate siano rispondenti alle dichia-razioni dell’intervistato.G

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La scriminante del diritto di cronaca nonscatta automaticamente solo in quanto ilgiornalista riporta fedelmente il pensiero del-l’intervistato; tuttavia, quando la rilevanzadei soggetti coinvolti è tale che l’intervista insè diventa un evento di pubblico interesse lascriminante viene integrata anche se il gior-nalista non ha verificato la corrispondenza alvero delle dichiarazioni dell’intervistato.

In ogni caso è necessaria da parte del giu-dice una valutazione del contesto comples-sivo nel quale sono riportate le dichiarazionidiffamatorie al fine di verificare se il giorna-lista abbia assunto la prospettiva di un terzoosservatore dei fatti o sia stato soltanto undissimulato coautore della dichiarazione dif-famatoria1.

Tuttavia, se nel caso del diritto di intervi-sta la fonte è di per sè certa ed è qualificatadall’identità dell’intervistato che rendeedotto il lettore che il giornalista non ri-sponde della veridicità di quanto riportato,ciò non può in egual modo valere per il casodello scritto anonimo.

Nel caso in questione ciò non è possibilein quanto, una volta assolto il giornalista daogni responsabilità, l’anonimia della fonteimpedirebbe al soggetto leso di potersi riva-lere nei confronti di un non ben identificato

autore. Inoltre, nel caso della diffamazione realiz-

zata mediante intervista, il requisito dellapertinenza/pubblico interesse è in grado disvolgere un ruolo centrale, tanto da realiz-zare una “reductio ad unum”2 dei tre criteriguida del diritto di cronaca.

Ciò in quanto il criterio dellapertinenza/interesse pubblico è sia in condi-zione di rendere superfluo l’elemento dellaveridicità rispetto a quanto riferito dall’inter-vistato e sia da assorbire l’altro elemento,cioè quello della continenza del linguaggioutilizzato3.

Altrettanto non può certo affermarsi nelcaso di diffamazione compiuta mediantescritto anonimo.

La Giurisprudenza penale ha infatti affer-mato non sussistere l’esimente del diritto dicronaca qualora la notizia sia riportata utiliz-zando uno scritto anonimo, come tale inido-neo a meritare l’interesse pubblico edinsuscettibile di controlli circa l’attendibilitàdella fonte4.

In conclusione, ritornando al caso che cioccupa, la terza sezione civile della SupremaCorte ha ritenuto che la sentenza della Corted’Appello non si sia adeguata ai principienunciati in materia di diritto di cronaca e

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che abbia confuso la verità del fatto in sè(cioè l’esistenza e la circolazione della letteraanonima) con la verità del contenuto dellalettera violando, in tal modo, le disposizionidegli artt. 595 e 51 cp..

Del tutto irrilevante appare la circostanzariportata dalla Corte di secondo grado circail fatto che l’articolo non si sia limitato a ri-produrre lo scritto anonimo ma abbia riferitoanche delle reazioni suscitate in RAI; cosìcome la circostanza secondo cui le perples-sità ed il sospetto dalle quali il lettore mediopuò essere affetto non sarebbero da ricon-durre alle modalità di confezione dell’arti-colo “ma sono da ricondurre, semmai, al contesto

stesso in cui si sarebbe collocata (se vera) la vi-

cenda oggetto dello scritto anonimo”. A fronte di tali considerazioni, la Corte ha

accolto il ricorso proposto e, cassando conrinvio la sentenza impugnata, ha dettato ilseguente principio: “in tema di risarcimento del

danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso

in cui l’articolo giornalistico riporti il contenuto

di uno scritto anonimo offensivo dell’altrui repu-

tazione, l’applicazione dell’esimente del diritto di

cronaca (art. 51 cod. pen.) presuppone la prova,

da parte dell’autore dell’articolo, della verità reale

o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso

(non della mera verità dell’esistenza della fonte

anonima); con la conseguenza che, laddove sif-

fatta prova non possa essere fornita, proprio in ra-

gione del carattere anonimo dello scritto, la

menzionata esimente non può essere applicata,

anche per la carenza del requisito dell’interesse

pubblico alla diffusione della notizia”.

NOTE

1 Roberto Garofoli, Manuale di diritto penale, 2010, 617 ss.2 Roberto Garofoli, op. cit,620; Dello Iacovo, Diffamazione

a mezzo stampa e diritto di intervista del giornalista, inwww.lexfor.it. 3 Roberto Garofoli, op. cit; Dello Iacovo,op.cit.4 Cass. Pen. sent. n. 46528 del 2.12.2008; Cass. Pen. Sent.n. 5545 del 5.3.1992.

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C’è un pensiero di Giovanni Falcone checostituisce anche un’efficace metafora dellasua vita: “Che le cose siano così, non vuoldire che debbano andare così, solo chequando si tratta di rimboccarsi le maniche edincominciare a cambiare, vi è un prezzo dapagare, ed è, allora, che la stragrande mag-gioranza preferisce lamentarsi piuttosto chefare.”

Il loro lavoro non si fermava nelle aule diTribunale. “La lotta alla mafia deve essere in-nanzitutto un movimento culturale che abituitutti a sentire la bellezza del fresco profumodella libertà che si oppone al puzzo del com-promesso morale, dell’indifferenza, della con-tiguità e quindi della complicità” dicevaPaolo Borsellino. E c’è un aspetto della suavita troppo spesso dimenticato, quello che loha visto protagonista in numerosi incontripubblici e momenti di dibattito, nelle scuole,nelle feste giovanili di piazza, sui giornali, intelevisione, alle tavole rotonde per spiegare eper sconfiggere una volta per sempre la cul-tura mafiosa. Fino alla fine della sua vitaBorsellino, nel tempo che riusciva a ritagliarsidal lavoro, era solito incontrare i giovani, percomunicare loro questi nuovi sentimenti erenderli protagonisti della lotta alla mafia.“Se la Gioventù le negherà il consenso anchel’onnipotente e misteriosa mafia svaniràcome un incubo” diceva ai giovani, gettandoi primi semi di un fenomeno culturale nuovo.

Pur sapendo che non avrebbe visto in vitai risultati dei suoi sacrifici, non ha smesso unattimo di lottare, ha cercato continuamentedi risvegliare le coscienze dei giovani, perchécredeva in loro e nella loro capacità di cam-biare il mondo. Anche questa, per l’epoca, fuuna novità.

Questo prezzo Giovanni Falcone e PaoloBorsellino l’hanno pagato e in un momentostorico in cui si è restii ai cambiamenti veri, incui servirebbero menti trascinatrici e lungimi-ranti capaci di risvegliare le coscienze, la lorofigura si staglia limpida nell’atmosferararefatta di parole, solo parole, che respiriamoogni giorno.

Come avvocato, è particolarmente bellopoter ricordare Giovanni Falcone e PaoloBorsellino, due uomini liberi da ogni condi-zionamento, che conoscevano il prezzo cheavrebbero dovuto pagare per la fedeltà alleloro idee.

Fraintesi, spesso con malizia, nei loro in-tendimenti e nelle loro convinzioni, invidiatied osteggiati, nonostante ciò, hanno avuto ilcoraggio di perseguire il loro progetto, rinun-ciando a tante lusinghe e a facili opportunità.Quel loro continuare ad esporre a testa altaconvincimenti ed idee, la disponibilità a ri-nunciare ai privilegi, la loro rettitudine, oggiprese ad esempio dai più, all’epoca furonooscurati dalla “conservazione”, dalle “re-gole” che il loro mondo si era dato. El

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Le riforme di Falcone e Borsellino

Elisabetta Rampelli Avvocato del Foro di Roma, Segretario dell’Unione Italiana Forense

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Da cosa derivava la loro indomita forzad’animo? Da cosa traevano alimento le loroidee?

Soprattutto io credo da un destino non rin-negato, dalla libera decisione di viverlo piena-mente, sapendo che sarebbe stato il prezzo dapagare per affermare le loro idee.

Se Giovanni Falcone e Paolo Borsellinoavessero potuto scegliere di tornare indietro edi ricominciare tutto da capo, avrebbe certa-mente vissuto nello stesso modo, avrebberofatto le stesse scelte, avrebbero accettato lastessa fine. La loro forza risiedeva appunto nelfatto che avevano accettato, non con rassegna-zione, ma con fierezza, il prezzo delle loro de-cisioni e del loro impegno.

Perché li ricordo? Perché la loro libertà in-teriore è un dono che non dovrebbe mai man-care in nessun Avvocato e perché larettitudine, anche quella più semplice e senzarischi, continua ad essere nella nostra societàun’eccezione.

Comprendere che per indagare con suc-cesso le associazioni mafiose era necessariobasarsi anche su indagini patrimoniali e ban-carie, ricostruendo il percorso del denaro cheaccompagnava i traffici per avere un quadrocomplessivo del fenomeno, fu un’intuizionegeniale e unica, così come esemplare fu la lorocapacità di lavorare al meglio, ma anche di or-ganizzare e di far lavorare al meglio il loro uf-ficio.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hannodimostrato di saper rispettare le regole delprocesso penale e di avere le capacità di ag-gregare un gruppo di giudici senza trasfor-marli nelle loro marionette. Hanno datodimostrazione di lucidità di analisi e limpi-dezza di argomentazioni, intravedendo che ilcoronamento della loro esperienza professio-nale avrebbe definito nuovi e più efficaci stru-menti al servizio dello Stato.

Poco prima della sua morte, in un’intervi-sta, Giovanni Falcone aveva profetizzato lasorte che gli sarebbe toccata: “Si muore gene-ralmente perché si è soli o perché si è entratiin un gioco troppo grande. Si muore spessoperché non si dispone delle necessariealleanze, perché si è privi di sostegno. In Sici-lia la mafia colpisce i servitori dello Stato chelo Stato non è riuscito a proteggere.” Parolebrucianti, oggi portate come vessillo, ieri con-fuse nell’oblio del “non fare”.

Né il Paese, né la magistratura, né il potere,seppero accettare le idee di Falcone in vita,salvo appropriarsene a piene mani dopo lasua morte, a volte deformandole secondo laconvenienza del momento. La sua breve esi-stenza, come oggi la sua memoria, sono il piùmacroscopico paradosso della sua vita e dellasua morte.

Una vita vissuta schiacciata dal paradosso.Non c’è stato uomo in Italia che ha accumu-lato nella sua vita più sconfitte di Falcone.

Bocciato come consigliere istruttore. Boc-ciato come procuratore di Palermo. Bocciatocome candidato al Csm, e sarebbe stato boc-ciato anche come procuratore nazionale anti-mafia, se non fosse stato ucciso prima.Eppure, ogni anno ne celebriamo l’esistenza,come se fosse stata premiata da pubblici rico-noscimenti o apprezzata nella sua eccellenza.

Non c’è stato uomo la cui fiducia e amiciziaè stata tradita con più determinazione e mali-gnità. Ma le sue celebrazioni, come quelle ri-servate a Paolo Borsellino, oggi, anno dopoanno, sono sempre affollate di “amici” che al-lora non c’erano.

Strano destino, quello di un Uomo che haavuto geniali intuizioni inascoltate da vivo, eche da morto viene osannato anche da chiprima lo ha isolato. Perché solo ricordando leumiliazioni subite da Giovanni Falcone si rie-scono a comprendere il significato del suo sa-

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crificio, il suo indistruttibile senso del doveree delle istituzioni; si riesce ad afferrare l’ec-centricità “rivoluzionaria” del suo riformi-smo rispetto al modo di essere magistratonell’Italia di allora.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sonostati sempre sensibili soltanto all’indipen-denza e all’autonomia della loro funzione:erano, per loro, valori irrinunciabili ed ineli-minabili. Senza mai viverli come “diritti al-l’impunità”. Non equivalevano, per loro, aun privilegio di casta, né a un riconosci-mento che declina una sostanziale irrespon-sabilità. Al contrario, erano convinti cheautonomia e indipendenza fossero le gravoseresponsabilità che la Costituzione ha affidatoal magistrato per garantire l’imparzialità delgiudizio, l’eguaglianza dei cittadini di frontealla legge, l’efficienza della macchina giudi-ziaria.

Sentivano l’indipendenza del magistratocome missione e risorsa; come il segnostesso, costitutivo, della sua identità di servi-tore dello Stato.

Scriveva Giovanni Falcone, in tempi re-moti, sviluppando il suo concetto di Giusti-zia e di azione penale: “Comincia a farsistrada la consapevolezza che la regolamen-tazione delle funzioni e della stessa carrieradei magistrati del pubblico ministero, nonpuò essere identica a quella dei magistratigiudicanti, diverse essendo le funzioni e,quindi, le attitudini, l’habitat mentale, le ca-pacità professionali richieste per l’espleta-mento di compiti così diversi: investigatorea tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitronelle controversie il giudice. Su questa diret-trice bisogna muoversi...”.

Questa mirabile sintesi era, all’epoca, ri-voluzionaria e prodromica all’idea di “sepa-

razione delle carriere”. Non perché inten-desse asservire l’accusa alla politica. Scri-vendo, Falcone aveva in mente il ritoaccusatorio introdotto dalla riforma del pro-cesso penale del 1989, ed aveva recepito lospirito con cui quel grande uomo e giuristache fu Giuliano Vassalli aveva inteso operareil cambiamento.

Nella riforma del 1989 Falcone intrave-deva le grandi possibilità di repressione delcrimine e di contrasto alla criminalità orga-nizzata, attraverso un pubblico ministeroconcepito come il dominus dell’indagine, ilregista e lo stratega del lavoro della poliziagiudiziaria.

Si rendeva conto dell’enormità del poteredi quell’ufficio nella raccolta delle prove, eavvertiva la necessità di un contrappesonella terzietà del giudice che doveva valu-tarle. Era consapevole del fatto che l’eserciziodi quel potere imponeva al magistrato un’au-tonomia cristallina e una forte ed equilibrataprofessionalità, un lavoro ancora più rigo-roso sulle fonti di prova.

Falcone vedeva, nel nuovo processo, lapossibilità di garantire allo Stato maggioreforza nel difendere la cittadinanza dalla cri-minalità senza mutilare le garanzie dell’im-putato, che avrebbe potuto difendersi nelprocesso e non dal processo.

Nell’esempio di Giovanni Falcone e PaoloBorsellino, io vedo l’unico vero modo di es-sere magistrato. Quel magistrato ideale ca-pace, senza arroganza e tentazioni di potere,di servire il compito che la Costituzione gli haassegnato. E’ un compito terribile, essere au-tonomi, liberi fino in fondo, ma è il compitoche Giovanni Falcone e Paolo Borsellinohanno cercato di assolvere, con nobiltà e de-dizione, fino all’ultimo minuto della loro vita.

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René Magritte, “ Il figlio dell'uomo”

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Come l’uomo, anche il diritto ha perso ilsuo centro2. Lo smarrimento dei punti cardi-nali e la conseguente, abissale, solitudine dellavolontà normativa hanno ridotto il diritto amera tecnica3. Le norme sono, piuttosto,“nomo-dotti”4, tubi destinati a incanalarechecchessia contenuto; il legislatore traduce inarticoli ciò che più gli piace, assoluto inquanto sciolto da ogni vincolo.

Tutto ciò è il presupposto, e non l’oggetto,dell’acuta analisi di Ottavio De Bertolis, che,nel suo “L’ellisse giuridica. Un percorso nella fi-

losofia del diritto tra classico e moderno”, predi-lige la parte costruttiva, tendendo allarifondazione del diritto vigente sulle basidella lezione tomistica5.

Come da tradizionale sistematica, il merito

dell’analisi filosofico-giuridica è preceduto danotazioni di metodo.

Due sono i principi cui è improntata l’in-dagine: “l’autorità non fa la verità di un’afferma-

zione”6 e “la verità non cambia a seconda di chi

parla”7. Che l’autorità sia l’ “ultima delleprove” è la quintessenza del ragionare auten-tico, libero dai condizionamenti ideologici einsensibile agli interessi contingenti. Che, poi,da tutti si possa imparare è il predicato del-l’onestà intellettuale, la condizione di possibi-lità del dialogo, la chiave di un’impostazioneanti-dogmatica. L’unica autorità è la verità, edi questa può essere depositario chiunque.Non esiste “una” verità su cui solo alcunihanno l’esclusiva: “la” verità è patrimonio di

tutti e l’apertura all’altro consente di rico-struirla, componendo, nella sintesi del dia-logo, gli argomenti propri con quelli altrui8.

Tutto ciò trova massima espressione nellostrumento del ragionare tomistico, la quaestio,che, a differenza del trattato, rifiuta le conclu-sioni desunte more geometrico da principi posti.Analogamente alla giostra medievale, la quae-

stio fa corrispondere a singole domande piùargomenti, favorevoli e contrari, dialettica-mente contrapposti. La Summa dell’Aquinatebandisce le risposte preconfezionate: ai pre-giudizi ideologici preferisce i giudizi soppe-sati, capaci di trarre, anche dagli argomenticontrari, ciò che è universalmente valido9.

Dal metodo al merito il passaggio è imme-diato. Il rifiuto degli argomenti ab auctoritate

ed il favore per una conoscenza che si svi-luppa ‘dal basso’, attraverso i luoghi del con-futare dialettico, hanno riflesso sull’atteggiarsidel diritto e sulle sue interazioni con la legge.

Insegna, del resto, l’Aquinate – attraversola lettura, condivisibile, che ne fornisce l’Au-tore10 – che l’esperienza giuridica non si ri-solve nella legge: questa presuppone il diritto,che è l’oggetto stesso della giustizia11, quel“dare a ciascuno il suo” tramandato dal Dige-sto12. Se può esservi diritto senza legge, non èvero il contrario: la lex13 si fonda su un “giu-sto” anteriore ed oggettivo, radicato nella re-altà delle cose e consonante con il comunesentire14. Vi è un “ordine” giuridico che nascee cresce insieme ai consociati15, esprimendone

Il diritto, come il processo, è un’arte1

Andrea GiordanoAvvocato, Dottorando di Ricerca in Diritto Processuale Civile

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l’identità e i valori costitutivi: come il fonda-mento della scienza non è scientifico, così lalegge non può fondarsi su se stessa, ma deve,piuttosto, presupporre un diritto che la inter-facci con l’ethos16.

Il rifiuto del dogmatismo nel metodo d’in-dagine ha risonanza nella proporzione, quasiaritmetica, per cui lex sta a ius come ratio sta adintellectus17. Se l’autorità è l’ultima delle prove,legge e ragione non bastano a se stesse: hanno,rispettivamente, bisogno di un diritto e diun’intelligenza che diano loro senso e signifi-cato. Non sono i ragionamenti misura dellecose, ma, piuttosto, le cose misura dei ragiona-menti18: per essere giusta, la regola non può so-vrapporsi alla realtà, ma deve esserneespressione. Nel metodo e nel merito, l’autoritàè subordinata alla verità.

Quanto l’Autore prospetta ha un potenzialeapplicativo di vastità sconfinata19. Un banco diprova lo fornisce l’esperienza processuale, incui la dialettica tra giudice e parti riflette quella,sottesa, tra autorità e verità.

Concepire il processo quale successione dipoteri ed atti20, in cui il potere o l’atto succes-sivo trovano fondamento nel potere o nell’attoprecedente, può condurre all’appiattimento delprofilo funzionale su quello strutturale21. Non dirado si sente dire che, in tanto il processo è so-cialmente accettabile, in quanto siano state os-servate le forme prescritte dalla legge22.Altrettanto spesso si è parlato di pure procedural

justice23, quale “giustizia” indipendente dai ri-sultati che produce, per, poi, definire “imper-fetta” la procedura tesa all’accertamento delvero24. La confusione terminologica sul termine“giusto”, accentuata dalla riforma dell’articolo111 Costituzione25, ha espunto la garanzia diverità26 dai cardini del processo “dovuto”27. Ba-sterebbero, insomma, la stretta osservanzadelle norme processuali, il rispetto della paritàdelle armi, la corretta instaurazione del con-traddittorio, l’imparzialità – formalmente in-

tesa – del giudice, per garantire una tutelapiena ed effettiva.

Se, diversamente, si inquadra l’esperienzagiuridica in un’ellisse a due fuochi – ius e lex,per l’appunto28 –, il rito e le sue forme, da finiin sé, divengono mezzi, strumentali rispettoalla decisione giusta. Intendendosi per “giusto”ciò che è conforme alle norme in diritto e con-sonante con i fatti accertati e provati29, le garan-zie “puramente” processuali divengono in sé

irrilevanti30: il contraddittorio, la parità dei con-tendenti, l’imparzialità del giudice sono strut-tura – con atteggiarsi analogo alla quaestiotomistica –, mentre la funzione è esterna alla gri-glia del rito, e fa leva sull’ordine effettivo dellecose.

Il diritto è rappresentazione, arte, simbolo31.Rappresenta una realtà nella quale il soggetto,specchiandosi, si riconosce.

Così, il processo riflette la realtà delle cose:in tanto si giustificano i risultati che produce,in quanto coincidano – o, almeno, tendano acoincidere – con la realtà dei fatti32.

Dirsi “contro l’etica della verità”33, a favoredi un “diritto senza verità”34, o di un nichilismonormativo a senso unico, significa avallare re-gole senz’anima, dare al legislatore carte blan-che, degradare il diritto a pura tecnica. E’ vero,invece, che la norma è ben più di un eserciziotecnico35: anziché presupporre oggetti, ha dimira soggetti da tutelare e promuovere36.

Il sistema a “due fuochi” dell’ellisse fa mo-dulare la legge sulla base del giusto oggettivo,guardando, in prima istanza, alla persona e alsuo “ordine”, al fine verso il quale è “ordi-nata”37.

Così, il diritto sostanziale garantisce la li-bertà e l’inviolabilità del soggetto, evitandoogni forma di dominio, disposizione o preva-ricazione altrui38. Solo allineandosi a ciò che lanatura impone39, la legge positiva realizza unadimensione del giusto40.

Da parte sua, il giudizio mira alla giusta de-

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cisione. Non è dato sopravvalutare l’econo-mia processuale, erigendola a valore assolutoe prevalente, né promuovere “negoziazioni”del vero41, a scapito di ciò che giustizia im-pone. “Fare presto” non è “ragionevole” – nelsenso di cui all’articolo 111 Cost. – se porta a“fare male”42; i poteri ufficiosi non arretrano,anche nei modelli adversarial43, dinanzi a quellidelle parti, ove possano supplire alle carenzeprobatorie, ed efficacemente vagliare la veri-dicità di un fatto, ancorché pacifico o ‘noncontestato’44. Il processo non ha valenza auto-noma, ma strumentale rispetto alle situazionigiuridiche sostanziali45: solo tendendo al vero,dà a queste ultime compiuta attuazione.

Il modello della quaestio tomistica e la dia-lettica ius/lex si applicano, indistintamente,alle norme sostanziali e alle vicende proces-suali46: entrambe hanno, nel dialogo47la forzamotrice e, nel giusto oggettivo, la base legitti-mante.“L’ellisse giuridica” lancia una sfida,anzi la più alta delle sfide: non stancarsi dipreservare il diritto – e, aggiungerei, il pro-cesso – dalla deriva tecnocratica, per farne,oggi come ieri, un’arte, l’arte del giusto48.

NOTE

1 Recensione a O. De Bertolis, L’ellisse giuridica. Un percorso

nella filosofia del diritto tra classico e moderno, Padova, 2011. 2 Si richiama F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887,in opere, VIII, I, a cura di G. Colli e M. Montinari, Mi-lano, 1975, p. 114, per cui “l’uomo scivola dal centro verso

una x”. 3 Cfr. N. Irti, Nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004, spec.p. 18 e ss. e Id., Il salvagente della forma, Roma-Bari, 2007,spec. p. 45 e ss., nonché già N. Irti - E. Severino, Dialogo

su diritto e tecnica, Roma-Bari, 2001, passim. Sul tema, sirinvia anche allo scambio di battute tra O. De Bertolis, Ilnichilismo giuridico, in La civiltà cattolica, 2005, III, p. 399e N. Irti, In dialogo su “Nichilismo giuridico”, in Rivista in-

ternazionale di filosofia del diritto, 2006, p. 4. Più in gene-rale, sul nichilismo normativo, cfr. P. Monateri, “Correct

our Watches by the public Clocks”. L’assenza di fondamento

dell’interpretazione del diritto, in J. Derida - G. Vattimo, Di-

ritto, giustizia, interpretazione, Roma-Bari, 1998, p. 204 eA. Donati, Giuspositivismo e nichilismo giuridico, in Vita

notarile, 2008, p. 1201. Vds. altresì J. Stick, Can Nihilism

be pragmatic?, in Harvard Law Review, 1986-1987, p. 332. 4 Ancora N. Irti, Nichilismo giuridico, cit., p. 47. 5 Secondo il metodo impiegato dall’A. in O. De Bertolis,Il diritto in San Tommaso D’Aquino. Un’indagine filosofica,Torino, 2001, passim ed in O. De Bertolis - F. Todescan,Tommaso D’Aquino, Padova, 2003. 6 Summa theologiae, Iª, q. 1, a. 8, ad 2, su cui O. De Berto-lis, L’ellisse giuridica, cit., p. 13. 7 Expositio super Iob, XIII, 19, su cui O. De Bertolis, op.

ult. cit., p. 15.8 Cfr., in merito, A. Campodonico, Integritas. Metafisica

ed etica in San Tommaso, Fiesole, 1996, p. 22. Sul tema, v.anche R. Lucas Lucas, orizzonte verticale. Senso e signifi-

cato della persona umana, Torino, 2007, p. 157. 9 Così, l’A., in L’ellisse giuridica, cit., p. 17: “(…) San Tom-

maso, con la struttura stessa del suo ragionamento, che è la

quaestio, ci avvia a un vero sforzo intellettuale, superando

facili barriere e preclusioni mentali, invitandoci a oltrepassare

le diversità, per poter imparare da altri. Il che, oltre e prima di

essere una lezione di umiltà, è una lezione di verità, cioè di

onestà intellettuale (…)”. Vds. anche E. Agazzi, Il messag-

gio di San Tommaso d’Aquino e la razionalità scientifica del

nostro tempo, in Atti del Congresso internazionale San Tom-

maso d’Aquino e la razionalità scientifica del nostro tempo, inAtti del Congresso internazionale San Tommaso d’Aquino nel

VII centenario, vol. IX, Napoli, 1974, p. 61. 1 Vds. O. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 23 e ss.1 Summa theol., IIª- IIª, q. 57, a. 11. 1 D. 1.1.10, “iustitia est constans et perpetua voluntas ius

suum cuique [tribuendi]”. In merito, cfr. le notevoli rifles-sioni di C. J. Errázuriz, Il diritto e la giustizia nella Chiesa,

Milano, 2000, p. 93 e ss. 1 Che – come è noto – è “ordinatio rationis ad bonum com-

mune ab eo qui curam habet communitatis promulgata”

(Summa theol., Iª- IIª, q. 90, a. 4). 1 Similmente, cfr. l’analisi di G. Zagrebelsky, La legge e la

sua giustizia, Bologna, 2008, p. 380, per cui “la nostra epoca

vede la rinascita dell’antica e mai spenta tensione tra ius e lexe che lo ius si manifesta, per l’appunto, attraverso le norme

costituzionali indeterminate”. 15 Si richiama P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1996, spec. p. 31 e 54. Sul tema, cfr. anche i comple-mentari rilievi di M. Ascheri, Un ordine giuridicomedievale per la realtà odierna?, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,1996, p. 965. Vds., più di recente, S. Cassese, I Tribunali

di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale,Roma, 2009, passim. Sul concetto di ordine giuridico, conriferimento allo “spazio giuridico globale”, cfr. anche N.

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Longobardi, Le autorità amministrative indipendenti nel di-

ritto globale, in Diritto e processo amministrativo, 2009, p. 875e ss. 16 In questo senso, cfr. O. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 94,che richiama E. W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione.

Dallo Stato moderno all’Europa unita, trad. it., Roma-Bari,2007, p. 27.17 E’ questa la notevole sintesi di O. De Bertolis, L’ellisse,cit., p. 38: “(…) nel pensiero tomista non solo il diritto non è

appiattito sulla legge, o ridotto ad una sola dimensione, ma nem-

meno la facoltà intellettiva dell’uomo è ridotta alla semplice ra-

gione calcolante, la ratio che presiede al formarsi della legge,

ma è fondata in un intellectus che ne costituisce l’intelligenza”.Sulla distinzione tra intellectus, l’esperienza originaria eimmediata della realtà, e ratio, il nostro modo di conoscereil reale, vds. O. De Bertolis, Il diritto in San Tommaso

D’Aquino, cit., p. 13. 1 Summa theol., Iª- IIª, q. 91, a. 3. Sul realismo giuridico,vds., più in generale, J. Hervada, Le radici sacramentali del

diritto canonico, trad. it. di M. del Pozzo, in Ius Ecclesiae,2005, p. 629, e M. del Pozzo, La comprensione del realismo

giuridico nel pensiero canonistico di J. Hervada, ivi, 2005, p.611 e ss. 19 Si vedano, in merito, i tre notevoli “intermezzi” di cuiin O. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 48 e ss., oltre all’altret-tanto profonda analisi fornita dall’A. in Elementi di antro-

pologia giuridica, Napoli, 2010, p. 7 e ss. 20 Così, le note definizioni di E. Fazzalari, Note in tema di

diritto e processo, Milano, 1957, p. 110 e ss. e Id., voce Pro-

cesso (teoria generale), in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966,p. 1075 e ss., nonché F. Carnelutti, Diritto e processo, Na-poli, 1958, p. 17. Cfr. anche F. Cordero, Le situazioni sogget-

tive nel processo penale, Torino, 1957, p. 29. 21 Sul rapporto tra struttura e funzione, vds. F. Carnelutti,Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 11 e ss. 22 Vds. N. Luhmann, Procedimenti giuridici e legittimazione

sociale, Milano, 1995, spec. p. 75 e p. 115. Interessante èanche l’analisi sociologica di A. Garapon, Del giudicare.

Saggio sul rituale giudiziario, tr. it., Milano, 2007, p. 8. 23 Cfr. J. Rawls, A theory of justice, Cambridge (Mass.),1971, p. 83. 24 Sulle difficoltà nell’accertamento del vero, in sede pro-cessuale, cfr. G. Carofiglio, L’arte del dubbio, Palermo, 2007,p. 13, che ricorda il sempre attuale “Rashomon” di A. Ku-rosawa. Vds. anche F. Dürrenmatt, Il giudice e il suo boia,tr. it., Milano, 1996. 25 Si vedano, ex multis, S. Chiarloni, Il nuovo articolo 111

della Costituzione e il processo civile, in Riv. dir. proc., 2000,p. 453, Id., Giusto processo, garanzie processuali, giustizia delladecisione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, p. 129, e G. Mon-teleone, Il processo civile alla luce dell’art. 111 Cost., in Giust.

civ., 2001, p. 523. Sull’ambiguità del concetto di “giusto

processo”, tra nozione comunitaria, nozione conformeall’art. 111 e nozione antecedente alla legge cost. 23 no-vembre 1999, n. 2, G. Costantino, Il giusto processo, in Fall.,n. 3/2002, p. 244. Altrettanto problematica è la definizionedi “ragionevole”, che l’articolo 111 lega a “durata”: in me-rito, l’interessante contributo di E. M. Catalano, Il concetto

di ragionevolezza tra lessico e cultura del processo penale, inDiritto penale e processo, n. 1/2011, p. 85 e ss. 26 L’espressione è di L. Ferrajoli, L’etica della giurisdizione

penale, in Questione giustizia, 1999, p. 489. 27 La versione anglosassone parla in termini di “due”, “do-vuto”, e non di “giusto”. Una più letterale traduzione deltermine, nella legge costituzionale n. 2/1999, cit., avrebbeevitato molti equivoci. 28 Questa è l’efficace metafora di O. De Bertolis, L’ellisse,cit., p. 113. 29 In questo senso, l’opera di M. Taruffo, che più ha con-tribuito, tra i processualisti, allo studio della ‘garanzia diverità’. Vds., in particolare, M. Taruffo, Idee per una teoria

della decisione giusta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p. 315,oltre a Id., Il controllo della razionalità della decisione fra logica,

retorica e dialettica, in M. Bessone (a cura di), L’attività del

giudice, Torino, 1997, p. 139 e, più di recente, la notevolesintesi di Id., La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei

fatti, Roma-Bari, 2009, p. 32 e ss. Cfr. anche l’analisi di A.Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile,in Riv. dir. proc., 2003, p. 36 e di S. Chiarloni, Giusto pro-

cesso, garanzie processuali, giustizia della decisione, cit., p. 129e ss. 30 Per un’applicazione pratica, con riferimento al principiodel contraddittorio e alle cd. decisioni della “terza via”, cisia consentito rinviare ad A. Giordano, Sull’articolo 101 c.

2 c.p.c. Un disposto recente su una questione antica, in Giust.

civ., 2011, oltre a Id., La sentenza della “terza via” e le “vie”

d’uscita. Delle sanzioni e dei rimedi avverso una “terza solu-

zione” del giudice civile, in Giur. it., 2009. 31 Queste le notevoli definizioni di O. De Bertolis, L’ellisse,cit., p. 77 e ss. (“il diritto come cura dell’irripetibile”, p. 77),p. 80 e ss. (“il diritto come rappresentazione”, p. 80), p. 85 ess. (“il diritto come sapere tra i saperi”, p. 85), p. 86 e ss. (“il

diritto, come l’arte, è un simbolo”), p. 86. 32 Significativo è, del resto, il nesso tra giurisdizione edequità che si rinviene nella fonte anonima dell’età dimezzo citata da E. Kantorowicz, Studies in the Glossators

of the roman law, Cambridge, 1938, opuscola incertorum auc-

torum, dist. IV [A]: “ius, ad quod intenditur et ab altera parte

contradicitur, aperte est iurisdictio, id est aequitas, super qua

iudex potest statuere”.33 G. Zagrebelsky, Contro l’etica di verità, Roma-Bari, 2008.Contra, la rilevante sintesi di D. Marconi, Per la verità. Re-

lativismo e filosofia, Torino, 2007, passim. 34 N. Irti, Diritto senza verità, Roma-Bari, 2011. Per rilievi

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iaffini, vds. anche A. Gentili, Scienza giuridica e prassi fo-

rense, in Rivista critica del diritto privato, 2010, p. 203 e ss.,spec. p. 232: “abbandonare il mito della verità. Accogliere

l’idea che l’uso della forza che contraddistingue il governo giu-

ridico dei fatti è legittimo allorché chi lo subisce, quantunque

renitente, non trova più un’obiezione razionale per opporvisi.

Ammettere che anche la più furba, la più strategica, la più ci-

nica tesi avvocatesca, è valida, se è inconfutabile”. Cfr. anchele riflessioni di B. Cavallone, In difesa della veriphobia(considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente

di Michele Taruffo), in Riv. dir. proc., 2010, p. 1 e ss., insiemealla puntuale risposta di M. Taruffo, Contro la veripho-bia. osservazioni sparse in risposta a Bruno Cavallone, ivi,2010, p. 995 e ss.35 Così, A. Supiot, Homo juridicus. Saggio sulla funzione an-

tropologica del diritto, Milano, 2006, p. 61 e p. 143, che de-

finisce il diritto “una tecnica di umanizzazione della tec-

nica”, nonché O. De Bertolis, Elementi di antropologia giu-

ridica, cit., p. 59.36 Ancora A. Supiot, Homo juridicus, cit., p. 78 e p. 158 eO. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 69 e ss. 37 Si veda, in argomento, E. Berti, Il concetto di ordine na-

turale, in Studium, 1988, spec. p. 509 e ss. 38 Vds. O. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 99: “ (…) l’ordina-

mento giuridico rifiuta che un uomo o una donna possa essere

oggetto di decisioni altrui, dovendo sempre essere soggetto di

decisioni proprie, in rapporto di uguaglianza con gli altri”. 39 Si fa riferimento alla lex naturalis, che è partecipazionedella lex aeterna nella creatura ragionevole (Summa theol.,Iª- IIª, q. 91, a. 3). Per la nozione di lex aeterna, quale or-dine delle cose disposto dalla ragione divina, cfr. Summa

theol., Iª- IIª, q. 91, a. 1, ad 2, su cui O. De Bertolis, L’ellisse,

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cit., p. 114 e ss. Per l’accezione di natura quale fine, per-fezione ultima di ogni cosa, Summa theol., IIª- IIª, q. 184,a. 1. 4 Così, O. De Bertolis, L’ellisse, cit., p. 174, che così sinte-tizza il pensiero dell’Aquinate: “(…) se le leggi sono giuste,

traggono la loro vis obligandi dalla legge eterna e obbligano

in coscienza. Se sono ingiuste, bisogna distinguere. Se vanno

esplicitamente contro la legge divina, non obbligano affatto;

se invece la loro ingiustizia è semplice contrarietà al bene

umano, quella particolare e non quella comune, ovvero (con

riferimento al legislatore) se questi oltrepassa le proprie attri-

buzioni, oppure ancora (in relazione alla forma) se gli oneri

non sono equamente distribuiti, in tali casi, essendo questi più

atti di violenza che leggi, non obbligano in coscienza (…)”. 41 Si pensi alla cd. “non contestazione” nel processo ci-vile, su cui amplius infra in nota, e ai riti alternativi –primo fra tutti il patteggiamento ex art. 444 cod. proc.pen. – nel processo penale.42 Si fa riferimento alle recenti “sopravvalutazioni” delprincipio di ragionevole durata, a scapito del diritto didifesa e della stessa garanzia di verità. Cfr., in partico-lare, gli ultimi orientamenti giurisprudenziali favorevoliall’ampliamento dell’ambito applicativo del giudicatoimplicito (ad es., in relazione all’art. 37 cod. proc. civ. –Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Foro it.,2009, 3, I, 806) o al dimezzamento, in ogni caso, del ter-mine di costituzione in giudizio dell’opponente nellafase di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez.un., 9 settembre 2010, n. 19246, in Giust. civ., 2011, 1, I,118). Desta molti dubbi – in particolare in relazione allafacoltà di spiegare domanda riconvenzionale – il nuovoprocedimento sommario di cognizione ex artt. 702- bis esegg. cod. proc. civ.43 In merito, con riferimento al processo civile nordame-ricano, M. Damaska, Il diritto delle prove alla deriva, tr. it.Bologna, 2003, p. 113, che denuncia lo svuotamento deipoteri istruttori del giudice, nonostante la Rule 102 delleFederal Rules of Evidence preveda espressamente, qualescopo dell’assunzione delle prove, “that the truth may be

ascertained”. 44 E’, infatti, inammissibile, nel processo civile, “dare perveri” i fatti non contestati dalla controparte, nei terminiprescritti per l’espletamento delle attività difensive. Afortiori alla luce del nuovo articolo 115 cod. proc. civ. –per cui i fatti non contestati possono fondare la decisione

del giudice –, il contegno processuale di “non contesta-zione” non può mai assumere la valenza di ficta confessio

(vds., tuttavia, Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2002, n.761, in Foro it., 2003, I, 604) ma solo incidere sul ripartodell’onere probatorio tra le parti. Per questa imposta-zione, si rinvia al più compiuto lavoro sul tema, di A.Carratta, Il principio della non contestazione nel processo ci-

vile, Milano, 1995, spec. p. 267 ss. Vds. anche Id., A pro-

posito dell’onere di “prendere posizione”, in Giur. it., 1997, I,c. 152. 45 Si richiama G. Chiovenda, Istituzioni di diritto proces-

suale civile, I, Roma, 1935, p. 15, oltre a S. La China, voceNorma giuridica (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XXVIII, Mi-lano, 1978, p. 411. 46 Per quest’ordine di idee, ci sia consentito rinviare adA. Giordano, Dignità dell’uomo e tutela effettiva. Strumenti

e garanzie dal diritto sostanziale al processo, in Studi senesi,2010, passim, oltre a Id., Procreazione assistita e scelta di

“non scegliere”. Del “chiesto” e del “non pronunciato” nella

recente pronuncia sulla procreazione medicalmente assistita,in Rivista di diritto dell’economia, dell’ambiente e dei tra-

sporti, 2009, passim. 47 Evidentemente, in seno al Parlamento per la norma ein sede di trattazione o dibattimento per il processo. Cfr.,sul principio del contraddittorio, per tutti, G. Calogero,Filosofia del dialogo, Milano, 1962, F. Benvenuti, voce Con-

traddittorio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., IX, Mi-lano, 1961, F. Carnelutti, Diritto e processo, cit., p. 99. Vds.,più di recente, N. Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo

millennio, Milano, 2008, p. 247. Sulla sintesi, operata dalgiudice, di istanze contrapposte, vds. G. Zagrebelsky, Ildiritto mite. Legge diritti giustizia, Torino, 1992, p. 179 e ss. 48 Vds. la nota definizione celsina, in D. 1.1.1: “(…) ius

est ars boni et aequi”. In merito, si veda, di recente, l’inte-ressante scritto di F. Gallo, Definizione celsina e dottrina

pura del diritto, in Teoria e storia del diritto privato, 2011. Cfr.anche D. 1.1.10. 1-2: “Iuris praecepta haec sunt: honeste vi-

vere, alterum non laedere, suum cuique tribuere. Iuris pru-

dentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti

atque iniusti scientia”.

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Caro Direttore,sulla copertina del numero 1 della nostra

rivista c'è un puzzle, incompleto. Non c'è fi-gura migliore, per rappresentare il nostropaese oggi. Non ho alcun titolo per scrivere,per giudicare: non sono una giornalista, nonsono laureata, sono solo una giovane studen-tessa.

Ma sono pur sempre una cittadina ita-liana, che si può ancora aggrappare a queipochi brandelli di diritto serbati nella nostraCostituzione. La legge sta diventando la miavita, scrivere lo è sempre stata.

Ed è proprio per questo che non possostare ferma, proprio non posso.

Ho deciso di scriverle per dare il mio con-tributo. Perchè questo è il mezzo miglioreche io abbia e perchè ormai solo questo ci èconcesso utilizzare.

Sono passati alcuni giorni da quandoRoma è stata messa a ferro e fuoco: distruttae derubata della propria immagine. Ed in-sieme a lei, l'Italia e gli italiani. Ma questonon è, forse, il dato più sconcertante. No,quello che più mi sconvolge è che questaopera di distruzione venga perpetuata, incerto modo, dai media e dagli stessi cittadini.Ciò che è accaduto ha aumentato rabbia edaggressività, fatto crescere la delusione el’amarezza. Non puoi sicuramente permet-tere che l'apatia t'invada in momenti così.

Non puoi stare ferma mentre il tuo Paeseviene trasformato in cenere di fronte ai tuoiocchi.

Ma c'è modo e modo di reagire.C'è chi si nasconde dietro il nero e spacca

tutto. C'è chi insulta i politici, chi prende abotte i poliziotti. Ci sono ragazze madri, figlidi papà, ultras e ragazzi comuni. Tutti a lot-tare per la precarietà, per la crisi.

Si, e i due milioni e mezzo di danni chil'ha fatti? Beh, questo sicuramente aiuterà lacrisi!

Io mi domando che insegnamento possadare, in questo modo, una madre alla propriafiglia. Ma mi domando ancor di più a cosaserva, se non a fare il loro gioco, continuarea regalare notorietà a gruppi di violenti e difacinorosi.

Certo. Dietro i violenti, a cui è concessol’onore della prima pagina, ci sono le figure,purtroppo sbiadite, di milioni di studenti, la-voratori e disoccupati che erano scesi instrada con obiettivi sicuramente diversi. Maci sono anche quelle di altrettante personeche, come me, sono state costrette a barricarsiin casa o a fuggire dall'altra parte della città.

E’ per questo che occorre una linea duraed è necessario reclamare, per il futuro, di-versi e più efficaci controlli. In maniera taleche ognuno possa esercitare il proprio diritto,pienamente e in totale sicurezza, a manife-

Lettere al direttoreOsservazioni, critiche e proposte di una giovane italiana.

Daniela De Luca

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stare e a dire la propria. In modo che uno diquei brandelli del nostro diritto ancora ser-batri dalla Costituzione possa trasformarsi inuno dei pezzi mancanti del nostro puzzle.

E per quanto considerato inattuale, perquanto offeso e deriso, va ricordato il princi-pio fondamentale della nostra Costituzione :“La legge è uguale per tutti". Chi sbaglia,deve pagare. E l’essere Black Block non puòcerto costituire una giustificazione.

C'è modo e modo di reagire: loro distrug-gono,noi scriviamo.

E ricordiamoci che le forze dell'ordine, inostri poliziotti, carabinieri, finanzieri, ri-schiano la vita ogni giorno tentando di pre-

servare la nostra vita e , a ben vedere, i nostriideali.

Non so se tra vent’anni sarò ancora qui ascrivere di queste stesse cose, se, tra ven-t’anni, potremo (dovremo?) continuare a ra-gionare di queste cose, ma per ora sonocontenta che ci sia qualcuno che lotti per mee per il mio futuro. Ecco qual’ è per me ilpunto di equilibrio della bilancia, il punto incui corre la distinzione tra giusto ed ingiusto,tra vero e falso.

Mi scuso per il tempo che queste parole lehanno rubato e la ringrazio perché, in ognicaso, scriverle mi ha fatto sentire bene.

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Il processo penale accusatorio è stato in-trodotto in Italia oltre venti anni fa. Da alloraè stato modificato mille volte dal legislatoreche ha cercato disperatamente di porre rime-dio agli inconvenienti che di volta in volta simostravano più evidenti, e molto spessoanche ad opera della Corte Costituzionaleche ha dichiarato l’illegittimità di molte suedisposizioni.

Ormai è possibile trarre un bilancio delsuo funzionamento, che è francamente abba-stanza sconfortante. Gli intenti di garanziache erano stati perseguiti sono stati in parterealizzati, ma il bilancio è decisamente orien-tato in senso negativo a causa della moltipli-cazione dei processi che ha prodotto e dellaloro estrema lunghezza media, che ha com-portato l’applicazione più diffusa dell’isti-tuto della prescrizione che si siaprobabilmente mai vista e quindi una sensa-zione di “casualità” della risposta giudiziariaalla violazione delle leggi che, alimentandole speranze di impunità quasi per tutti i reati,contraddice e svaluta quasi del tutto la fun-zione di “prevenzione” generale che do-vrebbe costituire il primo obiettivo di ogniserio sistema penale.

Perché è accaduto tutto ciò? Ovviamente

tutti se lo chiedono e, soprattutto, molti pro-pongono i più svariati rimedi, che ogni voltache vengono sperimentati falliscono invaria-bilmente l’obiettivo. Sembra quasi che vi siaun’insormontabile difficoltà, a monte delproblema, a comprendere le ragioni del mal-funzionamento del processo penale in Italia.C’è chi accusa i magistrati di lavorare poco emale, e quindi il problema si risolverebbemodificando le norme di ordinamento giudi-ziario. E’ stato approvato un nuovo ordina-mento giudiziario, ma non è cambiato nulla.C’è chi dice che il problema sono i troppi av-vocati, ma dimentica che anche in Americagli avvocati sono moltissimi, proporzional-mente quasi come da noi, eppure il sistemafunziona. C’è chi pensa che tutto l’inghipposi nasconda nelle pieghe del codice di proce-dura penale, e che quindi basti cambiarequalche norma, certo importante ma di det-taglio se vista nel quadro del sistema gene-rale (le notifiche, le nullità), per risolvereogni problema. C’è chi dice che occorranomaggiori investimenti per la giustizia, ma ri-sulta invece che l’Italia, tra gli stati europei,è tra quelli che vi investe maggiori risorse.

Chi ha studiato più da vicino il sistemaamericano, che è quello che ha costituito il D

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Le cause della lunghezza

del processo penale in Italia

Antonio Patrono Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia

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modello della riforma processuale in senso ac-cusatorio, pensa invece, e probabilmente a ra-gione, che per capire l’accaduto basti ricordareciò che da subito si disse venti anni fa allorchèsi ragionava sulle possibilità di riuscita omeno del nuovo processo. Si disse allora cheil dibattimento accusatorio, con la formazionedella prova nel contraddittorio delle parti, ècosì lungo e complesso che nessun sistema èin grado di sostenerlo se non in un numero li-mitato di casi, orientativamente in non più del10% complessivamente delle azioni penaliesercitate, e occorre quindi che il 90% dei casisia risolto in altro modo. E per questo, si disseallora, il fulcro del sistema avrebbe dovuto es-sere costituito dai riti alternativi al dibatti-mento, che nel processo italiano furonodelineati soprattutto con il rito abbreviato e ilpatteggiamento.

Oggi, secondo le statistiche a disposizione,la percentuale di procedimenti che sono defi-niti con un rito alternativo al dibattimento nonraggiunge nemmeno il 40% del totale dei casi,e ciò vuol dire che il numero di dibattimentida celebrare ogni anno è enormemente supe-riore a quello che qualsiasi sistema accusatoriopuò reggere. E’, questo, un risultato in contro-tendenza rispetto a quanto accade nei Paesi dicultura giuridica anglosassone, che conosconoe praticano il processo accusatorio da secoli, eoccorre chiedersi perché.

La ragione di tutto ciò risiede probabil-mente nella circostanza che in Italia si è co-piato solo un segmento dell’intero sistemaaccusatorio, il dibattimento, la cui obiettivalunghezza e complessità negli altri paesi chelo adottano è compensata da tutta una serie diaccorgimenti, sempre orientati all’unico finedi limitare il numero di dibattimenti, che danoi invece non esistono.

In estrema sintesi è possibile ricordarli.Innanzitutto in America vige il criterio

della discrezionalità dell’azione penale, sia a

livello federale che a livello statale, e ciò con-sente in teoria di “programmare” la maggioreo minore incisività dell’azione stessa anche inbase alle concrete possibilità di smaltimento edi definizione in tempi ragionevoli del caricodi lavoro sostenibile. Soprattutto, in quest’ot-tica, risulta utile la possibilità che il pubblicoministero, in presenza di plurimi reati com-messi dalla stessa persona, possa decidere diprocedere soltanto per alcuni di essi, eviden-temente i più gravi, tralasciando di avviareprocessi anche per reati minori connessi o co-munque in qualsiasi modo “corollari” dellacondotta criminale principale. Le linee guidaper l’esercizio dell’azione penale federale, adesempio, che racchiudono i criteri ai quali iprocuratori federali devono attenersi nell’eser-citare la loro discrezione in materia, espressa-mente richiamano l’esigenza di valutare laconvenienza di una pronta e sicura decisionedella causa, il risparmio delle spese dell’even-tuale processo e la necessità di evitare ritardinella decisione di altre cause. Si legge testual-mente, nelle istruzioni ai pubblici ministeri fe-derali, che è loro dovere tener conto dei costirelativi alla giuria e ai testimoni, ma anche deltempo speso dai giudici, dagli stessi pubbliciministeri e da tutto il personale amministra-tivo necessario per la verbalizzazione e perogni altra assistenza al processo.

Ma in realtà non è questa la ragione princi-pale del differente “rendimento” delle dueprocedure, perché la percentuale del solo 10%di dibattimenti celebrati in America si riferiscealle azioni penali esercitate, senza tener conto,quindi, dei casi che a monte non hanno maipartorito un processo perché caduti primasotto la “scure” della discrezionalità. Sonoaltre le differenze, davvero enormi, sul pianopiù strettamente processuale che comportanotale risultato.

Proviamo solo a elencarle in estrema sin-tesi.D

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L’imputato, a differenza che in Italia, deveessere sempre presente al dibattimento, ingenere in stato di arresto. Si risparmia iltempo dei processi con imputati contumaci,non esistono problemi di notifiche una voltainiziato il processo, e sono ovviamente da ciòscoraggiate tutte le richieste di rinvio del-l’udienza e ogni altra pratica volta ad allun-garne i tempi.

L’imputato, a differenza che in Italia, seaccetta di rendere dichiarazioni non puòmentire, a pena di gravi sanzioni. Ciò facilital’accertamento della verità e, normalmente,elimina i tempi necessari per la verifica dialibi o altre circostanze falsamente prospet-tate.

La decisione è di regola affidata ad unagiuria popolare, che emette un verdettosenza motivazione sulla responsabilità del-l’imputato. Ciò elimina i tempi, spesso moltolunghi, per la stesura della motivazionescritta.

L’unica alternativa al dibattimento inAmerica è la dichiarazione di colpevolezzadell’imputato, che chiude immediatamenteil processo con l’unica incombenza succes-siva della determinazione della pena daparte del giudice. In Italia, invece, nemmenola confessione ferma il processo, e comunquei riti alternativi, che da noi sono la vera alter-nativa al dibattimento, quantomeno nel casodel giudizio abbreviato sono comunque ge-neralmente lunghi e anch’essi notevolmentecomplessi.

La sentenza di primo grado, a differenzache in Italia, è immediatamente esecutiva, eciò esclude l’interesse ad appellare conl’unico scopo di ritardarne l’esecuzione,come invece avviene spesso da noi.

Non è praticabile l’appello generalizzatoper ridiscutere il merito della sentenza diprimo grado, e ciò esclude la possibilità difare appello nella maggior parte dei casi per

cui ciò avviene in concreto in Italia.In ogni caso il processo di appello deve es-

sere preceduto da una verifica di ammissibi-lità, che risparmia i tempi per la celebrazionedi processi di secondo grado basati su motivipalesemente infondati.

Non esiste il ricorso per Cassazione, danoi inteso quasi come un terzo grado di giu-dizio generalizzato in base a motivi di ricorsodalle maglie molto larghe, che ammettonoanche considerevoli interferenze sul meritodella questione decisa dai primi giudici.L’inesistenza del ricorso per cassazione ri-sparmia il tempo necessario per la sua cele-brazione, anticipando il passaggio ingiudicato della sentenza.

La prescrizione del reato non è più possi-bile una volta iniziato il processo, il che ne fa-vorisce la più sollecita definizioneescludendo ogni interesse dell’imputato a di-latarne i tempi.

Il patrocinio a spese dello Stato, a diffe-renza che in Italia, è assicurato generalmenteda avvocati facenti parte di un apposito uffi-cio pubblico e retribuiti con uno stipendio, ilche esclude in radice in questi casi qualsiasiloro l’interesse a perseguire tattiche proces-suali dilatorie e a moltiplicare le impugna-zioni.

I benefici penitenziari sono molto più li-mitati e meno generalizzati che in Italia, ilche rende più conveniente per l’imputatocolpevole cercare di ottenere la pena piùbassa possibile ammettendo subito la sua re-sponsabilità.

In sintesi, il risultato fondamentale ditutte queste differenze è che, a parte risparmidi tempo impliciti nella procedura ameri-cana, l’imputato colpevole in quel Paese nonha alcun interesse a perdere tempo perchénon può ottenere nulla dalla dilatazione deitempi del processo: né la prescrizione, né ilrinvio dell’esecuzione della sentenza, né la D

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possibilità di plurimi ricorsi con la speranzadi vedersene accolto almeno uno. Da ciò di-scende che egli, invece, ha tutto l’interesse adammettere subito la sua responsabilità percosì godere dei benefici in termini di pena chedipendono da tale scelta.

Ciò spiega a sufficienza, per chi voglia ra-gionare in termini tecnici e scevri da pregiu-dizi e interessi politici o ideologici, perché lagiustizia italiana sia molto più lenta di quellaamericana e di quelle, simili a quest’ultima, ditutti gli altri Paesi che hanno adottato il mo-dello accusatorio nel sistema penale.

Altro tema, invece, è quello dell’efficaciasostanziale, ovverosia della capacità di perve-nire al risultato più giusto, dei due diversi si-stemi, poiché non è affatto detto che quellopiù rapido sia anche il “migliore” in assolutoanche sotto questo aspetto. E forse proprio laconsapevolezza di ciò spinse il legislatore ita-liano, nel 1988, a non “tradurre” l’intero si-stema accusatorio nel nostro Paese, ma adimportarne solo la parte più garantista, ovve-rosia la formazione della prova nel dibatti-mento nel contraddittorio delle parti.Purtroppo, così facendo, si è avuto un effettoinsostenibile di moltiplicazione di garanzie,aggiungendo a tutte quelle del sistema inqui-sitorio (specie il regime delle impugnazione),volte proprio a rassicurare circa la possibilitàdi correggere eventuali errori decisori di ungiudice quasi onnipotente, anche quella fon-damentale del processo accusatorio costituitainvece proprio dall’assenza di poteri decisoridel giudice e dalla prevalenza dell’azionedelle parti e della giuria popolare. Come èovvio ogni garanzia costa, in termini di soldie di tempo, e il sistema italiano, gravato datutte le garanzie possibili e immaginabili, ècosì esploso, in termini di costi e di tempi.

Ben si comprende come un’analisi comequella appena svolta, se risultasse giusta, por-rebbe problemi immensi. Se le cose stesseronei termini prospettati, infatti, qualora si vo-lesse por mano a seri tentativi di cambiamentoin termini di “riequilibrio” del sistema, do-vrebbero necessariamente adottarsi scelte dicampo molto nette, non essendo sufficienti arisolvere problemi tanto grandi né rimedi pro-cessuali limitati a qualche modifica di detta-glio, né moduli organizzativi diversi da quelliattuali del tutto irrilevanti nella fattispecie, néinvestimenti materiali che, per quanto ingenti,mai arriverebbero a coprire i fabbisogni di unsistema intrinsecamente irrazionale.

D’altronde, far finta di non vedere e noncomprendere la realtà e continuare a coltivarela vana speranza di vaghi miglioramenti consoluzioni approssimative e inefficaci non ècerto sintomo di coraggio e di senso di respon-sabilità.

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