CASCO 2 - 2012

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volume 2 – numero 2 – aprile-giugno 2012

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Periodico trimestrale riservato alla classemedica edito in collaborazione con

Via Vitorchiano 151 – 00189 RomaTel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311www.univadis.itNumero verde 800 23 99 89

Anno 2 N. 2 – aprile-giugno 2012

Registrazione del Tribunale di Roma in corso

Direzione scientifica: Fausto RoilaEnzo BallatoriGruppo editoriale:Claudia Caserta Sonia Fatigoni Guglielmo FumiAzienda Ospedaliera di Terni

Il Pensiero Scientifico EditoreVia San Giovanni Valdarno 8 00138 RomaTel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250Internet:www.pensiero.itStampa:Arti Grafiche Tris, Romaottobre 2012Direttore responsabile:Giovanni Luca De FioreRedazione: Manuela BaronciniProgetto grafico:Antonella MionPrezzo: Fascicolo singolo €15,00

I contenuti pubblicati dalla rivistarispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l.

Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativoriassunto delle caratteristiche delprodotto fornito dalla ditta produttrice.

In questo numero

Vol 2, n. 2, aprile-giugno 2012

EDITORIALE

40 Outcome Research e Terapie di SupportoEnzo BallatoriFausto Roila

DAI CONGRESSI

42 Focus sul congresso ASCO (Chicago) 2012Fausto RoilaSonia Fatigoni

LINEE GUIDA E PRATICA CLINICA

46 Farmaci adiuvanti nella terapia del dolore da cancroMarco Maltoni

TUMORI E TERAPIE DI SUPPORTO

50 Terapia di supporto nei tumori renaliEnrico Cortesi, Denise Pellegrino, Valentina Magri, Claudia Mosillo, Alessandra Anna Prete, Roberto Iacovelli

CASI CLINICI

54 La deriva della ricerca sugli antiemeticiEnzo BallatoriFausto Roila

STATISTICA PER CONCETTI

59 Endpoint compostiEnzo Ballatori

GESTIONE EVENTI AVVERSI

61 Tossicità da inibitori di mTORClaudia CasertaSonia Fatigoni

In copertina: Oliveto con nuvola bianca, Vincent van Gogh, 1889.

Le terapie di supporto possono costituire

terreno privilegiato di indagine per l’Outcome ResearchEnzo Ballatori, Fausto Roila

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Outcome Research e Terapie di SupportoEditoriale

Un anno fa, su JAMA appariva un breve editoriale sull’Outcome Research (OR)

come richiesta perentoria dal mondo reale (Krumholz HR. Real-world

Imperative of Outcome Research. JAMA 2011; 306: 754-5). Richard Lehman,

che cura settimanalmente la revisione critica indipendente di articoli pubblicati su

riviste mediche per conto del BMJ, arrivava a sostenere che il suddetto editoriale è una

lettura essenziale per chiunque abbia a cuore il futuro della Medicina.

In realtà, questo antico argomento è venuto più volte alla ribalta, destando sempre

vivo interesse, per poi cadere nell’oblio, finché qualcun altro non lo ha riscoperto,

generando così un ciclo a periodicità variabile. Ma stavolta è diverso. Sono maturi i

tempi per cui sull’OR, cioè sulla ricerca sugli esiti dei trattamenti medici, convergano

istanze diverse del paziente, del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), della conoscenza

scientifica, del management sanitario.

Nella sua accezione più ampia è OR ogni investigazione scientifica che genera

conoscenze in grado di guidare le decisioni sulla cura della salute per ottenere risultati

ottimali per le strategie di prevenzione, diagnosi, terapia e prognosi.

Quindi, è OR ogni valutazione di strategie mediche nella pratica clinica quotidiana,

non solo in termini di efficacia (effectiveness) e sicurezza, ma anche di costi e di

impatto sulla qualità di vita del paziente.

La valutazione, condotta per mezzo di uno studio clinico, può essere eseguita in una

singola Unità Operativa, ovvero associandone più di una, ottenendo risultati che sebbene

siano più limitati (per dimensione) di quelli della ricerca clinica sponsorizzata, sono però

più vicini alla realtà del paziente. Per fare solo alcuni esempi di possibili applicazioni

dell’OR, si pensi all’effetto di un management intensificato del paziente rispetto a quello

standard, alla frequenza ottimale del follow-up, allo studio della relazione tra endpoint

surrogati e finali, alla tossicità di medio-lungo periodo delle vaccinazioni, alla valutazione

dei costi dei trattamenti rilevati sui pazienti che vengono quotidianamente gestiti, alla

migliore definizione della storia naturale della malattia che li ha colpiti (ad es., tipi di

malattie concomitanti o successive, ricoveri ospedalieri, trattamenti terapeutici, prognosi).

L’OR si concretizza così in studi clinici non sponsorizzati, più spesso osservazionali, ma

anche randomizzati, in cui vale la sola limitazione (peraltro non assoluta) di non poter

testare nuovi farmaci.

Oltre all’acquisizione di nuove conoscenze in campo medico, i vantaggi di studi di OR

sono evidenti:

— per il paziente, consente di accrescere la probabilità di ottenere i risultati che

desidera per mezzo di migliori informazioni, migliori decisioni, migliore erogazione

della cure;

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— per il SSN, permette di ottenere notevoli risparmi pur garantendo le cure più

efficaci;

— per il manager della sanità, oltre ad ottenere risparmi nella erogazione delle cure,

può conoscere esattamente il costo dei trattamenti in relazione alla loro efficacia

nei pazienti che vengono quotidianamente seguiti nella pratica clinica.

L’OR non richiede risorse aggiuntive, essendo sufficiente impegnare per tale attività

parte dei fondi che vengono raccolti con la ricerca sponsorizzata (mediamente, circa

il 30% del budget complessivo), ottemperando così alle norme di legge sulla loro

destinazione.

Vantaggi indiretti vanno a ricadere anche sulle strutture che conducono studi di OR,

in termini di aggiornamento e motivazione dei medici e, soprattutto, di sviluppo del

Research Nursing che nel nostro paese è ancora così poco diffuso.

Da ultimo, occorre avvertire che finalità e metodi dell’OR sono annoverati

nell’Health Technology Assessment (HTA), mentre, a nostro avviso, l’OR ha tutto il

diritto alla più completa autonomia scientifica, anche perché riteniamo che, in

quanto ricerca clinica, non abbia molto a che vedere con i metodi più specifici

dell’HTA.

Il campo delle terapie di supporto si presta particolarmente a studi di OR, per

svariate ragioni, le più importanti delle quali sono:

a. la risposta è quasi sempre di tipo soft e valutabile nel breve periodo. Quest’ultima

condizione semplifica notevolmente il management dello studio favorendone la

fattibilità. La natura soft della risposta può essere meglio indagata attraverso un

più stretto contatto con il paziente, il che è proprio specifico degli studi di OR;

b. la mancanza di terapie efficaci, o comunque non sufficientemente investigate,

nel controllo di una pluralità di sintomi (orphan symptoms), dal prurito al

singhiozzo, dalla tosse alla dispnea, dalla tossicità cutanea a quella cardiaca

rende vaste aree del campo delle terapie di supporto terreno privilegiato per

studi di OR.

La lettura di una rivista come CASCO, così autorevole per lo spessore scientifico dei

suoi collaboratori, è anche utile per generare idee, o risvegliare interessi latenti che

possono trovare una fase attuativa per mezzo di studi di OR.

Data l’importanza dell’argomento, se ci sarà richiesta da parte dei Lettori, potremmo

pensare all’apertura di un Forum in cui sarà possibile approfondire alcune tematiche

adombrate nel presente editoriale, mettere in contatto domanda ed offerta di

partecipazione a studi di OR, fornire consulenze per singoli progetti di ricerca.

Enzo BallatoriFausto Roila

| Editoriale | Outcome Research e Terapie di Supporto

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FatigueAlcuni importanti lavori presentati all’ASCO riguardano il

trattamento della fatigue correlata al cancro. Il primo ha va-lutato l’efficacia del ginseng americano, che secondo la tra-dizione popolare aiuta a combattere gli effetti negativi dellostress, rispetto al placebo in pazienti neoplastici con fatigue1.I pazienti entrati nello studio presentavano una fatigue ≥ 4 inuna scala numerica da 1 a 10 per un periodo ≥ 1 mese. Lostudio era doppio cieco e la dose di ginseng era 2000 mg/diein due somministrazioni per 8 settimane. L’endpoint prima-rio dello studio erano i cambiamenti del punteggio, osservatidopo 4 settimane rispetto al basale, nella scala generale delMultidimensional Fatigue Symptom Inventory (MFSI). In 364pazienti non sono state osservate variazioni significative nellafatigue a 4 settimane, ma ad 8 settimane vi era un migliora-mento significativo nella scala generale (da 10,3 a 20,0) e fi-sica (da 1,7 a 3,0) del MFSI, mentre non vi erano modifichesignificative nelle scale psichica, emozionale e del vigore. Ilginseng non presentava effetti collaterali significativi rispettoal placebo.

Come è noto al momento non vi è un trattamento stan-dard della fatigue. Sebbene gli steroidi siano utilizzati nel con-trollo di questo sintomo mancano studi controllati dell’effi-cacia degli steroidi eseguiti con strumenti di misurazionedella fatigue validati. Pazienti con punteggio della fatigue ≥4/10 della Edmonton Symptom Assessment Scale (ESAS)sono stati randomizzati a ricevere desametasone 4 mg os perdue volte die per 15 giorni o placebo2. L’endpoint principaledello studio era la modifica del punteggio, dopo 15 giorni ri-spetto al basale, della scala del Functional Assessment ofChronic Illness-Fatigue (FACIT- F). In 83 pazienti valutabili lamedia della scala della fatigue del FACIT passava da 18 ba-sale a 27 dopo 15 giorni (differenza significativa) mentre peril placebo rimaneva stabile (da 21 a 24). Con ESAS era evi-dente una differenza significativa nella scala del distress fisicoma non nel distress psicologico e dei sintomi globali. Il nu-mero di effetti collaterali di grado ≥ 3 era superiore, ma nonstatisticamente significativo, con il desametasone.

Altri due studi hanno valutato l’impatto del metilfenidato,un farmaco che ha dato finora risultati contrastanti in studidi piccole dimensioni. In uno studio doppio-cieco di fase II in197 pazienti con neoplasia avanzata e con fatigue ≥ 4/10

Dai Congressi

Focus sul congresso ASCO (Chicago) 2012

della Edmonton Symptom Assessment Scale (ESAS) il metil-fenidato (5 mg ogni due ore e fino a 20 mg die se necessa-rio) veniva confrontato con il placebo3. L’endpoint principaledello studio erano le variazioni di punteggio a 15 giorni ri-spetto al basale della scala del Functional Assessment ofChronic Illness-Fatigue (FACIT- F). Il metilfenidato non dava ri-sultati diversi rispetto al placebo. Nel secondo studio, uno stu-dio randomizzato doppio-cieco con crossover, una formula-zione ritardo di metilfenidato (18 mg/die) era confrontata conplacebo in 42 donne affette da carcinoma della mammellache presentavano fatigue4. L’endopoint primario dello studioerano le modifiche del punteggio della peggior fatigue delBrief Fatigue Inventory dopo 2 e 4 settimane di trattamentorispetto al basale. Anche in questo studio non vi erano dif-ferenze significative tra il metilfenidato ed il placebo; per-tanto, nonostante alcuni dati contrastanti sull’efficacia delmetilfenidato, gli studi più recentemente considerati sem-brano escludere una sua efficacia nel controllo della fatiguecorrelata al cancro.

In altri due studi emerge un possibile impatto della vita-mina D3 nel migliorare la fatigue. Dati preliminari avevanofatto supporre un potenziale beneficio della vitamina D3 nelcontrollo del dolore muscolo-scheletrico, della disabilità e

Fausto RoilaSonia FatigoniSC Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni

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della fatigue indotta dagli inibitori dell’aromatasi. Uno studioè stato eseguito in pazienti operate di carcinoma della mam-mella che iniziavano una terapia adiuvante con letrozolo e chepresentavano un livello di 25(OH)D ≤ 40 ng/mL5. Tutte eranosottoposte a una dose standard di vitamina D3 (600UI) e cal-cio (1200 mg) e sono state randomizzate a ricevere per 24settimane 30.000UI di vitamina D3 alla settimana per os oplacebo. Sono entrate nello studio 160 pazienti. Dopo 24 set-timane le pazienti sottoposte a vitamina D3 presentavano unaminore incidenza di eventi muscolo-scheletrici rispetto aquelle sottoposte a placebo (37% versus 51%) ed inoltre la-mentavano meno fatigue, peggioramento del dolore e disa-bilità (42% versus 72%). Il secondo studio, sempre in pazienticon bassi livelli di 25(OH)D (≤ 32 ng/mL) che iniziavano unachemioterapia per malattia metastatica e che sono stati ran-domizzati a ricevere o meno 2000 UI di vitamina D3 per osper 3 mesi6. L’endpoint primario erano le modifiche del pun-teggio della scala della fatigue del FACIT-F. Dopo tre mesi in69 pazienti miglioravano significativamente la fatigue ed i li-velli plasmatici di vitamina D3.

NeurotossicitàLa neuropatia periferica indotta da chemioterapia deter-

mina un impatto fortemente negativo sulla qualità di vita.Uno studio ha valutato le cadute, i deficit di performance fi-sico (ad esempio non riuscire a fare un quarto di miglio apiedi) e le perdite funzionali (ad esempio riuscire a fare il ba-gno da soli) nei pazienti con cancro che avevano partecipatoad uno studio di fase III e che presentavano un punteggio deldolore neuropatico alle braccia e alle gambe > 4 in una scalada 0 a 107. Di 421 pazienti valutati l’11,9% ha presentato unacaduta recente, il 58,6% un deficit di performance fisico e il26,6% una perdita funzionale. All’analisi multivariata questieventi erano più frequenti negli anziani, nei pazienti conbassi livelli educazionali e in presenza di tossicità motoria. Daqui l’esigenza sempre più pressante di trattamenti della neu-ropatia periferica da chemioterapia attualmente mancanti.

Un altro studio ha valutato incidenza e intensità dellaneuropatia periferica da oxaliplatino e l’eventuale associa-zione al grado di neuropatia acuta periferica in pazienti concarcinoma del colon retto8. In 170 pazienti sottoposti a FOL-FOX o XELOX per carcinoma metastatico del colon retto unaneuropatia acuta da oxaliplatino era presente nell’85,9% deipazienti. Si manifestava soprattutto con disestesie periorali ofaringolaringee che erano scatenate dal freddo. Raramentesi osservavano spasmi della mandibola. Nel 21,9% dei pa-zienti era necessario allungare i tempi di infusione dell’oxa-liplatino da 2 a 4-6 ore. La neuropatia periferica cronica si svi-luppava nel 72,4% (123/170) dei pazienti; era di grado I nel32%, di grado II nel 43% e di grado III nel 27% dei pazienti.La severità della neuropatia periferica acuta era strettamentecorrelata alla neuropatia periferica cronica.

La neuropatia periferica indotta da taxani e platino de-rivati è spesso dolorosa ed il controllo del sintomo è im-portante per garantire la prosecuzione della terapia. In unostudio doppio cieco randomizzato con crossover i pazienti,che presentavano un punteggio di ≥ 4/10 del dolore, erano

sottoposti a duloxetina 30 mg die per una settimana e poi60 mg per altre 4 settimane o placebo e poi, dopo una set-timana di wash out, ricevevano il trattamento alternativo9.L’endpoint primario era la modifica dei punteggi del BriefPain Inventory-Short Form. In 231 pazienti la duloxetina de-terminava una riduzione significativa del dolore rispetto alplacebo (-1,09 versus -0,33). La duloxetina determinavauna maggiore incidenza di fatigue di grado ≥ 2 (11% ver-sus 3%).

In alcuni studi pilota la acetil-L-carnitina sembra efficacenell’attenuare la neuropatia periferica da chemioterapia;purtroppo finora mancavano studi controllati. Uno studiodoppio cieco ha confrontato la acetil-L-carnitina (3 grammidie per via orale per otto settimane) versus placebo in 239pazienti10. L’endpoint primario era il miglioramento di almenoun grado della neuropatia periferica. La acetil-L-carnitinamigliorava significativamente la neuropatia periferica, ri-spettivamente nel 50,5% e 51,6% dei pazienti sottoposti atrattamento rispetto al 24,1% e 23,1% del placebo dopo 4e dopo 8 settimane. La acetil-L-carnitina migliorava anche lafatigue e il performance status dei pazienti. Gli effetti colla-terali non erano significativamente differenti.

Infine un piccolo studio ha valutato l’efficacia della low-level laserterapia (LLLT) (che è stata approvata nel 2002 peril trattamento del dolore) somministrata due volte alla setti-mana per 8 settimane rispetto a placebo due volte alla set-timana per 4 settimane e poi LLLT 2 volte la settimana per al-tre 4 settimane11. In 20 pazienti arruolati con neuropatiaperiferica dei piedi (14 avevano problemi anche alle mani) lalaserterapia ha migliorato la neuropatia periferica sia som-ministrata per 8 settimane che per 4 settimane dopo 4 di pla-cebo. Non vi erano differenze significative tra i due gruppi siain termini di efficacia che di tossicità.

All’ASCO è stato presentato anche uno studio di pre-venzione della neuropatia periferica. Questo studio è statoeseguito in 409 pazienti con cancro della mammella stadioI-III trattate in terapia adiuvante con paclitaxel settimanale.Lo studio ha confrontato la acetil-L-carnitina versus placebosomministrati per 24 settimane12. L’obiettivo primario dellostudio era la prevenzione della neurotossicità da taxolo mi-surata con il FACT-taxane scale. Dopo 12 settimane non vi era

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evidenza di un beneficio della acetil-L-carnitina rispetto al pla-cebo, mentre a 24 settimane sembra che la neurotossicitàaddirittura peggiori con acetilcarnitina.

Nausea e vomitoNonostante i grandi progressi ottenuti nella prevenzione

del vomito da chemioterapia la prevenzione della nausea ri-mane uno dei problemi ancora aperti della terapia antie-metica. Da dati preliminari sembra che alcune categoriepoco usate di farmaci, come i cannabinoidi, possano averemaggiore efficacia contro la nausea che contro il vomito. Inuno studio doppio cieco pazienti sottoposti a chemiotera-pia con ciclofosfamide e adriamicina che ricevevano per laprofilassi dell’emesi palonosetron 0,25 mg ev + desameta-sone 10 mg ev prima della chemioterapia sono stati ran-domizzati tra dronabinolo (5 mg tre volte al giorno per 5giorni) o placebo13. L’impatto del trattamento sul vomitonon era significativamente differente tra i due trattamentima i pazienti che avevano ricevuto dronabinolo presenta-vano una significativa minore durata della nausea (numeromedio di giorni di nausea 1,86 versus 3,1, rispettivamente)e una tendenza ad una maggiore protezione completa dallanausea (37% versus 17%). Tranne una maggiore incidenzadi diarrea con dronabinolo (13% versus 6%) non vi erano si-gnificative differenze negli effetti collaterali.

Un altro interessante studio ha valutato l’efficacia del-l’olanzapina (un antipsicotico attivo contro numerosi recet-tori: dopamina, serotonina, istamina e muscarinici) nel trat-tamento dell’emesi comparsa nonostante un’ottimaleprofilassi antiemetica14. 80 pazienti, sottoposti per la primavolta a chemioterapia altamente emetogena (cisplatino, ci-clofosfamide e adriamicina) che sviluppavano nausea e/o vo-mito nonostante una profilassi dell’emesi acuta con fosa-prepitant, desametasone e palonosetron e dell’emesiritardata con desametasone 8 mg giorni 2-4, sono stati ran-domizzati a ricevere olanzapina (10 mg os die per tre giorni)o metoclopramide (10 mg x 3 volte die per 3 giorni). Du-rante i tre giorni di osservazione non ha presentato emesi il71% dei pazienti sottoposti a olanzapina versus il 32 % diquelli riceventi metoclopramide. No nausea si otteneva nel67% e 24% dei pazienti rispettivamente. Purtroppo dal-

l’abstract non si riesce a capire i criteri di inclusione (vomitoe nausea? solo vomito? che grado di nausea?), quindi se ladistribuzione fra i due gruppi di questi sintomi molto diversifra loro era simile, e come si possa usare come rescue unaterapia per via orale in pazienti che stanno vomitando.

Infine un nuovo inibitore dei recettori NK1, il rolapitant,che è stato valutato in uno studio doppio cieco di fase II in454 pazienti sottoposti a chemioterapia altamente emeto-gena (cisplatino ≥ 70 mg/m2)15. Tutti i pazienti ricevevano on-dansetron + desametasone ed erano randomizzati a ricevereplacebo o rolapitant a dosi di 10, 25, 100 o 200 mg. La dosedi 200 mg di rolapitant era quella più efficace sia in terminidi risposte complete (non vomito né terapia di salvataggio),non vomito, non nausea significativa. Tale dose è statascelta per gli studi di fase III attualmente in corso.

VarieUno studio ha valutato la vitamina B6 per la prevenzione

della sindrome mani-piedi in pazienti sottoposti a terapiacon capecitabina. In 77 pazienti la sindrome si è manifestatanel 26% dei trattati con piridossina e nel 20% di quelli conplacebo16.

La melatonina in studi pilota sembrava attenuare la per-dita di peso e l’anoressia. Era necessario quindi uno studiocontrollato doppio cieco versus placebo per definirne l’ef-ficacia. Questo è stato presentato all’ASCO: in 48 pazientila melatonina 20 mg/die per 28 giorni non aumentava si-gnificativamente l’appetito, il peso del paziente e la sua qua-lità di vita17.

Infine lo studio ZOOM, uno studio randomizzato che haconfrontato acido zoledronico 4 mg ev ogni 12 settimanecon 4 mg ev ogni 4 settimane in pazienti con ≥ 1 metastasiossea e trattati con acido zoledronico per circa 1 anno. In425 pazienti la percentuale di eventi scheletrici (endpoint pri-mario dello studio) era simile (0,26 versus 0,22 rispettiva-mente)18. •

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CASCO — Vol 2, n. 1, gennaio-marzo 201246

IntroduzioneEsistono in letteratura diverse classificazioni dello straor-

dinariamente eterogeneo gruppo dei “farmaci adiuvanti”.Una definizione ampia di “farmaci adiuvanti” indica tuttiquei farmaci che, pur non essendo antidolorifici in sensostretto, contribuiscono all’efficacia globale del trattamentoanalgesico, e possono esserne individuate tre categorie mag-giori2 (tabella I).

I farmaci del secondo gruppo esplicano la propria azionecontrollando al meglio possibile gli effetti collaterali degli op-pioidi e consentono, quindi, l’utilizzo di dosi più elevate de-gli oppioidi stessi; sono quindi considerati “adiuvanti”, manon “adiuvanti analgesici”. I farmaci del terzo gruppo, invece,incidono indirettamente sul dolore, impattando sulla condi-zione che quel dolore provoca o sulla soglia del dolore.Come esempio paradigmatico, un dolore da frattura pato-logica costale scatenato da colpi di tosse vede ridotta la pro-pria frequenza e intensità grazie ad una ben condotta tera-pia sedativa della tosse. In realtà per certi farmaci adiuvantiuna suddivisione netta non è applicabile, e per un determi-nato impatto analgesico può non essere semplice indivi-duarne le componenti “diretta” e “indiretta” di azione.

Per l’ultimo motivo suddetto, recentemente è stata sug-gerita un’ulteriore categorizzazione, proprio sulle base delfatto che alcuni farmaci presentano più di un’area di azione,mentre per altri l’utilizzo è confinato ad una specifica sin-drome3 (tabella II).

Molti degli “adiuvanti analgesici“ multiuso hanno comeutilizzo prevalente il dolore neuropatico, ma ciò che li di-stingue dai farmaci specifici per quel tipo di dolore è la pos-sibile efficacia anche in altre tipologie algiche.

Adiuvanti analgesiciLa definizione di “adiuvanti analgesici” trae spunto dalla

collocazione all’interno della scala analgesica a tre gradinidell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che vedecome farmaci specificamente antalgici al primo gradino i Far-maci Antinfiammatori Non-Steroidei (FANS) e il paraceta-molo, al secondo gradino gli oppioidi per il dolore lieve-mo-derato (in passato definiti “oppioidi deboli”) e al terzogradino gli oppioidi per il dolore moderato-severo (in passatodefiniti “oppioidi forti”)4.

Un utilizzo corretto della Scala dell’OMS classicamente in-

* Nel numero scorso di questa rivista è stata pubblicata una revisione sulla gestione deldolore neuropatico e sugli “adiuvanti analgesici” utilizzati in quell’ambito1: il presentearticolo si propone a completamento di quello già pubblicato, con un particolareriferimento a quanto è stato di recente riportato nelle Linee Guida dell’AssociazioneItaliana di Oncologia Medica (LG-AIOM), dell’European Society for Medical Oncology(ESMO) e dell’European Association for Palliative Care (EAPC).

Marco Maltoni Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei TumoriMeldola, Forlì-Cesena

Linee guida e pratica clinica

Farmaci adiuvanti nella terapia del dolore da cancro*

Tabella I. Farmaci “adiuvanti” classificati in base al meccanismo d’azione.

Effetto analgesico diretto Azione contrastante gli effetti Effetto analgesico indirettocollaterali degli oppioidi

Antidepressivi Antiemetici Antinfiammatori

Anticonvulsivanti Lassativi Antiedemigeni

Anestetici locali Stimolanti la minzione Antispastici

Corticosteroidi Psicostimolanti Antisecretori

Bisfosfonati Antitussigeni

Inibitori dei recettori NMDA Miorilassanti

Baclofen Ansiolitici

Clonidina Antidepressivi

Antistaminici Antibiotici

Neurolettici Antiacidi

Progestinici

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tesa consente una gestione efficace del dolore da cancro incirca il 90% dei pazienti5.

Elaborazioni successive della Scala antalgica OMS hannoinserito due ulteriori gradini (rotazione dell’oppioide e cam-bio della via, tecniche invasive in casi selezionati)6 (figura 1),ma l’utilizzo concomitante di “adiuvanti analgesici” in cia-scuno dei gradini resta un punto fermo della Scala stessa.Fra l’altro, l’uso degli “adiuvanti analgesici” concorre a di-fendere la Scala da una delle accuse maggiori che le vieneportata, che è quella di essere una risposta al dolore basatasu un solo parametro, rappresentato dall’intensità dello

stesso, senza tenere conto di altri aspetti, quale, ad esem-pio, il meccanismo etiopatogenetico del dolore. Gli “adiu-vanti analgesici”, invece, vengono utilizzati proprio in baseal meccanismo etiopatogenetico del dolore, e in un certosenso rappresentano la componente più “raffinata” dellaScala stessa nella gestione dei “dolori” o delle “componentidolorose” del dolore oncologico.

Considerando gli “oppioidi” i farmaci principali del trat-tamento contro il dolore da cancro, alcuni autori hanno con-siderato “adiuvanti analgesici” anche i farmaci del primogradino (FANS e paracetamolo). Pur ritenendo plausibile an-

| Linee guida e pratica clinica | Farmaci adiuvanti nella terapia del dolore da cancro

Tabella II. Farmaci “adiuvanti analgesici” in base ad ampiezza o specificità del loro utilizzo.

Adiuvanti analgesici Adiuvanti analgesici Analgesici topici Adiuvanti analgesici Adiuvanti analgesici Adiuvanti analgesicimultiuso per il dolore per il dolore osseo per l’occlusione per il dolore

neuropatico intestinale muscoloscheletrico

Antidepressivi Anticonvulsivanti Capsaicina Bisfosfonati Anticolinergici Miorilassanti(triciclici: amitriptilina, (gabapentin, imipramina; duali: pregabalin)duloxetina, venlafaxina)

Corticosteroidi Bloccanti i canali Anestetici locali Radionuclidi Octreotidedel sodio: anestetici locali, antiaritmici, alcuni altri anticonvulsivanti (lidocaina, flecainamide; mexiletina; carbamazepina,lamotrigina, valproato)

Neurolettici NMDA inibitori Antidepressivi Corticosteroidi Corticosteroidi(ketamina) triciclici

Agonisti Miscellanea FANSalfa2.adrenergici (cannabinoidi, baclofene,(clonidina) calcitonina, farmaci usati

nel dolore mantenuto dal simpatico, anticolinesterasici)

FANS/paracetamolo

5%

10-20%

75-85%

“Rotazione”degli oppioidi

± adiuvanti

Blocchi neuroliticiPompa intratecale

IV, SC PCA

Oppioidi forti ±FANS/paracetamolo

Oppioidi deboli ±FANS/paracetamolo

Figura 1. La Scala analgesica OMS nel XXI secolo.

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| Linee guida e pratica clinica | Farmaci adiuvanti nella terapia del dolore da cancro

che tale approccio, in questo articolo ci si attiene alla visioneconsolidata, che considera i FANS e il paracetamolo allastessa stregua degli oppioidi, facenti cioè parte dell’ap-proccio analgesico primario, e non quindi come “adiuvantianalgesici”6.

Nell’affronto del dolore oncologico, va considerato chegli “adiuvanti analgesici”, come gruppo, sono certamenteanalgesici meno affidabili degli oppioidi: più bassa percen-tuale di pazienti responsivi, NNT e NNH significativamentepiù ravvicinati, inizio dell’effetto antalgico più lento1,3. Moltidei dati raccolti sull’utilizzo degli “adiuvanti analgesici” sonoda studi aneddotici o di ridotta qualità o su popolazioni nononcologiche.

Linee guida AIOMLe raccomandazioni prodotte su questi temi nelle LG-

AIOM7 sul dolore da cancro riguardano tre delle tipologie difarmaci “adiuvanti analgesici” in diverse situazioni cliniche.

Il primo quesito al quale le LG-AIOM7 hanno cercato didare risposta è stato se in un paziente con dolore da can-cro e componente neuropatica fosse raccomandato untrattamento con soli farmaci adiuvanti. Meccanismi neuro-patici di dolore sono stati riportati presenti in circa il 40%8

dei pazienti con dolore da cancro. Il gruppo estensore delleLG-AIOM ha concluso che non vi sono evidenze tali da sug-gerire un trattamento con soli adiuvanti analgesici, e cheanzi la raccomandazione negativa debole è quella di non ef-fettuare tale trattamento. Senza entrare nel dettaglio dellametodologia GRADE, la raccomandazione negativa debolenon esclude che, in alcuni casi particolari, l’approccio in que-stione, se pure di norma sconsigliato, possa essere utilizzato,per esempio in presenza di un dolore specificamente neu-ropatico, con caratteristiche, per così dire, analoghe a quelledi un dolore neuropatico non oncologico.

Sullo stesso argomento, specularmente alla prima rac-comandazione riportata, un secondo quesito riportato nelleLG-AIOM pone il problema se sia raccomandabile, in casodi scarsa risposta antalgica ad un trattamento con oppioidi,la combinazione con un adiuvante, scelto fra quelli che ab-biano dimostrato efficacia nel trattamento del dolore neu-ropatico da cancro (gabapentin) o non da cancro (oltre algabapentin, anche pregabalin, antidepressivi triciclici [ami-triptilina, imipramina] e duali [duloxetina, venlafaxina]).

La raccomandazione del gruppo, sulla base di un’evi-denza moderata, è positiva debole sul fatto che si debbaprendere in considerazione, di norma, l’aggiunta dell’adiu-vante. Secondo il gruppo, l’evidenza moderata nel dolore dacancro riguarda solo il gabapentin, mentre per tutti gli altrifarmaci le evidenze sono di qualità inferiore. Pertanto, lastrategia suggerita è quella di ottimizzare una terapia conoppioidi fino all’ottenimento del miglior risultato, e solo inpresenza di analgesia insoddisfacente nonostante un au-mento della dose di oppioidi fino a presenza effetti colla-terali dose-limitante, aggiungere l’adiuvante analgesico.Tale strategia pare utilizzata nella pratica clinica (forse anchecon un eccesso di prudenza) poiché è stato riportato che an-tidepressivi e anticonvulsivanti siano utilizzati, rispettiva-

mente, solo nel 14% e 17% dei pazienti con cancro e do-lore con componente neuropatica9.

Linee guida EAPC e ESMOAnalogo atteggiamento è quello suggerito dalle recenti

LG-EAPC, in cui si raccomanda che gli adiuvanti analgesiciper il dolore neuropatico da cancro vadano utilizzati in ag-giunta agli oppioidi10.

Entrambe le linee guida si basano principalmente sullarecente revisione sistematica di letteratura11 che indagaval’efficacia di antidepressivi ed antiepilettici aggiunti agli op-pioidi in comparazione agli oppioidi da soli, per la gestionedel dolore causato direttamente dal tumore. Erano identifi-cati 8 studi, 5 dei quali randomizzati, per un totale di 465pazienti. L’inserimento degli adiuvanti migliorava il con-trollo del dolore entro 4-8 giorni dall’aggiunta agli oppioidi;fra tutti i farmaci, l’evidenza maggiore era a carico del ga-bapentin. Comunque, era improbabile una riduzione del do-lore maggiore di 1 in una scala numerica da 0 a 10, men-tre era probabile un incremento significativo in effetticollaterali. L’efficacia dei farmaci indagati era valutata comenotevolmente inferiore rispetto a quella degli stessi farmaciquando utilizzati nel dolore neuropatico non oncologico.Questo riscontro pare confermare la posizione di coloro cheritengono inadeguato il “trasferimento” di efficacia dei far-maci da un setting di pazienti in cui essa è stata dimostrata(pazienti non oncologici) ad un altro setting.

La LG-EAPC raccomanda in modo forte l’inizio di terapiacon un oppioide e l’aggiunta prudente e titolata di un adiu-vante (gabapentin o, in alternativa, amitriptilina) in caso dirisposta insoddisfacente al solo oppioide. La combinazionedei due farmaci è a rischio di maggiore frequenza di effetticollaterali centrali, per cui potrebbe essere appropriata la ri-duzione del dosaggio di oppioide, e comunque è necessa-rio un attento monitoraggio dell’indice terapeutico. Un ef-fetto positivo dovrebbe essere atteso entro una settimana,trascorsa la quale andrebbe valutato un incremento del do-saggio dell’adiuvante o, se in presenza di effetti collaterali,uno switch dello stesso.

Le LG-ESMO12 in questo ambito sono contestualizzate inun paragrafo intitolato “Trattamento del dolore resistente eneuropatico”, esplicitando in questo modo che il dolore concomponente neuropatica fa parte dei dolori oncologici piùdifficili da trattare. Anche in queste linee guida viene sot-tolineata la scarsità di dati nel dolore neuropatico del pa-ziente oncologico. La raccomandazione finale stressa la op-portunità di prescrivere un antidepressivo triciclico o unanticonvulsivante, che dal testo del paragrafo discorsivo sievince in associazione all’oppioide. Peculiarità della racco-mandazione ESMO è che con la stessa forza (IA) si racco-manda il monitoraggio degli effetti collaterali.

CorticosteroidiUn quesito delle LG-AIOM riguardava l’utilizzo dei cor-

ticosteroidi, in particolare se fosse raccomandabile il loro uti-lizzo per ottenere un maggiore controllo del dolore. Il loromeccanismo d’azione, in teoria, ne giustificherebbe l’utilizzo

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in molteplici situazioni: riduzione della massa tumorale (nelleneoplasie steroido-responsive) o dell’edema peritumoralecon riduzione della compressione delle strutture sensibili, ri-duzione della concentrazione tessutale e perirecettoriale disostanze infiammatorie algogene, riduzione di attività elet-triche aberranti. La conoscenza dei meccanismi d’azione èopportuna in quanto la raccomandazione delle LG-AIOM èquella di non utilizzare i corticosteroidi a scopo antalgico diroutine, ma solo in quelle situazioni in cui ci si attenda uneffetto antalgico secondario proprio per l’azione antiflogi-stica e antiedemigena7.

BisfosfonatiNel trattamento del dolore osseo indotto dal cancro (il

Cancer Induced Bone Pain degli autori anglosassoni) per iBone-Modifying Agents, in particolare i bisfosfonati, le evi-denze di letteratura, sintetizzate anche nelle recenti LG-ASCO13 mostrano un basso rapporto fra azione analgesica(1 su 6 trattati) ed effetti collaterali (1 su 11), tale da nonconsentirne la raccomandazione come utilizzo in terapiaanalgesica di prima linea. Le LG-AIOM, pertanto, ne racco-mandano l’utilizzo a scopo antalgico non quali unici farmaciantidolorifici, ma come farmaci “adiuvanti antalgici”, all’in-terno della strategia terapeutica antalgica della Scala anal-gesica OMS7.

Anche nelle LG-ESMO12 si suggerisce (IIB) che i bisfo-sfonati non devono essere considerati come alternativi altrattamento antalgico primario, ma fare parte di un ap-proccio terapeutico complessivo al paziente con metastasiossee, con la sistematica messa in atto delle opportune mi-sure preventive dentali.

ConclusioniIn sintesi si può affermare che negli ultimi anni si sta ac-

crescendo il corpo di evidenze scientifiche concernenti gliadiuvanti analgesici nel dolore cronico oncologico, e l’uti-lizzo sintetico di tali evidenze con linee guida e raccoman-dazioni ad opera delle diverse società scientifiche. Compitiineludibili del clinico restano: la formazione e la conoscenzadi tali evidenze e delle linee guida, la valutazione dell’ap-propriatezza della loro applicabilità o non applicabilità nelsingolo paziente, un atteggiamento di disponibilità e di fat-tiva apertura ad un approccio multiprofessionale e multidi-sciplinare spesso indispensabile per la gestione ottimale deipazienti oncologici in fase avanzata di malattia14,15. •

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Trattamento medico del carcinoma renalemetastaticoIl carcinoma renale rappresenta il 2-3% delle neoplasie

solide dell’adulto posizionandosi al sesto posto tra le neo-plasie del sesso maschile e all’ottavo posto tra quelle delsesso femminile, in particolare i casi attesi negli USA nelsesso maschile sarebbero passati a 35.370 nel 2010 a37.120 nel 2011 facendo balzare questa neoplasia dal set-timo al sesto posto davanti i linfomi non-Hodgkin1,2.

Nonostante la bassa incidenza, questa neoplasia ha as-sunto un ruolo importante negli ultimi anni in quanto nu-merosi trial clinici hanno portato all’approvazione di unamoltitudine di farmaci a bersaglio molecolare con effetti po-sitivi sull’aumento della sopravvivenza e sulle possibilità dicontrollo della malattia. I trattamenti ad oggi disponibili pos-sono essere divisi in base al meccanismo d’azione in inibi-tori dell’angiogenesi ed in inibitori del complesso mTOR. Delprimo gruppo fanno parte sunitinib, sorafenib, bevacizu-mab, pazopanib, axitinib e tivozanib; il secondo gruppo èinvece formato da temsirolimus ed everolimus.

La scelta del trattamento di prima linea nel carcinoma re-nale metastatico (mRCC) non può prescindere dalla defini-zione della categoria prognostica del paziente. Negli ultimianni diverse scale sono state proposte ma quelle più utiliz-zate sono quella del Memorial Sloan Kettering Cancer Cen-tre (MSKCC) proposta nel 1999 e più volte modificata equella recentemente proposta da Heng nel 20093,4. Tuttequeste prendono in considerazione diversi fattori tra cui: lapresenza di metastasi alla diagnosi ed il numero di organicoinvolti, le alterazioni bioumorali come emocromo, LDH,calcemia e l’eventuale trattamento della malattia primaria.La definizione del numero di fattori presenti permette la clas-sificazione dei pazienti in tre gruppi: buona, intermedia ocattiva prognosi.

Nei pazienti a prognosi buona o intermedia le maggiorilinee guida internazionali suggeriscono l’inizio della terapiacon un inibitore dell’angiogenesi e tra questi il sunitinib e lar-gamente considerato lo “standard of care”. Nei pazienti aprognosi cattiva uno studio clinico randomizzato di fase IIIha dimostrato il vantaggio del temsirolimus rispetto all’in-

terferon (IFN) divenendo, di fatto, lo standard per questotipo di pazienti (tabella I)5-7.

Diversa è la scelta del trattamento di seconda linea perla quale esistono evidenze che orientano sia verso la sceltadi un inibitore di mTOR come l’everolimus sia verso la sceltadi un secondo inibitore dell’angiogenesi8. Di fatto in questocaso la scelta è lasciata al clinico che deve tenere conto dellecondizioni generali del paziente, della risposta e delle tossi-cità riportate nella precedente linea. In considerazione diquesto, il management degli effetti collaterali legati al trat-tamento è un fattore fondamentale nella gestione del pa-ziente con mRCC.

In questa revisione verranno considerati gli effetti collate-rali di classe legati ai trattamenti per il mRCC tralasciandoquelle tossicità riscontrabili anche in altre forme di tratta-mento come l’astenia, la fatigue, l’anoressia, la nausea, il vo-mito, ecc.

Effetti collaterali legati al trattamento

Sindrome mano-piede (Hand-Foot Syndrome, HFS)La sindrome mano-piede è un disturbo caratterizzato da

eritema, edema, arrossamento e desquamazione delle manie dei piedi che può essere accompagnato dalla presenza diflitteni ed ipercheratosi. Gli studi registrativi sugli inibitori de-l’angiogenesi nel mRCC hanno riportato come l’insorgenzadi tale disturbo sia dipendente dal meccanismo d’azione delfarmaco: nei pazienti trattati con inibitori delle tirosino kinasil’incidenza è maggiore del 40% con una probabilità di

Enrico Cortesi, Denise Pellegrino, Valentina Magri, Claudia Mosillo, Alessandra Anna Prete, Roberto IacovelliUniversità Sapienza di Roma Dipartimento di Scienze Radiologiche,Oncologiche ed Anatomo-Patologiche Unità di Oncologia Medica B

Terapia di supporto nei tumori renali

Tumori e terapie di supporto

Tabella I. Livelli di evidenza ed indicazioni delle maggiori societàscientifiche internazionali per il trattamento di prima linea del mRCC.

Prognosi Farmaco EAU NCCN ESMOsecondo (LE) (LE) (LE)MSKCC

Buona o Sunitinib 1a 1 1aintermedia

Bevacizumab 1b 1 1a+ IFNα

Pazopanib 1a 1 (1)

Sorafenib 2*

Citokine 1a* 1* 1*

Cattiva Temsirolimus 1 1 1

LE = livello di evidenza; * = solo per pazienti selezionati.

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| Tumori e terapie di supporto | Terapia di supporto nei tumori renali

eventi di grado 3-4 del 10%9-11. Al contrario, tale tossicitànon è riportata né per il bevacizumab, un anticorpo mono-clonale contro il fattore di crescita vascolare (VEGF)12, né pergli inibitori di mTOR13,14. Uno studio osservazionale ha pro-spettivamente valutato l’insorgenza di HFS in 85 pazienti conmRCC trattati con sorafenib o placebo. Il 60% dei pazientitrattati con sorafenib riportava HFS e nel 63% vi era ancheun’eruzione a livello del viso e dello cuoio capelluto15.

Il tipo di alterazioni cutanee può essere di diversa naturaa seconda del farmaco utilizzato: il sorafenib è caratterizzatoda placche iper-cheratosiche simili a calli localizzate neipunti di pressione che possono essere trattate con creme abase di urea, diversamente il sunitinib è caratterizzato da de-squamazione cutanea16.

È ormai considerata buona norma suggerire ai pazientidi rimuovere eventuali aree ipercheratosiche o calli primadell’inizio della terapia. Alcuni autori suggeriscono l’utilizzodi creme idrocortisoniche per i gradi G1-G2 mentre l’insor-genza di tossicità severe può richiedere anche l’utilizzo diprednisone per via orale16. Naturalmente in caso di tossicitàG3 il trattamento deve essere sospeso e può essere ripresoallo stesso dosaggio dopo il primo evento, mentre deve es-sere ridotto come indicato dalla scheda tecnica del far-maco alla comparsa della successiva tossicità cutanea digrado 3. Nei gradi 1-2 il trattamento deve essere proseguitoper quanto possibile mantenendo il dosaggio iniziale16.

DiarreaLa tossicità gastrointestinale ed in particolare la diarrea è

tipica degli inibitori delle tirosino kinasi. Questa è stata ripor-tata nel 40-60% dei pazienti trattati con sunitinib sorafenibe pazopanib mentre è nettamente inferiore nei pazienti trat-tati con bevacizumab ed everolimus: circa 20% dei casi9-14.L’importanza di questa tossicità è legata all’impatto che puòavere sulla vita quotidiana dei pazienti oltre al fatto che la suagestione può necessitare dell’interruzione stessa del tratta-mento. Il trattamento della diarrea è puramente sintomaticoe richiede l’utilizzo di loperamide a dosi che vanno dai 2 ai 16mg al giorno. Il corretto apporto idro-salino deve essere co-munque salvaguardato in caso di diarrea in questi pazienti.

Tossicità cardiovascolareL’effetto cardiovascolare più rappresentativo dei farmaci

antiangiogenici è l’ipertensione. Questa è stata riportata siacon l’utilizzo del bevacizumab (26%) che con l’utilizzo d’ini-bitori delle tirosino kinasi (30-40%)9-12. Una serie di metana-lisi che hanno raccolto i dati degli studi di fase 2, 3 e 4 ri-portano un’incidenza di tossicità di grado elevato nel 10% deicasi17-19.

Il management dell’ipertensione è quindi determinante perla corretta prosecuzione della terapia e, seppure siano statecreate delle linee guida specifiche20, il trattamento di questi pa-zienti ricalca quello della popolazione generale. Tuttavia, con-siderando il tipo di pazienti, l’obiettivo di evitare danni alungo termine legato ad uno scarso controllo pressorio risultameno stringente rispetto alla necessità di evitare eventi acutie potenzialmente pericolosi per la vita del paziente. Il valore

target di pressione arteriosa dovrebbe essere al di sotto di140/90 mmHg e pazienti con fattori di rischio come pressionesistolica > 180 mmHg, diastolica > 160 mmHg, diabete mel-lito, sindrome metabolica o pregresse patologie cardiache orenali dovrebbero essere riferiti allo specialista. In questi pa-zienti il trattamento iniziale dovrebbe prevedere l’utilizzo didiuretici tiazidici o beta bloccanti se il paziente ha meno di 60anni d’età. In alternativa possono essere considerati anche gliace inibitori (ad esclusione dei soggetti di razza nera) e i cal-cio-antagonisti20. Quando il controllo con la monoterapianon è ottimale può essere presa in considerazione la terapiad’associazione, e il paziente andrebbe indirizzato allo specia-lista. In caso di evento avverso serio legato all’ipertensione, sidovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sospen-dere la terapia e di scegliere un trattamento alternativo.

La riduzione della frazione d’eiezione cardiaca (FEV) èun’altra tossicità associata agli inibitori delle tirosino kinasi.Una recente metanalisi ha evidenziato come l’incidenza siadel 15% per una riduzione della FEV di ogni grado e del 2,6%per i gradi 3 e 4 con un rischio relativo di 1,8 e 3,3 rispetti-vamente21. Sebbene non vi sia un generale consenso su cosafare per diagnosticare precocemente questa alterazione, al-cuni propongono l’esecuzione di un ecocardiogramma albasale e dopo ogni ciclo per i primi quattro cicli di terapia16.Ovviamente la necessità di un follow-up cosi stringente deveessere valutata anche in base alla storia clinica del pazientee tenendo in considerazione la reversibilità di tale tossicitàdopo la sospensione del farmaco.

Tossicità polmonarePer tossicità polmonare s’intende l’insorgenza di polmo-

niti non infettive (NIP) correlate con la somministrazione di ini-bitori di mTOR. Una recente metanalisi pubblicata dal nostrogruppo ha evidenziato come l’incidenza di NIP di tutti i gradisia del 10,4% e quella di grado 3-4 del 2,4% con un rischiorelativo di 31 e 8,8 volte rispettivamente22. Il meccanismoeziopatogenetico di tale tossicità non è attualmente cono-sciuto anche se un meccanismo d’ipersensibilità di tipo ritar-dato dipendente dai linfociti T è stato chiamato in causa23.Allo stesso modo non sono conosciuti fattori predisponenti,per cui l’unico elemento che può limitare l’insorgenza di taletossicità è il precoce riconoscimento da parte del clinico di sin-tomi respiratori in un paziente che ha recentemente iniziatoun trattamento con everolimus o temsirolimus.

La diagnosi differenziale tra NIP e polmonite di origine in-fettiva è un fattore decisivo in quanto le infezioni possono es-sere un causa frequente di infiltrati polmonari. Esami coltu-rali e un lavaggio bronco alveolare (BAL) possono essere utiliper escludere un processo infettivo24. Attualmente non esisteun trattamento specifico, e i provvedimenti consigliati vannodalla sospensione del farmaco, alla somministrazione di ste-roidi fino alla necessità di ricovero in terapia intensiva nei casipiù gravi25.

Tossicità endocrina e metabolicaIl trattamento del mRCC ha portato anche alla comparsa

di tossicità del tutto nuove per i farmaci antitumorali come

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52 CASCO — Vol 2, n. 2, aprile-giugno 2012

| Tumori e terapie di supporto | Terapia di supporto nei tumori renali

quelle a livello endocrinologico e metabolico. Queste com-prendono l’ipotiroidismo tipico degli inibitori delle tirosinokinasi e le alterazioni del metabolismo lipidico e glucidico,tipiche degli inibitori di mTOR.

L’ipotiroidismo può essere distinto in “subclinico”:quando un’elevazione del TSH non si accompagna ad alte-razione degli ormoni tiroidei e in “clinico” quando si verificaanche una diminuzione degli ormoni tiroidei. L’ipotiroidismoè stato riportato nel 14% dei pazienti trattati con sunitinib10,in meno del 10% dei pazienti trattati con pazopanib12,mentre non è stato riportato nello studio registrativo del so-rafenib9. Un’analisi successiva degli studi di fase III e IV hariportato un’incidenza d’ipotiroidismo in circa il 68% di pa-zienti trattati con sorafenib, di cui il 6% ha necessitato di te-rapia sostitutiva26.

La diagnosi clinica d’ipotiroidismo non è agevole poichéil sintomo più frequente, l’astenia, non è distinguibile dal-l’astenia data dal trattamento. Tuttavia l’esecuzione di esamidi laboratori può facilitare la diagnosi ed orientare il tratta-mento che dovrebbe essere instaurato nei pazienti sinto-matici e con valori di TSH > 10MLU/l e naturalmente nei pa-zienti con ipotiroidismo clinico16. Di estrema importanza èil corretto timing della misurazione della funzionalità tiroidea:nei pazienti trattati con sunitinib questa dovrebbe essere mi-surata al giorno 1 e al giorno 28 di ogni ciclo in modo davedere l’effetto del farmaco e l’eventuale risoluzione dopoil periodo di sospensione. Negli altri trattamenti questa do-vrebbe essere somministrata ogni 28 giorni16.

Le alterazioni metaboliche maggiormente osservate neipazienti in trattamento per mRCC sono: iperglicemia, iper-trigliceridemia, ipercolesterolemia. Queste sono state ripor-tate in corso di trattamento con everolimus e temsirolimusma anche nei pazienti trattati con pazopanib. Circa il 50%dei pazienti trattati con temsirolimus e il 20% di quelli trat-tati con everolimus hanno avuto un aumento della glicemiacon una percentuale di eventi avversi di grado 3-4 del12%13,14. L’ipercolesterolemia e l’iperlipemia sono state ri-portate nel 4% e 14% dei pazienti trattati con temsirolimuse nel 76% e 71% dei pazienti trattati con everolimus, men-tre gli eventi avversi di grado serio sono stati in generale in-feriori al 5% per entrambi i farmaci13,14.

In accordo con le maggiori linea guida, il diabete do-vrebbe essere gestito con la dieta e la modificazione dellostile di vita27. Nei pazienti che necessitano di trattamentomedico la scelta del farmaco deve essere effettuata te-nendo in considerazione le controindicazioni che questipossono avere nei pazienti affetti da mRCC. Le sulfanilureee le biguanidi sono controindicate in caso di grave com-promissione epatica, mentre le biguanidi, gli inibitori dellealfa-glicosidasi nel caso di compromissione polmonare. Iltrattamento dovrebbe essere iniziato con un farmaco sen-sibilizzante all’insulina come la metformina o un inibitoredell’alfa glicosidasi, mentre le sulfaniluree possono essereaggiunte in caso di scarso controllo glicemico. L’inizio deltrattamento insulinico dovrebbe essere lasciato allo specia-lista. I valori target di glicemia sono di 110 mg/dl a digiunoe di 140 mg/dl dopo il pasto16.

La valutazione del profilo lipidico dovrebbe essere inclusanella valutazione iniziale del paziente candidato a ricevere unmTOR inibitore. Pazienti con valori iniziali al di sopra dellanorma dovrebbero ricevere un trattamento specifico constatine in caso d’ipercolesterolemia e fibrati in caso d’iper-trigliceridemia, ed essere rivalutati ogni 6 settimane. Natu-ralmente la riduzione di cibi ad alto contenuto lipidico e l’in-cremento dell’attività fisica, in accordo alle condizionicliniche, devono essere suggeriti. Al momento le schede tec-niche non forniscono indicazioni precise circa la riduzione didose del farmaco o la sua sospensione in caso di tossicitàmetabolica16. •

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| Tumori e terapie di supporto | Terapia di supporto nei tumori renali

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Nell’editoriale di apertura del n.1/2012 di CASCO, abbiamosollevato il problema di come le linee guida di trattamento

antiemetico, predisposte dalle più importanti società scientifi-che (ASCO, MASCC+ESMO), presentino discrepanze in piùpunti, malgrado diversi componenti di un panel facessero parteanche dell’altro. Senza dubbio, ciò è dovuto anche alla scarsaqualità dei lavori pubblicati che lascia aperti ampi spazi di sog-gettività nella valutazione e nell’interpretazione dei risultati.

Di recente, siamo stati coinvolti nel tentativo di eseguire unaggiornamento telematico delle linee guida MASCC/ESMO euno degli argomenti di disaccordo è quello di annoverarel’olanzapina, un farmaco antipsicotico, tra le profilassi antie-metiche per i pazienti trattati con chemioterapia di alto e mo-derato/alto potere emetogeno solo sulla base dei risultati del la-voro riportato nella scheda.

In verità, nella storia degli antiemetici, che un farmaco an-tipsicotico (o presunto tale) abbia mostrato una buona attitu-dine a prevenire nausea e vomito indotti da chemioterapia (Che-motherapy Induced Nausea and Vomiting, CINV) è giàaccaduto: lo zofran (ondansetron) prese tale nome perché ini-zialmente fu messo a punto per controllare la sintomatologiaschizoide, dove si dimostrò inefficace; successivamente fu im-piegato come antiemetico, e fu un successo.

Come si noterà, nell’analisi degli endpoint secondari, il ri-sultato eclatante è la capacità dell’olanzapina di controllare lanausea nella fase ritardata (giorni 2-5 dalla somministrazionedella chemioterapia, v. scheda), centrando così l’obiettivo cheoggi è il più importante della profilassi antiemetica. Inoltre, il co-sto dell’olanzapina è decisamente inferiore a quello del tratta-mento antiemetico standard.

I punti di discussione sono due (li anticipiamo affinché il let-tore possa formarsi una sua valutazione scorrendo il testo):a. se la scadente qualità del lavoro oscuri del tutto il suddetto

risultato o se, malgrado tale cattiva qualità, ci sia qualcosadi reale nel potere antiemetico dell’olanzapina;

b. se la cattiva qualità dell’unico studio finora prodotto con-senta comunque di inserire nelle linee guida l’olanzapina trai farmaci antiemetici.

Oltre due decenni di ricerca clinica sui farmaci antiemetici,maturati nell’ambito dell’Italian Group for Antiemetic Rese-arch (IGAR), ci hanno permesso di chiarire alcuni meccanismi

necessari per comprendere meglio il ruolo dei singoli farmaci.In una breve premessa, ne esponiamo due particolarmente at-tinenti lo studio in discussione, fiduciosi che saranno utili an-che per valutare gli altri lavori che vengono attualmente pub-blicati sull’argomento.

Premessa per una ricerca scientifica sugli antiemetici

1. Relazione tra nausea e vomito Sebbene correlati, la nausea (N) e il vomito (V) sono due fe-

nomeni distinti. Infatti, quasi sempre i pazienti che vomitanohanno anche nausea, mentre vomita solo una parte dei pa-zienti che ha nausea.

Partendo da questa osservazione, mediante adeguate ana-lisi statistiche, siamo riusciti a dimostrare che esistono almenodue tipi di nausea, una concomitante al vomito (N1), l’altra in-dipendente da esso (N2)

1. Ora, mentre il processo fisiopatolo-gico che dallo stimolo conduce al vomito è abbastanza ben co-nosciuto, dei meccanismi che inducono la nausea nonassociata al vomito si conosce ben poco. Inoltre, è verosimileche N2 sia in realtà una pluralità di tipi di nausea diversi: il sin-tomo è lo stesso, ma vi possono essere differenti percorsi checonducono da vari stimoli alla nausea.

Da tale premessa, è subito evidente che l’effetto di un trat-tamento antiemetico sulla nausea può essere mediato dal vo-mito. In altre parole, la significativamente maggiore efficaciasulla nausea di una nuova terapia antiemetica, rispetto a quellastandard, può essere unicamente dovuta alla sua maggiore ca-pacità di controllare il vomito (e, quindi, la nausea ad esso con-comitante), ma che non abbia alcun effetto sulla nausea indi-pendente dal vomito. È questo il caso degli antagonisti deirecettori 5-HT3 (5-HT3 r.a.) in confronto alla metoclopramide(entrambi aggiunti al desametasone): il loro maggiore effettosulla nausea è semplicemente imputabile alla loro straordina-ria capacità di prevenire il vomito (e quindi la nausea ad essoassociata), mentre non sembrano avere un grande effetto su-gli altri tipi di nausea.

Sotto un profilo clinico tutto ciò ha un’importante conse-guenza: in ogni ricerca sui nuovi agenti antiemetici, andrebbeindividuato esattamente il loro ruolo, in particolare la loro ca-pacità di controllare la nausea indipendente dal vomito. Infatti,se il nuovo farmaco è più efficace dello standard nel controllodel vomito, ma non di N2, nella combinazione antiemetica an-drebbe introdotto un trattamento che specificamente abbia at-titudine a controllare la nausea indipendente dal vomito; se taletrattamento non esiste, va fatto ogni sforzo per metterlo apunto.

Casi clinici

Enzo BallatoriDocente di Statistica Medica,Facoltà di Medicina e ChirurgiaUniversità di L’Aquila

Fausto RoilaSC di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni

La deriva della ricerca sugli antiemetici

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Queste considerazioni assumono grande rilevanzaquando si pensi che oggi il vomito è abbastanza ben con-trollato, mentre è la nausea ad avere il maggiore impattosulla qualità di vita del paziente, soprattutto se perdura neltempo: più che la severità della nausea, ad impattare nega-tivamente sulla qualità di vita del paziente è la sua durata2.Eppure, tale dimensione della nausea non viene per nullaconsiderata (come nel lavoro riportato nella scheda) o vienevalutata in modo assai poco accurato.

2. Effetto di trascinamento della risposta nella fase acuta sull’emesi ritardataIl vomito ritardato, ossia quello che interviene dopo la

24a ora dalla somministrazione della chemioterapia, non esi-ste nel modello animale. Come conseguenza, l’emesi (nau-sea e/o vomito) ritardata (osservabile nell’uomo) ha unmeccanismo fisiopatologico diverso da quello dell’emesiacuta, ossia da quella riscontrabile entro il primo giornodalla somministrazione della chemioterapia. Questa è la ra-gione principale per cui, in tutte le linee guida di terapia an-tiemetica, l’emesi ritardata viene tenuta distinta da quellaacuta.

Studiando i fattori prognostici della nausea e del vomitoritardati (giorni 2-5, oppure giorni 2-8, dalla somministra-zione della chemioterapia), ci si rese subito conto che il piùimportante tra loro è la protezione dalla nausea e dal vomitoacuti, rispettivamente3. In altre parole, la protezione dallanausea ritardata fu trovata assai superiore nei pazienti pro-tetti dalla nausea acuta rispetto a quelli che, invece, ne ave-vano sofferto. Analogamente, la protezione dal vomito ri-tardato fu notevolmente superiore tra i pazienti che nonvomitarono nelle prime 24 ore dalla chemioterapia che tragli altri.

Dal punto di vista della ricerca clinica ciò comporta che,per studiare l’effetto di un nuovo trattamento antiemeticosull’emesi ritardata, è necessario che i pazienti ricevano lastessa profilassi dell’emesi acuta, altrimenti la sua maggioreefficacia sull’emesi ritardata potrebbe essere imputabile allamaggiore protezione ottenuta nella fase acuta.

Questa ovvia raccomandazione che compare nelle lineeguida per la ricerca sugli antiemetici4, messe a punto durantela prima Consensus Conference (Perugia, 1997) ed approvatein seduta plenaria, fu più volte disattesa, come nel caso de-gli studi sull’aprepitant, per cui l’effetto di aprepitant sull’emesiacuta è eclatante, mentre quello sull’emesi ritardata resta an-cora una zona grigia della ricerca sui farmaci antiemetici.

Come corollario, se la profilassi dell’emesi acuta ha datoun diverso risultato per le terapie a confronto, è sempre ne-cessario analizzare se la loro efficacia differenziale nella faseritardata si conserva aggiustando per la protezione riscon-trata nell’emesi acuta. Nel caso che, aggiustando per l’emesiacuta, il nuovo farmaco non mostri più una maggiore effi-cacia sull’emesi ritardata, si può concludere che l’iniziale si-gnificatività della differenza di efficacia contro l’emesi ritar-data era puramente illusoria, in quanto dovuta alla maggioreefficacia contro l’emesi acuta che trascina i suoi effetti nellafase ritardata.

Il ruolo dell’olanzapinaIl lavoro riassunto nella scheda può essere visto come un

paradigma della scadente qualità dell’attuale ricerca clinicasui trattamenti antiemetici. In pratica, contiene quasi tuttoquello che non dovrebbe essere fatto in uno studio sugli an-tiemetici.

Elenchiamo i problemi da cui è affetto, avvertendo chenon sono esposti in ordine di gravità, perché la costruzionedi una graduatoria sarebbe assai ardua.

1. L’endpoint principale dello studioCome endpoint principale dello studio è stata scelta la

Risposta Completa (Complete Response, CR) ossia la pro-tezione dal vomito e il mancato ricorso alla terapia antie-metica di salvataggio (rescue) nei giorni 1-5 successivi allasomministrazione della chemioterapia.

La Risposta Completa è un endpoint composto, discussoin forma critica nella rubrica “Statistica per concetti”. In que-sta sede aggiungiamo qualche specifica informazione.

Da quanto esposto nella premessa emerge la comples-sità del campo della ricerca sugli antiemetici: nausea e vo-mito sono correlati, la nausea ed il vomito ritardati dipen-dono dai risultati ottenuti nella fase acuta. Probabilmente adun oncologo che non amava spremersi troppo le meningi oad un dirigente di una casa farmaceutica tendente allaschematizzazione, qualche anno fa è venuto in mente che,in fondo, dal punto di vista della pratica clinica, quello cheimportava era che il nuovo farmaco proteggesse dall’emesiin tutto il periodo in cui questa è massimamente virulenta.Quindi, senza pensarci troppo, ha convinto anche altri chetutta quella complessità di correlazioni era scarsamenteutile e, introducendo la CR, ha risolto il problema con unaberrante pragmatismo.

Se è vero che nausea e vomito sono correlati, se è veroche l’emesi ritardata è prodotta da un meccanismo fisiopa-tologico diverso da quello che induce emesi acuta, se è veroche i dati ottenuti con una ricerca clinica non sono resi di-sponibili ai ricercatori, la soluzione adottata è evidente-mente pessima in quanto non consente più di individuare ilruolo del nuovo farmaco, necessario ai fini della decisioneclinica. In altre parole, in uno studio siffatto non sapremo piùse il nuovo farmaco agisce soprattutto nella fase acuta o inquella ritardata, né, oltre che a prevenire il vomito, abbia an-che un qualche effetto sulla nausea da esso indipendente.

Ma vi è di più. Il mancato ricorso alla terapia di salva-taggio non solo non valuta affatto la intensità e la duratadella nausea, che pertanto potrebbe essere presente anchenei soggetti che non richiedono il rescue, ma soprattutto èlegata ad un elemento di incertezza che la rende del tuttoinaccurata. Infatti, il paziente che ha una nausea forte e pro-lungata nel tempo non sempre è in grado di ottenere un re-scue, in quanto non sempre riesce a contattare il propriomedico o l’oncologo. Quindi, vi possono essere più pa-zienti che non hanno ricevuto la terapia di salvataggio nonperché non ne avessero bisogno, ma per ragioni connesseall’efficienza assistenziale.

Combinando una risposta obiettiva (no vomito), con

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una che dipende anche da circostanze occasionali (il rescue)si può ottenere solo un pasticcio e non la valutazione scien-tifica del valore di un farmaco.

Evitare l’uso di risposte composte era una richiesta con-tenuta nelle linee guida di ricerca sugli antiemetici4, appro-vate dalla Consensus Conference di cui facevano parte an-che quei ricercatori che oggi la usano correntemente.

Non sempre l’industria ha interesse che il ruolo di unnuovo farmaco antiemetico sia rigorosamente individuato,ma accettare la CR come endpoint primario, da parte di unoSteering Committee che è pagato dall’industria, lascia in-travvedere un’abdicazione dai canoni della ricerca scientificaa vantaggio di interessi personali più immanenti. Si noti chenon solo le autorità regolatorie non hanno evidentementeidea di cosa sia la ricerca sugli antiemetici, ma soprattuttoè grave che nessuna voce si sia mai levata da parte dei piùautorevoli ricercatori del settore per condannare questapratica insensata.

2. Effetto di trascinamentoLo studio ha mostrato che la protezione dalla nausea ri-

tardata nel gruppo dell’olanzapina (OPD) è significativa-mente superiore rispetto a quella osservata nel gruppo del-l’aprepitant (APD): 69% vs 38%.

Però, anche la risposta completa nella fase acuta è statatrovata superiore, sebbene non significativamente, nelgruppo OPD (97% vs 87%). Ciò avrebbe dovuto indurre a va-lutare l’effetto sulla nausea ritardata aggiustando per quelloriscontrato nella fase acuta, così da evidenziare che tale dif-ferenza non sia unicamente imputabile alla maggiore effi-cacia dell’olanzapina nella prevenzione della nausea acuta.

Comunque, il risultato, pur sorprendente come livello, èpuramente indicativo sia perché la protezione dalla nauseaè un endpoint secondario (lo studio non è stato progettatoper una sua specifica valutazione), sia in quanto l’efficaciadi un antiemetico nella fase ritardata va sempre valutata te-nendo costante, in entrambi i bracci, la profilassi dell’emesiacuta.

3. Studio openSi tratta di uno studio open label, inammissibile quando

le risposte considerate sono di tipo soft, perché in tal modonon viene controllata la distorsione da informazione. Inparticolare è di tipo soft la nausea, perché la sua valutazioneè su base puramente soggettiva; quindi la risposta fornita dalpaziente potrebbe essere modificata dalla conoscenza deltrattamento che sta ricevendo. Pertanto, tutti i risultatiesposti vanno presi con estrema cautela (si noti che la nau-

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SCHEDA RIEPILOGATIVA

Navari RM, Gray SE, Kerr AC.Olanzapine versus aprepitant for theprevention of chemotherapy-inducednausea and vomiting: a randomizedphase III trial. J Support Oncol 2011;9: 188-95.

Scopo dello studioConfrontare l’efficacia dell’olanzapinarispetto all’aprepitant, entrambicombinati con palonosetron edesametasone, nella prevenzione della nausea e del vomito indotti dachemioterapia (Chemotherapy-Induced Nausea and Vomiting, CINV).

PazientiDi età ≥18 anni, con diagnosiconfermata di cancro, sottoposti perla prima volta alla chemioterapia,destinati a ricevere cisplatino in dose ≥70 mg/m2, o ciclofosfamide ≥600mg/m2, o doxorubicina ≥50 mg/m2,trattati in day hospital in tre centri. Furono esclusi i pazienti con nausea

e/o vomito nelle 24 ore precedenti lasomministrazione della chemioterapia,e che negli ultimi 30 giorni avevanoricevuto un farmaco antipsicotico.

TrattamentiOPD: giorno 1: olanzapina (10 mg os)+ palonosetron (0.25 mg iv) +desametasone (20 mg iv) giorni 2-4: olanzapina (10 mg os al dì)APD: giorno 1: aprepitant (125 mg os)+ palonosetron (0.25 mg iv) +desametasone (12 mg iv)giorni 2-3: aprepitant (80 mg os al dì);giorni 2-4: desametasone (4 mg duevolte al dì).

Procedure di valutazionePer la valutazione della tollerabilitàdifferenziale dei due trattamenti fuusata la scala MDASI (M. D. AndersonSymptom Inventory), che rilevapresenza ed intensità dei più comunieventi avversi dei pazienti con cancro.Dall’inizio della chemioterapia (giorno

1) al giorno 5 i pazienti furonorichiesti di registrare giornalmente inuna diary card il numero di episodi divomito e conati, nonché l’intensitàmassima del livello di nausea su unanalogo visivo lineare (10 cm). Uninfermiere di ricerca telefonò unavolta al giorno per ricordare allapaziente di compilare la diary card eper informarsi su eventuali eventiavversi.

EndpointEndpoint primario: Risposta Completa(Complete Response, CR): no vomitoe no terapia di salvataggio (rescueantiemetic treatment) nel periodo 0-120 ore dalla somministrazionedella chemioterapia Endpoint secondari:a. CR nella fase acuta (giorno 1)b. CR nella fase ritardata (giorni 2-5)c. No nausea nella fase acuta,

in quella ritardata e nell’interoperiodo.

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sea è anche parte integrante della Risposta Completa). A nostro giudizio, è sufficiente il mancato ricorso alla

doppia cecità per considerare inaccettabili i risultati dello stu-dio a causa della loro scarsa affidabilità.

4. La disuguaglianza di BonferroniPer valutare il cambiamento degli score dei sintomi tra i

cicli di chemioterapia e tra i giorni di ciascun ciclo, furonocostruiti 19 modelli di analisi della varianza con misure ri-petute e, per tener conto dei confronti multipli, il livello disignificatività fu abbassato all’1% (v. sez. “Analisi statistica”della scheda). In realtà non è affatto chiaro come gli autoriabbiano proceduto, ma se avessero eseguito un solo con-fronto per modello, il livello di significatività sarebbe dovutoessere ben inferiore all’1% (circa 0.05/19 = 0.0026) per ladisuguaglianza di Bonferroni: la procedura adottata è in-fattibile perché, con un livello di significatività così basso,non si sarebbe potuto evidenziare alcunché, come di fattoè avvenuto.

Ma il punto più delicato è che, avendo scelto come en-dpoint principale la Risposta Completa per l’intero periodo(giorni 1-5), fra i trattamenti non solo è stato confrontatotale risultato, ma sono stati anche eseguiti confronti di CRper il giorno 1 e per i giorni 2-5. Il che vuol dire che sullo

stesso materiale sperimentale sono stati eseguiti 3 con-fronti indipendentemente l’uno dall’altro, per cui, per la di-suguaglianza di Bonferroni, si sarebbe dovuto abbassare illivello di significatività per ciascun confronto a circa l’1,7%per mantenere al 5% il livello di significatività complessivo(v. “Statistica per concetti” nel n. 1 della rivista). Ciò com-porta anche che il calcolo della dimensione del campioneavrebbe dovuto tener conto dell’abbassamento del livello disignificatività.

Anche se si trattasse di un lavoro scientifico, il “così fantutti” non potrebbe certo costituire un’attenuante, ma,semmai, un ulteriore segno del degrado dell’attuale ricercasugli antiemetici.

5. Disegno dello studio e dimensione del campioneNon è stato precisato se lo studio è di superiorità, di non

inferiorità o di equivalenza. Sembrerebbe trattarsi di uno stu-dio di superiorità, ma in tal caso la differenza minima clini-camente rilevante è stata fissata al 15%: l’olanzapina do-vrebbe fornire un risultato in termini di risposta completa neigiorni 1-5 del 15% superiore al trattamento standard (apre-pitant + 5HT3 antagonista + desametasone, APD), il che parefrancamente esagerato.

Inoltre, nel calcolo della dimensione del campione, non

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Dimensione del campioneLo studio fu disegnato per scoprireuna differenza tra i due regimi del15%. Fissato un livello di significativitàdel 5%, 111 pazienti per bracciofurono necessari per scoprire unadifferenza con l’80% di probabilità.Tale numero fu aumentato per tenereconto di un tasso di drop out del10%.

Analisi statisticaOltre alla usuali statistiche descrittiveper presentare le caratteristiche deipazienti, furono calcolate le frequenzedelle tossicità severe e degli eventiavversi. Furono determinate lapercentuale delle CR e quella deipazienti che non soffrirono di nauseanella fase acuta, in quella ritardata enell’intero periodo. Furono altresìcalcolate media, mediana e deviazionestandard della massima intensità diciascun sintomo registrato nellaMDASI. Infine, fu costruito un modello

di analisi della varianza con misureripetute per valutare il cambiamentodegli score dei sintomi tra i cicli dichemioterapia e tra i giorni all’internodi ciascun ciclo. Poiché furono costruiti19 modelli, il livello di significatività fu abbassato all’1% comeaggiustamento per confronti multipli.

RisultatiRandomizzati 247 pazienti, valutati241 (OPD: 121; APD: 120) per almenoun ciclo di chemioterapia. Furonotrattati con cisplatino 50 pazienti nelbraccio OPD e 44 nel braccio APD. Nel primo ciclo di chemioterapia, il 97% dei pazienti nel braccio OPD el’87% in quello APD ottennero una CR nella fase acuta; rispettivamente il 77% e il 73% sia nella fase ritardata(giorni 2-5), sia nell’intero periodo(giorni 1-5). Nessuna di tali differenzefu significativa. Considerando la protezione completadalla nausea, nella fase acuta furono

protetti la stessa percentuale dipazienti nei due bracci (87%), ma nellafase ritardata non ebbe nausea il 69%dei pazienti trattati con olanzapina(braccio OPD), mentre fu il 38% nelbraccio APD. Tali risultati sono uguali aquelli relativi all’intero periodo. Le differenze in termini di protezionecompleta dalla nausea nella faseritardata e nell’intero periodo sonorisultate significative (P < 0,01).Nei cicli successivi al primo, sia la CR,sia la protezione dalla nausea nonfurono significativamente diverse daquelle riscontrate nel primo ciclo, néfurono significativamente diverse persesso, tipo e stadio di malattia (datinon mostrati).I punteggi di severità degli eventiavversi rilevati con l’MDASI non furonosignificativamente diversi tra i duegruppi e decrescono nei ciclisuccessivi. In nessun ciclo fu presenteun sintomo con un grado di tossicità 3 o 4. •

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è precisato il punto di partenza cioè la CR nei giorni 1-5 ot-tenibile con APD, ma con semplici calcoli si ottiene il 72,4%.Quindi, l’assunzione è che olanzapina riesca a portare la CRnei giorni 1-5 dal 72,4 (valutato con APD) all’87,4%.

All’adozione di una soglia troppo alta, a parità di livellodi significatività e di potenza, corrisponde una numerositàtroppo bassa, che, con alta probabilità, rende lo studio in-capace di evidenziare una differenza meno rilevante.

In conclusione, lo studio appare sottodimensionato.

6. Analisi ad interimRisultati preliminari di questo studio relativi ai primi 50

pazienti arruolati sono stati presentati all’ASCO 2010 (J ClinOncol 2010; 28: 641s; abst. 9020).

È stata quindi condotta un’analisi ad interim che rite-niamo non pianificata perché nel testo dell’articolo non sene fa menzione.

Un’analisi ad interim non pianificata rovina completa-mente la metodologia dello studio, perché altera il livello disignificatività prefissato (v. “Statistica per concetti” nel n. 1della rivista), che dovrebbe essere ridotto in conseguenza del-l’analisi ad interim, ma, così facendo, si sarebbe dovuta au-mentare la dimensione dello studio che, altrimenti, risulta an-cora più sottodimensionato. Inoltre, essa potrebbe provocareimbarazzo quando, ad esempio, il nuovo trattamento fossetrovato significativamente superiore a quello standard: in talcaso lo studio dovrebbe essere interrotto per motivi etici, manessuno può assicurare che tale differenza non si riassorbanel prosieguo dell’arruolamento. Sorge allora la domanda:ma perché si fa? La risposta è ovvia: per partecipare ad uncongresso, cioè per soldi o per vanità accademica, non certonell’interesse della scienza o del paziente.

7. La valutazione degli eventi avversiDi norma, in uno studio randomizzato per gruppi paral-

leli, si valuta la sicurezza differenziale dei trattamenti a con-fronto riportando tutti gli eventi avversi che si sono pre-sentati ed eseguendo, per ciascuno di loro, un test statisticoper il confronto tra due frequenze: se si raggiunge la signi-ficatività vuol dire che, per ragioni note o sconosciute, unodei trattamenti sembra mostrare una maggiore tendenza aprodurre quel determinato evento. Sebbene non sia unaprova definitiva che ciò realmente accada (per via della di-suguaglianza di Bonferroni), il trattamento va ulteriormentestudiato per cercare una spiegazione dell’accaduto. Se glieventi avversi sono riportati su una scala di gravità, anchetale dimensione va valutata o dicotomizzando il carattere (ades., considerando solo i gradi 3 e 4 di severità) ovvero con-frontando le intensità medie di gravità, ma solo nei pazienticolpiti da tale evento indesiderato.

Nel lavoro è stata seguita una procedura del tutto ano-mala, apparentemente per ragioni di semplicità. È stata uti-lizzata la scala MDASI (M. D. Anderson Symptom Inventory)che, a detta degli autori, costituisce un “sistema flessibile perla valutazione dei sintomi dei pazienti con cancro” e consi-ste in un core di 13 sintomi, valutati per presenza ed inten-sità, più 6 sintomi che interferiscono nella vita quotidiana.

Tale scala non sembra essere specifica per la ricerca sulla tol-lerabilità di trattamenti antiemetici, né tantomeno di antip-sicotici, in quanto prevede sintomi che con questi farmacinon hanno nulla a che fare (ad es., dolore, fatigue, disturbidel sonno, problemi di memoria, ecc.), mentre mancanoquelli specifici e consolidati (singhiozzo, vampate di calore,mal di testa, diarrea, costipazione, ecc.).

In aggiunta, sono riportate le medie degli score per cia-scun sintomo, considerando anche i pazienti che non nehanno sofferto. In tal modo, poiché l’incidenza di ciascunsintomo di norma è bassa, i valori medi si appiattiscono enon possono che risultare praticamente uguali.

Infine ci si sarebbe atteso un maggior dettaglio su son-nolenza e sedazione spesso indotte dall’olanzapina, cheavrebbero persino potuto indurre il paziente a non compilarela diary card, inducendo nel ricercatore una confusione traomissione ed assenza di nausea e vomito. Può darsi che gliautori abbiano posto in essere un sistema di controlli sullacompilazione della diary card, per cui, su quest’ultimo punto,sospendiamo il giudizio. Però, non ci resta che concludere chela tollerabilità dei trattamenti non è stata studiata.

8. Qualità di vitaUna valutazione dell’impatto differenziale dei tratta-

menti, sulla vita quotidiana del paziente, sarebbe stata par-ticolarmente utile perché si sta confrontando una terapia an-tiemetica standard con un farmaco antipsicotico. Infatti,potrebbe accadere che: a. l’emesi non controllata dai due diversi tipi di farmaci po-

trebbe avere un impatto differente sulla vita del pa-ziente (in tal caso si dovrebbe usare il FLIE, Functional Liv-ing Index – Emesis);

b. l’olanzapina potrebbe avere effetti collaterali che impat-tano maggiormente sulla vita del paziente (per testare que-sta ipotesi si potrebbe scegliere tra QLQ-C30 e FACT-G).

ConclusioniIl sonno della ragione genera mostri. Pur essendo stato in-

trodotto in un diverso contesto, l’aforisma ci sembra appro-priato in quanto l’allontanamento della ricerca clinica dai ca-noni della ricerca scientifica è un fatto preoccupante chelascia intravvedere un futuro in cui i risultati della ricerca per-deranno sempre più di credibilità, lasciando sempre più spa-zio al marketing dell’industria, con gravi conseguenze per laconoscenza e, quindi, per il paziente.

Quando la dimensione della discussione di uno studio su-pera il numero di pagine del lavoro pubblicato, c’è qualcosache non va. La nostra attitudine mentale in difesa della buonaqualità della ricerca clinica da sola non basta a giustificare taleosservazione. Quindi, accertata la scadente qualità del lavoroesaminato, proviamo a rispondere alle due domande iniziali,sperando che collimino con il giudizio del lettore. Cominciamocon la seconda.

A nostro giudizio, per quanto esposto, lo studio non puòessere considerato ai fini della modificazione delle linee guidaesistenti, anche perché costituirebbe un precedente troppopericoloso. Non siamo, però, affatto certi che, malgrado le cri-

| Casi clinici | La deriva della ricerca sugli antiemetici

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CASCO — Vol 2, n. 2, aprile-giugno 2012 59

giunta, un braccio riceverebbe come profilassi della nausearitardata olanzapina e l’altro placebo. Ma, per favore, cer-chiamo di evitare analisi ad interim! •

Bibliografia1. De Angelis V, Ballatori E, Tonato M, et al. On the relationship

between nausea and vomiting in patients undergoingchemotherapy. Support Care Cancer 1994; 2: 171-6.

2. Ballatori E, Roila F, Ruggeri B, et al. The impact of chemotherapy-induced nausea and vomiting on health-related quality of life.Support Care Cancer 2007; 15: 179-85.

3. Roila F, Boschetti E, Tonato M, et al. Predictive factors of delayedemesis in Cisplatin-treated patients and antiemetic activity andtolerability of Metoclopramide or Dexamethasone. Am J ClinOncol (CCT) 1991; 14: 238-42.

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| Casi clinici | La deriva della ricerca sugli antiemetici

tiche sopra esposte, il nostro punto di vista prevalga. La risposta alla prima domanda è più articolata: mal-

grado gli enormi difetti evidenziati, si tratta pur sempre diuno studio randomizzato i cui risultati hanno mostrato unaimpressionante maggiore efficacia di OPD, rispetto alla te-rapia antiemetica standard, nel controllo della nausea ritar-data, cioè proprio sull’endpoint che oggi è considerato il piùimportante nella ricerca sugli antiemetici. D’altro canto,però, le sue limitazioni non consentono di considerare affi-dabili i risultati ottenuti.

In conclusione, l’olanzapina potrebbe avere un ruolonella terapia antiemetica: si tratta di definirlo con una ricercacondotta in modo metodologicamente corretto. Ad esem-pio, visto che il suo ipotetico punto forte è il controllo dellanausea ritardata, si potrebbe programmare uno studio dop-pio cieco, controllato. A tutti i pazienti verrebbe sommini-strata la terapia antiemetica standard (ad es., APD), e, in ag-

ottenuto considerando la qualitàannessa a quelle determinatecondizioni di salute. Tale sintesi puòavvenire con diverse tecniche, di cuila più diffusa è quella basata suiQALY, in cui la sopravvivenza èaggiustata per la qualità di vita,misurata con appositi strumenti.

Ad esempio, poniamo uguale a 1la qualità di vita di un anno trascorsoin buone condizioni di salute, ugualea 0,5 la qualità di un anno trascorsoin poltrona, uguale a 0,2 la qualità diun anno trascorso a letto. Unpaziente che sopravvivesse 3 anni, dicui uno in buone condizioni, uno inpoltrona, uno a letto sarebbe daconsiderare come se sopravvivesse 1x 1 + 0,5 x 1 + 0,2 x 1 = 1,7 anni incondizioni di buona salute.

L’importanza dei QALY è dovutanon solo alla possibilità di valutarepiù compiutamente l’efficacia di unaterapia, ma anche perché ormai èparte integrante dello strumento dicosto-efficacia con cui l’autoritàregolatoria di diversi paesi valuta lasostenibilità, per la spesa sanitaria,dell’adozione di un nuovo farmaco.

Si ha un endpoint compostoquando più endpoint semplici

vengono combinati in un’unicarisposta.

Esempio 1: in cardiologia siconsidera fallimento di una profilassianticoagulante o antiaggregantepiastrinica il presentarsi di un eventoischemico maggiore, quale adesempio, infarto del miocardio, ictusischemico, claudicatio intermittens,angina pectoris. L’utilità nelconsiderare un unico endpoint stanella possibilità di arruolare, in unclinical trial, un minor numero dipazienti, ovvero di attendere unminor tempo per accertare ilfallimento di una terapia. Il razionaleconsiste nel considerare l’efficacia diuna profilassi nella prevenzione di un

qualunque evento ischemico grave dicircolo arterioso su base trombotica.La giustificazione sta nel fatto che seconsiderassimo un solo evento (ades., l’infarto del miocardio)trascureremmo gli altri eventi su baseischemica, ottenendo cosìun’immagine solo parzialedell’efficacia di un determinatotrattamento.

Esempio 2: i QALY (Quality-Adjusted Life Years). Solo due sonogli endpoint di efficacia di unaterapia: durata della sopravvivenza equalità di vita. Tali due endpointpossono essere sintetizzati in unosolo aggiustando la sopravvivenzaper qualcosa di attinente la qualità divita, cioè assegnando a ciascunperiodo di sopravvivenza un peso

Endpoint composti

Statistica per concetti

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CASCO — Vol 2, n. 2, aprile-giugno 201260

Considerare diverse risposte altrattamento è spesso necessario siaper finalità conoscitive, sia per ladecisione clinica, in particolare, per lacostruzione di scenari che sarannopoi utilizzati per attuare la decisioneclinica condivisa con il paziente.Gestire, però, una pluralità di risposteintroduce elementi di notevolecomplessità a causa delle correlazioniesistenti tra gli endpoint semplici che,se da un lato consentono di acquisirenuove conoscenze sugli effetti deltrattamento sulla patologia inoggetto, dall’altro costituiscono unostacolo all’efficacia dellacomunicazione dei risultati. Quandosi vuole privilegiare quest’ultimoaspetto, gli endpoint semplicivengono combinati in un unicoendpoint composto.

Esempio 3: il beneficio clinico.Quando l’effetto di un trattamento èvalutato in relazione alla sua capacitàdi controllo dei sintomi, si puòcostruire un endpoint compostochiamato “beneficio clinico”. Adesempio, per un paziente, ottenereda un trattamento un miglioramentodi oltre il 10% (cut-off), che duri perun certo periodo di tempo, in almeno4 delle seguenti 5 risposte, senza unpeggioramento della quinta, èconsiderato un beneficio clinico:– riduzione del dolore– diminuzione del consumo di

analgesici– aumento ponderale– performance status (PS)– miglioramento dell’appetito

Esempio 4: la risposta alla terapiaantiemetica. Negli ultimi anni,sempre più spesso, l’efficacia deitrattamenti antiemetici è valutataattraverso endpoint composti, quali,ad esempio, la “Risposta completa”(Complete Response, CR): assenza divomito e non uso del trattamento disalvataggio (evidentemente contro lanausea), o la “Protezione completa”(Complete Protection, CP): assenza di

vomito, non uso della terapiaantiemetica di salvataggio, massimaintensità di nausea inferiore a mm 25in un analogo visivo lungo 100 mm.

Mentre nei primi due esempi l’usodi un endpoint composto appare bensupportato da validi motivi, negliultimi due non può dirsi altrettanto.Per quanto concerne il “beneficioclinico”, non sembrano esservi ragioniné di necessità, né di utilità clinica peril suo impiego. Infatti, in sede dipresentazione dei risultati ècomunque necessario mostrare glieffetti del trattamento sui singoliendpoint semplici e sarebbe anchemolto utile studiare le correlazioni tragli effetti. Ma è soprattutto lasoggettività della scelta sia dei singoliendpoint sia del predeterminato cut-off (10%) a destare sospetti circa unsuo uso a prevalenti fini di marketing.

Ad esempio, se è già noto che unachemioterapia A migliora l’appetito eriduce il dolore, proprietà che lachemioterapia B non ha, quasicertamente il beneficio clinico sarà piùfrequente nei pazienti trattati con Ache in quelli che hanno ricevuto B.Sorge, però, il dubbio che, assumendocome endpoint principale il beneficioclinico, la chemioterapia B sia ilcomparator giusto: l’uso di uncorticosteroide potrebbe dare miglioririsultati, in quanto accresce l’appetitoe controlla il dolore meglio di A. Ilbeneficio clinico è un endpointsurrogato più della qualità di vita chedella sopravvivenza che andrebbecomunque valutata.

Inoltre, com’è evidentedall’esempio 3, alcuni endpointrichiedono una valutazione soggettivao del medico (PS) o del paziente(intensità del dolore) cheimporrebbero uno studio in doppiocieco, cosa che è abitualmentedisattesa. Infine, sotto un profilometodologico, possono esservidistorsioni da confondimento, dovutealla correlazione tra gli endpoint. Adesempio, intensità del dolore e PS:

l’efficacia del trattamento sul dolorepotrebbe essere l’unica causa delmiglioramento delle condizionigenerali del paziente; in tal caso, però,risulterebbero significativi entrambi glieffetti, ma quello sul PS potrebbeessere puramente illusorio. Da ultimo,quasi sempre non è definita larilevanza clinica del miglioramento delbeneficio clinico, in quanto esso non èstato mai validato, anche perché levariabili che lo compongono variano inrelazione al contesto in cui vieneutilizzato.

Nella ricerca sugli antiemetici, l’usodi un endpoint composto nasconde ilruolo reale del trattamento, impedendodi indagare su un terreno di notevolerilevanza clinica. Più precisamente, nelcaso che l’endpoint principale sia laRisposta completa (CR) nei primi 5giorni successivi alla somministrazionedella chemioterapia, constatando checon il trattamento A si ottiene una CRsignificativamente superiore a quellaottenuta con B, non sappiamo se A siapiù efficace di B nel prevenire il vomito,o la nausea, o entrambi, né è dato diconoscere se A controlla meglio di Bnausea e/o vomito nella fase acuta o inquella ritardata o in entrambe (v. “Casiclinici”). Non solo tale conoscenza èclinicamente rilevante, perché haimmediate ripercussioni sulla praticaclinica, ma è utile anche ad orientare lefuture ricerche sugli antiemetici. Adesempio, se il trattamento A sidimostrasse più utile di B nel prevenireil vomito, ma non la nausea, sarebbeopportuno somministrarlo incombinazione con un altro farmacoavente una già provata efficacia controla nausea, come potrebbe esserel’olanzapina, se il suo valore nelprevenire la nausea ritardata fosseaccertato con un trialmetodologicamente corretto.

In conclusione, gli endpointcomposti andrebbero evitati, a menoche non vi siano solide ragioni (comenegli esempi 1 e 2) che negiustifichino la scelta.

Enzo Ballatori

| Statistica per concetti | Endpoint composti

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Tossicità da inibitori di mTOR

Gestione eventi avversi

IntroduzioneUna promettente strategia nella terapia antitumorale di di-

versi tipi di neoplasie è rappresentata dall’inibizione di mTOR,acronimo di mammalian target of rapamycin. Si tratta di unaproteina, serina/treonina chinasi intracellulare, identificata neimammiferi come bersaglio dell’antibiotico macrolide rapami-cina. mTOR è essenziale nella patogenesi dei tumori umaniperché svolge un ruolo centrale nella regolazione dei processidi crescita, proliferazione e sopravvivenza delle cellule, princi-palmente attraverso la via di trasduzione del segnale checoinvolge PI3K/AKT, perché è responsabile dei processi dicontrollo della trascrizione e sintesi proteica ed è inoltre coin-volta nel processo metastatico e nell’angiogenesi tumorale1.

Gli inibitori di mTOR sono una classe di farmaci utilizzati ini-zialmente come immunosoppressori per prevenire le reazionidi rigetto nei trapianti d’organo, che hanno poi mostrato dipossedere attività antitumorale grazie all’inibizione della pro-liferazione cellulare e dell’angiogenesi. La rapamicina, o siro-limus, è il prototipo degli inibitori di mTOR, mentre i farmacioggi utilizzati in oncologia sono i suoi derivati, meno tossici epiù efficaci, temsirolimus ed everolimus. Sia temsirolimus cheeverolimus agiscono legandosi ad una proteina intracellulare,FKBP-12, e formando un complesso che inibisce la proteinamTOR2.

Temsirolimus è un farmaco somministrato per via endo-venosa, alla dose settimanale di 25 mg, ed è indicato nel trat-tamento di prima linea di pazienti con carcinoma renale avan-zato a prognosi sfavorevole3. In ematologia è indicato neltrattamento di pazienti adulti con linfomi a cellule mantellarirefrattario e/o recidivante4, alla dose di 175 mg una volta allasettimana per 3 settimane, seguita da dosi settimanali di 75 mg; questo dosaggio più elevato impiegato nel linfoma acellule mantellari comporta anche una maggiore incidenza dieffetti collaterali, tali da richiedere spesso riduzioni di dose.

Everolimus, farmaco biodisponibile per via orale alla dosedi 10 mg al giorno, è indicato per il trattamento di pazienti concarcinoma renale avanzato in progressione durante o dopo te-rapia con agenti anti-VEGFR (sunitinib e/o sorafenib)5,6 e neltrattamento dei pazienti con tumori neuroendocrini (NET)pancreatici in progressione dopo terapia con analoghi della so-matostatina7,8.

In questo articolo verranno descritti in dettaglio i princi-pali effetti collaterali specifici della classe di farmaci inibitoridi mTOR, come everolimus e temsirolimus, con particolare at-tenzione alla loro prevenzione, monitoraggio e trattamento.Occorre sottolineare che, muovendoci in un settore di com-pleta assenza di dati da studi prospettici, controllati, la nostratrattazione sugli aspetti che riguardano la prevenzione e iltrattamento degli eventi avversi da everolimus e temsirolimusha lo scopo di fornire alcuni suggerimenti pratici, per lo piùderivanti da osservazioni ed esperienze cliniche quotidiane2,9.Sarebbe necessario, infatti, condurre degli studi prospetticiper studiare la patogenesi, al momento in gran parte scono-sciuta, i fattori di rischio e il trattamento degli eventi avversispecifici di questa nuova classe di farmaci antitumorali percercare di ridurre il più possibile l’impatto negativo del trat-tamento antitumorale sulla qualità di vita del paziente.

Principali effetti collateraliDagli studi clinici randomizzati che hanno incluso diverse

centinaia di pazienti e dalla sorveglianza postmarketing, sonoemersi alcuni eventi avversi specifici di questa classe di farmaciantitumorali, prevalentemente correlati all’attività immuno-soppressiva e all’inibizione dell’angiogenesi. Complessiva-mente il profilo di tollerabilità di everolimus e di temsirolimusappare accettabile, poiché gli eventi avversi osservati neglistudi clinici sono stati prevalentemente di entità lieve-mode-rata e la percentuale di eventi avversi di grado 3-4 è risultatabassa.

Anche la frequenza con cui nei diversi studi clinici è statonecessario interrompere temporaneamente o sospenderedefinitivamente la terapia o ridurre la dose del farmaco acausa di eventi avversi è stata bassa. Per esempio, nello stu-dio RECORD-16, studio di fase III randomizzato, placebo-controllato, di everolimus in 416 pazienti affetti da carcinomarenale metastastico in progressione dopo almeno una pre-cedente terapia anti-VEGFR, solo il 10% dei pazienti ha in-terrotto in maniera definitiva il trattamento a causa degli ef-fetti collaterali (con polmonite, dispnea, fatigue come causepiù comuni), il 35% ha richiesto un’interruzione temporaneadella terapia per la comparsa di eventi avversi e il 7% almenouna riduzione di dose. Nello studio randomizzato di temsi-rolimus nel trattamento di prima linea dei pazienti con carci-noma renale metastatico a cattiva prognosi3, soltanto il 7%dei pazienti ha interrotto il trattamento definitivamente perla comparsa di eventi avversi, il 66% ha richiesto il rinvio diuna somministrazione e il 23% una riduzione di dose.

Tra gli effetti collaterali caratteristici della classe di farmaciinibitori di mTOR vi sono la mucosite e la stomatite, la diarrea,

Claudia CasertaSonia FatigoniSC Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni

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| Gestione eventi avversi | Tossicità da inibitori di mTOR

CASCO — Vol 2, n. 2, aprile-giugno 201262

il rash cutaneo, le infezioni, la polmonite interstiziale non in-fettiva, le anomalie metaboliche (iperglicemia e dislipidemie).

La frequenza degli effetti collaterali caratteristici di que-sta classe di farmaci è riportata nella tabella I, con le per-centuali riscontrate negli studi di fase III condotti con temsi-rolimus ed everolimus come singoli farmaci.

MucositeL’infiammazione della mucosa del tratto gastroenterico

superiore ed inferiore è un evento avverso molto comune trai paziente in terapia con gli inibitori di mTOR everolimus etemsirolimus. La mucosite può coinvolgere tutto il sistema di-gerente, dalla mucosa del cavo orale alla mucosa intestinale,provocando disagi significativi per il paziente nell’alimenta-zione, a causa della presenza di sintomi quali dolore e/o bru-ciore alla bocca e alla lingua, xerostomia, alterazioni del gu-sto e disturbi dell’alvo come la diarrea.

La stomatite viene definita come un’infiammazione dellamucosa del cavo orale, della superficie interna della labbrae della lingua; può essere associata ad eritema, edema, pre-senza di lesioni ulcerate rotonde simili a lesioni aftose, sen-sazione di bruciore, secchezza e raramente sanguinamento.

È importante, al momento di iniziare la terapia con eve-rolimus o temsirolimus, avvertire il paziente della possibilitàdi sviluppare mucosite del cavo orale, stomatite ed ulcere;educare il paziente ad un’accurata igiene orale impiegandoper esempio sciacqui con bicarbonato di sodio o colluttoriche non contengano alcool, iodio, perossido di idrogeno oderivati del timo; educare il paziente alla prevenzione dieventuali focolai infettivi (ad esempio malattie parodontali egranulomi); consigliare di evitare cibi particolarmente acidi,piccanti o salati. Occorre incoraggiare i pazienti a segnalaretempestivamente all’oncologo la presenza di più di tre lesioninel cavo orale, di lesioni che persistono per più di tre giornio che interferiscono con l’assunzione di cibo e bevande.

Nelle mucositi di grado ≥2 possono essere utili soluzioniper uso topico a base di corticosteroidi o di lidocaina o mor-fina o nei casi più gravi farmaci per uso sistemico (steroidi, co-deina, morfina), oltre che farmaci antiacidi. Gli antifungini,preferibilmente per uso topico, dovrebbero essere riservatisolo al trattamento delle micosi conclamate e non impiegatia scopo profilattico. Farmaci antivirali, come l’aciclovir, an-drebbero utilizzati solo in caso di infezione erpetica confer-mata. Nelle forme più gravi (grado 3) è consigliato conside-

Tabella I. Frequenza degli effetti collaterali di temsirolimus ed everolimus.

Tossicità Temsirolimus Everolimus

Studio Hudes3 Studio Hess4 Studio Motzer6 Studio Yao7

NEJM JCO Cancer NEJM 2007 2009 2010 2011

Stomatitea 20%(1% G3-G4)

35%(6% G3-G4)

44%(<5% G3-G4)

64%(7% G3-G4)

Diarrea 27%(1% G3-G4)

44%(7% G3-G4)

30%(1% G3-G4)

34%(3% G3-G4)

Cutanea– Rash

– Prurito

– Secchezza cutanea

– Alterazione unghie

42%(5% G3-G4)

19%(1% G3-G4)

11%(1% G3-G4)

14%(0% G3-G4)

35%(7% G3-G4)

26%(4% G3-G4)

13%(0% G3-G4)

15%(0% G3-G4)

29%(1% G3-G4)

14%(<1% G3-G4)

13%(<1% G3-G4)

non riportata

49%(<1% G3-G4)

15%(0% G3-G4)

10%(0% G3-G4)

12%(<1% G3-G4)

Iperglicemia 26%(11% G3-G4)

11%(11% G3-G4)

57%(15% G3-G4)

13% (5% G3-G4)

Ipercolesterolemia 24%(1% G3-G4)

17%(0% G3-G4)

77%(4% G3-G4) non riportata

Iperlipemia 27%(4% G3-G4)

9%(2% G3-G4)

73%(<1% G3-G4) non riportata

Polmonitib 8%(2% G3-G4)

15%(11% G3-G4)

14%(4% G3-G4)

17%(2% G3-G4)

Infezionic 27%(5% G3-G4)

28%(9% G3-G4)

37%(10% G3-G4)

23%(2% G3-G4)

a. comprende stomatite aftosa, ulcere della bocca e della lingua;b. comprende malattia polmonare interstiziale, infiltrazione polmonare, emorragia polmonare alveolare, alveolite, tossicità polmonare;c. comprende polmoniti, aspergillosi, candidasi e sepsi.

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rare l’interruzione temporanea della terapia fino al recuperodella tossicità almeno ad un grado 1 e quindi riprendere il far-maco a una dose ridotta, mentre nelle forme di grado 4 è ne-cessario sospendere definitivamente la terapia.

Nei pazienti che presentano diarrea vengono consigliatele misure generali di trattamento sintomatico, cercando dievitare fibre o altri alimenti che favoriscono la motilità inte-stinale e di favorire cibi che la rallentano (per esempio ba-nane, mele, riso), mantenendo un’adeguata idratazione,per via orale o parenterale, somministrando loperamide alladose standard o oppiacei. Nei casi di diarrea di grado 3-4 èconsigliabile interrompere il trattamento e/o ridurre la dosedel farmaco fino al recupero della tossicità ad un grado ≤1.

Rash cutaneoLesioni cutanee maculo-papulari, eritematose e/o pruri-

ginose sono frequentemente osservate in corso di tratta-mento con inibitori di mTOR e solitamente sono di lieve en-tità e non clinicamente rilevanti.

Alcuni consigli generali da dare ai pazienti che inizianouna terapia con everolimus o temsirolimus sono evitarel’esposizione alla luce diretta del sole, usare creme ad altaprotezione solare, evitare creme e lozioni contenenti alcoole detergenti antibatterici. In caso di rash di grado lieve si puòconsigliare l’uso frequente, almeno due volte al giorno, dicreme idratanti, saponi e lozioni all’avena e shampoo anti-forfora. In caso di desquamazione di grado 1-2 può essereutile applicare una crema contenente idrocortisone all’1%;nei casi più gravi si può tentare una terapia steroidea siste-mica (per esempio con prednisone 25mg/die) e in caso diprurito terapia con antistaminici (H1 antagonisti).

InfezioniA causa della loro attività immunosoppressiva, gli inibi-

tori di mTOR possono favorire l’insorgenza o la riattivazionedi infezioni batteriche, virali ed anche fungine, come farin-giti, riniti, infezioni delle vie urinarie, follicoliti, infezioni dellealte vie aeree e polmoniti. Nei pazienti trattati con everolimussono stati riportati casi di aspergillosi, candidiasi e riattivazionidi epatite B. In genere una minoranza di queste infezionisono di grado 3-4, anche se in casi eccezionali è stata ri-portata la morte dei pazienti in trattamento. Per tale motivo,deve essere eseguita un’attenta valutazione dei possibili se-gni/sintomi di localizzazione infettiva e, nel sospetto di infe-zione, l’inizio del trattamento deve essere rapido. Nei pazientiche presentano un’infezione micotica, è indispensabile lacompleta risoluzione prima di iniziare una terapia con inibi-tori di mTOR; nei pazienti che presentano una positività perHBV (sia HbsAg che HBcAb) deve essere presa in considera-zione una terapia preventiva per evitare la riattivazione del-l’epatite B. Nei casi di tossicità di grado ≥2 è consigliabile in-terrompere il trattamento e/o ridurre la dose del farmaco finoal recupero della tossicità ad un grado ≤1.

Polmoniti interstizialiLa polmonite interstiziale è definita come la comparsa de

novo di infiltrati polmonari ad una TC del torace ad alta ri-

soluzione, di cui si possa escludere un’eziologia infettiva oneoplastica. Nei diversi studi clinici, le polmoniti vengono ri-portate come un effetto collaterale comune.

L’eziopatogenesi della polmonite non infettiva è scono-sciuta. Dal punto di vista clinico, i pazienti possono essereasintomatici o presentare sintomi respiratori come tosse e di-spnea e in alcuni casi febbre che rende più difficile la diagnosidifferenziale nei confronti di possibili complicanze infettive.Le alterazioni radiologiche sono eterogenee e alla TC varianodalla presenza di diffuse lesioni a vetro smerigliato, più fre-quentemente localizzate nei lobi inferiori, a multipli adden-samenti periferici alveolari, fino all’interessamento intersti-ziale diffuso con ispessimento dei setti interlobulari.

Dato che in genere le polmoniti non infettive presentanoun decorso favorevole, non è raccomandato un monitorag-gio strumentale in pazienti asintomatici. Nei pazienti sinto-matici è necessario eseguire una TC del torace ad alta riso-luzione e una broncoscopia con broncolavaggio alveolare perla diagnosi differenziale con una polmonite infettiva.

La terapia più adeguata per le polmoniti interstiziali da ini-bitori di mTOR non è standardizzata: viene impiegata tera-pia con corticosteroidi ed eventualmente l’interruzione deltrattamento con l’inibitore di mTOR e successiva riduzionedella dose del farmaco fino al recupero della tossicità ad ungrado ≤1; nei pazienti con polmoniti di grado 3-4 può essereconsiderata la somministrazione di una terapia antibiotica nelsospetto di una sovrainfezione batterica e nei casi più gravila sospensione permanente della terapia poiché sono statidescritti, sia pure raramente, dei casi fatali.

Anomalie metabolicheIpercolesterolemia, ipertrigliceridemia e iperglicemia sono

le anomalie metaboliche più frequentemente osservate incorso di trattamento con everolimus e temsirolimus.

L’iperglicemia è un effetto collaterale molto comune siadi everolimus che temsirolimus, per cui viene raccomandatauna determinazione dei valori di glicemia a digiuno primadell’inizio del trattamento, sia nei pazienti diabetici che non,e successivamente un monitoraggio periodico, in modo taleda poter iniziare e/o adeguare un trattamento con ipoglice-mizzanti orali o insulina. I pazienti diabetici al basale sonomaggiormente predisposti a sviluppare iperglicemia nel corsodel trattamento ed è perciò importante ottimizzare il con-trollo della glicemia prima di iniziare la terapia. Bisogna ri-cordarsi di avvisare il paziente a riportare ogni aumento delvolume o della frequenza della diuresi. In caso di iperglice-mia di grado ≥2 è necessario adattare la dose o iniziare te-rapia con farmaci ipoglicemizzanti orali (per esempio met-formina come terapia iniziale), passare a nuovi farmaciquando non sia raggiunto o mantenuto il traguardo di unaglicemia normale e aggiungere l’insulina nei pazienti che nonraggiungano il controllo glicemico previsto.

Le alterazioni del metabolismo dei lipidi, in particolarel’ipertrigliceridemia e l’ipercolesterolemia, rappresentano uneffetto di classe degli inibitori di mTOR. L’incidenza di eventidi grado 3-4 è risultata ridotta, mentre la maggior parte deicasi è stata di grado lieve-moderato. Nonostante gli effetti del-

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l’iperlipidemia non si ripercuotano immediatamente sullostato di salute del paziente oncologico, essendo spesso la suaaspettativa di vita troppo breve perché possano svilupparsidanni d’organo indotti dalla iperlipidemia, è comunque buonanorma ottenere un quadro lipidico prima dell’inizio della te-rapia, consigliare al paziente alcuni interventi sulla dieta e sullostile di vita, soprattutto nei pazienti sovrappeso e/o ad alto ri-schio per patologie cardiovascolari, aumentare la dose nei pa-zienti già in trattamento o iniziare una terapia con farmaci ipo-lipemizzanti. Gli acidi grassi omega-3 e la niacina possonoessere usati come integratori alimentari per abbassare i livellidi trigliceridi. Studi di farmacocinetica hanno stabilito chenon vi sono interazioni clinicamente significative tra everolimuse ipocolesterolemizzanti, come atorvastatina e pravastatina. •

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