1La Corporate Social Responsibility

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 La corporate social responsibility Da alcuni anni a questa parte il tema della corporate social responsibility, o semplicemente CSR, si sta affermando all’attenzione del pubblico. Non solo nelle discussioni accademiche, ma anche nella vita di chi vive quotidianamente il confronto con il mercato: imprenditori, consumatori “critici” o semplicemente persone sensibili alle dinamiche economiche, politiche e ambientali date dalla globalizzazione. È diventato un tema di grande attualità a livello internazionale anche grazie al crescente peso esercitato dalle attività imprenditoriali nel contesto economico, sociale e ambientali. Fioriscono le iniziative; nascono a livello mondiale reti di aziende che intendono lavorare secondo i principi della CSR; grossi investitori ed enti finanziari- tra cui anche Dow Jones- si occupano delle problematiche etiche. Non a caso il congresso annuale dell’European Organization for Quality (EOQ) del 2003, tenutosi in giugno in Olanda, era dedicato proprio alla CSR. La domanda principale però è se si tratta di una “moda” di business passeggera o qualcosa di più profondo e serio, che potrebbe influenzare in futuro il modo di operare e decidere all’interno delle aziende.  Cos’è la Corporate Social Responsibility? Dato che il tema della CSR comprende un’area molto vasta è innanzitutto necessario c hiarire i contenuti e i confini del concetto. Nel 2001 la Commissione Europea presentò a Bruxelles il “Libro verde”, un documento il cui obiettivo era quello di elaborare un quadro europeo per promuovere questo tema. In esso viene definita come:   l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi  giuridici applicabili, ma anche andare al di l{ investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate. L’esperienza acquisita (..) suggerisce che, andando oltre gli obblighi della legislazione le imprese potevano aumentare la propria competitivit{. L’applicazione di norme sociali che superano gli obblighi giuridici (..) può avere un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale con una maggiore competitività ”. ( Libro Verde. Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Com 366/2001) La CSR è un aspetto emergente dell’imprenditoria pubblica, privata e non profit, a tal punto che sta diventando un’ istanza apparentemente imprescindibile per la reputazione delle aziende. Agire in modo socialmente responsabile significa per un’azienda andare oltr e gli obblighi giuridici, investendo di più nei rapporti con i portatori d’ interesse, i cosiddetti stakeholders ,

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La corporate social responsibility 

Da alcuni anni a questa parte il tema della corporate social responsibility, o semplicementeCSR, si sta affermando all’attenzione del pubblico. Non solo nelle discussioni accademiche, maanche nella vita di chi vive quotidianamente il confronto con il mercato: imprenditori,consumatori “critici” o semplicemente persone sensibili alle dinamiche economiche, politichee ambientali date dalla globalizzazione. È diventato un tema di grande attualità a livellointernazionale anche grazie al crescente peso esercitato dalle attività imprenditoriali nelcontesto economico, sociale e ambientali.

Fioriscono le iniziative; nascono a livello mondiale reti di aziende che intendono lavoraresecondo i principi della CSR; grossi investitori ed enti finanziari- tra cui anche Dow Jones- sioccupano delle problematiche etiche. Non a caso il congresso annuale dell’EuropeanOrganization for Quality (EOQ) del 2003, tenutosi in giugno in Olanda, era dedicato proprioalla CSR.

La domanda principale però è se si tratta di una “moda” di business passeggera o qualcosa dipiù profondo e serio, che potrebbe influenzare in futuro il modo di operare e decidereall’interno delle aziende. 

Cos’è la Corporate Social Responsibility? 

Dato che il tema della CSR comprende un’area molto vasta è innanzitutto necessario chiarire icontenuti e i confini del concetto.

Nel 2001 la Commissione Europea presentò a Bruxelles il “Libro verde”, un documento il cuiobiettivo era quello di elaborare un quadro europeo per promuovere questo tema.In esso viene definita come:

“   l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese

nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Esseresocialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di l{ investendo “di più” nel capitale umano,

nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate. L’esperienza acquisita (..)

suggerisce che, andando oltre gli obblighi della legislazione le imprese potevanoaumentare la propria competitivit{. L’applicazione di norme sociali che superano gli

obblighi giuridici (..) può avere un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo svilupposociale con una maggiore competitività ”. ( Libro Verde. Promuovere un quadroeuropeo per la responsabilità sociale delle imprese, Com 366/2001)

La CSR è un aspetto emergente dell’imprenditoria pubblica, privata e non profit, a tal puntoche sta diventando un’ istanza apparentemente imprescindibile per la reputazione delleaziende.Agire in modo socialmente responsabile significa per un’azienda andare oltre gli obblighi

giuridici, investendo di più nei rapporti con i portatori d’ interesse, i cosiddetti stakeholders,

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ossia l’ambiente, i dipendenti, i partner commerciali, i clienti, le istituzioni e la comunitàlocale.La CSR, nell’accezione più moderna e sistematica, interessa tre aree fondamentali diinterfaccia tra un’organizzazione e i propri stakeholder: 

-  sociale che interessa temi come il sistema salariale o la sicurezza personale;-  economica come ad esempio la corporate governance o la trasparenza della struttura

aziendale;-  ambientale che comprende per esempio la gestione delle risorse e il riciclaggio.

Le tre aree in dettaglio

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La CSR si presenta quindi come la concretizzazione della filosofia gestionale dello stakeholder value -ovvero l’obbiettivo dell’impresa è di generare valore per tutti i propri stakeholder-contrapposto all’approccio ben più limitato del shareholder value – l’obbiettivo dell’impresa inquesto caso è di generare profitto, ovvero valore per i propri azionisti, o shareholder.

Rispetto ad una concezione “tradizionale” di CSR negli ultimi anni è stata apportata una novit{importante da sottolineare: l’integrazione della dimensione economica della CSR. Questoaspetto viene spesso riportato sotto il concetto di corporate governance, in altre parole “ilbuon governo” dell’azienda, inteso come rispetto di norme base di comportamento ai verticiaziendali: struttura, ruoli e comportamento del Consiglio di Amministrazione, correttezza emassima trasparenza nella gestione finanziaria, nel reporting finanziario e nellacomunicazione d’impresa. 

I rischi di fraintendimento quando si parla di CSRUno dei rischi a cui si va incontro parlando di CSR è fraintendere i suoi contenuti. Spesso vieneconfusa con la beneficenza aziendale e con l’obbiettivo di canalizzare le donazioni delleimprese sui programmi sociali stabiliti dal governo. Si tratta quindi di confondere la CSR conla corporate giving, che è solo una parte della CSR.

Quindi non si tratta solo di rispettare le leggi e gli standard etici che già sono condivisi. È

piuttosto un atteggiamento attivo nei confronti della comunità o delle comunità diriferimento, per le quali l’impresa può e deve promuovere azioni di sviluppo, che trascendono

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la beneficenza, sistematica o occasionale. Questa è la differenza tra una CSR di facciata, che silimita a rispettare le leggi e si d{ un po’ di lustro con tattiche di beneficienza aziendale, e unaCSR strategica, che valuta l’impatto sociale ed ecologico del proprio operato e inv este nelperseguimento di obbiettivi non lucrativi.

Il secondo errore è fraintendere gli incentivi che possono promuovere la CSR. Questo accadese si mettono insieme le promesse di detassazione delle donazioni, purché inserite negliimpegni a favore delle politiche del governo, con l’istituzione di un meccanismo diaccertamento della “responsabilit{ sociale”, detto “social statement” . La certificazione dellaCSR, rivolta a ottenere un beneficio di reputazione, dovrebbe essere volontaria e rivoltaesclusivamente a chi è effettivamente in grado di dimostrare la sua conformità a elevatistandard.

Quindi la CSR non è e non dovrebbe essere un’operazione di accreditamento etico presso ilpubblico dei clienti, magari nella forma di una “ripulita” di reputazioni compromesse. Non è inaltre parole un’operazione di maquillage aziendale, che tenta di ricreare un’immagine

all’azienda, modificando la percezione esteriore che può averne il consumatore, senza peròtrasformarla in profondità.

Il termine sociale della CSR.L’aggettivo “sociale” attribuito alla responsabilit{ d’impresa ha un’accezione molto più vastadi quella comune, inerente solo la dimensione solidaristica, che pure vi è compresa. In questocaso riguarda il rapporto con l’insieme dei portatori di interesse, lavoratori, azionisti,finanziatori, clienti, fornitori, patner pubblici e privati, rappresentanze della cittadinanza el’ambiente naturale stesso. È dunque qualcosa che riguarda tutta la comunità.

Il termine sociale assume infatti un diverso significato com'è evidenziato da G. Micheon in

“Responsabilit{ sociale d’impresa come efficace e lungimirante strategia”:   accanto agli azionisti troviamo i collaboratori;   interventi volti a soddisfare la società civili, prevalentemente nell’ottica della pura

gratuità;   altri portatori d’interesse: i clienti e i fornitori; inoltre i problemi ambientali connessi

ai processi e ai prodotti. 

È infatti il passaggio dalla logica dell’azionista, shareholder , a quella del portatore di interesse,stakeholder .

È l’evoluzione che sta investendo le imprese, in primis quelle multinazionali e i grandi gruppinazionali, ma in prospettiva anche le piccole e medie, comprese le pubbliche amministrazioni,le loro articolazioni di servizio e le organizzazioni non profit.

La mission delle imprese non è più solo la creazione di valore per gli azionisti, bensì lasoddisfazione di precisi bisogni delle persone e delle comunità: ecco perchè il rendicontodell’attivit{ di un’azienda non può essere più soltanto il bilancio economico-finanziario, maquel bilancio sociale che, nella più diverse forme, dà conto del raggiungimento degli obbiettivirispetto a tutti i portatori di interesse, interni ed esterni.

Questo è uno dei motivi che inducono molti analisti a ritenere che la CSR sia ben più di unamoda, ma un punto di vista radicalmente nuovo da cui osservare le imprese e i loro rapporticon i pubblici di riferimento.

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La polemica Nel 2005 uscì sul settimanale economico più autorevole al mondo, The Economist , un dossierdi Clive Crook che destò a livello mondiale una polemica sulla validità del concetto dicorporate social responsibility. Partendo da un’impostazione tipicamente anglosassone,improntata sul capitalismo, la rivista inglese negò “ la legittimità delle pretese dei sostenitori

della CSR, bollandole come ideologiche infiltrazioni nella sana ricerca del profitto” . Numerosi studi recenti confermano che la CSR non è un costo, piuttosto un investimento chegarantisce all’impresa un vantaggio competitivo quantificabile e monetizzabile. The Economist invece sostenne delle convinzioni, forse un po’ datate, che alla comunit{ ci debbano pensare loStato e i filantropi.

Il punto di vista dell’Economist  è un modo di interpretare la CSR in modo parziale, non è unachiave di lettura con una prospettiva d’insieme. Tuttavia è un esmpio di come il dibattito sultema sia molto vivace e di come sia forte l’esigenza di strumenti pratici che rendano operativoun tale fermento teorico.La CSR è frutto della sua epoca, la postmodernità, dove i cambiamenti avvengonorapidamente.

Le origini e i fondamenti della Corporate Social Responsibility

L’impresa per sua natura interagisce con l’ambiente circostante, nelle questioni sociali eculturali che in esso si sviluppano.Nel 1932 Berle e Means affrontarono il tema dei fini dell’impresa in un’epoca in cui essa stavavivendo cambiamenti profondi, relativi agli assetti istituzionali e alla separazione traproprietà e management. Secondo i due autori le pretese delle due parti non dovevanocomunque prevalere sugli interessi della comunità. Quindi la separazione tra proprietà emanagement ha aperto la strada all’idea che l’impresa moderna sia al sevizio, non solo degliazionisti o dei dirigenti, ma di tutta una gamma di interlocutori aziendali che i due autoriidentificano con la comunità.Il dibattito sulla CSR nasce dunque come confronto sulla identificazione, più o meno ampia,dell’interesse sociale dell’impresa e si presenta come la contrapposizione tra prospettive cheoggi chiamiamo rispettivamente shareholder e stakeholder value.

Il concetto di CSR venne espresso per la prima volta da Edward Freeman nel 1984 nel suosaggio “Strategic Management: a Stakeholder Approach”, dove lo stakeholder viene definitocome “qualsiasi gruppo o individuo che può avere un influsso o è influenzato dal 

raggiungimento delle scopo dell’organizzazione”. A questa dottrina si contrappose la Teoria degli shareholder  elaborata dal premio Nobel perl’economia Milton Friedman nel 1970. Per Friedman l’unico scopo dell’impresa è la generazione di profitto. Ritiene che non sussistaalcuna responsabilità dell'impresa verso la società, ma solo nei confronti degli azionisti equindi verso la proprietà.Secondo l’autore  i costi sostenuti dall’impresa per la CSR sono riversati sui prezzi quindi iconsumatori verrebbero a pagare involontariamente per interventi di cui non hanno goduto.Inoltre per quanto riguarda l'impresa ci si troverebbe di fronte ad un vero e propriocambiamento dei fini: essa è infatti nata col solo scopo di produrre utili e verrebbe quindi adoperare contro la propria natura.

Con estrema durezza arriva a sostenere che: “Poche tendenze possono minare in modoveramente  profondo le fondamenta stesse della societ{ libera come l’accettazione da parte dei

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dirigenti d’impresa del criterio della responsabilit{ sociale a differenza di quello di fare più soldi

 possibili per i loro azionisti”  (Friedman, 1962: 133).Nella visione di Friedman si afferma quindi il primato della sfera economica, visto quale unicodovere dei manager e dell’impresa, così come egli sottolinea: “La sola ed unica responsabilit{del business è usare le risorse e impegnarsi in attività per aumentare il più possibile i profitti, nel 

rispetto delle regole del gioco che sono, bisogna sottolinearlo, quelle della aperta e liberacompetizione” (Friedman, 1970).

Il punto di vista di Friedman fu gradualmente superato da altri autori, come Davis, Frederick eMcGuire, i quali riconoscono ad un’impresa responsabilit{ più ampie di quelle economiche edi quelle stabilite dalla legge.A questo proposito va innanzitutto riportato il pensiero di Davis (1960), noto per la sua “Iron

law of responsibility” che sottolinea l’importante legame esistente tra potere e responsabilit{sociale. In particolare, egli sostiene che se un dirigente d’impresa evita di prendere decisioniin materia di responsabilità sociale, ciò può portare ad una progressiva corrosione del propriopot ere. Davis ha, inoltre, suggerito che un’impresa deve intraprendere delle azioni e delledecisioni che vadano almeno parzialmente oltre l’interesse più prettamente economico otecnico dell’azienda. Come sottolinea Chierieleison (2004), Davis può addirittura “essere considerato un precursore, poiché intuisce che prendere decisioni socialmente responsabili può contribuire a generarevantaggi di tipo economico nel lungo periodo”. Questa visione verrà, tuttavia, accettata econdivisa solo alcuni anni più tardi.Frederick (1960), invece, enfatizza il ruolo dell’impresa verso l’ambiente in cui essa è inserita.Egli, a tal proposito, afferma che “L’idea fondamentale incorporata nel concetto di

responsabilit{ sociale d’impresa è che le imprese hanno l’obbligo di lavorare per il 

miglioramento della societ{” (Frederick, 1960: 60). 

Solo verso la fine degli anni 60, così come segnala Chierieleison (2004), Walton (1967)evidenzia che la responsabilità sociale deve essere considerata come un processo diattuazione volontario, e non coercitivo, da parte del manager e dell’impresa. 

Successivamente si inizia a dare molta più importanza anche al contesto socio-culturale diriferimento, che diviene essenziale per definire i compiti delle imprese.A questo proposito appare fondamentale il rapporto del Committee for Economic Development (CED) del 1971, in cui viene evidenziato come le imprese debbano assumersi responsabilitàmaggiori rispetto a quelle assunte fino a quel momento. Il CED, rappresenta l’approccio dei“tre cerchi concentrici”, della responsabilit{ delle imprese.Il cerchio più interno, include la responsabilità primaria dell’azienda, ovvero le sue funzionieconomiche di base, rappresentate dalla crescita, dalla produzione e dal lavoro.Il cerchio intermedio include, invece, tutti quegli elementi che possono stimolare la sensibilitàverso i valori o le priorità sociali.Il cerchio più esterno include la disponibilit{ dell’impresa ad assumersi responsabilit{ piùampie verso la societ{. In quest’ultimo caso, quindi, si fa riferimento alle responsabilit{ piùnuove e ancora non ben definite che l’impresa avrebbe dovuto assumersi per essere coinvoltain modo più attivo nel miglioramento dell’ambiente sociale (Carroll, 1991).Il lavoro effettuato dal CED, risulta di fondamentale importanza poiché si definiscono, per laprima volta, delle chiare priorità che le organizzazioni dovrebbero seguire per poter essereconsiderate socialmente responsabili.

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I tre cerchi concentrici del CED

All’interno di questo contesto si inserisce l’innovativo pensiero di Carroll (1979) che, cosìcome era stato fatto anche dal CED, propone un modello di responsabilit{ sociale d’impresa

caratterizzato da diversi livelli di priorità. Essi dovrebbero essere tenuti in considerazionedall’impresa per definire i suoi comportamenti ed obiettivi.

Carroll nell’articolo “A three-dimensional conceptual model of social performance”, riconosceche l’impresa ha differenti responsabilit{ schematizzabili in una piramide composta daquattro strati:

 economico giuridico etico discrezionale

Alla base della piramide è collocata la responsabilità economica, per sottolineare lapreminenza della funzione economica sulle altre, poiché il ruolo principale delle imprese restaquello di produrre beni e servizi ai membri della società, generando un profitto accettabile.Il livello successivo riguarda le responsabilità legali, individuate nel rispetto del complessivosistema giuridico che regola l’esistenza delle imprese nello specifico contesto sociale in cuiesse sono inserite. Esse sono approfondite nel livello successivo della piramide in virtù delloro sviluppo storico, ma coesistono con le responsabilità economiche come basi del sistemadella libera impresa.

Il terzo livello riguarda le responsabilità etiche che un’organizzazione è tenuta a rispettare.Tali responsabilità incarnano tutte quelle attività e pratiche che la società si aspetta o cheproibisce, anche se non sono state ancora codificate in leggi. Sebbene sia descritto come livello

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successivo della piramide della CSR, questo terzo livello deve piuttosto essere consideratocome una interazione dinamica con la categoria delle responsabilità legali.

Infine, al vertice è situata la responsabilità discrezionale, riguardante le attività a caratterepuramente volontaristico compiute dall’impresa a favore della comunit{. Tale responsabilit{

include tutte le azioni che rispondono alle aspettative sociali e che possono comportare unmiglioramento nella qualità della vita della comunit{ in cui l’impresa è inserita. 

L’autore termina il suo articolo mettendo in evidenza che i quattro livelli di responsabilità nondevono essere considerati reciprocamente esclusivi ma devono essere interpretati in modofluido e trasversale. La CSR implica perciò l’adempimento simultaneo delle responsabilitàeconomiche, legali, etiche e filantropiche.

La piramide di Carroll è diventata un punto di riferimento per tutti gli studiosi della materiapoiché introduce due concetti fondamentali: la volontarietà e la discrezionalità.

La piramide di Carroll 

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La teoria degli stakeholder

Il concetto di stakeholder è stato utilizzato per la prima volta dallo Stanford ResearchInstitute nel 1963, per indicare “tutti coloro che hanno un interesse nell’attivit{ dell’azienda e

senza il cui appoggio un’impresa non è in grado di sopravvivere”  (Chierieleison, 2004; Chiesi et al., 2000; Michelini, 2007).In realtà il termine stakeholder era stato già utilizzato circa 30 anni prima, quando la GeneralElectric identificò quattro principali gruppi di stakeholder rappresentati da:

 gli azionisti,  i dipendenti,  i clienti,  la comunità in genere

Questo concetto fu in seguito approfondito da numerosi studiosi, ma la prima teoria organicasugli stakeholder venne introdotta grazie al contributo di Freeman (1984).Nel testo Strategic management. A stakeholder appr oach (1984), l’autore identifica glistakeholder come “Gruppi o soggetti che sono influenzati o possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa”. Distingue inoltre gli stakeholders in senso stretto, o primari dagli stakeholders in senso ampio, osecondari.I primi sono rappresentati da: “tutti quegli individui e gruppi ben identificati da cui l’impresa

dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, e agenzie governative” .I secondi sono invece rappresentati da: “ogni individuo ben identificabile che può influenzare oessere influenzato dall’attivit{ dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche, e processilavorativi: [...] i gruppi di interesse pubblico, i movimenti di protesta, la comunità locali, gli entidi governo, le associazioni imprenditoriali, i concorrenti sindacati e la stampa” (Freeman 2005).

La distinzione tra stakeholder primari e secondari è basata sull’indispensabilit à del loroapporto per la sopravvivenza dell’azienda. In particolare, i gruppi primari se tolgono il loroapporto possono decretare anche la fine dell’impresa stessa.Freeman, dopo aver definito cosa si intende per stakeholder, sottolinea cheun’organizzazione, nello svolgimento delle proprie funzioni, è tenuta a rispondere a tutti glistakeholder. Quindi deve rispondere a tutte le diverse categorie di soggetti coinvolti e nonsolo allo stockholder, termine con il quale si identificano esclusivamente gli azionisti.

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 Questa classificazione di Freeman è stata ampliata nel 1995 da Clarkson. Egli estende ilconcetto di stakeholder ai soggetti portatori di interesse anche potenziali. Sottolinea inparticolare che “gli stakeholder sono persone o gruppi che hanno pretese, titoli di propriet{,diritti o interessi relativi a un’impresa e alle sue attivit{ passate, presenti o future”. 

I due autori suggeriscono quindi che l’impresa debba tenere in considerazioni le diverseesigenze di tutte le parti coinvolte, per poter meglio gestire l’attivit{ imprenditoriale.La gestione di queste relazioni diviene pertanto un’opzione strategica per il management dell’organizzazione stessa, che solo rispondendo ai diversi stakeholder potr{ perfettamentesvilupparsi nel contesto in cui si trova.

Per comprendere le relazioni con la CSR è necessario analizzare soprattutto il contributo diFreeman.Alla base del pensiero di Freeman vi è sicuramente un tentativo di creare un equobilanciamento, o trade-off , tra i fini economici e quelli sociali, tra quelli dei manager diun’impresa e quelli dei differenti stakeholder. Tale tentativo, tuttavia, non risultaassolutamente di facile realizzazione innanzitutto poiché non è scontato che gli interessi deidiversi gruppi coincidano e, secondariamente, non è facile distinguere tra le pretese deglistakeholder accettabili e quelle non accettabili, tra quelle legittime e quelle illegittime.

La teoria di Freeman non prende in considerazione la sfera valoriale e morale, identificandosipiuttosto come una strategia manageriale che contribuisce a definire la massimizzazione delprofitto per l’impresa e per i suoi stakeholder.Non effettua neanche una chiara distinzione tra chi effettivamente deve essere consideratouno stakeholder e chi invece non ha i requisiti per rientrare in tale categoria. Si rischia infatti

che la categoria divenga troppo ampia.

Dopo Freeman altri studiosi cercarono di definire meglio il concetto di stakeholder, cercandodi classificarli secondo una “mappa degli stakeholder”. 

La CSR: evoluzione e nuovi sviluppi

Dagli anni 90 in poi il concetto di CSR è andato ulteriormente trasformandosi ed arricchendosicon nuove tematiche.In Europa è importante sottolineare l’emanazione nel 2001 da parte della Commissione

Europea del “Libro Verde”, intitolato “Promuovere un quadro europeo per la responsabilit{sociale delle imprese” .In questo documento vengono evidenziati i vantaggi della CSR che viene definita comedicevamo in apertura: “L’integrazione volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni

sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Con questa definizione si può comprendere la trasformazione del ruolo delle impreseall’interno della societ{, dove la crescita economica deve procedere di pari passo al benessere,alla coesione sociale, al rispetto e alla tutela dell’ambiente circostante.

Di conseguenza la CSR non deve essere vista come un sostituto della legislazione sociale, ma

come un contributo spontaneo delle imprese allo sviluppo della società. Per questo motivoinfatti si parla di triple bottom line, che consiste nell’assunzione da parte delle aziende, di

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responsabilità ambientali e sociali che vanno ad aggiungersi a quelle economiche.

In accordo a quanto è evidenziato nel Libro Verde dalla Commissione Europea, in Italia ancheSacconi considera la CSR come un modello di gestione strategica, in particolare come:

“un modello di governance allargata dell’impresa in base al quale chi governa

l’impresa ha responsabilit{ che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari neiriguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder” (Sacconi, 2004).

In questa definizione evidenzia come la responsabilità sociale deve essere considerata una“governance allargata” –  “in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessatenell’ambito di un approccio globale della qualit{ e dello sviluppo sostenibile”  , basata su “doveri

 fiduciari” nei confronti di molteplici stakeholder, intesi come “dovere di impiegare un’autorit{

 per il bene di soggetti che concedono e quindi soggiacciono a tale autorit{” .

Con questa definizione Sacconi chiarire però alcuni termini:• Doveri fiduciari: fa riferimento a una relazione di fiducia tra un  fiduciante, visto nella figuradello stakeholder, e un  fiduciato, visto nella figura del manager dell’impresa. Il fiduciantedelegherà le sue decisioni a un fiduciario che potrà disporre di autorità nella scelta delleazioni e degli obiettivi, impiegando le risorse ottenute verso obiettivi da lui stabiliti.

Solo in questo modo possiamo comprendere la portata che la CSR ha nel modello di“governance allargata” di Sacconi; il concetto di dovere fiduciario passa da una prospettivamono-stakeholder, in cui l’unico stakeholder è il proprietario dell’impresa stessa, a unaprospettiva multi-stakeholder, in cui sussistono doveri fiduciari nei confronti di tutti glistakeholder dell’impresa. 

È interessante notare che ancora oggi il tema della CSR non ha dei contorni chiari e ben definiti.Nonostante ciò, è un tema sempre più attuale a tal punto che alle imprese viene richiesto, inmodo sempre più crescente, di prendere una posizione rispetto alla propria responsabilitàsociale.Come sostiene Hinna (2005) la gestione della responsabilità sociale va configurandosi come una“condizione necessaria”per restare sul mercato, non più come una mera opzione etico -culturale,ma come “perno” su cui far ruotare e ri-orientare la gestione aziendale.

Lo scenario attuale, tuttavia, sembra essere ancora in mutamento, poiché si discute su come gliobbiettivi di tutela vengano raggiunti e come sia in campo microeconomico sia giuridico laquestione della cosiddetta corporate governance desti grandi dibatti,non sempre ottimistici tra gli esperti. Un esempio è uno degli ultimi lavori di Guido Rossi (2008), che si conclude con unanon celata rinuncia alla possibilità di trovare una adeguata soluzione ed all'ammissione chel'unica soluzione sia appellarsi all'etica individuale degli amministratori.Rossi propone inoltre dei percorsi di disclosure organizzativa, intendendo con tale espressione“un processo di trasparenza e apertura dell’organizzazione verso gli stakeholder che preveda il 

loro coinvolgimento (nella forma della consultazione e/o della partecipazione) nella definizionedelle stesse st rategie di CSR”. 

Le conseguenze dal dibattito sulla CSR nella società contemporaneaCome abbiamo detto la CSR è diventata sempre più un tema all’attenzione di un vasto gruppo

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di attori sociali e settori disciplinari. L’esposizione continua alla t ematica della CSR hacontribuito a rendere il tema centrale all’interno della società contemporanea, favorendonel’istituzione. A questo punto sorge spontanea una domanda: Quali sono le conseguenze prodotte daldibattito sulla CSR nella società contemporanea?

Cos’è cambiato e cosa sta cambiando In passato, fino a pochi anni fa, la CSR poteva essere considerata un approccio utopico, fattaeccezione per un ristretto numero d’imprese. I differenti aspetti dell’etica aziendale eranopropugnati e sviluppati soprattutto a livello accademico, senza un reale coinvolgimento delmondo aziendale.La reazione di molte aziende, gi{ oberate di mille problemi, si riduceva a un pragmatico “ chice lo fa fare?” Recentemente invece diversi fattori sono confluiti a formare una crescente pressione suivertici aziendali affinchè adottino politiche coerenti di CSR.

La costante presenza del tema della CSR, il continuo interesse e i continui dibattiti le hannopermesso di entrare nelle menti degli attori e delle organizzazioni, facendola diventareprogressivamente una “etichetta” istituzionalizzata. Il concetto di CSR è, infatti, entrato ed è stato sempre più assimilato nella vita lavorativaquotidiana, tanto che oggi nessuna organizzazione può fare a meno di confrontarsi con taletematica, divenendo sempre più un aspetto fondamentale per organizzare o valutare laqualità del management aziendale.

La presenza sempre più costante di questa tematica all’interno della societ{ contemporanea ha portato negli ultimi anni a spostare il dibattito da un ambito prettamente teorico a unomaggiormente tangibile.

La sensibilizzazione dei dirigenti aziendali verso le tematiche di CSR.Numerose aziende e associazioni professionali hanno elaborato codici di condotta etica ohanno integrato nelle proprie linee strategiche i principi della CSR.

  Per esempio il Comitato Europeo dei produttori di zucchero ( CEFS) ha sottoscritto nel2003 un codice di condotta che impone ai fornitori-situati spesso nei Paesi in via disviluppo- un comportamento socialmente responsabile. Il CEFS espone sul proprio sitointernet una serie di esempi concreti di progetti o ativittà di CSR scelte tra i suoimembri ( per esempio l’osservatorio permanente costituito in Italia a partite dal 1990

da Assozucchero).

  Un altro esempio è ciò che si è verificato nel gruppo francese Danone dove ad ogniunità di business è stato chiesto di compilare un questionario di autovalutazionebasato su 130 domande inerenti cattività e comportamenti di CSR rilevanti per cinquegruppi di stakeholder- personale, clienti/consumatori, fornitori, la società civile el’ambiente naturale). Sulla base dei risultati sono stati elaborati dei piani dimiglioramento. Il progetto, chiamato Danone Way, è stato lanciato nel 2001coinvolgendo 12 imprese pilota del gruppo Danone ed entro la fine del 2004 fu esteso atutte le imprese del gruppo.

Il problema che rimane da risolvere è duplice:

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  come distinguere un’adozione sincera della CSR a livello strategico da una campagna direlazioni pubbliche mirata a migliorare l’immagine dell’impresa “socialmenteimpegnata”; 

  come verificare la reale efficacia sul terreno delle attività di CSR pubblicate dalle

imprese.

La pressione dei consumatori e delle organizzazioni non governative (ONG) 

Le campagne mediatiche contro imprese socialmente scorrette hanno piegato anche dellemultinazionali, come Shell e Nike. Per esempio l’azienda svizzera Triumph (abbigliamentointimo femminile) ha chiuso i suoi stabilimenti produttivi in Birmania dopo un’efficacecampagna mediatica condotta da alcune ONG svizzere. Nel 2002 una campagna coordinata di manifestazioni pubbliche negli Stati Uniti ha obbligatoStaples, il leader americano nel commercio di materiale d’ufficio, ad adottare una politica diacquisti eco-compatibli, eliminando tra l’altro prodotti fabbricati con legno di foreste tropicali

in pericolo.

Gli scandali finanziari a livello internazionale. I noti crolli di Enron, WorldCom hannoimposto alle autorit{ di vigilanza l’adozione di norme più severe di corporate governance. DACONTROLLARE QUESTO PUNO NOMI AZIENDE, COSA HANNO FATTO? CERCARE NIKE COMECASE E ENVIRONICS INTERNATIONAL

Chi investe denaro in un’azienda si rende conto che i rischi di immagine a lungo termine di uncomportamento scorretto verso gli stakeholder supera ormai in molti casi i benefici a brevetermine di tale agire.Il gigante del commercio al dettaglio olandese Ahold ha perso in pochi giorni più del 70% delproprio valore in borsa dopo l’annuncio della scoperta di scorrettezze nel reportingfinanziario.

Il crescente rischio di denunce penali

Il sistema giudiziario di stile americano, con i suoi meccanismi perversi e le richieste dirisarcimenti miliardari, sta paradossalmente favorendo un comportamento più attento allaCSR. I rischi giudiziari si sono fatti in poco tempo non più tollerabili. I più importanti gruppifinanziari svizzeri sono stati costretti da denunce collettive negli Stati Uniti a pagare unamulta miliardaria per non aver mai gestito e risolto in modo eticamente corretto il problema

dei conti in giacenza, appartenuti a vitime dell’Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale. Un altro esempio è dato dalla multinazionale del cemento Holcim che ha dovuto far fronte allerichieste di risarcimento di migliaia di vittime dell’asbesto (amianto) prodotto dalla suacontrollata Eternit. Molti dei collaboratori della Eternit si ammalarono di asbestosi,riportando la presenza di tumori dopo un periodo di latenza di 20-40 anni. Il comportamentodei dirigenti delle due aziende fu messo sotto accusa: gi{ nel 1953 l’asbeto era stata inseritanella lista delle malattie professionali in Svizzera, nel 1972 la Svezia e gli Stati Uniti avevanoproibito l’uso di prodotti contenenti questa sostanza. Si calcola una somma di risarcimentisuperiore ai 700 milioni di euro per le sole vittime residenti in Svizzera.DA CONTROLLARE SE SI TROVA DATO AGGIORNATO

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Da queste importanti premesse due domande che sorgono spontanee al dirigente d’impresasono:

-esiste un modello di riferimento standard per valutare le attività e i comportamenti di CSRdelle organizzazioni?

- cosa può, o dovrebbe, fare gi{ oggi un imprenditore o un manager nell’ambito della CSR? 

La necessità di essere accountable

Secondo Power la societ{ contemporanea è una societ{ dell’audit , ovvero una società in cui ènecessario essere accountable e mostrare il proprio operato per essere valutati all’interno delcontesto sociale in cui si è inseriti.

Ecco perché le organizzazioni hanno avuto la necessità di rendere la propria responsabilitàsociale visibile e tangibile, per poter legittimare il loro operato sia all’interno che all’esternodel loro cotesto organizzativo.

Negli ultimi anni le organizzazioni hanno avvertito in modo sempre crescente la necessità diattivare delle strategie di “apertura” verso tutti gli attori presenti nel contesto sociale diriferimento, divulgando una serie di informazioni relative al proprio quotidiano operato.Rendere pubblica la propria responsabilità sociale diviene un modo per esprimere e rendereesplicita la propria posizione organizzativa nel mercato di riferimento e nella società.In questo modo un numero sempre crescente di organizzazioni è in grado di “essererispondente” verso ciò che la societ{ richiede o, in altri termini, di effettuare delle pratiche diallineamento rispetto alle pressioni sociali.Uno dei modi utilizzati dalle organizzazioni per rispondere alla necessità di essereaccountable e quindi di rendere il proprio operato visibile, misurabile e tangibile, è

rappresentato dall’utilizzo di standard. Gli standard, infatti, possono essere considerati comel’oggettivazione della CSR nella societ{, poiché essi rappresentano un artefatto a cui è stataattribuita un’identit{. In altre parole, le organizzazioni utilizzando gli standard, ovvero deglistrumenti tangibili della CSR, non fanno altro che trasformare un’idea astratta come quelladella CSR in un oggetto concreto e materiale. Lo standard in questo modo diviene un’entit{quasi concreta, oggettivata in un determinato luogo e momento storico, in grado di “innestarsied attecchire” in un particolare contesto organizzativo. 

Per interpretare e comprendere il concetto di CSR è, pertanto, necessario tradurlo in un’entit{fisica e tangibile, rappresentata dagli standard. Ma “cosa si intende esattamente perstandard?” E “a cosa serve precisamente uno standard? Per rispondere a queste domande è

necessario un approfondimento rispetto a tale concetto, cosa che proporrò nel capitoloseguente.

Gli standard

Il termine standard è un concetto molto ampio e dai contorni sempre più vasti in quanto èdiventato oggetto d’interesse in diverse aree disciplinari. Può essere considerato infatti unconcetto polisemico in quanto non vi è una definizione univoca.

Esistono numerosi standard, pensiamo ad esempio a quelli sulla sicurezza sul lavoro (OHSAS18001), quello sulla qualit{ (ISO 9001) o a quello sull’ambiente (ISO 14001), che pur essendonominalmente a base volontaria, sono indispensabili affinché un esercizio commerciale, unente o un’organizzazione possa avere l’autorizzazione per restare sul mercato e svolgere leproprie attività economiche e commerciali.

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L’adesione ad uno standard ne presuppone l’ut ilizzo di uno già prodotti da altre persone.

Chi può essere considerato un promotore effettivo di standard?

I promotori degli standard sono molteplici: possono essere rappresentati dalle organizzazioniprivate come l’International Organization for Standardization (ISO), l’American Nation

Standards Institute (ANSI) o il British Standard Institute (BSI). Oppure possono esserecostituiti dalle organizzazioni internazionali non governative come l’International Committeeon Bird Protection (ICBP) o la International Chamber of commerce (ICC). Anche le personeprivate, come i ricercatori o gli scienziati, possono essere considerati “standardizers”, poichécontribuiscono alla creazione di standard che poi devono essere mantenuti e salvaguardati.Infine, promuovono standard anche gli enti pubblici, come i governi e le organizzazionigovernative internazionali, quali l’UNESCO, l’EU o l’OECD.Lo standard può essere, quindi, considerato come una norma, una regola o una linea guidaastratta e generale a cui riferirsi, al quale si aderisce in forma volonaria e non perimposizione, che appare in forma scritta o pubblica, che è sabile nel tempo ed è già statoprodotto da altri.

L’esistenza degli standard e degli enti che li promuovano, tuttavia non dà la certezza chequesti siano effettivamente utilizzati, né che tutte le organizzazioni li considerino e li usinoallo stesso modo.

Brunsson e Jacobsson ritengono che per comprendere cosa sia effettivamente uno standard ènecessario analizzarlo in pratica, vederlo e seguirlo nel suo manifestarsi in uno specificocontesto d’uso. In altri termini per comprendere quello “che lo standard è” è necessarioosservare “ciò che lo standard fa” all’interno di uno specifico contesto organizzativo. 

 Alcune delle iniziative a livello internazionale

Varie iniziative a livello internazionale hanno avviato la formulazione di standard dei sistemidi gestione per la CSR dalla fine del secolo appena trascorso. Si tratta di inziative che nasconodalla collaborazione tra il mondo della ricerca e dell’Universit{, mondo delle imprese e mondodelle professioni, con un coinvolgimento di organizzazioni non governative e non profit,rappresentanti degli interessi organizzativi e talvolta dalle stesse autorità pubbliche e digoverno.Per citare qualche esempio possiamo riferirci all’esperienza di Accountability 1000 nel RegnoUnito e il Sigma Project a cui partecipò il governo Blair.

In Germania troviamo per esempio il Values Management System sviluppato attornoall’Universit{ di Costanza (Wieland 2003).

In Spagna  Aenor  e in Francia  Afnor  sono stati proposti standard per la CSR sul modello disistemi per la Qualit{. L’associazione degli Ethics officer USA ha avviato nel 2000 un progettoper proporre al comitato dell’ISO statunitense (BCMS ) di definire uno standard per l’etica e laresponsabilità sociale.

 Alcuni progetti italiani

Come sottolinea Sacconi, per una volta in Italia non abbiamo ritardi. Troviamo infatti progetticome:

  la definizione dello standard GBS per i bilanci sociali, reso pubblico nella primavera del2001;

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  il progetto Q-RES per la definizione di uno standard di qualità per i sistemi di gestionevolti a garantire la responsabilità etico-sociale delle imprese, che ha portatonell’ottobre del 2001 alla pubblicazione delle Linee guida per il management e quindialla elaborazione di una Norma Q-RES certificabile per li miglioramento delle prestazioni etico-sociali delle organizzazioni;

  il progetto europeo REBUS (RElationship between Business & Society), a cui hannopartecipato dei patner italiani, francesi e tedeschi. Tra quelli italiani: ISTUD di Stresa eMilano, Formaper di Milano e Sfera Formazione di Bologna. Scopo principale delprogramma era diffondere a livello europeo le “best practices” nell’area CSR,indagando le modalità con cui la CSR viene percepita e implementata dal management delle aziende europee;

  il progetto lanciato nel 2002 dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, incollaborazione con l’Universit{ Bocconi di Milano, che intendeva sviluppare unmodello italiano di riferimento per la CSR.

Molte di queste ed altre iniziative, che nascono nella forma dell’autoregolamentazione o dibest practices da parte delle imprese, hanno trovato eco nel Green Paper  (2001) e poi nellacomunicazione (2002) della Commissione Europea.

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Si calcola che circa il 15-20 % del tessuto utilizzato nella produzione di abbigliamento finiscanelle discariche. Gli esperti della “moda a zero rifiuti” hanno ipotizzato la progettazione dimodelli di abbigliamento che utilizzano ogni parte del tessuto. Tra I primi a partecipare

all’iniziativa troviamo la Parsons New School for Design che secondo quanto riportato dalTimes affiancherà I principi della sostenibilità alla moda.

Negli ultimi anni l’attenzione nei confronti dell’ambiente è cresciuta notevolmente ed èdiventata un valore importante per gli operatori di svariati settori. La moda si fa sempre piùecologica: gli stilisti scelgono di impegnarsi sul discorso ambiente utilizzando materialiecocompatibili per i loro prodotti. La parola d’ordine sembra essere sempre più: “ridurrel’impatto sociale e ambientale del lusso, dello sport e della moda”.

Ecco perchè il PPR Group -uno dei più grandi gruppi di moda a livello mondiale, di cui fannoparte marchi come Gucci, Puma, Yves Saint Laurent e Stella McCartney -sta intensificando il

suo programma di corporate social responsibility grazie anche al lancio di PPR Home, unalinea di prodotto sostenibili con il suo marchio. 

Il PPR Group ha intenzione di lavorare per ridurre e attenuare il suo impatto sull’ambiente,come spiegò Francois-Henri Pinault , amministratore delegato del gruppo, in un comunicatostampa:

“ La mia profonda convinzione che la sostenibilità crea valore è parte della miavisione strategica per il PPR. La sostenibilità può – e deve – fare emergere nuovimodelli di business e diventare una leva di competitività per i nostri marchi. PPRHOME ci fornirà nuovi approcci più sostenibili per contribuire a un mondo migliore

 per il lungo termine.”  Vi sono già state delle sfilate  green, in cui alcuni prodotti erano davvero ecologici, come adesempio la borsa Puma fatta con le tute dei lavoratori riciclate, il cappotto di Stella McCartneyfatto con lana biologica o le nuove buste di Gucci fatte con carta riciclata.

Un altro importante esempio da riportare è quello di Adidas, uno dei colossi del mondo dellosport che come molte altre multinazionali si trova spesso sotto l’attenzione degli ambientalisti

per pratiche di produzione non sempre eco-friendly .Adidas ha l’obbiettivo didiventare una società ad emissioni zero intorno al 2015.Sono già stanti apportati alcuni cambiamenti significativi verso questa direzione:

  il taglio nell’utilizzo di energia del 20%,  il taglio complessivo del 30% delle emissioni di carbonio grazie

all’approvvigionamento di energia pulita;   la riduzione del consumo di carta del 50%

L’obiettivo al 2012 è rendere il 100% delle calzature Adidas ed il 20% dei prodotti diabbigliamento sportivo in parte o completamente costituiti da materiali sostenibili. 

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Inoltre ha recentemente intrapreso un nuovo progetto che è stato battezzato The SustainableManufacturing Initiative (iniziativa per la produzione sostenibile) con l’Universit{ RMIT diMelbourne in Australia. L’universit{ ha firmato un contratto di ricerca per 207.000 dollari(circa 150 mila euro) con il colosso dello sport, per identificare la capacità di pratichesostenibili per le produzioni in Indonesia. Il progetto vedrà impegnati ricercatori in tecnologia

dello sport, sviluppo sostenibile, produzione sostenibile, energia sostenibile e gestione dellacatena di rifornimento dei tessuti. 

La RMIT ha alle spalle una lunga esperienza nella progettazione sostenibile, soprattutto grazieal suo centro dedicato che ha sperimentato molte iniziative di eco-design ed ha fornito unagrande quantit{ di ricerche nei settori dell’industrial green design, sui materiali dacostruzione, gestione e smaltimeno dei rifiuti, del ciclo di vita e altro ancora. Ha inoltrerealizzato numerose pubblicazioni sul green design.

William Anderson, responsabile degli affari sociali e ambientali per l’area Asia-Pacifico per ilGruppo Adidas, ha dichiarato ciò in un comunicato stampa:

“ La RMIT ha assicurato questo successo in base ai loro punti di forzanell’ingegneria, nella profondit{ di comprensione dei processi di produzione

sostenibili e per il costante impegno per l’istruzione nella regione, che èesemplificato dai loro campus in Vietnam” .

Il comunicato stampa allude anche alla possibile creazione di un Istituto regionale di produzione sostenibile con lo scopo di fornire una formazione standard per le operazioni difabbricazione in Indonesia, Cina e Vietnam, per una possibilità che potrebbe essereconsiderata in una fase finale del progetto.