1946-2006 Sessant'anni per i bambini

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1946–2006 Sessant’anni per i bambini

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Un viaggio attraverso le tappe fondamentali dell'UNICEF per celebrare il 60° anniversario dell'organizzazione e tracciare il lavoro portato avanti dalla fine della Seconda guerra mondiale.

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Questo percorso storico celebra il 60° anniversario

dell’UNICEF e traccia, decade dopo decade, come

la causa dell’aiuto all’infanzia si è evoluta a livello

internazionale dopo la Seconda guerra mondiale.

Esamina il contributo dell’UNICEF nell’affrontare i rapidi

cambiamenti politici, sociali ed economici, e guarda al

2015, il termine per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo

del Millennio che trasformeranno la vita di milioni di

bambini.

I primi quattro capitoli sono stati originariamente

pubblicati ne La condizione dell’infanzia nel mondo 1996 e

sono stati rivisti e revisionati per questa pubblicazione. Il

materiale presentato in questi capitoli è tratto da ricerche

storiche sull’UNICEF, scritte da Maggie Black e incluse

nei suoi libri Children First: The Story of UNICEF; Past and

Present (Oxford University Press, 1996) e The Children

and the Nations: The Story of UNICEF (UNICEF, 1986).

Ringraziamenti

Indice 3 Prefazione

4 1946 –1959 UNICEF: L’agenzia per

l’infanzia

10 1960 –1979 Le decadi dello sviluppo

16 1980 –1989 Sopravvivenza e sviluppo infantile

22 1990 –1999 Il riconoscimento dei diritti dell’infanzia

28 2000 –2006 Bambini: il centro degli

Obiettivi di sviluppo del Millennio

34 Guardare avanti Uniti per i bambini

Condizione dell’infanzia nel mondo Rapporto speciale

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3SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

L’UNICEF è nato dalle ceneri e dalle macerie della Seconda guerra

mondiale. Sin dalla sua creazione, nel 1946, l’UNICEF ha lavorato

instancabilmente per migliorare la vita dei bambini proteggendoli dai

pericoli, curandoli dalle malattie e fornendo loro cibo e l’opportunità di

imparare e di realizzare appieno il loro potenziale.

La sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo dell’infanzia sono imperativi universali al centro

degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, fondamentali per il progresso umano nel prossimo

decennio. L’UNICEF è impegnato a realizzare questi obiettivi per ogni bambino. Questa

pubblicazione racconta l’attività dell’organizzazione negli ultimi sei decenni – i suoi successi e

le sue battaglie – in un mondo in continua evoluzione.

Oggi, mentre la violenza, la povertà, le malattie e gli abusi mettono a rischio la vita di milioni

di bambini, vi invito a ripensare alle conquiste del passato, con uno sguardo alle sfide presenti

e future. Queste pagine riflettono il nostro impegno e le nostre speranze, nonché la nostra

determinazione a lavorare assieme agli altri per creare un mondo a misura di bambino.

Ann M. Veneman

Direttore generale

Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia

Prefazione

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4 SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

Quella dell’UNICEF è la storia di infanzie perdute e ritrovate, di bambini curati e protetti. È la storia di quanto bene è possibile fare quando ci si unisce per tutelare i diritti dei cittadini più giovani e più vulnerabili.

È anche la storia di un’organizzazione la cui nascita è stata un evento casuale. L’istituzione delle Nazioni Unite nel 1945 ha rappresentato la realizzazione di un ideale di cooperazione internazionale, il cui sprone immediato era stato la distruzione provocata dalla Seconda guerra mondiale, ma che era già incoraggiato dal desiderio di promuovere la pace nel mondo. Tuttavia, l’idea di creare un’organizzazione speciale per l’infanzia nella costellazione delle nuove istituzioni non esisteva.

Nell’inverno del 1946-1947 milioni di persone in Europa non avevano ancora alloggi adeguati, combustibile, indumenti o cibo. Soffrivano soprattutto i bambini: in alcune zone colpite, la metà dei bambini moriva prima di compiere un anno. Gli Alleati, prevedendo la

L’11 dicembre 1946 la comunità mondiale definisce una nuova etica della

protezione e la cura dei bambini, istituendo il Fondo Internazionale di Emergenza

delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) come risposta ai milioni di bambini

sfollati e rifugiati che la Seconda guerra mondiale aveva privato di alloggi,

combustibile e cibo. Nei 15 anni successivi l’UNICEF si trasforma da fondo

di emergenza ad agenzia di sviluppo impegnata ad affrontare la fame, a

combattere le malattie e a difendere i diritti dell’infanzia in tutto il mondo.

1946–1959Aiutarei bambini a guarire dalle ferite della guerra. Bergen-Belsen,Germania.

Estenderei soccorsi a tutta l’Europa e all’Asia. Cina.

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distruzione su vasta scala provocata dalla fine della guerra, nel 1943 avevano istituito l’Amministrazione delle Nazioni Unite per l’Assistenza e la Ricostruzione (UNRRA) per garantire gli aiuti.

Durante l’ultima assemblea dell’UNRRA, tenutasi a Ginevra nel 1946, si levarono molte voci sul destino dei bambini dell’Europa. Ludwik Rajchman, il delegato polacco, levò energicamente la sua voce e l’assemblea accettò la sua proposta di dedicare le risorse residue dell’UNRRA ai bambini tramite un fondo di emergenza per l’infanzia delle Nazioni Unite, un “ICEF”. Rajchman è pertanto considerato il fondatore dell’UNICEF. Il Direttore generale designato, Maurice Pate, pose come condizione per la sua carica che non ci fossero imposizioni circa la destinazione degli aiuti (soprattutto latte in polvere), insistendo che l’UNICEF sostenesse egualmente i bambini dei paesi vinti e vincitori. Successivamente, l’11 dicembre 1946, con una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU, la numero 57(I), fu fondato l’UNICEF.

Alcuni dei primi programmi più importanti sostenuti dall’UNICEF furono istituiti nei paesi dell’Europa orientale – Polonia, Romania, l’allora Jugoslavia e Germania – alla fine degli anni Quaranta.

L’UNICEF ha fornito assistenza a entrambe le fazioni della guerra civile in Cina e in Grecia e ha inviato aiuti

anche ai bambini colpiti dal conflitto in Medio Oriente.

L’UNICEF era stato istituito per aiutare i bambini che avevano subito i danni della guerra, ma rimase in vita per assumere un ruolo molto più ampio. Sebbene gli Stati membri dell’ONU non intendessero prolungare l’esistenza dell’UNICEF oltre l’emergenza del dopoguerra, inserirono comunque nella risoluzione costituente la frase “per la salute dei bambini, in generale”. Questa indicazione avrebbe in seguito consentito all’UNICEF di svolgere un ruolo permanente nel gestire l’impegno su vasta scala per controllare e prevenire le malattie che colpiscono i bambini.

Quando, nel 1950, per l’ONU giunse il momento di chiudere il proprio “ICEF”, nacque una lobby per salvarlo. Questa volta furono le nuove nazioni del “mondo in via di sviluppo” a levare la voce. Come si poteva considerare concluso il compito dell’azione internazionale per l’infanzia, chiese il delegato del Pakistan, quando così tanti milioni di bambini dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina pativano la fame e le malattie non a causa della guerra, ma dell’annoso problema della povertà? Ancora una volta l’appello non rimase inascoltato. Nel 1953 l’Assemblea generale confermò l’organizzazione quale istituzione permanente del sistema delle Nazioni Unite. Questo segnò il primo punto di svolta nella storia dell’UNICEF.

1946–1959 UNICEF: L’Agenzia per l’infanzia

Fornireassistenza a partire dai generi di prima necessità. Grecia.

1953L’UNICEF diventa un’agenzia perma-nente. Latte fornito dall’UNICEF, Guatemala.

1948L’UNICEF fornisce aiuti a 500.000 bambini palestinesi sfollati.

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A quell’epoca, l’UNICEF aveva eliminato le parole “internazionale” ed “emergenza” dal suo nome, diventando semplicemente Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (pur mantenendo l’acronimo originario). Non abbandonò mai i bambini in una crisi – quelli colpiti dalla guerra, dai conflitti, dalla siccità, dalla carestia o da qualsiasi altra emergenza. Tuttavia la sua missione si estese quando l’era post-coloniale presentò una nuova sfida per l’UNICEF.

Alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta i venti del cambiamento spazzarono via gran parte dei regimi coloniali che erano sopravvissuti in Africa e nei Caraibi. Alle Nazioni Unite il presidente John F. Kennedy chiese che si mettesse fine alla povertà con la nuova espressione “nel mondo in via di sviluppo”. L’UNICEF accettò quella sfida nell’interesse dei bambini. Questo segnò il secondo punto di svolta nella storia dell’UNICEF.

L’era dello “sviluppo” ha ridefinito la causa dell’infanzia. Prima, l’infanzia era considerata come un oggetto di interesse prettamente umanitario e assistenziale – come i bambini poveri o in difficoltà – di cui bisognava prendersi cura o che necessitava di ulteriore sostegno. Come i profughi, gli anziani e i disabili, i bambini venivano considerati un gruppo speciale. Tuttavia, nella nuova ottica dello sviluppo, i bambini non erano più una causa a sé, ma facevano parte di tutte le cause. Tra gli affamati, gli ammalati, i malnutriti, i senzatetto, gli analfabeti e gli indigenti

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c’erano sempre dei bambini. E, a meno che non fossero orfani o abbandonati, i bambini non potevano essere considerati separatamente dai genitori e dalle famiglie, e soprattutto dalle madri.

In quest’ottica, una missione in difesa dell’infanzia non era più efficace e autosufficiente. Prestare sostegno alle nazioni perché aiutassero i loro bambini richiedeva un impegno in molti settori. Sicuramente comportava la creazione di servizi che aiutassero direttamente i bambini, come l’assistenza sanitaria per le madri e i bambini, l’assistenza alla prima infanzia e l’istruzione primaria. Ma richiedeva anche la fornitura di servizi che non fossero destinati esclusivamente ai bambini, come l’acqua e i servizi igienico-sanitari, la bonifica urbana e delle bidonville e facilitazioni creditizie per donne imprenditrici.

Tutto ciò interessava anche le politiche. Le questioni che influivano sulla comunità nel suo insieme, come l’agricoltura, l’industrializzazione, la crescita demografica, i diritti delle donne, il degrado ambientale e l’urbanizzazione, avevano effetti anche sui bambini. L’elenco continuava ad allungarsi per includere il debito nazionale, l’aggiustamento strutturale e la transizione del dopo guerra fredda.

La risposta dell’UNICEF ai problemi dell’infanzia si trasformò in una spinta verso lo sviluppo e nel tentativo di eliminare la povertà. Tuttavia l’UNICEF sosteneva che, nell’ambito di questo obiettivo più

1954L’attore americano Danny Kaye diventa Ambasciatore generale dell’UNICEF. Thailandia

1959L’ONU adotta la Dichiarazione dei diritti del fanciullo. Un test per la tubercolosi, India.

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UNICEF: 60 YEARS UNITED FOR CHILDREN

ampio, bisognava distinguere i bambini in quanto erano più profondamente colpiti dalla povertà. In effetti, erano il barometro più sensibile della povertà.

GLI ANNI CINQUANTA: LE CAMPAGNE DI MASSA CONTRO LE MALATTIE

L’inserimento della frase “per la salute infantile, in generale” nella risoluzione che istituiva l’UNICEF, ha spianato la strada per la partecipazione dell’organizzazione non solo all’alimentazione infantile, ma anche alla salute pubblica.

Durante la Seconda guerra mondiale e nel periodo successivo, l’incidenza delle malattie era aumentata vertiginosamente nelle popolazioni debilitate. In particolare, una forma di tubercolosi, la “peste bianca”, aveva assunto proporzioni epidemiche. In Polonia, per esempio, durante la guerra il tasso di mortalità da tubercolosi nei bambini era quadruplicato.

Nel 1947 le società scandinave della Croce Rossa avevano chiesto aiuto all’UNICEF per una campagna internazionale contro la tubercolosi per immunizzare tutti i bambini europei che non erano stati ancora infettati. Questa sarebbe stata la più grande campagna di vaccinazione mai organizzata e anche la prima a usare il vaccino di Calmette-Guérin (BCG) fuori delle condizioni controllate degli ospedali.

La Campagna internazionale contro la tubercolosi segnò il coinvolgimento dell’UNICEF nell’assistenza sanitaria, oltre all’alimentazione infantile di emergenza. In effetti, mentre gli anni Quaranta cedevano il passo agli anni Cinquanta, il tema principale delle campagne internazionali di salute pubblica era la lotta per controllare o debellare le epidemie. Queste campagne sono state una delle prime, e sicuramente più spettacolari, estensioni allo sviluppo dell’assistenza internazionale legata alla guerra. Hanno anche modificato le priorità dell’UNICEF, che ha esteso i propri programmi a paesi del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e orientale, al Pacifico, all’America latina e ai Caraibi, e ha spostato la propria attenzione dagli aiuti di emergenza per l’infanzia all’assistenza sanitaria preventiva a lungo termine.

U no degli aspetti che fanno dell’UNICEF un’organizzazione unica nel suo genere all’interno del sistema delle Nazioni Unite è la sua rete di 37 Comitati

nazionali, che ha strenuamente sostenuto e promosso l’attività dell’organizzazione volta a migliorare la vita dei bambini.

Il primo è stato il Comitato Statunitense, istituito nel 1947. Quando i paesi europei hanno iniziato a riprendersi dalle devastazioni della Seconda guerra mondiale, sono nati i Comitati nazionali del Belgio, della Germania, dei paesi scandinavi, dell’Italia, dell’Olanda e del Regno Unito, tra gli altri. Oggi, i Comitati nazionali esistono in tutta l’Europa, oltre che in Australia, Hong Kong, Israele, Giappone, Nuova Zelanda e nella Repubblica di Corea.

Ogni Comitato ha la propria struttura: alcuni sono totalmente indipendenti dai loro governi; altri sono praticamente delle sottodivisioni del ministero degli Affari esteri. Nonostante queste caratteristiche peculiari, tutti i Comitati nazionali hanno una missione comune: promuovere e rappresentare la voce dell’UNICEF nel paese in cui operano, sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dei bambini nel mondo in via di sviluppo e raccogliere fondi per i programmi dell’UNICEF.

Durante i primi anni di attività, i Comitati nazionali hanno concentrato la maggior parte dell’impegno nella vendita di biglietti augurali e nella creazione di reti di gruppi di sostegno di volontari. In seguito si sono impegnati in campagne più estese, come quella del 1959 “Libertà dalla Fame” che ha avuto molto successo e la più famosa “Trick-or-Treat for UNICEF” (Dolcetto o scherzetto per l’UNICEF). Più di recente, i Comitati hanno continuato a evolversi e a diversificarsi. Hanno avuto un ruolo cruciale nel convincere i governi a ratificare la Convenzione sui diritti dell’infanzia, hanno guidato il movimento contro le mine antiuomo e hanno recentemente coordinato il lancio della campagna Uniti per i Bambini. Uniti contro l’AIDS nell’ottobre 2005.

Durante gli anni Novanta l’importanza crescente del volontariato non governativo, accompagnata dal moltiplicarsi di situazioni di emergenza, ha determinato un aumento sostanziale della percentuale globale di fondi forniti all’UNICEF dai Comitati e da altri partner del settore privato. Tra il 1990 e il 1992, i contributi dei Comitati nazionali e delle Ong sono aumentati del 40 per cento, ovvero di oltre 80 milioni di dollari USA. Nel 1994 le entrate non governative provenienti da Comitati, biglietti augurali e settore privato sono state di 327 milioni di dollari USA, sulle entrate totali dell’UNICEF di 1 miliardo di dollari USA, con il risultato che, nel momento in cui gli aiuti multilaterali diminuivano, le entrate dell’UNICEF aumentavano.

Il contributo finanziario dei Comitati continua a essere cruciale. In effetti, nel 2005, hanno contribuito con il 37 per cento alle entrate totali dell’UNICEF. Mentre i destinatari principali dei fondi raccolti dai Comitati sono sempre stati i bambini dei paesi in via di sviluppo, i beneficiari delle loro ingegnose campagne e del materiale di advocacy sono stati un gruppo più folto che comprende i bambini e gli insegnanti dei loro paesi.

I Comitati nazionali sono partner impegnati e instancabili della lotta per garantire i diritti di tutti i bambini. Il loro impegno raggiunge il cuore e la mente di milioni di persone, motivandole a offrire il proprio tempo e il proprio denaro per aiutare l’UNICEF a realizzare la sua missione.

I Comitati nazionali

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Eliminare la framboesia

La malattia a essere eliminata per prima e in maniera più sensazionale tramite una campagna di massa è stata la framboesia. Questa malattia dolorosa, diffusa da un microrganismo, poteva provocare invalidità totale. Era presente nelle zone rurali povere e remote dei paesi tropicali e si poteva contrarre attraverso le lesioni cutanee. All’inizio degli anni Cinquanta si riteneva ci fossero circa 20 milioni di casi in tutto il mondo, la metà dei quali in Asia. L’invenzione della penicillina consentì di curare questa malattia. Bastava una sola iniezione per far scomparire le brutte lesioni rosacee e poche altre per eliminare completamente l’infezione dall’organismo.

La campagna contro la framboesia, alla quale l’UNICEF partecipò più attivamente, si svolse in Indonesia. Squadre mobili di operatori sanitari laici individuavano i casi e i medici li curavano. Nel 1955 queste squadre curavano oltre 100.000 casi di framboesia al mese.

D urante i primi anni di vita dell’UNICEF, raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione difficile dei bambini era fondamentale perché

l’organizzazione riuscisse a cambiare in maniera tangibile le loro vite. L’impegno e l’ottimismo che hanno alimentato quei primi anni hanno spinto molte persone di talento e piene di risorse ad abbracciare la causa dell’UNICEF. Danny Kaye, il famoso attore e comico americano, è forse il più conosciuto di questi sostenitori.

Il reclutamento di Danny è stato il risultato di un incontro casuale tra lui e l’allora Direttore generale Maurice Pate a bordo di un volo da Londra a New York. L’aereo prese fuoco mentre sorvolava l’Atlantico e, mentre veniva riportato in Irlanda per le riparazioni, Maurice Pate parlò a Danny Kaye dell’UNICEF.

L’attore, la cui fama era diffusa per la sua straordinaria capacità di far ridere i bambini, fu affascinato da quello che aveva sentito e, pochi mesi dopo, accettò di interrompere le sue vacanze in Asia per visitare alcuni progetti sulla salute e la nutrizione. Gli fu proposto di portare una macchina da presa e una squadra per filmare il suo incontro con i bambini. La Paramount Pictures si offrì di finanziare il progetto, di distribuire il film e di donarne i profitti all’UNICEF. Prima della sua partenza per questo viaggio, Danny era stato nominato Goodwill Ambassador dell’UNICEF. Fu la prima missione diplomatica di questo genere e il film, Assignment Children, ebbe un successo strepitoso. Portò Danny sulla buona strada

per diventare la celebrità più famosa a sostenere la missione dell’UNICEF e a far conoscere il nome dell’UNICEF a milioni di persone di tutto il mondo.

Danny Kaye rimase in carica come Goodwill Ambassador dell’UNICEF dal 1953 fino alla morte, nel 1987. Molte altre celebrità – musicisti, attori, atleti – hanno seguito le sue orme. Sir Peter Ustinov fu nominato Goodwill Ambassador nel 1968 e svolse questo ruolo con passione fino alla morte, nel 2004. Liv Ullmann divenne la prima donna Ambasciatrice nel 1980. Audrey Hepburn fu nominata alla fine degli anni Ottanta e compì diversi viaggi nei paesi dell’Africa colpiti dalla carestia. Dopo la sua morte, nel 1993, fu istituito l’Audrey Hepburn Memorial Fund per aiutare i bambini africani durante le crisi. Altri artisti famosi che hanno contribuito con il loro talento, il loro tempo e impegno all’organizzazione sono Harry Belafonte, Roger Moore, Vanessa Redgrade, Angelique Kidjo, David Beckham, Shakira, Roger Federer, Jackie Chan e molti altri.

Questi artisti posseggono doti diverse e hanno avuto successo in campi diversi, ma ciò che li accomuna è il loro impegno a migliorare la vita dei bambini di tutto il mondo, rivolgendosi alle persone che hanno il potere di effettuare i cambiamenti. Usano il loro talento e la loro fama per raccogliere fondi, per difendere i bambini e per sostenere la missione dell’UNICEF di garantire a ogni bambino il diritto a salute, istruzione, uguaglianza e protezione.

Analogamente, in Thailandia, furono curati quasi un milione di casi e l’eliminazione della framboesia in Asia divenne una grande possibilità. Le campagne contro la framboesia continuarono a fare grandi progressi durante tutti gli anni Cinquanta. Poche malattie hanno subito un attacco simile in un periodo così breve. Alla fine del 1958, in tutto il mondo erano stati curati 30 milioni di casi di framboesia.

Combattere la tubercolosi, il tracoma e la malaria

L’eliminazione della framboesia fu di incentivo ad altre campagne, compresa una nuova campagna contro la tubercolosi. A metà degli anni Cinquanta, in tutto il mondo, 3,5 milioni di bambini avevano fatto il test per la tubercolosi e oltre un milione erano stati vaccinati. Anche il tracoma era sotto attacco. Questa infezione oculare, che colpiva fino a 400 milioni di persone in tutto il mondo, fu trattata su vasta scala con una pomata antibiotica.

I Goodwill Ambassador

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della framboesia, era felice di collaborare per le campagne contro le malattie. Molte di queste ebbero un notevole successo, il più importante dei quali fu la completa eliminazione del vaiolo. Ma, nel caso di altre malattie, quando la gente non vedeva la cura funzionare altrettanto rapidamente, era meno disposta a modificare le proprie abitudini. La malaria fu una delle sfide può ardue.

La massiccia campagna contro la malaria lanciata nel 1955 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF, alla fine fallì perché i suoi artefici avevano giudicato male la volontà, sia degli esseri umani sia delle zanzare portatrici della malaria, di vivere, mangiare, dormire e, in generale, comportarsi secondo presupposti tecnici. Alla fine, chi combatteva la malaria fu costretto ad accettare che senza servizi di base che sostenessero e consolidassero i loro risultati, sarebbe stato pressoché impossibile “imporre” la salute alla popolazione, a meno che questa non fosse geograficamente circoscritta come, per esempio, in un campo profughi. Tuttavia ci sarebbe voluto almeno un altro decennio perché imparassero la lezione.

Sostenerela lotta globale contro la malaria. Un operatore sanitario nebulizza insetticida contro le zanzare. Ecuador

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Un’altra priorità era la malaria. A metà del secolo questa malattia aveva raggiunto l’incidenza più alta con oltre 200 milioni di decessi all’anno in tutto il mondo. La malaria fu contenuta grazie al DDT, una potente sostanza chimica.

L’entusiasmo generato dalla capacità di combattere le malattie con interventi tecnici si estese alla denutrizione. Quando le indagini condotte all’inizio degli anni Cinquanta rivelarono che la denutrizione era diffusa tra i bambini del continente africano, gli esperti internazionali di sanità pubblica, reduci dalla vittoria sulle altre malattie, si comportarono come se anche la denutrizione fosse un’epidemia. La etichettarono con termini medici – kwashiorkor e marasma – e la curarono con le proteine. Una delle proteine più pratiche era il latte. L’UNICEF era ancora molto impegnato nell’alimentazione infantile e durante i primi due decenni della sua esistenza la fornitura di latte era al centro del suo impegno per la nutrizione infantile.

Le campagne di massa contro le malattie riuscirono indubbiamente a ridurre i tassi di infezioni sia nei bambini che negli adulti. Nello Sri Lanka (ex Ceylon) per esempio, tra il 1945 e il 1960 il tasso di mortalità da malaria scese da 1.300 per milione a zero. Infatti, il successo delle campagne era stato tale che nel corso del decennio successivo, a volte furono accusate di avere provocato un’esplosione demografica. Tuttavia, come stava dimostrando l’esperienza, le campagne non erano così perfette come suggeriva la loro immagine pubblica.

I responsabili delle campagne avevano sottovalutato le difficoltà operative e umane che avrebbe comportato il mantenimento della rete di sostegno necessaria per continuare a curare efficacemente le malattie. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’ammirazione eccessiva per la tecnologia e per le “soluzioni tampone” aveva indotto gli entusiasti internazionali della salute pubblica a credere che, con risorse sufficienti, un migliore controllo epidemiologico e il perfezionamento delle strategie, avrebbero potuto vincere le malattie. Come le loro controparti di altre discipline, gli esperti di salute pubblica erano nuovi alle sfide dello sviluppo.

Quando la gente assisteva alla rapida scomparsa dei sintomi dolorosi di una malattia, come nel caso

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Agennaio del 1961 le Nazioni Unite stabilirono che gli anni Sessanta sarebbero stati la Decade dello Sviluppo. I tempi stavano indubbiamente cambiando. I paesi del mondo in via di sviluppo che si stavano rapidamente decolonizzando iniziavano a imporsi sulla scena internazionale. Cominciava una nuova era di

alleanze tra le nazioni. In questo nuovo modello, il fatto che una parte dell’umanità vivesse dignitosamente, mentre l’altra viveva in miseria, era considerato moralmente inaccettabile. Ma c’era anche una motivazione strategica: nello scontro ideologico tra est e ovest, la promessa di alleviare la povertà era uno strumento usato per costruire alleanze.

Mentre i nuovi paesi si avviavano verso la libertà – solo nel 1960, 17 ex colonie dell’Africa avevano ottenuto l’indipendenza – si viveva in un clima di esaltazione e di speranza. I paesi in via di sviluppo che si erano disfatti del colonialismo, ora avevano bisogno di liberarsi dalla povertà. Per far ciò, avevano bisogno dell’aiuto dei loro vicini più ricchi sotto forma di fondi e di competenze tecniche per avviare la loro industrializzazione. Fu

1960–1979

Mentre il mondo si concentra sullo sviluppo sociale ed economico, l’UNICEF

afferma il proprio ruolo di agenzia mondiale con una vasta esperienza concreta sul

campo, che gestisce programmi per l’infanzia e fornisce ai paesi aiuti concreti, come

mezzi di trasporto, vaccini e forniture scolastiche. Nel 1965, l’UNICEF vince il Premio

Nobel per la Pace per il suo impegno a favore delle vittime dei conflitti armati.

Il periodo si conclude con l’Anno Internazionale del Bambino nel 1979, durante il

quale l’UNICEF è l’agenzia principale che risponde all’emergenza in Kampuchea.

1962 Assistere il bambino “nella sua interezza”: nutrizione, salute, famiglia e istruzione. Birmania,(poi Myanmar).

1965L’UNICEF destina metà del suo bilancio per l’Africa all’istruzione. Nigeria.

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Le decadi dello sviluppo

così che nacque la spinta allo sviluppo, un concetto che, assieme ad altre nozioni più convenzionali di investimento economico, comprendeva un certo grado di fervore morale e umanitario.

LE FRONTIERE DELLO SVILUPPO Alla fine degli anni Cinquanta, le Nazioni Unite avevano iniziato ad adeguare le proprie istituzioni per affrontare la sfida dello sviluppo. L’ONU disponeva già di competenze tecniche nelle sue agenzie specializzate, ma aveva anche bisogno di un meccanismo per incanalare le risorse finanziarie. Nel 1957 l’ONU aveva istituito un Fondo speciale per sostenere la crescita delle infrastrutture e l’industrializzazione, che si è trasformato nel Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).

Durante i primi anni Sessanta l’UNICEF aveva tentato di assorbire questo torrente di idee e di tracciare la propria linea d’azione. In questo fu guidato soprattutto da Dick Heyward, Vicedirettore generale e autorità intellettuale dal 1949 al 1981. Allo stesso tempo, l’UNICEF subiva la terza importante trasformazione della sua storia.

Il punto di svolta fu una ricerca speciale sui bisogni fondamentali dei bambini in tutto il mondo. L’indagine,

avviata dall’UNICEF nel 1960, durò un anno e si basò sui rapporti di altre agenzie specializzate dell’ONU riguardanti i bisogni dei bambini nelle loro rispettive aree di competenza: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (salute e nutrizione); la FAO (nutrizione); l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (occupazione e sostentamento); l’UNESCO (istruzione) e l’Ufficio della Nazioni Unite per gli Affari sociali (assistenza sociale). Il rapporto finale, Children of the Devoloping Countries rappresentò un nuovo inizio nel modo in cui le nazioni avrebbero aiutato i loro cittadini più vulnerabili.

Il rapporto combinava gli elementi sociali ed economici riguardanti il benessere dei bambini in un modo originale e innovativo e presentava una teoria dello sviluppo che sottolineava l’importanza di soddisfare i bisogni umani durante le varie fasi dell’infanzia e dell’adolescenza. In particolare, sosteneva che i bisogni dei bambini dovevano essere incorporati nei piani di sviluppo nazionali e che i bambini non dovevano essere trattati come gli orfani del processo di sviluppo o il suo bagaglio casuale, ma che dovevano essere al centro di tutte le politiche volte a costruire il “capitale umano” di un paese. Nello stesso modo in cui il motto “prima di tutto i bambini” si era diffuso durante il 20° secolo, in tempi di guerra e di disastri improvvisi, una nuova versione di questa massima fu enunciata nel contesto dello sviluppo.

1965Il Direttore generale dell’UNICEF Henry Labouisse: “Il benessere dei bambini di oggi è indissolubilmente legato alla pace del mondo di domani”. La consegna del Premio Nobel per la Pace all’UNICEF nel 1965, Norvegia.

1971Fornire alimenti supplementari ai rifugiati del Pakistan orientale (l’attuale Bangladesh). India.

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1975Viene inventata la pompa Mark II, trasformando la vita dei villaggi. India.

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Il nuovo concetto aveva avuto implicazioni importanti anche per le operazioni dell’UNICEF. I suoi rappresentanti non potevano più limitarsi a operare con le sotto-divisioni del ministero della Salute e il ministero dell’Assistenza sociale, ma dovevano lavorare con tutti i rami del governo. La situazione dei bambini doveva essere discussa nientemeno che con i ministri della Pianificazione nazionale. E, poiché gli interessi dei bambini dovevano essere presi in esame dagli istituti di ricerca e dalle attività di analisi e pianificazione, da quel momento in poi l’UNICEF avrebbe sostenuto tutte queste attività.

Un altro cambiamento importante fu quello di abbandonare l’idea che le necessità dei bambini fossero cose a sé. In futuro l’UNICEF avrebbe considerato i bisogni dei bambini assieme a quelli dei genitori e alle persone che se ne prendono cura, tenendo conto del ”bambino nella sua totalità” anziché trattarlo come un insieme di parti e occuparsi solo di quelle relative al benessere fisico. L’UNICEF decise che avrebbe dovuto occuparsi dei bisogni intellettuali e psicosociali del bambino. Il risultato immediato fu un cambiamento della sua politica, in base al quale l’UNICEF, per la prima volta e con grande soddisfazione dei paesi del mondo in via di sviluppo, si predispose a fornire fondi per l’istruzione formale e non formale dal 1961 in poi.

Come molti altri membri della comunità internazionale, negli anni successivi l’UNICEF si propose di dimostrare che i settori in cui operava erano al centro dello sviluppo. Questi comprendevano i campi tradizionali, come la nutrizione e l’assistenza sanitaria materna e infantile, ma anche nuovi settori come l’istruzione, le questioni femminili, l’acqua e i servizi igienico-sanitari. In questi campi, l’UNICEF poteva fornire aiuti concreti sotto forma di attrezzature, farmaci, veicoli e assegni di formazione. Tuttavia, in ambienti molto poveri, la consulenza tecnica era inutile senza i mezzi necessari per metterla in pratica.

Come gruppo, le agenzie umanitarie, compreso l’UNICEF, volevano che le famiglie comuni ricevessero benefici tangibili. Secondo la loro visione dello sviluppo, i bisogni dei poveri dovevano essere al primo

S ebbene la sua trasformazione in agenzia di sviluppo fosse già in atto, dall’inizio fino a metà degli anni Sessanta l’UNICEF continuò a essere attivamente impegnato a

fornire aiuti durante le calamità, rispondendo a crisi umanitarie come i terremoti del Marocco (1960) e della Jugoslavia di allora (1963), la guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo (1960-62) e la carestia del Bihar in India (1966-67). Alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta vi furono una serie di catastrofi che attirarono l’attenzione sul ruolo impareggiabile dell’UNICEF nelle emergenze.

Biafra—La prima di queste catastrofi fu la guerra civile in Nigeria del 1967-70. La crisi umanitaria provocata da questa guerra, durante la quale le forze federali assediarono la “repubblica” scissionistica del Biafra per due anni, lasciando morire di fame gli abitanti, pose le Nazioni Unite in grande difficoltà. Il suo mandato non gli consentiva di intervenire in una guerra civile senza il permesso del governo nazionale, che non era imminente. Malgrado anche l’UNICEF, in quanto agenzia delle Nazioni Unite, fosse tenuta ad aderire al principio del rispetto della sovranità, lo statuto particolare dell’organizzazione che le consentiva di fornire assistenza a tutti i bambini sulla sola base della necessità e il fatto che, in passato, aveva aiutato i bambini di entrambe le fazioni di un conflitto, offriva una possibilità di manovra. L’UNICEF fornì scorte e raccolse fondi ponendo come condizione che fossero usati per fornire assistenza alle popolazioni di entrambe le parti. Questo approccio ebbe successo e il governo nigeriano accettò la neutralità dell’UNICEF. Quando la resistenza dei ribelli fu finalmente piegata a gennaio del 1970 e l’intera popolazione del Biafra stava morendo di fame, l’UNICEF fu l’unica organizzazione internazionale a cui fu concesso di rimanere e fornire non solo aiuti di emergenza, ma anche di avviare il processo di ricostruzione.

Pakistan orientale (l’attuale Bangladesh)—A novembre del 1970 un ciclone di intensità straordinaria colpì la regione del delta dell’allora Pakistan orientale. Mezzo milione di persone annegarono, furono distrutte le coltivazioni su un milione di acri di terreno, le case, i pescherecci e il bestiame furono spazzati via dalla mareggiata. Oltre 4,5 milioni di persone furono colpite. Il contributo principale dell’UNICEF fu il ripristino delle forniture idriche. Quando si abbatté il ciclone, era appena arrivata l’attrezzatura per un vasto programma di costruzione di pozzi artesiani che fu usata per riparare e ricostruire oltre 11.000 pozzi nei mesi successivi.

Kampuchea (l’attuale Cambogia)—Nel 1979, l’esercito vietnamita aveva invaso e conquistato la Cambogia (l’allora Kampuchea), mettendo fine a quattro anni di regno del terrore instaurato dai Khmer Rossi e dal loro capo, Pol Pot. Il sovvertimento dell’agricoltura e della vita economica del paese durante il regime dei Khmer Rossi tra il 1975 e il 1978, esacerbato dall’invasione, aveva provocato una grave penuria di cibo, che minacciava di trasformarsi in carestia. Poiché il Vietnam aveva commesso un atto di aggressione contro il proprio vicino, al regime che si era installato a Phnom Penh fu negato il riconoscimento internazionale, sebbene fosse preferibile a quello che aveva sostituito. Pertanto, la maggior parte del sistema delle Nazioni Unite non poteva interagire con le autorità di Phnom Penh. Ma l’UNICEF aveva trovato il modo di aggirare l’ostacolo. Di conseguenza, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kurt Waldheim, si era rivolto all’UNICEF chiedendo all’organizzazione di agire da agenzia principale per l’intero sistema delle Nazioni Unite in Kampuchea. L’operazione di assistenza sia all’interno del paese che sul confine tra Thailandia e Kampuchea sarebbe stata gestita in collaborazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa. L’UNICEF continuò a svolgere il ruolo di agenzia principale delle Nazioni Unite in Kampuchea fino al 1981.

Leadership nelle emergenze

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posto e, nel caso dell’UNICEF, i bisogni dei bambini.Tuttavia, a metà del decennio, un’altra considerazione comparve all’orizzonte. I demografi avevano scoperto che le recenti riduzioni nei tassi di mortalità che non erano accompagnate da un rallentamento dei tassi di natalità stavano sconvolgendo le popolazioni dei paesi in via di sviluppo. L’aumento demografico che in Europa si era prodotto nel corso di tre secoli, in alcune parti dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina si stava verificando nel corso di 50-75 anni.

Durante un’assemblea tenutasi ad Addis Abeba nel 1966, il Comitato esecutivo dell’UNICEF scelse di sostenere il concetto di “maternità/paternità responsabile”, il cui obiettivo primario era migliorare la sopravvivenza, il benessere e la qualità della vita di ogni bambino, madre e famiglia. Il concetto prevedeva il miglioramento della condizione sociale delle donne (un’anticipazione della Conferenza del Cairo e di quella di Pechino), promuoveva l’alfabetizzazione, l’innalzamento dell’età del matrimonio e la prevenzione delle gravidanze indesiderate.

Nel 1965 all’UNICEF fu conferito il Premio Nobel per la Pace. Poco prima, nello stesso anno, era morto Maurice Pate, l’uomo che aveva guidato l’organizzazione sin dalla sua nascita. Al suo posto fu nominato Direttore generale Henry Labouisse. Sotto la sua attenta amministrazione, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia iniziò ad acquisire maggiore importanza nelle questioni del momento.

Ciononostante, soltanto nel 1972 l’ONU riconobbe che l’UNICEF era un’agenzia di sviluppo, anziché di assistenza e cominciò a esaminare la sua attività a livello sociale ed economico, piuttosto che umanitario.

GLI ANNI SETTANTA: L’EPOCA DELLE ALTERNATIVE

All’inizio degli anni Settanta il movimento per lo sviluppo si stava affievolendo. L’idea che il trasferimento di capitale e di conoscenze tecniche avrebbero rapidamente messo fine alla povertà grave si era rivelata errata. Nel corso del precedente decennio, molti paesi in via di sviluppo avevano raggiunto alti tassi di crescita economica, con aumenti del 5 per cento o più del prodotto interno lordo, ma soltanto una minima parte di questa crescita aveva avvantaggiato i poveri. Al contrario, il loro numero era aumentato, così come il divario tra persone ricche e povere e tra nazioni ricche e povere. In parte la colpa era degli alti tassi di crescita demografica, ma anche delle politiche basate su ipotesi semplicistiche. La sempre più numerosa comunità di analisti dello sviluppo collegati alle università, ai governi e alle organizzazioni internazionali iniziò subito a fare la diagnosi di ciò che non aveva funzionato e partì alla ricerca di alternative.

Questo segnò una nuova era di riflessione sullo sviluppo. Dal momento che la crescita economica non aveva automaticamente spazzato via la povertà,

1977Servizi di base e istruzione informale raggiungono i poveri dei centri urbani.Una baraccopoli, Perù.

1978I servizi per l’infanzia vengono correlati al ruolo delle donne.Una pompa a mano di una comunità locale, Bangladesh.

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gli esperti di sviluppo decisero che la seconda decade dello sviluppo doveva comprendere delle iniziative appositamente mirate ai poveri per aiutarli a soddisfare i loro bisogni fondamentali di cibo, acqua, alloggio, salute e istruzione.

Nel 1972 Robert McNamara, Presidente della Banca Mondiale, rilasciò una dichiarazione che fece storia. Disse che i governi dei paesi in via di sviluppo dovevano riformulare le loro politiche per soddisfare i bisogni del 40 per cento della loro popolazione più povera per sollevarla subito dalla povertà. La base della nuova strategia di sviluppo era un attacco deciso contro la povertà, anche se strutturato in modo da evitare prospettive economiche dannose. I suoi slogan economici erano “redistribuzione con la crescita” e “soddisfare i bisogni fondamentali”.

Le organizzazioni non governative (Ong), con i loro mini-progetti circoscritti, avevano già un rapporto familiare con i poveri. Anche l’UNICEF era avvantaggiato da questo punto di vista perché i suoi rapporti con le comunità erano molto più stretti di qualsiasi altra istituzione della gerarchia dell’ONU.

Nei primi anni Settanta ebbero luogo due eventi di particolare importanza per lo sviluppo internazionale. Uno fu lo shock petrolifero dell’Organizzazione dei

1978 I leader politici mondiali promettono solennemente “Salute per tutti”, impegnandosi ad assicurare l’assistenza sanitaria di base. Repubblica Araba di Siria.

Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) che fece salire vertiginosamente i prezzi e mise fine all’era dell’energia e dell’industrializzazione a buon mercato e, di conseguenza, dello sviluppo a buon mercato. L’altro fu la penuria globale di cibo provocata dalle annate disastrose per i raccolti in tutto il mondo nel 1972 e 1974.

Questi eventi ebbero forti ripercussioni sull’UNICEF. L’improvviso aumento del prezzo del petrolio si tradusse nell’aumento del prezzo dei fertilizzanti e delle attrezzature necessarie a incrementare la produzione agricola. La penuria di cibo nel mondo ebbe gravi implicazioni per la salute e il benessere dei 500 milioni di bambini che vivevano nei paesi definiti “più gravemente colpiti”. Nel 1974 il Comitato esecutivo dell’UNICEF dichiarò una “emergenza per i bambini”. Si riteneva che anche prima della crisi, circa 10 milioni di bambini in tutto il mondo avessero gravi carenze alimentari. Con l’aumento costante dei prezzi dei prodotti alimentari, anche la fame e la malnutrizione dei bambini erano destinate ad aumentare.

Sollecitato da Henry Labouisse e dal Vicedirettore generale Dick Heyward, l’UNICEF stava valutando la strategia di programma per i bambini più efficace in termini di costi. Nel 1975 il Comitato esecutivo dell’UNICEF esaminò i risultati di due studi importanti: uno sulle priorità per l’alimentazione infantile nel mondo in via di sviluppo e l’altro, condotto dall’OMS, sui metodi alternativi per soddisfare i bisogni sanitari fondamentali. Dalle loro conclusioni, assieme a quelle di uno studio precedente sull’istruzione, stava emergendo rapidamente una versione personale dell’UNICEF per un modo d’operare alternativo. Sarebbe diventato noto come approccio per i “servizi di base”.

GARANTIRE I BISOGNI DI BASE

Secondo l’UNICEF, lo sviluppo non raggiungeva gran parte dei poveri perché i servizi esistenti per la salute, l’istruzione e l’ampliamento dell’agricoltura erano modellati su quelli dei paesi industrializzati. I servizi esistenti riuscivano raramente a raggiungere i villaggi e quando lo facevano, di solito non erano collegati tra loro. Quel che è peggio, erano slegati da quelli che gli abitanti dei villaggi percepivano come bisogni.

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N el 1973, mentre le Nazioni Unite tentavano di limitare il numero di anni, decenni e anniversari internazionali e le costose conferenze internazionali che li

accompagnavano, il Canonico Joseph Moerman, Segretario generale dell’Ufficio Cattolico Internazionale del Bambino, decise di fare una campagna per l’anno internazionale del bambino.

Sebbene inizialmente accolta con scarso entusiasmo, grazie a un’intensa attività di lobbying, nel 1976 l’idea ottenne un sostegno massiccio da parte delle organizzazioni non governative e degli Stati membri dell’ONU. L’Anno Internazionale del Bambino (AIB) fu fissato per il 1979, l’anno in cui cadeva il 20° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’infanzia. Per questa celebrazione furono stabiliti tre obiettivi principali: tutti i paesi avrebbero dovuto effettuare una nuova valutazione della situazione dei propri bambini; avrebbero dovuto compiere nuovi sforzi per i bambini la cui situazione doveva essere migliorata; i paesi più ricchi avrebbero dovuto incrementare gli aiuti per i paesi che si trovavano in una fase di sviluppo meno avanzata.

Mentre fervevano i preparativi, l’idea di un anno che commemorasse i bambini iniziò a prendere piede. Una rete di 85 Ong istituì un comitato speciale per l’AIB nel 1977. Alla fine del 1979 contava migliaia di membri. Anche da parte dei governi la risposta fu altrettanto straordinaria. Gli ottimisti

prevedevano che una cinquantina di paesi avrebbero istituito commissioni nazionali per l’AIB; ad aprile del 1978 lo avevano già fatto oltre 70 paesi, e alla fine del 1979 ce n’erano 148.

Come parte delle attività per l’AIB, diversi governi nazionali fecero degli studi sulla condizione dei loro bambini, alcuni per la prima volta. Altri esaminarono questioni specifiche, come lo stato nutrizionale (Cina, Haiti, Oman); la polio (Malawi); la vaccinazione (Bhutan); i bambini di strada (Colombia); gli orfani (Ciad e Filippine); i bambini latchkey (bambini i cui genitori lavorano e, pertanto, hanno le chiavi di casa) (Regno Unito) e i bambini profughi (Finlandia). Alcuni paesi organizzarono campagne per togliere i bambini dalla strada e mandarli a scuola (Ghana, Kenya) e alcuni si concentrarono sull’assistenza ai disabili (Vietnam, Repubblica di Corea). I media organizzarono un’intera gamma di eventi per l’AIB: film, mostre, striscioni giganteschi, maratone televisive e serate di gala. L’elenco degli sforzi e dei risultati è lungo ed esauriente.

“L’Anno Internazionale del Bambino”, ha scritto Henry Labouisse in un rapporto pubblicato alla fine del 1979 sulla situazione dei bambini nel mondo in via di sviluppo, “non intendeva essere un punto culminante sul grafico del nostro interessamento per i bambini, ma piuttosto un punto di partenza dal quale il grafico avrebbe continuato a crescere”.

In alternativa, l’UNICEF propose una serie di servizi di base integrati, abbastanza flessibili per essere adottati da e all’interno delle comunità.

L’UNICEF formò e incentivò membri laici delle comunità a svolgere compiti semplici, come pesare i bambini, stimolare le attività dei primi anni di vita e la manutenzione ordinaria delle pompe a mano. Questi volontari erano quindi in grado di fornire i servizi locali. I pochi professionisti altamente qualificati che fino ad allora avevano svolto attività routinarie, furono adibiti a supervisionare il lavoro dei volontari. Questo rese possibile ampliare maggiormente i servizi senza costi aggiuntivi esorbitanti.

Nel 1978, durante una conferenza internazionale tenutasi ad Alma Ata, nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (attualmente, Almaty, Kazakistan), i ministri della Salute di tutti i paesi in via di sviluppo decisero di ristrutturare i propri sistemi di assistenza sanitaria per garantire “assistenza sanitaria di base” a tutti i cittadini. Il servizio cruciale era l’assistenza per le madri e i bambini prima e dopo la nascita. Oltre a questo, vi erano i servizi di pronto soccorso, il

monitoraggio della crescita dei bambini piccoli, il controllo delle malattie, la pianificazione familiare, l’acqua pulita e l’igiene ambientale. Come per i servizi di base, la gente comune avrebbe ricevuto anche cure preventive. Questa visione radicale si era posta un obiettivo ambizioso; la “salute per tutti entro l’anno 2000”.

Durante le prime due decadi dello sviluppo l’UNICEF aveva sostenuto che l’attività a favore dei bambini faceva parte di un movimento sociale ed economico molto più vasto. Ma questa enfasi sullo sviluppo e sulle altre questioni importanti del momento aveva un risvolto negativo. Significava che, anche nell’ambito della comunità umanitaria, i bisogni particolari dell’infanzia rischiavano di rimanere nascosti. Ansiose di riportare i bambini al centro dell’attenzione pubblica, le Ong che si occupavano dell’infanzia riuscirono a convincere l’ONU a dichiarare il 1979 l’Anno Internazionale del Bambino. L’UNICEF, che all’inizio era restio a impegnare le proprie energie in un evento celebrativo e probabilmente superficiale, alla fine fu convinto a svolgere una parte importante. L’Anno Internazionale del Bambino fu ben lungi dall’essere superficiale. Fu un grande successo. La causa dei bambini era a un altro punto di svolta.

L’Anno Internazionale del Bambino

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1980–1989

Con l’obiettivo di dimezzare i 15 milioni di decessi all’anno di bambini sotto i

cinque anni, l’UNICEF mobilita la comunità internazionale, i governi nazionali

e le organizzazioni non governative per impiegare quattro tecniche a basso

costo (note come GOBI): controllo della crescita; la reidratazione orale per

curare la diarrea; l’allattamento al seno per garantire la salute dei bambini

piccoli; l’immunizzazione contro sei malattie letali dell’infanzia. L’UNICEF lancia

il rapporto La condizione dell’infanzia nel mondo, come fiore all’occhiello e

piattaforma di advocacy.

Mentre stava per avere inizio la terza decade dello sviluppo, gli anni Ottanta, i paesi del mondo in via di sviluppo cominciavano ad avvertire i segni della recessione globale. Nei paesi industrializzati la crescita era rallentata e la disoccupazione aveva raggiunto livelli mai visti sin dagli anni Trenta. Questo

rallentamento aveva influito anche sui paesi in via di sviluppo e la sua principale conseguenza era stata una crisi del debito internazionale esplosa nel 1982, quando il Messico aveva smesso di pagare gli interessi su una montagna di debiti. Di conseguenza, molti paesi africani e latino-americani furono colpiti dalla recessione, oltre a ricevere direttive da parte dei paesi prestatori sulla ristrutturazione delle loro economie.

La situazione aveva implicazioni talmente gravi per i poveri, da ispirare uno slogan simile a quello della “Emergenza per i bambini” degli anni Settanta: “Aggiustamento dal volto umano”.

1981Raggiungere i bambini che vivono in strada. Brasile.

1982 La “Rivoluzione per la sopravvivenza infantile” viene lanciata con l’acronimo operativo di GOBI:

‘G’ come Growth (crescita), a indicare i servizi di monitoraggio della crescita. Benin.

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Sopravvivenza e sviluppo infantile

Tale concetto corrispondeva in maniera così convincente all’apprensione per quello che stava accadendo ai gruppi vulnerabili dei paesi in via di sviluppo, che entrò subito nel lessico dello sviluppo internazionale e spinse, nel vero senso della parola, l’UNICEF nella corrente delle politiche economiche e sociali.

Allo stesso tempo si intravedeva qualche segnale di speranza per la causa dell’infanzia. L’evoluzione dell’approccio ai servizi di base e all’assistenza sanitaria di base aveva dato un nuovo senso di risolutezza agli esperti di sviluppo sociale e umano, mentre il successo dell’Anno Internazionale del Bambino del 1979 indicava che i tempi erano maturi per una nuova spinta nell’interesse dei bambini.

Il nuovo Direttore generale dell’UNICEF, James P. Grant, entrato in carica dopo il pensionamento di Henry Labouisse all’inizio del 1980, era determinato a sfruttare queste opportunità.

A dicembre del 1982, nel suo rapporto annuale La condizione dell’ infanzia nel mondo, Grant aveva lanciato un’iniziativa nota come “la rivoluzione della sopravvivenza infantile”, di cui in seguito avrebbe fatto parte anche lo sviluppo infantile. Questa campagna capovolgeva il buon senso tradizionale. I tassi di mortalità neonatale e infantile erano stati precedentemente considerati degli indicatori dello

sviluppo di un paese. Ora l’UNICEF suggeriva di usare come strumento di sviluppo un attacco diretto alla mortalità neonatale e infantile.

Facendo un balzo all’indietro, alle campagne di massa contro le malattie degli anni Cinquanta, l’UNICEF propose di combattere le infezioni comuni della prima infanzia usando semplici tecniche mediche.Dal pacchetto dell’assistenza sanitaria di base, estrapolò quattro pratiche, note nel complesso come GOBI: “G” (Growth) per monitoraggio della crescita; “O” (Oral rehydratation) per terapia di reidratazione orale per curare la diarrea nei bambini; “B” (Breastfeeding) per allattamento al seno, come metodo nutrizionale più adeguato per iniziare la vita, e “I” (Immunization) per immunizzazione dalle sei malattie letali dell’infanzia, evitabili con la vaccinazione, tubercolosi, difterite, pertosse, tetano, poliomielite e morbillo. Uno dei pregi di questa ricetta era che le tecniche fossero a basso costo.

La causa della sopravvivenza infantile ebbe enorme risonanza internazionale e riunì una vasta gamma di alleati, a livello nazionale, internazionale, bilaterale, non governativo, di tutte le sfere della vita pubblica e professionale. Durante gli anni Ottanta l’UNICEF sviluppò e perfezionò una strategia di mobilitazione sociale. Guidato dall’instancabile Jim Grant, l’UNICEF non coinvolse soltanto i media e le

‘O’ come Oral rehydration therapy (terapia di reidratazione orale), la misura più efficace e a basso costo per curare la disidratazione causata da diarrea. Cina.

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‘B’ come Breastfeeding (allattamento al seno), il migliore nutrimento per iniziare la vita. Egitto.

‘I’ come Immunization (vaccinazioni). Una campagna di vaccinazione antipolio. Sudan.

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D al 1982 in poi, la “crisi del debito” dominò i colloqui internazionali, e il modello che abbracciò tutte le relazioni tra il mondo ricco e quello povero era

quello della “correzione economica”, in base al quale le economie del mondo in via di sviluppo erano costrette a subire un “aggiustamento strutturale”. Questo aggiustamento comportava tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione delle sovvenzioni e l’apertura dell’economia agli investimenti stranieri. Nella forma più grezza di aggiustamento, i tagli della spesa pubblica influirono negativamente sul settore sociale, compreso quello della sanità e dell’istruzione, e pertanto ebbero un impatto sproporzionato sui poveri.

Quando l’aggiustamento fu messo in pratica, l’UNICEF mise in discussione il suo funzionamento in uno studio commissionato dal Vicedirettore generale Richard Jolly, dal titolo: L’impatto delle recessione mondiale sui bambini. Lo studio, pubblicato nel 1983, concluse che i bambini poveri subivano gli effetti peggiori della recessione e fece due raccomandazioni fondamentali: che le politiche di

aggiustamento tenessero conto della necessità di mantenere i livelli minimi di nutrizione e di reddito familiare e che i paesi creassero una rete di sicurezza per la salute e l’istruzione di base dei bambini. A questo studio fece seguito, nel 1987, un altro studio più esteso e significativo, il cui titolo divenne famoso e influì sull’opinione pubblica internazionale: L’aggiustamento dal volto umano: proteggere le persone vulnerabili e promuovere la crescita.

Nel corso degli anni Ottanta le opinioni dell’UNICEF cominciarono a influenzare le idee economiche convenzionali. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale non fecero molti tentativi per modificare radicalmente questa politica, ma riconobbero tuttavia la necessità di una rete di sicurezza per i poveri. Questo cambiamento di opinione era un altro segno del fatto che l’advocacy dell’UNICEF aveva adesso un impatto sulla politica globale e che lo sviluppo non poteva più essere considerato separatamente dall’impatto che aveva sui bambini.

Aggiustamento dal volto umano

società di comunicazione, ma invitò anche partner di ogni spaccato della società – dai leader religiosi ai Goodwill Ambassdor, dai capi di Stato ai sindaci, dalle celebrità dello sport ai parlamentari, dalle associazioni professionali ai sindacati – a unirsi al movimento per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile e a diffonderne il messaggio.

VACCINAZIONE UNIVERSALE DEI BAMBINI

L’allattamento al seno, il monitoraggio della crescita e la terapia di reidratazione orale avevano contribuito a salvare la vita e a promuovere lo sviluppo sano dei bambini. Ma la forza che trainava la rivoluzione della sopravvivenza infantile, la tecnica che aveva riscosso maggiore entusiasmo in tutto il mondo, era la vaccinazione contro le malattie principali dell’infanzia. Durante l’Assemblea mondiale della sanità del 1977 era stato fissato l’obiettivo della vaccinazione universale dei bambini (VUB) entro il 1990, ma negli anni Ottanta il tasso medio di vaccinazione nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo era ancora tra il 10 e il 20 per cento. Una conferenza chiave che si tenne a Bellagio, in Italia, nel marzo del 1984, portò alla creazione della Task force per la sopravvivenza infantile, che coinvolgeva non solo l’UNICEF, ma anche l’OMS, l’UNDP, la Banca Mondiale e la

Rockefeller Foundation. Il gruppo aveva stabilito che la vaccinazione doveva essere una priorità non soltanto per la campagna GOBI dell’UNICEF, ma anche per l’intero movimento per l’assistenza sanitaria di base. Pertanto la campagna assunse dimensioni molto più ampie dello stesso UNICEF, come descrive la frase, “una imponente alleanza per l’infanzia”.

Prove delle “giornate nazionali della vaccinazione” si svolsero con successo in Burkina Faso, Colombia, Senegal e in zone pilota dell’India e della Nigeria. Ma la prova generale della campagna mondiale per la vaccinazione universale ebbe luogo in Turchia nel 1985. Si trattava di un’impresa colossale: bisognava organizzare 45.000 punti di vaccinazione, formare 12.000 operatori sanitari e 65.000 aiutanti e convincere le madri di 5 milioni di bambini a portarli tre volte per essere vaccinati. La campagna si trasformò in un vero e proprio evento nazionale che coinvolse opinionisti di tutti gli strati della società e di tutte le aree geografiche. Due mesi dopo l’inaugurazione della campagna, l’84 per cento del target era stato vaccinato.

Il successo pubblicitario ottenuto in Turchia aveva un valore incalcolabile. Oltre a motivare i paesi limitrofi del Medio Oriente e del Nord Africa, rinvigorì gli sforzi a livello mondiale di realizzare l’obiettivo della VUB.

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Ma soprattutto, l’esperienza della Turchia dimostrò che era possibile mobilitare un’intera società per realizzare l’obiettivo della sopravvivenza infantile, non solo dando accesso a un servizio, ma anche creando la domanda per quel servizio.

Un altro esempio ispiratore del 1985 diede uno slancio ancora maggiore alla campagna VUB. La spietata guerra civile nel Salvador fu temporaneamente interrotta per tre “giornate di tranquillità” per consentire ai bambini di essere vaccinati senza correre rischi. Questa tregua per la salute dei bambini fu una dimostrazione pratica dei “bambini come zone di pace”. Circa 250.000 bambini furono vaccinati nel Salvador e questa esperienza sarebbe stata ripetuta in Libano, Sudan, Uganda e nell’allora Jugoslavia.

A novembre del 1985, durante una cerimonia speciale che commemorava il 40° anniversario delle Nazioni Unite, i paesi riaffermarono il loro impegno a raggiungere l’obiettivo inizialmente fissato nel 1977, della vaccinazione universale dei bambini entro il 1990. Il programma esteso di vaccinazione (PEV) fu implementato vigorosamente in molti paesi, tra cui le nazioni più popolose della Terra, Cina e India. Partendo da una media del 15 per cento di vaccinazioni all’inizio del secolo, alcuni paesi in via di sviluppo erano già arrivati al 60 per cento e oltre nel 1985. Un traguardo che fino a qualche anno prima sembrava irraggiungibile, adesso era prossimo.

Durante il resto degli anni Ottanta numerosi paesi in via di sviluppo condussero una campagna energica per raggiungere un tasso di vaccinazione di almeno il 75 per cento. Questo impegno internazionale, descritto come la più grande mobilitazione della storia in tempo di pace, ebbe successo nonostante i tagli alle spese dei servizi sociali richiesti dalla recessione globale e dalle politiche di aggiustamento strutturale.

Verso la fine del decennio c’era motivo di ottimismo su diversi fronti. I progressi nella nutrizione erano abbastanza incoraggianti da permettere ai leader mondiali di fissare l’obiettivo di dimezzare il tasso di sottoalimentazione infantile del 1990 entro il 2000. Molti paesi dell’America latina e dei Caraibi e dell’Asia

stavano migliorando i livelli di nutrizione infantile. In effetti, negli anni Ottanta, lo stato nutrizionale era migliorato in tutte le regioni del mondo (sebbene solo marginalmente nell’Africa subsahariana) e in tutte le categorie della denutrizione, eccetto per l’anemia.

Inoltre si ottennero straordinari miglioramenti nell’accesso all’acqua potabile. Secondo la valutazione dell’OMS di fine decennio, tra il 1981 e il 1990, la percentuale di famiglie che aveva accesso all’acqua potabile era aumentata dal 38 al 66 per cento nell’Asia sudorientale, dal 66 al 79 per cento nell’America latina e dal 32 al 45 per cento in Africa.

Alla fine del decennio si stimava che la rivoluzione per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile avesse salvato la vita di 12 milioni di bambini. Malgrado questo grande successo, il movimento non aveva mai avuto l’obiettivo esclusivo di salvare la vita dei bambini e di prevenire le malattie e le disabilità. L’obiettivo più ampio della rivoluzione era ridare vigore alla causa dello sviluppo umano e mettere i bambini al primo posto.Un risultato positivo fu la conferenza internazionale

1984Combattere la carestia nel Corno d’Africa e nelle regioni del Sahel. Etiopia.

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che si tenne nel 1990 sotto l’egida dell’UNDP, dell’UNESCO, dell’UNICEF e della Banca Mondiale a Jomtien in Thailandia e che stabilì l’obiettivo “dell’Istruzione per tutti entro l’anno 2000”. Negli anni successivi la Banca Mondiale triplicò il prestito per l’istruzione di base a 1 miliardo di dollari USA. Nel 1990, l’UNDP pubblicò il suo primo rapporto annuale sullo Sviluppo umano, nel quale dichiarò che gli esseri umani erano sia il mezzo sia il fine dello sviluppo. Ancora una volta il progresso umano, piuttosto che lo sviluppo economico, veniva considerato preminente.

LA QUESTIONE DI GENERE

Lo slancio per lo sviluppo umano fu sostenuto soprattutto dalle attività delle donne. Le organizzazioni internazionali come l’UNICEF cominciarono a riconoscere l’importanza delle donne al di là del loro ruolo materno determinato dal genere e dal contesto sociale: le donne erano anche operatrici economiche, organizzatrici e leader. In molte parti del mondo in via di sviluppo, le donne costituivano un terzo dei capofamiglia. Fino a quel momento il processo di sviluppo aveva lasciato le donne ai margini della società. Questa esclusione dalla partecipazione sociale ed economica aveva frenato lo sviluppo in generale. In futuro, pertanto, sarebbe stato necessario che gli investimenti fossero strutturati a favore delle donne, che lo sviluppo diventasse “di genere”.

Tale consapevolezza aveva forti implicazioni per l’UNICEF. La sua ricetta per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile conteneva due elementi che sostenevano direttamente l’agenda dei diritti delle donne: l’istruzione femminile e il distanziamento delle nascite. Ma, quanto agli ingredienti molto più importanti del GOBI, alle donne veniva assegnato esclusivamente un ruolo materno. Di conseguenza, per tutti gli anni Ottanta l’UNICEF evitò di essere coinvolto nella causa delle donne. Verso la fine del decennio, tuttavia, riformulò la sua politica sulle donne nello sviluppo per includere il linguaggio e la dinamica dei diritti delle donne, con un’enfasi particolare sulle bambine.

I DIRITTI DELL’INFANZIA E IL VERTICE MONDIALE PER L’INFANZIA

Il movimento per i diritti delle donne coincise con una pressione crescente per i diritti dell’infanzia, l’interesse per i quali era alquanto diminuito dopo la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1959, ma si era riacceso con l’Anno Internazionale del Bambino. Le organizzazioni non governative che si occupavano dei bambini approfittarono del rinnovato interesse per sostenere che la protezione speciale per l’infanzia doveva essere molto più che un principio altisonante, ma doveva essere definito dalla legge.

La crescita demografica e dei tassi di industrializzazione esercitavano forti pressioni sulla

1988Aiutare i bambini colpiti dalla guerra e dall’HIV/AIDS. Un ex bambino soldato, Repubblica Democratica del Congo.

1989“Istruzione per tutti” significa accesso all’istruzione sia per le bambine che per i bambini. “Meena”, un’eroina in cartoni animati per l’Asia meridionale.

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G li anni Ottanta furono dichiarati la Decade internazionale della fornitura di acqua potabile e di impianti igienici. Questa enfasi produsse risultati

straordinari: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 1981 e il 1990, 1,2 miliardi di persone avevano avuto accesso all’acqua potabile e 770 milioni a servizi igienici adeguati.

Durante gli anni Settanta, l’UNICEF aveva già contribuito a questi miglioramenti scavando pozzi e installando pompe nelle comunità. Ma, sebbene l’installazione delle pompe a mano fosse stata innegabilmente vantaggiosa per le comunità, riducendo, per esempio, il tempo che donne e bambini impiegavano ad andare a prendere l’acqua, da sola non poteva avere un impatto sulla salute pubblica, soprattutto se la gente non capiva l’importanza dell’igiene nella prevenzione delle infezioni.

Verso la fine degli anni Settanta la disidratazione provocata dalla diarrea uccideva quasi 5 milioni di bambini ogni anno ed era responsabile di oltre il 30 per cento di tutti i decessi infantili. Quando un bambino ha la diarrea ed è disidratato, l’acqua ingerita fluisce così rapidamente nell’organismo, che soltanto una piccola parte del liquido viene assorbita. La cura convenzionale usata in Occidente è la reidratazione dell’organismo con la fleboclisi – una procedura evidentemente inappropriata nella maggior parte dei casi di diarrea infantile e impraticabile nei casi che si verificano lontano dalle strutture mediche. Nel 1968, tuttavia, alcuni ricercatori dell’India e del Pakistan orientale scoprirono che aggiungere all’acqua una miscela di sale e glucosio, in giusta dose, consentiva all’acqua di essere assorbita dall’organismo. Quando il colera si diffuse nei campi profughi durante la guerra di indipendenza del Bangladesh, la terapia di reidratazione orale (TRO) è stata usata per curare 3.700 vittime, oltre il 96 per cento delle quali sono sopravvissute. Non sorprende affatto che la prestigiosa rivista medica “The Lancet” abbia definito la TRO “probabilmente la più importante conquista della medicina di questo secolo”.

La terapia di reidratazione orale diventò una parte centrale del nuovo programma GOBI dell’UNICEF e si dimostrò un mezzo persuasivo di reclutamento per il movimento per la sopravvivenza infantile. Sembrava incredibile che il maggior responsabile della morte dei bambini in tutto il mondo non fosse una malattia potente e inarrestabile, bensì la disidratazione provocata dalla diarrea, e che queste morti potessero essere evitate con una cosa semplice e ordinaria come una miscela di sale, zucchero e acqua.

L’ambizioso obiettivo globale era arrivare a curare con la TRO il 50 per cento dei casi di diarrea entro il 1989. Sebbene tale traguardo non sia stato raggiunto, i progressi furono comunque straordinari: nel 1990 venivano prodotti 350 milioni di pacchetti di Sali all’anno e il 61 per cento delle persone in tutto il mondo aveva accesso a questi Sali nei centri sanitari o farmacie locali. Anche se venivano usati soltanto nel 32 per cento dei casi di diarrea, bisogna considerare che nel 1980 erano impiegati soltanto nell’1 per cento dei casi. Il punto essenziale è che, a questo punto, la TRO salvava ogni anno la vita di 1 milione di bambini.

La terapia di reidratazione orale

La formula magicavita dei bambini e delle famiglie. Il sintomo più evidente dello stress sociale e dello sfacelo delle famiglie era il numero crescente di bambini che lavoravano nelle strade delle città e di alcuni che vivevano anche per strada. Molti altri bambini erano colpiti da forze che andavano oltre la povertà e il sottosviluppo. Tra questi vi erano le vittime della violenza di massa e della guerra, i bambini disabili e quelli che venivano sfruttati come lavoratori o operai, o come oggetti di abuso sessuale per fini commerciali. A metà degli anni Ottanta l’UNICEF coniò una nuova espressione per definire tutte queste categorie di bambini svantaggiati – bambini in situazioni particolarmente difficili (BSPD).

A questo punto l’UNICEF iniziò ad analizzare la situazione dei BSPD e a cercare delle risposte tramite le politiche. D’altro canto, le Ong internazionali per l’infanzia si interessavano soprattutto di advocacy e di leggi che tutelassero questi bambini e assicurassero alla giustizia i loro sfruttatori. Dopo l’Anno Internazionale del Bambino, le Ong contribuirono alla creazione di un gruppo intergovernativo, sotto l’egida della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, per l’elaborazione di una Convenzione che sostituisse la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1959.

Nel 1987, riconoscendo la potenziale convergenza della rivoluzione per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile con il movimento per i diritti dell’infanzia, l’UNICEF si schierò dalla parte dei diritti dell’infanzia. Sebbene il suo sostegno giunse relativamente tardi, la capacità dell’UNICEF di mobilitazione internazionale fu decisiva.

Due anni dopo, nel novembre del 1989, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Convenzione sui diritti dell’infanzia. Il 2 settembre 1990 la Convenzione divenne una legge internazionale. In un anno era stata ratificata da più di 90 paesi, e alla fine di settembre del 1995 da 179. Nessuna convenzione sui diritti umani era mai stata ratificata da tanti paesi in così breve tempo.

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1990–1999

Nel 1990 l’UNICEF convoca il Vertice mondiale per l’infanzia, durante il quale 159

paesi si impegnano ad avviare un Piano d’azione per garantire la sopravvivenza,

la protezione e lo sviluppo dell’infanzia. I bambini devono avere la precedenza

sulle risorse della società, in tempi buoni e cattivi, e i loro diritti devono essere

riconosciuti e protetti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Gli impegni

assunti durante il Vertice mondiale e la Convenzione sono la cornice entro cui si

svolge l’attività dell’UNICEF durante il decennio.

La campagna per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile giunse al culmine all’inizio degli anni Novanta. Il 30 settembre del 1990, 71 capi di Stato e di governo presero posto al Vertice mondiale per l’infanzia. Il punto saliente dell’evento, che si tenne sotto l’egida delle Nazioni Unite a New York, fu la

sottoscrizione di una Dichiarazione mondiale e di un Piano d’azione di 10 punti, oltre a una serie di obiettivi di sviluppo umano relativi all’infanzia fissati per l’anno 2000. Questi obiettivi prevedevano riduzioni mirate dei tassi di mortalità materna e infantile, di denutrizione e analfabetismo nei bambini, nonché livelli mirati di accesso ai servizi di base per la salute, la pianificazione, l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici.

Il Vertice fu uno dei momenti più importanti nella storia dell’UNICEF. Segnò il punto critico in cui le questioni dell’infanzia erano arrivate in cima all’agenda internazionale. I suoi sponsor, compreso l’UNICEF e i suoi partner, erano determinati a sostenere lo slancio generato dall’evento e a usarlo come rampa di lancio per un processo più ampio di pianificazione e impegno a favore dell’infanzia. L’UNICEF era ispirato dal perseguimento

1990La Convenzione sui diritti dell’infanzia diventa legge internazionale. Bambini si mobilitano per i bambini, Ecuador.

1990Primo Vertice mondiale per i bambini. Sede delle Nazioni Unite, New York.

1992Curare le ferite della guerra. Assistenza psicosociale, Bosnia ed Erzegovina .

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Riconoscere i diritti dell’infanzia

degli obiettivi per l’infanzia esposti nel Piano d’azione, e i suoi uffici nazionali di tutto il mondo compirono sacrifici straordinari per garantire che ogni governo formulasse il proprio programma di azione nazionale per raggiungere gli obiettivi del 2000.

MANTENERE LA PROMESSA

Fu stabilita una serie di obiettivi di metà decennio per l’infanzia, a partire con incontri regionali in Africa e Asia meridionale. A settembre del 1993, nel terzo anniversario del Vertice, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros-Ghali, convocò una tavola rotonda a New York sul tema Mantenere la promessa per l’infanzia, che ribadì l’impegno nei confronti degli obiettivi del Vertice e approvò i traguardi di metà decennio. Alcuni di questi erano la ratifica universale della Convenzione sui diritti dell’infanzia e i progressi verso l’istruzione primaria universale e altri traguardi relativi al controllo di malattie specifiche e di carenze nutrizionali. L’obiettivo da raggiungere entro metà decennio era debellare, o ridurre a un livello determinato, il tetano neonatale, la sottoalimentazione, la polio, la carenza di vitamina A, la dracunculosi e i disturbi associati alla carenza di iodio, nonché la diarrea e le malattie che si possono prevenire con i vaccini.

Gli obiettivi stabiliti per metà decennio erano stati, in parte, un espediente per sostenere lo slancio

del processo dopo il Vertice. Nel 1993 l’UNICEF iniziò a pubblicare un rapporto annuale dal titolo Il Progresso delle nazioni, concepito appositamente per mantenere lo slancio della campagna per questi obiettivi. Il rapporto presentava le statistiche più recenti sui progressi compiuti dai diversi paesi nei settori chiave della salute, della nutrizione, dell’istruzione, della maternità/paternità responsabile e dei diritti delle donne. In maniera alquanto controversa, utilizzava queste statistiche per classificare i paesi in base ai risultati, mettendo in evidenza i paesi che erano rimasti indietro. Mentre negli anni Ottanta l’indicatore chiave per l’UNICEF era stato la mortalità infantile, negli anni Novanta una gamma più ampia di indicatori venivano costantemente monitorati e il loro miglioramento posto come obiettivo.

Nella scia del Vertice mondiale per l’infanzia, l’UNICEF si trovò ancora una volta in posizione preminente nella campagna mondiale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo umano. Questo approccio basato sugli obiettivi per il perseguimento dei diritti dell’infanzia e dello sviluppo umano fu uno dei risultati più straordinari di Jim Grant e la sua eredità più importante.

Nel 1996 i paesi riferivano ufficialmente alle Nazioni Unite sui loro progressi verso il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2000. In molti casi vi furono

Rispondereal rapido aumento di profughi e sfollati nel mondo. Campo profughi, Tanzania.

1994Ricongiungere 100.000 famiglie ruandesi dopo il genocidio. Centro di ricerca degli scomparsi, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).

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A ll’inizio degli anni Novanta le necessità finanziarie per la copertura universale dei servizi sociali di base era stimato intorno a 136 miliardi di dollari all’anno

di dollari USA – dai 70 agli 80 miliardi circa in più rispetto alla spesa effettiva. I paesi in via di sviluppo allocavano in media il 13 per cento circa del bilancio dello Stato ai servizi sociali di base, mentre i paesi donatori destinavano circa il 10 per cento dell’assistenza ufficiale allo sviluppo (AUS) per finanziare questi servizi.

Al fine di coprire questo deficit e di garantire un livello minimo di servizi sociali di base, il Vertice mondiale per lo sviluppo sociale del 1995 lanciò l’Iniziativa 20/20, un patto tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati. L’Iniziativa 20/20 si basava sulla fornitura efficace ed efficiente di servizi sociali di base (istruzione di base, assistenza sanitaria di base, programmi di nutrizione e acqua potabile e servizi igienici) ai membri poveri e vulnerabili della società.

L’Iniziativa 20/20 chiedeva ai partner dei paesi industrializzati e in via di sviluppo di destinare rispettivamente in media il 20 per cento dell’AUS, compresi i contributi ottenuti tramite le

organizzazioni multilaterali e le ONG, e il 20 per cento del bilancio dello Stato (al netto degli aiuti) ai servizi sociali di base, impiegando queste risorse con maggiore efficienza ed equità. Si riteneva che il 20 per cento avrebbe fornito la cifra approssimativa necessaria a finanziare l’accesso universale ai servizi sociali di base nei paesi in via di sviluppo.

Dalla parte dei governi, l’Iniziativa 20/20 poneva l’enfasi sul modo in cui le risorse venivano allocate e sul fatto che fosse possibile fornire risorse finanziare adeguate per i servizi sociali anche in condizioni di restrizioni di bilancio. In particolare, si poneva l’accento sulla necessità di un migliore controllo sulla spesa per i servizi sociali di base, affinché i partner interessati potessero fissare dei traguardi specifici, aumentare le risorse e concludere dei patti 20/20. Dalla parte dei donatori, l’iniziativa sosteneva una maggiore concentrazione delle risorse AUS, già di per sé scarse, sui servizi sociali di base.

L’iniziativa 20/20

progressi significativi. Nel corso delle Giornate Mondiali della Salute nell’aprile 1995, l’OMS annunciò che in 146 paesi non si verificava un singolo caso di polio da almeno un anno.

COMBATTERE LE MALATTIE ATTRAVERSO APPROCCI INTEGRATIE ALLEANZE

Nel corso degli anni Novanta si continuò a porre l’enfasi sulla sopravvivenza e lo sviluppo infantile. Nel tentativo di migliorare i tassi di sopravvivenza infantile, nel 1992 l’UNICEF e l’OMS svilupparono la Gestione Integrata delle Malattie dell’Infanzia (GIMI), un nuovo approccio all’assistenza sanitaria che mette insieme le strategie per il controllo e la cura di cinque malattie responsabili della maggior parte dei decessi di bambini sotto i cinque anni: le infezioni dell’apparato respiratorio, la disidratazione provocata dalla diarrea, il morbillo, la malaria e la denutrizione. Nel 1998 il programma veniva lanciato in 58 paesi. Attualmente oltre 80 paesi hanno introdotto con successo questa iniziativa nei loro sistemi sanitari, e oltre 40 paesi dedicano particolare attenzione al miglioramento delle pratiche familiari e comunitarie come metodo chiave

per raggiungere i bambini vulnerabili. LA GIMI si è dimostrata efficace nel migliorare lo stato nutrizionale dei bambini e nell’aumentare i tassi di allattamento esclusivo al seno, l’uso di zanzariere trattate con insetticida e i tassi di vaccinazione.

Nel corso degli anni Novanta l’UNICEF ha continuato ad aumentare progressivamente il numero di iniziative di vaccinazione. Nel 1996 ha pubblicato assieme all’OMS, State of the World’s Vaccines and Immunization, un rapporto sui progressi, i limiti e le sfide future dell’immunizzazione. Nello stesso anno l’UNICEF ha fornito 1,2 miliardi di dosi di vaccini ai bambini di tutto il mondo, metà dei quali nell’ambito del Programma globale per l’eliminazione della poliomielite. Nel 1998, l’UNICEF forniva vaccini e altri tipi di sostegno per le campagne di vaccinazione anti polio di 97 paesi, grazie alle quali sono stati vaccinati 450 milioni di bambini, pari a due terzi dei bambini sotto i cinque anni di tutto il mondo. Questo ha portato alla quasi totale eliminazione della polio in tutto il mondo – sebbene la sua completa eliminazione sarebbe rimasta irraggiungibile. Due terzi dei bambini sotto i cinque anni furono nuovamente vaccinati contro la polio nel 1999, quando l’UNICEF diventò il principale fornitore di vaccini per i paesi in via di sviluppo.

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Durante questo decennio l’organizzazione svolse un ruolo importante anche nella lotta ad altre due gravi malattie: la malaria e l’HIV/AIDS. Nel 1998 l’UNICEF assunse una posizione preminente nella lotta contro la malaria, diventando un membro fondatore della partnership Roll Back Malaria (RBM) assieme all’OMS, l’UNDP e la Banca Mondiale. Dal momento della sua creazione, la RBM ha contribuito direttamente all’advocacy globale e ha incrementato le risorse a favore dei programmi per la malaria, nonché allo sviluppo di nuove tecnologie per la cura e la prevenzione, come le zanzariere trattate con insetticida a lunga durata.

Nel corso degli anni Novanta l’UNICEF ha incrementato progressivamente il proprio impegno per combattere l’HIV/AIDS e fornire assistenza ai bambini colpiti dalla malattia. Nel 1996 fu istituito l’UNAIDS, con la partecipazione dell’UNICEF in qualità di co-finanziatore. Nel 1999 l’UNICEF ha avuto una parte importante nel sostenere i programmi di prevenzione dell’HIV in oltre 20 paesi. Nello stesso anno l’organizzazione ha sostenuto un programma pilota per la prevenzione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio in 11 paesi, di cui 9 nella sola Africa subsahariana. Alle donne e ai loro partner veniva fornita consulenza volontaria e test, mentre le donne in gravidanza ricevevano farmaci per prevenire la trasmissione del virus ai figli.

LA CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA

Il Vertice mondiale per l’infanzia e la Convenzione sui diritti dell’infanzia hanno rappresentato i più importanti influssi sull’UNICEF degli anni Novanta.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia è entrata in vigore come legge internazionale il 2 settembre 1990 ed era stata adottata dall’Assemblea generale dell’ONU l’anno precedente. Si era già rivelato un modello efficace per l’azione internazionale. Alla fine del 1995 la Convenzione era stata ratificata da 179 paesi. Persino allora, cinque anni dopo la sua introduzione, l’attenzione si concentrava già sulla sua attuazione, mentre l’UNICEF e i partner incoraggiavano tutti i paesi a tenere

fede ai loro impegni nei confronti dei bambini.

Con il trascorrere degli anni Novanta l’importanza della Convenzione e del movimento per l’infanzia cresceva. Come aveva fatto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione esprimeva concetti fondamentali sul senso dell’umanità e stabiliva dei punti di riferimento per tutte le generazioni future.

Guidata dai principi di “non discriminazione” e delle “azioni prese nel superiore interesse del bambino”, la Convenzione enuncia chiaramente i diritti sociali, economici, civili, di protezione e di partecipazione dei bambini e gli obblighi giuridici dei governi nei loro confronti. La sopravvivenza, lo sviluppo e la protezione dell’infanzia non sono più questioni che riguardano la beneficenza, ma sono un obbligo giuridico e morale. I governi sono tenuti a rendere conto di come si prendono cura dei bambini a un organismo internazionale, il Comitato sui diritti dell’infanzia, al quale devono riferire regolarmente.

Il progresso fondamentale è stato il riconoscimento del bambino come individuo completo. Agli occhi della Convenzione i bambini non sono più oggetti di commiserazione o soggetti all’autorità dei genitori, ma sono attori del loro sviluppo, conformemente alla loro età e maturità.

1994L’UNICEF e l’UNESCO ideano la “scuola in scatola”. Campo profughi. Repubblica Unita di Tanzania

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Secondo la Convenzione sui diritti dell’infanzia, ogni bambino ha i seguenti diritti:

DOPPIE PISTE E NUOVI MODELLI

Fu subito chiaro che c’era una simbiosi tra gli obiettivi del Vertice e la Convenzione. Quando gli uffici regionali spingevano i governi ad agire, potevano usare la leva della ratifica della Convenzione. Analogamente, le pressioni per l’attuazione della Convenzione avrebbero inevitabilmente accelerato i progressi verso gli obiettivi stabiliti dal Vertice. Ora non si trattava più di incoraggiare semplicemente i governi a realizzare gli obiettivi per l’infanzia, ma era possibile rammentare loro che avevano l’obbligo giuridico di farlo. Quando l’UNICEF celebrò il suo 50° anniversario, nel 1996, l’organizzazione aveva sposato in pieno l’approccio allo sviluppo basato sui diritti umani e si adoperava per porre i diritti dei bambini – soprattutto di quelli più emarginati e svantaggiati che rischiavano maggiormente di essere esclusi dallo sviluppo e dalle iniziative di riduzione della povertà – al centro dell’agenda dello sviluppo.

Il nuovo contesto dei diritti dell’infanzia ebbe altre ripercussioni. La protezione dell’infanzia era diventata più importante che mai per l’UNICEF. Nella metà degli anni Ottanta, le pressioni esercitate dagli uffici di paesi come Ecuador, Guatemala, India, Kenya e Filippine, avevano spinto l’UNICEF a formulare il concetto di “bambini in situazioni particolarmente difficili”, che comprendeva i bambini di strada e quelli che lavoravano, i bambini vittime di abusi e di negligenza e i bambini vittime dei conflitti armati. Ma le questioni relative alla protezione avevano un ruolo relativamente minore nella programmazione dell’organizzazione. Dopo che la Convenzione aveva messo la protezione dei bambini tra i principali diritti dell’infanzia, questa posizione non era più sostenibile.

Per affrontare questa importante questione, l’UNICEF rafforzò le proprie capacità di protezione nel corso degli anni Novanta. Nel 1996, per esempio, l’organizzazione si propose di raggiungere i bambini più vulnerabili dei villaggi, delle città, degli slum e degli insediamenti abusivi, lavorando a stretto contatto con sindaci e amministrazioni municipali, per mettere i diritti dell’infanzia in cima all’agenda politica. Durante lo stesso anno

Articoli*

I diritti dell’infanzia

* Si fa riferimento agli articoli da 1 a 40 della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Gli articoli citati trattano espressamente dei diritti dei bambini o degli obblighi degli Stati parti nei loro confronti.

Fonte: UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo 2005, pagina 4.

Non discriminazione 2, 30

Azioni prese nel superiore interesse dei bambini 3, 18

Sopravvivenza e sviluppo 6

Identità 7, 8

Relazioni familiari

e guida genitoriale 5, 7-10, 18, 21, 25

Protezione da trasferimenti illeciti

e adozioni illegali 11, 21

Libertà di espressione, pensiero,

coscienza e religione 12-14

Libertà di associazione e

di riunirsi pacificamente 15

Protezione legale della vita privata, della famiglia,

del domicilio e della corrispondenza 16

Accesso alle informazioni appropriate 17

Protezione da abusi e negligenza 19

Protezione e assistenza speciale

per i senza famiglia 20, 22

Protezione dai conflitti armati 22, 38-39

Assistenza speciale per i disabili 23

Salute e accesso ai servizi sanitari 24

Servizi e sicurezza sociale 26

Standard di vita dignitoso 27

Istruzione 28, 29

Riposo e svago, gioco e ricreazione,

attività culturali e artistiche 31

Protezione dal lavoro minorile, dal traffico,

dallo sfruttamento sessuale o di altro genere

e dall’abuso di droghe 32-36, 39

Protezione dalla tortura

e dalla privazione della libertà 37-39

Dignità e valore personale,

anche se accusati di reati gravi 40

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27SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

l’UNICEF sostenne due importanti iniziative per la protezione dei bambini: il Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali, il primo convegno internazionale dedicato alla lotta contro questo problema globale; e lo studio pionieristico delle Nazioni Unite sull’Impatto dei conflitti armati sui bambini di Graça Machel, un’esperta sui bambini nei conflitti armati.

Uno degli sforzi dell’UNICEF per proteggere i bambini dalla violenza, lo sfruttamento e gli abusi, fu una campagna durata dieci anni per bandire le mine antiuomo che minacciano la vista, gli arti e la vita dei bambini in molti paesi. Nel 1997 due terzi delle nazioni del mondo hanno firmato la Convenzione sul divieto di impiego, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione, che l’UNICEF ha contribuito a redigere e ha promosso strenuamente. Ulteriore attenzione è stata rivolta alla prevenzione del lavoro minorile e all’assistenza dei bambini coinvolti. Nel 1997, in occasione della Conferenza internazionale sul lavoro minorile, l’UNICEF ha adottato, assieme ad altri partecipanti, l’agenda globale per l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile. Tre anni dopo l’organizzazione ha aiutato 29 paesi a introdurre programmi d’istruzione mirati alla prevenzione del lavoro minorile.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia offrì all’UNICEF un nuovo ruolo nei paesi industrializzati. Una volta

messe da parte le responsabilità iniziali per l’Europa del dopoguerra, l’organizzazione si era concentrata soprattutto sui bisogni fondamentali dei bambini nei paesi in via di sviluppo. Ma, nell’ottica dei diritti, la situazione era diversa. Evidentemente i bambini dei paesi industrializzati necessitavano di protezione dallo sfruttamento e dagli abusi; anche lì la povertà infantile era tutt’altro che rara, seppure in termini relativi e non assoluti. Mentre i Comitati nazionali dell’UNICEF trovavano il coraggio di esprimere le proprie opinioni, l’intera organizzazione procedeva con cautela ad assumersi la responsabilità per tutti i bambini del mondo e non solo per quelli nei paesi in via di sviluppo.

A guidare l’UNICEF mentre si addentrava nel territorio dei diritti dell’infanzia c’era Carol Bellamy, nominata Direttore generale nel maggio del 1995 dopo la morte di Jim Grant quattro mesi prima. Prima di arrivare all’UNICEF, Carol Bellamy aveva occupato una carica politica negli Stati Uniti, era un avvocato ed era stata a capo dei Peace Corps. Nell’UNICEF decise di porre innanzitutto l’enfasi sul consolidamento dopo gli anni turbinosi di Grant. Ma sin dall’inizio le sue dichiarazioni riguardanti la politica pubblica rispecchiarono sia la nuova rilevanza dei diritti dell’infanzia, sia la natura sfaccettata delle responsabilità dell’UNICEF verso i bambini negli ultimi anni turbolenti del 20° secolo.

Advocacyper il diritto all’istruzione. Yemen.

Mitigarel’impatto delle sanzioni sui bambini. Iraq.

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28 SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

2000–2006

Con l’inizio del nuovo millennio i leader mondiali si impegnano a eliminare

la piaga della povertà globale e della discriminazione entro il 2015 attraverso

la Dichiarazione del Millennio e gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM).

L’UNICEF collabora con i governi, le organizzazioni dell’ONU e la società

civile per garantire che i bambini siano una parte integrante degli OSM e che

le promesse di sviluppo economico, politico e sociale siano mantenute.

Il Vertice del Millennio dell’ONU del 6-8 settembre 2000 è stata la più grande riunione di capi di Stato e di governo che si sia mai tenuta. Convocata per enunciare il ruolo delle Nazioni Unite nel 21° secolo, il documento finale, la Dichiarazione del Millennio, ha adottato sei principi fondamentali: libertà,

uguaglianza e solidarietà, tolleranza, non violenza, rispetto per la natura e responsabilità partecipata. Il Vertice ha adottato inoltre gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), otto obiettivi specifici da raggiungere entro il 2015. Sia per la grande enfasi posta sullo sviluppo umano che per l’adozione di traguardi quantificabili e con un limite temporale, il Vertice del Millennio riecheggiava l’approccio del Vertice mondiale per l’infanzia.

UN’AGENDA DEL MILLENNIO PER L’INFANZIA

L’agenda adottata al Vertice del Millennio del 2000 e riconfermata in occasione del Vertice mondiale del 2005 è incentrata soprattutto sui bambini. Ciascuno degli OSM è connesso con il benessere dei bambini – dall’eliminazione della povertà estrema e della fame, alla costituzione di alleanze globali per lo sviluppo. La stessa Dichiarazione del Millennio

2002Lavorare per raggiungere l’istruzione primaria universale.Campagna “Ritorno a scuola”, Afghanistan.

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Impegnarsia sradicare povertà e fame e ridurre la mortalità infantile. Malawi.

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29SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

2000–2006 Bambini: al cuore degli Obiettividi sviluppo del Millennio

contiene degli impegni di ampia portata nei confronti dei bambini, compresa una sezione sulla “protezione delle persone vulnerabili”. Sotto questo aspetto la Dichiarazione del Millennio e gli OSM riflettono molti degli obblighi assunti dagli Stati parti della Convenzione sui diritti dell’infanzia.

L’Agenda del Millennio ha guidato l’attività dell’UNICEF sin dal 2000. L’organizzazione è impegnata a garantire che si faccia tutto il possibile per realizzare questi obiettivi. All’inizio del decennio l’UNICEF ha anche rafforzato la propria attività di advocacy per la protezione dei bambini, assumendo un ruolo attivo nella redazione e promozione dei due Protocolli Opzionali alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, che sono stati adottati dall’Assemblea generale dell’ONU nel 2000 e sono entrati in vigore nel 2002: il Protocollo Opzionale sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini e il Protocollo Opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati. Entrambi sono stati ratificati da oltre 80 governi.

Durante i primi anni del 21° secolo, l’UNICEF ha rafforzato il suo impegno nel porre fine al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati. L’organizzazione ha svolto un ruolo chiave per il rilascio dei bambini dalle forze armate e da altri gruppi combattenti, tra gli altri in Afghanistan, Angola,

Ruanda, Sierra Leone, Sri Lanka, Sudan e Uganda. Un’altra pietra miliare è stata posta a luglio del 2002, quando è entrato in vigore lo statuto del Tribunale Penale Internazionale che ha dichiarato crimine di guerra la coscrizione, l’arruolamento o l’impiego dei bambini sotto i 15 anni da parte delle forze armate nazionali o di gruppi armati.

LA SESSIONE SPECIALE SULL’INFANZIA DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU

Oltre agli OSM, l’attività dell’UNICEF durante il primo decennio del 21° secolo è stata anche guidata dal patto scaturito dalla Sessione speciale sull’infanzia dell’Assemblea generale dell’ONU tenutasi a maggio 2002. Questo evento saliente era inteso espressamente per far seguito al Vertice mondiale per l’infanzia e valutarne i progressi durante gli anni Novanta. La Sessione speciale era il culmine di molti anni di lavoro di migliaia di organizzazioni. Era diversa da qualsiasi altra conferenza delle Nazioni Unite. Alla sua organizzazione aveva preso parte sin dall’inizio la più vasta gamma possibile di organizzazioni della società civile che lavoravano con e per i bambini.

Nel 2001 sei delle principali organizzazioni che lavorano con i bambini – il Rural Advancement Committee del Bangladesh (attualmente noto come BRAC), la Netaid.org foundation, PLAN International, Save the

2002 La Sessione Speciale delle Nazioni Unite per l’infanzia.Per la prima volta i bambini parlano all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.New York.

Promuoverela parità di genere e la salute materna.Una donna viene confortata dopo la morte del suo bambino, Sierra Leone.

CombattereHIV/AIDS, malaria e altre malattie. Orfani di madre morta a causa dell’AIDS, Lesotho.

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Children, UNICEF e World Vision – si sono unite per annunciare il loro impegno a creare un Movimento mondiale per l’infanzia, con l’obiettivo di coinvolgere tutti coloro che ritenevano che i diritti dei bambini dovessero essere prioritari: genitori, ministri, società di capitali responsabili, funzionari addetti alla protezione dell’infanzia.

Il Movimento globale per l’infanzia mirava a mobilitare il sostegno a livello mondiale per un’agenda di 10 punti per “cambiare il mondo con i bambini”. Nella sua forma più popolare, la campagna chiedeva alla gente di tutto il mondo di Say Yes for Chidren, impegnandosi a sostenere le azioni chiave per migliorare il mondo per i bambini. Tra aprile del 2001, quando Nelson Mandela e Graça Machel apposero le prime firme, e maggio del 2002, quando fu loro consegnato il conteggio più aggiornato delle firme a New York, oltre 94 milioni di persone in tutto il mondo avevano aderito alla campagna Say Yes.

Lo scopo principale di questa mobilitazione popolare era creare un clima in cui i leader politici si sentissero obbligati a prendere sul serio le loro responsabilità nei confronti dei bambini. In occasione della Sessione speciale, i leader mondiali alla fine si accordarono su un documento finale, “Un mondo a misura di

bambino” con il quale si impegnavano a portare a termine l’agenda incompiuta del Vertice mondiale per l’infanzia e nel quale furono inclusi 21 obiettivi specifici e traguardi per il decennio successivo.

LA PARTECIPAZIONE DEI BAMBINI

La Sessione speciale è stata unica fra i consessi delle Nazioni Unite: ha infatti incoraggiato la partecipazione attiva dei bambini.

A maggio del 2002 oltre 400 bambini di più di 150 paesi si sono riuniti all’Assemblea generale dell’ONU a New York. Hanno preso parte al Forum dei bambini che è durato tre giorni, è stato inaugurato dal Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e si è concluso con una cerimonia presieduta da Nelson Mandela, Graça Machel e Nane Annan. I soli adulti presenti durante questi due eventi erano alcuni interpreti e facilitatori. All’inizio, i gruppi regionali dei bambini hanno stabilito i principi basilari di rispetto reciproco e di “unità nella diversità” che avrebbero regolato il tempo trascorso insieme. Poi si sono divisi in gruppi per discutere otto questioni chiave e hanno eletto il gruppo che avrebbe formulato una dichiarazione comune che riflettesse le loro opinioni. Al termine la dichiarazione è stata letta all’Assemblea generale dalla tredicenne Gabriela Azurduy Arrieta della Bolivia e dalla diciassettenne Audrey Cheynut di Monaco.

La partecipazione dei bambini alla Sessione speciale è stata una pietra miliare nella storia e ha lanciato una sfida all’UNICEF e alle altre organizzazioni presenti a continuare a incoraggiare la partecipazione attiva dei bambini in tutte le loro attività.

STATI DI EMERGENZA

Dopo il conflitto in Afghanistan e la destituzione dei Talebani, l’UNICEF è stato chiamato a svolgere un ruolo determinante nella ricostruzione del sistema d’istruzione del paese. La campagna per il “Ritorno a scuola” del 2002 ha dimostrato quante cose si possono fare quando la comunità internazionale s’impegna ad affrontare una crisi. Privati di un’istruzione dai molti anni di conflitto e

AssicurareUn ambiente sostenibile.Bambini raccolgono rifiuti, Nepal.

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31SESSANT’ANNI PER I BAMBINI

L a realizzazione dell’istruzione primaria universale (OSM 2) e l’eliminazione delle disuguaglianze di genere nell’istruzione primaria e secondaria,

preferibilmente entro il 2005, e a tutti i livelli entro il 2015 (OSM 3) richiederanno l’inclusione da parte dei governi e dei donatori e agenzie internazionali, di tutti i bambini attualmente esclusi dall’istruzione.

Sebbene l’evidenza dimostri che i livelli d’istruzione delle bambine siano aumentati in tutto il mondo, i progressi non sono stati sufficienti a garantire la parità universale di genere nell’istruzione primaria e secondaria entro il 2005. A oggi, molti dei bambini del mondo, per la maggior parte bambine, non hanno ricevuto un’istruzione di base. Solo nel 2005, 54 paesi necessitavano di impegni aggiuntivi per raggiungere questo obiettivo.

Nel contesto dell’Agenda del Millennio e nel tentativo di far salire gli indicatori dell’istruzione delle bambine, nel 2000 è stata lanciata l’Iniziativa delle Nazioni Unite per l’istruzione della bambine (UNGEI). L’UNGEI è un movimento universale e una importante piattaforma per l’istruzione delle bambine che abbraccia una vasta gamma di partner, tra cui i governi, le agenzie dell’ONU, i donatori, le Ong, le organizzazioni della società civile, il settore privato, i gruppi religiosi, genitori, insegnanti, comunità e organizzazioni studentesche. Il suo obiettivo è contribuire all’eliminazione

della discriminazione e della disparità di genere nei sistemi dell’istruzione attraverso l’azione a livello globale, nazionale, regionale e delle comunità. L’UNICEF rappresenta l’agenzia guida e il segretariato per l’UNGEI e svolge attività strategica con i partner dell’iniziativa per promuovere l’istruzione delle bambine in oltre 100 paesi.

L’istruzione delle bambine deve far fronte a molte minacce, tra cui le emergenze e l’HIV/AIDS, l’aggravamento della povertà e le disparità persistenti. Al fine di incrementare progressivamente le azioni per raggiungere gli OSM della parità dell’istruzione e di genere, compreso il traguardo dell’istruzione primaria universale entro il 2015, nell’ambito dell’UNGEI l’UNICEF sostiene numerose iniziative. Alcune di queste sono l’abolizione delle tasse scolastiche e altri costi di uso nell’istruzione primaria, la promozione e la distribuzione equa e di massa di un “Pacchetto essenziale per l’apprendimento” di scorte e servizi per aumentare le iscrizioni e migliorare la qualità, e l’utilizzo delle scuole come centri di apprendimento e per la fornitura di altri servizi (per esempio, assistenza e sostegno), nei luoghi in cui i bambini sono minacciati dall’HIV/AIDS, dall’insicurezza alimentare e del malcontento sociale. Realizzare questi obiettivi non è un compito facile, ma essi racchiudono lo spirito dell’Agenda del Millennio. Le sfide universali necessitano di alleanze efficaci, coerenti e concertate. Lo dimostra l’esempio dell’UNGEI.

L’istruzione delle bambine

soprattutto sotto il regime talebano, i bambini afgani non vedevano l’ora di tornare a scuola. Il ruolo svolto dall’UNICEF nel fornire materiale scolastico in condizioni di emergenza è stato un risultato straordinario, l’operazione più vasta che avesse mai intrapreso. Il 23 marzo del 2002, quando circa 3.000 scuole afgane avevano riaperto le porte a milioni di ragazzi e ragazze, era già stato consegnato il 93 per cento del materiale scolastico. A settembre, 3 milioni di bambini si erano iscritti a scuola, il doppio rispetto alle stime originali. Circa il 30 per cento di questi bambini erano femmine, un risultato straordinario in un paese in cui, anche prima dei Talebani, soltanto il 5 per cento delle bambine in età scolare frequentava la scuola.

La campagna per il “Ritorno a scuola” è stata un successo di cui il Direttore generale dell’UNICEF Carol Bellamy era particolarmente orgogliosa, dal momento che aveva già inserito l’istruzione delle bambine tra le questioni principali.

All’UNICEF fu assegnato il ruolo di agenzia principale quando l’Iniziativa delle Nazioni Unite per l’istruzione

delle bambine (UNGEI) fu lanciata dal Segretario generale delle Nazioni Unite al Forum Mondiale sull’Istruzione di Dakar nel 2000.

L’istruzione era considerata una questione prioritaria nei primi anni del nuovo secolo, specialmente perché il primo degli OSM, in ordine di tempo, era la realizzazione dell’uguaglianza di genere nell’istruzione primaria e secondaria entro il 2005. L’UNICEF lanciò la propria strategia di accelerazione nel 2003, identificando i 25 paesi che rischiavano di non raggiungere l’obiettivo nel 2005 e impegnandosi ad aiutarli, trattando l’istruzione delle bambine come un caso che necessitava di azione urgente, se non addirittura un caso di emergenza. Investire nell’istruzione delle bambine, sosteneva l’organizzazione ne La condizione dell’infanzia nel mondo 2004, è una strategia che, oltre a tutelare il diritto di tutti i bambini a un’istruzione di qualità, darà una spinta a tutti gli altri obiettivi di sviluppo.

L’Afghanistan è stato l’esempio più sensazionale del valore dell’istruzione in una situazione d’emergenza.

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O gni minuto un bambino sotto i 15 anni muore di una malattia associata all’AIDS. Ogni minuto, un bambino diventa sieropositivo. Ogni minuto, tre

giovani fra i 15 e i 24 anni contraggono l’HIV.

Questi fatti nudi e crudi sottolineano l’impatto devastante che l’HIV/AIDS ha sui bambini e sui giovani. I bambini dell’Africa subsahariana sono i più colpiti, ma se la pandemia dell’HIV non viene fermata e fatta arretrare, entro il 2010 l’Asia avrà il numero più alto in assoluto delle infezioni da HIV. Milioni di bambini, adolescenti e giovani sono resi orfani, vulnerabili o convivono con l’HIV/AIDS e hanno urgente bisogno di aiuto e protezione. Se i tassi dell’infezione da HIV e della mortalità per cause correlate all’AIDS continueranno a crescere, la crisi durerà per decenni, anche se i programmi di prevenzione e cura saranno ampliati.

L’HIV/AIDS sta privando dell’infanzia milioni di bambini. La malattia aggrava i fattori che causano l’esclusione, come la povertà, la denutrizione, l’accesso inadeguato ai servizi sociali di base, la discriminazione e la stigmatizzazione, le disuguaglianze di genere e lo sfruttamento sessuale di donne e bambine.

I governi nazionali si sono impegnati a contrastare l’impatto dell’HIV/AIDS sui bambini nella Dichiarazione di impegno approvata dalla Sessione speciale sull’HIV/AIDS dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2001, e hanno riaffermato il loro impegno durante una sessione di follow-up nel maggio del 2006. Ma i progressi sono stati lenti. I bambini sono ancora spesso trascurati quando si formulano le strategie e le politiche e quando si allocano le risorse. Durante il Vertice mondiale del 2005, i leader mondiali hanno promesso di incrementare la risposta all’HIV/AIDS attraverso la prevenzione, l’assistenza, le cure, il sostegno e la mobilitazione di risorse aggiuntive.

Nel 2002 l’UNICEF è stata riconosciuta come agenzia principale all’interno dell’UNAIDS nel promuovere l’assistenza e il sostegno per gli orfani e i bambini affetti da HIV/AIDS. Nel 2003 l’UNICEF ha convocato il primo Forum dei partner globali sugli orfani e i bambini affetti da HIV/AIDS. Nel 2004 l’UNICEF e i suoi partner hanno accelerato gli impegni per inserire i bambini affetti da HIV/AIDS nell’agenda globale. L’organizzazione ha notevolmente aumentato la fornitura di farmaci antiretrovirali e di materiale diagnostico e per i test.

Questi impegni hanno raggiunto il punto culminante nel 2005, quando l’UNICEF e l’UNAIDS hanno lanciato la campagna globale sui bambini e l’AIDS – Uniti per i bambini. Uniti contro l’AIDS. Alla campagna hanno partecipato partner di ogni settore della comunità mondiale, compiendo uno sforzo concertato per garantire che i bambini e gli adolescenti fossero al centro e non semplicemente inclusi nelle strategie contro l’HIV/AIDS. Lo scopo principale della campagna è il raggiungimento dell’Obiettivo di sviluppo del Millennio 6, che si propone di fermare e di fare arretrare la diffusione dell’HIV/AIDS entro il 2015. La realizzazione degli obiettivi della campagna avrà implicazioni positive anche per gli altri OSM.

I bambini e l’HIV / AIDS

Attraverso la sua lunga esperienza nelle crisi umanitarie, l’UNICEF ha imparato che l’istruzione non è un lusso da fornire nelle emergenze soltanto dopo avere messo a posto gli altri problemi. Al contrario, dovrebbe avere la priorità ed essere avviata al più presto. L’obiettivo è creare degli “spazi amici dei bambini”, un concetto sviluppato nel 1999 in risposta alla crisi del Kosovo, il terremoto in Turchia e la violenza nell’allora Timor Est (ora Timor-Leste), e successivamente applicato in altre zone di conflitto come Guinea, Liberia, Sierra Leone e Iraq, tra le altre, e nei momenti successivi ai disastri naturali.

GLI IMPEGNI FONDAMENTALI PER I BAMBINI NELLE EMERGENZE COMPLESSE

L’istruzione, tuttavia, è soltanto una parte del piano ben consolidato e globale dell’UNICEF per rispondere ai bisogni dei bambini in situazioni di emergenza che, nel 2004 consisteva di una serie di “impegni essenziali”. Nel breve termine – le prime 6-8 settimane – il piano richiede diverse azioni critiche, come la rapida valutazione della situazione dei bambini e delle donne, la vaccinazione contro il morbillo, la vitamina A, i farmaci e gli integratori alimentari essenziali, l’alimentazione materna e infantile e il monitoraggio nutrizionale, l’acqua potabile, i servizi igienici, l’assistenza per evitare la separazione delle famiglie, l’istruzione e altre opportunità di apprendimento.

L’UNICEF è stata una delle prime organizzazioni a rispondere allo tsunami che ha colpito l’Oceano Indiano alla fine del 2004, fornendo assistenza globale ai paesi investiti dal disastro assieme ai partner. L’agenzia ha fornito sostegno alla ricostruzione e ripristino del sistema scolastico e dei sistemi idrici e igienici, e si è attivata per proteggere i bambini vittime dello sfruttamento, del traffico e degli abusi, e per ricongiungere i bambini rimasti separati dalle famiglie.

Nel lungo termine, a questi impegni essenziali si è aggiunta l’organizzazione della protezione dei bambini, la lotta all’HIV/AIDS, che ha una posizione prioritaria che mai nei programmi dell’UNICEF per il 21° secolo.

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Tutti gli uffici regionali dell’UNICEF, per esempio, sono attualmente impegnati in programmi, advocacy e interventi connessi con l’HIV/AIDS, e nel 2005, l’organizzazione ha lanciato la campagna globale Uniti per i bambini. Uniti contro l’AIDS, per garantire che tutti i bambini siano al centro delle strategie contro l’HIV/AIDS.

LA SOPRAVVIVENZA E LO SVILUPPO INFANTILE RIMANGONO AL CUORE DELL’ATTIVITÀ DELL’UNICEF

Sebbene sia stata posta maggiore enfasi sulla protezione, l’istruzione dei bambini e sulla lotta all’HIV/AIDS, la sopravvivenza e lo sviluppo infantile continuano a essere al cuore della missione dell’UNICEF e hanno una posizione preminente nel nuovo Piano Strategico di Medio Termine per il 2006-2009. Come parte dell’approccio Immunization Plus, che si avvale della vaccinazione per fornire altri servizi salvavita, l’UNICEF ha inserito nella vaccinazione di routine e l’assistenza prenatale, la fornitura di zanzariere trattate con insetticida. Dal 2002 l’approccio integrato alla salute dei bambini e delle donne è noto come Strategia accelerata per la sopravvivenza e lo sviluppo infantile (ACSDS), ed è stata applicata in 11 paesi dell’Africa occidentale e centrale, raggiungendo circa 16 milioni di persone, compresi 2,8 milioni di bambini sotto i cinque anni. Questo pacchetto di servizi e di attività ha permesso di ridurre i tassi di mortalità infantile sotto i 5 anni dal 10 al 20 per cento.

Grazie ai vaccini dell’UNICEF, è stato immunizzato più di un terzo dei bambini di tutto il mondo e l’organizzazione è uno dei partner principali della Grande alleanza per i vaccini e l’immunizzazione (GAVI), un’alleanza innovativa avviata nel 2000 per aiutare i paesi a rafforzare i loro servizi di vaccinazione e a introdurre nuovi vaccini per i bambini. I governi dei paesi industrializzati e in via di sviluppo, l’UNICEF, l’OMS, la Banca Mondiale, la Fondazione Bill & Melinda Gates, le organizzazioni non governative, i produttori di vaccini e gli istituti di salute pubblica e di ricerca sono tutti partner di questa Alleanza. L’UNICEF è anche il maggiore fornitore del mondo di zanzariere contro la malaria.

Come dimostrano questi fatti, nel corso dei decenni l’UNICEF ha ampliato la gamma di attività a favore dei bambini, senza rinunciare a nessuna delle sue precedenti responsabilità. Questo ampliamento si riflette nelle sue entrate totali che sono più che raddoppiate durante la gestione di Jim Grant e nuovamente più che raddoppiato sotto la direzione di Carol Bellamy.

Nel maggio del 2005, a Carol Bellamy è subentrata Ann M. Veneman come quinto Direttore generale dell’UNICEF. Durante i primi anni del suo mandato, la Veneman ha proposto di usare gli OSM come road map per ottenere risultati significativi per l’infanzia nei prossimi 10 anni e ha sottolineato l’importanza di costituire e rinvigorire le alleanze e le campagne, come l’ACSDS e Uniti per i bambini. Uniti contro l’AIDS.

2005Lo tsunami nell’Oceano Indiano provoca una risposta umanitaria record.Un anno dopo il disastro, Indonesia.

Promuoverealleanze globali per accelerare i progressi per i bambini nel mondo.Un campo per sfollati a causa del conflitto, Liberia.

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Guardare avanti

Negli ultimi 60 anni l’UNICEF ha rappresentato le necessità e i diritti dei

bambini in tutto il mondo. Ha superato le divisioni nazionali e sociali per

fornire servizi integrati ai bambini e alle loro famiglie. Nel nuovo millennio, e

nel contesto di un’organizzazione delle Nazioni Unite rivitalizzata e riformata,

l’UNICEF si impegna a rafforzare tutti le sue alleanze al fine di accelerare i

risultati per i cittadini più giovani del mondo.

In un mondo ideale l’UNICEF non avrebbe ragione di esistere. In un mondo che rispetti la Convenzione sui diritti dell’infanzia – che garantisca ai bambini di iniziare la vita nel miglior modo possibile, di avere un’istruzione adeguata a realizzare appieno il loro potenziale e di essere protetti dai pericoli e dallo

sfruttamento – non ci sarebbe bisogno di un’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. Ma se non altro i 60 anni di vita organizzativa dell’UNICEF dimostrano che quali che siano i progressi o i risultati conseguiti, ci saranno sempre nuove sfide e nuove emergenze, nuovi modi in cui la causa dei bambini avrà bisogno di sostenitori determinati.

Nel suo rapporto La condizione dell’ infanzia nel mondo 2005, l’UNICEF ha sostenuto che l’infanzia è minacciata soprattutto su tre fronti. I diritti di oltre un miliardo di bambini sono tuttora negati, in quanto subiscono ancora una o più forme di privazioni estreme; milioni di bambini crescono in famiglie e comunità dilaniate dai conflitti armati; e l’HIV/AIDS ha provocato l’aumento dei tassi di mortalità infantile, ha ridotto drasticamente l’aspettativa di vita e ha reso orfani milioni di bambini, soprattutto nell’Africa subsahariana. Raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015 permetterà di dare risposte efficaci per l’infanzia.

UN’OPPORTUNITÀ UNICA

Le statistiche principali sullo sviluppo umano possono apparire molto positive se si guarda abbastanza avanti nel futuro. Prendiamo per esempio la mortalità sotto i cinque anni che,

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Uniti per i bambini

come ha sempre sostenuto l’UNICEF, rappresenta una guida tanto attendibile quanto qualsiasi singolo indicatore della salute di una società. Se i tassi attuali dei progressi (quelli riferiti agli anni tra il 1990 e il 2005) si mantenessero costanti, i tassi mondiali medi di mortalità infantile scenderebbero sotto il 10 per 1.000 nati vivi in circa 60 anni, cioè nel 2065. A questo punto i tassi di mortalità infantile di tutto il mondo sarebbero bassi quasi quanto quelli che si registrano attualmente nei paesi industrializzati, il cui tasso medio è pari al 6 per 1.000 nati vivi, rispetto all’87 nei paesi in via di sviluppo e al 155 nei paesi meno sviluppati. Tuttavia l’aumento vertiginoso che si è prodotto nei tassi di mortalità infantile dell’Africa meridionale dal 1990 a causa dell’HIV/AIDS – impossibile da prevedere o perfino immaginare nel 1980 – dimostra che è improbabile che la riduzione della mortalità infantile segua una linea retta.

Anche se fosse possibile tracciare una linea retta in un futuro relativamente esente da decessi infantili che si possono prevenire, ciò significherebbe tradire i bambini che sono attualmente al mondo e quelli che nasceranno nei prossimi decenni. Come parte degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, il mondo ha stabilito il traguardo di ridurre la mortalità sotto i cinque anni di due terzi rispetto ai livelli del 1990, portandola al 35 per 1.000 nati vivi entro il 2015. Il tasso attuale dei progressi nella mortalità infantile è lento in modo inaccettabile e, a questo ritmo, il traguardo non sarebbe raggiunto prima del 2045. Ma, cosa molto più importante e significativa, se l’obiettivo di ridurre la mortalità infantile verrà realizzato, milioni di vite saranno salvate.

La storia dell’UNICEF ha dimostrato quanto sia utile stabilire traguardi basati sul mondo in cui viviamo

Forza nell’unitàSono necessarie alleanze efficaci, creative e coerenti per realizzare l’Agenda del Millennio per i bambini.

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Il raggiungimento degli OSM trasformerebbe la vita di milioni di bambini nei prossimi 10 anni

adesso e non sul sogno di un lontano futuro. È proprio per questo motivo che l’UNICEF è strenuamente e totalmente impegnato a raggiungere gli OSM entro il 2015, che trasformerebbero la vita di centinaia di milioni di bambini.

Il Vertice mondiale del 2005 ha dimostrato che i progressi verso gli OSM non sono stati abbastanza rapidi in alcune regioni e in molti paesi. Nel documento finale del Vertice sono indicate le misure necessarie a rimettere il mondo in carreggiata. Innanzitutto serve un impegno concertato per fornire accesso immediato ai servizi di base a un numero maggiore di bambini e famiglie che al momento sono esclusi. Queste “iniziative a impatto rapido”, descritte nel rapporto del 2005 del Progetto del Millennio e approvate dai leader mondiali durante il Vertice, possono dare un impulso iniziale allo sviluppo umano e alla riduzione della povertà. Ma queste sono solo l’inizio e devono essere completate da iniziative a lungo termine basate su un approccio allo sviluppo fondato sui diritti umani.

Questa breve storia ha descritto il cambiamento verificatosi nell’UNICEF – sulla scia della Convenzione sui diritti dell’infanzia – che è passato dal fornire assistenza a un approccio basato sui diritti umani. Le

implicazioni di tale cambiamento sono fondamentali: non è più accettabile accontentarsi dei miglioramenti percentuali o del massimo beneficio per il maggior numero di persone. I bambini bisognosi o sfruttati di oggi non possono essere ignorati semplicemente perché una percentuale minore di bambini incontrerà difficoltà simili nel 2015 o nel 2045. I loro diritti sono negati ora, la loro situazione difficile è urgente. Come ha spiegato il rapporto dell’UNICEF La condizione dell’ infanzia nel mondo 2006, i milioni di bambini di tutto il mondo i cui diritti sono più violati, sono probabilmente gli stessi che rischiano maggiormente di essere esclusi dai servizi essenziali e che sono più difficili da proteggere da sfruttamento, abusi e abbandono. Sono gli stessi bambini che rischiano di rimanere invisibili agli occhi dei pianificatori dello sviluppo o di non beneficiare delle iniziative lanciate nell’ambito del processo del Millennio. Pur essendo totalmente impegnato nella campagna per gli OSM, l’UNICEF intende fare tutto il possibile per combattere l’esclusione e l’invisibilità di questi bambini.

Tuttavia, tutto ciò che l’UNICEF fa, non lo fa da solo. Sin dalla sua nascita l’UNICEF si è sempre basato sulle alleanze. Ha sempre sostenuto e incoraggiato i programmi degli altri – sia che si trattasse di governi

Bambini sotto i cinque anni che sarebbero salvati nel solo 2015

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Bambini che avrebbero accesso a impianti igienici migliorati entro il 2015

Bambini che avrebbero accesso a fonti di approvvigionamento idrico migliorati entro il 2015

Bambini sotto i cinque anni che avrebbero accesso a un’alimentazione adeguata entro il 2015

Bambini che avrebbero accesso all’istruzione primaria entro il 2015

Le proiezioni si riferiscono al numero di bambini che avranno accesso ai servizi di base tra il 2005 e il 2015, se gli OSM saranno raggiunti.

Fonte: UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo 2006, pagina 4

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nazionali o di organizzazioni non governative – piuttosto che lanciare le proprie iniziative. Negli ultimi anni un movimento imponente, di cui l’UNICEF è soltanto uno dei membri, ha abbracciato il concetto dei diritti dell’infanzia. Questo movimento comprende non solo i governi e le agenzie internazionali, ma anche il settore privato, i media, le organizzazioni di volontariato e i gruppi delle comunità. L’UNICEF è inoltre impegnato nel processo di riforma dell’ONU che costituisce un altro elemento dell’Agenda del Millennio e che, nei prossimi anni, consentirà una maggiore sinergia degli sforzi dell’ONU per lo sviluppo umano in tutto il mondo. Un’organizzazione delle Nazioni Unite più forte e riformata porterà vantaggi ai bambini, allo stesso modo di qualsiasi alleanza che sia in grado di aiutare un paese a raggiungere gli OSM. Un’alleanza efficace non è una semplice spinta idealistica, ma è una necessità urgente se vogliano realizzare gli obiettivi e raggiungere i bambini più emarginati.

L’alleanza globale condivide la visione di un mondo a misura di bambino. Condivide l’idea che un tale mondo non debba essere una prospettiva lontana, ma può essere realizzato nell’arco di una generazione, a condizione che si faccia un grande passo in avanti prima del 2015. In questo mondo ogni bambino andrà a scuola e avrà tutto l’empowerment e la protezione dagli abusi. In questo mondo ogni bambino sarà vaccinato contro le principali malattie mortali. In questo mondo, nessun neonato morirà per mancanza di qualche dose poco costosa di Sali per la reidratazione orale; nessun bambino sarà rinchiuso in una fabbrica a lavorare in condizioni simili alla schiavitù, o subirà abusi, sfruttamento o violenza senza poter ricorrere alla giustizia e alla protezione.

Questo mondo più essere più vicino di quanto pensiamo – ma può anche essere irrimediabilmente lontano. Il progresso non è qualcosa di inevitabile che esce fuori già pronto dalla provetta delle conquiste tecnologiche. Esso dipende, invece, dalle scelte che facciamo come comunità internazionale e dalla risolutezza che mettiamo nell’attuarle. Nei suoi 60 anni di vita l’UNICEF ha accarezzato l’idea di un mondo in cui i bambini hanno la precedenza. Dimostriamo allora che è giunto il momento di concretizzarla.

L e alleanze sono un aspetto fondamentale dell’impegno dell’UNICEF per conseguire maggiori risultati per i bambini, per realizzare i diritti dell’infanzia e aiutare

i paesi a raggiungere gli OSM. Quando l’UNICEF è stato fondato nel 1946, il suo mandato prevedeva che lavorasse assieme alle organizzazioni che fornivano aiuti e assistenza ai bambini. Questi rapporti sono stati determinanti nel contribuire alle decisioni sulle politiche a favore dei bambini. Da quel momento in poi l’organizzazione ha collaborato con una gamma sempre più vasta di partner che condividono il suo impegno a garantire ai bambini di crescere in un ambiente protettivo e al sicuro dalla violenza e dallo sfruttamento, e liberi dalla povertà e dalla discriminazione. Essi condividono la visione di un mondo in cui il genere non è uno svantaggio e in cui i bambini sono sani e liberi di apprendere e sviluppare appieno il loro potenziale. Negli anni Settanta, per esempio, i partner della società civile dell’UNICEF hanno fatto pressione per l’Anno Internazionale del Bambino che, alla fine, ha portato alla proposta per la Convenzione sui diritti dell’infanzia.

Mentre l’UNICEF commemora il suo 60° anniversario, le alleanze continuano a essere la spina dorsale dell’attività dell’organizzazione. Tra i partner attuali vi sono governi, organizzazioni intergovernative, istituti finanziari internazionali, la società civile, istituzioni accademiche, organizzazioni basate sulla fede, organizzazioni giovanili e organizzazioni sportive. I Comitati nazionali per l’UNICEF lavorano con i governi donatori e la società civile nei paesi industrializzati per raccogliere fondi, sostenere e garantire la visibilità dei bambini. L’organizzazione fornisce sostegno ai programmi di 156 paesi in via di sviluppo e territori e collabora con i governi, i legislatori, i media e la società civile in tutte le regioni in via di sviluppo, per garantire che i diritti dei bambini siano al centro delle politiche nazionali e dei programmi per la riduzione della povertà e lo sviluppo. L’UNICEF collabora anche con partner di società private che condividono l’obiettivo dell’organizzazione di creare un mondo a misura di bambino. I contributi di questi partner vanno oltre il sostegno finanziario, ma comprendono anche l’assistenza alla ricerca e lo sviluppo, la competenza tecnica e l’accesso alle reti logistiche e ai canali di comunicazione.

Come membro della famiglia delle Nazioni Unite, l’UNICEF è coinvolto nel processo di riforma che sta ridefinendo i modi in cui le agenzie delle Nazioni Unite interagiscono per migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione. Nel corso di questo decennio l’UNICEF e altre agenzie delle Nazioni Unite hanno intrapreso nuove forme di alleanza globale e, con la leadership di organismi regionali e intergovernativi sulle questioni relative alle politiche e agli investimenti, specialmente nel contesto dell’Agenda del Millennio e del Piano d’azione della Sessione speciale per l’infanzia dell’Assemblea generale dell’ONU, “Un mondo a misura di bambino”. Nello spirito della riforma dell’ONU e allo scopo di accelerare i progressi verso il raggiungimento degli OSM, l’UNICEF sta operando a stretto contatto con altre agenzie dell’ONU nell’ambito di alleanze come la campagna Uniti per i bambini. Uniti contro l’AIDS, l’Iniziativa dell’ONU per l’istruzione delle bambine, Istruzione per Tutti, Mettere fine alla fame dei bambini e le alleanze per la salute delle madri, dei neonati e dei bambini. L’organizzazione contribuisce inoltre a studi e iniziative su vasta scala dell’ONU, come il rapporto del Progetto del Millennio e l’importante Studio delle Nazioni Unite sulla violenza sui bambini. Le alleanze coerenti, efficaci e creative a tutti i livelli, sono uno strumento potente del nostro impegno collettivo per migliorare la vita dei bambini di tutto il mondo.

Le alleanze

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Nei sei decenni dalla sua nascita, l’UNICEF si è trasformato da

fondo di emergenza ad agenzia di sviluppo ed è impegnato

per proteggere i diritti e assicurare le necessità dei bambini,

ovunque essi vivano e qualunque siano le loro condizioni di vita.

Lavora con una prospettiva politica, nazionale e sociale per

garantire servizi integrati ai bambini e alle loro famiglie. Nel

nuovo millennio – e nel contesto del rinnovamento e della

riforma delle Nazioni Unite – l’UNICEF si impegna a rafforzare

le sue alleanze per raggiungere rapidamente i risultati a

beneficio dei cittadini più giovani del mondo.

Copertina: (in alto) ©UNICEF/HQ46-0001;(in basso) ©UNICEF/HQ05-1646/Mohan

United Nations Children’s Fund3 United Nations PlazaNew York, NY 10017 USAwww.unicef.org - [email protected]

Edizione italiana a cura delComitato Italiano per l’UNICEF OnlusVia Palestro, 68 – 00185 RomaTel + 39 06 478091 – Fax +39 06 47809270www.unicef.it – [email protected]

Traduzione di Maria Vittoria Ieranò

Stampa, PrintArt Guidonia (RM)Carta ecologica e riciclata Symbol Freelife Satin

© Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) Febbraio 2007