18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

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Rassegna stampa settimanale n. 18/2015 ____________________________ Dal 27 aprile 2015 Al 3 maggio 2015 A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

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Rassegna stampa settimanale n. 18/2015 ____________________________

Dal 27 aprile 2015 Al 3 maggio 2015

A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

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BANCHE

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6 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 27 APRILE 2015

Ottenuto il via libera del Mef, la FondazioneCarige all’inizio della prossima settimanadovrebbe avere il via libera anche dalla vigi-

lanza della Banca centrale europea per procedere alla cessione, al gruppo di Vittorio Malacalza, del 10,5 per cento del capitale di Banca Carige. L’opera-zione, che porterà la Fondazione al 2 per cento dellabanca (era al 46 per cento solo due anni fa), apriràufficialmente le porte all’entrata dell’imprenditoregenovese nel primo istituto di credito della Liguria.

L’assemblea della banca, oggi presieduta da Ce-sare Castelbarco Albani (foto), giovedì scorso ha li-cenziato il bilancio 2014 conclusosi con una perditanetta consolidata di 543,5 milioni di euro (657,7 mi-lioni la capogruppo). Ma ha soprattutto guardato avanti: via libera sia al nuovo aumento di capitaleda 850 milioni - che si realizzerà tra maggio e giu-gno - che al raggruppamento delle azioni, sia ordi-narie che di risparmio, in ragione di una ogni centopossedute. L’amministratore delegato Piero LuigiMontani lo ha detto chiaramente: «siamo al centrodi una operazione di correzione e abbiamo impo-stato un lavoro volto alla creazione di valore neltempo». Il bilancio harisentito di queste corre-zioni. Se il patrimoniodall’arrivo di Montani(novembre 2013) è au-mentato di 1,46 miliardi(800 milioni il primoaumento di capitale, 100milioni la cessione dellasgr, 220 milioni dai vin-coli contabili rimossi daBankitalia, 340 milionida avviamenti), al netto di un bond convertito da400 milioni e del prossimo aumento di capitale, ilconto economico è risultato ancora appesantito dalpassato e della pressante marcatura della Bce.

Tre gli aspetti straordinari che hanno inciso sulconto economico: rettifiche su crediti per 645,5 mi-lioni; 219 milioni di minusvalenza dalle attività assi-curative (le due compagnie sono state cedute a ot-tobre ad Apollo) e 60 milioni per l’accordo sindaca-le interno, che hanno contribuito a portare la perdi-ta a 543 milioni di cui 290 provenienti da rettifichein sede di Aqr. Ma Montani ha anche aperto una prospettiva: «la raccolta core è aumentata del 5,5per cento, i conti correnti del 7,2%, il risparmio ge-stito dell’8,9%. Certo, gli impieghi medi anno su an-no hanno subito una frenata, ma la banca è viva evicina alla propria clientela. Inoltre, un risultato ne-gativo influenzato da operazioni straordinarie è na-turalmente destinato a cambiare. Soprattutto, labanca è stata messa in sicurezza: l’indicatore Cet1 èpassato in un anno dal 5,4% all’8,7% e il nuovo au-mento ci porrà tra i gruppi italiani più solidi e liqui-di, arriveremo al 12,7 per cento». Una base di par-tenza, dopo le disavventure del passato.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il riassetto del settoreLe mosse dei big

Finanza

Credito Oggi l’assemblea nella nuova sede di Torino. Dopo Brasile e Turchia ora il mercato anglosassone

Intesa La passione per l’esteroUn grattacielo con vista sulla CityLa capitalizzazione è raddoppiata, soci stranieri passati dal 44 al 56% Resta forte l’imprinting delle fondazioni. Obiettivo crescere lontano da casaDI STEFANO RIGHI

C’è molta soddisfazio-ne in casa IntesaSanpaolo alla vigiliadella prima assem-

blea convocata, questa mattina,nella nuova sede del grattacielotorinese. Un’aria improntata al-l’ottimismo, visto come sono an-date le cose dall’arrivo, al verticeoperativo del gruppo, di CarloMessina. Messe alle spalle le ti-tubanze del passato il managerromano, in 18 mesi, ha realizzatouna profonda trasformazionedell’istituto, ridando a Cà deSass quel ruolo di leadershipche era stato in parte offuscatonella prima fase della grandecrisi internazionale della finan-za.

Tre risultatiL’intervento di Messina ha ri-

dato aria e prospettive a Intesa Sanpaolo e un anno e mezzo do-po i risultati, che appaiono evi-denti, si possono sintetizzare intre aspetti: il risultato finale èpassato dalla perdita di 4,55 mi-liardi registrata alla fine del2013 all’utile netto di 1,25 miliar-di con cui si è concluso il 2014.Nel medesimo periodo, la capi-talizzazione di Borsa del titolo èraddoppiata, mentre la percen-tuale di investitori istituzionaleesteri, presenti nel capitale dellabanca, è passata dal 44 al 56 percento, facendo di questa catego-ria il primo gruppo di azionistidi Intesa Sanpaolo. Quest’ulti-mo aspetto risulta particolar-mente significativo perché è di-retta funzione di come la bancaviene percepita dagli investitoriprofessionali sui mercati inter-nazionali, di come vengono giu-dicate le sue possibilità di svi-luppo, la sostenibilità dei busi-ness in cui è impegnata.

Resta, Intesa, comunque laroccaforte delle Fondazioni, che

qui raggiungono, con le primequattro socie, una quota del21,756 per cento del capitale e untotale attorno al 24%.

TrasformazioniIl 2014 che oggi i soci mande-

ranno in archivio è stato un an-no di profonda trasformazione.Il comprehensive assessment el’avviamento della vigilanza uni-ca europea hanno fatto sì che la

banca scalasse la classifica con-tinentale degli istituti di creditoper solidità patrimoniale e di-sponibilità di liquidità. Due fat-tori che hanno, anche nel recen-te passato, determinato profon-de crisi per concorrenti di pri-maria importanza. Soprattutto,il 2014 è stato per Intesa Sanpa-olo l’anno del Piano di impresa.Messina non solo ha seguito conestrema attenzione il posiziona-

mento della propria banca se-condo le direttrici imposte dainuovi controllori europei, ma haanche messo mano alla com-plessa organizzazione domesti-ca di un istituto presente, in ma-niera massiccia, su tutto il terri-torio nazionale.

L’eredità delle vecchie Cassedi risparmio, struttura portantedelle finanze private del Paeseper almeno i primi cinquant’an-

ni del secondo dopoguerra, sitrova qui più che altrove. Contutte le complessità e le sensibi-lità che ne derivano. Messina harivisto l’organizzazione dellaBanca dei Territori, rinnovatotutti i direttori regionali, dato vi-ta a tre divisioni focalizzate suPrivate banking, Asset mana-gement e Assicurazioni e affi-dandole rispettivamente a PaoloMolesini, Tommaso Corcos e Ni-cola Fioravanti. Addirittura, ladivisione Insurance, sfruttandola grande capacità e la credibili-tà commerciale della rete agen-ziale, è riuscita nel corso del2014 a diventare il primo pro-duttore di premi Vita in Italia,davanti anche a un colosso comele Assicurazioni Generali.

ProspettiveMessina si è impegnato nel

disegnare un percorso sosteni-bile di sviluppo anche al tempodei tassi vicini allo zero, dell’ele-vata volatilità dei mercati e del-l’invadente presenza delle tecno-logie digitali che ha posto il pro-blema dell’organizzazione del la-voro al tempo dell’eBank. Ma haanche assicurato i soci sul loroinvestimento e soprattutto sullacapacità della banca di garantireuna remunerazione stabile delcapitale investito, che si traduceconcretamente in un dividendoin crescita e soprattutto cash,per questo e i prossimi esercizi(7 centesimi alle ordinarie; 8,1alle risparmio). Promesse man-tenute, anche in un momento incui, altre banche, faticano amuoversi con disinvoltura e so-no chiamate a fare i conti con ilpassato, spesso molto ingom-brante. La macchina che Messi-na sta mettendo a punto ha poiiniziato il nuovo anno con un im-portante risultato sul fronte del-le erogazioni al sistema delle im-prese e delle famiglie: 8 miliardidi nuovo credito erogato nel pri-mo trimestre 2015. Resta dacompletare il piano di espansio-ne all’estero. Recentemente Inte-sa ha aperto un punto corporatea Istanbul, in precedenza ha ac-quisito attività bancarie a SanPaolo del Brasile. Passi meditati,ma prodromici a qualcosa di piùsignificativo per lo sviluppo diun vero network internazionale,soprattutto sui mercati di matri-ce anglosassone.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bilanci Malacalza alle porte

Carige, settimanadecisiva per la quota della Fondazione

Consiglio di SorveglianzaGiovanni Bazoli

Il confronto tra gli ultimi due bilanci di IntesaSanpaoloDati in milioni di euro

Il salto in avanti

2014

8.3746.775

16.898-683

-8.5448.354

-4.5383.435

-1.7811.251

Variazioni

Assolute Percentuali

264643650

-6246404

-2.573919910

5.801

3,3%10,5%

4,0%-0,9%

3,0%5,1%

-36,2%36,5%

-

Interessi nettiCommissioni nette

Proventi operativi nettiAmmortamento immobilizzazioni materiali e immateriali

Oneri operativiRisultato gestione operativa

Rettifiche di valore nette su creditiRisultato corrente al lordo delle imposte

Imposte sul reddito dell’operatività correnteRisultato netto

8.1106.132

16.248-689

-8.2987.950

-7.1112.516-871

-4.550

2013

Fonte: Bilancio 2014 IntesaSanpaolo

Consigliere delegatoCarlo Messina

Consiglio di GestioneGian Maria Gros-Pietro

L’analisi

Le regole? Troppo grandi per (non) fallireLa normativa in fase di definizione è ormai un mastodontico e forse inutile blob

All’esplosione della crisinon c’era alternativa aisalvataggi e per Mario

Draghi, allora presidente del Fi-nancial Stability Board, urgevadefinire nuove regole per evita-re che le banche, passata la pa-ura, continuassero come prima.La reazione dei regolatori, primacircospetta, sta divenendo uninarrestabile blob. Con effettigravi in Europa, ove le impresesono finanziate soprattutto dal-le banche (e non, come negliUsa, dai mercati).

Il collasso di una grandebanca, per le scommesse dimanager avventati, non dovràpiù esser pagato dai contri-buenti. Di qui le norme sull’ade-guatezza del capitale, divise intanti rivoli quanti i tipi di impie-go, da Basilea 1 a Basilea 3 e ol-tre; la separazione fra bancacommerciale (raccolta di denaroe prestiti a famiglie e imprese) e

investment bank, ancora solopensata ma avversata daigrandi gruppi; e i limiti ai bonusdei dirigenti, le regole sulla li-quidità, la richiesta alle banchedi un «testamento» che indichi ipassi necessari a liquidare ordi-natamente le parti di un gruppobancario.

Si può continuare a lungo;sono norme opportune, spessonecessarie, ma è lecito doman-darsi se vadano introdotte tutteassieme. E il blob non accenna afermarsi. Chi scrive fu tra i pochia d i fe n d e r e l a E u r o p e a nBanking Authority (Eba), i cuistress test misero in luce caren-ze di capitale nelle banche.L’Eba fu molto criticata perchéla scelta dei tempi non fu ottima(allora non c’era un meccani-smo di protezione europeo), male carenze c’erano, s’è visto al-l’entrata in vigore dell’Unionebancaria lo scorso autunno.

Stabilire la rotta spetta allapolitica ma ai fornelli c’è unapletora di chef, pochi con re-sponsabilità politica: ci lavoranoCommissione, Consiglio e Par-lamento europeo, l’Eba, la Bce, ilsuo Single Supervisory Mecha-nism, le banche centrali nazio-

nali, il Financial Stability Board,l’Ocse, l’Fmi, l’Eurogruppo, l’Eu-ropean Systemic Risk Board, laBanca dei Regolamenti Interna-zionali, nonché i vigilanti suimercati nazionali (Consob inItalia), europei (Esma) e mon-diali (Iosco). Urge un «TestoUnico», ma il compito, più che

ciclopico, è forse vano; ognigiorno cambia qualcosa e alcu-ne prescrizioni parrebbero in-compatibili. Soprattutto, non sene vede la fine giacché, per An-drew Haldane (Bank of En-gland), «Grandi settori dellamappa bancaria internazionalesono ancora inesplorati».

I lai dei banchieri sono so-spetti, ma nemmeno dobbiamocreare un ambiente nel qualesolo si orienteranno gli speciali-sti dell’oscura branca nota comeCompliance. Tante norme sonoragionevoli e dan tempo peradattarsi ai mutamenti, altreesigono tempi stretti o spingo-no i mercati a forzarne l’imme-diata applicazione, pena il crollodei titoli di chi non lo fa.

Gli operatori poi riesconospesso a «catturare» il regola-tore, che prende per Vangelo illoro desiderio. Il compiantoTommaso Padoa-Schioppa dis-

se, all’esplosione della crisi Leh-man: «Le banche centrali, chehanno combattuto giuste bat-taglie per emanciparsi dal pote-re politico, sono forse diventatetroppo dipendenti dai mercati».

Esempi della «cattura» sono:assorbimenti di capitale che pe-

nalizzano gli impieghi nell’eco-nomia reale rispetto all’investi-mento in titoli (spesso nemme-no quotati sul mercato); la ven-t i l a t a i n d a g i n e d e l l aCommissione Ue sulle impostedifferite attive nel computo delcapitale, ribattezzate (con cri-sma europeo) crediti d’imposta;

alcune avventate idee in temadi valutazione dei titoli di Stato,e così via.

Il nostro governo sollevi laquestione in Europa, ma senzafarne una vittimistica battagliadi retroguardia della «perife-ria». No, bisogna, anche nell’in-teresse del Nord, riportare la fi-nanza al suo ruolo servente perl’economia. Il fatto che la primamaneggi un coltello con cui puòsgozzare la seconda non co-stringe i governi a cedere ai suoiricatti. L’’ex cancelliere tedescoHelmuth Schmidt, disse nel2012 che la lobby bancariacombatterà con ogni mezzo chivuol ricondurla al suo ruolo; perfarlo essa ha forse trovato unavia subdola. Saranno sì i grandigruppi a urlare più forte il lorostrazio, certi però di essere i solia poterlo comunque sopporta-re.

Dato il peso dei costi di com-

pliance, potremmo scoprire checiò incentiva, anziché frenare, latendenza al gigantismo banca-rio. Forse non solo in Italia, an-che in Europa, la linea più brevefra due punti è ora l’arabesco(copyright Ennio Flaiano).

Manca una visione d’insie-me; questo fardello normativova messo su una «pesa pubbli-ca» che si prenda la responsa-bilità di stabilirne la tollerabilitàalla luce delle priorità. Torniamoai fondamentali. Le banche de-vono: a) fare il loro mestiereprestando a chi lo merita e neha bisogno i soldi di chi non liusa in proprio;, b) essere robu-ste per non gravare sui contri-buenti. Spingere all’estremo unfine significa affossare l’altro.Qual è dunque il peso soppor-tabile da un sistema he raccolgadenari e li presti efficacemente?Si troveranno investitori dispo-sti a finanziare le banche «solocommerciali»? E chi sostituirà ilruolo delle assicurazioni nel ca-pitale di rischio, che le norme inlavorazione molto ridurranno?Dalla risposta alle domande di-pende il futuro d’Europa. Sequalcuno se ne darà carico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di SALVATORE BRAGANTINI

Servirebbe un Testo unico. C’è il rischio di favorire il gigantismo

La robustezza non deve pregiudicarei finanziamenti all’economia reale

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6 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 27 APRILE 2015

Ottenuto il via libera del Mef, la FondazioneCarige all’inizio della prossima settimanadovrebbe avere il via libera anche dalla vigi-

lanza della Banca centrale europea per procedere alla cessione, al gruppo di Vittorio Malacalza, del 10,5 per cento del capitale di Banca Carige. L’opera-zione, che porterà la Fondazione al 2 per cento dellabanca (era al 46 per cento solo due anni fa), apriràufficialmente le porte all’entrata dell’imprenditoregenovese nel primo istituto di credito della Liguria.

L’assemblea della banca, oggi presieduta da Ce-sare Castelbarco Albani (foto), giovedì scorso ha li-cenziato il bilancio 2014 conclusosi con una perditanetta consolidata di 543,5 milioni di euro (657,7 mi-lioni la capogruppo). Ma ha soprattutto guardato avanti: via libera sia al nuovo aumento di capitaleda 850 milioni - che si realizzerà tra maggio e giu-gno - che al raggruppamento delle azioni, sia ordi-narie che di risparmio, in ragione di una ogni centopossedute. L’amministratore delegato Piero LuigiMontani lo ha detto chiaramente: «siamo al centrodi una operazione di correzione e abbiamo impo-stato un lavoro volto alla creazione di valore neltempo». Il bilancio harisentito di queste corre-zioni. Se il patrimoniodall’arrivo di Montani(novembre 2013) è au-mentato di 1,46 miliardi(800 milioni il primoaumento di capitale, 100milioni la cessione dellasgr, 220 milioni dai vin-coli contabili rimossi daBankitalia, 340 milionida avviamenti), al netto di un bond convertito da400 milioni e del prossimo aumento di capitale, ilconto economico è risultato ancora appesantito dalpassato e della pressante marcatura della Bce.

Tre gli aspetti straordinari che hanno inciso sulconto economico: rettifiche su crediti per 645,5 mi-lioni; 219 milioni di minusvalenza dalle attività assi-curative (le due compagnie sono state cedute a ot-tobre ad Apollo) e 60 milioni per l’accordo sindaca-le interno, che hanno contribuito a portare la perdi-ta a 543 milioni di cui 290 provenienti da rettifichein sede di Aqr. Ma Montani ha anche aperto una prospettiva: «la raccolta core è aumentata del 5,5per cento, i conti correnti del 7,2%, il risparmio ge-stito dell’8,9%. Certo, gli impieghi medi anno su an-no hanno subito una frenata, ma la banca è viva evicina alla propria clientela. Inoltre, un risultato ne-gativo influenzato da operazioni straordinarie è na-turalmente destinato a cambiare. Soprattutto, labanca è stata messa in sicurezza: l’indicatore Cet1 èpassato in un anno dal 5,4% all’8,7% e il nuovo au-mento ci porrà tra i gruppi italiani più solidi e liqui-di, arriveremo al 12,7 per cento». Una base di par-tenza, dopo le disavventure del passato.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il riassetto del settoreLe mosse dei big

Finanza

Credito Oggi l’assemblea nella nuova sede di Torino. Dopo Brasile e Turchia ora il mercato anglosassone

Intesa La passione per l’esteroUn grattacielo con vista sulla CityLa capitalizzazione è raddoppiata, soci stranieri passati dal 44 al 56% Resta forte l’imprinting delle fondazioni. Obiettivo crescere lontano da casaDI STEFANO RIGHI

C’è molta soddisfazio-ne in casa IntesaSanpaolo alla vigiliadella prima assem-

blea convocata, questa mattina,nella nuova sede del grattacielotorinese. Un’aria improntata al-l’ottimismo, visto come sono an-date le cose dall’arrivo, al verticeoperativo del gruppo, di CarloMessina. Messe alle spalle le ti-tubanze del passato il managerromano, in 18 mesi, ha realizzatouna profonda trasformazionedell’istituto, ridando a Cà deSass quel ruolo di leadershipche era stato in parte offuscatonella prima fase della grandecrisi internazionale della finan-za.

Tre risultatiL’intervento di Messina ha ri-

dato aria e prospettive a Intesa Sanpaolo e un anno e mezzo do-po i risultati, che appaiono evi-denti, si possono sintetizzare intre aspetti: il risultato finale èpassato dalla perdita di 4,55 mi-liardi registrata alla fine del2013 all’utile netto di 1,25 miliar-di con cui si è concluso il 2014.Nel medesimo periodo, la capi-talizzazione di Borsa del titolo èraddoppiata, mentre la percen-tuale di investitori istituzionaleesteri, presenti nel capitale dellabanca, è passata dal 44 al 56 percento, facendo di questa catego-ria il primo gruppo di azionistidi Intesa Sanpaolo. Quest’ulti-mo aspetto risulta particolar-mente significativo perché è di-retta funzione di come la bancaviene percepita dagli investitoriprofessionali sui mercati inter-nazionali, di come vengono giu-dicate le sue possibilità di svi-luppo, la sostenibilità dei busi-ness in cui è impegnata.

Resta, Intesa, comunque laroccaforte delle Fondazioni, che

qui raggiungono, con le primequattro socie, una quota del21,756 per cento del capitale e untotale attorno al 24%.

TrasformazioniIl 2014 che oggi i soci mande-

ranno in archivio è stato un an-no di profonda trasformazione.Il comprehensive assessment el’avviamento della vigilanza uni-ca europea hanno fatto sì che la

banca scalasse la classifica con-tinentale degli istituti di creditoper solidità patrimoniale e di-sponibilità di liquidità. Due fat-tori che hanno, anche nel recen-te passato, determinato profon-de crisi per concorrenti di pri-maria importanza. Soprattutto,il 2014 è stato per Intesa Sanpa-olo l’anno del Piano di impresa.Messina non solo ha seguito conestrema attenzione il posiziona-

mento della propria banca se-condo le direttrici imposte dainuovi controllori europei, ma haanche messo mano alla com-plessa organizzazione domesti-ca di un istituto presente, in ma-niera massiccia, su tutto il terri-torio nazionale.

L’eredità delle vecchie Cassedi risparmio, struttura portantedelle finanze private del Paeseper almeno i primi cinquant’an-

ni del secondo dopoguerra, sitrova qui più che altrove. Contutte le complessità e le sensibi-lità che ne derivano. Messina harivisto l’organizzazione dellaBanca dei Territori, rinnovatotutti i direttori regionali, dato vi-ta a tre divisioni focalizzate suPrivate banking, Asset mana-gement e Assicurazioni e affi-dandole rispettivamente a PaoloMolesini, Tommaso Corcos e Ni-cola Fioravanti. Addirittura, ladivisione Insurance, sfruttandola grande capacità e la credibili-tà commerciale della rete agen-ziale, è riuscita nel corso del2014 a diventare il primo pro-duttore di premi Vita in Italia,davanti anche a un colosso comele Assicurazioni Generali.

ProspettiveMessina si è impegnato nel

disegnare un percorso sosteni-bile di sviluppo anche al tempodei tassi vicini allo zero, dell’ele-vata volatilità dei mercati e del-l’invadente presenza delle tecno-logie digitali che ha posto il pro-blema dell’organizzazione del la-voro al tempo dell’eBank. Ma haanche assicurato i soci sul loroinvestimento e soprattutto sullacapacità della banca di garantireuna remunerazione stabile delcapitale investito, che si traduceconcretamente in un dividendoin crescita e soprattutto cash,per questo e i prossimi esercizi(7 centesimi alle ordinarie; 8,1alle risparmio). Promesse man-tenute, anche in un momento incui, altre banche, faticano amuoversi con disinvoltura e so-no chiamate a fare i conti con ilpassato, spesso molto ingom-brante. La macchina che Messi-na sta mettendo a punto ha poiiniziato il nuovo anno con un im-portante risultato sul fronte del-le erogazioni al sistema delle im-prese e delle famiglie: 8 miliardidi nuovo credito erogato nel pri-mo trimestre 2015. Resta dacompletare il piano di espansio-ne all’estero. Recentemente Inte-sa ha aperto un punto corporatea Istanbul, in precedenza ha ac-quisito attività bancarie a SanPaolo del Brasile. Passi meditati,ma prodromici a qualcosa di piùsignificativo per lo sviluppo diun vero network internazionale,soprattutto sui mercati di matri-ce anglosassone.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bilanci Malacalza alle porte

Carige, settimanadecisiva per la quota della Fondazione

Consiglio di SorveglianzaGiovanni Bazoli

Il confronto tra gli ultimi due bilanci di IntesaSanpaoloDati in milioni di euro

Il salto in avanti

2014

8.3746.775

16.898-683

-8.5448.354

-4.5383.435

-1.7811.251

Variazioni

Assolute Percentuali

264643650

-6246404

-2.573919910

5.801

3,3%10,5%

4,0%-0,9%

3,0%5,1%

-36,2%36,5%

-

Interessi nettiCommissioni nette

Proventi operativi nettiAmmortamento immobilizzazioni materiali e immateriali

Oneri operativiRisultato gestione operativa

Rettifiche di valore nette su creditiRisultato corrente al lordo delle imposte

Imposte sul reddito dell’operatività correnteRisultato netto

8.1106.132

16.248-689

-8.2987.950

-7.1112.516-871

-4.550

2013

Fonte: Bilancio 2014 IntesaSanpaolo

Consigliere delegatoCarlo Messina

Consiglio di GestioneGian Maria Gros-Pietro

L’analisi

Le regole? Troppo grandi per (non) fallireLa normativa in fase di definizione è ormai un mastodontico e forse inutile blob

All’esplosione della crisinon c’era alternativa aisalvataggi e per Mario

Draghi, allora presidente del Fi-nancial Stability Board, urgevadefinire nuove regole per evita-re che le banche, passata la pa-ura, continuassero come prima.La reazione dei regolatori, primacircospetta, sta divenendo uninarrestabile blob. Con effettigravi in Europa, ove le impresesono finanziate soprattutto dal-le banche (e non, come negliUsa, dai mercati).

Il collasso di una grandebanca, per le scommesse dimanager avventati, non dovràpiù esser pagato dai contri-buenti. Di qui le norme sull’ade-guatezza del capitale, divise intanti rivoli quanti i tipi di impie-go, da Basilea 1 a Basilea 3 e ol-tre; la separazione fra bancacommerciale (raccolta di denaroe prestiti a famiglie e imprese) e

investment bank, ancora solopensata ma avversata daigrandi gruppi; e i limiti ai bonusdei dirigenti, le regole sulla li-quidità, la richiesta alle banchedi un «testamento» che indichi ipassi necessari a liquidare ordi-natamente le parti di un gruppobancario.

Si può continuare a lungo;sono norme opportune, spessonecessarie, ma è lecito doman-darsi se vadano introdotte tutteassieme. E il blob non accenna afermarsi. Chi scrive fu tra i pochia d i fe n d e r e l a E u r o p e a nBanking Authority (Eba), i cuistress test misero in luce caren-ze di capitale nelle banche.L’Eba fu molto criticata perchéla scelta dei tempi non fu ottima(allora non c’era un meccani-smo di protezione europeo), male carenze c’erano, s’è visto al-l’entrata in vigore dell’Unionebancaria lo scorso autunno.

Stabilire la rotta spetta allapolitica ma ai fornelli c’è unapletora di chef, pochi con re-sponsabilità politica: ci lavoranoCommissione, Consiglio e Par-lamento europeo, l’Eba, la Bce, ilsuo Single Supervisory Mecha-nism, le banche centrali nazio-

nali, il Financial Stability Board,l’Ocse, l’Fmi, l’Eurogruppo, l’Eu-ropean Systemic Risk Board, laBanca dei Regolamenti Interna-zionali, nonché i vigilanti suimercati nazionali (Consob inItalia), europei (Esma) e mon-diali (Iosco). Urge un «TestoUnico», ma il compito, più che

ciclopico, è forse vano; ognigiorno cambia qualcosa e alcu-ne prescrizioni parrebbero in-compatibili. Soprattutto, non sene vede la fine giacché, per An-drew Haldane (Bank of En-gland), «Grandi settori dellamappa bancaria internazionalesono ancora inesplorati».

I lai dei banchieri sono so-spetti, ma nemmeno dobbiamocreare un ambiente nel qualesolo si orienteranno gli speciali-sti dell’oscura branca nota comeCompliance. Tante norme sonoragionevoli e dan tempo peradattarsi ai mutamenti, altreesigono tempi stretti o spingo-no i mercati a forzarne l’imme-diata applicazione, pena il crollodei titoli di chi non lo fa.

Gli operatori poi riesconospesso a «catturare» il regola-tore, che prende per Vangelo illoro desiderio. Il compiantoTommaso Padoa-Schioppa dis-

se, all’esplosione della crisi Leh-man: «Le banche centrali, chehanno combattuto giuste bat-taglie per emanciparsi dal pote-re politico, sono forse diventatetroppo dipendenti dai mercati».

Esempi della «cattura» sono:assorbimenti di capitale che pe-

nalizzano gli impieghi nell’eco-nomia reale rispetto all’investi-mento in titoli (spesso nemme-no quotati sul mercato); la ven-t i l a t a i n d a g i n e d e l l aCommissione Ue sulle impostedifferite attive nel computo delcapitale, ribattezzate (con cri-sma europeo) crediti d’imposta;

alcune avventate idee in temadi valutazione dei titoli di Stato,e così via.

Il nostro governo sollevi laquestione in Europa, ma senzafarne una vittimistica battagliadi retroguardia della «perife-ria». No, bisogna, anche nell’in-teresse del Nord, riportare la fi-nanza al suo ruolo servente perl’economia. Il fatto che la primamaneggi un coltello con cui puòsgozzare la seconda non co-stringe i governi a cedere ai suoiricatti. L’’ex cancelliere tedescoHelmuth Schmidt, disse nel2012 che la lobby bancariacombatterà con ogni mezzo chivuol ricondurla al suo ruolo; perfarlo essa ha forse trovato unavia subdola. Saranno sì i grandigruppi a urlare più forte il lorostrazio, certi però di essere i solia poterlo comunque sopporta-re.

Dato il peso dei costi di com-

pliance, potremmo scoprire checiò incentiva, anziché frenare, latendenza al gigantismo banca-rio. Forse non solo in Italia, an-che in Europa, la linea più brevefra due punti è ora l’arabesco(copyright Ennio Flaiano).

Manca una visione d’insie-me; questo fardello normativova messo su una «pesa pubbli-ca» che si prenda la responsa-bilità di stabilirne la tollerabilitàalla luce delle priorità. Torniamoai fondamentali. Le banche de-vono: a) fare il loro mestiereprestando a chi lo merita e neha bisogno i soldi di chi non liusa in proprio;, b) essere robu-ste per non gravare sui contri-buenti. Spingere all’estremo unfine significa affossare l’altro.Qual è dunque il peso soppor-tabile da un sistema he raccolgadenari e li presti efficacemente?Si troveranno investitori dispo-sti a finanziare le banche «solocommerciali»? E chi sostituirà ilruolo delle assicurazioni nel ca-pitale di rischio, che le norme inlavorazione molto ridurranno?Dalla risposta alle domande di-pende il futuro d’Europa. Sequalcuno se ne darà carico.

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di SALVATORE BRAGANTINI

Servirebbe un Testo unico. C’è il rischio di favorire il gigantismo

La robustezza non deve pregiudicarei finanziamenti all’economia reale

.

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MF

Numero 082, pag. 11 del 28/04/2015

MERCATI

Bazoli annuncia che la nuova governance sarà pronta per il rinnovo dei consigli

Intesa accelera sul nuovo statuto

Entro giugno i saggi consegneranno la loro proposta. Dopo il via libera del board di sorveglianza toccherà alla Bce. Poi l'assemblea straordinaria. Il ceo Messina: continueremo a remunerare i soci

di Andrea Di Biase

La nuova governance di Intesa Sanpaolo sarà pronta per la primavera del prossimo anno, quando gli

azionisti di Intesa Sanpaolo saranno chiamati a rinnovare gli organi sociali in scadenza. Il nuovo statuto, che

potrebbe portare a un superamento del sistema duale o, in alternativa, a una sua revisione per renderlo in

linea con le nuove disposizioni di vigilanza sulla governance delle banche, dovrebbe infatti essere approvato

prima della scadenza natura dei consigli. Così ha indicato ieri il presidente del consiglio di sorveglianza della

Ca' de Sass, Giovanni Bazoli, nel corso dell'assemblea ordinaria che ha approvato la

politica di remunerazione del gruppo e la distribuzione del dividendo (7 centesimi di

euro per le ordinarie e 8,1 centesimi per le risparmio). «Abbiamo preso impegni

temporali che stiamo rispettando, abbiamo finora tenuto dieci riunioni della

commissione governance e pianificato la nostra attività fino alla fine di giugno», ha

spiegato Bazoli, sottolineando che la commissione concluderà il proprio lavoro nel

mese di giugno per poi fare una proposta articolata sulla nuova governance al

consiglio di sorveglianza. Toccherà dunque all'organo di supervisione della banca

dare il primo ok alla bozza di statuto, che sarà poi inviata alla Bce. Una volta che Francoforte avrà espresso

le proprie osservazioni in merito, i vertici di Intesa potranno dunque convocare un'assemblea straordinaria

per dare il definitivo via libera alle nuove regole. Bazoli non si è tuttavia sbilanciato su quali potrebbero

essere queste nuove regole. «Non ci sono ancora orientamenti, siamo in fase di

ricognizione», ha spiegato, sottolineando che uno degli obiettivi è quello di

«rendere più efficace la procedura dei controllo rischi ed elaborazione della visione

strategica». Sul controllo dei rischi ha posto l'accento anche il presidente del

consiglio di gestione, Gian Maria Gros-Pietro: «I modelli devono continuamente

evolvere, procedere verso un'evoluzione spinta dal cambio della regolamentazione

a livello europeo e italiano». L'assemblea di ieri è stata anche l'occasione per il ceo

di Intesa, Carlo Messina, di confermare anche per il prossimo anno l'intenzione di

remunerare i soci almeno allo stesso livello di quest'anno. Il numero uno operativo

della banca, oltre a sottolineare che nei primi tre mesi del 2015 Intesa ha erogato

circa 8 miliardi di nuovo credito (4 miliardi solo in marzo), ha infine escluso

eventuali quotazioni in borsa di società controllate, tra cui Banca Fideuram. «Oggi non c'è bisogno di

procedere a quotazioni di nostre società controllate perché abbiamo un eccesso di capitale. Una possibile

quotazione in questo momento potrebbe distruggere valore per i nostri azionisti, e non crearlo». (riproduzione

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MF

Numero 082, pag. 11 del 28/04/2015

MERCATI

Lettera di denuncia di rumiz al governatore serracchiani

Friuli, scoppia il caso Mediocredito

di Bernardo Soave

Il caso lo ha sollevato in una lettera Paolo Rumiz, firma storica del Piccolo di Trieste e di Repubblica, esperto

di storia e cultura della Mitteleuropa. Con un j'accuse che nei giorni scorsi ha scosso violentemente la politica

e l'economia regionali, Rumiz ha puntato l'indice contro il Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia, lo storico

istituto di credito controllato dalla regione e specializzato in finanziamenti al mondo dell'impresa. Rivolgendosi

direttamente alla governatrice Debora Serracchiani, vicesegretario del Partito

Democratico e leader della prima ora del movimento dei rottamatori, il giornalista ha

denunciato la «bomba a orologeria» che, stando a indiscrezioni raccolte tra

professionisti e industriali veneti, si nasconderebbe nei conti del Mediocredito. «A

fronte di un miliardo e mezzo di impieghi, avremmo non 500 milioni, come è emerso

dalla stampa, ma 1 miliardo di incagli, come dire soldi che assai difficilmente tornano

indietro», attacca Rumiz nella missiva pubblicato dal Messaggero Veneto (gruppo

Finegil). Che il credito sia un problema per l'istituto presieduto da Cristiana Compagno

e guidato dal direttore generale Narciso Gaspardo è confermato dagli ultimi numeri

pubblicati. Nel primo semestre del 2014 il rapporto tra sofferenze nette e crediti verso clientela si attestava al

10,8%, mentre i crediti anomali netti totali (cioè sofferenze, incagli, esposizioni ristrutturate, scaduti deteriorati

e altri crediti scaduti), compresi quindi i fondi propri, di terzi e il leasing (esclusi i crediti impliciti), si

attestavano a 498 milioni. L'ultima riga del conto economico segnava poi una perdita di 11 milioni.

La lettera di Rumiz continua con 12 domande rivolte direttamente al governatore Serracchiani per fare luce

sulle presunte difficoltà del Mediocredito. Insomma, la polemica negli ambienti politici friulani divampa e

potrebbe durare ancora a lungo. Anche perché al momento la Regione non ha risposto ufficialmente al

j'accuse del giornalista. Come riporta la stampa locale, l'idea sarebbe infatti quella di rispondere con i numeri,

attraverso un dossier da mettere nero su bianco insieme alla presidente di Mediocredito, Cristiana

Compagno.

Difficile per il momento capire se la lettera incendiaria di Rumiz sia il prodotto di una battaglia politica volta a

colpire uno dei simboli del potere renziano oppure la denuncia di uno scandalo reale. Di certo, ormai il caso è

stato sollevato. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 082, pag. 13 del 28/04/2015

MERCATI

TensionE nelle due deputazioni sulle nomine per la banca. in giornata il vertice

Resa dei conti in Fondazione MpsMolto improbabile che si arrivi a una sfiducia del presidente Clarich. Intanto si raffreddano anche i rapporti con i due fondi pattisti. Oggi focus anche sul bilancio e sull'aumento di capitale

di Luca Gualtieri

Sarà una giornata calda per i vertici della Fondazione Monte dei Paschi, azionista della banca senese al

2,5%. Tra la mattina e il primo pomeriggio dovrebbero riunirsi le due deputazioni dell'ente, quella

amministratrice e quella generale, per affrontare un nutrito ordine del giorno. Sul tavolo ci saranno infatti temi

delicati, come all'approvazione del bilancio 2014 e l'aumento di capitale della banca previsto per la fine di

maggio. Eppure, accanto alle questioni finanziarie, c'è un altro tema che in queste ultime settimane sta

animando il dibattito tra le istituzioni senesi. Si tratta dell'iter che nel marzo scorso

portò alla stesura della lista dei candidati al cda di Banca Mps. In quell'occasione il

presidente Marcello Clarich e la vicepresidente Bettina Campedelli vennero messi in

minoranza dagli altri tre membri della deputazione amministratrice sul tema della

rappresentanza del territorio. La questione potrebbe sembrare di scarsa rilevanza,

specie se confrontata con gli altri problemi del momento, ma la polemica si è protratta

per settimane e oggi, come anticipato da MF-Milano Finanza, arriverà finalmente sul

tavolo degli organi direttivi. Il presidente potrebbe chiedere alla deputazione generale

di deliberare in base all'articolo 8 dello statuto, quello cioè che attribuisce all'organo di indirizzo il potere di

nomina e revoca del presidente della Fondazione e degli altri membri della deputazione amministratrice.

Fonti senesi suggeriscono però che una sfiducia aperta sia

altamente improbabile, anche perché determinerebbe un

vulnus senza precedenti all'istituzione stessa della

fondazione. La baruffa rischierebbe poi di pesare sulle sorti

del patto di sindacato stretto da Palazzo Sansedoni con

Fintech Advisory e Btg Pactual. Le dialettiche all'interno

dell'alleanza sono peraltro già abbastanza accese,

soprattutto dopo la partita delle nomine. Sembra infatti che, a

seguito di quella vicenda, i due fondi sudamericani vogliano

mettere in discussione il diritto della fondazione a indicare il presidente della banca. Una mossa che, se

confermata, metterebbe in crisi l'intera architettura del patto. Va peraltro ricordato che l'asse tra Fondazione

Mps, Fintech e Btg Pactual potrebbe essere ridisegnato molto presto. Ad avere le mani libere per primo sarà

Btg Pactual, visto che tra maggio e giugno scadranno le due clausole di lock up che vincolano il gruppo

brasiliano: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento. Il

primo dei due vincoli verrà meno anche per il fondo Fintech, che pure resterà legato a Siena per un altro

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anno, cioè fino al 31 marzo 2016.

Tornando ai vertici di oggi, sul tavolo ci sarà anche l'analisi del bilancio 2014 della Fondazione (che potrebbe

registrare una svalutazione del patrimonio da 720 a 530 milioni) e l'avvio della discussione sull'aumento di

capitale. Sullo sfondo potrebbe poi esserci la questione del direttore generale visto che Enrico Granata, dato

per uscente fino a qualche settimana fa, potrebbe anche essere riconfermato. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 082, pag. 14 del 28/04/2015

MERCATI

Anche saviotti vuole la private bank di carige per affiancarla a banca aletti

Cesare Ponti, offerta del BancoGiovedì 30 il cda del gruppo ligure esaminerà le proposte presentate dalla popolare e da Banca Finnat. Il fair value della controllata è solo 36,5 milioni, ma il marchio fa gola di Claudia Cervini

Sono settimane decisive per il destino di Banca Cesare Ponti, la private bank del gruppo Carige. Dopo la

proposta di Banca Finnat nei giorni scorsi (si veda Milanofinanza.it) è arrivata anche l'offerta vincolante del

Banco Popolare, intenzionato ad aggiudicarsi lo storico marchio attivo nei servizi finanziari a clienti di elevato

standing, da affiancare a quello di Banca Aletti. I dettagli dell'offerta del Banco, così come quelli della

proposta di Banca Finnat, sono attesi sul tavolo del consiglio di amministrazione di

Carige, presieduto da Cesare Castelbarco Albani, per giovedì 30 aprile, dopodomani.

Gli advisor incaricati (tra cui Mediobanca ed Equita) dovrebbero infatti far pervenire

un'informativa al board in merito alle offerte ricevute.

La cessione di Banca Cesare Ponti rientra tra le misure del capital plan presentato da

Carige alla Bce per il rafforzamento patrimoniale che dovrà essere portato a termine

entro l'estate. Le attività di private banking sono iscritte nei libri contabili della banca

ligure per poco meno di 30 milioni di euro, ma il fair value riportato nell'ultima relazione di bilancio e basato

sulle valutazioni di consulenti e offerenti è di 36,5 milioni.

L'interesse del Banco Popolare per Cesare Ponti si spiega con l'ambizione di rafforzarsi in un comparto che

garantisce buoni margini a fronte di un rischio contenuto, mentre quello della famiglia Nattino (da cinque

generazioni alla guida di Banca Finnat, nata nel 1898) si spiega con la complementarietà tra i due istituti. La

Ponti ha infatti «un bacino di insediamento complementare al nostro», aveva detto

Nattino. Anche il nome Cesare Ponti, marchio storico nel private banking, è un

elemento che attira: la private bank è uno degli asset pregiati di Carige, messo sul

mercato assieme alla società di credito al consumo Creditis. Come anticipato da

MF-Milano Finanza, Banca Finnat in una precedente offerta non vincolante avrebbe

messo sul piatto 40 milioni. Il cda di Carige, insieme con gli advisor Equita e

Mediobanca, aveva selezionato a febbraio anche Ersel e la spagnola Bankiter. Ma

l'interesse di queste ultime per la Ponti sembra raffreddato.

Che cosa deciderà di fare Banca Carige? La banca dovrà valutare bene l'appetibilità

dei due brand (Finnat e Aletti) per i circa 35 private banker che, secondo diverse fonti, stanno scalpitando in

vista della possibile cessione,. Nel corso dell'ultima assemblea annuale l'amministratore delegato Piero

Montani ha ricordato che è stato avviato il processo di cessione. «Se le offerte saranno ritenute congrue, il

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cda prenderà una decisione di un certo tipo, mentre se non le riterrà congrue, dovrà pensarci un attimo»,

aveva affermato Montani, aggiungendo che la tempistica dettata dalla Bce per il rafforzamento patrimoniale

consente a Carige di avere la «tranquillità di valutare la bontà delle offerte». Secondo alcune indiscrezioni, il

destino della Ponti è legato a doppio filo anche a ciò che deciderà di fare il futuro primo azionista della banca.

Vittorio Malacalza infatti si appresta a entrare ufficialmente nell'azionariato di Carige come primo socio con il

12,5%, ma sono in molti a scommettere che questo non sarà l'assetto definitivo dell'istituto. (riproduzione

riservata)

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FINANZA & MERCATI 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

Credito. Il ceo Messina ai soci: in grado di confermare la maxi-cedola 2015 «con assoluta

tranquillità»

Intesa Sanpaolo verso 2 miliardi di dividendi

Bazoli: prima del rinnovo del cda un’assemblea sulla governance

TORINO

A maggio, approvata una trimestrale che si preannuncia «positiva», Carlo Messina partirà per un nuovo road show

negli Stati Uniti. Obiettivo: consolidare i legami con quella parte di azionariato diventata sempre più importante

dentro a Intesa Sanpaolo, come confermato ieri: a dispetto di un ordine del giorno non dei più appetitosi, il 60% del

capitale depositato in assemblea faceva capo a investitori istituzionali non italiani, migliorando il record dello

scorso anno (52%). D’altronde oggi i fondi esteri hanno in mano regolarmente una quota che oscilla tra il 58% e il

60% circa del capitale della banca; e la forchetta è destinata ad allargarsi, considerata la riforma firmata la

settimana scorsa dall’Acri con il Mef, che vedrà ridursi il peso delle Fondazioni, costrette a ridurre al 33% del

patrimonio l’esposizione sulla conferitaria entro i prossimi tre anni.

Allora, è probabile, la banca sarà un po’ diversa. Per lo meno dal punto di vista della governance. Perché il

processo di revisione, come ha dichiarato ieri il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Giovanni Bazoli procede:

la commissione da lui presieduta «si è già riunita dieci volte e si è impegnata a formulare una o più proposte al

Consiglio di Sorveglianza entro la fine di giugno».

Continua pagina 31

Marco Ferrando

TORINO

Continua da pagina 29

A quel punto, ha ricordato il professore, l'organo farà le sue scelte in modo da inviarle in Bce e poi sottoporle ai

soci: «Possiamo assicurare che rispetteremo tutte le scadenze necessarie al fine di convocare un’assemblea

straordinaria in tempo utile per poter utilizzare il nuovo statuto per l’assemblea ordinaria», cioè quella che tra un

anno sarà chiamata a rinnovare gli organi.

Duale, tradizionale o uno dei tanti ibridi possibili, per ora nessuna decisione è stata presa («Non ci sono

orientamenti, siamo in una fase di ricognizione»), ma il chiarimento fornito da Bazoli non è stato irrilevante. Anche

perché a porre la questione era stato il presidente della Compagnia di San Paolo, Luca Remmert, primo azionista

con il 9,38% e primo a intervenire ieri in assemblea: «Ribadiamo l’auspicio perché il processo di revisione venga

completato nei modi e nei tempi più adeguati, nell’interesse della Banca e dei suoi azionisti, così da garantire tra

l’altro un lineare svolgimento dei momenti deliberativi», ha dichiarato Remmert, non prima di aver formulato il suo

apprezzamento per il dividendo e quel che sta «a monte», cioè il piano Messina, e di aver confermato che la

Compagnia – pur costretta ad alleggerire la sua quota – continuerà a essere «azionista di rilievo».

La riforma, come anticipato, lascia tre anni di tempo alle Fondazioni per vendere le proprie quote in eccesso. E dai

soci – oltre a Remmert ieri erano presenti tra gli altri i presidenti di Fondazione Cariparo, Antonio Finotti e

dell’Ente Cr Firenze, Umberto Tombari – non emerge la volontà di uscire in fretta, viste le soddisfazioni date dal

titolo, raddoppiato negli ultimi 18 mesi, e quelle attese di qui ai prossimi tre anni di piano: «Siamo la banca leader

mondiale per crescita del prezzo di Borsa», ha ricordato il ceo davanti ai soci, rispolverando uno dei suoi

tradizionali cavalli di battaglia. Indici alla mano, un anno fa il titolo valeva 2,4 euro, ieri ha chiuso (in rialzo del

2,6%) a 3,15 euro sulla scia di un piano d’impresa varato a marzo 2014 che promette 10 miliardi di dividendi in

quattro anni: ieri, con un voto pressoché plebiscitario, è stata approvata la prima maxi cedola da 1,2 miliardi a

valere sul passato esercizio, ma proprio davanti ai soci per la prima volta Messina si è sbilanciato su quello in

corso, preannunciando che «siamo in grado di confermare i 2 miliardi con assoluta tranquillità».

I conti si faranno tra due settimane esatte con la prima trimestrale, ma intanto «l’inizio del 2015 ha mostrato un

infittirsi dei segnali positivi, che ci sembra di buon augurio per la continuazione del cammino di crescita su cui ci

siamo impegnati», ha detto il presidente del Consiglio di Gestione, Gian Maria Gros-Pietro, sottolineando che la

scelta di fondo resta quella della redditività sostenibile, la stessa che ha ispirato peraltro il grattacielo torinese dove

ieri per la prima volta si sono riuniti i soci. Concetto ribadito poco dopo dal presidente del Consiglio di

Sorveglianza, Giovanni Bazoli: «Il nostro impegno, l’impegno della nostra banca è davvero a sostegno

dell’economia reale in un’ottica di creazione di valore di lungo periodo».

Tradotto in pratica, ha ricordato il ceo, c’è stata la scelta di valorizzare all’interno del gruppo i 4.500 potenziali

esuberi, e poi quella di premiare il capitale umano con il piano di azionariato diffuso, approvato anch’esso in

assemblea con percentuali bulgare insieme al piano di remunerazione del management, cui ha aderito anche il 98%

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degli istituzionali; altro versante, il credito: i 37 miliardi a medio-lungo periodo cui si punta del 2015, di cui 8 già

stanziati nel primo trimestre (4 solo a marzo). Poi, il progetto grande Fideuram: qualche socio ha chiesto notizie su

un’eventuale quotazione, ricordando quanto fatto da UniCredit con Fineco o quanto sta per fare Fca con Ferrari, ma

Messina ha ribadito che per ora nulla è sul tavolo: «Abbiamo eccesso di capitale, ne avremmo uno ulteriore per di

più rinunciando a quota di utili, quindi ha senso farlo solo in caso di M&A».

.@marcoferrando77

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marco Ferrando

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MF

Numero 083, pag. 6 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Popolari/1 la nuova proposta emersa ieri al consiglio nazionale della fabi

I dipendenti nei board delle popL'iniziativa contribuirebbe a stabilizzare i nuovi assetti di governance e a dare rappresentanza ai lavoratori. Ma nessun ingresso nel capitale, come invece stanno ipotizzando altre sigle sindacali

di Luca Gualtieri

I sindacati del credito sono pronti a giocare un ruolo di primo piano nel processo di trasformazione in spa

delle banche popolari italiane. È questa la proposta emersa ieri al consiglio nazionale della Fabi, la principale

sigla dei bancari guidata dal segretario generale Lando Sileoni. L'idea sarebbe quella di concordare con i

vertici degli istituti e con gli organi di vigilanza l'inserimento di un rappresentante dei lavoratori (ma non un

sindacalista) nei consiglio di amministrazione delle banche, secondo un modello simile a quello applicato in

Germania. Con questa mossa i dipendenti entrerebbero attivamente nella governance delle future spa

attraverso un percorso lineare e senza strappi con amministratori, azionisti e organi di

vigilanza. Un'iniziativa di questo genere potrebbe presentare vantaggi anche agli

stessi vertici delle banche, che oggi sono in cerca di alleati con i quali costruire i futuri

assetti di governance. Da qualche mese si ragiona per esempio della costituzione di

patti e noccioli duri tra gli stakeholder di riferimento per dare stabilità alla vita

societaria. La proposta della Fabi non prevede l'ingresso dei dipendenti nel capitale

delle future spa né tantomeno l'adesione a patti parasociali con veicoli di nuova

costituzione, ma non c'è dubbio che l'ingresso di un rappresentante dei lavoratori nei

cda inciderà sui futuri equilibri degli istituti. Del resto anche il clima politico potrebbe essere favorevole a

un'iniziativa di questo genere. Il disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle

imprese (recentemente adottato dalla commissione Lavoro del Senato su iniziativa

dell'ex ministro Maurizio Sacconi) prevede infatti che il coinvolgimento dei dipendenti

nella governance sia legato alla contrattazione aziendale. Se il provvedimento

entrasse in vigore, i lavoratori delle popolari riceverebbero un assist di non poco

conto. La proposta della Fabi insomma si inserisce con uno spirito nuovo in un

dibattito destinato a durare fino alla trasformazione in spa e probabilmente anche

oltre, visto che la stabilizzazione sarà impresa complessa e ricca di sorprese. Del

resto quella della Fabi non sarebbe l'unica proposta oggetto di dibattito. Come

riportato nelle scorse settimane da MF-Milano Finanza un'altra sigla sindacale, la Uilca, starebbe ragionando

su una formula diversa cioè la costituzione di un contenitore, nella forma di cooperativa o fondazione, che sia

socialmente utile ai dipendenti e che al contempo partecipi alla governance e probabilmente anche

all'azionariato della futura spa. L'idea non è nuova, ma riprende un progetto elaborato in tempi non sospetti

dalla Fisac-Cgil per la Banca Popolare di Milano, anche se l'idea della Uilca sarebbe quella di estenderlo

anche ad altri istituti.

Pagina 1 di 2I dipendenti nei board delle pop - MilanoFinanza.it

29/04/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1982393&access=AB

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Mentre insomma il dibattito entra nel vivo, le banche sono al lavoro per sensibilizzare anche le altre categorie

di stakeholder sul tema della futura governance. L'obiettivo principale sarebbe quello di riunire gli azionisti

principali (imprenditori, fondazioni e soggetti finanziari) in patti di sindacato in grado di blindare il 10-20% del

capitale e sbarrare la strada a eventuali scalatori. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2I dipendenti nei board delle pop - MilanoFinanza.it

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MF

Numero 083, pag. 6 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Scattato ieri il Consiglio nazionale Fabi. Concordi Sileoni e Profumo: l'intesa favorisce la trasformazione

Col contratto bancari evitata una iattura

di Andrea Pira

Missione Compiuta. Lo slogan scelto per il 121esimo Consiglio nazionale della Fabi, il sindacato più

rappresentativo del sistema bancario italiano, rende merito agli sforzi che sono stati necessari, compresi

rotture e uno sciopero generale, per arrivare all'ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale di

settore. La tre giorni di consiglio che si è aperta ieri a Roma anticipa il mese e mezzo di assemblee della

base dell'intero comparto, che dal 5 maggio al 15 giugno, discuterà e deciderà se

dare il proprio via libera alla bozza. A bocce ferme, dopo l'intesa raggiunta all'alba

del primo aprile, i protagonisti di quel confronto si sono ritrovati per un primo

bilancio sul punto di equilibrio. L'orizzonte è quello del 2018, quando si dovrà

nuovamente tornare alle trattative. Il padrone di casa, Lando Maria Sileoni,

segretario generale della Fabi, e Alessandro Profumo, presidente del Casl Abi

(Comitato per gli affari sindacali e del lavoro), sono concordi su un punto: l'intesa

raggiunta aiuterà ad affrontare il periodo di trasformazione del settore senza

conflittualità. «La disapplicazione del contratto sarebbe stata una iattura. Abbiamo

conservato Tfr, edr (elementi distinti di retribuzione), area contrattuale, gli esternalizzati potranno mantenere

il contratto dei bancari, i prepensionamenti rimarranno volontari. Con l'accordo di rinnovo siamo riusciti a dare

risposte politiche ai problemi del settore, creando strumenti e condizioni per difendere l'occupazione per agire

a tutela dei lavoratori in caso di banche profondamente in crisi», ha commentato Sileoni. «La categoria è

finalmente salva e al riparo anche da pericolose derive che si sarebbero create nelle prossime fusioni, in

assenza di un contratto nazionale a tutela dei lavoratori». Il segretario generale aggiunto, Mauro Bossola, ha

ricordato i risultati ottenuti: aumento del livello economico minimo di inserimento dell'8%, cui va sommata la

contribuzione aziendale del 4% annuo a previdenza complementare; l'aumento di 85 euro per la retribuzione

base; la proroga del Fondo per l'occupazione che a oggi ha prodotto 9.189 tra assunzioni e stabilizzazioni,

con oltre 1.072 posizioni già approvate e da finanziare.

I rischi del fallimento del dialogo sono stati ben chiari anche a Profumo. Non avrebbe infatti consentito di

«accompagnare il cambiamento del sistema per 18-24 mesi», ha spiegato il presidente di Mps, difendendo la

scelta di fare cambiamenti «in continuità e non per salti» e sottolineando la necessità di ridurre i costi del

sistema, perché, almeno al momento, l'economia cresce ma non abbastanza da assorbire i crediti incagliati.

Alla fine il confronto ha «avuto un quid di innovazione», riconosciuto dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

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MF

Numero 083, pag. 7 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Popolari/2 secondo uno studio, la soluzione servirà ad attirare nuovi investitori

Per il risiko serve una bad bank

L'analisi firmata Bcg-Bernstein suggerisce quattro matrimoni: Ubi-Mps, Bpm-Banco, Bpm-Bper e Bpvi-Veneto Banca. Il rote potrebbe superare il 10%. Per Siena anche l'ipotesi di una scissione

di Luca Gualtieri

Quattro matrimoni e una bad bank. Parafrasando una commedia degli anni 90, potrebbe esserci tutto questo

nel futuro delle banche popolari italiane in vista della loro trasformazione in spa decisa dal governo. La

previsione è contenuta in un rapporto di Boston Consulting Group e Bernstein (società globale di gestione

patrimoni e analisi) dedicato alla riforma del settore e presentato ieri, proprio al termine della stagione

assembleare. Secondo lo studio, la nuova normativa preannuncia un'ondata di operazioni di consolidamento,

che potrebbe

rilanciarne la

redditività del

comparto: le

popolari più grandi

si aggregheranno,

anche per

difendersi da

possibili offerte

ostili, mentre gli

istituti stranieri

potrebbero a loro

volta fare qualche

acquisizione mirata

dopo che la

trasformazione in

spa. «Le popolari»,

ha spiegato

Gennaro Casale, partner & managing director di Bcg, «potrebbero aumentare il rote (return on tangible

equity, ndr), portandolo da negativo a oltre il 10%, grazie all'effetto combinato di consolidamento settoriale e

ripresa economica.

I contributi maggiori a tale miglioramento arriverebbero dalla riduzione dei costi tramite la razionalizzazione

delle filiali, lo snellimento delle direzioni centrali e l'efficientamento processi operativi». Secondo lo studio, le

Popolari dovranno dimostrare un chiaro impegno verso il cambiamento attirando investitori istituzionali per

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stabilizzare l'azionariato. Inoltre bisognerà dirottare i non performing loans in portafogli non-core o

nell'eventuale bad bank di sistema, garantendo maggiore trasparenza e una gestione specializzata di tali

asset. Proprio la possibile creazione di una bad bank, secondo lo studio, potrebbe ulteriormente stimolare

questo processo. I crediti deteriorati verrebbero infatti rimossi dai bilanci delle banche la maggiore pulizia e i

maggiori profitti attesi potrebbero attrarre nuovi investitori. «L'effetto combinato della riforma e della bad

bank», ha concluso Casale, «potrebbe essere simile a quello già osservato in Spagna, Irlanda, Svezia:

consolidamento settoriale, riduzione del numero di filiali, ritorno delle banche all'utile e maggiore solidità

patrimoniale».

Il rapporto di Bcg e Bernstein si sofferma anche sulle possibili business combination tra le grandi popolari,

confermando sostanzialmente le indiscrezioni che da tempo circolano sul mercato. L'operazione di maggiore

portata sarebbe quella tra Ubi Banca e il Monte dei Paschi (vedi tabella in pagina) che darebbe vita a un

grande campione regionale. L'operazione potrebbe avvenire sia attraverso una fusione tout court che

attraverso una scissione della parte core di Mps (che Ubi acquisirebbe) da quella non core che sarebbe

dismessa, potenzialmente a favore di una ipotetica bad bank. Resta poi aperta la possibilità che il gruppo

lombardo metta le mani soltanto sulla sola rete ex Antonveneta, ben radicata nel Nordest. Altra operazione

citata nello studio è quella tra il Banco Popolare e la Bpm che darebbe vita un leader di mercato nelle regioni

più ricche del Paese con un significativo potenziale per generare sinergie di costo. Nel dettaglio i costi

operativi potrebbero essere ridotti di 300-400 milioni e il Cet1 atterrerebbe all'11,7%. In alternativa Piazza

Meda potrebbe rispolverare il dossier di un matrimonio con la Popolare dell'Emilia Romagna, mentre, tra le

non quotate, lo studio dà per favorito un matrimonio tra Bpvi e Veneto Banca grazie «alle forti similitudini

culturali tra le due banche e tra le rispettive comunità locali che potrebbero consentire di superare la

tradizionale rivalità. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 7 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Oggi al cda di Iccrea il tema è solo sullo sfondo

Bcc, è stallo sulla riforma

di Claudia Cervini

Due giorni intensi per il gruppo bancario Iccrea. La realtà che fornisce tramite le sue società prodotti e servizi

a circa 400 Bcc e Casse Rurali in tutta Italia, ha comunicato ieri i dati di bilancio e oggi il consiglio di

amministrazione tornerà a riunirsi. Sullo sfondo dell'appuntamento ufficiale del board, l'autoriforma delle Bcc

che vede Iccrea come candidata al ruolo di holding capogruppo dell'intero sistema. Ma la riforma che, in base

alla tabella di marcia di Federcasse dovrebbe essere licenziata prima

dell'estate, sembra procedere a passo lento. Secondo quanto risulta a MF-

Milano Finanza, in questi giorni sarebbe dovuto partire il tavolo di lavoro tra

Federcasse e le tre holding candidate a diventare capogruppo del sistema (le

altre sono la trentina Cassa Centrale Banca e l'altoatesina Cassa Centrale

Raffaisen) con il primo incontro ufficiale. Dell'incontro non si ha notizia: i trentini

di Cassa Centrale avrebbero chiesto una quindicina di giorni per confrontarsi

ancora una volta tra loro. Se Cassa Centrale Raffaisen è candidata a fare da

capogruppo alle sole Bcc altoatesine, il progetto di Trento, al pari di quello

Iccrea, è presentarsi come polo nazionale (e 90 Bcc sono pronte a seguire

Cassa Centrale Banca). I due ruoli, come comprensibile, sono incompatibili. Iccrea, oltretutto, è la holding

favorita dal presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, che, in una recente intervista, l'ha indicata come

scelta naturale vista la dotazione di capitale da 1,1 miliardi e visto che la riforma punta alla semplificazione

del sistema (avere tre capogruppo non aiuterebbe questo tentativo di razionalizzazione, aveva detto Azzi).

Ma la holding presieduta da Giulio Magagni (anche presidente della Bcc Emilbanca e della Federazione delle

Bcc Emilia Romagna) non ha ancora presentato il suo progetto di capofila. Non va dimenticato nemmeno che

anche alcune Federazioni stanno lavorando a progetti alternativi. La stessa Federlus (Lazio, Umbria e

Sardegna) starebbe dialogando con le sue gemelle toscane e marchigiane. Venendo ai conti, Iccrea Banca e

Iccrea Banca Impresa, le due banche del gruppo che si occupano, rispettivamente, della gestione finanziaria

e degli impieghi verso le imprese clienti delle Bcc, hanno chiuso il 2014 con un utile netto rispettivamente di

47,7 e di 3,5 milioni. Iccrea Banca ha registrato ricavi totali per 264,4 milioni (+10,72%) e attività intermediate

per 46,48 miliardi (+8,11%). L'incremento delle attività intermediate al 31 dicembre 2014 ha riguardato

principalmente i crediti complessivi verso le banche (+2,760 miliardi rispetto al 2013) in cui sono compresi

anche quelli infragruppo (verso Iccrea Banca Impresa e Banca Sviluppo) e quelli verso le Bcc, cresciuti di

1,469 miliardi. Il margine di interesse è pari a 59,1 milioni, in diminuzione del 16,8% rispetto al 2013.

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MF

Numero 083, pag. 10 del 29/04/2015

MERCATI

Mal di pancia in fondazione per le nomine fatte nel consiglio della banca senese

Mps, Clarich respinge la frondaNessuna sfiducia, ma la partita sull'aumento potrebbe creare nuove tensioni. Avviata l'analisi con l'advisor Fonspa. Nuova riunione il 12 maggio. Approvato il bilancio con un rosso di 30 mln

di Luca Gualtieri

È stata una giornata lunga e davvero impegnativa quella di ieri per la Fondazione Monte dei Paschi, ex

dominus della banca senese e oggi azionista al 2,5%. A Palazzo Sansedoni le riunioni si sono susseguite dal

mattino alla tarda serata visto che i due organi direttivi, la deputazione amministratrice e la deputazione

generale, sono stati chiamati a esaminare un corposo ordine del giorno, fitto di tematiche finanziarie e non.

Sullo sfondo aleggiava un clima pesante, dovuto alle polemiche sulle nomine e ad altri

mal di pancia sorti negli ultimi mesi nelle istituzioni senesi. Polemiche che rischiavano

di investire il presidente della fondazione, Marcello Clarich, e di aprire divisioni

all'interno degli organi direttivi dell'ente. Anche se i presenti parlano di un clima «teso»

e di «passaggi assai delicati», alla fine non si è arrivati a quella contrapposizione

frontale che qualcuno paventava alla vigilia, segno che, in un momento delicato come

quello attuale, il senso di responsabilità ha prevalso sulle ruggini e sulle gelosie da

campanile. Come anticipato da MF-Milano Finanza, sul tavolo c'era la disamina

dell'iter che nel marzo scorso portò alla stesura della lista dei candidati al cda di Banca Mps. In

quell'occasione Clarich e la vicepresidente Bettina Campedelli vennero messi in minoranza dagli altri tre

membri della deputazione amministratrice sul tema della rappresentanza del territorio. La questione potrebbe

sembrare di scarsa rilevanza, specie se confrontata con gli

altri problemi del momento, ma la polemica si è protratta per

settimane e solo ieri c'è stata occasione di avere un

chiarimento in sede ufficiale. «Non c'erano ragioni di fiducia o

sfiducia. Si trattava di chiarire una posizione», si è confidato

un consigliere in serata. Anche se tutto si è svolto con ordine,

non è detto che l'incidente sia da considerarsi archiviato. La

difesa della senesità e del territorio potrebbe infatti restare al

centro del dibattito, visto che si avvicina la scadenza

dell'aumento di capitale fino a 3 miliardi. Il dibattito sulla ricapitalizzazione è iniziato già ieri con l'ausilio

dell'advisor Nuovo Credito Fondiario, anche se probabilmente non si arriverà a una delibera prima della metà

di maggio. Lo stesso Clarich (che ieri avrebbe dovuto lasciare la riunione della deputazione generale per un

impegno improvviso) ha sempre tenuto le carte coperte sull'argomento, lasciando intendere che tutte le

strade sono aperte. Del resto l'idea di mantenere a tutti i costi il legame con la banca non sembra infiammare

l'animo del presidente che penserebbe piuttosto a una fondazione leggera, con una vocazione culturale e un

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contenuto portafoglio finanziario. C'è da scommettere però che nelle istituzioni senesi non tutti la pensino

così e che molti spingeranno per un'adesione pro quota all'aumento.

Le variabili in gioco comunque sono ancora molte. Il tema dell'aumento è legato a doppio filo con quello del

futuro del patto di sindacato che oggi lega la Fondazione, Fintech e Btg Pactual. L'asse potrebbe essere

ridisegnato molto presto, visto che tra maggio e giugno scadranno le due clausole di lock up che vincolano

Btg Pactual: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento. Il

primo dei due vincoli verrà meno anche per il fondo Fintech, che pure resterà legato a Siena per un altro

anno, cioè fino al 31 marzo 2016. Sembra poi che la vicenda nomine abbia creato qualche ruggine tra la

Fondazione e i due fondi. A seguito di quei fatti, i due fondi sudamericani avrebbero infatti messo in

discussione il diritto della fondazione a indicare il presidente della banca. Una mossa che, se confermata,

metterebbe in crisi l'intera architettura del patto.

Alle questioni di strategia si sommano poi i problemi di ordinaria amministrazione per così dire. Ieri ad

esempio è stato esaminato il bilancio 2014 che chiude con un rosso di 30 milioni e una svalutazione del

patrimonio da 723 a 532 milioni. Giornata piena insomma quella di ieri, ma c'è da scommettere che per

Palazzo Sansedoni non sarà l'ultima. La prossima riunione della deputazione generale è attesa per martedì

12 maggio. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 10 del 29/04/2015

MERCATI

Sofferenze e 63 dipendenti nella capital light bank

Intesa muove sugli incagli

di Claudia Cervini

Non si arresta la macchina organizzativa di Intesa Sanpaolo alle prese con un complesso restyling societario

imposto dal piano d'impresa per semplificare la struttura e, nel caso specifico, per una gestione più efficace

delle sofferenze. È stata avviata una procedura di cessione di ramo di azienda dei crediti in sofferenza a

medio e lungo termine derivanti dalle operazioni di leasing e di 63 dipendenti che finiranno in Intesa

Sanpaolo Provis, società controllata dalla capital light bank che presto dovrebbe trovarsi a gestire tutte le

sofferenze delle società del gruppo. «L'operazione Mediocredito partirà il prossimo autunno», spiega a MF-

Milano Finanza Nazario Luciani rappresentante sindacale Fisac-Cgil. «E prevede la cessione della titolarità

delle sofferenze maturate al 30 giugno 2014 a Intesa Sanpaolo Provis, mentre la gestione dei crediti in

sofferenza a partire dal 1 luglio 2014 sarà affidata sempre a Intesa Sanpaolo Provis, ma in service».

Qual è lo stato di salute di Mediocredito Italiano? La banca nel 2014 ha stipulato 5.705 nuovi contratti per

1,621 miliardi (+2%). Per quanto riguarda l'andamento commerciale della linea di business dedicata al

factoring nel 2014 la società ha realizzato un turnover di 53 miliardi, in riduzione del

4,2% rispetto al 2013. In base agli ultimi dati disponibili, le sofferenze risultano in

aumento. A fine 2013 l'ammontare di quelle lorde era pari a 1,251 miliardi (676,7

milioni al 31 dicembre 2012), con un grado di copertura del 43,1%.

Non va dimenticato che nel 2014 Intesa Sanpaolo ha conferito in Mediocredito il

ramo d'azienda relativo alle attività di factoring, con aumento di capitale da 250

milioni di euro, oltre a un sovrapprezzo di 450 milioni di euro.

Così come accaduto per Mediocredito, le sofferenze delle società controllate dalla

capogruppo dovrebbero progressivamente passare sotto l'egida della capital light bank, recentemente

costituta e affidata a Giovanni Gilli, nel gruppo dal 2002 e fino a oggi responsabile di progetti speciali,

operazioni strategiche e di sviluppo corporate. In base al nuovo piano industriale la nuova divisione gestirà

non solo le sofferenze, ma anche gli immobili riacquistati in asta e le partecipazioni da dismettere.

«L'allocazione più efficiente del capitale è per noi un passaggio essenziale per un'ulteriore disponibilità di

risorse da investire nei motori di crescita del gruppo», aveva commentato a suo tempo Carlo Messina, ceo

del gruppo Intesa Sanpaolo.

Tornando all'operazione, i sindacati (Dircredito, Fabi, Fiba, Fisac, Sinfub, Ugl e Uilca) hanno condotto una

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serrata trattativa in proposito e il personale che sarà ceduto insieme al ramo d'azienda manterrà il contratto

del credito così come gli ammortizzatori sociali di cui è già in possesso. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 20 del 29/04/2015

COMMENTI & ANALISI

Contrarian

Sulla governance di Intesa Sanpaolo la scelta sia netta

Nell'assemblea di bilancio di Intesa Sanpaolo di lunedì 27 il presidente Giovanni Bazoli ha dichiarato che a

fine giugno la commissione, che ha tenuto una lunga serie di audizioni di banchieri ed esperti, concluderà

l'indagine comparata sui sistemi di governance e formulerà una o più proposte al consiglio di sorveglianza,

dopodiché sarà indetta un'assemblea straordinaria per la modifica dello statuto che decorrerà dall'assemblea

ordinaria del prossimo anno. In occasione dell'aggregazione di Intesa con il Sanpaolo fu adottato il sistema

dualistico. Era quello il periodo in cui questo tipo di governance era stato sospinto

dalla Banca d'Italia e trovava illustrazione in studi e pareri. Il dualistico, in Italia, era

visto soprattutto per la separazione che realizzava tra la proprietà e la gestione e, poi,

per la possibilità che offriva di agevolare i processi di concentrazione, prevedendo per

le parti rappresentative delle diverse proprietà e realtà la presenza nell'organo di

sorveglianza, privo di compiti diretti di gestione. Se si guarda ad alcuni casi, compreso

quello di Intesa, il dualistico non ha, però, dato cattiva prova; ha consentito un decollo

senza attrito di alcune aggregazioni; ha reso possibile convivenze di culture e

sensibilità diverse, nell'osservanza dei differenti ruoli. I risultati dell'operatività, sotto i

diversi profili, di Intesa Sanpaolo, le prove superate, il confronto a livello italiano ed europeo stanno ad

attestarlo. D'altro canto non si ha la prova contraria. Tuttavia è un dato di fatto che per alcuni aspetti non

eccellenti del funzionamento del dualistico il successo non era scontato. Tuttavia in altre situazioni è emerso

con evidenza che il ruolo del consiglio di sorveglianza rischiava di ridursi a quello di un collegio sindacale con

qualche funzione in più; che il sistema poteva, alla fin fine, favorire la pletorizzazione interna degli organi

aziendali; che si resisteva alla previsione di una composizione del consiglio di gestione con soli manager,

sicché ne risultava lo spostamento verso quest'organo del baricentro del potere decisionale maggiore di

quanto valutato in vitro; che si correva anche il rischio di accrescere l'affollamento di organi propositivi e

decisionali, mentre gli indirizzi della Vigilanza sono per un netto snellimento, per la drastica riduzione dei

relativi componenti, per un sistema, insomma, sempre più in grado di sostenere la sana e prudente gestione.

Per queste ragioni in alcune realtà aziendali non si è tardato molto a tornare indietro dal duale al sistema di

governo tradizionale che dovrebbe consentire di evitare alcuni rischi o distorsioni. Probabilmente, anche per il

fatto che sono apparse chiare la non facile trasponibilità e adattabilità nel nostro ordinamento di un istituto

classico del diritto e della prassi tedeschi, le aspettative riposte dalle stessi autorità monetarie si sono

ridimensionate. Intesa valuterà i risultati dell'indagine: l'auspicio, anche perché le scelte di un istituto di

questo rilievo faranno scuola, è che la soluzione sia netta. Preferenze per l'uno o l'altro sistema (dualistico,

tradizionale, monistico) siano nette. Combinazioni di soluzioni che creino un modello ibrido potrebbero

presentare inconvenienti nell'applicazione, ammesso che passino il vaglio degli organi di controllo. Altra cosa

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sarebbero adattamenti ben limitati che si ritenesse di apportare a questo o quel modello, confermando quello

vigente o optando per uno alternativo, qual è il tradizionale.

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PRIMO PIANO 29 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Per le banche la festa è appena cominciataIn tempi di tassi zero e sofferenze record, la crescita del risparmio gestito - per quanto fisiologica, in un paese come

l’Italia - rimane una delle poche buone notizie per il sistema bancario italiano. Perché il risparmio genera

commissioni, e le commissioni - oggi - sono praticamente l’unico fronte da cui le banche sanno di poter aumentare

i ricavi. Peraltro senza accrescere i rischi, e anche questo è un aspetto non irrilevante viste le pressioni del

regolatore al riguardo.

Bilanci alla mano, nel 2014 le commissioni hanno riservato non poche soddisfazioni alle banche. Che spesso hanno

trovato nei prodotti collegati al risparmio il modo per bilanciare, o per lo meno limitare, le delusioni derivanti

dall’attività di credito, dove il margine d’interesse è in calo e gli accantonamenti sui crediti in sofferenza restano

alti. Intesa Sanpaolo, ad esempio, sulle commissioni lo scorso anno ha toccato valori che non si vedevano dal 2007

(6,7 miliardi, il 10,5% in più del 2013), e pure UniCredit ha raggiunto i 7,4 miliardi grazie in particolare alle

commissioni per i servizi d’investimento, cresciute del 9,5%.

Ma la festa probabilmente non è finita. Anzi. Complice il Qe appena avviato, i tassi resteranno bassi ancora a

lungo, e nei patrimoni delle famiglie italiane - un gigantesco tesoro di quasi 4mila miliardi di euro - ci sono ancora

centinaia di miliardi che possono essere diversificati su prodotti forse un po’ più rischiosi ma senz’altro in grado di

riservare qualche soddisfazione in più di un BTp o un conto deposito in termini di rendimento. Morale: le

commissioni aumenteranno ancora, e così si spiega il fermento intorno al settore. Non è un caso che in casa

UniCredit, a meno di un anno dalla quotazione di Fineco (che nel frattempo è cresciuta di oltre il 60% in Borsa) si

stia lavorando alle nozze della fabbrica prodotto Pioneer con il Santander; Intesa Sanpaolo, invece, lavora sulla

Grande Fideuram, cantiere ambizioso dentro al piano Messina che prevede l’integrazione di private e risparmio e

potrebbe approdare - ma solo in caso di M&A - in Borsa, dove si vocifera di una potenziale capitalizzazione da

quasi 20 miliardi, che ne farebbe immediatamente la terza banca italiana di Piazza affari. Anche Poste italiane, a

loro volta sulla strada dell’Ipo, ha deciso di allargare le proprie munizioni nel risparmio acquistando la quota di

Anima Sgr che fa capo a Mps (operazione prodromica di un accordo sulla distribuzione), e pure fra le popolari tra i

fattori determinanti dei matrimoni ormai dati per imminenti ci sarà senz’altro la componente commissionale che

ogni banca potrà portarsi in dote.

La sfida, per tutti, è quella di stabilizzare i flussi. Cioè fare in modo che i ricavi da commissioni non siano legati

(solo) all’andamento dei tassi: in fondo c’è da guadagnarci per le banche ma anche per i risparmiatori. Purché

consapevoli.

.@marcoferrando77

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marco

Ferrando

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

29/04/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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FINANZA & MERCATI 29 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

I CONTI Per la Fondazione nel 2014 bilancio chiuso in rosso per 30 milioni: la quota

in Rocca Salimbeni svalutata da 196 a 86 milioni

Fondazioni. La deputazione generale ha rinnovato il mandato al cda dopo la spaccatura sulla lista per

la banca

Mps, l’ente dà fiducia a Clarich

Discussione ancora aperta sulla partecipazione all’aumento da 3 miliardi

Piena fiducia alla deputazione amministratrice e al suo presidente, Marcello Clarich.

La resa dei conti interna alla Fondazione Mps, che ieri ha riunito sia la deputazione

amministratrice che quella generale, si è conclusa nel segno della ragionevolezza. Le

priorità per l’ente, d’altronde, sono altre: l’aumento di capitale della banca, su cui una

decisione non si è ancora presa e la partecipazione non è affatto scontata, il rinnovo

del patto e il percorso di risanamento della Fondazione stessa, che proprio ieri ha

approvato un bilancio 2014 in rosso per 30 milioni e una svalutazione del patrimonio

da 723 a 532 milioni.

Nella giornata intensa di ieri si è riunita prima la deputazione amministratrice, che ha

ragionato, per ora per linee teoriche, sull’aumento e ha confermato fino a settembre

l’incarico al dg uscente, Enrico Granata. Clima teso, vista la recente spaccatura

quando, a marzo, c’è stato da votare la lista per il cda della banca e in particolare la

presenza di Fiorella Bianchi: Clarich e la sua vice, Bettina Campedelli, contrari, erano

stati messi in minoranza dagli altri tre componenti. Alla fine la lista - Bianchi

compresa - era passata nonostante il parere negativo di presidente e vice ma

soprattutto il mancato gradimento degli altri due soci pattisti, Btg e Fintech; che, a

quel punto, si sono rifiutati di firmare una lettera, già pronta, in cui garantivano alla

Fondazione la nomina del successore di Alessandro Profumo, che si dimetterà in

estate.

La ferita, si diceva, resta aperta ma la deputazione generale - cui spetta la nomina di

quella amministratrice - ha optato per la continuità. Nella riunione, coordinata dal

consigliere anziano Riccardo Campa perché Clarich ha preferito uscire dalla sala visto

il coinvolgimento in prima persona, nessun voto di fiducia nè tanto meno di sfiducia:

alla fine, si è convenuto di confermare pienamente il mandato all’attuale deputazione

amministratrice, auspicando che in futuro si agisca con maggiore concordia.

La prossima prova sarà quella dell’aumento di capitale. Di cui ieri si è iniziato a

ragionare anche in Deputazione generale: per ora, si apprende, nessun orientamento

sembra prevalere; si deciderà comunque a breve, quando - comunicate le condizioni

dell’aumento - sarà più facile orientarsi tra salvaguardia del patrimonio e difesa del

ruolo all’interno della banca. Un dato è certo: il 2,5% nel Monte, ora svalutato da 196

a 86 milioni, è ben lontano dal tetto del 33% del patrimonio previsto dalla riforma

delle fondazioni, quindi almeno in teoria lo spazio di manovra c’è.

Prossima scadenza, al riguardo, quella dell’8 maggio, quando la banca riunirà il cda

per approvare la prima trimestrale, il nuovo piano industriale e le condizioni per

l’aumento. Sempre la settimana prossima, il cda valuterà i requisiti d’indipendenza dei

consiglieri, tra cui quelli di Fiorella Bianchi: la consigliera, comunque, non sembra a

rischio di decadenza vista l’ampia pattuglia di indipendenti.

Sempre ieri, da registrare alcune dichiarazioni di Alessandro Profumo: «Quando si

parla di aggregazioni non se ne parla perché uno si diverte a giocare a Risiko - ha

detto il manager a una tavola rotonda al consiglio nazionale della Fabi - ma perché

bisogna ridurre la struttura di costo nel suo insieme».

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L.D.

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FINANZA & MERCATI 29 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Bcg e Bernstein: fusioni ideali tra Ubi e Mps, Banco-Bpm e Veneto-Vicenza

Popolari, con le nozze risparmi per un miliardo

Massima frammentazione, minima redditività. Solo il round di aggregazioni che

porterà con sè la riforma delle popolari potrà consentire al sistema bancario italiano di

colmare almeno parte della distanza che lo separa dal resto d’Europa. Tira aria di

nozze, e secondo gli analisti di Boston Consulting e di Bernstein le più probabili

rimangono tre: tra il Banco Popolare e Bpm, tra Ubi e Mps, tra Veneto Banca e

Popolare di Vicenza. Difficile, almeno in una prima fase, ipotizzare operazioni

allargate a tre (o più) soggetti: «Sarebbe una prima volta, non c’è esempio al mondo di

un’integrazione di questo genere», taglia corto Gennaro Casale, partner e managing

director di Bcg.

Ipotesi non nuove, quelle contenute nell’ampio studio divulgato ieri, accreditate però

da premesse e benefici potenziali che le rendono quanto mai opportune. In pratica: le

aggregazioni, per Bcg, sono utili e questi matrimoni s’hanno da fare. Il più ambizioso,

per dimensioni e sentiment, rimane quello tra Ubi e Mps, progetto ritornato d’attualità

dopo che il ceo della popolare, Victor Massiah, sabato scorso al termine

dell’assemblea ha detto che «non si può escludere niente». Nell’ipotesi più hard, cioè

di una fusione completa tra le due banche (considerata preferibile, da Bcg, rispetto a

uno spezzatino tra parte core e non core o allo spin off della reta ex Antonveneta),

nascerebbe «un grande campione nazionale», con la rete più estese in Italia (4.110

filiali, di cui 5-600 a rischio chiusura ) e una quota di mercato tra le prime tre in tutte

le regioni. Soprattutto, però, un’integrazione consentirebbe risparmi nell’ordine dei

450-500 milioni.

Sì, perché dal report emerge chiaramente che le nozze, ad oggi, rappresentano la

scorciatoia per la redditività: «Il consolidamento, insieme ad altri fattori, potrebbe

condurre a un RoTE del 10,5%, contro il -41,5% del 2014», ricorda ancora Casale,

insieme a Garabet Ayvazian di Bernstein. Il dato è d’insieme sulle principali 11

popolari, ma tiene conto dei tre merger previsti: oltre a Ubi e Mps, si diceva, si guarda

al grande polo veneto composto da Popolare Vicenza e Veneto Banca. Un’unione che

non scalda (ancora) tutti i cuori, ma che vedrebbe sovrapposizioni limitate in termini

di sportelli (50-100 da razionalizzare sui 1.163 totali) e una riduzione dei costi per

150-200 milioni l’anno, tale da portare il cost-income al 58-60%.

Infine, il big deal Banco Popolare-Bpm. Punto di partenza, la compatibilità “culturale”

e forte radicamento in aree ricche, l’approdo invece sarebbe una riduzione dei costi

operativi pari a 3-400 milioni. E Bper? L’altra grande popolare, stimano gli analisti di

Bcg, continua a rappresentare una valida alternativa per Bpm nel caso in cui non

vadano in porto le nozze con il banco: insieme, Modena e Milano costituirebbero la

quinta banca italiana e «si costituirebbe un’importante piattaforma per successivi

M&A», a partire da Carige.

.@marcoferrando77

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Marco Ferrando

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MF

Numero 084, pag. 13 del 30/04/2015

MERCATI

Sarà la prima grande operazione di sistema coordinata dal gruppo iccrea

Le bcc cedono 500 mln di incagliForte interesse da soggetti italiani ed esteri. Closing atteso entro l'estate. Seguiranno altri pacchetti dellamedesima taglia. In pista anche i trentini di Cassa Centrale con una dismissione di importo simile

di Luca Gualtieri

Come evidenziato in diverse occasioni dalla vigilanza, le sofferenze sono il vero tallone d'Achille del mondo

del credito cooperativo. Iccrea, la banca di secondo livello del sistema, ne è ben consapevole e ha deciso di

mettere in campo una strategia nuova per affrontare il problema. Secondo quanto risulta a MF-Milano

Finanza, nelle prossime settimane potrebbe partire la gara per la cessione di un cospicuo pacchetto di

sofferenze per un valore nominale intorno a 400-500 milioni. Arranger e advisor dell'operazione, la prima di

queste dimensioni lanciata nel mondo del credito cooperativo, sarà Iccrea Banca

che potrebbe appoggiarsi a un consulente legale esterno. Proprio in questi giorni i

professionisti dell'istituto starebbero lavorando a stretto contatto con le bcc per

ultimare la fase di raccolta dei portafogli, cercando di delimitare uno stock

appetibile alle diverse categorie di investitori. L'obiettivo sarebbe definire il giusto

mix tra chirografario e ipotecario, considerando che quest'ultima è spesso la

categoria più apprezzata sul mercato. Conclusa questa prima fase, dovrebbe

aprirsi la gara vera e propria e i soggetti interessati (italiani, ma anche qualche

investitore estero) definiranno il range di prezzo iniziale. Starà alle singole bcc

stabilire se il prezzo è giusto e quindi aderire o meno all'offerta. Il closing,

comunque, è atteso entro l'estate, anche perché a questa prima operazione pilota potrebbero seguirne

rapidamente altre del medesimo importo, permettendo così alle bcc di ripulire i bilanci dalla zavorra

accumulata negli anni della crisi e liberare capitale prezioso.

In pista, poi, potrebbero esserci anche altre iniziative analoghe. Secondo quanto si apprende in ambienti

finanziari, Cassa Centrale Banca (partecipata al 25% da Dz Bank) potrebbe coordinare una nuova cessione

di npl per conto delle bcc trentine in base a uno schema già impostato lo scorso anno con Banca Imi. Anche

in questo caso si starebbe ragionando su uno stock per nominali 400-500 milioni, superiore insomma a quello

finito sul mercato nel novembre 2014.

La gestione dei crediti deteriorati resta insomma un problema centrale per le banche italiane. Passando dalle

bcc alle popolari, proprio qualche giorno fa MF-Milano Finanza ha dato notizia di un progetto di gestione

esternalizzata delle banche di medie dimensioni organizzato da Banca Akros (gruppo Bpm) e da Prelios. La

soluzione allo studio prevederebbe infatti il conferimento degli npl di sei o sette istituti, prevalentemente

cooperativi, in un veicolo ad hoc affidato alle cure di operatori specializzati del settore. L'operazione

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permetterebbe alle banche coinvolte di deconsolidare i crediti problematici e liberare così capitale prezioso

per altre iniziative. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 084, pag. 13 del 30/04/2015

MERCATI

Fondazione Mps ha munizioni per 410 mln ed è già in linea con l'Acri

di Maria Elena Zanini

Anche se il presidente Marcello Clarich non ha ancora sciolto la riserva, è certo che la Fondazione Mps abbia

munizioni più che sufficienti per aderire all'imminente aumento di capitale della banca senese. Lo dimostra il

bilancio 2014 dell'ente pubblicato ieri, dopo aver ottenuto l'imprimatur dei vertici martedì 28. La voce più

interessante del documento è quella relativa alla liquidità che, come peraltro era

prevedibile dopo le dismissioni dello scorso anno, si è attestata a oltre 410 milioni.

Queste risorse, spiega una nota, derivano dalla cessione della partecipazione nella

banca, «primo passo indispensabile per una diversificazione dell'attivo che assicuri nel

tempo alla Fondazione il raggiungimento di un adeguato rapporto rischio/rendimento».

Il 2014, infatti, è stato l'anno della cessione del 31% del capitale della banca, che ha

permesso di estinguere il debito finanziario da 340 milioni con le banche. Tornando al

bilancio, Palazzo Sansedoni ha svalutato ulteriormente per 110 milioni la

partecipazione in Mps (2,5%). Il write-off è stato effettuato a seguito della bocciatura della banca da parte

della Bce, che ha determinato un andamento fortemente negativo del titolo. Oggi la partecipazione nella

conferitaria è iscritta a bilancio per 85,9 milioni e corrisponde al 13% delle attività totali, percentuale

nettamente inferiore al tetto del 33% indicato nel recente protocollo firmato dalle fondazioni con il ministero

dell'Economia. La svalutazione non ha influenzato il conto economico, ma il patrimonio netto si è ridotto di

oltre 190 milioni a 532 milioni, sia per il disavanzo di esercizio di 30 milioni, sia per lo spostamento della

riserva per interventi diretti (44 milioni) tra i fondi per le attività d'istituto secondo gli orientamenti contabili

dell'Acri. Fa comunque una certa impressione pensare che fino a pochi anni fa la Fondazione Mps aveva un

patrimonio di oltre 5 miliardi. Sul disavanzo di esercizio ha pesato invece l'ulteriore rettifica della

partecipazione nella società immobiliare Sansedoni Siena (34 milioni). Anche se il bilancio attesta una

notevole riserva di liquidità, è ancora incerto se la fondazione parteciperà o meno all'aumento di capitale da 3

miliardi di Mps che dovrebbe partire a fine maggio, ma nel caso lo sottoscrivesse, potrebbe attingere proprio

a una parte di quei 410 milioni. Una freccia assai aguzza nell'arco dei paladini della senesità. (riproduzione

riservata)

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MF

Numero 084, pag. 15 del 30/04/2015

MERCATI

Via libera del board alla bozza di statuto che adesso passa al vaglio del mef

Cariverona all'esame del Tesoro

Via XX Settembre ha 60 giorni per esaminare le modifiche, ma potrebbe esprimersi anche prima Focus su attivi, mandati e composizione degli organi. Ma resta il nodo sugli investimenti in banche

di Luca Gualtieri

C'è grande trepidazione ai vertici della Fondazione Cariverona, primo azionista italiano di Unicredit e

protagonista dei nuovi assetti bancari del Nord-Est. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, venerdì

scorso 24 aprile il consiglio di amministrazione dell'ente presieduto da Paolo Biasi si sarebbe riunito per

esaminare le modifiche statutarie che rispondono al recente protocollo dell'Acri. La bozza sarà inviata al

Tesoro, che avrà 60 giorni di tempo per esprimersi e chiedere eventuali aggiunte o

correzioni. Il verdetto di via XX Settembre dovrebbe quindi arrivare a fine giugno

anche se, in caso di correzioni di una certa rilevanza, i tempi potrebbero essere più

rapidi. Cariverona è stata insomma una delle prime fondazioni a muoversi nella

direzione indicata dall'Acri, anche se al momento ai piani alti dell'ente domina

l'incertezza. Il protocollo approvato nel marzo scorso si limita infatti a tracciare

alcune linee guida, nell'ambito delle quali le fondazioni possono muoversi con

piena discrezionalità. Al momento, però, non è chiaro se il Tesoro (e dunque il

governo Renzi) tollererà questi margini di libertà o se vorrà dettagliare con

precisione più stringente la normativa. Uno degli aspetti più delicati è proprio quello

relativo alla diversificazione del patrimonio. Il protocollo prevede che il patrimonio di ciascuna fondazione non

possa essere concentrato, direttamente o indirettamente, in un singolo asset per un ammontare

complessivamente superiore a un terzo del totale dell'attivo. Resta però da chiarire se la diversificazione che

ha in mente il Tesoro riguardi soltanto le banche conferitarie oppure l'intero settore del credito. Se passasse

questa seconda linea, le fondazioni dovrebbero puntare su altri comparti e non potranno giocare un ruolo da

protagonisti nell'imminente risiko delle popolari. Nella bozza approvata venerdì scorso Cariverona si sarebbe

volontariamente tenuta nel vago su questo punto, anche se da Roma dovrà arrivare un chiarimento definitivo.

Fino a quel momento qualunque riflessione su investimenti e strategie sarà prematura, a partire

dall'intervento nel risiko delle popolari. Si sa per esempio che gli attuali vertici di Cariverona vedrebbero di

buon occhio un irrobustimento della partecipazione nel Banco Popolare (mentre il dossier Banca Marche è

stato messo da parte da qualche settimana), ma l'incertezza normativa ha messo in stand-by ogni iniziativa di

questo genere. Lo dimostra il fatto che al momento non ci siano altre riunioni del cda in calendario.

Altro tema delicato per la fondazione scaligera è quello relativo al numero di mandati. Il protocollo Acri ne

prevede due per presidenti e consiglieri per favorire un ricambio costante tra gli amministratori. Questa scelta

però costringe oltre la metà del consiglio di indirizzo e quasi l'intero consiglio di amministrazione di

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Cariverona (presidente compreso) a uscire molto presto dai giochi. Gli attuali vertici scadranno infatti in

autunno e intorno alle nuove nomine inizierà una partita politico-economica ancora tutta da giocare.

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FINANZA & MERCATI 30 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

PPP

Carige, board al bivio sulle offerte per Banca

Ponti

Banca Carige inizia ad analizzare le offerte che sono giunte per uno degli asset più interessanti messi in vendita dall’istituto, con l’avvio del piano di rafforzamento patrimoniale: Banca Cesare Ponti. Gli advisor Mediobanca ed Equita, presentano oggi ,al cda guidato da Piero Luigi Montani, le offerte vincolanti sottoscritte daFinnat e Banco Popolare per la private bank. È da escludere, però (come invece ha auspicato l’ad di Finnat, Arturo Nattino), che una decisione venga presa in tempi brevi. La scorsa settimana l’assemblea di Carige ha dato il via libera a un aumento di capitale da 850 milioni che spingerà il suo Cet 1 al 12,7%. Alla luce di questo, Moody’s ha confermato il rating Caa1 sul debito di lungo termine della banca, assegnadole un outlook positivo. Il board di Carige, dunque, non ha fretta di alienare la Ponti che, invece, potrebbe essere considerata strategica da eventuali nuovi soci , pronti a entrare con la ricapitalizzazione. Del resto, lo stesso Montani ha detto che l’entità dell’aumento «consente di valutare con maggiore attenzione la bontà e la qualità delle offerte e di sviluppare meglio i ragionamenti». (R.d.F.)

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 27 del 01/05/2015

Banche

Capitani popolariMolto liquidi e affezionati al territorio. Ecco gli imprenditori che potrebbero investire negli istituti cooperativi per creare il nocciolo duro. E guadagnarci

di Luca Gualtieri

Quello di Roberto Sestini è un nome poco noto al di fuori dalla provincia di Bergamo. Eppure il suo gruppo

Siad (Società italiana acetilene e derivati) è al top della chimica italiana: 472 milioni di ricavi nel 2013, un utile

di 24 milioni e disponibilità liquide per 37,3 milioni. Nel corso della sua carriera imprenditoriale Sestini non si

è occupato solo del gruppo che oggi presiede, ma anche di vicende bancarie, come

dimostra lo stretto legame avuto con Bpu prima e con Ubi Banca poi. Un legame che

non è mai venuto meno: all'assemblea dello scorso anno, ad esempio, Sestini ha

partecipato con circa 70 mila azioni, come si evince dai verbali della banca. La

disponibilità finanziaria, la solidità del business e la lunga consuetudine con l'istituto

lombardo lasciano supporre che il numero uno della Siad possa essere uno degli

imprenditori che nei prossimi mesi investirà nelle grandi banche popolari. L'auspicio

arriva soprattutto dai vertici degli istituti che hanno dichiarato di voler dar vita a

noccioli duri di azionisti per stabilizzare la nuova governance e sbarrare la strada a

eventuali scalatori. L'impresa non è semplice, anche perché, a puro titolo di esempio, il 15% della Bper vale

oltre 500 milioni e il 20% del Banco Popolare sfiora il miliardo. In ogni caso c'è chi, almeno sulla carta,

avrebbe i numeri per concorrere a un'impresa di questo genere, lasciando così la propria impronta sulle

nuove spa. Restando nel gruppo Ubi, basti pensare alle fortune dei Gussalli Beretta, la dinastia della storica

fabbrica d'armi di Gardone Val Trompia (Brescia). L'amministratore delegato Pietro

Gussalli Beretta è molto legato al mondo Ubi, come dimostra l'attuale incarico di

vicepresidente del Banco di Brescia. E i 122 milioni di disponibilità liquide della

Beretta holding (bilancio 2013) potrebbero ritagliargli un ruolo di primo piano in vista

della trasformazione in spa. Discorso analogo vale per la famiglia Lucchini, gli ex

signori dell'acciaio che oggi hanno come asset principale la Lucchini Rs di Lovere

(Bergamo). Dopo essere stato a lungo consigliere di Ubi, Giuseppe Lucchini

potrebbe scommettere di nuovo sul gruppo lombardo, anche alla luce del fatto che

la holding di famiglia Sinpar ha disponibilità liquide per quasi 40 milioni. Dalle parti

di Bergamo e di Brescia si guarda anche ad altri nomi dell'imprenditoria locale, come il presidente

dell'Atalanta Antonio Percassi (liquidità per 84,5 milioni parcheggiata nella holding Odissea), Miro Radici

(l'industriale e presidente di Sacbo, la società che gestisce l'aeroporto Orio al Serio), la famiglia Zanetti, i

Pezzoli del gruppo tessile Sitip, i Perolari della Perofil o i Mazzoleni della Mazzoleni Trafilerie Bergamasche.

Anche il Banco Popolare per la sua storia potrebbe offrire terreno fertile alla nascita di un nocciolo duro di

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imprenditori. A Verona la parte del leone potrebbe spettare al settore alimentare, con

la famiglia Bauli in prima fila. Si sa che il gruppo dolciario presieduto da Alberto Bauli

(che del Banco è stato consigliere) ha un legame speciale con il gruppo e la

trasformazione in spa potrebbe offrire l'occasione per rinsaldare ancor più tale

legame. Del resto l'azienda di Castel d'Azzano (Verona) gode di buona salute, con

ricavi e profitti in netta crescita e disponibilità liquide per 3,24 milioni. Al Banco sono

vicini anche Gian Luca Rana, consigliere delegato dell'omonimo pastificio (37,9

milioni di liquidità nel 2013), Sandro Veronesi, presidente della Calzedonia (24

milioni), e Fabio Ravanelli, amministratore delegato della Mirato di Landiona

(Novara), entrambi oggi in cda. Senza dimenticare Cristina Zucchetti, numero uno dell'omonimo gruppo

lodigiano di information technology, e Giulio Pedrollo dell'omonima azienda di pompe e compressori di San

Bonifacio (Verona). Se il matrimonio tra la Popolare di Vicenza e Veneto Banca andrà in porto, la nuova

superpopolare potrebbe contare su uno zoccolo duro di imprenditori che nel corso degli anni si sono

avvicinati alle due banche. Si va da Matteo Zoppas (Acqua San Benedetto) ad Alessandro Vardanega

(Industrie Cotto Possagno), da Pierluigi Bolla (Spumanti Valdo) a Luigi Rossi Luciani (Carel), da Giuseppe

Zigliotto (Trafimet) a Giovanni Fantoni dell'omonimo gruppo di Osoppo (Udine). Senza dimenticare che

proprio in Veneto Banca ha una partecipazione importante Gianpiero Samorì; stando agli ultimi dati

disponibili (bilancio 2013), il suo veicolo Modena Capitale Banking Partecipation ha in portafoglio 9,17 milioni

di azioni della popolare di Montebelluna, che andrebbero a sommarsi alle 9.170 detenute da Modena

Capitale. Ma per Samorì il vero obiettivo potrebbe essere la Banca Popolare dell'Emilia-Romagna, l'istituto di

cui negli anni scorsi è stato un inflessibile socio antagonista. Nel nocciolo duro della nuova Bper potrebbero

affiancarlo altri nomi dell'imprenditoria emiliana, come il liquidissimo Romano Minozzi (152,7 milioni di

disponibilità nella sola Granitifiandre). (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 67 del 01/05/2015

ROMA FINANZA

Banche

Una riforma che scotta

Il credito cooperativo si prepara ad autoriformarsi con una propria proposta. Ma il presidente della Bcc di Roma Liberati mette in guardia: crescere sì, ma guai a toccare il legame con il territorio

di Gianluca Zapponini

La riforma? Facciamola ma senza snaturare il ruolo e la missione delle Bcc. Francesco Liberati, banchiere di

lungo corso e oggi presidente dalla Bcc di Roma, affronta la questione della riforma del credito cooperativo di

petto, indicandone pregi ma anche possibili difetti. Il Governo ha d'altronde appena riformato il sistema delle

popolari, imponendo la trasformazione in spa agli istituti maggiori, lasciando però alle Bcc la facoltà di

ridisegnarsi, entro un certo tempo, con una proposta autonoma. «Il credito cooperativo». dice Liberati a MF-

Milano Finanza, «offre un modello relazionale e localistico di cui famiglie e mondo delle piccole e medie

imprese non possono fare a meno: è un patrimonio a cui non intendiamo rinunciare, perché è fondamentale

che le risorse raccolte in un territorio rimangano a disposizione del territorio stesso, delle sue famiglie e delle

sue aziende. Detto questo, è fondamentale che si superino alcune criticità, aumentando le dimensioni minime

delle singole Bcc a volte troppo piccole per competere adeguatamente sul

mercato, con processi di aggregazione e procedendo, appunto, verso

l'autoriforma dell'intero sistema».

Di conseguenza il «nostro obiettivo condiviso è quello di salvaguardare l'unità

e la coesione del credito cooperativo italiano e in tal senso il disegno di

autoriforma dovrebbe basarsi su una nuova società nazionale cui farebbero

capo la Cassa Centrale Trentina e quella dell'Alto Adige, nonché Iccrea. In

alternativa potrebbero crearsi dei poli interregionali». Liberati giustifica poi la

sua posizione snocciolando numeri sul sostegno fornito dalla Bcc Roma

all'economia. «Dal 2008 al 2014, il credito erogato dalla banca è aumentato di oltre il 70% e per il 2015

contiamo di incrementare il credito mettendo a disposizione 700 milioni aggiuntivi». (riproduzione riservata)

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Pagina 1 di 1Una riforma che scotta - MilanoFinanza.it

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FINANZA & MERCATI 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Popolari. Nell’ultima riunione della Sorveglianza il via al processo di riforma

Ubi avvia il cantiere statuto, si parte dal

Comitato rischi

Ubi Banca apre il cantiere sulla riforma dello statuto. Il Consiglio di Sorveglianza, d’accordo con quello di Gestione, martedì 29 ha dato mandato alle strutture legali interne di avviare le procedure per le «indispensabili modifiche allo statuto», come aveva anticipato nei giorni scorsi il presidente del Cds Andrea Moltrasio. Allo studio del board c’è una serie di correttivi che modificheranno in misura sostanziale la carta statutaria della banca. Anche perché la direzione verso cui l’istituto popolare sta andando, come noto, è quella della trasformazione in spa, come imposto dalla riforma. Un traguardo che la banca guidata da Victor Massiah conta di tagliare entro la fine dell’anno, ben prima dei 18 mesi previsti dalla novità normativa. «È ragionevole dire che entro l’anno faremo l’assemblea per la trasformazione in Spa», aveva detto Moltrasio a margine dell’assemblea dei soci tenutasi lo scorso 25 aprile. L’accelerazione impressa da Ubi – la prima tra le grandi banche popolari ad aver già avviato i lavori per la riforma dello statuto – si spiega anche con l’intenzione di giungere all'assemblea di aprile 2016, in cui è previsto rinnovo dei vertici societari, già nella nuova veste societaria. Sebbene ci sia un anno di tempo, vanno considerati i tempi tecnici per l’elaborazione del nuovo testo (che impegneranno i legali nelle prossime settimane) e per le necessarie approvazioni di rito, visto che il nuovo statuto dovrà comunque passare al vaglio di Banca d'Italia e della Bce, che hanno 90 giorni a disposizione. Ecco perché è prevedibile che il nuovo statuto (e la coincidente trasformazione in Spa) venga approvato in autunno inoltrato. All’interno del board, tuttavia, non vi è alcuna tentazione di abbandonare l’attuale assetto di governance, basato sul duale, che fino ad oggi ha tenuto in equilibrio le richieste degli stakeholder e dei territori rappresentati.Le novità in tema di governance tuttavia non si fermano qui. Il Cds è alle prese anche con l’attuazione delle modifiche in ottemperanza alla circolare n. 285, che prevedono un rafforzamento delle competenze del Cds stesso quale Organo di supervisione strategica, come approvato dall’assemblea dei soci. In seno al Consiglio è quindi stato costituito il Comitato Rischi, che recepisce i poteri che prima erano prerogativa del Comitato Controllo. Nel contempo è stato cancellato il Comitato Bilancio, che ha ceduto le competenze al competenze ai Controlli interni. L’intero ridisegno dei poteri dei comitati dovrà ora avere l’ok di Banca d'Italia.© RIPRODUZIONE RISERVATALuca Davi

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 03 MAGGIO 2015Plus

CONTI CORRENTI

Rush finale per la direttiva sulla tutela dei

depositi

Da recepire entro luglio I depositi protetti sono 508 miliardi e la dote del Fitd nel

2015 è di 2 miliardi

Conto alla rovescia per recepire anche in Italia le nuove regole Ue sulla tutela dei depositi bancari. Resta intatto il principio della protezione dei conti fino a 100mila euro mentre cambiano i tempi di rimborso e le modalità di finanziamento del fondo di intervento. La direttiva conferma l’impianto della distinzione tra depositi ammissibili (eligible) e il loro sottoinsieme costituito da quelli entro i 100mila euro, vale a dire i depositi protetti (covered). Secondo la relazione del Fondo interbancancario di tutela dei depositi (Fitd), in Italia a giugno 2014 i depositi “eligible” erano pari a 749 miliardi mentre quelli rimborsabili, vale a dire entro i 100mila euro, erano pari a 508 miliardi, vale a dire il 67,8%.«Entro il 3 luglio – spiega Giuseppe Boccuzzi, direttore generale del Fitd - deve essere recepita la direttiva 49 del 2014 che riscrive il meccanismo di protezione dei depositi. Da una logica ex post, come quella attuale, si passerà a un meccanismo di costituzione dei fondi di protezione ex ante, con l’obiettivo di arrivare alla disponibilità dello 0,8% dei depositi protetti entro 10 anni integrato con gli impegni successivi nella misura massima dello 0,5% per anno di calendario». A regime le disponibilità saranno superiori a quelle attuali. Per l’esercizio 2015, le risorse per gli interventi sono pari a 2,03 miliardi. L’impegno massimo per il 2015 può arrivare fino allo 0,8% dei fondi rimborsabili attraverso un ok dell’assemblea e quindi a 4 miliardi circa. Qualora una o più crisi bancarie dovessero richiedere azioni aggiuntive non è escluso l’intervento pubblico. Attualmente a legislazione vigente (che resterà tale in mancanza del recepimento della direttiva) il termine di rimborso dei depositi protetti è di 20 giorni, prorogabili per altri 10 giorni. «La nuova direttiva – continua Boccuzzi - riduce il termine di rimborso a sette giorni lavorativi, con la possibilità di avvalersi di un periodo transitorio di passaggio graduale a questo termine entro il dicembre 2023. Il Fitd è già attrezzato per ottemperare nei sette giorni». La normativa può consentire anche interventi alternativi. Il fine è risanare l’impresa ed evitare la liquidazione coatta amministrativa, che comporterebbe il rimborso dei depositi protetti. È questo il modello adottato per risanare banca Tercas, attraverso l’intervento dell’Fitd a copertura delle perdite patrimoniali (poi la Banca Popolare di Bari ha immesso il nuovo capitale). Sulla stessa lunghezza d’onda (anche se con modalità tecniche diverse) dovrebbe muoversi il piano di salvataggio di CariFerrara, anticipato dal «Sole 24 Ore», con un’operazione da 300 milioni gestita dallo stesso Fitd. L’operazione dovrebbe essere formalizzata nelle prossime settimane. Si tratta di un’alternativa, probabilmente più conveniente, rispetto alla semplice garanzia dei depositi che costerebbe 1,5 miliardi di euro (salvo i recuperi successivi). In questo modo viene garantita la continuità e anche il valore d’impresa per risanare una banca in crisi in assenza di un compratore. Un modello che potrebbe fare scuola per altri casi. © RIPRODUZIONE RISERVATAAndrea Gennai

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 03 MAGGIO 2015Plus

Dal 2016 scatteranno per le banche le nuove

misure sui salvataggi

Ecco come i privati copriranno le perdite in caso di default

L’appuntamento è fissato per l’1 gennaio del 2016: da quella data è previsto anche in

Italia il meccanismo del “bail in” per i salvataggi bancari. In pratica, si capovolge il

meccanismo attuale di risoluzione delle crisi: in caso di default di una banca, i primi a

pagare saranno gli azionisti, seguiti dagli obbligazionisti meno assicurati e dai depositi

bancari superiori a 100mila euro. Nel complesso i privati dovranno coprire le perdite

della banca in default per un ammontare almeno pari all’8% degli attivi dell’istituto.

Oltre tale soglia, interverrà in seconda battuta il fondo unico europeo salva banche

(Srf). Lo strumento sarà finanziato mediante prelievi sulle banche che inizialmente

saranno gestiti a livello nazionale. L’Srf coprirà un ammontare del 5% degli attivi

della banca. Qualora servissero ulteriori misure interverranno i Governi. «Il

recepimento delle direttive sulla risoluzioni delle crisi bancarie (Brrd) – spiega

Domenico Torini , Associate Partner Kpmg - e sulla tutela dei depositi (Dgs) da noi è

in ritardo mentre in alcuni paesi è già operativa. In Austria, ad esempio, il salvataggio

di Hypo Alpe Adria avverrà con questi nuovi meccanismi. In Italia l’introduzione è

attesa per il primo gennaio 2016. In vista di quell’appuntamento le banche dovranno

avviare dei recovery plan importanti in termini di sostenibilità finanziaria, visto che

dovranno andare a finanziare il fondo unico salva banche». Gli istituti dovranno poi

analizzare le passività per capire quelle che sono effettivamente disponibili e

attaccabili a fini del bail in. «Le procedure - continua Torini - prevedono in linea di

principio che le banche in difficoltà, che sono oggetto di risoluzione, siano quelle in

dissesto o a rischio di dissesto e l’azione deve essere necessaria nell’interesse

pubblico. In questo caso scatta il soccorso del fondo unico. Quando non ci sono questi

requisiti si procede alla liquidazione coatta amministrativa e interviene il fondo di

garanzia e ripaga i depositanti». — An.Gen.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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ASSICURAZIONI

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 51 del 01/05/2015

I VOSTRI SOLDI IN GESTIONE

Ramo vita Mentre, anche per la voluntary, queste polizze vivono un boom di raccolta, il Lussemburgo detta nuove regole

Unit linked si cambia

di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Dal 1° maggio in Lussemburgo partono nuove regole per le polizze vita unit linked. Intanto in Italia il settore

vive un boom di raccolta, facendo concorrenza alle gestioni separate. In base ai dati Assoreti a marzo le

polizze unit linked, hanno avuto premi netti per 1,8 miliardi di euro (+23,4% su febbraio), un valore pari al

97,2% delle risorse nette raccolte dalle reti di pf sul comparto assicurativo/previdenziale e da inizio anno la

raccolta è di 3,7 miliardi, oltre la meta dei 7,1 miliardi raccolti in totale nel risparmio gestito dai pf. A riscoprirle

infatti sono state soprattutto le reti di

promotori e le private bank, che le

propongono ai clienti perché

permettono di avere i vantaggi dei

prodotti assicurativi senza rinunciare

però a un'esposizione ai mercati.

Enzo Furfaro, amministratore

delegato di Old Mutual Wealth,

sottolinea come l'interesse delle

private bank sia una delle ragioni di

questa accelerazione della raccolta:

«Questi prodotti permettono di

investire in un portafoglio

multimanager, mantenendo i vantaggi

che hanno i prodotti assicurativi. Sono

quindi l'ideale per chi cerca una

diversificazione, ma deve anche pensare alla pianificazione del proprio patrimonio». Secondo Furfaro questo

trend è destinato a continuare in un mercato dove la ricerca della redditività diventa più complessa.

E oggi hanno un biglietto da visita in più perché grazie alla ripresa dei mercati i loro rendimenti sono a doppia

cifra quest'anno (si veda tabella a pagina 34): i fondi interni legati alle unit linked hanno registrato nei primi tre

mesi performance anche superiori al 20% e il rendimento medio trimestrale degli oltre 3.500 comparti sul

mercato è stato dell'8,2%. Ma, a fronte di una serie di vantaggi nell'ottimizzazione fiscale, bisogna fare

attenzione ai costi che in polizze di questo tipo possono far lievitare il conto finale per il sottoscrittore in

misura più elevata rispetto all'investimento diretto in fondi. «Allianz, Generali e Azimut si sono confermati gli

Pagina 1 di 3Unit linked si cambia - MilanoFinanza.it

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Yellow di Prometeia riferito ai dati di gennaio 2015. Peraltro le novità del Granducato riguardano anche il

mercato italiano perché diverse polizze qui collocate sono di diritto lussemburghese. Le polizze vita estere,

comprese quelle delle compagnie del Lussemburgo, permettono infatti spesso una maggiore flessibilità in

termini di selezione degli attivi finanziari sottostanti. E le polizze vita di diritto estero distribuite in Italia

seguono il diritto civile e fiscale italiano. E quindi gli elementi quali l'impignorabilità, l'insequestrabilità, la

costituzione in pegno o rispetto della legittima, sono applicabili anche ai prodotti vita esteri.«In Lussemburgo

l'organo di vigilanza ha introdotto, attraverso due nuove circolari (15/3 e 15/4, in vigore dal 1° maggio 2015

per i nuovi contratti), nuove e più ampie regole dirette a disciplinare la sottoscrizione di prodotti assicurativi

vita legati a fondi di investimento, ovvero le unit linked», spiega l'avvocato Roberto Lenzi, partner dello studio

legale Lenzi e Associati.

Sostanzialmente «viene ridefinita la precedente classificazione in categorie, con l'inserimento di un nuovo

sistema di profilatura della clientela attuato non più sul prodotto sottoscritto, bensì sulle caratteristiche del

soggetto contraente. Si avrà riguardo, a tal fine, da un lato al patrimonio mobiliare detenuto dal cliente,

ovvero al totale degli strumenti finanziari posseduti aumentato dei depositi bancari, eventuali altri contratti di

assicurazione vita e di capitalizzazione, al netto di ogni debito contratto, dall'altro, all'importo globale investito

in polizze sottoscritte presso la stessa compagnia di assicurazione. È, altresì, abbassata la soglia minima di

premio sottoscrivibile di tali polizze a 125 mila euro, dal precedente 250 mila», spiega Lenzi. «Viene

mantenuta la diversificazione dei cinque tipi di fondi interni N, A, B, C e D, che vengono però distinti in base

alla categorizzazione del sottoscrittore della polizza vita e non più del fondo interno stesso. Il sottoscrittore

diventa quindi il fattore discriminante della categorizzazione del fondo interno sottostante al proprio contratto

assicurativo», sottolinea Vitis Life. Si va dalla Categoria A in cui «sono classificati i sottoscrittori che

investono un minimo di 125 mila euro nell'insieme dei loro contratti presso la compagnia di assicurazione e

che dichiarano possedere un patrimonio mobiliare superiore o uguale a 250 mila euro fino alla Categoria D

che comprende i sottoscrittori che investono un minimo di 1 milione di euro in totale nella compagnia e con

un patrimonio mobiliare superiore o uguale a 2,5 milioni di euro. «La categoria cosi attribuita al sottoscrittore

determina a sua volta la tipologia dei fondi interni dedicati e dei fondi d'assicurazione specializzati sottostanti

ai contratti detenuti dal sottoscrittore», aggiunge Vitis Life. Ci sono novità anche sul fronte dei prodotti

strutturati nei quali possono investire i fondi delle unit linked. «Il requisito di rating minimo è meno severo che

in passato, essendo ammissibile l'investimento in strumenti strutturati con rating inferiori a A+, pur essendo

imposti certi limiti al peso dell'investimento in caso di rating inferiore», spiega Vitis Life.

Proprio le polizze vita stanno diventando uno degli strumenti principe del private banking perché godono

ancora di alcuni vantaggi fiscali e di tutela del sottoscrittore, come l'assenza di imposta di successione in

caso di decesso. E potranno essere utilizzati anche da chi fa riemergere i capitali grazie alla voluntary

disclosure. Che ancora fatica a decollare, nonostante sia stato approvato lo schema del decreto sulla

certezza del diritto. Come spiega Paolo Ludovici dello studio Ludovici & Partners: «Oggi i clienti che hanno

posizioni più complesse vivono un dilemma: se si presenta subito l'adesione volontaria prima che il decreto

diventi legge non si ha la certezza di evitare il raddoppio dei termini. Ma nell'attesa si può incorrere in una

notifica nel frattempo». Una volta che il decreto sarà legge gli anni accertabili, anche in caso di reati penali,

saranno quelli dal 2010 in poi, con il raddoppio si risale invece al 2006.

E questo incide sull'ammontare delle imposte da pagare, ma anche sulla quantità di informazioni da dare.

Non solo. Di fatto l'allungamento comporta anche la trasparenza sugli anni pre crisi, un elemento da non

sottovalutare. «Chi decide di aderire subito si sta chiedendo a questo punto se deve presentare la domanda

per tutti gli anni, oppure se presentarla solo dal 2010 e poi eventualmente integrarla», aggiunge Ludovici.

(riproduzione riservata)

Pagina 2 di 3Unit linked si cambia - MilanoFinanza.it

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BANCA D ’ITALIA

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MF

Numero 084, pag. 7 del 30/04/2015

PRIMO PIANO

Il capo della vigilanza di Via Nazionale lancia monito sui requisiti patrimoniali

Bankitalia: attenzione al credito

Barbagallo: le richieste di capitale siano calibrate in base all'effettiva rischiosità degli istituti, per evitareimpatti sui prestiti. I controlli sono stati unificati prima dell'armonizzazione delle norme

di Francesco Ninfole

Le richieste di capitale alle banche «siano attentamente calibrate sull'effettiva rischiosità degli intermediari ai

quali si rivolgono, anche per evitare inappropriate compressioni della capacità di erogazione del credito».

Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza di Banca d'Italia, ha evidenziato ieri con ulteriori dettagli quanto

sottolineato nei giorni scorsi dal governatore Ignazio Visco e dal vicedirettore Fabio Panetta. Barbagallo ha

aggiunto che nell'attuale contesto di vigilanza europeo «si è proceduto a

unificare i controlli prima di aver realizzato una piena armonizzazione delle

norme. Ne risentono inevitabilmente le esigenze di certezza e di neutralità

degli interventi». Al momento l'uniformità delle regole è ostacolata «in primo

luogo dalle importanti differenze dei diversi ordinamenti nazionali sul piano

delle regole societarie, della fiscalità, della giustizia civile e del diritto

penale». Per queste ragioni il presidente Abi Antonio Patuelli ha chiesto in

più occasioni un testo unico bancario europeo.

Nel settore bancario c'è poi un piano più tecnico, ma «rilevante ai fini del

calcolo dei requisiti patrimoniali», secondo Barbagallo, che riguarda «le diverse prassi di convalida dei

modelli interni, il variegato esercizio delle discrezionalità nazionali nel recepimento della Crr/Crd4,

l'applicazione di criteri contabili non uniformi, aspetto quest'ultimo rilevante soprattutto per le cosiddette

banche “meno significative”, per le quali nella gran parte dei Paesi dell'Eurozona si applicano i National

Gaaps anziché, come in Italia, gli Ias/Ifrs». Perciò è necessario, secondo il responsabile della vigilanza di

Banca d'Italia, che «le misure di capitale richieste alle banche siano sempre meglio adattate all'effettiva

rischiosità». In tal senso il comprehensive assessment della Bce è stato un passo «necessario», anche se

Barbagallo ha fatto notare che derivati e titoli illiquidi hanno avuto «un minor grado di approfondimento

rispetto al portafoglio crediti», mentre sui titoli di Stato sono state compiute scelte con «un approccio

asimmetrico». Nonostante questi fattori le banche italiane si sono mostrate per Barbagallo «sufficientemente

robuste», un risultato che sarebbe stato ancora più evidente utilizzando indici di capitale non ponderati (per

questi ultimi dati si veda Milano Finanza dell'8 novembre).

Aqr e stress test sono però il passato. Ora in Italia occorre risolvere il problema dei prestiti dubbi: riguardo a

una società specializzata nel recupero crediti (la cosiddetta bad bank) «i nodi più delicati da sciogliere

riguardano gli aspetti operativi, gli assetti proprietari, la struttura delle passività, nonché il piano industriale»,

Pagina 1 di 2Bankitalia: attenzione al credito - MilanoFinanza.it

30/04/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1982749&access=AB

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ha osservato Barbagallo, mentre «un altro elemento di particolare delicatezza è connesso con il valore dei

crediti che verranno ceduti», da cui dipende «in larga misura la conformità dell'operazione alla normativa Ue

sugli aiuti di Stato». Per il credito è necessario cogliere l'occasione del Qe che, come indicato in un'analisi di

Bankitalia, potrà avere un impatto positivo sul pil di quasi l'1,4% nel biennio 2015-2016. Intanto la Bce ieri ha

fatto sapere che i contributi delle banche europee per il 2014-2015 (pari ai costi per la vigilanza) sono di 326

milioni. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2Bankitalia: attenzione al credito - MilanoFinanza.it

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PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

VERSO?IL?PIANO?

JUNCKER Nell’incontro con il ministro francese Macron l’impegno ad azioni comuni sulle reti energetiche e sulle infrastrutture digitali

Il quadro macroeconomico. Il ministro Padoan al Salone della giustizia: presto la riforma dei

fallimenti per sveltire il recupero crediti

Istat e Bankitalia: «L’economia migliora»ROMA

La situazione economica internazionale continua a essere favorevole alla ripresa in

Italia grazie al potente binomio dei bassi tassi d’interesse e del prezzo del greggio

ancora in discesa. Ma proprio per questo il nostro Paese non può permettersi «di non

sfruttare questa finestra». Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ieri ha colto

l’occasione del Salone della giustizia, in corso a Roma, per ribadire il percorso in cui è

impegnato il Governo, chiamato ad accompagnare un Paese uscito «da una recessione

lunga tre anni che ha portato via quasi il 10% del Pil». Per la ripresa, ha ribadito

Padoan, «non esistono bacchette magiche» e per questo il Governo punta su

«un’ambiziosa agenda di riforme strutturali e di politiche che sostengano gli

investimenti», guardando in particolare «a migliorare l’ambiente in cui operano le

imprese, che sono il motore della crescita». Tra le azioni previste, ha poi annunciato

una riforma delle procedure fallimentari, che sveltisca «significativamente» il

recupero dei crediti, rendendo più appetibile il mercato dei “non-performing loans”,

che in Italia ad oggi non è efficiente, e interventi per contenere i costi della giustizia,

nel loro complesso «intollerabili».

Nel corso del successivo incontro con il collega francese Emmanuel Macron, la

riflessione s’è concentrata invece sull’obiettivo di sfruttare con iniziative comuni le

opportunità offerte dal Piano Juncker, anche attraverso progetti e piattaforme

condivise in materia di interconnessioni energetiche e di trasporto, infrastrutture

digitali e venture capital.

In piena sintonia con il ministro dell’Economia e con la sua analisi, ottimista, ma

consapevole del fatto che gli alisei pro-crescita economica non dureranno per sempre,

è il quadro congiunturale che si desume dal Rapporto sulla stabilità finanziaria

presentato ieri in Banca d’Italia. Infatti, a una domanda esplicita dei cronisti, che

chiedevano se, nonostante alcuni segnali contrastanti come quelli sulla fiducia e

sull’occupazione, via Nazionale vedesse ancora un aumento del prodotto in arrivo nel

primo scorcio del 2015, la risposta del capo del servizio stabilità finanziaria della

Banca centrale italiana, Giorgio Gobbi, è stata netta: «Sì, abbiamo a ncora fiducia in

una crescita positiva nel primo trimestre».

Non diversamente, del resto, la stessa nota mensile di congiuntura dell’Istat ieri ha

confermato come, in aprile, l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana

abbia evidenziato «un’evoluzione favorevole, risultando positivo per il quarto mese

consecutivo, confermando le indicazioni a supporto di un miglioramento dell’attività

economica nel corso della prima metà dell’anno». Secondo l’Istat, più in particolare,

segnali positivi arrivano dall’attività industriale e dell’export extra euro, mentre in un

contesto di rallentamento della fase deflazionistica restano ancora deboli le dinamiche

del mercato del lavoro.

Nel rapporto di Bankitalia si ricorda anche che i rischi sulla stabilità finanziaria

dell’Eurozona, derivanti dalla bassa crescita e da una inflazione molto bassa e

persistente «si stanno attenuando con l’avvio del programma di acquisto di titoli

pubblici». Come si sa, via Nazionale valuta come pari all’1,4% del prodotto il

possibile impatto sull’attività produttiva del Qe deliberato dall’Eurosistema a

Francoforte. Nello Stability report di via Nazionale si mette inoltre in luce il fatto che

«in Italia il ritorno alla crescita e il rialzo dell’inflazione possono accelerare il

riequilibrio dei conti pubblici» e agevolare, quindi, il conseguimento degli obiettivi

d’indebitamento netto definiti dal governo a ottobre scorso (2,6 per cento quest’anno,

1,8 nel 2016 e 0,8 nel 2017, ndr). Non basta. Pur chiarendo che nello scenario

finanziario internazionale permangono alcune zone di instabilità, il Rapporto

evidenzia come nella prima fase del 2015 «il miglioramento delle condizioni dei

mercati finanziari ha favorito la ripresa degli afflussi dei capitali privati in Italia». Nei

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primi due mesi dell’anno, infatti, gli acquisti netti di titoli pubblici italiani da parte di

non residenti sono stati pari a 36 miliardi, di cui 26 in titoli a medio e lungo termine,

mentre il saldo debitorio di Bankitalia sui pagamenti all’ingrosso (sistema Target2) tra

dicembre 2014 e aprile 2015 si è ridotto da 187 a 182 miliardi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rossella Bocciarelli

Davide Colombo

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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FINANZA & MERCATI 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Credito. Via Nazionale propone una società-veicolo per 100 miliardi di sofferenze

Bad bank, da Banca d’Italia un piano per

convincere l’Ue

Il nodo resta il valore d’acquisto che dovrebbe essere «equo»

Ai senatori che gli chiedevano se ritenesse opportuno un intervento normativo per accelerare lo smaltimento delle sofferenze bancarie, il governatore della Banca d’Italia aveva risposto, qualche giorno fa: «È da un anno e mezzo che lo dico». L’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca centrale italiana sviluppa il pensiero di Ignazio Visco, chiarendo anche quali caratteristiche dovrebbe avere oggi una bad bank in Italia, per evitare ogni rischio di incappare nell’accusa di aiuti di stato da parte dell’Ue. Una società specializzata per l’acquisto delle sofferenze delle banche italiane, spiega il rapporto, aiuterebbe a irrobustire la ripresa, che c’è, infatti via Nazionale resta ottimista sulla possibilità di un primo trimestre 2015 positivo (si veda altro pezzo a pag) ma che, per ora, è piuttosto esangue. Nel frattempo, dice il Rapporto, i sette lunghi anni della crisi hanno portato i prestiti deteriorati delle banche a quota 350 miliardi mentre le sole sofferenze sono passate da 75 miliardi a 197 e oggi rappresentano il 10% del totale delle erogazioni creditizie. Va da sé, quindi, che la nascita di un’Asset management company (Amc) comporterebbe «importanti effetti positivi» per l’economia italiana. Da sole, spiega via Nazionale, le singole aziende di credito non sono incentivate a cedere i loro crediti deteriorati, e nel biennio 2013-14 le cessioni sono state pari in tutto a meno di sette miliardi di crediti in sofferenza; allo scarso trasporto verso interventi di questo genere contribuiscono la lunghezza dei tempi per il recupero dei crediti e il fatto che queste erogazioni fanno capo soprattutto a piccole imprese con garanzie eterogenee. Quindi «ogni banca, presa singolarmente, non considera i benefici determinati dalla riduzione dello stock di sofferenze». E quando questa “miopia” tende a riguardare la maggioranza del sistema, gli effetti di contrazione dell’offerta assumono dimensioni macroeconomiche, dice via Nazionale. Come intervenire, allora? La costituenda società-veicolo Amc dovrebbe acquistare solo le sofferenze (non i crediti incagliati, in modo da permettere alle aziende di credito di continuare a sostenere chi versa in condizioni di difficoltà temporanee) e solo i prestiti alle imprese, escludendo le posizioni più piccole. Il Rapporto fa anche un numero: alcune ipotesi, osserva, prevedono un programma di acquisto per un valore di circa 100 miliardi al lor do delle rettifiche di valore. Per non imbattersi nel rischio di una pronuncia negativa da parte della Ue, la nuova società- veicolo dovrebbe però acquistare le sofferenze al loro «valore di mercato». In tal modo, il suo intervento non configurerebbe aiuti di stato. In sostanza, aggiungono i tecnici di Bankitalia, si tratterebbe di individuare un valore ''equo'' del credito in sofferenza, poiché un mercato vero e proprio delle cessioni di queste attività in pratica non esiste, stabilendo una percentuale ritenuta congrua anche dai commissari di Bruxelles. È utile, però, individuare una soluzione di sistema per alleggerire i bilanci delle banche, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni. Secondo Palazzo Koch, sarebbero opportune anche iniziative volte a ridurre i tempi eccessivamente elevati in Italia per il recupero dei crediti, perché tra l'altro influenzerebbero positivamente il prezzo di cessione delle sofferenze. Argomenti, questi, affrontati ieri dal ministro Padoan (si veda il servizio a pagina 8).© RIPRODUZIONE RISERVATARossella Bocciarelli

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UNIONE EUROPEA

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MF

Numero 082, pag. 4 del 28/04/2015

PRIMO PIANO

Piazza affari guadagna l'1,6%, francoforte l'1,9%. l'euro risale a quota 1,09 dollari

La borsa crede a Varoufakis out

Tsipras affida al pacato Tsakalotos la guida del nuovo team per i negoziati con i creditori. Ma è solo una mossa per spersonalizzare la contesa. Goldman Sachs: con la Grexit spread dell'Italia a 400 punti

di Marcello Bussi

Commissariato Yanis Varoufakis. E le borse volano: Piazza Affari ieri ha chiuso in rialzo dell'1,6%,

Francoforte addirittura dell'1,9%. Per non parlare di Atene, che ha guadagnato il 4,4%. Mentre l'euro è

tornato sopra 1,09 dollari, livello che non vedeva da tre settimane. Bene anche lo spread dell'Italia, sceso da

129 a 120 punti base, con il rendimento del Btp decennale all'1,36%. La notizia nuda e cruda è che il premier

Alexis Tsipras ha proceduto al rimpasto della squadra che dovrà negoziare con i

creditori internazionali. Tsipras ha rinnovato la sua fiducia al ministro delle Finanze

Varoufakis dopo le bordate di critiche lanciategli nel corso della riunione di venerdì

scorso riunione dell'Eurogruppo, dove è stato accusato di essere un perditempo, un

giocatore d'azzardo e un dilettante. Tsipras ha affidato a Yaroufakis il compito di

costruire la nuova squadra che dovrà negoziare le riforme con Fmi e commissione Ue,

ma ha anche indicato il vice ministro degli Esteri, Euclid Tsakalotos come coordinatore

del gruppo.

Tsakalotos, educato a Oxford e docente di Economia all'Università di Atene, ha modi più pacati dell'irruente

Varoufakis. Ma è deputato di Syriza dal 2012, non è un arrivista salito sul carro del vincitore all'ultimo

momento. Mentre George Chouliarakis, vicino al vice premier Yannis Dragasakis, avrà la responsabilità di

negoziare con il gruppo di Bruxelles e cioè con i rappresentanti dell'ex troika. E Dragasakis, viene da ancora

più lontano, addirittura dal Partito Comunista. Si sa che

Berlino e Bruxelles puntano alla formazione di un nuovo

governo che escluda gli elementi di Syriza più intransigenti e

imbarchi Nuova Democrazia, il partito di Antonis Samaras, il

predecessore di Tsipras alla guida di un governo che ha

eseguito fedelmente gli ordini della Troika. Chi vive e lavora

ad alti livelli ad Atene, mantenendo stretti contatti con

esponenti del governo in carica, non esita a definire

fantascientifica un'ipotesi del genere. Varoufakis non è stato

commissariato, ma si è voluto spersonalizzare il più possibile i negoziati. Nei fatti il ministro delle Finanze

tedesco, Wolfgang Schaeuble, non ha mai nascosto di volere la testa di Varoufakis. E altri colleghi

dell'Eurogruppo si sono accodati. Alla vigilia dell'Eurogruppo, poi, Varoufakis aveva detto che la Grexit «non

è un bluff». E la storia passata dimostra che chi evoca la minaccia di uscita dall'euro esce di scena

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politicamente. Ma Varoufakis resta. Tsipras gioca la carta Tsakalotos solo per dimostrare la sua buona

volontà di raggiungere un accordo. Sembrerebbe anche disposto a rinunciare all'aumento del salario minimo.

Ma se l'Eurogruppo vorrà una vittoria completa, senza dare la minima concessione ad Atene, allora si andrà

a elezioni anticipate, che Syriza dovrebbe stravincere. Perché Tsipras potrà dire: noi abbiamo fatto di tutto

per trovare un accordo, anche rinunciare a buona parte delle nostre promesse elettorali, eppure Berlino e

Bruxelles hanno risposto picche. Questo è un punto importante, perché la grande maggioranza dei greci

vuole rimanere nell'euro. Ma non certo al costo di rimanere in recessione ancora per anni. E così Syriza

avrebbe un mandato per negoziare a 360 gradi, mettendo ufficialmente sul piatto la possibilità di uscita

dall'euro. E all'Eurogruppo sanno benissimo che non c'è Qe che tenga. In caso di ritorno alla dracma, gli

spread di Italia e Spagna si allargherebbero a 350-400 punti base. Ieri lo ha scritto Goldman Sachs.

Probabilmente lo ha letto anche Schaeuble. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 082, pag. 4 del 28/04/2015

PRIMO PIANO

In realtà l'eccentrico ministro esce rafforzato dalla gogna europea

di Angelo De Mattia

Starei attento a considerare la telefonata di domenica tra Merkel e Tsipras come un segnale dell'intento di

arrivare a un'esautorazione del ministro delle Finanze Varoufakis, il quale nei giorni scorsi a chi lo odierebbe

ha ricordato la risposta con cui Roosevelt nel 1936 dava il benvenuto a chi lo odiava. Il ministro ha i suoi

difetti, compreso un eccessivo protagonismo. Ma di qui a considerarlo un dilettante o un perditempo - come

hanno fatto alcuni componenti dell'Eurogruppo durante la riunione di Riga della scorsa settimana - ce ne

passa, anche perché le posizioni che egli assume in tali riunioni non sono personali, pur se poi si

caratterizzano per il modo personale in cui egli, stimato economista e docente universitario, le espone. Del

resto, da questi organismi comunitari emerge un appiattimento nelle discussioni, spesso influenzate dalle

posizioni tedesche, per cui chi voglia svolgere un vero ruolo dialettico può qualche volta apparire un

elemento di disturbo. L'eventuale esautorazione di Varoufakis, o comunque il dimissionamento, avrebbe

impatti non tanto nel governo ellenico, quanto in Syriza, partito in cui una certa area considererebbe questa

decisione come un cedimento alle pressioni europee. È dunque un'ipotesi lontana e coltivata solo da chi

vorrebbe miopemente stravincere nel confronto con la Grecia. Anzi, ieri il governo ha confermato la fiducia in

Varoufakis e ha nominato un nuovo team di negoziatori alle dipendenze comunque del ministro. Le

denigrazioni, queste sì puerili, di Varoufakis hanno avuto il risultato di rafforzarlo nella compagine

governativa. Ci sarebbe da chiedersi: dopo un tale esito, chi è l'inesperto? La telefonata con cui Merkel e

Tsipras hanno concordato di seguire il negoziato per arrivare a una soluzione soddisfacente per entrambe le

parti segnala invece che si è imboccata finalmente la strada dell'inquadramento politico della vicenda, al di là

di quanto le sedi tecniche possano proporre o decidere e al di là delle polemiche, che proprio a Riga sono

arrivate al calor bianco. È una decisione importante, considerato che anche la cancelliera ha problemi in casa

sua dovendo fare i conti con l'ala dura del partito, a cominciare dal ministro delle Finanze Schaeuble, che per

un accordo sulla Grecia vorrebbe un completo cedimento dell'esecutivo Tsipras sulle posizioni oggi del

Gruppo di Bruxelles, ma nella sostanza dell'ex troika, e dello schieramento Bundesbank-dipendente. In

effetti, è solo in sede politica che l'accordo potrà essere raggiunto, cominciando con l'abbandono dell'ipotesi

Grexit, del piano B e dell'immissione in circolazione di cambiali o bonus del Tesoro ellenico. Finora le

trattative hanno solo fissato progressivi slittamenti. Non si era fatto in tempo a dichiarare che il 24 aprile si

sarebbe potuta conseguire una intesa valida e subito la riunione dell'Eurogruppo è stata considerata

meramente preparatoria dell'altra fissata per l'11 maggio, il giorno prima della scadenza di un prestito del Fmi

di 800 milioni. Ma ora pure in quest'ultima scadenza l'accordo viene considerato incerto, sicché si parla già di

giugno, allorquando Tsipras intenderebbe presentare richiesta di un prestito di 30 miliardi. Tuttavia lo stesso

Tsipras spinge perché un'intesa parziale si consegua già ad aprile, nei pochi giorni che restano. Il fatto è che

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i problemi di liquidità sono particolarmente rilevanti. Ma è pur vero che lievi miglioramenti cominciano a

registrarsi nella finanza pubblica dal lato delle entrate, che sorprendentemente crescono dopo le misure sulla

rateizzazione di imposte e spese. La ricerca di un'intesa delimitata che consenta alla Grecia, per esempio, di

introitare i profitti sui bond ellenici acquistati dalla Bce, pari a oltre 1,5 miliardi, sarebbe importante. Poi

occorrerebbe che la riunione dell'Eurogruppo dell'11 maggio non sia un'altra occasione per critiche

reciproche ma costituisca un passaggio per una valutazione politica conclusiva. Dal lato dei negoziatori greci

si afferma che, allorquando a una misura considerata particolarmente negativa sul piano sociale si

contrappone un altro tipo di intervento, viene risposto sempre che, trattandosi di un provvedimento nuovo,

non ne è stimabile l'effetto: così, si replica, non resta che la strada delle riforme già imposte dalle istituzioni

creditrici, senza possibilità di negoziazione su pensioni, privatizzazioni e contrattazione collettiva. La Grecia

deve fare passi avanti con la presentazione di un solido programma di riforme; deve fornire garanzie sulla

loro attuazione; deve dare la disponibilità ai controlli. Ma le istituzioni creditrici debbono abbandonare i

comportamenti tipici di un negoziatore privato che presenta alla controparte un contratto che non può subire

modifiche. L'Europa, che ha dimostrato inadeguatezza nella vicenda dei migranti, ora deve dimostrare che

riesce almeno a spianare la strada verso un accordo con la Grecia che eviti il default e il burrone

dell'abbandono dell'euro, che renderebbe chiara a tutti la non irreversibilità della moneta unica. (riproduzione

riservata)

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MF

Numero 082, pag. 20 del 28/04/2015

COMMENTI & ANALISI

Riforme? Il pil dell'Italia dipende da Draghi

di Edoardo Narduzzi

Qualche giorno fa il presidente della Bce, Mario Draghi, ha spiegato che secondo i calcoli fatti dal suo Ufficio

studi, quindi non stiamo parlando delle analisi di qualche associazione territoriale del commercio, il contributo

del Quantitative easing alla crescita italiana nel 2016 sarà pari a un punto percentuale. In altre parole, grazie

agli acquisti di Btp decisi da Francoforte, il pil italiano il prossimo anno

beneficerà di un'accelerazione dell'1%. Ma secondo l'agenzia di rating

Fitch, che ha pubblicato le sue previsioni lo scorso venerdì, quindi

includendo anche l'effetto Qe, nel 2016 il pil italiano crescerà solo

dell'1%, dopo aver segnato un +0,5% nel 2015.

Allineando numeri e previsioni si scopre una realtà che dovrebbe

preoccupare non poco gli italiani: le tanto sbandierate riforme iniziate nel

2011 dal governo d'emergenza di Mario Monti, proseguite con quello di

unità nazionale di Enrico Letta e portate ancora più avanti dall'esecutivo

della rottamazione di Matteo Renzi non hanno avuto alcun effetto

sostanziale sul potenziale di crescita economica dell'Italia, che sarebbe

di fatto ancora in recessione senza la ciambella di salvataggio lanciata dalla Bce. Pare proprio, alla prova dei

numeri, che le manovre battezzate molto pomposamente dai vari governi pro-tempore con acronimi

altisonanti come CresciItalia, SviluppoItalia, LaVoltaBuona e così via siano state più uno strumento di

relazione mediatica tra il governo e i contribuenti, piuttosto che provvedimenti capaci d'invertire la

stagnazione italiana. Perché la politica economica è stata così poco efficace per un periodo tanto lungo, dal

2011 al 2015? E perché l'Italia rimane l'unica economia dell'Eurozona, Grecia a parte, a non uscire dalla

recessione senza l'aiuto di Draghi? Probabilmente la risposta va ricercata nello stock di debito pubblico

accumulato e negli effetti che questo fatto produce sulla crescita economica potenziale. Nessun governo ha

voluto tagliare drasticamente, ricorrendo a manovre straordinarie, il debito pubblico, che continua a zavorrare

il pil. Per alleggerire un fardello tanto pesante servono cure da cavallo vere, non slide ben presentate,

altrimenti il debito spiazza gli investimenti privati che devono scontare gli effetti futuri della maggiore

tassazione necessaria per ripagarlo. Infatti lo stock del debito impedisce qualsiasi manovra fiscale: la

pressione tributaria complessiva continua a crescere e comunque resta elevatissima, mentre per far ripartire

il pil occorrerebbe un taglio vero delle imposte. A causa dell'enorme debito pubblico l'economia italiana

rimane in una terra incognita dove la crescita resta un oggetto altrettanto misterioso e in cui investitori e

analisti hanno imparato a fare la tara alle riforme annunciate dai vari governi mai eletti dai cittadini, quindi

sempre emergenziali, e votati dal Parlamento per riformare. La morale è molto amara: senza SuperMario a

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Francoforte i politici italiani non sarebbero stati capaci di far uscire l'Italia dalla recessione neppure nel 2016.

Queste valutazioni le hanno già fatte a Berlino, Washington e Bruxelles. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

IL NUOVO TEAM Il

coordinamento affidato

al viceministro delle

Relazioni Internazionali

Tsakalatos, un

economista che ha

studiato a Oxford

La Grecia «commissaria» Varoufakis

Il governo cambia la squadra che sta negoziando con i creditori - Tsipras chiede

vertice straordinario

Il primo ministro greco, Alexis Tsipras, ha deciso un rimpasto-blitz della sua squadra

di negoziatori con i creditori internazionali. A guidare la squadra non sarà più Nikos

Theocharakis, uomo di fiducia dell’esuberante ministro delle Finanze Yanis

Varoufakis, ma George Chouliarakis, uomo vicino al vice premier Yannis Dragasakis,

un economista che aveva presentato ai banchieri di Londra il programma elettorale di

Syriza prima del voto del 25 gennaio. Chouliarakis ha partecipato come esperto ai

negoziati condotti dal precedente governo Samaras e gode della fiducia delle

controparti.

Inoltre Tsipras ha formato un gruppo di lavoro in seno al governo per seguire i

negoziati politici con i creditori. Del gruppo fa parte Varoufakis, ma il suo

coordinamento è affidato al vice ministro per le Relazioni Esterne, Euclides

Tsakalotos, un pacato economista che ha studiato a Oxford. I cambiamenti nella

squadra per i cruciali negoziati con i creditori giungono dopo che dall’Eurogruppo

sono filtrate forti critiche contro Varoufakis. Le fonti greche sottolineano tuttavia che

Tsipras ha rinnovato la sua fiducia verso il ministro delle Finanze. Varoufakis si

muove nel solco delle decisioni collettive del governo, sottolineano le fonti, e

continuerà a lavorare per «una soluzione sostenibile» della crisi finanziaria greca. In

realtà la mossa appare come un “commissariamento” di Varoufakis.

Riconfermato l’incarico al ministro Varoufakis, ma sembra chiaro che il suo ruolo

viene depotenziato, dopo la burrascosa riunione di venerdì scorso all’Eurogruppo a

Riga dove alcuni colleghi europei lo hanno apostrofato come «dilettante» e

«perditempo». Positiva la reazione dei mercati alla notizia, con i rendimenti sui titoli

di Stato greci in discesa su tutte le durate.

«Varoufakis in amministrazione controllata». Eloquente il titolo con cui il quotidiano

online To Vima ha riassunto la vicenda: «Il governo mette Varoufakis in

amministrazione controllata». Nel testo però il giornale spiega che con tale decisione

il governo intende «estendere il sostegno» al ministro delle Finanze.

Il cancelliere Angela Merkel e Alexis Tsipras hanno concordato di tenere sempre

aperto il filo diretto per assicurare che il negoziato continua. Ci si chiede comunque se

la decisione di ieri riflette effettivamente l’esigenza di Tsipras di dare un segnale ai

ministri dell’Eurogruppo o di prendere in mano direttamente il negoziato.

Il vice ministro Tsakalotos, studente a Oxford, ha infatti il profilo giusto per trattare

con i rappresentanti dei creditori, cioè ha caratteristiche diametralmente opposte

rispetto all’irruento ministro delle Finanze, i cui rapporti personali con diversi colleghi

dell’Eurogruppo, a cominciare dal tedesco Wolfgang Schaeuble, appaiono ormai

compromessi dopo numerosi vertici andati a vuoto. Nonostante la conferma formale al

suo posto, insomma, nella nuova squadra Varoufakis dovrebbe avere meno voce in

capitolo.

Positive le prime reazioni al rimpasto. «Non ho familiarità con questo cambio di

negoziatori, ma sono fiducioso che un accordo con la Grecia ci sarà»: così il

vicepresidente Bce Vitor Constancio a margine di un evento dopo il rimpasto del

gruppo dei negoziatori.

Ma intanto un sondaggio della Reuters presso dei trader ha riscontrato il 40% di

probabilità dell’uscita della Grecia dall’Eurozona.

Secondo la Bild, in una telefonata di domenica sera al cancelliere Merkel (confermata

ieri dal portavoce) e al leader dell’Euroguppo Jeroen Dijsselbloem, Tsipras avrebbe

spinto per ottenere un consiglio europeo straordinario questa settimana. Obiettivo del

premier, convincere l’Europa al versamento di nuovi aiuti ad Atene, a fronte del

rischio fallimento che correrebbe il Paese nelle prossime due settimane. Intanto,

secondo fonti del ministero delle Finanze, il governo sarabbe al lavoro per preparare

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un disegno di legge che recepisca alcune delle riforme strutturali chieste dai creditori,

a cominciare da quella fiscale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vittorio Da Rold

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

I?NODI?AL?PETTINE

Il cambio di guardia non basta È necessario un mandato politico pieno a trattare sulle riforme, dalle pensioni al diritto del lavoro

Bruxelles. Tra i negoziatori si diffonde la sensazione che neppure l’Eurogruppo dell’11 maggio sarà risolutivo

Ma la diplomazia europea resta cauta

BRUXELLESL’inattesa scelta del governo greco di rivedere la squadra di negoziatori che sta trattando un difficilissimo accordo con i creditori internazionali è stata accolta con cautela qui a Bruxelles. C’è apprezzamento perché il rimpasto potrebbe ridare nuova lena alle discussioni tecniche, ma rimane da colmare tra le parti un importante divario politico. Secondo alcuni diplomatici, neppure il prossimo incontro dei ministri delle Finanze dell’11 maggio rischia di essere risolutivo.Il rimpasto è giunto dopo che durante l’ultimo Eurogruppo la settimana scorsa i ministri delle Finanze della zona euro hanno criticato il loro omologo greco Yanis Varoufakis per la lentezza con la quale stanno procedendo i negoziati, indispensabili per chiudere il memorandum economico in scadenza in giugno e ricevere aiuti finanziari in cambio di nuove misure economiche. A guidare la squadra di negoziatori greci sarà ora Euclide Tsakalotos, 54 anni, vice ministro degli Esteri.«L’arrivo di un nuovo negoziatore potrebbe ridare dinamismo alle trattative – spiega un funzionario europeo –, ma bisogna essere cauti. Dobbiamo capire se la persona avrà un mandato politico pieno». Lo stesso Varoufakis, un economisto controverso dal carattere difficile, rimane al suo posto: «Sono unanimi nel detestarmi, e io sono lieto del loro odio», ha scritto su Twitter, riferendosi ai suoi rapporti con i ministri dell’Eurogruppo e citando una frase di Franklin D. Roosevelt del 1936.Le parti non si trovano d’accordo sul modo in cui rilanciare la crescita e modernizzare l’economia. Anche un mandato politico pieno ai nuovi negoziatori potrebbe non cambiare il quadro, se la Grecia non modifica posizione su molti fronti, dalla riforma pensionistica al diritto del lavoro. Peraltro, i creditori internazionali vogliono un nuovo modo di negoziare e chiedono che i loro rappresentanti possano incontrare funzionari greci nei ministeri, senza essere confinati nei loro alberghi.In un incontro con la stampa estera a Roma, secondo un articolo dell’agenzia di stampa greca Ana-Mpa rilanciato da Radiocor Il Sole/24 Ore, il ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan ha spiegato: «Penso ci sia spazio per un accordo sulla Grecia ed è su questo che dobbiamo lavorare duro nei prossimi giorni». I negoziati dovrebbero riprendere domani. Ha poi aggiunto, che dal suo punto di vista non esistono piani B che prendano in considerazione l’eventuale uscita del paese dalla zona euro.Diplomatici sono più guardinghi, se non addirittura più pessimisti. È un modo anche questo per tenere sotto pressione l’establishment greco? In parte sì. In parte i tempi sono talmente stretti da rendere la situazione molto delicata. Il premier Alexis Tsipras potrebbe essere presto costretto a scegliere tra l’accettare le riforme chieste dai suoi creditori, con la conseguenza di spaccare il suo partito Syriza, oppure il portare il paese al fallimento, con il rischio di uscita dalla zona euro.Il prossimo Eurogruppo è fissato per l’11 maggio, ma molti osservatori credono che neppure questo sarà risolutivo, per mancanza di tempo. C’è chi crede che solo un incidente possa dare quella scossa per portare i negoziati sulla giusta strada: «È un po’ come se il bambino si dovesse bruciare le dita sul fuoco perché si renda conto della situazione – spiega un funzionario europeo -. Il rischio naturalmente è che l’incidente scappi di mano e ci si bruci il braccio».© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano

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COMMENTI E INCHIESTE 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

LE SCELTE DI DEUTSCHE BANK E HSBC

Banche in fuga dalle troppe regole

Un lungo filo rosso sembra collegare l’annuncio di Deutsche Bank del ritiro da una decina di Paesi in cui è presente

- e la coincidente crescita in aree come India e Cina - con quello arrivato qualche giorno fa da parte di Hsbc. Il

colosso finanziario britannico si è detto convinto che la tassazione per le banche in Gran Bretagna è diventata

«troppo onerosa», come comunicato dal suo presidente. Per questo il gruppo, che ha sede a Londra, intende

trasferire il quartier generale. E in pole position, guarda caso, c’è proprio Hong Kong, capitale finanziaria asiatica a

dir poco market-friendly. Sebbene diverse negli approcci come nel modo di comunicarli, le due banche esprimono

in qualche modo un disagio comune. Che è quello di un settore finanziario, operativo nel Vecchio Continente,

sempre più appesantito da un eccesso di regolamentazione. Inutile dire che se oggi le banche si trovano a fare i

conti con richieste patrimoniali sempre più esose è per colpa della crisi finanziaria, alla cui origine c’è proprio un

eccesso di deregulation. Fare ordine, insomma, è giusto. Tuttavia, i segnali che arrivano dagli istituti sono chiari:

troppe regole soffocano il mercato. I regulator farebbero bene ad accorgersene prima che sia troppo tardi.

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COMMENTI E INCHIESTE 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

Stabilità finanziaria. Il ruolo del supervisore bancario

Banche meno esposte verso i propri governi

Il 25 marzo il nuovo dispositivo di controllo sulle banche europee, il meccanismo di

vigilanza unico, ha imposto limiti alla quota di titoli di Stato che possono detenere le

banche greche. La misura è stata oggetto di critiche: alcuni sostengono che è una

pressione indebita su Atene per indurla a scendere a patti con i suoi creditori

istituzionali. Invece è un passo importante per accrescere la stabilità della Grecia e

aumentare le probabilità che il Paese rimanga nell’euro. Ora ci sono le condizioni

perché il supervisore unico introduca regole sull’esposizione delle banche comuni a

tutta la zona euro, che consentirebbero di incrementare la stabilità dell’unione

monetaria.

A gennaio le banche greche detenevano 15,5 miliardi di titoli emessi dal Governo di

Atene, di cui 8,5 miliardi sotto forma di buoni del Tesoro a breve. Oltre a questi, si

contavano 9,3 miliardi in prestiti erogati allo Stato greco. Sull’altro piatto della bilancia

ci sono i 30 miliardi di capitale proprio, una volta tenuto conto dei 39 miliardi di

accantonamenti operati per compensare i crediti inesigibili già in essere. Le banche

greche rimangono fortemente esposte nei confronti dello Stato. Qualsiasi banchiere

farebbe ridurre l’esposizione verso clienti che parlano della possibilità di un default: i

titoli di Stato greci non sono privi di rischi, e il supervisore ha ricordato agli istituti di

credito che devono trattarli di conseguenza.

Se Atene decidesse di dichiarare lo stato di insolvenza, le banche greche registrerebbero

perdite significative e sarebbero prese d’assalto dai correntisti. Da Bagehot in poi,

l’approccio a una situazione del genere è quello di fornire liquidità in abbondanza alle

banche solventi e chiudere le banche insolventi. La Bce finora ha fornito finanziamenti

in abbondanza, nonostante i dubbi sul finanziamento monetario del debito. In caso di

default, più sarà alto il rischio di insolvenza delle banche greche a causa della loro

esposizione verso lo Stato, più sarà difficile sostenere che è necessario finanziarle.

Se l’Eurozona fosse uno Stato, l’organismo di vigilanza avrebbe chiuso le banche

diventate insolventi e avrebbe avviato la procedura di risanamento e risoluzione. Altre

banche avrebbero occupato il loro posto e il sistema finanziario dell’area avrebbe

continuato a funzionare. Ma chiudere ampie parti del settore bancario greco sarebbe

difficile, perché è improbabile che nuove banche entrino nel mercato in una situazione

di tale incertezza. L’opzione alternativa sarebbe l’introduzione di controlli di capitale

interni ed esterni: ma è una mossa rischiosa e mette a repentaglio la coesione della zona

euro; controlli del genere retrocederebbero l’euro in Grecia al rango di un’altra valuta.

Un’uscita dalla moneta unica diventerebbe quasi inevitabile.

I limiti imposti nella pratica rendono il sistema greco più solido di fronte ai capricci

della politica e accrescono le probabilità di avere riserve di liquidità in caso di default

puro e semplice, facendo aumentare le possibilità che la Grecia resti nell’euro.

I limiti all’esposizione verso il debito sovrano dei singoli Paesi spesso non sono visti di

buon occhio, perché rischiano di far lievitare i costi di finanziamento nel breve termine.

Per la Grecia questo è più di un timore. Atene deve arrivare in tempi rapidi a un accordo

con i suoi creditori istituzionali, invece di fare affidamento sui finanziamenti a breve

termine della Bce. Per gli altri Paesi della zona euro, invece, il momento migliore per

introdurre limiti all’esposizione è adesso.

I prezzi delle obbligazioni sono al massimo storico e i rendimenti sono molto bassi

grazie al programma di allentamento quantitativo della Bce. Semmai la Bce avrà

probabilmente il problema di individuare i venditori appropriati per i titoli di Stato.

Danièle Nouy, presidente del consiglio di vigilanza alla Bce, ha quindi ragione a

spingere le banche a ridurre l’esposizione nei confronti del proprio Governo. Non mette

a rischio l’accesso dei Governi ai finanziamenti né mina i bilanci delle banche, e

consente al meccanismo di vigilanza unico di assolvere al mandato politico alla base

della sua creazione: spezzare il legame nocivo tra banche e Governi rendendo il sistema

bancario europeo più sicuro e meno dipendente dalla politica. Il programma di

allentamento quantitativo della Bce offre un’eccellente opportunità per ridurre le

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esposizioni verso i soggetti sovrani e rendere più stabile l’unione monetaria europea.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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Guntram B. Wolff

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FINANZA & MERCATI 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

Cambiare il trattamento dei crediti d’imposta, modificherebbe il capitale degli istituti

Aiuti di Stato. Il commissario europeo ai servizi finanziari Hill parla dell’inchiesta sui crediti di

imposta

«Banche, l’Europa tutelerà la stabilità

finanziaria»

RIGA

Jonathan Hill ha un passato di deputato e di imprenditore inglese. Ex presidente della

Camera dei Lords, 54 anni, è uomo vicino al premier conservatore David Cameron.

Oggi è commissario ai servizi finanziari. Al momento delle audizioni parlamentari

nell’autunno scorso, fu costretto a un doppio esame dall’assemblea di Strasburgo.

Molti deputati hanno storto la bocca per i suoi rapporti con il mondo finanziario. In

questa intervista a cinque giornali europei, a margine di una riunione dei ministri delle

Finanze dell’Unione europea a Riga, prende posizione tra le altre cose su un dossier

che sta molto a cuore all’Italia: il modo in cui i crediti d’imposta sono considerati nel

capitale delle banche. Bruxelles teme che i deferred tax assets siano aiuti di stato

illegittimi. Su questo fronte, Hill sottolinea la necessità di non mettere a rischio la

stabilità finanziaria, e nei fatti si dimostra sensibile agli argomenti italiani nel

negoziato con la Commissione.

Come intende interpretare il suo lavoro di commissario ai servizi finanziari?

Dobbiamo guardare al contesto. Negli ultimi anni la Commissione è stata chiamata a

rispondere alla sfida della crisi finanziaria, e si è quindi concentrata sulla

regolamentazione dei mercati. Oggi la sfida è la crescita e l’occupazione. Il mio

obiettivo è di aiutare il rilancio dell’economia, basandoci su una regolamentazione

sostenibile. Vogliamo legiferare meno che in passato. Non è un caso se nel 2015

abbiamo presentato un quinto delle proposte annunciate in passato dalla Commissione.

Continua pagina 31

Beda Romano

RIGA

Continua da pagina 29

Significa che intende deregolamentare nel settore finanziario?

No. Il lavoro di regolamentazione compiuto finora è stata giusto e necessario. Il

sistema finanziario è più forte e meglio capitalizzato. Voglio guardare alle regole con

distacco, per capire se hanno avuto l’effetto desiderato. Per definizione, le regole una

volta adottate vanno osservate nella pratica per capire come stanno funzionando. Più

in generale, voglio che troviamo un giusto equilibrio tra la gestione dei rischi e l’aiuto

alla crescita.

La Commissione sta studiando come l’Italia e altri paesi stiano regolamentando i

crediti d’imposta nei bilanci bancari. C’è il timore che le regole possano

nascondere surrettizi aiuti di stato. Che impressione ha del tema?

Siamo ancora in una fase preliminare. La questione è prerogativa del commissario alla

concorrenza Margrethe Vestager, ma in un contesto più ampio il tema riguarda anche

la stabilità finanziaria, per cui io e tutto il collegio abbiamo un interesse. Questo

aspetto è certamente da prendere in considerazione nel valutare il dossier.

Perché vede rischi per la stabilità finanziaria?

Perché se si decidessero cambiamenti al modo in cui le banche considerano i crediti

d’imposta, vi sarebbero modifiche al capitale degli istituti di credito. Dobbiamo

valutare per bene gli effetti.

Che ruolo ha l'unione dei mercati dei capitali che ha presentato a grandi linee in

marzo?

Il mio obiettivo in questo caso è di promuovere l'investimento in Europa attraverso

una maggiore integrazione dei mercati. Mettere il risparmio a disposizione della

crescita. Uno dei campi che vogliamo semplificare è quello dei prospetti di borsa: la

direttiva negli anni è diventata molto lunga e molto costosa. Più in generale, vogliamo

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legiferare meno, ma imporre quanto abbiamo deciso di legiferare, il tutto in un

contesto globale nel quale dobbiamo tenere conto delle specificità europee.

Tra gli obiettivi c'è anche il desiderio di rilanciare le cartolarizzazioni.

Sì. Dobbiamo tornare a livelli ragionevoli. Vogliamo introdurre maggiore trasparenza.

Non si tratta di deregolamentare. Si tratta di incentivare la cartolarizzazione semplice

e trasparente.

Entro il 2016, la Commissione deve decidere come legiferare sulla capacità di

leva finanziaria delle banche (in inglese, leverage ratio, ndr). Pensa di introdurre

limiti obbligatori?

Non ho ancora una risposta chiara da darle oggi. Sono dell'avviso che dobbiamo

sviluppare il principio di proporzionalità, e trattare le banche in modo diverso, a

seconda se siano pubbliche, private, grandi, piccole, cooperative.

Significa forse che il limite di leva finanziaria potrebbe essere obbligatorio solo

per le banche grandi, quelle sistemiche?

A questo stadio mi limito a dire che sono pronto ad avere un approccio differenziato.

Una ultima domanda: Lei ha deciso di sostenere la proposta della Commissione

precedente su una riforma della struttura delle banche. Questa prevede tra le

altre cose per le grandi banche il divieto di proprietary trading (contrattazione

per conto proprio). Il Consiglio vorrebbe eliminare questo aspetto.

In generale, credo che vi siano ancora oggi banche troppo grandi per essere salvate. La

questione continua quindi a porsi. Trovare un modo per ridurre i rischi è la cosa giusta

da fare. In questo contesto, mi sembra vi sia sostegno in Parlamento per un divieto alle

contrattatazioni per conto proprio, e credo sia giusto che continui a perseguire questo

obiettivo. Si tratta di trovare la giusta e limitata definizione del concetto.

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Beda Romano

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MF

Numero 083, pag. 5 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Se l'accordo con i creditori non rispetterà il mandato ricevuto dagli elettori

Tsipras minaccia il referendumL'ex premier Papandreou, non appena ventilò un'ipotesi simile, venne subito deposto dai compagni di partito. Dijsselbloem (Eurogruppo): senza aiuti la Grecia non ce la può fare

di Marcello Bussi

Il premier greco Alexis Tsipras ricorrerà a un referendum nel caso se l'Ue chiederà al governo di Atene

misure inaccettabili. «Il nostro obiettivo è raggiungere una prima intesa in settimana o al più tardi la prossima

settimana; siamo molto vicini», ha affermato Tsipras in un'intervista a Star Tv, precisando tuttavia che se la

soluzione non dovesse essere in linea con il mandato popolare «dovrà essere approvata dai greci». Il

premier ellenico non teme quindi di fare la fine dell'ex premier George Papandreou,

che nel novembre 2011 non appena ventilò l'ipotesi di un referendum sull'accordo

raggiunto con i creditori della Grecia venne deposto dai compagni di partito, che poi

diedero il via libera al governo tecnico guidato dall'ex vicepresidente della Bce

Lucas Papademos. Impossibile che ora si ripeta la stessa storia, visto che Tsipras

tiene in pugno il suo partito Syriza e chi manifesta comunque una certa

insofferenza per la linea del premier non è certo a favore dell'ex Troika. Il portavoce

del governo Gavriil Sakarellis ha dichiarato che «è vicino un accordo dignitoso che

farà rinascere l'economia e la società greche e che sarà in linea con l'accordo del

20 febbraio» siglato con i creditori internazionali. In ogni caso, ha osservato

Sakarellis, l'intesa definitiva è attesa dopo giugno. Il governo greco sembra

disposto a concedere molto all'ex Troika, ma Tsipras ha comunque voluto sottolineare di aspettarsi 3-5

miliardi come anticipo sui diritti di transito del gas russo in Europa che Atene auspica di poter ricevere da

Mosca nel caso in cui sarà raggiunto un accordo per la costruzione dell'estensione in Grecia di Turkish

Stream. «La Grecia prenda atto della realtà, non ce la può fare senza aiuti», ha però avvertito il presidente

dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Mentre il governatore della Banca di Francia Christian Noyer ha

ammonito che i finanziamenti d'emergenza della Bce alle banche greche non possono andare avanti

«indefinitamente».

Intanto la stampa ellenica cerca di capire quali misure presenterà il governo ai creditori, forse già oggi. Si

parla dell'introduzione di un'aliquota Iva fissa al 18% per tutti i servizi e i prodotti di base, ad eccezione dei

medicinali. Mentre il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, che non sembra affatto depotenziato, ha

annunciato un progetto di legge sulla dichiarazione volontaria di fondi detenuti all'estero, che dovrebbe

essere seguito dalla firma di «un accordo politico» con la Svizzera. Coloro che aderiranno a questa sanatoria

dovrebbero cavarsela pagando dal 15 al 20% dell'ammontare coinvolto. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 5 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Con la bad bank si riparano i danni della crisi: la Ue non deve vietarla

di Angelo De Mattia

Le gravi distorsioni che la concezione rigoristica del divieto di «aiuti di Stato» da parte della Commissione Ue

può provocare cominciano a diventare opinione diffusa e all'interno della stessa Commissione si apre

un'opportuna dialettica tra il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager e quello ai Servizi Finanziari

Jonathan Hill, il quale sulla questione della deduzione fiscale delle perdite delle banche appare attento alla

tutela della stabilità degli istituti dopo la crisi. È sperabile che questa dialettica approdi a un risultato molto

meno «talebano» di quello assurdamente proibizionista che una miope tutela della concorrenza vorrebbe. Se

il confronto si svilupperà, allora è Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione, che dovrebbe

intervenire per determinare un indirizzo unitario realistico e pragmatico. Finalmente si muove comunque

qualcosa nelle impostazioni monolitiche di Bruxelles e c'è qualcuno che spinge a ragionare seriamente.

Proprio in questi giorni viene rilanciato il tema dell'istituzione di una «bad bank» per ripulire i bilanci delle

banche dalle sofferenze, che a livello di sistema tendono ai 190 miliardi, e si approfondiscono le ragioni per le

quali, pur essendo cambiata la normativa su crisi e ristrutturazioni bancarie, è specioso l'impedimento che al

progetto si vorrebbe frapporre da parte della Commissione, trascurando le motivazioni più volte espresse. Il

governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco anche di recente ha sottolineato che con la bad bank - o

misura diversa on finalità identiche - non si intende rimediare all'assunzione di rischi eccessivi da parte delle

singole banche, ma si vuole far fronte al deterioramento dei prestiti causato dalla lunghezza e dalla gravità

della crisi e all'esigenza di riattivare i finanziamenti all'economia. Sull'ultimo numero di Milano Finanza Paolo

Panerai ha ricordato il risultato eccellente della bad bank del Banco di Napoli, la Sga : un modello che ora

bisognerebbe tener presente. Ci sarebbe da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se l'istituzione di questa

«banca cattiva» fosse stata impedita con tesi da legulei, privi di una vista lunga. I danni sarebbero stati

enormi, mentre ora possiamo registrare un successo con il recupero di crediti in sofferenza ben oltre l'80%.

Ma oggi l'intervento che si ipotizza è per di più a livello di sistema e con le finalità indicate da Visco che

impongono di distinguere l'impulso generalizzato da parte del «pubblico» - che andrà pure remunerato - da

misure specifiche nei confronti di questa o quella impresa, a proposito delle quali si potrebbe sollevare,

anche se non molto convincentemente, il problema degli «aiuti di Stato». Quando si menzionano i sostegni

pubblici ricevuti dalle banche in altri Paesi (l'Italia essendo l'ultimo per importo complessivo di sostegno

pubblico, peraltro molto ben remunerato), si afferma che ora la normativa comunitaria in materia è cambiata.

Tuttavia è proprio con riferimento ai «danni» provocati dalla crisi che si vuole agire, creando così, sia pure ex

post, una tendenziale situazione di par condicio con altri sistemi che in precedenza hanno beneficiato di

misure di aiuto. Medesime cause, medesimi effetti, con la differenza che in Italia sono emersi solo

successivamente, richiedono un comportamento oggettivo, neutrale ed equanime da parte della

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Commissione, che, diversamente coopererebbe essa stessa a provocare una differenza di situazioni tra chi

ha fruito e chi no dell'intervento dello Stato. Ecco perché sussiste un dovere di non impedire all'Italia di

realizzare l'intervento. Ma, partendo dalla tematica degli aiuti di Stato, si può dire che esiste un elenco di

posizioni insostenibili che invece la Commissione afferma - compresi la questione della deduzione fiscale

delle perdite e gli apporti dei fondi interbancari di garanzia - che dovrebbe formare oggetto di un rapido

confronto con il governo italiano. Non possiamo continuare con questo cahier de doléance senza esiti

concreti. Principiis obsta, altrimenti medicina sero paratur, per la medicina sarà troppo tardi. (riproduzione

riservata)

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MF

Numero 084, pag. 4 del 30/04/2015

PRIMO PIANO

Tsipras mette sul tavolo della trattativa anche il pianoB

Ieri sono ripresi i negoziati della nuova squadra greca con il Brussels Group. Il coordinatore delle trattative,

da parte ellenica, è Euclid Tsakalotos, vice ministro degli Esteri. Le innovazioni apportate nella delegazione e

nella preposizione ai colloqui tecnici non hanno inciso ufficialmente sul ruolo del ministro dell'Economia,

Yanis Varoufakis. Anzi, Alexis Tsipras ne ha fatto una difesa a 360 gradi e ha valorizzato le posizioni assunte

dal ministro, dicendo che i negoziati li fanno le idee, non gli uomini. Chi si aspettava la famosa capriola di

Tsipras sarà certamente rimasto deluso. Ma deluso sarà restato anche chi, in Grecia, ha probabilmente

sperato a uno scambio tra il (finto) ridimensionamento di Varoufakis e un sostanziale ammorbidimento delle

posizioni delle istituzioni creditrici. Chi in ciò avesse riposto aspettative si è dovuto subito ricredere leggendo

che il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato ancora una volta che il tempo per

trovare un'intesa si sta esaurendo e che la Grecia deve prendere atto della realtà perché senza aiuti non

potrà farcela. Ciò non significa che il presidente ellenico sia fermo sulle proprie posizioni; anzi egli spinge per

arrivare a un'intesa già in questa settimana o, al più tardi, entro il 9 maggio; evidenzia le misure adottate -

innanzitutto in materia di privatizzazioni - e quelle che ha in animo, quale, per esempio, una sorta di voluntary

disclosure per il rientro dei capitali illegittimamente esportati da parte di greci; non nasconde le distanze

rispetto al Gruppo di Bruxelles su pensioni, regolamentazione del lavoro, Iva, ma non esprime una posizione

irremovibile. L'intento di Tsipras è di fare breccia sull'atteggiamento della Cancelliera, Angela Merkel, che egli

considera meno rigoristico di quello del Ministro delle finanze, Wolfgang Schaeuble, anche se non bisogna

dimenticare che sull'intesa con la Grecia sarà chiamato a decidere, poi, il Bundestag e il passaggio non sarà

facile. Il pragmatismo dei negoziatori greci di primo livello potrà raggiungere qualche risultato, ma, alla fine, le

valutazioni sul grado di introduzione delle riforme difficilmente muteranno, a meno che non sopravvenga

un'alta assunzione di responsabilità politica da parte dei governi dell'Eurozona che, certamente avranno i loro

problemi ad accettare una vera mediazione, ma che dovranno mettere a raffronto questo sbocco con l'altro,

che certamente sarebbe drammatico non solo per la Grecia, dell'uscita di quest'ultima dalla moneta unica.

Del resto, Tsipras ha indicato quello che per i greci è il vero piano B: nel caso di approdo dei negoziati a una

conclusione non soddisfacente, le proposte delle istituzioni creditrici saranno sottoposte a referendum

popolare. Egli, con questa prospettazione, sa di toccare un punctum dolens anche perché molti ricorderanno

quel che accadde quando l'allora premier Giorgios Papandreou preannunciò l'intento del ricorso alla via

referendaria sulla permanenza della Grecia nell'euro. La reazione europea fu tale che, alla fine, Papandreou

desistette da questo proposito, ricevendo alcune rassicurazioni, poi attuate solo in parte assai limitata. Ora il

referendum adombrato da Tsipras nella sostanza si tradurrebbe in un voto sulla permanenza o no nella

moneta unica. Il piano B è, in effetti, un'arma di pressione, come, al di là delle esplicite volontà, potrebbero

essere gli intensificati rapporti con la Russia - che però hanno prodotto anche irritazioni in alcuni settori

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comunitari - e con la Cina. Alla fine, si torna sempre al merito del negoziato e alla soluzione che andrà

tenacemente ricercata in tempi brevi, ma in Europa. Potrebbe giovare la delimitazione della trattativa per un

parziale accordo transitorio; ma ciò richiede una precisa volontà politica da parte delle istituzioni europee, i

cui esponenti di vertice, a questo punto, dovrebbero scendere direttamente in campo. Dovrebbe farlo, prima

di tutti, il presidente Juncker. Secondo le cronache, la Bce ha alzato il livello dell'Ela per le banche greche di

1,4 miliardi, portando l'ammontare complessivo a 76, 9 miliardi. I problemi di liquidità, per il governo greco,

non sono ovviamente risolti e l'ampliamento del necessario rifinanziamento, da un lato, risponde a esigenze

ineludibili, ma, dall'altro, accentua ancora il carattere nebuloso di questa fase, non vedendosi ancora la

conclusione del negoziato. Questa incertezza non può durare a lungo. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 30 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

La politica monetaria in molti Paesi è l’unico sostegno alla ripresa dell’economia

Le assicurazioni nel ramo vita sono in una posizione molto difficile

INTERVISTA JOSÉ?VIÑALS DIRETTORE FMI

«Non vedo il rischio di nuove bolle globali»BRUXELLESEx banchiere centrale spagnolo, José Viñals, 61 anni, è direttore del dipartimento che al Fondo monetario internazionale sovraintende i mercati dei capitali. Di passaggio a Bruxelles, ha fatto il punto sulla situazione finanziaria in Italia e in Europa. In questa intervista, nega vi sia il pericolo di una nuova bolla globale provocata da una politica monetaria molto accomodante, ma ammette che senza riforme dell’economia e risanamento dei bilanci gli effetti collaterali associati a tassi d’interesse molto bassi rischiano di essere più grandi del previsto.L’Italia sta negoziando con la Commissione europea la nascita di una bad bank

in cui riversare i crediti deteriorati del settore bancario. Che idea si è fatto?

Ora che la capitalizzazione delle banche è stata rafforzata, gestire i crediti deteriorati (non performing loans, Ndr) è una priorità cruciale nella zona euro. Pesano sulla redditività delle banche e sulla loro capacità di prestare denaro all’economia. Mettere mano al problema è cruciale per rimettere in salute il sistema bancario proprio mentre riprende a crescere la domanda di crediti. Non posso dire molto sull’ipotesi di bad bank italiana, mancano ancora i dettagli. Posso dirle che la bad bank può essere molto efficace nel gestire crediti deteriorati su larga scala.Vi sono però criteri da seguire.

Sì. In linea con la migliore prassi internazionale, prima di tutto gli attivi devono essere trasferiti a prezzi che riflettano principi di mercato. La valutazione deve essere trasparente e omogenea per garantire parità di condizioni. La nascita di una bad bank deve essere integrata con una strategia più ampia. Deve accompagnarsi con misure per creare incentivi fiscali alla svalutazione o alla vendita dei crediti deteriorati; per facilitare procedure anche extra-giudiziarie; per promuovere le ristrutturazioni bancarie. In questo senso, la riforma del sistema delle banche popolari in Italia è un passo molto positivo.A quanto ammontano secondo l’Fmi i crediti deteriorati in Europa?

La nostra stima parla di 900 miliardi di euro, concentrati in sei paesi. In Italia, i crediti deteriorati ammontano a circa 300 miliardi di euro, pari al 17% dei prestiti concessi dal sistema bancario. Più della metà sono sofferenze (bad loans, Ndr). In termini di volume, l’Italia è il primo paese nell’unione monetaria.A cosa attribuisce questo enorme ammontare: solo alla recessione? Alcuni

osservatori sostengono che il sistema bancario è troppo clientelista.

Non ho dettagli sufficienti per risponderle. Posso dire che in Europa, non solo in Italia, i crediti deteriorati sono molto più elevati che negli Stati Uniti. In America, sono stati più efficienti nel gestire il problema e in particolare nel fare le svalutazioni necessarie. I motivi sono legati agli incentivi fiscali, all’esistenza di un quadro giuridico per le ristrutturazioni debitorie, a una politica degli accantonamenti più aggressiva.La Commissione sta studiando come l’Italia e altri paesi stiano regolamentando i

crediti d’imposta nei bilanci bancari. C’è il timore che le regole possano

nascondere surrettizi aiuti di stato. Che impressione ha?

Mi limiterò a dire che i crediti d’imposta in quanto fonte di capitale per le banche sono autorizzati sia dalle regole di Basilea III che dalle norme europee. In questo momento, poiché l’analisi della Commissione è solo agli inizi, non posso aggiungere altro.Sul fronte della politica monetaria, crescono le critiche a tassi d’interesse troppo

bassi. In particolare la Banca per i regolamenti internazionali è preoccupata

dall’emergere di nuove bolle.

Tutti i medicinali somministrati ai malati più gravi comportano possibili effetti collaterali. Credo che il nostro compito sia quello di identificare le possibili conseguenze di una politica monetaria espansiva e gestirle al meglio. Senza di essa avremmo sofferto una nuova depressione economica e una catastrofe sociale. Purtroppo però in molti paesi la politica monetaria è l’unico sostegno alla ripresa

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economica. I governi non stanno facendo abbastanza per sostenerla, modernizzando l’economia, risanando i bilanci e rafforzando la crescita potenziale.A proposito di effetti collaterali negativi, quali vede in particolare?

Le assicurazioni nel ramo vita sono in una posizione molto difficile, tale da influenzare la loro solvibilità in futuro. Nella sola Unione europea, metà delle polizze garantisce oggi ritorni significativamente più elevati dei rendimenti obbligazionari. Se la politica monetaria accomodante dovesse permanere nel tempo perché i governi non introducono quelle riforme necessarie per modernizzare la loro economia e rilanciare la crescita, allora gli effetti collaterali a livello finanziario sarebbero più grandi e potremmo avere problemi in futuro.Crede che la Banca centrale europea dovrebbe a breve aumentare i tassi

d’interesse?

No, assolutamente. La Bce dovrebbe prendere in considerazione tale ipotesi solo laddove constatasse pressioni inflazionistiche tali da mettere a rischio il suo obiettivo di inflazione.Non vede quindi rischi di bolle finanziarie?

Vi sono casi isolati dove le valutazioni di mercato sono un po’ generose, ma non vedo rischi di una nuova bolla globale tale da trascinarci in una nuova crisi.Una ultima domanda sulle trattative con la Grecia, di cui l’Fmi è un creditore, in

vista della chiusura del programma economico e della concessione di nuovi aiuti.

Come vede il negoziato?

Mi limiterò a dire che siamo flessibili sulle misure che il governo greco sceglierà di adottare per modernizzare la sua economia e tranquilizzare i suoi creditori. Le misure però devono essere coerenti con gli obiettivi finali di una crescita sostenibile in un contesto economico e finanziario stabile.© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano

Assemblea Mediaset, più potere a Pier Silvio

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PRIMO PIANO 30 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

L’EXPORT 2015-2016

+4% L’effetto crescita sulle esportazioni stimato nel biennio da Bankitalia

L’IMPATTO SULLE

BANCHE 1,7 MILIARDI

Potenziale miglioramento della situazione patrimoniale

Il Qe vale 1,4% di Pil in due anni

La stima Bankitalia - La fiducia di imprese e consumatori torna a calare

Il totale degli effetti macroeconomici connessi al «Quantitative easing» da 60 miliardi al mese, messo in atto dalla Bce, determinerà un impatto sul Pil pari allo 0,5% quest’anno, e di circa 1,4 punti complessivi nel biennio 2015-2016. Stando a quanto sostengono Pietro Cova e Giuseppe Ferrero in un «Occasional paper» della Banca d’Italia, la manovra di politica monetaria di Francoforte dispiega il suo raggio di azione sia sul versante dei tassi di interesse, sia su quello delle aspettative e sul clima di fiducia. La riduzione dei tassi a breve termine e dei rendimenti delle attività finanziarie acquistate dalla Bce - si legge nel documento - influenza la domanda aggregata «anche attraverso molteplici canali indiretti». Modifica i rendimenti delle altre attività finanziarie, riduce il costo e aumenta la disponibilità dei prestiti bancari, deprezza la valuta domestica e allenta le condizioni di finanziamento del settore pubblico. È l’effetto congiunto già sperimentato dal programma di acquisti di titoli di Stato a lungo termine avviato nel 2009 dalla Fed e dal Regno Unito. L’eurozona, e con essa l’Italia, può far conto sul deprezzamento del tasso di cambio e sulla riduzione della spesa per interessi sul debito.Quanto alla trasmissione del Qe all’economia reale, l’assunto è che la variazione dei tassi di interesse e la conseguente (e auspicata) trasmissione attraverso i mercati finanziari e il credito bancario sono potenzialmente in grado di influenzare «le decisioni di spesa di famiglie e imprese». Ecco dunque l’effetto (già quantificato dalla stessa Banca d’Italia e dal governo nel «Documento di economia e finanza») sul Pil. Le simulazioni di cui si dà conto nel documento fissano nel dettaglio in 1 punto di Pil l’effetto cumulato nel 2015-2016 del programma di acquisti tramite il canale del tasso di cambio. In sostanza, il deprezzamento dell’euro «si rifletterebbe in particolare sulle esportazioni, che nel biennio aumenterebbero cumulativamente di circa 4 punti percentuali». Ne trarrebbero beneficio gli investimenti, indicati in crescita complessivamente di oltre 2 punti, «fornendo un contributo rilevante alla domanda aggregata». L’effetto di incremento sui consumi è stimato in circa mezzo punto percentuale nello stesso biennio 2015-2016. Tra consumi e investimenti, si potrà determinare un aumento cumulato attraverso questo canale di circa mezzo punto nel biennio.Lo studio si sofferma anche sul «potenziale miglioramento della situazione reddituale e patrimoniale» degli intermediari finanziari, determinato dal programma di acquisti della Bce. La stima è sul possibile impatto sui profitti e sul grado di patrimonializzazione delle banche, «e quindi sulle condizioni da queste praticate alla clientela». I risultati portano a ritenere (sia pur con ampi margini di incertezza) che si determinerebbe un aumento dei profitti bancari, al lordo delle imposte, di circa 1,7 miliardi nel biennio 2015-2016.Quanto ai tassi di interesse sui titoli di Stato a 10 anni, le stime di Alberto Locarno del Servizio Congiuntura e politica monetaria della Banca d’Italia ipotizzano una riduzione di circa 85 punti base.Torna intanto a calare la fiducia di imprese e consumatori ad aprile. Lo rileva l’Istat che segnala per le imprese una frenata dai 103 punti di marzo ai 102,1 di questo mese e per i consumatori dai 110,7 di marzo a 108,2. Entrambi gli indici restano però ai massimi livelli degli ultimi anni: per i consumatori per trovare un dato più alto bisogna tornare a giugno 2002 e per le imprese a giugno 2008.© RIPRODUZIONE RISERVATADino Pesole

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Seduta in calo con Pil deludente,

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la Fed non dà dettagli

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 9 del 01/05/2015

Stati uniti/2

Rivoluzionaria per forzaIl tasso di disoccupazione non basta più: la Fed modifica i parametri su cui basare la politica monetaria. Perché la struttura dell'economia Usa è cambiata e i metodi tradizionali vanno rottamati

di Guido Salerno Aletta

Al di là della delusione per un primo trimestre assai fiacco, c'è un malessere più profondo nel modello di

sviluppo americano, che ha indotto la Federal Reserve a rinviare ogni decisione sul rialzo dei tassi,

modificando radicalmente i parametri su cui fonderà in futuro le decisioni di politica monetaria. La crescita

economica in condizioni di massima occupazione e di

stabilità dell'inflazione attorno al 2% rappresenta l'obiettivo

statutario della Fed. Dopo la crisi però, come si legge nel

comunicato del Fomc del 29 aprile, non basta più riferirsi al

«tasso di disoccupazione»; occorre un più vasto novero di

informazioni, tra cui il «sottoutilizzo delle risorse lavorative».

In secondo luogo, viene definito un ulteriore orientamento

innovativo: «Anche dopo che la disoccupazione e l'inflazione

si saranno stabilizzate a livelli coerenti con il suo mandato, le

condizioni economiche possono per qualche tempo

richiedere di tenere l'obiettivo dei tassi d'interesse a un livello inferiore a quello che sarebbe normale nel

lungo periodo». Nel frattempo i proventi derivanti dagli interessi sui titoli iscritti all'attivo del bilancio della Fed

saranno utilizzati per immettere altra liquidità. Il malessere dell'economia americana è quindi molto più

profondo dei dati congiunturali del primo trimestre: riguarda il modello di sviluppo e i driver della crescita.

Gli Usa, dopo aver abbandonato sin dai primi anni 80 la produzione manifatturiera ad alto tasso di

occupazione (che è competitiva solo nei Paesi a basso costo del lavoro), hanno puntato sulla New Economy,

basata sullo sviluppo delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni. La rapida incorporazione di

queste innovazioni nel settore dei servizi ha aumentato di molto la produttività, distruggendo un numero

crescente di posti di lavoro. Dopo la crisi del 2008 si è aggravata la progressiva polarizzazione, che vede un

numero sempre più ampio di impieghi ancillari, a basso valore aggiunto, a fronte di un numero sempre più

limitato di impieghi ben pagati, a elevato contenuto professionale: la classe media è così evaporata assieme

al lavoro che svolgeva. La capacità operativa e l'esperienza sono stati incorporati nella memoria e nel calcolo

informatico. I driver di crescita americani sono diventati prevalentemente finanziari: capitali investiti senza

limite, prima per comprare migliaia di aziende che sviluppavano portali Internet, fino alla crisi del 2000, poi

per costruire immobili, fino alla crisi dei mutui subprime del 2008. In entrambi i casi, erano investimenti in cui

mancava il cash flow di mercato: nel primo caso si comprava un modello di business ancora da

sperimentare, nel secondo si prenotavano quote di reddito degli anni a venire. Ci sono due aspetti speculari

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nel modello di crescita economica negli Usa, sempre più jobless: l'allocazione degli investimenti e la qualità

dell'occupazione, che determinano la necessità di assicurare un reddito minimo ai disoccupati e ai working

poor (chi è povero nonostante abbia un lavoro, perché è mal retribuito), per evitare che la coesione sociale si

dissolva. Mettere in conflitto le generazioni, gli anziani contro i giovani, sarebbe solo un espediente.

L'auspicio di una maggiore produttività delle imprese, che in Italia si otterrebbe incorporando più velocemente

le innovazioni tecnologiche, suona beffardo: si risolverebbe un problema di astratta competitività

internazionale, visto che si tratta di settori non aperti alla concorrenza, per crearne uno ben più concreto a cui

neppure in America si sa dare risposta.

Torniamo alla decisione della Fed: in questa situazione aumentare i tassi non avrebbe senso. L'effetto sul

dollaro, che già si è rivalutato con effetti negativi sulle esportazioni e sul fatturato in euro delle multinazionali,

sarebbe esiziale: non solo per gli effetti sulla bilancia commerciale americana, ma perché non c'è alcun

motivo di attirare altri capitali internazionali in cerca di maggiori rendimenti sul dollaro, creando un movimento

che lo rafforzerebbe ulteriormente. La Fed invece ha già dimostrato di poter stampare tutta la liquidità in

dollari che serve per indebolire il biglietto verde. D'altra parte si alzano i tassi di sconto quando si vuole

incentivare il risparmio e scoraggiare gli investimenti perché l'economia tira troppo e quando c'è inflazione

perché ci si contendono i fattori della produzione. C'è un'enorme capacità produttiva ferma per carenza di

domanda; altra viene quotidianamente smantellata per la stessa ragione. Se non si può fermare il progresso

tecnologico che sostituisce le macchine al lavoro dell'uomo e neppure aumentare le tasse per redistribuire i

redditi, se non a livelli così elevati da rasentare l'estorsione fiscale, occorre tornare ad avere canali separati

per l'ingresso della moneta nell'economia e sostenere la domanda. Occorre quindi: una moneta

remunerativa, che riproduce a un livello conveniente sull'interno i proventi delle vendite all'estero; una

moneta produttiva, che attraverso credito e mercato dei capitali mantiene la capacità delle imprese

creandone di nuova e migliore; una moneta distributiva, che attraverso i bilanci pubblici assicuri la necessaria

coesione sociale in un contesto non inflazionistico. Infine serve una moneta risanatrice, che elimini i titoli

finanziari illiquidi o scarsamente appetiti dal mercato. L'arsenale della Fed è rappresentato da una parte da

tassi di cambio e tassi ufficiali, dall'altra dall'acquisto di titoli pubblici e di Abs immobiliari. Crescita economica

in un contesto di conti equilibrati con l'estero, massima occupazione e prezzi stabili rappresentano il consueto

quadrilatero d'oro delle politiche economiche.

La Fed ha chiaro il suo ruolo: la moneta deve servire lo sviluppo economico e la coesione sociale. Il limite è

l'inflazione. Vano sperare che la crescita economica sostenibile dipenda dalle bolle finanziarie; altrettanto

impossibile tassare di più i sempre meno numerosi occupati per dare un reddito adeguato ai sempre più

numerosi disoccupati e ai working poor, per saturare l'offerta produttiva che l'innovazione tecnologica tende a

far crescere esponenzialmente. Per produrre serve sempre meno lavoro e meno capitale. Allo stesso tempo

sempre più uomini ambiscono al benessere e vivono sempre più a lungo. Per la redistribuzione del reddito la

tassazione non è più sufficiente. La Fed interverrà ancora, immettendo moneta per finanziare il Tesoro,

saturare l'offerta e ridurre la sottoccupazione: serve, ma non è detto che basti. La terza rivoluzione

industriale, iniziata negli Usa, è solo all'inizio. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 9 del 01/05/2015

La Bce e quei dati troppo volatili

Dalle analisi congiunturali non si possono trarre valutazioni strutturali. Una prova di ciò è offerta dall'ultimo

Bollettino Bce, che riporta dati fino al 14 aprile. L'Istituto rileva che già nei primi giorni del Qe il calo dei tassi è

stato significativo e generalizzato nell'area e in tutti i Paesi, a eccezione della Grecia, si è assistito a una

flessione dei rendimenti dei titoli pubblici. Osserva poi che le aspettative d'inflazione di lungo termine si sono

riprese nell'Eurozona: dunque si apprende che qualche effetto sul tema del mantenimento della stabilità dei

prezzi comincia a essere rilevato e che è iniziato l'allontanamento dai rischi di deflazione, mentre il Qe ha

avuto un sicuro impatto positivo sui tassi, scesi ai minimi storici. Il quadro insomma sembra mosso e suscita

speranze. Quando però il Bollettino esamina la situazione di Spagna e Italia, afferma che il miglioramento del

clima di fiducia nei due Paesi ha coinciso con un calo del tasso di disoccupazione. Ecco qui la prova cui si è

accennato. Proprio il 30 aprile l'Istat ha rilasciato i dati su disoccupazione e occupazione a marzo: il primo è

risalito al 13%, il secondo è sceso al 55,5. Una doccia fredda che spegne gli entusiasmi e intacca il

ragionamento del Bollettino. A ciò si aggiunga che all'aumento della fiducia dei consumatori rilevato dal

Bollettino sono seguiti i dati di aprile, che segnalano il calo di tale fiducia e di quella delle imprese. Ciò

dimostra l'impossibilità di fondare analisi valide riferendosi solo alle variazioni di qualche mese. Ma, poiché

non è la prima volta che simili disallineamenti si verificano tra effetti della politica monetaria ed economia

reale, si può dire che la divaricazione persiste e che agli effetti positivi del Qe sul terreno dei tassi non

seguono per il momento riflessi percepibili sul versante di famiglie e imprese. Si ripropone il problema di

come fare affluire all'economia la liquidità fornita dalla Bce alle banche. Un problema che non si potrà

lasciare irrisolto.

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 24 del 01/05/2015

Credito bloccato

Non ingabbiate le banche UeDopo l'ondata di strette è ora di fermarsi perché forse si sta esagerando, avverte Bini Smaghi. Altrimenti gliistituti non riescono più a operare, con danni all'economia reale e al mercato dei capitali. La bad bank? L'Italia doveva chiedere gli aiuti a suo tempo

di Francesco Ninfole

Le troppe strette normative rischiano di ingabbiare l'attività delle banche europee. È questo in sintesi il

pensiero di Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Bce e vicepresidente di Société

Générale (sarà presidente dopo l'assemblea del 19 maggio). E l'economista fiorentino in questa intervista

sottolinea le conseguenze di

un'eccessiva regolamentazione per la

ripresa e per il mercato dei capitali

Ue.

Domanda. Il governatore Visco ha

detto che occorre «valutare con

attenzione gli effetti macroeconomici

di ulteriori richieste di capitale».

Finora si è guardato più alla stabilità

delle banche e meno alla crescita dei prestiti e dell'economia?

Risposta. Ci deve essere un equilibrio tra solidità del sistema e capacità di quest'ultimo di sostenere la

ripresa economica. La tendenza dopo la crisi è stata quella di rafforzare il patrimonio, ma bisogna capire

quali sono i limiti. Le banche devono avere requisiti minimi non solo di capitale ma anche di liquidità, ai quali

si aggiungono i contributi per il nuovo sistema di risoluzione europeo, più la sovrattassa per le banche

sistemiche, il «testamento vivente» (il piano da attuare in caso di crisi, ndr), oltre alle tasse normali. Tutto ciò

in un contesto di tassi zero e con curve di rendimento piatte. Non è semplice fare banca in questo contesto, il

che significa che è difficile aspettarsi che le banche possano espandere molto l'attività. Forse bisogna fare

una pausa e riflettere se in queste condizioni non si stia esagerando.

D.Quali cambiamenti nell'attività delle banche produce la nuova regolamentazione e la stretta sui requisiti di

capitale? Quale modello di banca si svilupperà?

R. Molti istituti europei stanno già rivedendo i modelli di business, generalmente in modo restrittivo. I gruppi

inglesi e svizzeri stanno uscendo dall'investment banking, altri stanno riducendo le attività all'estero. Il

risultato è che rischiamo di trovarci in una situazione in cui le banche europee vengono ridimensionate,

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mentre quelle americane continuano a crescere e a conquistare quote di mercato. In queste condizioni come

si può realizzare l'Unione bancaria in Europa? Con le banche americane? Non vedo poi come si possa

realizzare un vero mercato dei capitali europei senza le grandi banche, che fanno anche attività di

investimento e sono in grado di accompagnare le imprese e piazzare i prodotti ai grandi investitori

istituzionali, facendo anche da market-maker. Finora in Europa nessuno si è posto il problema.

D. Come spiega la lacuna?

R. È il risultato della demonizzazione delle banche, di cui si sono accorti in America ma non ancora in

Europa. Non è un caso che negli Stati Uniti le ipotesi di separazione tra attività di investimento e di dettaglio

non si sono poi concretizzate, mentre da noi c'è ancora molta incertezza.

D.Non ritiene giusto porre limiti alle banche d'investimento, nel caso si mettano a rischio gli attivi retail?

R. Quelle che hanno avuto difficoltà durante la crisi, di qua e di là dell'Atlantico, sono state le banche di

investimento pure, tipo Lehman Brothers, oppure banche al dettaglio, tipo Washington Mutual. Le banche

universali hanno semmai aiutato a risolvere la crisi, sobbarcandosi gli oneri dei salvataggi di quelle fallite. Il

problema delle banche grandi non si risolve separando le varie attività ma rafforzando il capitale e adottando

procedure rigorose di risoluzione.

D.Quali sono le luci e le ombre di questi primi mesi dell'Unione bancaria?

R. Mi sembra che la Bce e i regolatori nazionali abbiano preso sul serio i loro nuovi compiti. All'inizio è

necessario essere rigorosi, ma bisogna anche avere una visione di lungo periodo, altrimenti il sistema rischia

di rimanere frammentato e l'obiettivo di separare il rischio bancario da quello sovrano non verrà raggiunto.

Per questo motivo bisogna approfittare del Qe messo in atto dalla Bce per indurre gli operatori bancari a

diversificare gli attivi, anche vendendo i titoli di Stato e utilizzando gli introiti per rafforzare il patrimonio.

D.Molti accusano la Bce di schizofrenia, in quanto le politiche di vigilanza (che frenano il credito)

contraddicono le politiche monetarie (che vogliono facilitare i prestiti). Qual è il suo giudizio?

R. In realtà mi sembra che ci sia piena coerenza; il Qe e i tassi negativi fanno aumentare i prezzi dei titoli di

Stato, che dovrebbero consentire alle banche di realizzare notevoli plusvalenze, le quali possono essere

usate per rafforzare il capitale. D'altra parte senza una situazione patrimoniale solida le banche non

riprenderanno a prestare all'economia reale.

D.Il credito è frenato anche dall'elevato livello di crediti deteriorati. Sarebbe utile una bad bank in Italia?

Ritiene contraddittorio che l'Italia sia frenata dalle regole sugli aiuti di Stato (anche riguardo alle deferred tax

asset) dopo che gli altri Paesi hanno ricapitalizzato le banche per decine di miliardi?

R. Questo è uno dei tanti casi in cui l'Italia arriva in ritardo all'appuntamento e poi si lamenta e cerca capri

espiatori, come spesso l'Europa. Il governatore della Banca d'Italia ha chiesto da più di un anno di trovare

una soluzione, che inevitabilmente richiede fondi pubblici, ma si è fatto finta di niente.

D.Era meglio fare come la Spagna?

R. La Spagna ha creato tre anni fa la sua bad bank, prima delle nuove regole sul bail-in e ha sostanzialmente

risolto il problema. Noi abbiamo avuto la presunzione di non chiedere aiuto, abbiamo aspettato e ora ci

lamentiamo perché dobbiamo assoggettarci alle nuove regole sul bail-in e sugli aiuti di Stato. Ma queste

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regole, e la data della loro entrata in vigore, erano note da tempo. È chiaro che qualsiasi soluzione che

comporta fondi pubblici non può risultare una sovvenzione a favore degli azionisti. D'altra parte è proprio

quello che sta succedendo, dato che l'intervento per risanare la situazione viene sistematicamente rinviato.

Se non si liberano i bilanci delle banche dalle sofferenze, si dà un implicito sussidio agli azionisti e si blocca il

nuovo credito all'economia reale. A soffrirne è l'intero sistema economico.

D.Ritiene giusto trasformare le maggiori banche popolari in spa?

R. Per le grandi popolari la riforma è giustificata dalle difficoltà che il sistema di governo può rappresentare in

caso di crisi, quando bisogna poter procedere rapidamente ad aumenti di capitale per evitare effetti sistemici.

Il problema non si pone invece per gli istituti più piccoli.

D.In materia di piccole banche, che cosa pensa dell'autoriforma delle bcc?

R. Non si capisce la logica della riforma delle bcc, che sono in genere più piccole delle popolari e comunque

sono sotto la soglia dimensionale richiesta per la riforma. Le difficoltà delle banche cooperative riguardano

alcuni istituti, ma anche il basso livello di efficienza del sistema nel suo complesso, che deriva anche dalla

struttura federativa pesante e poco meritocratica. In queste condizioni come si può pensare che

un'autoriforma, che viene dall'alto, possa portare a un sistema migliore? Si rischia semmai di indebolire la

parte più sana, affossando così l'intero sistema. Il risanamento deve venire semmai dal basso, con

ristrutturazioni drastiche e un totale ripensamento della struttura verticistica, con una logica di mercato e non

politico-clientelare. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA CAUTELA

L’inflazione «core» continua a muoversi al ritmo lento del +0,6%: la stessa velocità di marzo e gennaio, la più bassa di sempre

L’effetto-Qe ferma la caduta dei prezzi

Dopo quattro mesi la deflazione perde forza e in aprile si azzera - L’impatto dei

cambi e delle mosse Bce

Zero: sono rimasti fermi, ad aprile, i prezzi di Eurolandia. L’indice Eurostat di aprile è

tornato quasi allo stesso livello di un anno prima: 118,19 contro 118,20,

interrompendo - sia pure per pochissimo - la serie di segni meno iniziata a dicembre

2014. Rispetto a marzo, l’inflazione mensile - che segue però l’andamento delle

promozioni e dei saldi - è inoltre salita dello 0,2% dopo il +1,1% di marzo rispetto ad

aprile. Nella sola Germania, i prezzi sono infanto saliti dello 0,4%, in progressiva

accelerazione dallo 0,3% di marzo, lo 0,1% di febbraio e il -0,4% di gennaio.

Non c’è più la deflazione, si potrebbe quindi dire. Non sono però scomparsi i dubbi e i

rischi, anche perché l’inflazione core, di fondo, che esclude tutti i ribassi del settore

energia, continua a muoversi al ritmo piuttosto lento del +0.6%, la stessa velocità di

marzo e gennaio, la più bassa di sempre. Alla piccola accelerazione dei prodotti

industriali non energetici (+0,1%, contro lo 0% di marzo e il -0,1% di gennaio e

febbraio) si è infatti accompagnata la leggera frenata dei servizi (+0,9%, contro l’1%

di marzo e il +1,2% di febbraio), dove i prezzi non sono mai stati così lenti, neanche

durante la Grande recessione.

Difficile, allora, pensare che le pressioni deflazionistiche - o più precisamente quelle

disinflazionistiche - siano finite o stiano terminando, in Eurolandia. Se sui mercati

qualche investitore ha già cominciato a pensare che la Banca centrale europea

potrebbe in futuro ridimensionare o accorciare i suoi acquisti di titoli di Stato, ogni

previsione in tal senso è decisamente prematura. «Il quantitative easing non può agire

così velocemente», è stato per esempio il commento affidato all’agenzia Reuters da

Ralph Solveen, economista alla Commerzbank. E se Hardo Hansson, il governatore

estone componente del board Bce, ha ammesso in un’intervista al Wall Street Journal

che «le cose si stanno muovendo in modo leggermente più positivo di quanto si

pensasse qualche mese fa», ha anche precisato che ogni discussione sull’orientamento

della banca centrale sarebbe «prematura».

Non sono affermazioni puramente rituali. Il passo in avanti segnato di aprile è infatti

esclusivamente il frutto dell’accelerazione dei prezzi degli alimentari (+0,9% dallo

0,6%) e del prevedibile rallentamento della frenata dei prezzi dell’energia, che sono

calati del “solo” 5,8% annuo dopo il -6% di marzo. Sono due comparti non solo molto

volatili, ma anche decisamente indifferenti alla politica monetaria.

Non è neanche chiaro, finora almeno, quanto possa aver influito la flessione dell’euro

- che è iniziata a marzo 2014 ma ha accelerato a dicembre - sulla miniripresa dei

prezzi dei prodotti industriali, i meno volatili di tutti, che sono passati dal calo dello

0,1% di gennaio e febbraio a un rialzo dello 0,1%. Le ultime indicazioni derivanti dai

sondaggi Pmi elaborati dalla Markit tra i manager acquisti, segnalano un aumento dei

prezzi degli input - quindi anche le materie prime non petrolifere - che non si è

trasferito sui prodotti finali, ma ne ha sicuramente rallentato i ribassi. Secondo Fabio

Fois di Barclays solo i dati definitivi di fine aprile permetteranno di capire se la catena

di trasmissione cambio-importazioni-prezzi, oggi «inefficiente», ha ripreso a

funzionare.

Qualcosa dunque, lentamente, si sta muovendo. Guardando però ai numeri da una

prospettiva più ampia, emerge come Eurolandia sia ancora molto lontana dal ritorno

alla normalità. L’inflazione resta ben lontana dalle medie storiche, pari a 1,88% per

l’indice complessivo (è stata a lungo intorno all’1,96%, in linea con l’obiettivo della

Bce), allo 0,7% per i prodotti industriali e al 2% per i servizi, mentre per la core

inflation è all’1,46 per cento. C’è ancora molta strada da fare.

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Riccardo Sorrentino

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MONDO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL RUOLO DI

FRANCOFORTE La Bce potrebbe aumentare il tetto di emissioni di buoni del Tesoro consentite al governo greco, oggi ferme a 15 miliardi di euro

Ripresi i negoziati a Bruxelles. Ore decisive per evitare il default di Atene

Atene pronta a concessioni sul nuovo piano di

riforme

Aperture dei negoziatori greci su privatizzazioni e Iva

BRUXELLES

Sono tornati ieri a riunirsi con maggiore lena la Grecia e i suoi creditori internazionali

nel disperato tentativo di evitare il mancato rimborso di prestiti e un possibile

fallimento del Paese mediterraneo, in grave crisi di liquidità. I prossimi giorni saranno

utilizzati per avvicinare le parti, anche se ieri la Commissione non ha voluto prendere

impegni su un accordo entro la prossima riunione dei ministri delle Finanze della zona

euro lunedì 11 maggio.

Il Gruppo di Bruxelles - come viene chiamato da qualche settimana l’organismo

informale che ragguppa i rappresentanti della Commissione europea, della Banca

centrale europea, del Fondo monetario internazionale e naturalmente del governo

greco - si è riunito ieri qui nella capitale belga. All’ordine del giorno nuove proposte

di Atene per venire incontro alla richiesta dei suoi creditori di riformare in modo

profondo e durevole l’economia del paese.

Il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, ha parlato di «discussioni

costruttive», con l’obiettivo di «approfondirle e intensificarle». Secondo un esponente

comunitario, l’idea è di proseguire i colloqui per tutto il weekend, e possibilmente

anche la prossima settimana. Venerdì scorso, i ministri delle Finanze hanno criticato il

governo greco perché poco collaborativo nel modo in cui gestisce le trattative,

impedendo tra le altre cose ai rappresentanti dei creditori l’accesso nei ministeri ad

Atene.

«Su questo specifico aspetto – spiega l’esponente comunitario – il governo greco non

sembra volerci venire incontro (…) Tuttavia, nel negoziato di oggi (ieri per chi legge,

ndr) l’esecutivo greco ha mandato una delegazione più nutrita delle precedenti. Non

più solo esperti tecnici ma anche alti funzionari, con un contatto diretto con il premier

Alexis Tsipras (…) Vi sono più ingredienti di prima perché si facciano progressi» (si

veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile).

Il premier Tsipras è stretto tra l’urgenza di trovare un accordo con Bruxelles per

strappare nuovi aiuti finanziari ed evitare il tracollo, e la necessità di rispettare le sue

promesse elettorali, soprattutto rispetto all’ala sinistra di Syriza, il partito che ha vinto

le elezioni di gennaio. Il governo si dice fiducioso sulla possibilità di trovare un

accordo a brevissimo. A molti osservatori l’ottimismo sembra essere un modo per

eventualmente imputare la responsabilità di un fallimento del negoziato sui creditori.

Da Atene, la stampa greca scrive che il governo sta valutando la possibilità di

introdurre nuove tasse per fare quadrare i conti: una nuova imposta sui pernottamenti

nelle isole turistiche, così come una nuova tassa sui ristoranti e i bar durante il periodo

estivo. A questo riguardo, il nuovo rappresentante greco al negoziato con i creditori, il

vice ministro degli Esteri Euclide Tsakalotos, ha ribadito che il governo ha «linee

rosse» da non oltrepassare, ma è pronto «a fare dei compromessi».

Sulle privatizzazioni, Atene sembra pronta a tornare sui suoi passi, almeno in parte. In

un primo tempo aveva escluso vendite statali tout court. Oggi si prevede che il porto

del Pireo possa essere ceduto al 51% (non più al 67% come previsto dall’esecutivo

precedente). Più difficili appaiono accordi sul sistema pensionistico e sul mercato del

lavoro. Anche gli obiettivi di bilancio 2015-2016 sono controversi. Banca centrale

europea e Commissione appaiono più propense a rivederli al ribasso; meno conciliante

sembra l’Fmi.

Proprio il Fondo monetario internazionale ieri ha precisato che la Grecia gli deve 950

milioni di euro in maggio (200 milioni il 6 e 750 milioni il 12 maggio). Sempre sul

fronte dei creditori, secondo il Wall Street Journal la Bce sarebbe pronta, alla luce di

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porta il rating a Caa2. Fuga per 32 miliardi di depositi da fine 2014

Istat e Bankitalia: «L’economia migliora»

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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un nuovo accordo con la Grecia, ad aumentare il tetto di emissioni di Buoni del

Tesoro da parte del governo greco (oggi pari a 15 miliardi di euro). Dall’intesa su

nuove riforme economiche dipende l’esborso di 7,3 miliardi di euro di nuovi aiuti

finanziari.

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Beda Romano

Mediaset, tutte le deleghe a Pier Silvio

Mediaset, tutte le deleghe a Pier Silvio

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 03 MAGGIO 2015Plus

IL PUNTO

Chi beneficia del possibile default greco

La Grecia versa in condizioni molto precarie. Con il passare dei giorni le fonti a cui

Atene può attingere per tamponare la crisi di liquidità che sta attraversando si

esauriscono a una a una. Il ricorso al mercato le è negato da tempo, gli aiuti dei Paesi

europei sono condizionati a riforme che il Governo non è in grado di digerire, avendo

promesso altro. A oggi non si intravede una soluzione e questo apre la porta a scenari

abbastanza drammatici. Nelle prossime settimane o il Governo greco approverà un

piano di riforme condivisibile e riuscirà a ottenere i 7 miliardi residui di aiuti oppure

sarà costretto al default sul debito, ad abbandonare l’euro, ripristinare la Dracma e

definire una nuova parità di cambio. Si stima una svalutazione nell’ordine del 40%.

Mano a mano che questa prospettiva diventa più realistica, le cose possono precipitare

ancor prima del mese, provocando una corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori

greci che cercheranno di riprendersi gli euro per evitare di essere ripagati in dracme e

perdere il 40% del valore dei loro depositi. I risparmiatori più timorosi, quelli che

hanno da perdere molto (con depositi elevati) e quelli che si fidano meno delle loro

banche lo stanno già facendo. Brutte notizie quindi per i greci che, votando Tsipras,

speravano di alleviare le proprie sofferenze e rischiano invece di patire di più e più a

lungo. Ma dai guai dei greci altri possono beneficiare. Una dracma svalutata del 40%

significa che chi ha risorse in euro, come i risparmiatori italiani, potrà comprare ciò

che oggi in Grecia costa un euro con soli 60 centesimi. Immobili, terreni, imprese,

negozi e attività saranno molto convenienti. Inoltre, come sempre accade dopo una

crisi, la recessione che ne seguirà, aggravando quella che oggi colpisce la Grecia, farà

calare i prezzi di questi asset ancora di più. Non è inverosimile che, dopo il crack, sarà

possibile comprare case scontate del 50-60%. Come disse una volta un cinico collega

di George Soros, le migliori opportunità emergono quando la situazione cambia da

“cattiva” a “disastrosa”: è allora che si ha il vantaggio di comprare a basso prezzo.

Axa Professor of Household Finance (Eief)

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Luigi Guiso

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12 Domenica 3 Maggio 2015 Corriere della Sera

Primo piano La previdenza

Caos pensioni, il conto verso il raddoppioDopo il verdetto della Consulta sull’adeguamento all’inflazione. L’ipotesi di un buco fino a 10 miliardiAllo studio un provvedimento per la restituzione a rate. La lente dell’Unione Europea sul deficit

La norma

� La Corte

costituzionale

ha bocciato la

norma del

decreto salva

Italia (governo

Monti) che

bloccava per

2012-2013

l’adeguamento

all’inflazione

per le pensioni

superiori a tre

volte il minimo

(1.201,7 euro

netti).

ROMA Colto di sorpresa dallasentenza della Corte costituzio-nale, arrivata per giunta alla vi-gilia del ponte del Primo mag-gio, il governo si sta riprenden-do dallo choc per una pronun-cia che, sulla carta, potrebbevalere almeno 10 miliardi di eu-ro sotto forma di rimborsi delmancato adeguamento all’in-flazione per circa 6 milioni dipensionati, più una maggiorespesa per gli anni successividifficilmente quantificabile.

La Corte, infatti, con la sen-tenza 70 depositata giovedì, hadichiarato l’incostituzionalitàdel blocco della perequazionedelle pensioni superiori a trevolte il minimo deciso col de-creto salva Italia dal governoMonti alla fine del 2011 per idue anni successivi. Le pensio-

ni superiori a 1.406 euro lordi(1.201,7 netti) nel 2012 sono co-sì rimaste senza adeguamentoai prezzi, quell’anno e nel 2013.La Corte ha bocciato la norma ecosì andrebbero restituite aquesti pensionati le sommenon corrisposte con gli interes-si. L’Avvocatura dello Stato ave-va stimato in 4,8 miliardi di eu-ro il valore del blocco. Ma que-sta somma andrebbe più cheraddoppiata perché l’adegua-mento all’inflazione resta in-corporato nella pensione equindi si trascina negli annisuccessivi. Bisognerebbe rim-borsare quindi anche per il2014 e 2015. Inoltre, andrebbeprevista una maggiore spesaper gli anni prossimi, dovuta alricalcolo delle pensioni stessee al fatto che i futuri adegua-

menti all’inflazione avverrannosu un importo pensionisticomaggiore. Insomma, il «teso-retto» da 1,6 miliardi, sul qualeil governo contava grazie al mi-glioramento dei conti pubblici,basterebbe appena per comin-ciare l’operazione che richiede-rebbe in realtà una manovra.

Tutto questo ragionamento,però, è sulla carta. Nel sensoche il governo potrebbe con undecreto legge disciplinarel’esecuzione della sentenza conl’obiettivo di limitarne l’impat-to sui conti pubblici. Potrebbe,per esempio, disporre intantoil ricalcolo delle pensioni congli adeguamenti bloccati nel2012 e 2013 mentre per gli arre-trati avviare un rimborso a rate.Ma potrebbe anche prenderedecisioni più drastiche, osser-va l’esperto di pensioni Giulia-no Cazzola, «disponendo peresempio una rimodulazionedel blocco, facendolo restaresolo sulle pensioni elevate, vi-sto che la Corte ha bocciato la misura proprio perché colpivaanche quelle modesto». È evi-dente che in caso di applicazio-ne limitata della sentenza il go-verno dovrebbe mettere in con-to un nuovo contenzioso con laplatea residua dei pensionaticolpiti che finirebbe ancora da-vanti alla Corte costituzionale.Ma passerebbe qualche anno enon è detto che la Consulta, difronte a una misura circoscrittaalle pensioni più alte, bocce-rebbe la nuova legge.

Tutte queste valutazioni ver-ranno fatte nei prossimi giornitra Palazzo Chigi ministero del-l’Economia, del Lavoro e Inps.Poi arriverà la decisione. Dai ri-svolti inevitabilmente politici,visto che il 31 maggio ci sono leelezioni regionali. Sale intantoil pressing dei sindacati peruna applicazione integrale eimmediata della sentenza.

Enrico Marro© RIPRODUZIONE RISERVATA

Secondo l’Avvocatura dello Stato il

blocco della perequazione ha fatto

risparmiare al bilancio 4,8 miliardi

nel biennio 2012-2013.

L’Avvocatura:conto di 5 miliardi

Bocciatura

Il buco

Ai 4,8 miliardi del biennio 2012-

2013 bisognerebbe sommarne

altrettanti per il 2014-2015,

perché l’adeguamento ai prezzi si

trascina di anno in anno.

Ma la spesa finaleè più alta

Le stime

Circa 6 milioni di pensionati

reclamano la restituzione degli

arretrati con gli interessi e

l’adeguamento della pensione.

Rimborsi e adeguamento

Gli assegni

Il governo potrebbe, con un

decreto, decidere per il rimborso a

rate e solo per le pensioni più

basse.

L’ipotesidecreto legge

La norma

Il rapporto

Ocse: l’Italia scala la classificadei disoccupati di lunga durata

Le donne italiane faticano ancora tanto a conciliare lavoro fuori casa e compiti di cura in famiglia. Lo dice l’Ocse, confermando più in generale la bassa occupazione e le disuguaglianze come le questioni più penalizzanti per il nostro Paese. In un rapporto pubblicato ieri, l’Organizzazione per la cooperazione economica piazza l’Italia ai livelli più alti per la disoccupazione di lunga durata rispetto al totale dei senza lavoro. Si tratta del quarto posto nell’ area Ocse, campo di osservazione che comprende 34 Paesi. Secondo il dato riferito all’ultimo trimestre del 2013, l’Italia si pone alle spalle di Slovacchia, Grecia e Irlanda, con una percentuale di disoccupati da oltre un anno salita al 58,6%, dal 45,7% dell’ultimo trimestre del 2007. In Irlanda i disoccupati di lunga erano a fine 2013 al 62%, in Grecia al 70,9% e in Slovacchia al 71,9% . Il Paese più virtuoso è invece la Corea del Sud, che segna un impercettibile 0,1%.Quanto alle disuguaglianze, nonostante un reddito medio disponibile pro capite delle famiglie, pari a 24.724 dollari all’anno superiore alla media Ocse di 23.938 dollari, in Italia «c’è un notevole divario tra i più ricchi e i più poveri: il 20% più ricco guadagna quasi sei volte di più del 20% più povero». Mentre il debito delle famiglie è volato al 94,2% del reddito, drastica impennata dal 2000, quando il dato si attestava poco al di sotto del 60%.

Paola Pica© RIPRODUZIONE RISERVATA

Confronti

� Secondo gli

ultimi dati

dell’Istat il

tasso di

disoccupazione

in Italia ha

raggiunto il

13% mentre

quello dei

giovani è alla

quota record

del 43%

� Secondo

l’Ocse a

preoccupare è

la durata dei

periodi senza

lavoro: la

percentuale di

disoccupati da

oltre un anno

salita al 58,6%,

dal 45,7%

Cgil, Cisl, Uil Il lavoro

Primo maggio a PozzalloCgil, Cisl e Uil hanno celebrato il Primo maggio a Pozzallo, in provincia di Ragusa, porto simbolo degli sbarchi dei migranti. Slogan: «La solidarietà fa la differenza».

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VARIE

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PRIMA PAGINA 27 APRILE 2015Il Sole 24 Ore lunedì

LA CONGIUNTURA

Le incertezze italiane e la ripresa «trascinante»«Se Roma deve evitare la bancarotta, il bilancio deve essere in pareggio, le casse del Tesoro devono riempirsi, il

debito pubblico deve essere ridotto, l’arroganza dei politici dev’essere tenuta a freno e gli aiuti alle province

devono ridursi. La gente deve di nuovo lavorare invece di affidarsi ai sussidi pubblici» - così ammoniva Cicerone

nel 55 a.C.

L’austerità, come si vede, ha un illustre lignaggio. E anche se, come diceva Mae West, non si può avere mai

abbastanza di una buona cosa, rimane da vedere se l’invito a essere “austeri” sia, sempre e comunque, giustificato.

Negli ultimi anni l’austerità non è stata certamente una buona cosa: l’acqua disseta, ma troppa acqua annega. Ed è

stupefacente come questi primi abbrivi di ripresa dell’economia italiana che si stanno manifestando siano emersi

malgrado la politica di bilancio continui a essere restrittiva. Nel 2009, l’annus horribilis della crisi, il deficit

pubblico italiano era al 5,3% del Pil; quest’anno siamo al 2,6%, e il miglioramento è ancora più forte per quella

grandezza che è un indice più significativo del grado di restrizione del bilancio, il saldo strutturale (sceso dal 4,2

allo 0,3% del Pil). In effetti, noi abbiamo avuto non una, ma due “Grandi recessioni”: quella del 2008-2009,

comune alla gran parte delle terre emerse, e quella della coda velenosa dei debiti sovrani negli anni a seguire.

Talché l’usuale descrizione della nostra crisi come «la più grave dagli anni Trenta» non vale purtroppo più: la

lunga sofferenza dell’economia italiana – come già osservato su queste colonne (vedi il Sole 24 Ore del 19 aprile) –

è ormai più grave di quella degli anni Trenta.

La nostra economia, prostrata da tanti (troppi) anni di stagnazione, ha dovuto quindi avanzare (si fa per dire)

avendo davanti i venti contrari di un’austerità fine a se stessa. Ma le luci in fondo al tunnel che oggi si

intravvedono andranno a ingrandirsi o si riveleranno l’(ennesimo) miraggio? I precedenti di un’incipiente ripresa

strozzata nella culla da un’intempestiva stretta di bilancio non mancano, dagli Stati Uniti del 1937 al Giappone del

1997 (anche se, in quest’ultimo caso, l’impatto si sommò agli effetti della crisi asiatica).

Continua pagina 13

Fabrizio Galimberti

Continua da pagina 1

Tuttavia, ci sono elementi che fanno ben sperare. Il merito non è nostro, anche se Matteo Renzi potrebbe dire che

«la fortuna aiuta gli audaci». Da oltre confine ci sono venute tre poderose spinte: il petrolio, l’euro e la liquidità

della Banca centrale europea. Il dimezzamento del prezzo dell’oro nero ci aiuta (aiuta noi anche più degli altri, dato

il nostro alto costo dell’energia – in questo caso una felix culpa, come spiegato nel Sole 24 Ore del Lunedì del 16

marzo). La forte discesa dell’euro non ci dà un vantaggio competitivo rispetto agli altri Paesi dell’Eurozona, ma ce

ne dà uno sostanzioso rispetto alle altre monete, a cominciare dal dollaro (il cambio effettivo reale, la misura

principe di competitività/prezzo, si è deprezzato di circa il 13% da un anno a questa parte). E, nel caso della politica

monetaria della Bce, questa schiaccia verso il basso i tassi d’interesse su tutte le scadenze, con beneficio degli

investimenti, delle vendite a rate e delle spese per interessi del bilancio pubblico.

Ci sono spine su queste rose? Dato che, come diceva Marco Aurelio, «tutto è parte della grande ragnatela», ci sono

sempre due facce della medaglia, ma nel nostro caso le “controindicazioni” di queste spinte benefiche non sono

rilevanti. I Paesi produttori di petrolio hanno meno soldi da spendere per il nostro export, ma hanno molte riserve

cui attingere per continuare a comprare. La svalutazione dell’euro? La svalutazione, dicono i libri di testo, porta

inflazione, ma, anche se questo fosse vero in ogni caso (non lo è), nelle temperie di deflazione che stiamo

attraversando non sarebbe un problema (semmai, un beneficio). E, nel caso del Qe (l’espansione quantitativa della

moneta), la discesa dei tassi è un bene per i prenditori di fondi, ma un male per i prestatori, a cominciare dalle

famiglie che risparmiano. Tuttavia, queste si possono consolare con altre destinazioni del risparmio, a cominciare

dalla Borsa e dalle obbligazioni societarie: maxi o mini-bond societari, della cui promozione c’è un gran bisogno,

dato che, in Europa e specialmente in Italia, è cruciale svezzare le imprese dalla loro dipendenza dai prestiti

bancari.

Insomma, la sorte ci ha dato un mazzo di rose con poche spine. I formidabili problemi strutturali della nostra

economia permangono immutati, anche se quei pochi che sono suscettibili di sollievo nel breve termine cominciano

a essere scalfiti dalle riforme avviate. La conclusione? Volenti o nolenti, andiamo a navigare in acque meno agitate.

Auguri.

[email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fabrizio

Galimberti

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PRIMO PIANO 27 APRILE 2015Il Sole 24 Ore lunedì

La Naspi premia la «fedeltà» contributiva

Durata dell’assegno calcolata sul numero di versamenti nei quattro anni

precedenti la disoccupazione

Naspi al debutto per i disoccupati. Da venerdì, 1° maggio, entrerà ufficialmente in scena la nuova assicurazione sociale per l’impiego, che manderà definitivamente in soffitta Aspi e mini-Aspi, le due indennità previste dalla riforma Fornero del 2012. E se i costi a carico delle imprese restano invariati - contributo ordinario dell’1,31% + 0,3%, quota addizionale dell’1,4% per i contratti a termine più ticket licenziamenti - per i lavoratori si possono individuare alcuni punti di forza e altri di possibile svantaggio del nuovo sussidio. Senza contare che con la Naspi arriva l’ennesimo tentativo di stringere il link con le politiche attive: i beneficiari, per non perdere l’indennità, dovranno ricercare attivamente un nuovo impiego (i dettagli saranno fissati da un futuro decreto) e partecipare a corsi di riqualificazione. Tra i “vantaggi” del nuovo corso c’è l’alleggerimento dei requisiti d’ingresso - secondo le stime del governo la Naspi allargherà la copertura dal 96% al 97,2% degli assicurati -: per ottenere l’Aspi servono un anno di contributi nel biennio precedente (con minimo due anni dal primo pagamento), mentre per la Naspi basteranno 13 settimane di “bollini” (le stesse richieste per la mini-Aspi) pagati nei 4 anni precedenti la disoccupazione e 30 giornate di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi. In più, la durata massima del sussidio salirà fino a due anni (un anno e mezzo dal 2017) e non sarà più ancorata all’età del lavoratore, ma sarà pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. E aumenterà anche il tetto dell’importo: 1.300 euro (leggermente più alto di quello dell’Aspi, 1.167,91 euro).Sull’altro piatto della bilancia, però, ci sarà un décalage dell’assegno già a partire dal quarto mese, del 3% mensile, a differenza dell’Aspi (riduzione del 15% dopo 6 mesi e di un altro 15% dopo un anno). E ci sono situazioni in cui la nuova indennità potrebbe essere penalizzante. È il caso dei lavoratori che hanno una carriera contributiva frammentata: come si vede nell’esempio a fianco, relativo a un lavoratore over 55, se i contributi versati nei 4 anni precedenti sono “pieni” la Naspi è più vantaggiosa perché si ha diritto all’assegno fino a un massimo di 24 mesi, mentre in caso di buchi contributivi c’è una perdita rispetto alla “vecchia” Aspi. Se ipotizziamo la metà dei contributi, si dimezza anche la durata del sussidio (12 mesi).Un rischio, lamentano i sindacati, più forte per gli stagionali, anche in virtù della regola che toglie dal calcolo della durata della Naspi i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad assegni di disoccupazione. «Il rischio emerge per chi lavora tra i 6 e gli 8 mesi l’anno», spiega Livia Ricciardi della Cisl. «Questi lavoratori matureranno il diritto rispettivamente a tre e a quattro mesi di Naspi (la metà) restando senza “paracadute” per i restanti mesi necessari a completare l’anno».«Le regole attuative della nuova disciplina della Naspi - precisano dal ministero del Lavoro - saranno chiarite da una circolare Inps che è quasi pronta. Per la fase di prima applicazione, la circolare, con generale riferimento a tutti i lavoratori interessati, dovrà necessariamente tenere conto dei riflessi della transizione dalla vecchia alla nuova disciplina, anche per identificare i periodi di contribuzione utili per il calcolo della nuova indennità. Per gli stagionali, dalle simulazioni effettuate risulta che ciò potrà loro consentire di conservare sostanzialmente, per il 2015, le durate attuali di tutela». E, assicurano i tecnici, «non verranno neutralizzati i periodi di contribuzione che, pur avendo dato luogo a prestazioni all’interno del quadriennio di riferimento della Naspi, dovessero cadere prima dell’inizio dei quattro anni».Dal dicastero di via Veneto arrivano rassicurazioni anche sulla Dis-coll, l’assegno di pari durata e pari importo della Naspi destinato ai collaboratori (anche a progetto) che perdono il lavoro dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015, che attende ancora istruzioni e modulo dall’Inps. «Il termine per la richiesta della prestazione - spiegano dal Welfare - in relazione a contratti già cessati (pari a 68 giorni, ndr) decorrerà dalla data di emanazione di un’apposita circolare Inps».Resisterà ancora per un po’, invece, l’indennità di mobilità prevista oggi per le aziende più grandi, che da quest’anno ha subito una stretta sulle durate: massimo 12, 24 o 36 mesi, a seconda dell’età. Dopo un ulteriore giro di vite nel 2016, la mobilità verrà archiviata e sarà sostituita dalla Naspi, che coprirà così tutti i dipendenti, con l’eccezione di quelli pubblici a tempo indeterminato e degli operai agricoli.© RIPRODUZIONE RISERVATAFrancesca Barbieri

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore del Lunedì

27/04/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 27 APRILE 2015

Diario sindacalea cura di Enrico Marro

[email protected]

L’intransigenza Fiomal test della Franco Tosi Oggi il referendum sull’accordo

Da una parte Fim-Cisle Uilm-Uil dall’altrala Fiom-Cgil. Questa

volta alla Franco Tosi, stori-ca azienda metalmeccanicalombarda. Dove oggi si svol-geranno le assemblee e poi ilreferendum sull’accordoraggiunto giovedì notte daFim e Uilm (mentre la Fiomsi è sfilata) per evitare il fal-limento che altrimenti, dal 1°maggio, coinvolgerebbe tut-ti i 346 dipendenti dello sta-bilimento di Legnano. Saràun test importante per laFiom che mira, attraverso ilconsenso dei lavoratori, a farfallire l’intesa per riaprire latrattativa su basi diverse.

Un’eventuale sconfittadella Fiom, finora la siglacon più iscritti alla Tosi, as-sumerebbe un rilievo cheandrebbe al di là della vicen-da locale. Sale infatti l’insof-ferenza del segretario dellaCgil, Susanna Camusso,per la linea intransigenteportata avanti dalla Fiom diMaurizio Landini, che avràcertamente un ritorno me-diatico e magari risponde alprogetto politico della «coa-lizione sociale», ma dal pun-to di vista sindacale si tradu-ce in un progressivo isola-mento, con conseguenteperdita degli iscritti. Risul-tati sui quali la confedera-zione, finora senza successo,sta cercando di aprire unadiscussione e possibilmentequalche crepa nella stessaampia maggioranza che so-

stiene Landini. L’intesa si-glata da Fim e Uilm prevedeche la Franco Tosi, attual-mente in amministrazionestraordinaria, sia acquisita dal gruppo brianzolo BrunoPresezzi, il quale assume-rebbe subito 170 addetti, conil contratto a tutele crescen-ti, ma garantendo loro an-zianità di servizio, retribu-zione raggiunta e, con una

speciale clausola (che tral’altro avrebbe fatto infuria-re Federmeccanica), l’appli-cazione del vecchio articolo18 (diritto al reintegro) nelcaso di licenziamenti disci-plinari senza giusta causa.Altri 40 verrebbero assuntidopo due anni di cassa inte-grazione e mobilità mentreil resto sarebbe accompa-gnato alla pensione passan-do per la mobilità.

Ermanno Cova, segreta-

rio generale della Fim Lom-bardia, difende l’intesa «chedà una prospettiva all’azien-da e ai lavoratori evitando ilfallimento». Rivendica «ilmantenimento dell’articolo18 sui licenziamenti discipli-nari» e non si capacita dellalinea della Fiom: «Porta tut-ti i lavoratori alla messa in mobilità». Invece, MircoRota , leader della Fiomlombarda, sostiene che «ilsindacato non può avallareaccordi che scambiano i di-ritti dei lavoratori». Tanto èvero, aggiunge, che coloroche verranno assunti saran-no comunque «soggetti allenuove procedure sui licen-ziamenti collettivi previste dal jobs act» mentre gli altri«dovranno firmare delle let-tere individuali dove rinun-ciano a fare causa per riven-dicare i propri diritti relativial trasferimento di ramo diazienda, per il quale la leggegarantisce la continuità delrapporto di lavoro». Presez-zi ha già chiarito che se que-ste lettere non verranno fir-mate entro mercoledì da al-meno il 90% degli interessa-t i l ’accordo decadrà. Èl’obiettivo inseguito dallaFiom, «per poi riaprire latrattativa». Ma è uno scena-rio plausibile per un’aziendasull’orlo del fallimento?

Ancora una volta, come èsuccesso tante volte dalla vi-cenda della Fiat di Pomiglia-no in poi, si contrappongonopragmatismo e realismo dauna parte (o arrendevolezzae opportunismo, secondo laFiom) e massimalismo eideologia dall’altra (o difesadi diritti inviolabili, secondola Fiom). E ancora una voltaspetterà ai lavoratori indica-re la strada.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Analisi Le manovre espansive possono finire affogate nel debito ellenico

Grecia Quel cavallo di Troiaper il Quantitative easingSe Atene non ridà i soldi all’Fmi è a rischio il fondo salva StatiCon pericolosi effetti sulle banche centrali e sui bund...DI MARCELLO MINENNA

UN RIMBORSO IMPEGNATIVOI prossimi pagamenti dovuti dal governo grecoai vari debitori. Dati in miliardi di euro

RIMBORSO TITOLIA BREVE TERMINE

FMI BCE

Maggio

2,8

0,98

Luglio

20,465

3,5

Agosto

10,18

3,2

Giugno

5,2

1,59

s.F.

2015

Crisi e personaggi Alexis Tsipras, leader del governo greco: deve traghettare il Paese fuori dall’impasse; Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, che ha messo mano al quantitative easing; Angela Merkel, la cancelliera tedesca

Inegoziati con la Grecia sonoin stallo e il governo sta dila-pidando le ultime riserve diliquidità per i pagamenti in

scadenza al Fondo monetario in-ternazionale (Fmi). Il rischio dinon pagare stipendi e pensioni èstato superato, per ora, depre-dando la cassa delle utility pub-bliche: prima scambiandola contitoli di Stato (Repo) e poi requi-sendola per legge, in modo daevitare di doverla restituire allascadenza dei Repo. Questo esca-motage ha tenuto a galla il Paese,ma il tempo è quasi esaurito.

Il limite alle banche grecheimposto dalla Banca centrale eu-ropea sull’acquisto di altri titoli diStato, la fuga di depositi (altri 3miliardi a marzo) e un impegna-tivo pagamento all’Fmi di 700milioni a inizio maggio potrebbe-ro costringere, infatti, il governoa pagare le prossime pensioni egli stipendi tramite «cambiali»(cosiddette Owe yoU). Questecambiali finirebbero per circola-re come una seconda moneta pa-rallela all’euro e, a detta dellaBce, ufficializzerebbero la Grexit,l’uscita della Grecia dall’euro.

Il fattore tempoL’unica alternativa potrebbe es-

sere il rifiuto di pagare la rata delprestito dell’Fmi, che però com-porterebbe la dichiarazione di de-fault anche sul debito detenuto dalfondo salva Stati (Efsf): in totale160 miliardi di euro. Il capitale delFondo, diversamente dall’altroFondo europeo, l’Esm, non è fattodi cassa ma di garanzie dei Paesi membri. Le banche centrali stannofornendo ulteriori garanzie attra-verso la complessa (quanto inu-

suale) architettura del quantitati-ve easing acquistando titoli Efsfper circa 5 miliardi al mese. In-somma in dieci mesi di Qe il de-fault della Grecia sarebbe contabi-lizzato pro quota dalle banche cen-trali nazionali (nell’eurosistema),ma garantito dai Paesi membri conpotenziali impatti sul contribuenteeuropeo, a meno di interventi spe-cifici. Interventi che potrebberoessere anche molto ravvicinati neltempo, dato che non si intravvedo-no dieci mesi all’orizzonte.

Limitate ripercussioni sono daattendersi dai 30 miliardi di debitogreco della Bce — che potrebbe ri-capitalizzarsi senza problemi, onon ricapitalizzarsi affatto — e dald e b i to « o cc u l to » d el s a l d o

Target2, cioè i 100 miliardi di debi-to della banca centrale greca versol’eurosistema.

Questa cifra deriva dal regola-mento delle transazioni tra i sog-getti privati appartenenti al circui-to dei pagamenti dell’eurozona;non è dunque un debito esigibile enon ha neanche una data di sca-denza. Pertanto, anche nel casoestremo in cui la Grecia abbando-nasse l’euro e il saldo contabile sitrasformasse in un debito «reale»,sarebbe assimilabile a una perpe-tuity, cioè un’obbligazione in cui èdovuto solo il pagamento degli in-teressi e non la restituzione del ca-pitale. Si tratterebbe dunque diuna cifra modesta (circa 60 milio-ni l’anno) che, nelle circostanze ri-chiamate, sarebbe l’ultimo dei pro-blemi per il governo greco.

DerivaQuali che siano le decisioni, il

consensus è che il Qe ci protegge-

rà da effetti di «contagio». Gli ac-quisti di titoli sarebbero infatti in grado di frenare le pressioni spe-culative sullo spread e di impediremassicce scommesse contro la te-nuta dell’euro. Tuttavia una derivadella Grecia verso il default o unamoneta parallela farebbe riemer-gere in ogni caso il cosiddetto«convertibility risk» – cioè il ri-schio di una potenziale ridenomi-nazione dei titoli di Stato in unanuova valuta a seguito dell’uscitadi un Paese dall’euro — con suc-cessiva svalutazione (o rivalutazio-ne). Questo rischio, nonostante ladomanda «artificiale» di titoli delQe, non sparirà; se non potrà ma-nifestarsi in un più alto spread suititoli dei Paesi periferici soggetti auna potenziale svalutazione, si sca-richerà sui titoli dei Paesi core.

Tutti gli operatori vorrannocioè acquistare Bund perché que-sto li proteggerebbe dal rischio diridenominazione (infatti, al peg-gio, la Germania tornerebbe alnuovo marco rivalutato e i titoli au-menterebbero di valore).

Attualmente i rendimenti deiBund sono negativi fino alla sca-denza di nove anni, e fino al 4° an-no sono sotto la soglia di acquista-bilità da parte della Bce (-0,2%): questo già pone dei seri dubbi sul-la praticabilità del Qe della Bunde-sbank (oltre 200 miliardi), comeevidenziato da Moody’s in un re-cente studio. Se si dovesse verifica-re una corsa indiscriminata alBund per proteggersi dal rischio dirottura dell’euro, la Bundesbanknon avrebbe abbastanza titoli da comprare e il Qe potrebbe andarein panne proprio nel momento incui serve di più come ombrello dalcontagio di Grexit.

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La crisi dell’euroUn nuovo fronte

Primo Piano

Fiom LombardiaMirco Rota

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Page 94: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

26 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 27 APRILE 2015

Analisi Le casse di categoria hanno sfruttato il buon andamento dei mercati. L’inflazione piatta congela la liquidazione

Previdenza L’accelerata dei fondi pensioneIn tre mesi rendimenti del 4,5%, mentre il Tfr tenuto in azienda si è rivalutato solo dello 0,3%Massicci (Covip): il sistema dà buoni risultati, ma per convincere i non iscritti serve più efficienzaDI ROBERTO E. BAGNOLI

La pensione di scorta corregrazie alle azioni, e stravin-ce sul Tfr. Malgrado i risul-tati molto positivi, però, le

adesioni non crescono. Nei primitre mesi del 2015 si è attestato al4,5% il rendimento medio offertodai fondi pensione negoziali, azien-dali o di categoria. Il Tfr nello stes-so periodo ha reso lo 0,3%, al nettodell’aliquota del 17%. Nei primi tremesi del 2015 il risultato migliore èil 10,9% della linea azionaria diFondaereo (piloti e assistenti di vo-lo). I fondi pensione vincono anchenel medio termine: fra il primogennaio 2000 e il 31 marzo scorsotutti i tre maggiori esistenti all’ini-zio del periodo considerato hannobattuto nettamente il 48,5% dellaliquidazione. Il migliore è statoFondenergia (energia e petrolio)con l’82,4%, seguito da Fonchim(chimica e farmaceutica) con il70,6% e da Cometa (industria me-talmeccanica e orafa): 69,9%.

Informazione«Il sistema ha mostrato in que-

sti anni una buona capacità di te-nuta — sottolinea Francesco Mas-sicci, nuovo presidente della Covip(Commissione di vigilanza sui fon-di pensione) —. I fondi hanno as-sorbito le conseguenze delle turbo-lenze finanziarie della prima deca-de degli anni Duemila, realizzandorisultati positivi anche in rapportoalla rivalutazione del Tfr lasciato in

azienda. Il dato relativo alle adesio-ni rimane non pienamente soddi-sfacente e la crescita tra le diverseforme è diseguale. In particolarepremia quelle come i Pip, Pianiprevidenziali individuali di tipo as-sicurativo, che sono maggiormentetrainate da reti di vendita a diffu-sione capillare sul territorio, e re-munerate in base al volume di pro-dotti collocati sul mercato».

A partire da maggio l’Inps con-sentirà a chi possiede il Pin di effet-tuare, sul sito www.inps.it, una si-mulazione della prevista data dipensionamento e dell’importo delvitalizio. «Non si possono che con-dividere iniziative del genere, che consentono di acquisire stime circala pensione attesa dal sistema ob-bligatorio — commenta il presi-dente della Covip —. Questo, tral’altro, assume particolare impor-tanza per consentire di decidereper tempo sulle ulteriori risorseche si ritiene opportuno accumula-re con il sistema complementare. Su questa strada, d’altronde, il set-

tore si è mosso da diversi anni: laCovip ha reso obbligatoria la “bu-sta arancione” da parte dei fondipensione già dal gennaio 2008».

Prima dell’adesione, infatti, tuttigli strumenti previdenziali devonoconsegnare una proiezione stan-dardizzata relativa ad alcune figu-re-tipo. Una volta l’anno insieme

alla comunicazione relativa alla po-sizione contributiva dev’essereconsegnata una proiezione perso-nalizzata, calcolata a partire dallaposizione individuale maturata fi-no a quel momento. «Nel corso delprogramma, inoltre, i fondi devonoconsentire a tutti gli interessati dieffettuare simulazioni personaliz-

zate mediante appositi motori dicalcolo sui propri siti», aggiungeMassicci.

PericoliLa legge di Stabilità ha introdot-

to, però, due misure che rischianodi lanciare altrettanti siluri controlo sviluppo della previdenza com-

plementare: l’aumento della tassa-zione sui rendimenti dei fondi pen-sione (dall’11,5% al 20%, con un’ali-quota ridotta al 12,5% per gli attiviinvestititi in titoli di Stato). Il se-condo è la possibilità, prevista an-che per gli aderenti ai fondi, di ri-chiedere in busta paga il Tfr fino al30 giugno 2018. «L’incrementodella tassazione non va evidente-mente nel senso di favorire l’avvici-namento alla previdenza comple-mentare — sottolinea il presidentedella Covip — ma dev’essere ri-collegato a una più complessiva va-lutazione delle esigenze, compiutadal governo. La misura del Tfr ètemporanea. Il “progetto previden-za complementare” deve, però, as-sumere un ruolo importante nel-l’agenda governativa. Ma gli stessifondi devono stimolare l’interessedei potenziali aderenti con maggio-re efficienza e capacità gestionali».

www.iomiassicuro.it© RIPRODUZIONE RISERVATA

La pagella del primo trimestre

La rivalutazione del Tfr è al netto dell’imposta del 17%. Fonte: CorrierEconomia.

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata azionaria

Alifond Industria alimentare

0,4% 5,3% 8,1%

1,6%9,4%

11,1%

GarantitaBilanciata

AgrifondoAgricoltura florovivaistica

--

1,3%6%

GarantitaBilanciata

ConcretoIndustria cemento

1,3% 4,5%

1,1%6,2%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

ArcoLegno e laterizi

1,4% 5,8% 7,5%

1,5%7,9%6,4%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

ByblosIndustria carta eaziende grafico editoriali

2,8% 5,6% 8,6%

11,9%9,2%8,6%

Cometa GarantitaMonetariaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Industria metalmeccanicae orafa

2,8% 0,4% 3,6% 4,5%

10,9%1%

8,3%6,9%

GarantitaBilanciata obbligaz.BilanciataGomma materie plastiche

Fondo GommaPlastica

1,2% 5,3% 8,7%

1,4%7,6%

10,6%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata azionaria

Energia e petrolio

Fondenergia 1,2% 7,4% 9,1%

1,5%8,3%7,6%

Garantita

Bilanciata obbligaz.EsperoDipendenti scuola

1,4% 4,6%

0,8%7,6%

GarantitaBilanciata obbligaz.

AstriAutostrade einfrastrutture

1,4% 5,1%

1,6%9,4%

3 mesi2015

Nome del fondoe destinatari Linee 2014

Rendimento %

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata azionaria

Industria piastrelle

Foncer 0,4% 6,7% 8,9%

1,1%10,3%10,7%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata azionaria

Chimica e farmaceutica

Fonchim 1,3% 5,3% 7,3%

1,2%6,7%8,4%

Obbligaz. garantita Bilanciata obbligaz.Bilanciata Azionaria

Fopen Dipendenti gruppo Enel

1,4%4,9%7,3%9,1%

1,8%7,5%9,8%

11,5%

MEDIA FONDI CHIUSITFR NETTO

4,5% 0,3%

7% 1,3%

GarantitaObbligazionariaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Industria tessile, abbigliamento, calzature, occhiali

Previmoda 1,7%3,9%6,1%10%

3,5%4,7%7,3%9,6%

GarantitaProfilo prudenteProfilo stabilitàProfilo dinamico

Gruppo MediasetMediafond

1,8%5,1%7,1%9,2%

2,1%9,4%9,6%9,7%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Gas, acqua, elettricità

Pegaso 1,1%4%

5,5%

1,4%8,2%

10,8%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Distribuzione cooperativa

Previcooper 1,5%6,4%8,8%

3,6%11,2%9,3%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata azionariaQuadri e capi gruppo Fiat

Quadri e capi Fiat

1,2%5%

8,5%

1,7%8,4%

10,6%

GarantitaObbligazionariaBilanciata obbligaz.Bilanciata

TelecomunicazioniTelemaco 2,1%

2,5% 2,7% 2,9%

2,6% 4,6% 4,5% 4,7%

Dipendenti pubblici e privatiValle d’Aosta

Fopadiva GarantitaObbligazionariaBilanciata

1,5%4,6%7,3%

6%6%

7,4%

LaborfondsDipendenti pubblicie privati Trentino A.A.

GarantitaBilanciata obblig. eticaBilanciata Bilanciata azionaria

1,1%5,9%6,6%7,4%

1,2%11,8%10,1%

9,9%

GarantitaObbligazionariaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Aziende industriali artigiane, lavoratori atipici, coltivatori diretti Veneto

Solidarietà Veneto

2,2%3,1%

5%6,3%

7,9%6,7%7,1%6,9%

GarantitaObbligazionariaBilanciata obbligaz.

Trasporti pubbliciPriamo 1,2%

4,4%6,6%

2,4%9,6%9,9%

GarantitaObbligazionariaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Operatori aeroportuali

Prevaer1,4%3,3%5,3%7,2%

1,2%8,4%9,3%

10,2%

GarantitaBilanciataIgiene ambientale

Previambiente 1,5%4,4%

1,7%8,9%

GarantitaBilanciataEdilizia

Prevedi 1,3%5,2%

1,4%11,6%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

EuroferFerrovie dello Stato

1,8% 4,9% 8,5%

1,4%8,4%10%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Cooperlavoro Cooperative produzione e lavoro

1,3% 5,3% 8,3%

2,4%9,6%9,7%

GarantitaObbligazionariaBilanciataAzionaria

Medici, infermieri, farmacisti

Fondosanità0,6%0,7%

4%8,5%

1,4%2%

4,4%13%

GarantitaBilanciataDip.Poste Italiane

Fondoposte 1,5%6,6%

3,4%10,9%

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata (60% obb.40%az.)

Bilanciata (40% obb.60%az.)

Dipendenti commercioturismo e servizi

Fonte 1,3%3,9%6,1%8,5%

3,9%6,6%9,4%

11,3%

GarantitaObbligazionariaBilanciataAzionaria

FondaereoPiloti e assistentidi volo

0,6% 4,3% 5,7%

10,9%

1,7%10,7%11,3%13,8%

3 mesi2015

Nome del fondoe destinatari 2014

Rendimento %

Linee

GarantitaBilanciata

Filcoop 0,6% 4,9%

1,7%5,7%

Aziende Confapi

GarantitaBilanciata obbligaz.Bilanciata

Fondapi1,5% 5,2% 7,6%

4,3%10,9%12,4%

Cooperative agricolee alimentari

I risultati dei tre fondi chiusi già operativi all'inizio del 2000. È stato considerato il rendimento della linea bilanciata, l'unica esistente all'inizio del periodo. Dal primo gennaio 2015 l'aliquota sulla rivalutazione del Tfr è passata dall'11% al 17%.

I risultati dei big dal 1° gennaio 2000 al 31 marzo 2015

I pionieri sono in vantaggio

Rivalutazione Tfr (al netto della tassazione

dell'11% introdotta l’1/1/2001. 17% dall'1/1/2015)

48,5%

(industria metalmeccanica)

69,9%

(energia e petrolio)

82,4%

(industria chimica e farmaceutica)

70,6%

Assicurazioni

Polizze 2.0con WhatsAppe scatola nera

Nel settore assicurativo simoltiplicano le iniziativebasate sulle nuove tecno-

logie. Uno degli esempi più visto-si è rappresentato dalla scatolanera che rileva il comportamentoalla guida. Nonostante il calo del-le immatricolazioni, si stima chedal 2012 al 2016 le installazioni dinuovi dispositivi aumenterannodi oltre il 90%. Fra i più presentinel settore c’è il gruppo Generali,con circa 700 mila scatole nere incircolazione. Grazie a sistemi ap-plicativi basati su algoritmi pro-prietari, la compagnia è in gradodi calcolare lo stile di guida degliassicurati in funzione di parame-tri di sicurezza come rispetto deilimiti di velocità, esposizione alrischio, intensità delle accelera-zioni e decelerazioni durante laguida. Questa formula permetteuno sconto nella fase iniziale e una personalizzazione al succes-sivo rinnovo.

La polizza Generali Sei in AutoPay per Use permette di pagare inbase all’effettivo utilizzo della vet-

tura; il premio è calcolato infattiin relazione al chilometraggio. Lapolizza garantisce da subito un ri-sparmio su rc auto e Kasko e del50% su incendio e furto. Impiantosatellitare, installazione e canonedi abbonamento sono gratuiti.

Genialloyd, società apparte-nente al gruppo Allianz, è la pri-ma compagnia di assicurazioni inItalia a portare il suo servizioclienti anche su WhatsApp. Neigiorni scorsi è cominciata la fasedi test per i primi mille clienti chesi registreranno sul sito www.ge-nialloyd.it; potranno comunicareanche su WhatsApp per ogni esi-genza e inviare eventuali docu-menti semplicemente scattandouna foto con il cellulare. Solo i re-clami formali continueranno a es-sere inviati via email, fax o lettera.

«Genialloyd punta da sempresulla innovazione e sulla qualitàdel servizio per i suoi 1,4 milionidi clienti — sottolinea LeonardoFelician, amministratore delegatodella compagnia-. Ai canali tradi-zionali di comunicazione abbia-mo aggiunto da anni i social me-dia, come Facebook e Twitter. Daoggi sperimentiamo WhatsApp.con l’obiettivo di essere ancora più immediati e tempestivi».

Nel 2014 Genialloyd ha raccol-to premi per un totale di 566 mi-lioni di euro con oltre 1,4 milionidi clienti. Specializzata nel settoreauto e moto, vende attraverso ilcanale Internet e call center anchepolizze per ciclomotori, camper,veicoli commerciali, polizze casa efamiglia, terremoto e infortuni.

R. E. B.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Generali Philippe Donnet

Pensare al futuroLa rendita di scorta

Investimenti

Covip Francesco Massicci

Genialloyd Leonardo Felician

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IMPRESA & TERRITORI 28 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

Rappresentanza. Le aziende confidustriali dovranno inviare all’istituto i dati che poi saranno

sommati ai risultati delle rsu

Deleghe sindacali, ecco le regole

Operativa la circolare dell’Inps che spiega gli adempimenti a carico delle imprese

ROMA

Per le nuove regole sulla rappresentanza si passa alla fase operativa. Scatta il primo adempimento per le imprese

aderenti a Confindustria, ovvero l’invio all’Inps dei dati relativi alle deleghe sindacali, che saranno poi sommati ai

voti ottenuti da ciascun sindacato nelle elezioni delle Rsu per conoscere il livello di rappresentatività di ogni

sindacato e verificare se raggiunge quel 5% di soglia minima, necessaria per poter partecipare alla contrattazione

nazionale di categoria.

L’Inps, con la circolare n.76 del 14 aprile (pubblicata sul suo sito), ha fornito le istruzioni operative alle imprese

per la raccolta del dato degli iscritti tramite il modello Uniemens. Si tratta di un passaggio attuativo della

Convenzione firmata lo scorso 16 marzo con Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, che hanno affidato all’istituto

presieduto da Tito Boeri la raccolta, l’elaborazione e comunicazione del numero delle deleghe sindacali per ciascun

ambito di applicazione dei contratti nazionali (del perimetro di Confindustria). Per poter misurare il dato

associativo dei sindacati, il primo adempimento consiste nella preregistrazione da parte delle imprese appartenenti

al sistema di Confindustria, che sono tenute all’invio dei dati relativi alle deleghe sindacali. Le imprese devono

accedere all’applicazione disponibile sul “cassetto previdenziale azienda/gestione istanze online”, ed alla nuova

funzionalità denominata “rappresentanza sindacale”. Conclusa la preregistrazione e ricevuto un codice

autorizzativo, le imprese invieranno i dati delle deleghe sindacali relative a ciascun ambito di applicazione del

contratto nazionale, a favore delle organizzazioni sindacali di categoria. Il numero delle deleghe verrà acquisito

dall’Inps, che provvederà ad aggregare per ciascun contratto nazionale (ne ha catalogati 66), il dato relativi al

numero di deleghe conferite a ciascun sindacato di categoria (sono 124 le sigle sindacali firmatarie del Testo unico

sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014).

Tuttavia resta aperto il “nodo” del coinvolgimento del Cnel: ha il compito di raccogliere i dati relativi alle elezioni

delle Rsu, e di ponderarli con quelli degli iscritti a ciascuna sigla (inviati dall’Inps). Ma complice la riforma

costituzionale che prevede la sua abolizione, il Cnel da tempo non manda più segnali in proposito, e con il passare

del tempo prende consistenza l’ipotesi di affidare anche questa parte attuativa all’Inps. «L’auspicio - commenta il

direttore area lavoro e welfare di Confindustria, Pierangelo Albini - è quello di avere presto una prima ondata di

dati, in tempo utile per la stagione di rinnovi contrattuali che abbiamo di fronte a noi». Per le sindacati e imprese è

partito il conto alla rovescia per attuare le regole che si sono dati, anche perchè nel frattempo a Palazzo Chigi si sta

ragionando su una legge sulla rappresentanza.

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Giorgio Pogliotti

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

28/04/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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MF

Numero 083, pag. 2 del 29/04/2015

PRIMO PIANO

Complici i tassi rasoterra dei titoli di Stato, a marzo i flussi netti salgono a 23 miliardi. Crescono (finalmente) i comparti azionari

Fondi, è sempre più boom: in tre mesi raccolti 52 mld

di Paola Valentini

Senza più la concorrenza dei titoli di Stato, che hanno rendimenti rasoterra, i fondi inanellano record di

raccolta mese dopo mese. A marzo l'industria italiana del risparmio gestito, in base ai dati Assogestioni, ha

registrato flussi netti per 23 miliardi, che portano a 52 miliardi il totale da inizio anno. Si tratta del nono

trimestre consecutivo in cui il settore

mette a segno un risultato positivo.

Ed è stato un crescendo; visto che lo

scorso anno si era chiuso con una

raccolta netta di 133 miliardi, nei soli

primi tre mesi del 2015 il risparmio

gestito ha raccolto più di un terzo

dell'intero 2014. Merito di questo

boom sono ancora i fondi aperti, che

a marzo hanno raccolto 15,5 miliardi, il che porta i flussi dei primi tre mesi a oltre 36 miliardi, il miglior

trimestre degli ultimi 16 anni. Dal canto loro le gestioni di portafoglio a marzo hanno raccolto poco più di 7

miliardi portando il totale del trimestre a 15,5. Per effetto della raccolta e della performance di mercato il

patrimonio del risparmio gestito italiano a fine marzo vola a 1.718 miliardi dai 1.675 di febbraio.

Sul fronte delle categorie dei fondi aperti, a marzo si conferma la supremazia dei fondi flessibili (6,9 miliardi,

da inizio anno 15,7), seguono gli obbligazionari con 4,5 miliardi (10,5 nel trimestre), gli azionari che con 2,3

miliardi (5 da gennaio) superano i flussi dei bilanciati, i quali chiudono marzo con 2,1 miliardi (5,8 da

gennaio). Timidamente, quindi, l'equity sta entrando nei portafogli degli investitori. D'altronde le performance

ottenute dalle borse nel corso del primo trimestre invogliano gli investitori a tornare sui listini. Prosegue

invece il momento negativo per i fondi monetari, che, complici i tassi ai minimi, continuano a subire riscatti

(158 milioni a marzo).

Sul fronte delle singole società di gestione, il miglior risultato di raccolta netta a marzo l'ha conquistato il

gruppo Intesa Sanpaolo con 8,9 miliardi, di cui 7,2 riferiti a Eurizon Capital. Il polo di gestione di Intesa ha

quindi contribuito per oltre un terzo ai flussi totali. Segue Pioneer (la società di Unicredit che sarà integrata

con Santander Asset Management) con una raccolta di 2,8 miliardi e il gruppo Generali con 1,8. Tra gli esteri

prosegue la crescita di Invesco, che ha chiuso il mese con una raccolta netta di 1 miliardo e un patrimonio

salito a 19,9 miliardi. Bene anche Deutsche Asset and Wealt Management, con flussi per 848 milioni e asset

Pagina 1 di 2Fondi, è sempre più boom: in tre mesi raccolti 52 mld - MilanoFinanza.it

29/04/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1982385&access=AB

Page 97: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

per 20,5, e Morgan Stanley con 730 milioni di raccolta e 14,2 miliardi di patrimonio in fondi. Tra gli altri big

esteri Franklin Templeton ha registrato una raccolta negativa per oltre 750 milioni e ha chiuso il mese con

asset per 26,9 miliardi, restando il maggior gestore estero nell'asset management italiano per patrimonio

gestito, peraltro tutto in fondi aperti. Tra le società quotate, a marzo Azimut ha raccolto 549 milioni, Anima

812 milioni e Mediolanum 340. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 22 del 29/04/2015

MF NON PERFORMING LOAN

L'incontro tra domanda e offerta è reso complicato anche dalla matematica

Npl, perché non tornano i contiLa maggiore difficoltà che banche e investitori internazionali hanno nel mettersi d'accordo sul prezzo di cessione è il basso tasso di sconto che gli istituti applicano per attualizzare il valore dei loro portafogli

di Stefania Peveraro

Nel giro di un anno la mole di sofferenze in portafoglio ai 12 principali gruppi bancari italiani sono aumentate

dell'8,5% in termini lordi, a quasi 162 miliardi di euro e dell'8% a 63,8 miliardi in termini netti, per un rapporto

sui crediti netti alla clientela che è salito al 4,7% dal 4,3% dell'anno prima. I dati risultano da un'analisi

condotta da MF NPL sui bilanci

consolidati dei gruppi bancari, che

rivela anche che in media a bilancio,

fatto 100 il valore nominale delle

sofferenze, le banche italiane le

valutano al 39,4%, leggermente meno

del 39,6% di fine 2013, per un

rapporto di copertura, quindi, in

leggero rialzo al 60,6% dal 60,4%

dell'anno prima.

Detto questo, il vero nodo da

sciogliere affinché le banche possano

poi cedere i portafogli di crediti non

performing, è che le valutazioni degli investitori si avvicinino a quelle a bilancio degli istituti di credito. Ma i

prezzi di domanda e offerta sono ancora molto lontani. «Su questa distanza hanno grande influenza i tempi

della giustizia italiana (si veda box in pagina, ndr), ma soltanto quelli», spiega a MF NPL Carlo de Donato,

responsabile per l'Italia di Strategic Risk Solutions group in Citi, banca che opera nel settore spesso a

supporto degli investitori in credit deteriorati. Per capirlo, basta fare dei semplici calcoli, tenendo presente che

il valore attuale di un credito si calcola applicando un tasso di sconto predefinito al valore futuro di quel

credito, dato per definizione dalla somma del valore nominale che verrà rimborsato più tutti gli interessi che

verranno pagati sino alla scadenza, ipotizzando via via di reinvestirli.

Ma tutto sta nel decidere qual è il tasso al quale quel valore futuro va scontato. Se per esempio, si ipotizza

che una banca abbia a bilancio 100 milioni nominali di crediti problematici che, visti i tempi della giustizia, non

potranno essere recuperati prima di tre anni, la banca calcola il valore attuale di quel portafoglio scontando il

valore futuro di recupero al tasso di rendimento originario del finanziamento, che è quindi in media diciamo

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del 4%, il che porta quel portafoglio oggi a valere 89,9 milioni, cioè con uno sconto dell'11,1% rispetto al

valore lordo.

Per contro, gli investitori specializzati ragionano su parametri ben diversi, perché i tassi di sconto da essi

applicato sono funzione dei rispettivi costi del capitale, che quindi non sarà più il 4% all'anno ma per

esempio, volendo mantenersi prudenti, il 10%, senza considerare la leva finanziaria. Ciò significa che il

valore attuale del nostro portafoglio non è più 89,9 milioni bensì 75,13 milioni, cioè un valore che rappresenta

uno sconto del 24,9% sul valore lordo. «E tutto questo ipotizzando che gli investitori abbiano le stesse

aspettative di recupero (ammontare e tempistica) e non ci siano costi associati all'attività collegata. Se si

inserissero anche queste due variabili nel calcolo, la differenza sarebbe destinata ad ampliarsi», aggiunge de

Donato.

«Le banche in base ai principi contabili internazionali Ias devono utilizzare tassi di sconto calcolati come

media ponderata dei tassi nominali sui finanziamenti e atterrano a tassi di sconto tra il 3 e il 5% per anno»,

conferma a MF NPL Riccardo Serrini, amministratore delegato di Prelios Servicing, che aggiunge: «Gli

investitori hanno promesso a loro volta un ritorno ai propri investitori e il tasso di sconto viene basato su

quelle aspettative. Aspettative ovviamente legate al rischio di investimento nel mercato dei crediti distressed,

che può avere oscillare anche tra il 12 e il 15% senza leva». Per ovviare a questa differenza di valutazione,

bisogna quindi trovare delle soluzioni ad hoc. Spiega ancora Serrini: «Per esempio, in alcuni casi chi compra

può chiedere di avere in gestione anche un'altra fetta del portafoglio Npl che non fa parte del contratto di

cessione. Oppure può accettare di comprare anche l'intera piattaforma di gestione crediti con l'accordo di

gestire per più anni buona parte dei crediti problematici». (riproduzione riservata)

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MF

Numero 083, pag. 22 del 29/04/2015

MF NON PERFORMING LOAN

Non Performing Loan trend

Gianluca Cervello direttore Operation Primus Capital spa

La durata del processo civile è il vero ostacolo alla gestione degli NPL in Italia: una disfunzione capace di

creare un grave deficit nella tutela dei diritti patrimoniali, influenzando il sistema economico Italiano e la

capacità del nostro Paese di attirare investimenti. Premesso che sui tempi della procedura impattano anche

variabili indirette (tempestività di azione del procedente e dell'aggiudicatario, appetibilità del bene, andamento

del mercato immobiliare), un recente studio condotto da Primus Capital su oltre 100 sedi giudiziarie fornisce

statistiche sui tempi necessari per concludere le procedure concorsuali ed esecutive.

Mediamente le procedure concorsuali durano 76 mesi. Nel dettaglio, per l'attivazione ci vogliono in media 33

mesi, per vendere il

bene oggetto della

garanzia ce ne

vogliono 26 e per

chiudere la

procedura ci

vogliono in media

altri 17 mesi. Va un

po' meglio per le

procedure

esecutive che in

media durano 52 mesi. In questo caso ci vogliono 24 mesi per l'attivazione, 16 per la vendita del bene e altri

12 mesi per la chiusura. Insomma, in Italia si deve attendere fino a tre volte il tempo medio degli altri Paesi

europei per ottenere un pronunciamento (fonte Doing Business 2014) e spesso perché all'estero si è dato più

spazio alla tecnologia. Una celere diffusione del processo telematico e dei servizi di e-justice assume

un'importanza fondamentale, con considerevoli vantaggi in termini di complessiva riduzione della durata delle

procedure. Per questo tali innovazioni, insieme all'adozione di pratiche organizzative efficaci, porterebbero a

risultati sorprendenti.

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PRIMO PIANO 29 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

I COMMENTI Per gli addetti ai lavori il fenomeno è legato alla volatilità dei mercati e ai tassi a zero: questo fa la fortuna del settore

Raccolta record per il risparmio gestito

Con i 22,7 miliardi di marzo, nel primo trimestre i flussi netti sfiorano i 52 miliardi

di euro totali

Il primo trimestre 2015 del risparmio gestito si chiude in crescendo: i 22,7 miliardi di flussi netti di capitale di marzo portano il saldo di raccolta da inizio anno su fondi comuni di investimento e gestioni patrimoniali a 52 miliardi. Come evidenziato nelle statistiche di Assogestioni, i fondi comuni si confermano protagonisti del settore e battono un record più che decennale di nuove sottoscrizioni, con 36 miliardi da gennaio e 15,5 miliardi lo scorso mese.È indubbiamente un periodo d’oro per il settore, partito un paio d’anni fa, dopo una lunga disaffezione dei risparmiatori e di disattenzione da parte di grandi banche collocatrici. I principali attori del sistema concordano sul fatto che il contesto economico e finanziario, fatto di volatilità dei mercati e di bassi tassi di interesse, favorisca il successo degli strumenti della gestione del risparmio; e sul fatto che l’industria abbia l’opportunità di consolidare le posizioni nei portafogli degli italiani, in generale poco propensi ad affidarsi a consulenti e gestori.«È un momento storico – commenta Piermario Motta, amministratore delegato di Banca Generali, che conta masse per 437 miliardi, cresciute di 1,9 miliardi a marzo e di 3 miliardi nel 2015 -. I rendimenti dei titoli governativi sono a zero e il settore immobiliare, altro tradizionale investimento degli italiani – è saturo e gravato da una fiscalità aggressiva. La strada imboccata è senza ritorno, perché i risparmiatori hanno bisogno di una consulenza più evoluta e il risparmio gestito offre valore aggiunto anche in un mondo dove i tassi possono salire».In effetti, domanda e richiesta di fondi comuni di investimento si incontrano in categorie che rispondono ad esigenze di diversificazione dei portafogli, orfani dei BoT collocati con un tasso a zero, come nell’asta di ieri: anche in marzo i flessibili sono in testa agli incassi, con 6,9 miliardi (15,8 miliardi da gennaio). Questa tipologia comprende i fondi “multi-asset”, che differenziano il rischio su varie classi di investimento, lanciati di recente dalle società di gestione per soddisfare la ricerca di protezione e al contempo di rendimento dei clienti. «La diversificazione è obbligata perché le classi di investimento tradizionali non rendono – spiega Tommaso Corcos, amministratore delegato di Eurizon Capital, del gruppo Intesa Sanpaolo, primo per raccolta complessiva da inizio anno (+19 miliardi nel 2015 e +9 miliardi a marzo) -. Già da alcuni anni puntiamo sul multiasset e differenziare è stata la scelta giusta. Nel passato i fondi hanno fallito perché si puntava sul singolo prodotto, spesso troppo specializzato».Ma grande appeal hanno sempre anche gli obbligazionari, spinti dai molti fondi a cedola che piacciono agli italiani, abituati a prendere dividendi periodici. E se gli stimoli monetari delle banche centrali offrono una rete di protezione al calo dei prezzi delle obbligazioni ai massimi assoluti, i gestori si fanno forti della capacità di aumentare le opportunità di ritorno. «Il 50% della raccolta di Pioneer Investments è su prodotti flessibili, a ritorno assoluto e multiasset – precisa Cinzia Tagliabue, amministratore delegato di Pioneer Investments Italia, che completa il podio dei campioni di raccolta con 2,9 miliardi a marzo e 6,5 miliardi da gennaio -. E anche tra gli azionari offriamo l’opportunità di diversificare su fondi a cedola che beneficiano del rialzo delle azioni selezionate e dall’individuazione di società che staccano buoni dividendi».C’è poi chi intravede ulteriori possibilità di crescita in un mondo di tassi bassi, che può originare perdite sui prodotti obbligazionari più classici. Secondo Sergio Trezzi - a capo di Invesco in Italia, che ha raccolto 1 miliardo a marzo e 2,6 miliardi da gennaio, a fronte di 20 miliardi di patrimonio - l’arrivo a scadenza dei fondi a cedola è un’opportunità per i prodotti obbligazionari gestiti davvero attivamente, che spaziano in comparti dove il professionista sa trovare rendimento, come i subordinati bancari o

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Page 102: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

i prestiti bancari, per fare un esempio.Ma pure i classici fondi azionari e bilanciati hanno beneficiato della voglia di rendimento dei risparmiatori, con le entrate di marzo pari, rispettivamente, a 2,3 e a 2,1 miliardi (oltre i 5 miliardi nel 2015 per entrambe le categorie). Il patrimonio complessivo dell’industria, anche grazie all’effetto “performance” delle gestioni, aumenta di 42,8 miliardi rispetto a febbraio e raggiunge i 1.718 miliardi.© RIPRODUZIONE RISERVATAMarzia Redaelli

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 29 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

LA NOVITÀ I fondi già avevano procedure per ridurre l’affidamento sui rating negli investimenti, ma ora arrivano i dettagli anche sui soggetti vigilanti

Regole. Oggi il Consiglio dei ministri approva il decreto legislativo che favorisce lo «smarcamento»

degli investitori istituzionali dei giudizi di Moody’s e Standard & Poor’s

Fondi indipendenti dai rating: è leggeIl giro di vite sulla dipendenza degli intermediari finanziari verso le agenzie di rating

dovrebbe entrare in vigore nei prossimi giorni. L’approvazione definitiva del decreto

legislativo che recepisce la direttiva europea volta a favorire una maggiore

indipendenza di giudizio da parte di fondi pensioni, organismi di investimento

collettivo e fondi di investimento alternativi dovrebbe arrivare nel consiglio dei

ministri convocato per oggi. Il decreto ha già superato l’iter parlamentare e ottenuto i

pareri delle commissioni e ora sta per passare il vaglio definitivo prima di essere

pubblicato nella gazzetta ufficiale.

Le norme previste dal provvedimento non hanno una portata innovativa in senso

generale, perchè il principio di imporre agli intermediari l’adozione di procedure

interne per ridurre l’affidamento sulle agenzie di rating era già previsto nel

regolamento europeo entrato in vigore direttamente (senza bisogno di norme di

recepimento) nel 2013. Il decreto, però, entra nel dettaglio su come tali procedure

vadano adottate dalle tre categorie di intermediari, ma soprattutto individua quali

siano le Autorità nazionali che devono vigilare sull’adeguatezza di tali procedure e

stabilisce le sanzioni amministrative pecuniarie per chi non si adegua.

Il provvedimento prevede, inoltre, un giro di vite anche per gli emittenti di prodotti di

finanza strutturata. A questi soggetti viene imposto un maggiore obbligo di disclosure

sui loro prodotti, che devono essere comunicati all’Esma (l’Authority europea che

vigila sui mercati finanziari) per essere pubblicati sul suo sito. Ma non solo. La crisi

dei mutui subprime che nel 2007 aveva innescato i primi focolai della crisi finanziari

sistemica poi sfociata nel default di Lehman Brothers, aveva mostrato che spesso

l’emittente di prodotti strutturati li costruiva su misura per ottenere un determinato

giudizio da un’agenzia di rating. La norma ora introduce sanzioni per gli emittenti che

non diversifichino in almeno due agenzie i giudizi di merito relativi ai loro prodotti.

Tornando alla disciplina per gli intermediari italiani, va detto che il decreto legislativo

modifica tre direttive precedenti recepite nell’ordinamento italiano relative ai fondi

pensione, agli organismi di investimento collettivo e ai fondi di investimento

alternativi. La sostanza è riassunta in due articoli. Il 35 duodecis per gli organismi di

investimento collettivo (Oicr) prevede che «i gestori, per la valutazione del merito di

credito dei beni in cui investono gli Oicr adottano sistemi e procedure che non

prevedono l’affidamento esclusivo o meccanico nelle valutazioni emesse da agenzie di

rating del credito». Banca d’Italia e Consob sono chiamate a vigilare- senza costi

aggiuntivi per la finanza pubblica - sull’adeguatezza di queste procedure e a

comminare le sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancato rispetto. Per i

fondi pensione l’articolo 3 stabilisce che «i fondi pensione adottano procedure e

modalità organizzative adeguate per la valutazione del merito di credito delle entità o

strumenti finanziari in cui investono, avendo cura di verificare che i criteri prescelti

per detta valutazione, definiti nelle proprie politiche di investimento, non facciano

esclusivo o meccanismo affidamento alle agenzie di rating». A vigilare in questo caso

è la Covip.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Laura Serafini

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 084, pag. 9 del 30/04/2015

DENARO & POLITICA

Fiba-Dircredito, dalla fusione nasce First Cisl

di Andrea Pira

First, come Federazione Italiana Reti dei Servizi del Terziario, ma anche come «primo» in inglese. Il nome

First Cisl, scelto per la sigla sindacale del settore bancario e assicurativo nata dalla fusione tra la Fiba Cisl e

Dircredito, gioca con le parole rendere l'idea di una primogenitura. «Dobbiamo renderci conto dei

cambiamenti in atto e semplificare il quadro della rappresentanza sindacale, che oggi deve essere a tutti i

livelli, dai commessi ai dirigenti», ha spiegato Giulio Romani, segretario generale della Fiba Cisl che non

parla di un nuovo sindacato ma preferisce l'espressione «sindacato nuovo». Nelle intenzioni dei promotori

questo dovrà essere «più flessibile, più efficiente, più specialistico e più rappresentativo. La federazione

aderirà alla Cisl. Il 6 maggio è prevista la prima riunione, mentre il 26 maggio presenterà una propria

proposta politica. Il progetto affronta di petto alcuni dei temi emersi dalla recente trattativa per il rinnovo del

contratto nazionale dei bancari. Da una parte le trasformazioni in atto nel settore, dall'altro, come emerso in

recenti dibattiti, la frammentazione delle sigle. Romani lancia al riguardo l'idea di una struttura federale

unitaria che permetta ai vari sindacati bancari di parlare con una sola voce, mantenendo la loro diversità.

«Spero che gli altri raccolgano la proposta», aggiunge nel rimarcare che «la semplificazione consente di

ridurre le poltrone, di risparmiare sui costi e di mettere maggiori risorse umane al servizio dei lavoratori». In

questo modo, prosegue, «sarà possibile valorizzare il lavoro ad ogni livello e non soltanto remunerare il

capitale». (riproduzione riservata)

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MF

Numero 084, pag. 15 del 30/04/2015

MERCATI

L'accusa è di pubblicità ingannevole. l'abi pronta a sostenere l'iniziativa del sindacato

La Fabi denuncia Marketing Risk all'Agcm

di Rebecca Cardi

La Fabi, principale sindacato dei bancari, ha deciso di denunciare all'Autorità Garante della Concorrenza e

del Mercato la società Martingale Risk per pubblicità ingannevole e illecita. La società, attiva nel campo della

consulenza per recupero di commissioni di massimo scoperto e interessi anatocistici, ha infatti diffuso un

messaggio pubblicitario che scredita l'attività dei dipendenti bancari. Nello spot, in onda in questi giorni su

tutte le reti nazionali, il lavoratore bancario è rappresentato come un bandito, col

volto coperto dal passamontagna e un taglierino tra le mani. «Firmi, firmi», intima

a un terrorizzato imprenditore, alludendo al contratto di finanziamento che i due

stanno per sottoscrivere. Oltre ad annunciare ricorso, durante il suo 121esimo

Consiglio nazionale, in svolgimento a Roma, la Fabi ha anche sollecitato l'Abi ad

avviare un'azione legale nei confronti della società, che con il suo spot

danneggerebbe non solo l'immagine dei lavoratori, ma anche quella degli istituti

di credito. Un invito prontamente raccolto dal direttore generale, Giovanni

Sabatini, che si è detto pronto a intervenire nelle sedi competenti. «Riteniamo

questo spot un attacco intollerabile contro i lavoratori bancari, che quotidianamente mettono il loro impegno,

la loro umanità e professionalità al servizio dei clienti. Per questo chiediamo all'Autorità Garante della

Concorrenza e del Mercato l'apertura di un'istruttoria a carico della società Martingale Risk. Chiederemo,

inoltre, a tutte le organizzazioni sindacali del credito, che hanno già dato la disponibilità ad agire di

conseguenza, di condividere anche altre iniziative a tutela della categoria».

In effetti, più che promuovere un'immagine positiva dei servizi offerti dalla Martingale, la pubblicità sembra

voler perpetuare un vecchio pregiudizio duro a morire e socialmente molto pericoloso che criminalizza i

lavoratori bancari. Un messaggio rischioso, soprattutto in questo momento di crisi, in cui il dipendente di

banca finisce per diventare, ingiustamente, il facile bersaglio del malcontento sociale, come alcuni recenti

gravi fatti di cronaca raccontano. Uno scivolone che potrebbe costare molto caro alla Martingale Risk. La

società di consulenza ora se la dovrà vedere con un sindacato agguerrito come la Fabi, deciso a tutelare

l'immagine dei lavoratori bancari in tutte le sedi di competenza, e anche con l'Abi, a cui lo spot pare non sia

andato proprio giù. (riproduzione riservata)

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IMPRESA & TERRITORI 30 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

LA

RAPPRESENTANZA

Sileoni (Fabi): «Nel settore non passerà la soglia minima del 5%» Romani (Fiba): «Le divisioni più costose per i lavoratori»

Credito. Parte la razionalizzazione

Sigle sindacali, Fiba e Dircredito si fondono in

First

Chissà cosa ne sarà del depennamento della soglia del 5% nella rappresentanza nel

credito. Al 121esimo consiglio nazionale della Fabi, il segretario generale Lando

Maria Sileoni ha assicurato che «nel settore non passerà mai la soglia minima del

5%». Dell’accordo sulla rappresentanza siglato dai sindacati confederali nel 2013, il

credito non ha recepito la soglia del 5%. Al punto che in una lettera di oltre un anno e

mezzo fa l’Abi per prima ha sollevato il tema. Le anime sul fronte sindacale sono però

diverse. «Non so quanto sia possibile mantenere questo tipo di esenzione. Dobbiamo

tenere conto del fatto che una rappresentanza così frazionata come la nostra costa ai

lavoratori molto di più», osserva il segretario generale della Fiba Cisl, Giulio Romani,

reduce dal congresso straordinario in cui all’unanimità è stata approvata la fusione con

Dircredito e la nascita di First, la Federazione italiana delle reti dei servizi del

terziario. Una fusione che ha «una motivazione esclusivamente politica», afferma

Romani, tant’è che «le società che si occupano di servizi per gli iscritti e

l’organizzazione verranno lasciate dentro una fondazione Fiba e una fondazione

Dircredito».

La fusione farà sì che il First sia la prima organizzazione a rappresentare tutte le anime

del credito, dalle aree professionali fino ai dirigenti che a breve dovranno iniziare il

negoziato per il rinnovo del loro contratto. Quanto ai numeri bisognerà capire se

l’uscita di alcuni iscritti verrà compensata dai nuovi iscritti. Secondo quanto sostiene

Romani, per il momento i numeri si mantengono immutati e la nuova organizzazione

avrà gli iscritti che derivano dalla somma di Dircredito e Fiba, molto oltre i 60mila

dunque. Con le carte per diventare la prima sigla in Abi, ma non nel credito perché la

Fabi, comprendendo anche il credito cooperativo, rimane in assoluto il primo

sindacato dei bancari.

La Federazione avrà un modello diverso, meno burocratico, più snello sul territorio e

molto concentrato sulle aziende e sul rapporto con gli iscritti. Ma anche capace di dare

verticalità alla struttura con una specializzazione sulle Bcc, sulla contrattazione di

secondo livello, sugli esodati e sui grandi temi del settore. Sul secondo livello, per

esempio, «serve una specializzazione perché più si rafforza più ha bisogno di

coordinamento». Sugli esodati, «costruiremo un sindacato nel sindacato che si occupa

solo di esodati. Questa è una terra di mezzo senza rappresentanza, diversamente dagli

attivi e dai pensionati».

La crescita organizzativa della Fiba semplifica il quadro della rappresentanza in Abi

dove, anche l’ultimo negoziato, ha mostrato che il contratto è stato fatto con ristrette e

ultraristrette a cui non hanno partecipato tutte le sigle perché la rappresentanza al

tavolo sarebbe stata troppo articolata rispetto ai numeri che le organizzazioni

rappresentano.

Il modello Cisl trova un’esemplificazione forte nella proposta che la Fim, guidata da

Marco Bentivogli, ha fatto per l’industria proponendo un unico organismo. Allo stesso

modo «vorremmo provare a capire con i colleghi delle altre organizzazioni se sia

possibile andare nella direzione dell’antica Federazione dei lavoratori bancari, con

tutte le particolarità di un’unità articolata - osserva Romani -. Del resto l’esperienza

del sindacato unico i bancari la hanno già praticata negli anni ’70».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cristina Casadei

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NORME E TRIBUTI 30 APRILE 2015Il Sole 24 Ore

NUOVA PROCEDURA

Le aziende dovranno essersi registrate nel sito dell’istituto usando il nuovo applicativo «RASU» all’interno del cassetto previdenziale

Contratti collettivi. La circolare Inps 76/15 fissa le istruzioni operative: vincolate le imprese che sono

iscritte a Confindustria

Sindacati, censimento mensile

L’obbligo della comunicazione parte da maggio senza sanzioni per il pregresso

Con le istruzioni operative fornite dall’Inps nella circolare 76/15 è partito il censimento

per raccogliere i dati sulla rappresentanza delle organizzazioni sindacali ai fini della

contrattazione collettiva nazionale di lavoro.

L’onere di comunicare i dati relativi agli iscritti alle organizzazioni sindacali attraverso

il flusso uniemens sussiste solo per le aziende iscritte a Confindustria e a cui si applica il

TU sulla rappresentatività del 10 gennaio 2014 sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e

Uil e attuato poi con la determinazione presidenziale n. 5/15, per effetto della quale è

stata siglata il 16 marzo la convenzione tra l’Inps e le stesse confederazioni.

Le aziende che invece applicano uno dei ccnl rientranti nella sfera di Confindustria,

(elencati nell’allegato n. 2 della medesima circolare), ma non sono iscritte al sindacato,

sebbene non obbligate, potrebbero decidere di inviare i dati, ad esempio per fornire il

loro specifico contributo al nuovo sistema di misurazione della rappresentativa

sindacale, più coerente e certo nonché finalizzato a rendere esigibile il ccnl.

In particolare i datori di lavoro obbligati, che applicano pertanto uno dei ccnl sottoscritti

da Confindustria (allegato n. 2 della circolare n. 76) e che hanno dipendenti iscritti a una

delle sigle sindacali elencate nell’allegato n. 3 della recente circolare, dovranno

mensilmente comunicare all’Inps, attraverso il flusso uniemens, il numero dei lavoratori

iscritti a ciascuna delle medesime organizzazioni sindacali.

Preliminarmente le aziende dovranno essersi registrate nel sito dell’Inps, utilizzando il

nuovo applicativo RASU all’interno del cassetto previdenziale, finalizzato

all’attribuzione del codice di autorizzazione OR, che sta ad indicare l’iscrizione al

censimento e il conseguente obbligo mensile di comunicare il numero delle deleghe

sindacali conferite dai propri dipendenti.

L’obbligo di trasmettere per la prima volta i dati decorrerebbe dal flusso di competenza

di aprile 2015, al cui interno vanno comunicati anche i dati pregressi del periodo

gennaio-marzo 2015, ma poiché la circolare è stata emessa il 13 aprile scorso, e cioè in

tempo non utile per consentire alle aziende di adeguarsi immediatamente, l’Inps ha

precisato che i dati (compresi quelli arretrati) potranno essere forniti anche nei mesi

immediatamente successivi (da maggio) senza applicazione di sanzioni.

Le nuove informazioni vanno esposte nella specifica sezione all’interno della <denuncia

aziendale> dell’uniemens, nel nuovo elemento <RappresentanzaSindacale>, con cui

fornire i dati necessari ai fini del censimento.

In particolare, all’interno del nuovo elemento <ContrattoRS>, per ciascun periodo

mensile (<AnnoMeseRS>), a decorrere da gennaio 2015, dovrà essere specificato il

codice del ccnl applicato (CodContrattoRS), quale attribuito dall’Inps nell’allegato n. 2

della circolare 76, il numero degli iscritti (<NumIscrittiRS>) di ciascuna delle sigle

sindacali appositamente codificate dall’Inps (<CodFederazSindRS>).

Per le sole deleghe dei dipendenti occupati in unità produttive con oltre 15 dipendenti,

indipendentemente dalla presenza o meno di RSA, il numero degli iscritti dovrà altresì

essere ripetuto (come un di cui del generale numero degli iscritti <NumIscrittiRS)

nell’apposito elemento <NumIscrittiRSA).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nevio Bianchi

Barbara Massara

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ST Microelectronics, atteso un ritorno al profitto ma il titolo?

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 7 del 01/05/2015

Pensioni

Consulta boccia Fornero

La Corte Costituzionale ha bocciato il blocco delle rivalutazioni previsto dal decreto Salva-Italia del 2011. Lo Stato deve trovare 5 miliardi

di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni previsto dal decreto Salva

Italia (2014/2011) del governo Monti. Secondo la Consulta, è incostituzionale lo stop alla perequazione delle

pensioni al costo della vita per i trattamenti previdenziali di importo superiore a tre volte il minimo Inps. La

norme riguardava gli anni 2012 e 2013. L'impatto sui conti pubblici sfiora i 5 miliardi di euro. La Corte

Costituzionale nella sentenza ha sottolineato che «deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il

meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se

limitata a periodi brevi, è per sua natura definitiva. Le successive rivalutazioni saranno infatti calcolate non

sul valore reale originario bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato

intaccato». Intanto gli effetti della riforma Fornero si fanno evidenti sulla spesa per le pensioni e per la

previdenza in Italia. Dall'analisi dell'osservatorio delle pensioni Inps vigenti al 1° gennaio 2015 e liquidate nel

2014 emerge la conferma del «trend decrescente degli ultimi anni», che vede passare il numero delle

prestazioni erogate a inizio anno dai 18,36 milioni nel 2012 ai 18,04 milioni nel 2015. Di queste, 14,31 milioni

sono di natura previdenziale, cioè si tratta di prestazioni che hanno avuto origine dal versamento di contributi

previdenziali (vecchiaia, invalidità e superstiti) durante l'attività lavorativa del pensionato. Le rimanenti

prestazioni, erogate dalla gestione degli invalidi civili e da quella delle pensioni e degli assegni sociali, sono

di natura assistenziale. La decrescita media annua è dello 0,6%, frenata però dall'andamento inverso delle

prestazioni assistenziali (pensioni agli invalidi civili e pensioni/assegni sociali), il cui numero nello stesso

periodo passano da 3,56 milioni nel 2012 a 3,73 milioni nel 2015.

Il fenomeno va attribuito sia all'esaurimento del collettivo delle pensioni di invalidità liquidate prima della

legge 222/1984 sia all'inasprimento dei requisiti di accesso alle pensioni di vecchiaia e di anziantà

determinato dalla legge 214/2011, ossia il decreto Salva-Italia che conteneva la riforma Fornero. Di contro,

l'importo medio mensile erogato risulta in costante crescita: dai 780,14 euro del 2012 agli 825,06 euro del

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 11 del 01/05/2015

CONGIUNTURA

Caro ministro Padoan, ecco perché la politica economica è sbagliata

di Paolo Savona

Si sente ripetere in continuazione che bisogna fare le riforme per migliorare la competitività e, a quel punto, la

ripresa dell'economia italiana diverrà soddisfacente. Viene però trascurata l'indicazione dello schema di

riferimento economico entro cui questa politica andrebbe attuata. Eppure è il fondamento logico su cui

basare tutte le decisioni. Tralasciamo come la pensa in proposito l'Europa, divenuta

patria di superbie intellettuali inaccettabili, ma accettate senza far nulla, e veniamo

all'Italia. L'economia del nostro Paese presenta un avanzo di parte corrente della sua

bilancia estera che The Economist colloca a 42 miliardi su base annua, circa il 2% del

suo pil; è questa una percentuale di eccesso di risparmio che, se impiegata all'interno,

potrebbe portare la crescita a livello tale da consentire una ripresa dell'occupazione.

Ciò di cui abbisogna il Paese è quindi di tramutare l'eccesso di risparmio in domanda

interna, meglio dal lato degli investimenti, ma andrebbe bene anche da quello dei

consumi. Invece si suggerisce di rafforzare le riforme per migliorare la competitività

delle esportazioni, ossia aumentare il surplus sull'estero, essendo proibito in Europa varcare la soglia del 3%

di deficit di bilancio pubblico per riciclare nell'economia l'eccesso di risparmio che causa deflazione. La

conclusione è che non resta che seguire la via deflazionistica inventando piccoli marchingegni che diano

l'illusione che l'intero Paese sia in condizione di uscire dalla crisi.

La Francia ha un passivo di bilancia estera di circa l'1%, usa cioè risparmio estero per sostenere la domanda

interna, e la Spagna un attivo inferiore a mezzo punto del rispettivo pil, nonostante abbia il doppio della

disoccupazione dell'Italia. Come Marco Fortis non si stanca giustamente di ripetere, il grado di competizione

dell'Italia sul mercato globale è evidentemente molto più elevato di quello dei due Paesi latini. Lo schema di

riferimento per i tre Paesi considerati è quindi diverso, ossia sollecita politiche ad hoc, mentre si tenta di

calarne una sola, sia monetaria che fiscale, con conseguenze scoraggianti. La risposta sarebbe di

permettere scelte consone alle situazioni da affrontare, non quelle scritte nei manuali di Bruxelles. Se

continuiamo a chiamare politiche di austerità quelle imposte dai Trattati europei che abbiamo inconsciamente

firmato, confondiamo una malattia grave con un'influenza stagionale e si preferisce pensare che quando

verrà la primavera delle riforme il malessere passerà. La Grecia, che avrebbe bisogno di una politica

specifica, da tempo viene sospinta verso il default o la rivoluzione sociale.

Le riforme sono e devono essere, caro ministro, e ben lo sai, processi lenti e continui per assorbire tossine

accumulate nei decenni, dove le cure da cavallo non solo non possono essere praticate – e, infatti, non lo

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sono – ma possono entrare in conflitto con la realtà economica da affrontare. Come quella che deve essere

affrontata, che richiede maggiore domanda interna, l'unico modello di sviluppo che può funzionare, e non

maggiori esportazioni, come quelle che si auspicano. La percentuale di esportazioni è circa un quinto del

totale. Come è possibile affidare a esse il compito di trainare l'intera economia? Ciò non significa che una

singola impresa esportatrice non possa aumentare la sua presenza all'estero se può, ma che la politica deve

indirizzare il suo intervento verso l'aumento della domanda interna. Poiché la spending review richiede un

consenso più generale che il governo non cerca e la riduzione delle tasse non è praticabile perché abbaiano i

cani da guardia, non resta che riaccendere il motore dell'edilizia, che ha sempre ben funzionato. L'obiezione

che le imprese edili hanno abusato di questo strumento macroeconomico non vale, perché l'abuso, quando

c'è stato è stato permesso dagli organi dello Stato ed è da questi che si deve partire. Queste sono vere

riforme urgenti coerenti con il modello di riferimento della nostra economia.

So bene che l'obiezione consueta è l'esistenza del debito pubblico, che paralizza le scelte perché si vuole

che le paralizzino. Mi domando perché, approfittando dei bassi tassi e dell'abbondante liquidità, non si

riprende in mano un'operazione straordinaria di allungamento del debito a condizioni vantaggiose per i

titolari, ponendo a garanzia il patrimonio dello Stato, secondo le linee che tempo addietro su MF-Milano

Finanza ho avanzato con Michele Fratianni e Antonio Rinaldi. So altrettanto bene che quando si parla di

«usare» il patrimonio pubblico si raddrizzano i capelli di molti benpensanti, spero non i tuoi. Vogliamo disfarci

di questo macigno che grava sul nostro futuro? Oppure esso è necessario così com'è per mantenere il

controllo politico della situazione, come accadde con il governo Ciampi? Se il livello del debito funge

nell'immediato da barriera protettiva contro le pressioni per maggiore spesa pubblica, nel più lungo andare –

e già ci siamo – è un nodo scorsoio attorno al collo del Paese. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 11 del 01/05/2015

CONGIUNTURA

Il dato sulla disoccupazione dimostra che la spinta alla ripresa non basta

di Angelo De Mattia

La festa del lavoro e dei lavoratori, che coincide con l'apertura dell'Expo, offre l'occasione per riflettere sulle

doti di impegno, di progettualità, di professionalità e capacità del lavoro a tutti i livelli, di coloro che producono

e intraprendono. Ma è anche la giornata per riflettere sul lavoro che non c'è e sullo spreco di preziose risorse

che questa mancanza comporta. Giovedì 30 aprile, l'Istat, quasi una nuova doccia gelata, ha rilasciato il dato

sulla disoccupazione, risalito a marzo al 13%, e quello sull'occupazione, anch'esso

non positivo, calato al 55,5%: una condizione assai difficile. Lavoro e cibo evocano

immediatamente i problemi della crescita e della distribuzione, nel nostro Paese e a

livello globale. Fosse l'Italia capace di fare ciò che gli Usa hanno fatto portando, in un

tempo non lungo, il tasso di disoccupazione dall'11 a poco più del 5% e assumendo

l'impegno prioritario della lotta alla disoccupazione insieme con l'impulso forte alla

crescita.

Per una maggiore spinta al rilancio dell'economia ci sarebbe bisogno di politiche

integrate tra misure nazionali e provvedimenti europei. Ma proprio qui si manifesta uno degli aspetti più

negativi di questa fase che finisce con il rallentare un'uscita vera dalla recessione. La linea dell'austerità

presuntamente espansiva non è stata significativamente modificata: è un dato inoppugnabile e pesantemente

negativo. La questione greca si trascina anche per irresolutezza e inconcludenze delle istituzioni europee con

rischi di instabilità diffusa.

La campagna d'Europa condotta dal governo a partire dal semestre di presidenza italiana dell'Unione non ha

dato grandi risultati. Certo, per la prima volta si è discusso lungamente di flessibilità nell'applicazione delle

regole discendenti, correttamente o distortamente, dal Patto di stabilità e crescita e sono tornati in rilievo i

cosiddetti fattori attenuanti delle statuizioni del Two pack, del Six pack e del Fiscal compact. Ma, poi, alla

resa dei conti, la flessibilità è stata ed è minimale – tra lo 0,1 e lo 0,2% del pil – mentre dell'introduzione della

golden rule per gli investimenti pubblici o per una categoria degli stessi non si è neppure adeguatamente

discusso.

La scelta di non porre in discussione le regole, che, come ha scritto in due saggi il grande giurista Giuseppe

Guarino (il quale ha ora in stesura un terzo importante lavoro sul tema) violano i Trattati fondativi, addirittura

per essere state introdotte con un regolamento nel 1997 che deroga ai Trattati stessi – una deroga

apertamente illegittima – è risultata sterile perché l'immagine di chi è sommamente ligio all'osservanza delle

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norme, pur essendo esse contestabili per le ragioni dette, non è valsa all'auspicata (dal governo)

contropartita sul piano di una vera applicazione elastica delle stesse regole. Sarebbe stato preferibile che si

ponesse sin dall'inizio il problema non certo dello smobilizzo dell'architettura comunitaria, ma della revisione

di singoli aspetti di regole maldestramente introdotte. Sarebbe stato un omaggio alla trasparenza e si

sarebbe imboccata la via giusta perché, se non si elimina questo vulnus, tutto ciò che si potrà acquisire

nell'interesse non solo dell'Italia, ma dell'intera Unione, sarà un'applicazione meno rigoristica, forse un po'

elastica, ma pur sempre ottriata quando invece vi sarebbe bisogno di un cambiamento sostanziale di parti

della normativa, prima di ipotizzare il passaggio all'Unione fiscale e di bilancio. Quest'ultima, se per aderire

ad alcune spinte dovesse essere promossa nell'equivoco, altro che messa in comune di sovranità: sarebbe

sicuramente una cessione di sovranità, almeno da parte di una serie di Paesi la cui condizione di regolati

iussu principis (la filosofia e gli indirizzi tedeschi) si accentuerebbe. Torna, qui, il tema capitale della

fallimentare linea di austerità che è alla testa di tutte le altre mancanze dell'Unione.

Quanto al credito e alla finanza, le decisioni e i preavvisi di decisioni provenienti da Bruxelles facenti leva su

di un'accezione abusivamente lata della nozione di aiuti di Stato, mai come adesso stanno creando seri

problemi all'azione della Vigilanza e agli intermediari, in ultima analisi a imprese e famiglie. Si pensi alla

questione della bad bank per la gestione dei prestiti deteriorati. Si sa che contatti vi sono stati, non solo al

livello del ministro dell'Economia, ma anche a quello della presidenza del Consiglio. Ma non basta affatto, a

questo punto, affrontare i singoli problemi, uno alla volta. Ora vi è una questione-credito e regolamentazione

che si pone nella sua interezza nei confronti della Commissione e dell'Eba, nonché degli indirizzi della

Vigilanza accentrata. Si tratta di un pacchetto che deve essere imperniato sulla par condicio di regole, criteri

e metodologie, sulla rimozione delle condizioni di sfavore per le banche italiane, sotto i diversi profili, nella

concorrenza europea e internazionale, sulla revisione degli orientamenti che potrebbero consolidarsi in tema

di divieto degli aiuti di Stato estesamente e impropriamente interpretato, sui problemi della capitalizzazione

delle banche. La Banca d'Italia sta promuovendo tutte le possibili iniziative; le recenti dichiarazioni del

Governatore, Ignazio Visco, nella sede parlamentare, a proposito delle sfavorevoli conseguenze

dell'incremento delle dotazioni di capitale per le banche sono importanti. Ma ora una parte non secondaria

spetta al governo per affermare un corretto inquadramento di istituti normativi e un'altrettanto corretta loro

applicazione. Il progetto di Unione bancaria deve essere seguito con maggiore attenzione: esistono scelte, a

proposito di alcune rigidità del bail-in, che andrebbero riviste, mentre ancora non è operante il fondo europeo

per la risoluzione delle crisi. È difficile trovare, guardando all'Europa, alla sua linea in tema di lavoro e

crescita, motivi di ottimismo. Ma ciò non sottrae il governo italiano alle proprie responsabilità. La parte di

politica economica attivabile a livello nazionale è condotta ancora in modo insoddisfacente. Manca un

efficace impulso alla domanda e manca una politica del debito. I prossimi mesi saranno, comunque, decisivi

per capire se si continuerà a procedere come sinora si è fatto o se vi sarà una vera svolta. (riproduzione

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 24 del 01/05/2015

Al Tesoro c'è qualcosa che non va

di Angelo De Mattia

C'è qualcosa al Tesoro che non funziona come dovrebbe. Accantoniamo la questione dei derivati aperti per

l'asserita copertura del debito pubblico. Tralasciamo la questione dell'evanescente «tesoretto» o quella delle

clausole di salvaguardia in materia di finanza pubblica. Soprassediamo per ora alla querelle sulla soglia di

non punibilità del 3% dell'imponibile della quale si sono perdute le tracce dopo un grande clamore.

Soprassediamo al giudizio sulla mancata conclusione delle iniziative da lungo tempo condotte per ottenere il

placet della Commissione Ue all'istituzione di una bad bank ovvero, ancora, sull'indeterminatezza nei

confronti di un'accezione rigoristica della nozione di «aiuti di Stato» da parte di Bruxelles o sulle impostazioni

in materia di Vigilanza europea, pure esse ispirate a un difficilmente accettabile rigorismo. Fermiamoci ad

argomenti più minuti, ma significativi. Di recente il Tesoro ha dovuto emanare un nuovo decreto per la messa

in liquidazione «ora per allora» della Banca Popolare di Spoleto, essendo stato bocciato dal Consiglio di

Stato il precedente decreto del 2013. Nel frattempo il Banco di Desio è entrato nelle attività e passività della

Popolare: dunque è stata a suo tempo imboccata una strada definitiva per le sorti di quest'ultimo istituto. Ma il

primo decreto emanato era carente nelle motivazioni, che debbono essere rese autonomamente dall'organo

decidente e non possono essere riferite ob relationem. Un errore grave, rilevato dall'alto consesso della

giustizia amministrativa. Difficile trovare precedenti, anche se si va a ritroso di decenni. Sarebbe necessario

trarne perciò una dura lezione. È sperabile che il nuovo decreto sia immune da rischi di impugnazione,

altrimenti sarebbe veramente eccessivo.

Ma non basta: di recente si è posto il problema dell'anatocismo sui prestiti erogati dalle banche. L'articolo 120

del Testo Unico Bancario contiene un comma, introdotto con la legge di Stabilità 2014, secondo cui la

contabilizzazione degli interessi non può produrre interessi ulteriori e il calcolo degli interessi va fatto

esclusivamente sulla sorte capitale. La norma è molto chiara e colpisce al cuore l'anatocismo, per cui esso

non dovrebbe essere più ammesso. Sennonché l'articolo in questione prevede pure che il Comitato

Interministeriale per il Credito e il Risparmio (Cicr) adotti una delibera applicativa della predetta statuizione.

Finora il Cicr non si è riunito per emanare tale normativa secondaria, continuando nella sua latitanza, che

nella storia di quest'organo appare una costante quando si tratta di assumere decisioni particolarmente

impegnative. Tanti anni fa era noto che il Cicr si sottraesse scientemente alle decisioni sulle nomine bancarie

pubbliche, che quando esisteva la banca pubblica erano di sua competenza, per far crescere la «torta» delle

cariche da decidere in modo da agevolare i processi di lottizzazione partitica (soprattutto in presenza di

governi di coalizione che avevano bisogno di un «manuale Cencelli» spartitorio anche per gli incarichi

bancari). Un autorevole giurista definì il Cicr un ectoplasma. Oggi quest'organo continua a fare onore alla

tradizione, tanto che si porrebbe giustamente la necessità di una soppressione per inutilità del ruolo. Ciò non

toglie che sia grave la sua mancata convocazione.

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Intanto alcune Corti (Milano, Genova) si indirizzano a considerare completo il divieto in questione, senza che

sia necessaria la delibera applicativa, e dunque bocciano la diversa contabilizzazione degli interessi

configurante anatocismo. Attendere ancora la predetta delibera significherebbe dare per scontato che essa

possa apportare elementi modificativi del tassativo divieto dell'anatocismo oppure che essa possa agire tra le

curve delle imperfezioni tecniche del divieto, con il risultato di eventualmente derogare alla norma primaria,

cosa che sarebbe illegittima. Altro sarebbe invece un intervento del Cicr, benché tardivo, per disciplinare

modalità che non vulnerino la sostanza del divieto. Ma qui si dovrebbe dire «imputet sibi»; il Cicr cioè riferisca

a se stesso e ai suoi ritardi il fatto che ormai i giudici, considerando la lapidarietà e la inequivocabilità della

norma, in qualche modo dimostrano anche l'irrilevanza dello stesso Comitato. Quanto al ministro, si può

essere giustamente impegnati a evidenziare i ritardi della giustizia, in particolare di quella civile - come il 30

aprile ha fatto ancora una volta Padoan - insieme con altri ritardi e inefficienze e, poi, continuare nella

tradizione temporeggiatrice del Cicr? (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 085, pag. 25 del 01/05/2015

Riforme

Questioni di competenzaIn ballo non c'è solo l'apertura del mercato dei non performing loan e il tema della bad bank. Il governo punta a riordinare l'intero diritto fallimentare. Ma la Guidi non cede sulla regia politica d-egli stati di crisi

di Antonio Satta

L'ultima rassicurazione l'ha data il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, giovedì 30 aprile, intervenendo

al V Salone della Giustizia. Il governo sta preparando «misure che semplifichino le procedure fallimentari»,

per fare in modo che le banche possano cedere più facilmente sul mercato i loro crediti in sofferenza,

facilitando «l'ingresso in questo mercato di operatori che trovano attraente investire in questi crediti». Si tratta

del pacchetto di «iniziative in materia di non performing loan», a cui si

accennava nel Programma nazionale di riforma predisposto da Matteo

Renzi, che dovrebbe arrivare entro il prossimo giugno. Un pacchetto

complessivo che come anticipato da MF-Milano Finanza interessa molto da

vicino le banche, comprendendo sia il trattamento fiscale delle perdite sui

crediti deteriorati, oggi spalmato su un periodo di cinque anni (che l'Abi

aveva chiesto di accorciare), sia la questione del recupero dei crediti, che

sarà un po' il cuore della riforma del concordato fallimentare, prevedendo un

ruolo attivo dello Stato che, censori europei permettendo, potrebbe

partecipare a un veicolo creato ad hoc o fornire garanzie per facilitare lo

smobilizzo dei non performing loan.

Al tema stanno lavorando alacremente, sotto la supervisione di Palazzo Chigi, i tre ministeri interessati, ossia

l'Economia, lo Sviluppo Economico e ovviamente la Giustizia. A quest'ultimo dicastero spetta il

coordinamento, dato che il lavoro finale dovrebbe convergere in una generale riforma del diritto fallimentare.

Ma proprio questo ruolo sta determinando qualche tensione. Niente di dichiarato, ma soprattutto al ministero

dello Sviluppo economico, secondo quanto risulta a Milano Finanza, c'è qualche timore che allargando troppo

il campo della riforma possano essere rivisti anche alcuni criteri delle procedure concorsuali che dai tempi

della prima legge Prodi sugli stati di crisi, e poi via via con la legge Marzano, la Prodi Bis e poi con il decreto

Ilva, hanno spostato gradatamente scelte e gestione dei commissariamenti delle grandi imprese sul ministero

di Via Veneto, limitando il campo d'intervento dei tribunali.

Non che i giudici non contino, è il tribunale, infatti, che decide se l'azienda in crisi è in stato d'insolvenza e

attiva la procedura di concordato, continuando a monitorare i vari passaggi; ma, se l'impresa in crisi ha più di

duecento dipendenti e un indebitamento pesante (superiore ai due terzi sia del dell'attivo dello stato

patrimoniale sia dei ricavi dell'ultimo esercizio), a decidere il nome del commissario e a vigilare sul suo

lavoro, non sono più i magistrati, ma il ministero dello Sviluppo Economico. Ecco, il timore che comincia a

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serpeggiare negli uffici del ministro Federica Guidi è che possa esser modificato questo meccanismo, che è

stato invece rafforzato con il decreto Ilva, che ha esteso la possibilità di accedere all'amministrazione

straordinaria, oltre alle imprese con le caratteristiche già accennate, anche a quelle che gestiscono almeno

un sito di interesse strategico nazionale. La ratio, che a via Veneto intendono difendere a spada tratta, è che

la priorità, soprattutto in fasi difficili come quella attuale, resti la salvaguardia dell'impresa e dei suoi occupati.

Una preoccupazione così forte che nel decreto Ilva è stata anche introdotta una norma ad hoc sulla vicenda

tarantina, per impedire che un magistrato possa sindacare le mosse del commissario, bloccandolo con

qualche indagine collaterale. Nel decreto è stata prevista, infatti, una sorta di immunità penale per l'ex

presidente dell'Enel, Piero Gnudi, precisando che le sue decisioni di attuazione del piano ambientale, «non

possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da

questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in

materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro». Non è un caso,

insomma, se il ministro Guidi sottolinea da tempo che nel lavoro di riordino delle varie procedure concorsuali

e di crisi d'impresa, l'idea base è di uniformare gli orientamenti giurisprudenziali, «prestando soprattutto

attenzione alla conservazione e alla continuità dell'imprese». E questo «in funzione del mantenimento dei

livelli occupazionali e della salvaguardia dei settori produttivi del nostro sistema economico. L'intervento

pubblico nell'economia», ha osservato sempre il ministro Guidi, «ha cambiato completamente natura: vorrei

quasi parlare di Stato facilitatore, che olia il funzionamento dell'economia nelle fasi di particolare attrito.

L'amministrazione straordinaria è un pezzo essenziale di questa nuova cassetta degli attrezzi». Conclusione

implicita: è meglio se quei cacciaviti restano in mano a chi decide la politica industriale. (riproduzione

riservata)

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PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL?QUADRO

L’adeguamento degli assegni interessa 5,2 milioni di pensionati Trovati i soldi toccherà all’Inps rifare i calcoli

Pensioni da rivalutare, «buco» da 5-10 miliardi

Incostituzionale il blocco della perequazione applicato sui trattamenti da 1.443

euro in su

La Corte costituzionale ha cancellato la mancata rivalutazione in base all’inflazione

delle pensioni di poco superiori a 1.400 euro: la penalizzazione fissata dal Dl

201/2011 è stata applicata nel 2012-2013.

L’effetto sui conti pubblici è pesantissimo. Il conto preventivato dall’avvocatura dello

Stato, nella memoria in difesa del decreto 201 davanti alla Corte, è stato di 5 miliardi

ma si tratta di una cifra al ribasso. In base ai dati Inps sulle pensioni la mancata

rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps ha fatto

“risparmiare” almeno 6 miliardi nei due anni. A questo andrebbe aggiunto l’effetto-

trascinamento per i periodi successivi. Il conto di quanto va restituito - considerando

un quinquennio - potrebbe essere vicino ai 10 miliardi. Destinatari circa 5,2 milioni di

pensionati.

All’interno della Corte la sentenza 70/2015 è stata dibattuta fino all’ultimo con i

giudici che si sono divisi, e la pronuncia di illegittimità è stata decisa con un solo voto

di maggioranza. Tra i contrari anche Giuliano Amato, autore della riforma della

previdenza del ’92.

La sentenza è stata depositata ieri alla cancelleria della Corte costituzionale, anche se

la decisione risale al 10 marzo. L’opposizione plaude, talvolta anche sopra le righe

(«togliamo la cittadinanza alla Fornero», Matteo Salvini, Lega Nord; «Oggi non

sorridono solo i pensionati d’oro», Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia; «La Consulta ha

ridato dignità ai pensionati», Renata Polverini, Fi).

La rivalutazione delle pensioni, in base al Dl 201, veniva negata alle pensioni di poco

superiori a 1.400 euro lordi; la misura era stata giustificata in Parlamento «quale

provvedimento di emergenza finanziaria». I giudici costituzionali rilevano il mancato

rispetto degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.

La Corte non contesta la discrezionalità del legislatore nel modulare la perequazione, a

patto però di fondarsi sulla «ragionevolezza», per perseguire un progetto di

uguaglianza sostanziale e in modo da evitare disparità di trattamento verso i

pensionati.

La Corte, del resto, era già intervenuta in tema di perequazione, con la sentenza

316/2010, ma in quell’occasione il blocco per i trattamenti superiori a otto volte il

minimo Inps per il 2008 (legge 247/2007) aveva superato il vaglio di costituzionalità.

«Il legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali

deve dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle

risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze

minime di protezione della persona».

Su quest’ultimo aspetto insistono i giudici che richiamano il legislatore a scongiurare

«un non sopportabile scostamento» tra l’andamento delle pensioni e quello delle

retribuzioni. Nel 2008 le pensioni senza rivalutazione, per un solo anno, erano -

sottolinea la Corte - di importo piuttosto elevato e presentavano «margini di resistenza

all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo».

Non altrettanto può dirsi per la manovra 2012-2013. Il blocco a tutti i trattamenti

pensionistici superiori a tre volte il minimo Inps mina il diritto a una prestazione

previdenziale adeguata nei confronti di quei titolari di pensione modesta e che hanno

maggiore difficoltà ad adeguare i propri redditi alle loro necessità.

Le pensioni superiori a 1.443 euro (valore 2012, 1.486,29 valore 2013) non hanno

subito, nel 2012-2013, alcuna rivalutazione.

Dal 1° gennaio 2014, la rivalutazione è stata riattribuita – seppur con gradualità in

funzione dell’importo – senza prevedere alcun recupero per gli anni di blocco. Ciò ha

portato inevitabilmente a una perdita irrecuperabile e quindi a una riduzione del potere

di acquisto (in media mille euro nel biennio).

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Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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Per questo, il diritto a una prestazione previdenziale adeguata risulta

irragionevolmente sacrificato essendo intaccati i diritti fondamentali connessi al

rapporto previdenziale. La pensione è, infatti, intesa quale retribuzione differita in un

quadro di solidarietà.

Che cosa succederà adesso? Il Governo si dovrà adeguare, cercando le risorse

necessarie. Le pensioni, nel biennio 2012-2013, dovrebbero essere rivalutate in base

alla disciplina precedente: al 100% per gli importi fino a tre volte il minimo, al 90%

per la parte eccedente e fino a cinque volte il minimo, al 75% per la quota superiore. I

dettagli su calcoli e restituzione saranno messi a punto dall’Inps, d’intesa con il

Governo. Beninteso, una volta scovato un bel gruzzolo di miliardi.

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Maria Carla De Cesari

Fabio Venanzi

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

La disoccupazione torna al 13%

A marzo persi 59mila posti ma aumentano i rapporti a tempo indeterminato -

Giovani senza lavoro al 43,1%

ROMA

Il mercato del lavoro non riparte: a marzo il numero di occupati scende di 59mila unità

sul mese (-70mila sull’anno). Il tasso di disoccupazione sale al 13% (sfiora il picco

record del 13,2% registrato lo scorso novembre). L’esercito dei senza lavoro si attesta

a quota tre milioni e 302mila persone (+52mila rispetto a febbraio, e addirittura più

138mila nel confronto tendenziale).

La fotografia è nera anche per i giovani: l’occupazione, sempre a marzo, è

sostanzialmente stabile, cresce il numero di chi non ha un impiego (+8mila under 25

rispetto a febbraio) e, soprattutto, schizza in alto il tasso di disoccupazione che

rimbalza al 43,1% (in crescita di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente).

I dati diffusi ieri dall’Istat, seppur provvisori, frenano gli entusiasmi, dopo

l’incremento del numero di contratti evidenziato dal ministero del Lavoro nei giorni

scorsi (si vedano gli approfondimenti qui sotto): il tasso di occupazione cala al 55,5%

(torniamo indietro ai livelli di aprile 2014). E nei primi tre mesi dell’anno, rispetto al

trimestre precedente, non c’è un boom di nuovi posti: l’occupazione si riduce di 0,1

punti (dopo un incremento, un po’ anomalo secondo gli esperti, degli ultimi mesi

2014).

Certo, il numero di inattivi continua a contrarsi (in un anno la diminuzione è pari a

140mila persone), e ciò testimonia come una quota di scoraggiati, soprattutto donne

(-128mila unità a fronte di -12mila uomini) si stanno rimettendo in cerca di un lavoro

per rimpinguare il bilancio familiare eroso dalla crisi. Ma il confronto internazionale

ci vede indietro. Nell’area euro il tasso di disoccupazione a marzo rimane stabile

all’11,3% (peggio del nostro 13% solo 5 Paesi: Portogallo, Cipro, Croazia, Spagna e

Grecia, anche se qui il dato disponibile, fornito da Eurostat, è di gennaio). Siamo

distanti dalla performance migliore, la Germania con il 4,7% di disoccupazione. Va

ancora peggio per quanto riguarda gli under 25: nell’eurozona, a marzo, il tasso di

senza lavoro tra i giovani è al 22,7 per cento. I paesi più virtuosi sono Germania

(7,2%), Austria (10,5%), Danimarca e Olanda (entrambe al 10,8%). I risultati peggiori

invece li registrano: Grecia e Spagna (50,1% di disoccupazione giovanile, in entrambi

gli Stati), Croazia (45,5%) e Italia, quart’ultima, con il 43,1%. Il governo invita alla

cautela. Il titolare del Lavoro, Giuliano Poletti, evidenzia come l’uscita da un lungo

periodo di crisi «è sempre all’insegna di alti e bassi. Ci sono comunque elementi di

contesto positivi, che al momento non hanno ancora prodotto effetti statisticamente

stabili. Per questo bisogna proseguire con decisione il percorso di riforme per

stabilizzare e rafforzare le condizioni per la ripresa». L’andamento del mercato del

lavoro «non ci lascia soddisfatti - aggiunge il responsabile economico del Pd, Filippo

Taddei -. Dobbiamo continuare nell’attuazione del Jobs act».

C’è un aumento dei rapporti a tempo indeterminato (per lo più trasformazioni di

contratti precari e di “falsi” autonomi), e questo soddisfa il ministro dell’Economia,

Pier Carlo Padoan. Ma la crescita stenta. E per questo «occorre un clima di atti e

comportamenti complessivamente favorevoli all’impresa, a cominciare dalla riduzione

della pressione fiscale», dice Maurizio Sacconi (Ap). Il punto, aggiunge Cesare

Damiano (Pd), è che bisogna rafforzare nel Paese la fiducia nella possibilità di una

crescita solida e progressiva: «Ecco perché il primo provvedimento da adottare è

garantire gli incentivi per il lavoro stabile anche dopo il 2015».

Opposizioni e sindacati vanno all’attacco. I dati dell’Istat sono «pessimi», commenta

Renato Brunetta (Fi), e Beppe Grillo (M5S), su twitter, evidenzia come il Jobs act stia

di fatto aumentando la disoccupazione (c’è «un popolo di disoccupati»). E quindi:

«l’occupazione deve essere l’ossessione del Governo», incalza la Cgil, con Susanna

Camusso (che ricorda la data emblematica di oggi, 1° maggio). I posti di lavoro «si

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Istat: la disoccupazione torna a salire, +0,2% a marzo. Tra i giovani è al 43,1%

La lenta redistribuzione del lavoro

«Travaso di precari nel lavoro dipendente»

Donne e giovani under 25 i più penalizzati

Partita tecnologica sul lavoro

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creano solo con la crescita», aggiunge Annamaria Furlan (Cisl). «Non c’è dubbio che

la rotta vada invertita - chiosa Carmelo Barbagallo (Uil) -. Chi pensa però che possa

essere sufficiente una legge per ottenere questo risultato, si illude».

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Claudio Tucci

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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Page 123: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

MENO OCCUPATI Per i ragazzi il tasso di occupazione è fermo al 14,5%, con una contrazione dei giovani occupati del 5,5% (pari a -50mila unità)

La congiuntura. Sui 138mila disoccupati in più sull’anno, ben 107mila sono donne a fronte di 31mila

uomini

Donne e giovani under 25 i più penalizzatiROMA

Se si guarda il bicchiere mezzo pieno si può vedere una forte diminuzione del numero

di inattivi (-140mila su marzo 2014), soprattutto donne, che si rimettono in cerca di un

impiego (e statisticamente vengono annoverate come disoccupate). C’è poi un effetto

ricomposizione dei rapporti di lavoro, verso un maggior utilizzo del contratto a tempo

indeterminato (che cresce, e sale soprattutto la sua incidenza sul totale dei nuovi

contratti).

Visto dal lato mezzo vuoto, invece, il mercato del lavoro si conferma in forte affanno.

Anche a marzo continuano a scendere gli occupati (nei primi tre mesi dall’anno

l’occupazione si è contratta di 0,2 punti in termini di variazione media rispetto al

quarto trimestre 2014). Numeri che sembrano così smentire i dati forniti solo qualche

giorno fa dal ministero del Lavoro che parlavano di 92mila contratti in più rispetto a

marzo dello scorso anno. Nel confronto però bisogna considerare che quelli che

arrivano dal ministero sono numeri basati sulle comunicazioni amministrative delle

imprese pronte ad attivare un contratto a livello subordinato e non tengono conto del

pubblico impiego, del lavoro interinale e di quello autonomo.

L’Istat procede invece con rilevazioni a campione su tutto lo stock di occupati e

disoccupati, considerando anche gli autonomi e i precari.

E quindi come leggere questi dati? Come la conferma che si sta avendo un aumento

dei lavoratori contrattualizzati (anche attraverso una diminuzione del lavoro

irregolare), che tuttavia non sta determinando un aumento assoluto nel numero degli

occupati. Insomma, il perimetro dell’occupazione si riduce, ma il rapporto di lavoro

diventa un po’ più stabile perché si utilizzano i forti incentivi economici previsti dalla

legge di Stabilità, a cui si aggiungono, dal 7 marzo, le nuove regole sulle tutele

crescenti. Ecco perché, in questa fase di transizione e di incertezza, è opportuno

rassicurare gli operatori «prorogando la decontribuzione nei prossimi anni, anche

magari con interventi mirati al Sud e alle donne», sottolinea l’economista, Marco

Leonardi.

Il punto è che il mercato del lavoro si adegua sempre con ritardo all’andamento

dell’attività economica. «Se questa prende a crescere, sono le ore di lavoro di coloro

che sono già in azienda a incrementarsi per prime attraverso una riduzione di Cig e

part-time - spiega il capo economista di Nomisma, Sergio De Nardis -. E quindi

l’aumento del numero di occupati si verifica, con ritardo, solo se la produzione si

riprende in misura da giustificare l’ampliamento del personale rispetto alla

disponibilità attualmente esistente».

In questa fase, e riprendendo i dati Istat di marzo, sono essenzialmente le donne e i

giovani a preoccupare maggiormente. Sui 138mila disoccupati in più sull’anno, ben

107mila sono donne (a fronte di 31mila uomini). Non sono meglio i numeri sugli

under25. Il tasso di occupazione è fermo al 14,5%; e in termini tendenziali, rispetto a

marzo 2014, si osserva una contrazione del numero di giovani occupati del 5,5% (pari

a -50mila unità). In calo anche il numero di disoccupati (-6,9%, pari a -49mila

under25) a fronte però di una crescita del numero di inattivi dell’1,5% (+66mila

ragazzi “scoraggiati”). Anche con riferimento alla media degli ultimi tre mesi per i

ragazzi 15-24enni si evidenzia il calo dell’occupazione e della disoccupazione e la

crescita dell’inattività. Su questi numeri pesa per intero l’insuccesso che finora sta

accompagnando l’attuazione di «Garanzia giovani», il programma Ue

antidisoccupazione giovanile. Il piano è stato finanziato con 1,5 miliardi. Ma a oggi i

contratti di lavoro attivati sono davvero minimi.

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Cl. T.

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

I numeri. Dell’Aringa: i dati possono essere letti come collaborazioni e partite Iva trasformate in

contratti stabili

«Travaso di precari nel lavoro dipendente»

ROMA

Il saldo positivo di nuovi contratti, in particolare di quelli a tempo indeterminato,

registrato, a marzo, dal ministero del Lavoro e il calo di occupati certificato, nello

stesso mese, dall’Istat «potrebbe essere letto, a livello economico, anche come un

travaso del lavoro precario e autonomo in lavoro dipendente. Penso, in particolare, alle

collaborazioni e alle partite Iva, strutturate già come rapporti di tipo subordinato, e ora

trasformate dai datori in contratti stabili per beneficiare dei forti incentivi fiscali e

normativi previsti dalla legge di Stabilità e dal Jobs act».

Per Carlo Dell’Aringa, classe 1940, economista del lavoro all’università Cattolica di

Milano, ora deputato Pd, la fotografia scattata dall’Istat conferma un mercato del

lavoro «che non riparte. L’occupazione è tornata ai livelli della primavera scorsa. Ma

non bisogna sorprendersi. Dopo una crisi così forte, come quella che abbiamo avuto

dal 2008, una crescita che fa fatica a decollare, e una bassa produttività, ci vorrà

ancora del tempo, dei mesi, per vedere primi concreti segnali sul fronte del lavoro».

Certo, i dati sulle comunicazioni obbligatorie diffusi la settimana scorsa dal ministero

guidato da Giuliano Poletti avevano evidenziato un risultato incoraggiante. Poi ieri è

arrivata «la doccia fredda» dell’Istat.

Ma «stiamo analizzando due dati diversi - spiega Dell’Aringa -. Il ministero del

Lavoro rende note le comunicazioni amministrative che fanno le imprese che attivano

un nuovo contratto di lavoro. Sono dati di flusso, e guardano all’occupazione

subordinata. L’Istat fa indagini campionarie che misurano lo stock complessivo».

Non c’è dubbio che prima o poi i flussi influenzeranno anche lo stock. Ma ciò,

secondo Dell’Aringa, succederà nel lungo periodo. Intanto si può abbozzare un

ragionamento economico su questi dati, e si può dire che molti contratti precari si

stanno trasformando in rapporti a tempo indeterminato, resi ora più convenienti. Ci

sono stabilizzazioni di partite Iva e collaborazioni. Sta emergendo anche un po’ di

lavoro nero. Questo fa aumentare i contratti, rilevati dal ministero del Lavoro, ma non

l’occupazione, che certifica l’Istat, che invece è in calo.

La fotografia di ieri ci riporta ai livelli della primavera 2014. Anche qui va fatta

chiarezza: «Io continuo a non spiegarmi l’espansione dell’occupazione evidenziata

dalle statistiche negli ultimi mesi dello scorso anno - dice Dell’Aringa - quando tutti i

principali indicatori economici erano in calo, o comunque fermi. Probabilmente, ora, il

mercato del lavoro si sta depurando di questa crescita anomala, e sta tornando a livelli

più realistici».

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Cl.T.

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La lenta redistribuzione del lavoro

Donne e giovani under 25 i più penalizzati

Rimbalzo della produzione ad aprile

Le strade arrivano al fotofinish

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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Page 125: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

PRIMO PIANO 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

PARADOSSI

La lenta redistribuzione del lavoro

Oggi sarà solo il primo maggio. Non sarà la Festa del lavoro. I dati dell’indagine

campionaria dell’Istat hanno ancora una volta gelato gli entusiasmi accesi dalla

rilevazione amministrativa del ministero del Lavoro su attivazioni e cessazioni. E

dunque c’è ancora poco da festeggiare anche se qualcosa sta cambiando.

I dati sono presto detti: in un mese a marzo abbiamo perso 59mila posti di lavoro e

aumentato di 52mila unità l’esercito di 3,3 milioni di persone. Il 25 aprile il ministero

segnalava con soddisfazione che il saldo tra nuovi contratti e contratti cessati era

positivo di 92mila unità facendo pensare a una svolta.

Le due rilevazioni fotografano situazioni non omogenee: l’indagine amministrativa

non tiene conto del pubblico impiego, dei lavori interinali, del lavoro autonomo e

quindi anche delle partite Iva (molte delle quali chiuse e in parte trasmigrate in

contratti più stabili), quindi può indicare una tendenza parziale sul lavoro dipendente

“classico”, ma non sull’intero panorama occupazionale oggetto dei “radar” dell’Istat.

A marzo, il mese di debutto effettivo del jobs act unito agli sgravi previsti dalla legge

di stabilità operativi già da gennaio, si è registrata una redistribuzione di occupazione:

si è passati dai contratti precari o instabili verso i nuovi contratti a tempo

indeterminato a tutele crescenti di nuova edizione. Un dato di per sé positivo anche se

non è ancora il nuovo corso per la creazione di posti di lavoro aggiuntivi.

I morsi della crisi più dura di una guerra hanno lasciato segni profondi e non si

recuperano in pochi mesi. La recessione ha distrutto il 10% del Pil e da più di 20 anni

l’Italia non conosce segno positivo negli indicatori della produttività che chiamano in

causa un costo del lavoro fuori registro, un total tax rate da incubo per chiunque voglia

investire, una ricerca affidata al pionierismo delle aziende più innovative spesso

nemmeno rilevate dalle statistiche, una burocrazia nemica dello sviluppo, un contesto

della giustizia incerto nei risultati e infinito nei tempi.

Continua pagina 8 Alberto Orioli

Continua da pagina 1 Le riforme sono state avviate e segnali forti ne sono stati dati:

oltre al jobs act dovrebbero servire la revisione della Pubblica amministrazione (che

proprio ieri ha avuto un primo via libera), poi l’apertura del mercato del credito con il

riassetto delle popolari e delle fondazioni, i provvedimenti per la competitività oltre

alla revisione “a macchia di leopardo” dovuta ai tanti provvedimenti sulla giustizia

civile e penale. Ma il dispiegamento di questi “effetti sistemici” non può essere

immediato e non ammette scorciatoie.

L’economia reale sta reagendo, ma è soprattutto impegnata a riassorbire i

cassintegrativi e sta uscendo dai contratti difensivi di riduzione di orario di lavoro e di

stipendio con cui

sono stati salvati

posti di lavoro.

Solo dopo la fase di assorbimento degli ammortizzatori sociali, serviti a traghettare le

imprese sane e competitive fuori dalla recessione, si potrà scommettere

sull’ampiamento della platea dei lavoratori.

Per adesso ci si deve accontentare di una tendenza di lungo periodo, con andamenti

ancora non costanti, che vede il travaso dal bacino della disperazione e dei senza

speranza – statisticamente i cosiddetti inattivi – verso quello più reattivo e,

paradossalmente, fiducioso dei disoccupati in senso stretto che, comunque, un lavoro

intendono cercarlo: in un anno in 140mila hanno fatto questo salto.

La “narrazione” della politica economica fatta dal Governo ci ha indotto a una velocità

comunicativa che non è quella dei dati. E, spesso, non è quella concessa dai molti

vincoli di finanza pubblica ancora presenti nonostante la “benevolenza” di Bruxelles

verso il nostro quadro macroeconomico. Un quadro, peraltro, destinato a mutare

repentinamente (in peggio) dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni che ha

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Partita tecnologica sul lavoro

Istat e Bankitalia: «L’economia migliora»

Donne e giovani under 25 i più penalizzati

«Padiglione Italia oltre le polemiche»

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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Page 126: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

ipotecato 5 miliardi tutti ancora da trovare, con buona pace di “tesoretti” più o meno

virtuali.

Il vero “tempo reale” dell’economia mostra indizi di cambio di scenario che solo una

volta consolidati daranno vita al ciclo positivo della nuova occupazione. Come è il

caso della produzione industriale: ieri il dato anticipatore del Centro studi

Confindustria avverte di un + 0,5% in aprile, meglio di marzo, quando l’indice calò

dello 0,1 per cento.

Sempre l’Istat ieri ha annunciato un aumento della fiducia nel settore manifatturiero

per l’ottavo mese consecutivo, ma molto fondato sulla domanda estera. Quella interna

ancora è invariata. Ed è proprio questo il punto: la glaciazione di un Paese non più in

grado di consumare.

Ma anche in questo caso il dato dell’inflazione mostra che qualcosa sta cambiando

anche nella domanda interna grazie agli effetti, in tutta Europa, della iniezione di

liquidità propiziata dalla Bce. E il costo della vita in Italia è salito dello 0,3% ad aprile

su marzo.

Ciò che conta è creare un nuovo clima di fiducia per migliorare le attese e le riforme

servono anche a questo. La percezione negli attori del mondo produttivo sta

cambiando, lentamente, in meglio. Ed è auspicabile che possa servire a questo anche

la suggestione dell’Expo.

Per ora i segnali positivi degli indicatori sono fermi allo zerovirgola. Così come è

ancora debole l’aspettativa di rilancio del Pil entro fine anno, anche se in fase di

consolidamento, come ha avvertito sempre ieri la stessa Banca d’Italia.

Se non aumenterà la velocità di uscita dalla curva della recessione, l’Italia dovrà fare i

conti con altri guasti prodotti dalla crisi, primo di tutti la perdita (o lo spreco) di

capitale umano.

Il meglio dei cervelli formati egregiamente in casa nostra ormai emigra. E l’Italia si

trova stretta tra due tendenze opposte: la spinta del lavoro immigrato a bassa

qualificazione (crescente) che induce le imprese verso salari ridotti e ritarda il

miglioramento tecnologico-competitivo e una richiesta di capitale umano “ad alta

caratura” che risulta non reperibile sul mercato o perché non formato o perché non più

disponibile in patria.

Un doppio paradosso che potrebbe portare la cosiddetta disoccupazione fisiologica su

livelli

mai conosciuti

in precedenza.

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Alberto

Orioli

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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COMMENTI E INCHIESTE 01 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

il futuro dell’occupazione

Partita tecnologica sul lavoro

Le nuove competenze dell’epoca hi-tech e i ritardi dell’Europa

Il futuro del lavoro si presenta, se possibile, più incerto nei grandi paesi europei-

continentali a industrializzazione “matura”, per tecnologia e qualità dei manufatti, ma

in relativo ritardo nei settori di high technology rispetto ai paesi anglo-americani.

Germania, Francia e Italia non sono stati protagonisti della rivoluzione informatica e

telematica che ha caratterizzato i paesi anglosassoni (gli “innovatori” nello scorcio di

fine secolo). Gli Stati Uniti hanno usufruito della loro posizione dominante in questa

rivoluzione tecno-scientifica che ha consentito loro di recuperare l’occupazione persa

in processi quali la deindustrializzazione e la disintermediazione.

L’incidenza dell’occupazione manifatturiera negli Stati Uniti è scesa dal 22,5% del

1980 all’attuale 10% e si ridurrà a poco meno del 3% entro il 2030. Grazie anche ai

nuovi motori tecnologici e d’innovazione a trazione finanziaria, gli Usa per primi

hanno recuperato quanto perso nella crisi in termini di reddito (-5,6%) e

d’occupazione (a febbraio 2015 la disoccupazione si è ridotta al 5,5%, contro il 9,7%

della UE e il 12,6% dell’Italia). Anche il Regno Unito ha beneficiato della rivoluzione

informatica e telematica a trazione globale, poiché le sue attività finanziarie,

commerciali, assicurative, culturali – in breve, di servizio – hanno per prime cavalcato

l’innovazione, negli anni Novanta, con grandi margini di espansione in valore,

occupazione ed efficienza. E il Regno Unito, nonostante l’austerità applicata alle

politiche pubbliche in questi anni di crisi, è oggi tra i paesi in cui è più promettente un

rapido recupero dei valori reddituali e occupazionali pre-crisi (disoccupazione al 5.5%

nel dicembre 2014).

Al contrario, la Uem ha vissuto la rivoluzione informatica da colonizzata in termini di

consumo interno e ha conosciuto l’effetto labour killing dell’automazione nel settore

manifatturiero, nella logistica, nei servizi d’intermediazione e nel trattamento dati,

tutti settori che, seppur gradualmente, hanno perso occupazione. Le nuove tecnologie

dotano i consumatori europei di protesi (mobile, computer, iPad, ecc.) che consentono

“superpoteri personali” (un empowerment dell’individuo, seppur limitato dall’attuale

condizione di autonomia individuale sotto sorveglianza). Per l’economia europea la

metabolizzazione delle nuove tecnologie in settori tradizionali, se ha incrementato la

produttività e il potenziale di crescita, ha però ridotto l’occupazione più severamente,

perché la Uem, nel suo complesso rispetto agli Usa, non è stata capace di innovare in

modo diffuso nuove professionalità e mestieri e di cogliere le nuove opportunità di

lavoro del technological change.

La Commissione europea è ben consapevole che prevenire la disoccupazione

tecnologica è un compito difficile da assolvere soprattutto in sede intergovernativa,

nel cui ambito le asimmetrie tra paesi, le differenti velocità delle economie dei paesi

membri si riverberano sulle decisioni da adottare. La disoccupazione tecnologica in

Europa conosce diverse intensità e sfumature, a secondo dei contesti nazionali e

regionali. I più penalizzati sono i paesi fiaccati dalla crisi, perché possono accumulare

ritardi su ritardi nei prossimi anni e, quindi, incrementare la loro distanza dalla

frontiera tecnoeconomica. Per altro, gli studiosi danno per scontato un innalzamento

dell’asticella dell’high tech entro il 2030, quando l’intelligenza artificiale,

l’automazione e la nuova rivoluzione biologica e biomedica alle porte avranno avuto

un impatto maggiormente diffusivo. In breve, ci si chiede come nel medio-lungo

periodo potrà esserci lavoro umano in un mondo affollato da robot e da intelligenza

artificiale.

Non sono solo i paesi europei in ritardo (tra essi i più deboli) a essere colpiti sul piano

occupazionale. Negli Usa la veloce riduzione della disoccupazione è dovuta (e in

qualche modo occultata) dall’eccezionale aumento d’incidenza di contratti part-time e

da fenomeni di scoraggiamento tra l’offerta di lavoro potenziale. Secondo la Banca

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Page 128: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

mondiale, entro il 2030, il Pianeta perderà 2 miliardi di posti di lavoro, mentre nei

prossimi dieci anni entreranno nel mercato del lavoro 1 miliardo di persone. Secondo

l’ILO, entro il 2018 la disoccupazione nel mondo riguarderà 215 milioni di persone.

Se si avverasse l’impatto di questi fenomeni previsti da grandi Organizzazioni

mondiali, se si realizzasse l’ipotesi di una diminuzione d’incidenza dell’occupazione,

che farà il resto della popolazione per vivere? Che tipo di balcanizzazione del mercato

del lavoro si creerebbe soprattutto nei paesi in cui è previsto un allungamento della

longevità (aumento dell’età pensionabile), come appunto in paesi europei

“invecchiati”, come Francia, Germania e Italia? Dovremmo provvedere a una

disoccupazione eccedente di medio periodo soprattutto tra i giovani? Di che welfare

avrebbe bisogno un mondo del lavoro segmentato dall’età, ma anche dalle

competenze? Che fare sulle inevitabili disuguaglianze sociali e reddituali tra un

battaglione tecnologico attivo e produttivo ben delimitato (race with the machine) e un

esercito di sottoccupati in lavori routinari, ma soprattutto di disoccupati?

Tuttavia, è sperabile che la consapevolezza del rischio in cui l’Occidente può incorrere

spinga i governanti europei a costruire una politica espansiva dei settori high tech, una

scelta in grado di stimolare il potenziale di nuovo lavoro di questi settori, la loro

capacità generatrice di occupazione aggiuntiva, soprattutto nei servizi,

nell’intermediazione, nella logistica, ecc. Si andrebbe verso uno scenario in cui, per

iniziativa dei paesi, anche in Europa si diffonderà la rivoluzione informatica che

implicherà generare e mobilitare lavoro e, in particolare, lavoro autonomo. Tra una

manciata di anni, anche gli imprenditori avranno una fetta di nativi digitali. Non ci

sarà un displacement del lavoro, ma l’alta tecnologia indurrà a cascata posti di lavoro

e nuova imprenditorialità anche in dimensioni “altre”, come il tempo libero, la cultura,

la sostenibilità ambientale, ecc. Saranno maggiormente necessarie le sinergie e le

connessioni di coordinamento, anche più della competizione. L’accesso, come da

tempo sostiene Rifkin, diverrà prioritario rispetto all’ownership. Nessuno ha la sfera d

cristallo in grado di prevedere, ma quel che è certo è che il futuro (migliore) ce lo

dobbiamo costruire (e anche meritare), comprendendo che sul presente esso ha

influenza come il passato.

Tuttavia, anche in questo scenario positivo (occupazione in parte compensata) non

spariranno le incertezze. La prima è se l’innovazione tecnoscientifica consentirà di

accrescere non solo la domanda di super skill workers, ma anche di lavoro ordinario di

supporto, come a esempio avviene nei call center o nell’e-commerce. La seconda è

che comunque anche in questa prospettiva positiva rimane il gap tra un mondo

minoritario super skilled e uno ordinario di supporto, questo secondo alimentato dalla

sottoccupazione, con basse retribuzioni per la pressione esercitata dal globale. La

segmentazione insisterebbe in modo particolare non solo sulle retribuzioni, ma anche

sulla qualità del lavoro svolto, che sarà di migliore qualità per la cerchia più ristretta.

La terza incertezza è che se la produttività continua a crescere e l’occupazione non

riprende a sufficienza questo comporterà una crescente crisi sociale suscettibile a

imprevedibili manifestazioni ed esiti. Crescerebbero le disuguaglianze economiche e

sociali. In presenza di occupazione calante, gran parte dei benefici della crescita di

produttività andrebbero ai più ricchi, come avvenuto negli States anche in questi otto

anni.

In conclusione, anche la prospettiva positiva, viste le incertezze citate, necessiterebbe

di un ri-centraggio delle politiche del lavoro e di welfare. La qualità e la forma dei

nuovi lavori dovrebbero essere nell’agenda dei governi con politiche d’incentivazione

del lavoro vocazionale, a sua volta stimolato dall’introduzione di nuovi sistemi di

produzione (es. stampanti 3-4D) inclini a far espandere il self-employment. In tal

senso, è prevedibile che il mondo futuro sarà più imprenditoriale di quello passato

industriale e dell’attuale in transizione. La diffusione di un reddito minimo di

cittadinanza sarà visto con minor spigolosità con cui oggi si guarda a come a un

sussidio: diverrà piuttosto un’opportunità per dedicarsi a realizzare un lavoro affine

alle proprie predisposizioni e vocazioni.

L’articolo è uno stralcio da un progetto di ricerca ( «Cercare lavoro nel futuro: sarà

degli uomini o dei robots? Scenari europei a destini divergenti») presentato per

l’Accademia Nazionale dei Lincei.

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Carlo Carboni

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 03 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL PUNTO CRITICO Le «riprese» non si limitano alle due annualità censurate ma determinano un effetto a cascata per i periodi seguenti

Pensioni, recuperi a partire da 4.700 euro

La somma nel caso di assegni pari a quattro volte il minimo - Perdite sopra 10mila

euro per i trattamenti più alti

Recuperi che potranno andare dai 4.700 euro circa per pensionati con assegni che

valgono fino a quattro volte il minimo a più di 10mila euro per pensionati con assegni

che valgono dieci volte il trattamento minimo. Questo il conto che dovrà fronteggiare

l’Erario e che dovranno incassare i pensionati sopo la sentenza della Corte

costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità del mancato adeguamento all’inflazione

per il biennio 2012-2013. Con un effetto a cascata: i recuperi degli anni 2012 e 2013,

infatti, andranno ad alimentare gli incassi dei pensionati per gli anni successivi.

Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale 70/2015 dovrebbero far rivivere

(questa, almeno, è l’ipotesi che si assume nelle simulazioni riportate in questa pagina)

le modalità perequative che erano previste dall’articolo 69 della legge 388/2000.

In occasione delle leggi finanziarie/stabilità, il legislatore ha modificato varie volte i

criteri di adeguamento all’inflazione introducendo eccezioni alla regola generale. Fino

al 2011, l’adeguamento avveniva con il meccanismo degli scaglioni: pertanto

l’importo di pensione superiore a cinque volte il trattamento minimo era adeguato in

misura piena fino alla fascia di importo pari a tre volte il trattamento minimo, al 90%

per la fascia di importo compresa tra tre e cinque volte il trattamento minimo mentre

la parte eccedente veniva adeguata al 75 per cento. Tale dovrebbe essere la modalità di

applicazione anche per gli anni 2012 e 2013 ora che la Corte ha dichiarato

l’incostituzionalità della riforma limitatamente alla mancata dinamica inflattiva degli

importi pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo. Va ricordato, però,

che nel 2014 e 2015 la perequazione non avviene a scaglioni bensì rivalutando

l’assegno in funzione dell’importo complessivo della pensione.

L’effetto è “a cascata” e sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il

trattamento minimo rischia di avere un impatto notevole (si vedano le tabelle riportate

in questa pagina, con importi esposti al lordo dell’imposizione fiscale). Infatti

l’adeguamento all’inflazione per il 2012, produce effetti anche sui ratei pensionistici

degli anni successivi poiché l’aggiornamento avviene prendendo in considerazione

l’importo in pagamento al 31 dicembre precedente.

Se il trattamento alla fine del 2011, per effetto del blocco, era rimasto invariato anche

per gli anni 2012 e 2013, l’adeguamento dell’importo pensionistico – seppur con le

vecchie regole – comporterà un aumento dell’assegno per il 2012. Questo importo

costituirà la base di calcolo dell’adeguamento per l’anno successivo e così via anche

per gli anni a seguire. Ed è così che un assegno di 4.609 euro del 2010 è aumentato a

inizio anno fino a 4.692 euro ma se fosse stata applicata la regola di adeguamento

vigente nel 2001 sarebbe arrivato a 4.923 euro. La perdita complessiva relativa al

periodo 2012/2015 si attesta oltre 10mila euro. Questo mentre, all’estremo opposto

della scala, un assegno di 1.872 euro passerebbe dagli attuali 1.897 a 2.004 con una

perdita complessiva relativa al periodo 2012-2015 di quasi 4.800 euro.

Un ruolo importante nel determinare questi importi lo ha avuto l’indice definitivo

dell’inflazione che nel 2012 è stato pari al 2,7% mentre nel 2013 è arrivato al tre per

cento. Non si registrano, invece, variazioni per gli importi fino a tre volte il

trattamento minimo in considerazione del fatto che per queste rendite l’adeguamento

pre e post decreto legge 201/2011 è stato sempre pari al 100% dell’inflazione. In

questi casi, quindi, l’effetto della sentenza della Corte costituzionale sarà nullo.

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Fabio Venanzi

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R di Rivalutazione

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PRIMO PIANO 03 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE?CIFRE Calcolando anche l’effetto trascinamento sugli anni successivi al 2012-13 si arriva a 10-12 miliardi, che in parte tornano allo Stato come tasse

Le contromosse dell’Esecutivo. Attese domani valutazioni più approfondite sugli interventi da

adottare

Conti pubblici, rischio impatto da 9 miliardi al

netto dell’Irpef

ROMA

C’è un effetto diretto e un effetto trascinamento, determinati dalla sentenza della Corte

costituzionale sulla mancata rivalutazione delle pensioni superiori ai 1.405 euro lordi

che potrebbe pesare tra i 10 e i 12 miliardi lordi sui saldi di finanza pubblica (8-9 al

netto del gettito Irpef). Un impatto che i tecnici del Governo stanno analizzando in

vista degli interventi da adottare: la sentenza è arrivata alla vigilia del 1° maggio e

solo da domani saranno possibili valutazioni più approfondite.

Ai pensionati interessati dalla norma Fornero-Monti giudicata incostituzionale - sono

5,5 milioni su un totale di poco superiore ai 18 milioni - dovrà esser restituita

l’indicizzazione perduta nel biennio 2012-2013 (quando il tasso variò tra il 2,6% e

l’1,9%) e la capitalizzazione della medesima, che vale come base di calcolo per

l’indicizzazione del biennio successivo, il 2014 e il 2015.

La maggior spesa pensionistica che si crea dovrà essere resa compatibile con i quadri

programmatici del Def al vaglio delle autorità europee. Nella soluzione da trovare per

i rimborsi bisognerà inoltre tenere conto dell’aumento che essi determineranno sulla

base imponibile Irpef (per evitare cioè che la restituzione una tantum produca un

aumento penalizzante del prelievo). E bisognerà anche calcolare le contromisure da

prendere sugli effetti futuri, a partire dalla tenuta o meno delle successive misure di

contenimento dell’indicizzazione delle pensioni adottate con la Stabilità 2014 del

Governo Letta (che ha mantenuto il blocco sulle pensioni oltre sei volte il minimo -

circa 3mila euro lordi - e contenuto parte della rivalutazione sopra la soglia dei 1.405).

Quella misura determina minore spesa previdenziale futura, nel 2016 e gli anni a

seguire, per 3-3,5 miliardi l’anno, una tendenza che ora andrà però tutta ricalcolata.

Ulteriore elemento che i tecnici dovranno considerare sarà, infine, il valore degli

interessi maturati sui totali da rimborsare.

Ieri la segretaria dello Spi-Cgil, Carla Cantone, ha chiesto l’immediata applicazione

della sentenza «così come avvenne con il contributo di solidarietà su quelle d’oro che

fu restituito a stretto giro». Secondo il sindacato i risparmi generati dalla norma

incostituzionale e dalle nuove soglie introdotte nel 2014 hanno prodotto risparmi per

9,7 miliardi. Anche il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, ha assunto un’iniziativa

concreta annunciando una class action per far riavere i soldi ai pensionati colpiti. E tra

le considerazioni che circolavano sempre ieri in ambienti sindacali è spuntata anche

un’altra ipotesi: che le motivazioni della sentenza possano valorizzare i ricorsi

giudiziari contro un altro blocco prolungato negli anni, quello dei contratti del

pubblico impiego, che in media non superano di molto la soglia dei 1.405 euro al

mese. La sentenza, s’è limitato a dire il ministro Giuliano Poletti, «non può che essere

applicata», mentre il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco

Boccia, parla di «sentenza additiva che provoca un impatto forte, ora bisogna

concordare una soluzione con Bruxelles».

Da domani anche i vertici dell’Inps potrebbero essere in grado di valutare l’impatto

del pronunciamento dei giudici delle leggi. I precedenti dicono che per ricalcolare

tutte le prestazioni in gioco servirà almeno un mese e se, per esempio, il Governo

dovesse adottare un provvedimento d’urgenza entro maggio il rimborso (parziale o

totale che sia) non potrebbe che arrivare a partire dagli assegni di luglio. La soglia del

“tre volte il minimo” vale per le posizioni individuali e ricomprenderebbe, dunque,

tutte le prestazioni incassate, compresi gli eventuali cumuli.

Non è da escludere che la novità della sentenza si riverberi infine sull’iniziativa

annunciata di riallineamento di tutti i pagamenti pensionistici il primo di ogni mese

(attualmente circa 4 miliardi di prestazioni sono erogate il 10 del mese). L’attesa era

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Renzi preoccupato

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per giugno, ora si vedrà.

.@columbus63

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Davide Colombo

per i saldi: «Non sarà facile

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PRIMO PIANO 03 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’iniziativa. Proiezioni a disposizione dei lavoratori che possono modificare i parametri per

determinare l’importo

L’Inps calcola i trattamenti futuri

Partita l’operazione «La mia pensione». Il tool online che dal 1° maggio è disponibile

sul sito dell’Inps per la gran parte dei lavoratori con meno di 40 anni - e che nei

prossimi mesi sarà disponibile anche per gli altri - fornisce una serie di informazioni

determinanti per la pianificazione del risparmio previdenziale dei lavoratori. Prima tra

tutte, la data presumibile di pensionamento tenendo conto dei futuri incrementi

collegati all’evoluzione della sopravvivenza media della popolazione generale italiana.

Secondo, la stima dell’importo della pensione mensile lorda maturata. Il sistema, di

base elabora, utilizzando i dati individuali che l’Istituto possiede, una proiezione dei

valori in due momenti distinti: al pensionamento di vecchiaia e alla data in

coincidenza con la quale sono raggiunti i requisiti per il pensionamento anticipato. A

tali date, oltre alla prestazione, viene indicata anche una stima dell’ultima retribuzione

mensile e il corrispondente tasso di sostituzione (il rapporto tra la prima rata di

pensione mensile maturata e la retribuzione percepita nel mese di servizio

immediatamente precedente il pensionamento). Le proiezioni sono elaborate in valori

costanti, sempre espressi in euro attuali, consentendo al lavoratore un’immediata

comprensione della valorizzazione degli importi indicati.

Le proiezioni si basano su una serie di ipotesi demografiche ed economiche

principalmente riprese dal rapporto del ministero dell’Economia, aggiornato nel 2014,

sulle tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico. Alcuni parametri

possono però essere modificati dall’interessato. In particolare, può essere rivista la

data di pensionamento, l’ipotesi di incremento retributivo (di base pari all’ 1,5%

annuo in termini reali, che però può essere impostata dallo 0% al 5% annuo) e la

retribuzione annua lorda attuale. In aggiunta il lavoratore può anche valutare l’impatto

sulla copertura pensionistica finale di una eventuale sospensione dell’attività

lavorativa anticipata.

Viceversa, il lavoratore non può modificare l’ipotesi fondamentale sull’evoluzione

futura del Pil che il tool nella sostanza ipotizza pari mediamente all’1,45% annuo in

termini reali e che, seppur di lungo termine, alla luce del contesto economico attuale

appare decisamente ottimistica. Ipotesi che si traduce poi in una stima ottimistica

anche della copertura offerta al pensionamento.

In ogni caso i risultati delle proiezioni attirano l’attenzione su una serie di elementi:

la data di pensionamento: in genere sempre ben al di là dei 70 anni;

l’entità dei montanti contributivi finali: in diversi casi, anche per retribuzioni non

particolarmente elevate, ben superiori al milione di euro;

i tassi di sostituzione: che al pensionamento di vecchiaia, in situazioni di continuità

lavorativa, mediamente possono apparire anche adeguati.

Ovviamente il lavoratore, oltre a quelle fornite dall’Inps, ha bisogno di alcune ulteriori

informazioni per poter definire in maniera complessiva il quadro pensionistico

personale. Il documento dell’Inps, infatti, dovrebbe almeno essere completato con i

dati delle prestazioni maturate attraverso tutti gli altri risparmi previdenziali

disponibili (casse di previdenza, fondi pensione, Tfr, altri eventuali risparmi

individuali, eccetera). E, soprattutto, con la quantificazione del risparmio aggiuntivo

che il lavoratore deve pianificare per poter raggiungere al pensionamento un

determinato target previdenziale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Claudio Pinna

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03/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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12 Domenica 3 Maggio 2015 Corriere della Sera

Primo piano La previdenza

Caos pensioni, il conto verso il raddoppioDopo il verdetto della Consulta sull’adeguamento all’inflazione. L’ipotesi di un buco fino a 10 miliardiAllo studio un provvedimento per la restituzione a rate. La lente dell’Unione Europea sul deficit

La norma

� La Corte

costituzionale

ha bocciato la

norma del

decreto salva

Italia (governo

Monti) che

bloccava per

2012-2013

l’adeguamento

all’inflazione

per le pensioni

superiori a tre

volte il minimo

(1.201,7 euro

netti).

ROMA Colto di sorpresa dallasentenza della Corte costituzio-nale, arrivata per giunta alla vi-gilia del ponte del Primo mag-gio, il governo si sta riprenden-do dallo choc per una pronun-cia che, sulla carta, potrebbevalere almeno 10 miliardi di eu-ro sotto forma di rimborsi delmancato adeguamento all’in-flazione per circa 6 milioni dipensionati, più una maggiorespesa per gli anni successividifficilmente quantificabile.

La Corte, infatti, con la sen-tenza 70 depositata giovedì, hadichiarato l’incostituzionalitàdel blocco della perequazionedelle pensioni superiori a trevolte il minimo deciso col de-creto salva Italia dal governoMonti alla fine del 2011 per idue anni successivi. Le pensio-

ni superiori a 1.406 euro lordi(1.201,7 netti) nel 2012 sono co-sì rimaste senza adeguamentoai prezzi, quell’anno e nel 2013.La Corte ha bocciato la norma ecosì andrebbero restituite aquesti pensionati le sommenon corrisposte con gli interes-si. L’Avvocatura dello Stato ave-va stimato in 4,8 miliardi di eu-ro il valore del blocco. Ma que-sta somma andrebbe più cheraddoppiata perché l’adegua-mento all’inflazione resta in-corporato nella pensione equindi si trascina negli annisuccessivi. Bisognerebbe rim-borsare quindi anche per il2014 e 2015. Inoltre, andrebbeprevista una maggiore spesaper gli anni prossimi, dovuta alricalcolo delle pensioni stessee al fatto che i futuri adegua-

menti all’inflazione avverrannosu un importo pensionisticomaggiore. Insomma, il «teso-retto» da 1,6 miliardi, sul qualeil governo contava grazie al mi-glioramento dei conti pubblici,basterebbe appena per comin-ciare l’operazione che richiede-rebbe in realtà una manovra.

Tutto questo ragionamento,però, è sulla carta. Nel sensoche il governo potrebbe con undecreto legge disciplinarel’esecuzione della sentenza conl’obiettivo di limitarne l’impat-to sui conti pubblici. Potrebbe,per esempio, disporre intantoil ricalcolo delle pensioni congli adeguamenti bloccati nel2012 e 2013 mentre per gli arre-trati avviare un rimborso a rate.Ma potrebbe anche prenderedecisioni più drastiche, osser-va l’esperto di pensioni Giulia-no Cazzola, «disponendo peresempio una rimodulazionedel blocco, facendolo restaresolo sulle pensioni elevate, vi-sto che la Corte ha bocciato la misura proprio perché colpivaanche quelle modesto». È evi-dente che in caso di applicazio-ne limitata della sentenza il go-verno dovrebbe mettere in con-to un nuovo contenzioso con laplatea residua dei pensionaticolpiti che finirebbe ancora da-vanti alla Corte costituzionale.Ma passerebbe qualche anno enon è detto che la Consulta, difronte a una misura circoscrittaalle pensioni più alte, bocce-rebbe la nuova legge.

Tutte queste valutazioni ver-ranno fatte nei prossimi giornitra Palazzo Chigi ministero del-l’Economia, del Lavoro e Inps.Poi arriverà la decisione. Dai ri-svolti inevitabilmente politici,visto che il 31 maggio ci sono leelezioni regionali. Sale intantoil pressing dei sindacati peruna applicazione integrale eimmediata della sentenza.

Enrico Marro© RIPRODUZIONE RISERVATA

Secondo l’Avvocatura dello Stato il

blocco della perequazione ha fatto

risparmiare al bilancio 4,8 miliardi

nel biennio 2012-2013.

L’Avvocatura:conto di 5 miliardi

Bocciatura

Il buco

Ai 4,8 miliardi del biennio 2012-

2013 bisognerebbe sommarne

altrettanti per il 2014-2015,

perché l’adeguamento ai prezzi si

trascina di anno in anno.

Ma la spesa finaleè più alta

Le stime

Circa 6 milioni di pensionati

reclamano la restituzione degli

arretrati con gli interessi e

l’adeguamento della pensione.

Rimborsi e adeguamento

Gli assegni

Il governo potrebbe, con un

decreto, decidere per il rimborso a

rate e solo per le pensioni più

basse.

L’ipotesidecreto legge

La norma

Il rapporto

Ocse: l’Italia scala la classificadei disoccupati di lunga durata

Le donne italiane faticano ancora tanto a conciliare lavoro fuori casa e compiti di cura in famiglia. Lo dice l’Ocse, confermando più in generale la bassa occupazione e le disuguaglianze come le questioni più penalizzanti per il nostro Paese. In un rapporto pubblicato ieri, l’Organizzazione per la cooperazione economica piazza l’Italia ai livelli più alti per la disoccupazione di lunga durata rispetto al totale dei senza lavoro. Si tratta del quarto posto nell’ area Ocse, campo di osservazione che comprende 34 Paesi. Secondo il dato riferito all’ultimo trimestre del 2013, l’Italia si pone alle spalle di Slovacchia, Grecia e Irlanda, con una percentuale di disoccupati da oltre un anno salita al 58,6%, dal 45,7% dell’ultimo trimestre del 2007. In Irlanda i disoccupati di lunga erano a fine 2013 al 62%, in Grecia al 70,9% e in Slovacchia al 71,9% . Il Paese più virtuoso è invece la Corea del Sud, che segna un impercettibile 0,1%.Quanto alle disuguaglianze, nonostante un reddito medio disponibile pro capite delle famiglie, pari a 24.724 dollari all’anno superiore alla media Ocse di 23.938 dollari, in Italia «c’è un notevole divario tra i più ricchi e i più poveri: il 20% più ricco guadagna quasi sei volte di più del 20% più povero». Mentre il debito delle famiglie è volato al 94,2% del reddito, drastica impennata dal 2000, quando il dato si attestava poco al di sotto del 60%.

Paola Pica© RIPRODUZIONE RISERVATA

Confronti

� Secondo gli

ultimi dati

dell’Istat il

tasso di

disoccupazione

in Italia ha

raggiunto il

13% mentre

quello dei

giovani è alla

quota record

del 43%

� Secondo

l’Ocse a

preoccupare è

la durata dei

periodi senza

lavoro: la

percentuale di

disoccupati da

oltre un anno

salita al 58,6%,

dal 45,7%

Cgil, Cisl, Uil Il lavoro

Primo maggio a PozzalloCgil, Cisl e Uil hanno celebrato il Primo maggio a Pozzallo, in provincia di Ragusa, porto simbolo degli sbarchi dei migranti. Slogan: «La solidarietà fa la differenza».

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Page 135: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

Corriere della Sera Domenica 3 Maggio 2015 PRIMO PIANO 13

Il calcolo della rivalutazioneIMPORTO a dicembre 2011

*tra parentesi l’importo al netto dell’IrpefQuanto entrerà in tasca

d’Arco

Fino a 1.406 euro

Da 1.406 a 2.342 euro

Oltre 2.342 euro

a dicembre 2012

Fino a 1.433 euro

Da 1.433 a 2.405 euro

Oltre 2.405 euro

Come è stata

+2,7% (100% Istat)+2,43% (90% Istat)+1,025% (75% Istat)

+3% (100% Istat)+2,7% (90% Istat)+2,25% (75% Istat)

+2,7% (100% Istat)00

+3% (100% Istat)00

Calcolo del rimborso al lordo e al netto dell’Irpef (tra parentesi) per cinque importi di pensionemensile lorda

Dovutoper il 2012

Dovuto per il 2013

PENSIONE RIMBORSO

1.677 (1.376)

1.846 (1.477)

2.173 (1.739)

2.327 (1.792)

2.691 (2.005)

1.500

1.700

2.000

2.200

2.500

RIVALUTAZIONECome doveva essere

I calcoli sui rimborsi (possibili)Risarcimento medio di 1.800 euroChe cosa cambia per i 5,5 milioni di assegni tre volte superiori al minimo

La vicenda

� L’adeguame

nto delle

pensioni al

costo della vita

fu introdotto

nel 1965. Da

allora il

meccanismo è

cambiato varie

volte. All’inizio

le pensioni

erano

agganciate

ogni sei mesi

anche

all’andamento

dei salari.

� Dal 1993 gli

adeguamenti

hanno cadenza

annuale e

restano

agganciati solo

all’inflazione

cioè alla

variazione dei

prezzi.

� Nel 2000

arriva una

prima

limitazione

della

perequazione,

che si riduce

(90%

dell’inflazione,

poi 75%) per le

fasce di

importo

superiori a tre

volte e cinque

volte il minimo.

� A fine 2011 il

governo Monti

blocca per il

2012 e il 2013

l’adeguamento

sull’intero

importo delle

pensioni (non

sulla fascia

eccedente)

superiori a tre

volte il minimo.

È la norma

bocciata dalla

Corte.

� Dal 2014

vige una

perequazione

progressiva:

più è alta la

pensione meno

viene

adeguata.

Una vera e propria tagliola siè abbattuta negli ultimi quattroanni su 5,5 milioni di pensiona-ti. Le pensioni oltre i 1.400 euro(lordi) sono state congelate dal2012 dal governo Monti, e perben due anni non sono stateadeguate al caro vita. Il bloccodel 2012 e del 2013, inoltre,comporta una perdita che si ri-percuote per decenni e steriliz-za gli effetti moltiplicativi degliadeguamenti (niente aumentisugli adeguamenti). E bisognaanche tenere conto che dal 1992tutte le rendite sono agganciatesolo all’inflazione (e in modoparziale). In vent’anni, insom-ma, gli assegni Inps hanno vistopraticamente evaporare il loropotere d’acquisto. Si stima checon il blocco della rivalutazionedegli assegni, il provvedimentobocciato dalla Corte costituzio-nale, ai pensionati sono stati sottratti 9,7 miliardi, pari aduna perdita media pro-capite dicirca 1.800 euro. Nel biennio2012-2013, come già detto, l’ade-guamento delle pensioni è statobloccato per importi superiori atre volte il trattamento minimo,ovvero circa 1.400 euro lordi.Nel biennio 2014-2015 invecel’adeguamento è stato sull’inte-ro importo della pensione con

una percentuale del 100%, masolo per tutti quelli che hannoun assegno fino a tre volte il mi-nimo, mentre è diminuito per lealtre categorie d’importo dallo0,95% fino allo 0,40%. .

L’indicizzazioneDa diciassette anni è in vigore

un meccanismo che, in lineagenerale, prevede l’indicizza-zione piena solo per le quote dipensioni più basse e una parzia-le per le quote superiori.

2011: si torna alla situazionedel 2007: 100% del costo vita sul-la quota di pensione fino a 3volte il minimo (fino a 1.383 eu-ro mensili); 90% sulla quota

compresa tra 3 e 5 volte il mini-mo (da 1.383 a 2.305 euro); 75%sulla quota superiore a 5 volte iltrattamento (da 2.305 euro).

2012-2013: il governo Monti,con la manovra «salva Italia» difine 2011, blocca la perequazio-ne per le rendite d’importo su-periore a 3 volte il minimo pergli anni 2012 e 2013: indicizza-zione al 100% del costo vita sullaquota di pensione fino a 3 volteil minimo (fino a 1.406 euromensili del 2012 e 1.443 del2013); nessuna rivalutazione ol-tre 3 volte il minimo.

2014-2015: indicizzazione al100% del costo vita sulla quota dipensione fino a 3 volte il mini-mo (fino a 1.500 euro lordi men-sili); 95% sulla quota di pensio-ne compresa tra 3 e 4 volte il mi-nimo (tra 1.550 e 2.000 euro).75% sulla quota di pensionecompresa tra 4 e 5 volte il mini-mo (tra 2.000 e 2.500 euro); 50%sulla quota di pensione supe-riore a 5 volte il minimo (tra2.500 e 3.000) e 40% le pensionioltre 6 volte il minimo.

I rimborsi Secondo i dati Istat, il blocco

2012-2013 ha toccato circa seimilioni di persone con una pen-sione superiore ai 1.443 euro

mensili lordi. La quota maggio-re è costituita da pensionati tra i1.500 e i 1.999 euro (17,4% del to-tale) e tra 2 mila e 3 mila euro(13,7%). Quello che ora dovrà es-sere calcolato dal Tesoro e dal-l’Inps è quanto dovrà essererimborsato a questi pensionati.Si valuteranno le motivazionidella sentenza ed il conseguen-te impatto sulla finanza pubbli-ca. Una cosa è certa: se il bloccoè illegittimo, i pensionati cheper due anni, quando l’inflazio-ne era rispettivamente al 3%(2012) e all’1,2% (2013), non han-no avuto l’adeguamento, oradovranno riceverlo. Ipotizzandoun pensionato «tipo» che al di-cembre del 2011 riscuoteva2.000 euro lordi, a gennaio 2012la sua pensione sarebbe dovutasalire a 2.054 euro. Pertanto, perl’anno 2012 avrebbe diritto adun rimborso di 704 euro. A gen-naio 2013 la sua pensione, rego-larmente adeguata nel 2012(2.054 euro), avrebbe dovutogodere di un aumento di 59 eu-ro portandosi a 2.113 euro. Per il2013 dovrebbe ottenere un rim-borso di 1.469 euro. In tutto, ilrisarcimento si traduce in 2.173euro lordi, 1.739 netti.

Domenico Comegna© RIPRODUZIONE RISERVATA

1992fino a

quell’anno le

pensioni erano

agganciate agli

aumenti

contrattuali, dal

‘93 sono state

indicizzate ai

prezzi

2011Il riordino che

prevede il

congelamento

per il biennio

successivo

dell’aggancio

degli assegni

previdenziali

all’inflazione

di Enrico Marro

Il governo e i margini della sentenzaper limitare i danni

� L’analisi

«B isogna leggerecon attenzione lasentenza della

Corte», ripetono in coro a Palazzo Chigi, all’Inps e nei ministeri interessati dalla pronuncia che ha bocciato ilblocco della perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo per il 2012-2013. Sentenza che apre un potenziale buco nei conti pubblici di almeno 10 miliardi, necessari per rimborsare circa 6 milioni di pensionati. Leggere la sentenza per trovare come limitarne gli effetti. Questo l’obiettivo. Legittimo, ai sensi della stessa sentenza. Che infatti si conclude, affermando: «La norma censurata è, pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti». E quali sono questi termini?

In sintesi (la sentenza è lunghissima, 8.882 parole), la Corte ha bocciato il blocco dell’adeguamento delle pensioni ai prezzi perché sono «stati valicati i limiti della ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto». E sono stati valicati perché il blocco Monti-Fornero si discosta «in modo significativo» dai precedenti: «Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti di importo meno elevato». E impedisce la perequazione sull’intero importo della pensione e non solo sulla fascia eccedente (tre volte il minimo in questo caso). La sentenza ricorda che la Corte non ha censurato precedenti blocchi della perequazione quando questi sono stati brevi (un anno) e hanno riguardato le fasce alte, per esempio la quota di pensione (non le pensioni) superiore a 5 volte il minimo (Finanziaria 1998) o 8 volte il minimo (legge 247 del 2007).

L’articolo 38 della Costituzione richiede il rispetto del «criterio di adeguatezza» delle pensioni, sottolinea la Consulta. Che conclude: «L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti modesti, è teso alla conservazione del potere d’acquisto». L’errore principale quindi è stato aver posto l’asticella del blocco troppo in basso, a partire da 1.217 euro netti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Intervista «Aspetto l’indennizzo,con la somma che riceverò cambierò la cucina»

di Giovanna Cavalli

ROMA «Sarò malfidato però...»Però?«Mi sa tanto che non mi arri-

verà un euro bucato. Vedrai tuse questi non trovano l’inghip-po...»

Agostino Rossi, 69 anni, ro-mano, ex fotocompositore alPoligrafico dello Stato, appar-tamento di 80 metri quadri aCentocelle, periferia sud-estdella Capitale, («Me l’ha lascia-to papà ferroviere»), in pensio-ne da 15 anni con 40 di contri-buti e 1.510 euro netti al mese(«Sarebbero di più ma ho fattoun buffo con l’Inps per la ces-sione del quinto e me ne tolgo-no 360»), è uno di quelli a cuilo Stato dovrà versare due annidi adeguamento arretrati dopoche la Corte costituzionale ha bocciato la norma Monti-For-nero.

Contento?«Eh, i giudici io li ringrazio,

ma per adesso stiamo allechiacchiere, finché quei soldi

non li vedo io non ci credo».Quanto le è costata quella

mancata perequazione?«Più o meno 1.200 euro, 600

all’anno, 50 al mese, che nonsono tantissimi ma intanto èmeglio averceli, che comunquevalgono doppio, la conosce lateoria?»

No. Quale sarebbe?«Semplice. Ti mancano 600

euro. Ma tu, per campare, lispendi lo stesso e alla fine è co-me non averne 1.200».

La Fornero su quella nor-ma ci pianse...

«Eh, non mi faccia dire quel-lo che penso, tanto si capisce...Lei però i figli suoi li ha siste-mati, io sono vedovo con dueragazzi, il maschio lavora, lafemmina ha 40 anni, vive con me e la devo campare io, non trova niente. Perché in Italia vacosì, o sei fortunato che haiqualcuno che ti aiuta o te laprendi in saccoccia. Manco lalaurea ti abbasta, lei poi ha so-lo la terza media. Deve sperareche papà sta qua altri 250 an-ni».

Ha dovuto tagliare qualche

spesa, immagino.«Certo, un po’ qui e un po’ la,

nel vestire, nei divertimenti,l’auto sta ferma, al ristorante èuna vita che non ci vado, dovepuoi risparmi. Mi consolo, intanti stanno peggio di me».

Se adesso le arrivano gli ar-retrati...

«Mmm... 5 miliardi sonotanti, dove li trovano? E poi io ciho già preso la fregatura. Al Po-ligrafico abbiamo vinto la cau-sa per gli straordinari. È finitache la Cassazione ci ha datotorto e abbiamo dovuto resti-tuirli».

Magari ve li rendono a rate.«Nooo...tutti e subito».Quanto le spetterebbe?«Intorno ai 2.500. Mi fareb-

bero proprio comodo, devocambiare la cucina, l’ho già vi-sta in offerta a 1.200 euro daMondo Convenienza. Ma pri-ma me li metto in tasca e poi lispendo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi è

� Agostino

Rossi, 69 anni,

romano, ex

fotocompo-

sitore al

Poligrafico

dello Stato, in

pensione da 15

anni con 40 di

contributi e

1.510 euro

netti al mese

L’accredito del trattamento di maggio di Agostino Rossi, che è andato in

pensione da 15 anni con 40 anni di contributi maturati

� Indiscreto

IL VOTO DI AMATO

La Consulta, secondo indiscrezioni, si sarebbe divisa sulla sentenza. E la pronuncia sarebbe passata per un solo voto. Tra i contrari anche l’ex premier Giuliano Amato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Page 136: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

Corriere della Sera Domenica 3 Maggio 2015 PRIMO PIANO 13

Il calcolo della rivalutazioneIMPORTO a dicembre 2011

*tra parentesi l’importo al netto dell’IrpefQuanto entrerà in tasca

d’Arco

Fino a 1.406 euro

Da 1.406 a 2.342 euro

Oltre 2.342 euro

a dicembre 2012

Fino a 1.433 euro

Da 1.433 a 2.405 euro

Oltre 2.405 euro

Come è stata

+2,7% (100% Istat)+2,43% (90% Istat)+1,025% (75% Istat)

+3% (100% Istat)+2,7% (90% Istat)+2,25% (75% Istat)

+2,7% (100% Istat)00

+3% (100% Istat)00

Calcolo del rimborso al lordo e al netto dell’Irpef (tra parentesi) per cinque importi di pensionemensile lorda

Dovutoper il 2012

Dovuto per il 2013

PENSIONE RIMBORSO

1.677 (1.376)

1.846 (1.477)

2.173 (1.739)

2.327 (1.792)

2.691 (2.005)

1.500

1.700

2.000

2.200

2.500

RIVALUTAZIONECome doveva essere

I calcoli sui rimborsi (possibili)Risarcimento medio di 1.800 euroChe cosa cambia per i 5,5 milioni di assegni tre volte superiori al minimo

La vicenda

� L’adeguame

nto delle

pensioni al

costo della vita

fu introdotto

nel 1965. Da

allora il

meccanismo è

cambiato varie

volte. All’inizio

le pensioni

erano

agganciate

ogni sei mesi

anche

all’andamento

dei salari.

� Dal 1993 gli

adeguamenti

hanno cadenza

annuale e

restano

agganciati solo

all’inflazione

cioè alla

variazione dei

prezzi.

� Nel 2000

arriva una

prima

limitazione

della

perequazione,

che si riduce

(90%

dell’inflazione,

poi 75%) per le

fasce di

importo

superiori a tre

volte e cinque

volte il minimo.

� A fine 2011 il

governo Monti

blocca per il

2012 e il 2013

l’adeguamento

sull’intero

importo delle

pensioni (non

sulla fascia

eccedente)

superiori a tre

volte il minimo.

È la norma

bocciata dalla

Corte.

� Dal 2014

vige una

perequazione

progressiva:

più è alta la

pensione meno

viene

adeguata.

Una vera e propria tagliola siè abbattuta negli ultimi quattroanni su 5,5 milioni di pensiona-ti. Le pensioni oltre i 1.400 euro(lordi) sono state congelate dal2012 dal governo Monti, e perben due anni non sono stateadeguate al caro vita. Il bloccodel 2012 e del 2013, inoltre,comporta una perdita che si ri-percuote per decenni e steriliz-za gli effetti moltiplicativi degliadeguamenti (niente aumentisugli adeguamenti). E bisognaanche tenere conto che dal 1992tutte le rendite sono agganciatesolo all’inflazione (e in modoparziale). In vent’anni, insom-ma, gli assegni Inps hanno vistopraticamente evaporare il loropotere d’acquisto. Si stima checon il blocco della rivalutazionedegli assegni, il provvedimentobocciato dalla Corte costituzio-nale, ai pensionati sono stati sottratti 9,7 miliardi, pari aduna perdita media pro-capite dicirca 1.800 euro. Nel biennio2012-2013, come già detto, l’ade-guamento delle pensioni è statobloccato per importi superiori atre volte il trattamento minimo,ovvero circa 1.400 euro lordi.Nel biennio 2014-2015 invecel’adeguamento è stato sull’inte-ro importo della pensione con

una percentuale del 100%, masolo per tutti quelli che hannoun assegno fino a tre volte il mi-nimo, mentre è diminuito per lealtre categorie d’importo dallo0,95% fino allo 0,40%. .

L’indicizzazioneDa diciassette anni è in vigore

un meccanismo che, in lineagenerale, prevede l’indicizza-zione piena solo per le quote dipensioni più basse e una parzia-le per le quote superiori.

2011: si torna alla situazionedel 2007: 100% del costo vita sul-la quota di pensione fino a 3volte il minimo (fino a 1.383 eu-ro mensili); 90% sulla quota

compresa tra 3 e 5 volte il mini-mo (da 1.383 a 2.305 euro); 75%sulla quota superiore a 5 volte iltrattamento (da 2.305 euro).

2012-2013: il governo Monti,con la manovra «salva Italia» difine 2011, blocca la perequazio-ne per le rendite d’importo su-periore a 3 volte il minimo pergli anni 2012 e 2013: indicizza-zione al 100% del costo vita sullaquota di pensione fino a 3 volteil minimo (fino a 1.406 euromensili del 2012 e 1.443 del2013); nessuna rivalutazione ol-tre 3 volte il minimo.

2014-2015: indicizzazione al100% del costo vita sulla quota dipensione fino a 3 volte il mini-mo (fino a 1.500 euro lordi men-sili); 95% sulla quota di pensio-ne compresa tra 3 e 4 volte il mi-nimo (tra 1.550 e 2.000 euro).75% sulla quota di pensionecompresa tra 4 e 5 volte il mini-mo (tra 2.000 e 2.500 euro); 50%sulla quota di pensione supe-riore a 5 volte il minimo (tra2.500 e 3.000) e 40% le pensionioltre 6 volte il minimo.

I rimborsi Secondo i dati Istat, il blocco

2012-2013 ha toccato circa seimilioni di persone con una pen-sione superiore ai 1.443 euro

mensili lordi. La quota maggio-re è costituita da pensionati tra i1.500 e i 1.999 euro (17,4% del to-tale) e tra 2 mila e 3 mila euro(13,7%). Quello che ora dovrà es-sere calcolato dal Tesoro e dal-l’Inps è quanto dovrà essererimborsato a questi pensionati.Si valuteranno le motivazionidella sentenza ed il conseguen-te impatto sulla finanza pubbli-ca. Una cosa è certa: se il bloccoè illegittimo, i pensionati cheper due anni, quando l’inflazio-ne era rispettivamente al 3%(2012) e all’1,2% (2013), non han-no avuto l’adeguamento, oradovranno riceverlo. Ipotizzandoun pensionato «tipo» che al di-cembre del 2011 riscuoteva2.000 euro lordi, a gennaio 2012la sua pensione sarebbe dovutasalire a 2.054 euro. Pertanto, perl’anno 2012 avrebbe diritto adun rimborso di 704 euro. A gen-naio 2013 la sua pensione, rego-larmente adeguata nel 2012(2.054 euro), avrebbe dovutogodere di un aumento di 59 eu-ro portandosi a 2.113 euro. Per il2013 dovrebbe ottenere un rim-borso di 1.469 euro. In tutto, ilrisarcimento si traduce in 2.173euro lordi, 1.739 netti.

Domenico Comegna© RIPRODUZIONE RISERVATA

1992fino a

quell’anno le

pensioni erano

agganciate agli

aumenti

contrattuali, dal

‘93 sono state

indicizzate ai

prezzi

2011Il riordino che

prevede il

congelamento

per il biennio

successivo

dell’aggancio

degli assegni

previdenziali

all’inflazione

di Enrico Marro

Il governo e i margini della sentenzaper limitare i danni

� L’analisi

«B isogna leggerecon attenzione lasentenza della

Corte», ripetono in coro a Palazzo Chigi, all’Inps e nei ministeri interessati dalla pronuncia che ha bocciato ilblocco della perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo per il 2012-2013. Sentenza che apre un potenziale buco nei conti pubblici di almeno 10 miliardi, necessari per rimborsare circa 6 milioni di pensionati. Leggere la sentenza per trovare come limitarne gli effetti. Questo l’obiettivo. Legittimo, ai sensi della stessa sentenza. Che infatti si conclude, affermando: «La norma censurata è, pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti». E quali sono questi termini?

In sintesi (la sentenza è lunghissima, 8.882 parole), la Corte ha bocciato il blocco dell’adeguamento delle pensioni ai prezzi perché sono «stati valicati i limiti della ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto». E sono stati valicati perché il blocco Monti-Fornero si discosta «in modo significativo» dai precedenti: «Non solo la sospensione ha una durata biennale; essa incide anche sui trattamenti di importo meno elevato». E impedisce la perequazione sull’intero importo della pensione e non solo sulla fascia eccedente (tre volte il minimo in questo caso). La sentenza ricorda che la Corte non ha censurato precedenti blocchi della perequazione quando questi sono stati brevi (un anno) e hanno riguardato le fasce alte, per esempio la quota di pensione (non le pensioni) superiore a 5 volte il minimo (Finanziaria 1998) o 8 volte il minimo (legge 247 del 2007).

L’articolo 38 della Costituzione richiede il rispetto del «criterio di adeguatezza» delle pensioni, sottolinea la Consulta. Che conclude: «L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti modesti, è teso alla conservazione del potere d’acquisto». L’errore principale quindi è stato aver posto l’asticella del blocco troppo in basso, a partire da 1.217 euro netti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Intervista «Aspetto l’indennizzo,con la somma che riceverò cambierò la cucina»

di Giovanna Cavalli

ROMA «Sarò malfidato però...»Però?«Mi sa tanto che non mi arri-

verà un euro bucato. Vedrai tuse questi non trovano l’inghip-po...»

Agostino Rossi, 69 anni, ro-mano, ex fotocompositore alPoligrafico dello Stato, appar-tamento di 80 metri quadri aCentocelle, periferia sud-estdella Capitale, («Me l’ha lascia-to papà ferroviere»), in pensio-ne da 15 anni con 40 di contri-buti e 1.510 euro netti al mese(«Sarebbero di più ma ho fattoun buffo con l’Inps per la ces-sione del quinto e me ne tolgo-no 360»), è uno di quelli a cuilo Stato dovrà versare due annidi adeguamento arretrati dopoche la Corte costituzionale ha bocciato la norma Monti-For-nero.

Contento?«Eh, i giudici io li ringrazio,

ma per adesso stiamo allechiacchiere, finché quei soldi

non li vedo io non ci credo».Quanto le è costata quella

mancata perequazione?«Più o meno 1.200 euro, 600

all’anno, 50 al mese, che nonsono tantissimi ma intanto èmeglio averceli, che comunquevalgono doppio, la conosce lateoria?»

No. Quale sarebbe?«Semplice. Ti mancano 600

euro. Ma tu, per campare, lispendi lo stesso e alla fine è co-me non averne 1.200».

La Fornero su quella nor-ma ci pianse...

«Eh, non mi faccia dire quel-lo che penso, tanto si capisce...Lei però i figli suoi li ha siste-mati, io sono vedovo con dueragazzi, il maschio lavora, lafemmina ha 40 anni, vive con me e la devo campare io, non trova niente. Perché in Italia vacosì, o sei fortunato che haiqualcuno che ti aiuta o te laprendi in saccoccia. Manco lalaurea ti abbasta, lei poi ha so-lo la terza media. Deve sperareche papà sta qua altri 250 an-ni».

Ha dovuto tagliare qualche

spesa, immagino.«Certo, un po’ qui e un po’ la,

nel vestire, nei divertimenti,l’auto sta ferma, al ristorante èuna vita che non ci vado, dovepuoi risparmi. Mi consolo, intanti stanno peggio di me».

Se adesso le arrivano gli ar-retrati...

«Mmm... 5 miliardi sonotanti, dove li trovano? E poi io ciho già preso la fregatura. Al Po-ligrafico abbiamo vinto la cau-sa per gli straordinari. È finitache la Cassazione ci ha datotorto e abbiamo dovuto resti-tuirli».

Magari ve li rendono a rate.«Nooo...tutti e subito».Quanto le spetterebbe?«Intorno ai 2.500. Mi fareb-

bero proprio comodo, devocambiare la cucina, l’ho già vi-sta in offerta a 1.200 euro daMondo Convenienza. Ma pri-ma me li metto in tasca e poi lispendo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi è

� Agostino

Rossi, 69 anni,

romano, ex

fotocompo-

sitore al

Poligrafico

dello Stato, in

pensione da 15

anni con 40 di

contributi e

1.510 euro

netti al mese

L’accredito del trattamento di maggio di Agostino Rossi, che è andato in

pensione da 15 anni con 40 anni di contributi maturati

� Indiscreto

IL VOTO DI AMATO

La Consulta, secondo indiscrezioni, si sarebbe divisa sulla sentenza. E la pronuncia sarebbe passata per un solo voto. Tra i contrari anche l’ex premier Giuliano Amato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Page 137: 18 15 rassegna stampa fisac dal 27 apr al 3 mag

la Repubblica

30

DOMENICA 3 MAGGIO 2015

EconomiaFINANZA&MERCATI

CONTATTI

[email protected]

ROMA. Il «limbo», in Italia, duratroppo a lungo e lascia il segno.Chi perde il lavoro rischia dipassare mesi, se non anni, inattesa di nuova occupazione.Colpa della crisi, certo, ma anchedi una formazione e di unacultura del ricollocamento chenon funzionano. Ce lo dice l’Ocseche ci piazza al quarto postodella sua classifica sulladisoccupazione di lunga durata,quella che dura da oltre un anno.Il dato è riferito all’ultimotrimestre del 2013, ma nulla fapensare che nel frattempo lecose siano cambiate. In Italia lapercentuale di disoccupati che, adodici mesi dalla perdita delposto risulta ancora tale, erasalita, nel periodo in questione,al 58,6 per cento: prima chescoppiasse la crisi, negli ultimimesi del 2007 era ferma al 45,7per cento. Peggio di noi fal’Irlanda, al terzo posto (passatadal 28,9 al 62 per cento); laGrecia (dal 49,4 al 70,9 percento) e la Slovacchia, chedetiene il primato delladisoccupazione, ma sembra averimboccato una lunga stradaverso il miglioramento (è scesaal 71,9 dal 73,6 degli ultimi tremesi del 2007). La palma del

paese Ocse più virtuoso vainvece alla Corea del Sud, dove lapercentuale è praticamenteinesistente: lo 0,1 per cento.Tornando al caso italiano èchiaro che la disoccupazione dilungo periodo incide moltoanche sui redditi delle famiglie.Ecco quindi spiegato in parte ildivario fra «ricchi e poveri» che ildossier Ocse360 definisce«notevole». Il reddito mediofamiliare netto disponibilecorretto procapite è di 24.724dollari l’anno, più alto dellamedia Ocse di 23.938 dollari,spiega lo studio, «ma il 20 percento più ricco della popolazioneguadagna quasi sei volte in piùrispetto al 20 per cento piùpovero». In contemporanea si èridotto il margine di risparmiosul reddito disponibile (3,6 percento nel 2012 contro il 10 del2006) e il debito delle famiglie,sempre sul reddito disponibile,ha toccato il 94,2 per cento,contro il 60 del 2000. Per chi lopaga, il fisco non aiuta: il gettito(nel 2011) risultava doppio allamedia dei paesi. Voceprevalente quella dei contributiper la previdenza sociale (31,2per cento sul totale).

L’Ocse: in Italiala disoccupazionedi lunga durataallarga il divariotra poveri e ricchi

IL PUNTO

LUISA GRION

Sulla pressione fiscale incidonosoprattutto i contributi pensionisticimeno le imposte sul reddito

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pensioni, nuovi conticon lo stop della Consultabuco fino a 9 miliardiIl ministero dell’Economia: “Impatti sui bilanci passati e futuri”si teme l’effetto sul patto di Stabilità e la reazione di Bruxelles

MINISTRO

Il ministro delLavoroGiulianoPoletti alleprese contassi didisoccupazio-ne galoppanti

VALENTINA CONTE

ROMA. Il buco si allarga. La sentenza numero70 della Corte Costituzionale, quella arrivatagiovedì e che dichiara illegittimo il blocco del-l’adeguamento all’inflazione di oltre cinquemilioni di pensioni sopra i 1.500 euro lordi nelbiennio 2012-2013, rischia di scavare una vo-ragine nei conti pubblici. L’Avvocatura delloStato, nell’audizione pubblica presso la Corte,ha parlato di 5 miliardi, forse prendendo a ri-ferimento la relazione tecnica del 2011 al Sal-va-Italia. In realtà, le cifre potrebbero lievitarefino a 8-9 miliardi per il pregresso (2012-2014), da sanare e dunque da restituire ora aipensionati. A cui sommare almeno 3 miliardil’anno per 2016 e 2017. Una vera e propriabomba da disinnescare, anche con il placet diBruxelles (martedì arrivano nuove stime del-la Commissione), se l’Italia vuole evitare pro-cedure di infrazione ex post per deficit eccessi-vo.

In queste ore il governo studia la sentenza,calibrandone gli effetti. «Sembra inevitabileche ci siano impatti sulle finanze pubbliche peril passato e per il futuro», trapela dal ministerodell’Economia. «Occorre capire con cura qual èla dimensione di questo impatto. E valutare an-che eventuali contromisure per il futuro, se ne-cessario e se possibile. Ma è presto per dirlo». Ipensionati della Cgil calcolano il buco in 9,7 mi-liardi, sommando gli 8 miliardi del biennio For-nero e l’effetto del nuovo blocco del governoLetta (totale per le pensioni superiori a sei vol-te il minimo e parziale per quelle sopra le trevolte). Perdita media pro-capite di 1.779 euronegli ultimi quattro anni. «Chiediamo che ipensionati siano rimborsati in tempi celeri, co-sì come avvenuto dopo l’altra sentenza relati-

va al prelievo di solidarietà sulle pensioni d’o-ro», insiste Carla Cantone, segretario genera-le Spi-Cgil.

«Si paga con quattro anni di ritardo l’arro-ganza di chi nel governo Monti, in quei dram-matici giorni del 2011, con l’Italia a un passodal baratro, non ha voluto ascoltare i richiamidel Parlamento su esodati e blocco dell’indiciz-zazione», accusa Francesco Boccia (Pd), presi-dente della commissione Bilancio della Came-ra. «Ora sarà necessario una riclassificazionedel deficit negli anni di competenza, 2012 e2013, ma anche 2014, per l’effetto trascina-mento. E questo potrebbe portare a un rap-porto tra deficit e Pil sopra il tetto del 3%. Daiprimi conti, l’effetto per il periodo 2012-2014 ètra gli 8 e i 9 miliardi e di 3 miliardi l’anno per2016-2017. Ecco perché ora governo e Parla-mento devono lavorare compatti, senza pole-miche e strumentalizzazioni, per convincereBruxelles a non penalizzarci ancora e per steri-lizzare gli effetti futuri con una nuova norma».

Ad esempio tornando alla soluzione Prodi-Damiano del 2007, laddove «le esigenze di bi-lancio, affiancate al dovere di solidarietà, han-no fornito una giustificazione ragionevole allasoppressione della rivalutazione automaticaannuale per i trattamenti di importo otto voltesuperiore al trattamento minimo Inps», scri-vono i giudici della Corte Costituzionale nellasentenza 70 del 30 aprile scorso. Quel blocco, adifferenza dell’altro Monti-Fornero, fu valuta-to come legittimo, perché non violava i princi-pi di uguaglianza, solidarietà, proporzionalitàe adeguatezza (cioè gli articoli 2,3, 36 e 38 del-la Costituzione). E dunque proteggeva gli as-segni medio-bassi, colpendo quelli alti. Una so-luzione già scritta.

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Agcom, più diritti agli utentifino a 10 euro di indennizzoper ogni giorno senza linea

NUOVE REGOLE SU TELEFONIA E INTERNET

ALESSANDRO LONGO

ROMA. Si prepara una nuovastagione di diritti per gli utentitelefonici, a forza di regole chel’Agcom (Autorità garante del-le comunicazioni) sta appron-tando in questi giorni, controdisservizi e abusi degli opera-tori. La prima delibera è stataapprovata nei giorni scorsi (vain pubblicazione la prossimasettimana) ed è il nuovo rego-lamento indennizzi. È il primoaggiornamento alle regole cheAgcom aveva stabilito nel2010. Tra le novità: gli utentidelle nuove reti in fibra avran-no diritto a indennizzi doppi daipropri operatori, in caso di dis-servizi, rispetto a chi è sulla vec-chia rete in rame. Per esempio:

fino a 10 euro per ogni giorno incui è mancata la linea. L’idea èfavorire gli utenti che si sonoabbonati alle nuove reti e cosìincentivarne la crescita. Tra idiritti validi per tutti gli utenti,invece, il principale è che avre-mo un indennizzo dal nostrooperatore anche quando il pro-blema è causato da un operato-re terzo. Questo poi a sua voltaindennizzerà l’operatore del-l’utente, al termine dell’inda-gine Agcom volta a stabilire dichi è la colpa del disservizio. Èuna contromisura a un proble-ma diffuso: capita di subire ilrimpallo di responsabilità tragli operatori e così di dover pe-nare per ottenere l’indennizzo.

È frequente durante il cam-bio di linea fissa, che coinvolge

I NUMERI

9 mldGLI EFFETTI

L’effetto dellasentenza della CorteCostituzionale suiconti potrebbe salire a8/9 miliardi rispetto ai5 stimati

6 mln GLI INTERESSATI

Il blocco delleindicizzazionideciso dal governoMonti riguardacirca 6 milioni di persone

500 euro IL RIMBORSO

Il governo dovràdecidere come equando restituire. Si ipotizzava unrimborso di 500 euroin due anni

1.400 L’ASSEGNO

Sono interessati al rimborso tutti ipensionati con un assegnosuperiore ai 1.400 euro

CONSORZIO VENEZIA NUOVA

BANDO DI GARA (PROCEDURA APERTA) – EstrattoCODICE UNICO DI PROGETTO (CUP) D51B02000050AC1

Si rende noto che con provvedimento prot. 5764 del 20/04/2015 il Responsabile Unico delProcedimento ha disposto di prorogare al 12/06/2015 ore 13:00 il termine ultimo per lapresentazione delle offerte della gara ‘procedura aperta sopra soglia per l’affidamentodell’appalto misto (forniture e lavori con prevalenza di forniture) per la fornitura ed instal-lazione dei sistemi di prelievo, trasformazione, produzione, trasmissione e distribuzionedell’energia elettrica a media e bassa tensione delle bocche di Lido, Malamocco e Chiog-gia, relativo sistema di controllo PMS centralizzato nella bocca di Lido e contestuale for-nitura ed installazione dell’estensione del sistema di controllo PMS alla sala dell’Arsenaledi Venezia’, pubblicata sulla GUUE 2015/S 044-075853 del 04/03/2015 e 2015/S 067-117930 del 04/04/2015, sulla GURI n. 30 V Serie Speciale dell’11/03/2015 e n. 42 V SerieSpeciale del 10/04/2015, già previsto per il giorno 05/05/2015, prorogando contestual-mente al 29/05/2015 il termine ultimo per inviare richiesta di espletamento del sopralluogosecondo le modalità previste al punto 2 del disciplinare di gara.Si rende noto inoltre che, a decorrere dal 17/04/2015, sul sito www.consorziovenezia-nuova.com e www.bandidigara.consorziovenezianuova.com è disponibile la versione com-pleta “Bozza del contratto-Rev1” che annulla e sostituisce la precedente. Pertanto, ildocumento citato nel disciplinare al paragrafo 7.1 punto 17), pag. 16, e nel terzultimo ca-poverso del paragrafo 8, pag. 33, deve intendersi esclusivamente quello denominato“Bozza del contratto-Rev1”Venezia, 03/05/2015 CONSORZIO VENEZIA NUOVA Ing. Hermes Redi