PrimaVera Gioia APR/MAG 2013 - N.09

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_Aprile -Maggio 2013. Pubblicazione mensile d’informazione indipendente |free press

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Numero di Aprile/Maggio (09) del mensile PrimaVera Gioia.Numero doppio con più pagine! Puoi scaricare e leggere la copia sul tuo pc - Noi siamo quello che pensiamo

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_Aprile -Maggio 2013.

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Caporedattore:Maria Marmontelli

Progetto grafico:Giuseppe Resta ValeriaSpada AntonioLosito Pierluca Capurso

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Redazione:MariaCastellano PierlucaCapurso LauraCastellaneta LyubaCentrone MarioD’Alessandro AlessandroDeRosa EmanueleDonvito EnricoFebbraro VanniLaGuardia FilippoLinzalata EmmaLomonte AntonioLosito DarioMagistro MariaMarmontelli FiammaMastrapasqua RosarioMilano MarcoOrfino PasqualeParadiso GiuseppePugliese GiuseppeResta RobertaRizzi RaffaeleSassone ValeriaSpada.

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Ouverture

SI CAMBIA?NO, GRAZIE.

La routine, la semplicità e le comodità piacciono. Sopratutto a chi è abituato a vivere in un piccolo-medio paese di pro-

vincia dove tutto scorre lentamente e dove il minimo cambia-mento (o meglio novità) crea scompiglio e manda tutti in crisi.Ecco allora che la novità lascia tutti a bocca aperta, o meglio, riempie la bocca dei nullafacenti che hanno da ridire su tutto e tutti perché abituati a camminare in quelle piccole strade di provincia a testa bassa e con i paraocchi. Per non parlare di po-litica: siamo tutti bravi a fare campagna elettorale e difendere le proprie bandiere. Anche quelle improvvisate o inventate.La vera sfida che ogni persona dovrebbe affrontare, invece, è il continuo mettersi alla prova con le novità e i cambiamenti che l’ambiente offre senza nascondersi dietro qualcosa di già stabilito, scegliendo quindi la strada più facile.Si vive pensando a quello che il nostro vicino dice e pensa di noi; si cerca in continuazione il proprio nome sugli organi di stampa per sentirsi più motivati ad andare avanti e (quando qualcosa non va) sfogare tutta la propria delusione per qualche com-mento sgradito, facendo nascere una diatriba mediatica senza fine.Si usano le pagine bianche, che poi si trasformeranno in co-lonne sui giornali, come mezzo per urlare al piccolo mondo che ci circonda quello che non piace, assumendo una posizione da pseudointelletuale che tanto non rispecchia la vera identità. Per non parlare di chi vuole mettersi in mostra sui social net-work postando frasi, articoli e citazioni che il più delle volte ser-vono solo a dimostrare quanto si è “sempre informati su quello che accade nel mondo”.Cercare una conferma dal mondo che ci circonda significa esse-re insicuri di se stessi. Questa insicurezza, spesso, è generata

da quei cambiamenti che richiedono la capacità di rispondere alle novità che la vita ci offre.Perché, vi chiederete, elencare queste figure tipiche della so-cietà contemporanea, tipiche di quel mondo dell’informazione che oggi si è venuto a creare perché “informare” sembra essere diventata una moda. Tutti si credono giornalisti ma non sanno cosa significa informare e come (sopratutto) lo si deve fare. Vedere qualche format televisivo o leggere giornali di richiamo nazionale non significa avere in mano il potere della “penna” che ti permette di scrivere e arrivare alla gente. Il più delle volte non si arriva al lettore, l’unico vero obiettivo del giornalista.Oggi tutto è cambiato. Ma i cambiamenti che rappresentano delle opportunità non vengono percepiti e il più delle volte ven-gono ignorati; quelli che generano confusione e scambi di iden-tità, vengono accolti su un tappeto rosso.Il cambiamento manda in crisi il piccolo e il grande sistema: non siamo più in grado di affrontate le novità perché ci piace vivere nella semplicità e in un mondo che ci dia in continuazione delle conferme.

Maria Cristina De Carlo / DirettoreFB/ MariaCristina.DeCarlo

INDICE

3 Ouverture5 Via Roma: lavori in corso, flop di

comunicazione, pedonalizzazione10 Un incubo chiamato depuratore13 PVG incontra il prof. Monzali14 Pista ciclabile: siamo alle solite!16 Proprietà Vacca 20 Quando lo sport è donna: Angela Covella22 Controvertigine di Ascanio Celestini23 Romeo e Giulietta indossano le

cuffie24 Missili Jupiter a Gioia26 Oscar Iarussi29 Dietro le quinte del circo con gli

animali30 Ad maiora!31 Welcome Back C.F.F.32 Referendum34 Al di sopra di ogni sospetto

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IMPRESA EDILELECCESE

Cell. 329.8549913 389.8262640Via prov.le Turi, 2567/D 70023 Gioia del [email protected]. LCC LRD 84B18F915M P.IVA 06620480720

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PrimaVera Gioia 5

A cadenza decennale, in Italia torna in auge il tema del-le “Grandi Opere”. Nel 2003 fu la volta del “Ponte sullo Stretto”, oggi tocca alla “Riqualificazione di Via Roma

e piazze collegate - stralci funzionali Piazza Kennedy e Via Roma Carrabile”. La storia di quest’ultimo progetto parte nel 2010 quando la regione Puglia ha avviato con il nostro Comu-ne una procedura negoziata per l’utilizzazione di fondi ricavati dal “Programma operativo FESR 2007-2013”. Di conseguenza, il Comune ha proceduto a redigere un documento programma-tico preliminare di rigenerazione urbana che riguardava inizial-mente le seguenti opere:

1 – Riqualificazione del cavalcaferrovia di Via Giovanni XXIII con realizzazione di una nuova banchina ciclopedonale

2 – Parcheggio di scambio di Via Lagomagno a servizio della stazione ferroviaria e prolungamento del sottopassaggio esi-stente

3 – Riqualificazione urbana di Via Roma e delle piazze collegate.

Ma, citando la determina di spesa n. 305 del 02/10/2012, risul-ta che “…alla luce di varie problematiche tecnico-amministra-tive, non è stato possibile realizzare le opere innanzi indicate

LAVORI IN CORSO….......

A SORPRESA

Dario Magistro | DarioMagistro223

V i a R o m a

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6 PrimaVera Gioia

IVA sui lavori ( 10%) 97.849,75 €

a) Saldo progettazione esecutiva 15.432,20 €

b) Coordinamento della sicurezza in fase di progettazione

18.401,28 €

c) Direzione dei lavori 45.572,39 €

d) Coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione

25.418,13 €

CNPAIALP (4% su a, b, c, d) 4.192,96 €

IVA ( 21%) su a, b, c, d 22.013,04 €

Collaudo 4.000 €

CNPAIALP (4% ) sulle spese di collaudo 160,00 €

IVA (21 %) sulle spese di collaudo 840,00 €

Incentivi uffici amministrativi 5.000,00 €

Spese per espletamento gara 5.000,00 €

Spese di pubblicità 2.500,00 €

Versamento all’autorità di Vigilanza 150,00 €

Imprevisti 16.500,00 €

Allacci, furniture, accordi bonari 8.472,73 €

Per un totale di 271.502,48 €. Il bando di gara, pubblicato l’8 Ottobre 2012, è stato vinto dalla ditta GIOIA SCAVI s.a.s (di Angelillo Vito e Petrera Antonio), la quale ha offerto un ri-basso dell’1,85 % (quantificabile in 19.067,97 €) sull’importo a base di gara e un’offerta tempo pari a 100 giorni. Entrando nello specifico, il progetto iniziale nasceva per donare al Comune un’estesa area pedonale e prevedeva la pavimentazione in continuità da Via Roma sino alla stazio-ne (comprendendo le aiuole del Liceo Classico, svincolate dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali) con nuove panchine e nuovi alberi ad adornare l’intera area. Ma non tutto è an-dato per il meglio…vediamo perché nei contributi a seguire di Roberta Rizzi e Alessandro De Rosa ¿

ai punti 1 e 2”. Il 18 Aprile 2012, il Comune ha inoltrato un’ul-teriore istanza alla Regione Puglia, chiedendo che il finanzia-mento concesso per la riqualificazione del cavalcaferrovia di via Giovanni XXIII fosse utilizzato per la realizzazione di due stralci funzionali (Piazza Kennedy e Via Roma). La risposta della Re-gione è stata alquanto celere e il 4 Luglio 2012 ha approvato il finanziamento di 1.000.000 € (ricavati dai fondi P.O. FESR 2007-2013 , Asse VII , Linea 7.1 e 7.2). Nel frattempo, con de-libera di giunta municipale n. 25 del 12/07/12, il Comune ha cofinanziato l’opera con altri 250.000 €, raggiungendo l’impor-to complessivo di 1.250.000 €. Il progetto esecutivo, redatto dall’Arch. Giacinto Donvito, è stato approvato il 06/09/12 (G.M. 58).

Lavori Costo

Importo lavori a base d’asta 937.095,12 €

Oneri Sicurezza (non soggetti a ribasso)

41.402,40 €

Per un totale di 978.497,52 €. A questi vanno aggiunti anche :

Poco prima che andassimo in stampa , al cen-tro di via Roma è apparso questo simpatico messaggio pubblicitario, posizionato di-rettamente sulla pavimentazione in pietra. Ci domandiamo: la riqualificazione di via Roma sfocerà nella creazione di una pas-seggiata a slalom tra manifesti promozio-nali, in barba al recupero e al rispetto del contesto urbanistico?Attendiamo infor-mazioni su questa “walk of fame” di cen-tri commerciali!

Walk of fame in via Roma:

cercasi sponsor

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PrimaVera Gioia 7

contribuendo ad aumentare la distanza non solo tra cittadino ed istituzione, ma soprattutto tra cittadino e tessuto urbano. Proviamo a capire meglio.

La città, intesa come spazi, vie, edifici, ap-partiene ai suoi abitanti, che la vivono, che la animano. Lo scenario in cui ci muoviamo tutti i giorni è, più o meno consapevolmente, parte in-tegrante delle nostre esistenze, da un punto di vista sia funzionale (abitazioni, servizi, mobi-lità, attività economiche) che emotivo. Qualunque intervento su di esso ha delle ripercussioni sul-la quotidianità di ciascuno di noi.

E’ utopistico pensare che il cittadino non debba avere opinioni, spesso di dissenso e fastidio, su un’opera che va a modificare il suo spazio e quin-di le sue abitudini, soprattutto se tale opera gli viene imposta da una ragion di stato non me-glio nota. Il risultato peggiore derivante da si-mili episodi di incomprensione è costituito dalla perdita della visione d’insieme della città. Da un lato, questo porta al naturale ripiegarsi sul-la difesa dei piccoli feudi rappresentati dalle esigenze e dalle “comodità” dei singoli; dall’al-tro, si accentua lo scollamento, endemico tra i gioiesi, rispetto alla collettività, ai luoghi, al paese in generale, percepito come ostile ed estraneo.

Sarebbe stato sufficiente che l’Amministrazione, tenendo conto di questo, avesse coinvolto tutta la comunità, illustrando anzitempo il progetto, mostrandosi più attenta verso i disagi che comun-que avrebbe procurato ad una parte della popola-zione gioiese, accompagnando l’inizio dei lavori con un’adeguata e capillare informazione. Bisogna considerare come la riqualificazione di via Roma vada a intaccare un punto nevralgico del tessuto urbano economicamente, storicamente e cultural-mente molto importante, dal momento che ospita anche il Liceo Classico. Si tratta di una via centrale, il cui assetto viene condiviso, oltre che dai residenti, anche da tutti i gioiesi. Ma-gari sarebbe esagerato pensare ad una conferenza stampa ad hoc o alla convocazione preliminare dei rappresentanti delle categorie più penalizzate dalla presenza del cantiere. Magari è ancora più futuristico immaginare di mettere a disposizio-ne un plastico o un rendering di quello che sarà l’aspetto di quella parte della città, a lavori ultimati.

Sono ancora tutto fuorché sopite le polemi-che sorte intorno ai lavori di riqualifica-zione di via Roma, iniziati l’11 marzo 2013

all’insaputa della quasi totalità della popola-zione gioiese. Chissà se si spegneranno al loro completamento, ammesso che si concludano nei 100 giorni concordati.

Come già sottolineato da altri organi di stampa, il vero vulnus inflitto alla città dall’Ammini-strazione è stato la mancanza di comunicazione e di condivisione dell’evento. Il manifesto di scuse firmato dal Sindaco, in cui si spiegava per grandi linee la situazione, è apparso solo il 15 marzo, mentre nei 4 giorni precedenti i più hanno continuato a domandarsi perplessi quale fosse la finalità di quel cantiere spuntato all’improvvi-so. Le stesse scuse, rilasciate ai nostri micro-foni dall’Assessore alla Comunicazione Filippo Donvito, risuonano scontate, al tempo stesso ana-cronistiche, in un’epoca di estrema versatilità e velocità nel trasferimento delle notizie.

Si è persa ancora una volta l’occasione di spe-rimentare una modalità lungimirante di democrazia partecipata e di dialogo tra Palazzo e comunità,

Q U A N D O

LA

COMUNICAZIONE

ISTITUZIONALE

FA

F L O PRoberta Rizzi | roberta.rizzi.31

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8 PrimaVera Gioia

Raffaele Sassone

Valeria Spada

La tanto invocata democrazia partecipata passa anche ”semplicemente” attraverso la massima tra-sparenza degli atti e la massima programmazione della comunicazione istituzionale. Lasciamo a chi ne ha il mandato e le competenze (si spera) il compito di elaborare e pianificare l’intervento urbanistico. E’ un diritto dei cittadini, tutta-via, essere informati e resi partecipi, soprat-tutto quando a cambiare non è solo la viabilità per 3 mesi, bensì l’aspetto e il modo di concepire uno spazio vitale in cui tutti sono protagonisti. Solo attraverso il coinvolgimento di tutta la cittadinanza nella crescita e nell’evoluzione del paese possiamo non restare vittime del ricatto degli interessi particolaristici, miopi, legati a modelli economici e culturali degli anni ’70. Per intenderci, quelli refrattari alle zone pedonali, legati alla bellezza dell’asfalto e del cemento, centrati sul binomio ormai obsoleto sviluppo eco-nomico/mobilità su quattro ruote.

Non si trattava, quindi, solo di comunicare una data di inizio dei lavori o variazioni ai sen-si di marcia. L’Amministrazione comunale avrebbe avuto l’occasione di veicolare un messaggio indi-spensabile per il futuro di Gioia del Colle: la riscoperta del senso di appartenenza alla città. Nella misura in cui colui che vi abita sente di farne parte, cresceranno il suo interesse e il suo legame verso le dinamiche che la coinvolgono. Percepire come proprie anche le aree al di fuo-ri delle mura domestiche di ciascuno è il passo fondamentale per lo sviluppo di un senso civico diffuso. E’ compito dell’Amministrazione guida-re il cittadino nell’immaginare spazi urbani più belli, di cui andare orgoglioso e in cui ricono-scersi ogni giorno. E’ suo compito fornirgli il tempo necessario e gli strumenti per comprendere e valutare i cambiamenti. I disagi temporanei, le difficoltà di qualche mese, la modifica for-zata di alcune abitudini passeranno in secondo piano se adeguatamente annunciati e motivati da un progetto di più ampio respiro che riguarda un quartiere, una strada, un monumento che sentiamo “nostri”.

Fino a quando si continuerà a far piovere dall’al-to provvedimenti indecifrabili e inattesi si la-scerà che l’attenzione rimanga focalizzata solo su problemi (sia pure legittimi) di parcheggio e di ingorghi. La rimozione del cantiere sarà solo vissuta come una liberazione piuttosto che come la piacevole scoperta del volto nuovo che Gioia e via Roma assumeranno¿

Anche se un po’ a sorpresa, dato l’ambito materiale su cui insiste la discussione e complice la crisi economica, la riqualificazione di via Roma ha fatto sì che gli esercenti

delle attività commerciali presenti su quella strada muovessero un’inaspettata richiesta all’amministrazione comunale: la ria-pertura al traffico di via Roma.

A pochi giorni dalla chiusura delle aree interessate dall’inter-vento, una folta rappresentanza dei commercianti ha chiesto e subito ottenuto un incontro con l’Assessore Masi per ricevere lumi su quanto stava accadendo e rassicurazioni circa la durata del disagio. Riconosciuto il palese e grossolano errore in fatto di comunicazione di inizio lavori, difficilmente comprensibile ed ammissibile, data la più volte sventolata esperienza nel governo della città da parte di tutta l’amministrazione, e rilasciate le do-verose scuse a cittadini/commercianti, increduli di fronte all’im-possibilità di raggiungere il proprio posto di lavoro, quasi che una calamità naturale vi si fosse inaspettatamente abbattuta, ecco che la discussione prende una piega che non ti aspetti. Strozzati, come tutti i cittadini contribuenti, da un innalzamento repentino delle tasse, IMU in testa, che per altro non ha seguito criteri di equità ma di indistinta linearità, e colpiti da un drastico calo dei consumi, prima e fisiologica conseguenza delle politiche di au-sterity, i commercianti non hanno esitato ad imputare ai lavori in corso un ulteriore calo dei propri affari. Da qui il passo è stato breve per avanzare la richiesta di riaprire definitivamente al traf-fico l’attuale area pedonale di via Roma, soluzione indispensabile - a loro dire - per rivitalizzare un settore, quello del commercio, altrimenti destinato ad una buia e ineluttabile sorte.

A questo punto, la semplice circolazione dei mezzi a motore sarebbe la panacea di tutti i mali che affliggono il commercio, al netto della crisi economica. Beh, se il risultato economico di

APRIRE O NO

IL TRAFFICO SU VIA ROMA:

È DAVVERO QUE-STO IL PROBLEMA?

Alessandro De Rosa | alessandro.derosa.161

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Non deve sorprendere se, a pochi chilometri da Gioia, piazze come quella di Noci, Putignano, Conversano hanno adottato negli anni politiche volte alla riqualificazione del centro storico e delle principali arterie commerciali della città, e soprattutto non hanno avuto paura di chiudere al traffico tali luoghi. Il ri-sultato è sotto gli occhi di tutti, compresi i cittadini gioiesi, che preferiscono fare shopping in queste piazze per poi concedersi lunghe passeggiate in viali affollati di gente e colmi di attività commerciali (bar, pub, pizzerie) che continuano a drenare soldi dalle tasche dei passanti e a far sopravvivere un’intera categoria di lavoratori. Un po’come avveniva a Gioia alla fine degli anni No-vanta, salvo poi contemplare il nulla.

Cosa sarebbe Gioia oggi se le varie amministrazioni avessero perseguito in passato tali scelte e non solo quelle di cementifi-cazione massiccia delle zone periferiche, per altro senza servizi per il cittadino? Cosa sarebbe Gioia se, invece di utilizzare le zone F al di fuori della loro naturale destinazione, queste avessero se-guito la loro naturale sorte? Se ci fosse un centro storico degno di questo nome in una cittadina a naturale vocazione storico-culturale-turistica? Avremmo noi oggi una via Roma deserta già alle 20:30 della sera mentre il corso principale di Putignano pul-lula di gente, anche gioiese, oltre le 2 di notte?

Avremmo le proteste dei commercianti per la chiusura al traffico di nuove zone e la richiesta di riaprire zone già chiuse oppure assisteremmo alla strenua difesa da parte loro di zone pedo-nali pullulanti di gente? E se opere come la riqualificazione di via Roma si facessero a pochi mesi di distanza dalla loro progetta-zione e non dopo decenni?

Forse non è tanto azzardata l’ipotesi che nel 2013 non sono i commercianti di una stessa fascia merceologica presenti in di-verse città ad essere in concorrenza fra loro, ma le stesse città, che con il loro stato dei luoghi riescono ad attirare più o meno pubblico, fattore che inevitabilmente influisce sulle sorti econo-miche dei commercianti.

Se in una tale situazione al cittadino/commerciante può esse-re al massimo richiesto un incremento degli sforzi lavorativi e magari lo studio di nuove strategie commerciali, non è possibi-le di certo chiedere loro lungimiranza in fatto di decoro urbano, viabilità, investimenti per la rivalutazione del paesaggio urbano. Ed allora lo sguardo volge ineluttabilmente verso l’amministra-zione, verso la politica, chiamata ad avere la mente al futuro e le mani nel presente, chiamata a risolvere i problemi o quanto meno a non crearne di nuovi.

Come in ogni ambito della vita umana il presente non è altro che il risultato di un lungo e lento lavoro di preparazione, formazione, studio e costruzione, che con una buona dose di competenze, lungimiranza, programmazione ed amore per la propria città pri-ma che per i propri interessi, porterà dei risultati. Siamo ancora in tempo a Gioia per tutto ciò? ¿

tale iniziativa fosse assicurato, si potrebbe anche chiudere un occhio su quelle che sono le tendenze oramai consolidate dei più moderni e civili paesi occidentali: chiusura definitiva al traffico di gran parte dei centri cittadini, incremento dell’uso dei mezzi pubblici, politiche di supporto alla mobilità sostenibile, ecc. Sa-rebbe quindi un modello da esportare in quei “folli” Paesi Scan-dinavi, che ottusamente continuano a vietare al traffico sempre maggiori porzioni dei loro centri abitati, favorendo la socialità, abbattendo l’inquinamento urbano, mutando le abitudini se-dentarie della popolazione con innegabili benefici per la salute. Destiamoli da questo loro sogno, prima che l’intero settore della distribuzione imploda in quei paesi!

Ma siamo certi che la ripresa dei consumi, sempre al netto della crisi, dipenda dalla riapertura delle isole pedonali? Forse no, ed il perché è presto detto.

Se è vero che si potrebbe disquisire ed arrivare a punti di vista spesso divergenti sul fatto che il passeggio favorirebbe lo sta-zionamento innanzi alle vetrine, una maggiore attenzione alla merce esposta ed una più facile propensione ad effettuare l’ac-quisto rispetto ad un fugace passaggio in macchina, incalzati dai clacson assordanti e scoraggiati dalla penuria di parcheggi, in quanto trattasi di motivazioni di carattere socio-culturale e di abitudini personali, diviene più difficile opporsi invece ad altre argomentazioni di carattere economico-urbanistico.

La politica distributiva adottata dalle aziende del settore moda e degli accessori moda (le proteste arrivano in gran parte dai com-mercianti di questi ambiti commerciali) non bada più ai fronzoli, come l’esclusività della piazza, ma solo alla politica del fattura-to, adottando la quale un commerciante di Gioia potrebbe pro-muovere marchi non presenti in piazze limitrofe. Putignano, ad esempio, offre al consumatore finale la possibilità di trovare lo stesso articolo sia nella boutique sotto casa che nei paesi limi-trofi: il consumatore viene dunque attratto inevitabilmente dal negozio che, oltre ad avere il titolare o la commessa “più sim-patici”, è inserito in un contesto urbano in grado di soddisfare altre esigenze, oltre quelle del puro shopping. Ecco allora che la differenza è rappresentata da centri storici riqualificati, atti a ri-cevere il turista classico ed il turista commerciale, in quanto l’e-liminazione del degrado urbano può consegnare i luoghi rigene-rati alle iniziative imprenditoriali del privato: boutique, ristoranti, negozi vari, che, uniti a piazzette e vie chiuse al traffico in grado di invogliare al passeggio e all’aggregazione sociale, sarebbero il giusto viatico per il rilancio della vivibilità urbana e della città tutta ed una probabile soluzione alla crisi dei commercianti (crisi economica permettendo).

In un contesto come questo, sarebbe molto più facile anche or-ganizzare eventi socio-culturali ed enogastronomici in scorci e cornici paesaggistiche che sono la vera risorsa e il volano della ripresa economica italiana, soprattutto a livello locale.

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depuratore cittadino e i relativi campi finiscono sotto esame della magistratura e della stampa lo-cale. I campi di spandimento situati al confine tra il Comune di Gioia del Colle e quello di Sammi-chele di Bari raccolgono i reflui provenienti dal nostro depuratore, che, canalizzati lungo trincee e canali nella suddetta zona, finiscono poi nella Lama San Giorgio. Secondo il dettato del Piano di Tutela delle Acque (DGR n. 883/2007), la lama in questione costituisce un recapito finale ammissi-bile per l’effluente depurato, a condizione che vengano rispettati i criteri dettati dalle norme di legge, definiti dalla Tabella 4 del suddetto provvedimento normativo. La situazione è piutto-sto complessa, come accade sempre per le faccende di questo nostro bel Paese. Il gestore del depu-ratore, la società Pura Depurazioni, controllata dall’AQP, è accusata del cattivo funzionamento del depuratore gioiese, accuse che la società respinge per una serie di motivi. Innanzitutto, al tempo della realizzazione dell’impianto negli anni No-

E’ notizia dell’8 febbraio scorso che il Sin-daco di Sammichele di Bari, Filippo Boscia, ha denunciato il suo collega gioiese Sergio

Povia per i reati di disastro ambientale e atten-tato alla salute pubblica. In seguito, il Sindaco di Sammichele ha emesso due ordinanze (n. 10 del 15.03.2013 e n. 12 del 22.03.2013) che impongono l’adozione di misure restrittive di autotutela ai proprietari terrieri interessati dallo sversamen-to dei liquami provenienti dal depuratore di Gioia del Colle, stoccati nei campi di spandimento, da cui si origina la contaminazione dei terreni atti-gui. A fondamento dell’atto di giunta, c’era stata una lettera a firma del direttore sanitario del Dipartimento di prevenzione dell’ASL, che metteva in guardia circa i danni causati da tale fenomeno. Gli amici casalini hanno dichiarato guerra al no-stro Comune nella figura del loro sindaco e hanno disposto misure draconiane a tutela dei campi in quarantena che anche le autorità di Fukushima do-vrebbero imporre. Non è certo la prima volta che il

UN INCUBO CHIAMATO

DEPURATORE

Rosario Milano

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vanta, non si tenne conto dell’espansione del fab-bisogno idrico e quindi della crescente produzione di reflui che vengono invece depurati dallo stesso impianto. Il processo di depurazione, definito tecnicamente di ossidazione aerobica, trasforma la sostanza organica in inerte, necessitando per questo di un flusso di reflui che deve mantenersi costante per qualità e quantità. Il gestore accusa i caseifici locali e le società di trasporto del non funzionamento dell’impianto per via dell’im-missione degli scarti della lavorazione casearia direttamente in fogna, quando invece dovrebbero essere trattati presso gli impianti appositamente dedicati. D’altronde, l’impianto per il tratta-mento del siero realizzato accanto al depuratore per conto della Comunità Montana, che produrrebbe scarti della depurazione esigui e in linea con i criteri della già citata Tabella 4, è bloccato per via delle autorizzazioni negate a causa dell’e-mergenza: anche questi scarti, infatti, andrebbe-ro a finire nei campi di spandimento. Del resto, lo sviluppo edilizio ha generato un problema di smaltimento delle acque bianche, che vengono in-direttamente assorbite dal sistema fognario e in-dirizzate verso il depuratore. Se si verifica un sovraccarico a causa dell’eccessivo afflusso di reflui o s’interrompe il processo di depurazione per l’immissione di prodotti diversi dai liquami fognari, questi ultimi vengono bypassati e inca-nalati tali e quali direttamente verso i campi di spandimento incriminati. A causa della mancata ma-nutenzione, le vasche di spandimento, che esistono da circa 50 anni, malgrado il fabbisogno idrico del Paese sia ovviamente cresciuto, sono divenute impermeabili, causando sversamenti nei campi cir-costanti e fenomeni come i fontanazzi, destinati a “inquinare” i campi attigui a quelli di spandi-mento. Del resto, la legge prevede anche le vasche vengano depurate prima di essere espanse, cosa che ovviamente non accade nel nostro caso. Il PM che da tempo si occupa della vicenda ha in-caricato l’Ing. Romanazzi, lo stesso che realizzò l’impianto, di studiare una soluzione al problema. Appurate le carenze della nostra classe dirigente e gli evidenti danni causati all’ecosistema, c’è da dire che la legge impone al Comune di Gioia del Colle di canalizzare i reflui del depuratore verso Lama San Giorgio (le lame costituiscono in-fatti l’alternativa ai corsi d’acqua che in Puglia mancano).. Nel frattempo però Lama San Giorgio è diventata Parco Regionale, con il conflitto di destinazione d’uso che ne consegue. Le Conferenze di Servizi, l’Autorità di Bacino e l’Assessore Re-gionale Barbanente hanno già espresso il proprio

parere, giudicando inevitabile lo sversamento in Lama San Giorgio dei 5000 metri cubi di reflui giornalieri depurati a Gioia del Colle, quota che raggiunge i 30 mila metri cubi se si considera tutto il bacino che sversa in Lama San Giorgio. L’AQP ha addirittura proposto di canalizzare di-rettamente in Lama (eliminando i campi di span-dimento) e di ristabilire la continuità idrauli-ca che porterebbe direttamente in mare i reflui: seguendo la stessa linea di pensiero del Sindaco di Sammichele, è facile intuire la reazione dei bagnanti e dei pescatori baresi. Diverso il caso in cui la Regione intervenga finanziariamente per far funzionare i depuratori che rispettino la Ta-bella 4 o per migliorare lo stoccaggio dei reflui: si potrebbe ad esempio vendere a prezzo politico l’acqua depurata ai vivai. La Commissione Consi-liare della Regione ha chiesto all’AQP di acqui-stare nuovi campi per l’espandimento e ha chiesto la copertura delle vasche così come avviene per gli impianti di compostaggio dei rifiuti solidi. Non siamo pronti a dare soluzioni funzionanti, ma certamente l’approccio non può essere quello di scaricare sul vicino le responsabilità di un problema complesso. Le politiche antiliberali del beggar-my-neighbour (alla lettera mendicante il mio vicino, ad indicare politiche economiche ti-picamente protezionistiche destinate a migliorare le condizioni economiche interne a danno di paesi esteri) causano vistose tensioni: domani il Comune di Casamassima potrebbe protestare contro quello di Sammichele, la cui fortuna è di scaricare di-rettamente in Lama (che passa direttamente sotto al Paese), senza bisogno di utilizzare i campi di spandimento, una soluzione che potrebbe maschera-re quindi il cattivo funzionamento del depuratore; ogni Comune posto più a valle della Lama potrebbe fare lo stesso fino a causare la reazioni del mare Adriatico - che per nostra fortuna non ha i soldi per pagare gli avvocati. D’altronde, a noi che amiamo la polemica, non può sfuggire il dubbio che la proposta di inibire l’utilizzo dei terreni “in-quinati” sia venuta direttamente dal direttore del Dipartimento di prevenzione dell’ASL: una propo-sta adottata dal Sindaco di Sammichele, ma non re-cepita dal Comune di Gioia del Colle. A fronte del rischio che potrebbe essere reale, ammesso che il clamore suscitato sulla vicenda serva a sollevare compiutamente la questione (sebbene i campi siano là da 50 anni), piovono sospetti sul provvedimento che potrebbe solo preludere ad un maxi risarcimen-to a favore dei proprietari dei terreni contamina-ti dalla fogna di quei giudei maledetti.¿

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Venerdì 5 Aprile 2013, l’Associazione Culturale Primavera Gioia, in col-

laborazione con il circolo ARCI Lebowski, ha dato il via ad una serie di incontri e momenti di di-scussione aperti alla cittadinan-za con la presenza di esponenti della società civile e del mondo accademico. Il primo incontro della rassegna intitolata “Dialo-ghi tra un impegnato e un non so”, gentile prestito gaberiano, ha visto arrivare nella nostra cit-tà, su invito degli organizzatori, il prof. Luciano Monzali, profes-sore associato in Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Tema della serata i rapporti tra Italia e popolazioni balcaniche sul confine orientale nel primo Novecento. In partico-

lare, su suggerimento di Rosario Milano, promotore dell’iniziativa, si è costituito un gruppo di lettu-ra su due testi tra quelli che sono frutto della produzione storio-grafica del prof. Monzali. Le due opere scelte per l’occasione, gentilmente messe a disposi-zione da “La Librellula”, partner di tutto il ciclo di eventi, sono state Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale (1918-1941), ed. Le Lettere (2010) e L’occu-pazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), sempre per i tipi de Le Lettere (2008), scritto con Francesco Caccamo. L’incontro è stato patrocinato dal Comune di Gioia del Colle che ha messo a disposizione il rinnovato spazio del chiostro del Palazzo di città, contenitore ideale per momenti di incontro con la cittadinanza.

La partecipazione del pubblico è stata al di sopra delle più rosee aspettative, fugando ogni dub-bio circa la bontà e la validità sul nostro territorio di iniziative culturali e di dibattito. Dopo il saluto della prof.ssa De Giorgi, assessore comunale con delega alla cultura, il prof. Monzali ha tenuto un discorso panoramico ed introduttivo sulla sofferta e travagliata storia dei rapporti tra Italiani e popolazioni balcaniche sul tormentato confine orientale. Questa introduzione ha dato il via ad una serie di domande da parte del pubblico sulle questio-ni principali trattate dall’autore nelle due opere prese in con-siderazione dal gruppo di let-tura. Il dibattito si è sviluppato in maniera molto interessante, mantenendo un discreto profilo storiografico, senza mai risultare pesante per un pubblico magari non troppo avvezzo a questioni di storia italiana del ‘900, per de-cenni lasciate in secondo piano dalla critica, dai media e anche dai programmi scolastici. Dalle risposte del prof. Monzali, si è po-tuto evincere come l’analisi della storia di quell’area dell’Europa, incrocio inevitabile di culture e popolazioni così eterogenee, sia un elemento imprescindibile per spiegare e comprendere l’asset-to internazionale e comunitario in cui noi oggi viviamo. L’incon-tro si è concluso intorno alle ore 20, intrattenendo gli astanti per circa due ore, con le ultime do-mande da parte del gruppo di lettura e le conclusioni finali del prof. Monzali. I prossimi incontri vedranno ancora la presenza di esponenti del mondo accademi-co ed in particolare quello che si terrà il 24 maggio, sarà incentra-to su questioni di stretta attuali-tà inerenti la sanità pubblica. Per maggiori informazioni, cerca La Primavera Gioia su fb ed iscriviti al gruppo per essere informato sulle prossime date e su tutte le nostre attività. ¿

INCONTRA IL PROF. MONZALI AL CHIOSTRO COMUNALE

Enrico Febbraro | enrico.febbraro.9

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S iamo alle solite! La città di Gioia del Colle non merita di avere nemmeno una pista ciclabile decente. Questa sicuramente è un’osservazione

semplicistica, ma assolutamente immediata, in quan-to anche un adolescente - soggetto che si presume privo di un senso civico maturo e di strumenti cono-scitivi che lo aiutino a giudicare l’utilità e la regolarità di un’infrastruttura tale all’interno di un centro urba-no - sarebbe in grado di riconoscere lo stato di abban-dono e lo scarso utilizzo da parte dei cittadini gioiesi della stessa pista ciclabile. Dall’esposto inviato alla Corte dei Conti in data 5 aprile 2013 dai consiglieri di opposizione Donato Lucilla ed Enzo Cuscito, si posso-no facilmente evincere quali siano stati gli errori di forma e di sostanza, fatti in sede progettuale dall’ente che ha promosso la realizzazione dell’opera: la Comu-nità Montana Murgia Barese Sud-Est. In questa sede, faremo solo qualche cenno ai vizi procedurali, ovvero di forma, finalizzandoli piuttosto ad una discussione più proficua che riguarda sia i danni sociali subiti dai cittadini a causa dell’inosservanza di alcune norme sia i comportamenti di amministratori e progettisti; nondimeno, faremo riferimento agli errori sostanziali, evitando giudizi sull’opportunità di erogare somme di danaro a fronte della realizzazione di una tale infra-struttura, sebbene lo stesso esposto inviato alla Corte dei Conti trovi il suo fondamento nell’aver individuato un danno erariale in sé.

S iamo alle solite dunque. In primis perché, a li-vello generale, sussiste un nuovo contenzioso che il Comune di Gioia del Colle probabilmente

affronterà. In particolare, in sede giudiziaria, verran-no esaminati presunti errori fatti in campo edilizio ed urbanistico di certo non nuovi alle nostre precedenti amministrazioni comunali, così come a quella attua-le. Inoltre, ciò che risulta dalla cronistoria dei prov-

vedimenti illustrata nell’esposto potrebbe ricondursi a questioni di ordine politico, o meglio, di continuità politica. Chiariremo in seguito questo punto.

C on Delibera di Giunta n. 183 datata 27 otto-bre 2007, il Comune di Gioia del Colle prende atto dell’istanza della Comunità Montana, con

la quale trasmette copia di planimetria esecutiva ri-ferita alla viabilità ciclistica nell’ambito del POR Pu-glia 2000-2006; assente il progetto con l’integrazione proposta dal dirigente dell’UTC e riportata in rosso sulla predetta planimetria, vistata dal medesimo di-rigente; trasmette copia della delibera e copia della planimetria, come integrata e vistata dal dirigente dell’UTC alla Comunità Montana Murgia Barese Sud-Est. Successivamente, in data 23 ottobre 2008, l ’Uf-ficio Tecnico del Comune di Gioia del Colle chiede alla Comunità Montana alcune modifiche al progetto de-finitivo (allegato n. 9). Le stesse richieste di modifi-ca al progetto non saranno accettate dalla Comunità Montana, in prossimità della data dell’ultimazione dei lavori, dichiarandole ingiustificate e prive di senso. Questo perché i lavori sono stati seguiti dai dirigenti comunali e quindi, secondo le considerazioni dell’ente promotore del progetto, tali modifiche si scostavano dall’intesa precedentemente raggiunta. È qui che na-sce la controversia e la successiva non omologazio-ne da parte del Comune a fronte dell’omologazione di conformità della Comunità Montana.

C onsiderando che il Dirigente dell’Ufficio Tec-nico del Comune di Gioia del Colle è cambiato con l’avvento della giunta Longo insediatasi ad

aprile del 2008, è legittimo chiedersi se una giunta di centro sinistra e una giunta di centro destra, attraver-so i pareri tecnici dei dirigenti, mutino l’approccio al concetto di piano urbanistico o di salvaguardia della

PISTA CICLABILE:

SIAMO ALLE SOLITE!

Emanuele Donvito | /emanuele.donvito.7

Terr

itorio

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salute pubblica, essendo fedeli ad una specifica linea di pensiero che volgarmente chiamiamo di “destra” e di “sinistra”. Quest’ultima considerazione potrebbe sembrare l’ultimo vagheggiamento di chi scrive, ma in fin dei conti sembra l’unica spiegazione plausibi-le a questo cambio di rotta. In altro modo, dovremmo pensare che qualcuno ha delle responsabilità gravi in ordine alle competenze che esplica all’interno di un’i-stituzione, sia che si tratti del settore amministrati-vo e tecnico, sia che si tratti della parte politica della stessa istituzione. In altre parole, un dirigente tecni-co non può valutare un progetto in maniera positiva se viola il codice della strada ad esempio, e l ’organo rappresentativo su proposta dell’organo esecutivo sia della Comunità Montana sia del Comune di Gioia del Colle, non può e non deve approvare a cuor leggero l’erogazione di fondi pubblici, avvalendosi di limita-te (numericamente parlando) consulenze tecniche dei soli due uffici tecnici operanti in seno alle due isti-tuzioni in argomento. Qualcuno potrebbe dire che si tratta della dittatura della maggioranza, ovvero, se si hanno i numeri per governare, passa qualsiasi prov-vedimento. Ed è a questo punto che entra in ballo una componente importantissima del sistema politico italiano: i partiti! Istituzioni che, a livello locale e in particolare a Gioia del Colle, sembrerebbero prive di figure professionali tecniche, in grado di esaminare tempestivamente progetti come questo in trattazione, denunciando ex-ante agli organi giudiziari - e non sui volantini o sui giornali locali - gli sfaceli della classe dirigente, quando opera in sede istituzionale in ma-niera sprecona e spavalda. La democrazia partecipata è anche questo ma, a livello locale, è principalmente questo! Quindi, sarebbe quanto mai opportuno che qualcuno, oltre ad assumersi la responsabilità poli-tica e morale all’interno dei partiti o dei movimenti rappresentati, fornisse delle risposte al quesito di cui sopra.

T uttavia, quello che concretamente la cittadi-nanza ha subito è un danno sociale, il quale si concretizza nel momento in cui l ’infrastruttura

non è funzionale al miglioramento delle condizioni ambientali e di salute della popolazione. È opportu-no ricordare a questo punto che il POR (Programma Operativo Regionale) inserito nella programmazione regionale 2000-2006 per il miglioramento della situa-zione ambientale intercettato dalla Comunità Monta-na Barese Sud-Est e indirizzato alla municipalità di Gioia del Colle, con uno stanziamento di € 284.757,26 più altri € 7.500,00 in aggiunta, erogati dal Comune di Gioia del Colle, non ha raggiunto i suoi obiettivi. Inol-tre, c’è stato l’ennesimo spreco di risorse pubbliche e questo ricade direttamente sulle tasche dei contri-buenti gioiesi. ¿

I segnali stradali indicano la percorribilità della pista ciclabile, che però non è omologata

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Come i nostri lettori avranno notato, è no-

stra abitudine interessarci della cosa pub-

blica quando gli esiti dei rapporti tra sin-

goli individui - o tra essi e la collettività - siano degni

di nota per la loro esemplarità, ma più spesso quan-

do essi necessitino di approfondimento o di verifi-

ca. Cercheremo dunque di ripercorrere una vicenda

dai connotati affatto nitidi, che vede contrapposta

la Pubblica Amministrazione a un privato cittadino,

tentando di fare un po’ di luce e, dove occorre, di

sollevare dubbi e perplessità da entrambe le parti

su una vicenda che paradossalmente può apparire

di scontata risoluzione e al contempo registrare uno

sfiancante conflitto di posizioni: ciascuna rivendica,

a partire dalle medesime prove, la limpidezza del-

le proprie motivazioni, come due pokeristi sfidanti,

che continuano a bleffare e rilanciare pur conoscen-

do il valore delle carte avversarie.

Per far ciò partiremo dai fatti concreti. Sabato 13

Aprile 2013, il signor Mario Vacca ci segnalava

che il Comune avrebbe eseguito il lunedì seguente

opere di demolizione a scapito di una sua proprie-

tà immobiliare. Questo evento, verificatosi come da

programma e portato a termine entro il giorno 24

dello stesso mese, è il momentaneo epilogo di una

vicenda lunga diciassette anni. Risale infatti al 1996

il primo provvedimento amministrativo da parte

dell’Ufficio Tecnico per occupazione abusiva di suo-

lo pubblico nei suoi confronti. Il suolo in questione

era un lotto (Foglio 61, Allegato L, Particella 3872)

ubicato, come espressamente descritto negli atti di

compravendita del suolo prima (1960) e del fabbri-

cato poi (1970), tra le vie Raffaello Sanzio, Palach

(allora via IX Savonarola) e Cairoli, e confinante a

sud con altri due suoli privati.

Su di esso, con licenza edilizia datata 1961, i neo

proprietari, fratelli di Mario Vacca, realizzarono

un edificio di tre piani residenziali più pian terreno

di locali commerciali, alcuni dei quali aventi aperture

anche a sud verso una pertinenza venutasi a costi-

tuire all’interno del lotto edificatorio per rispettare

vincoli di distanza dai confini secondo Regolamento

edilizio allora vigente (deliberato dal Podestà con

provvedimento N.381 del ’31, art. 56). La parte di fab-

bricato denunciata come abusiva dall’U.T.C. sarebbe

proprio la recinzione costruita attorno a questa area

accessoria. Mario Vacca, divenutone proprietario nel

’70, presentò memoria scritta per documentare le

proprie ragioni, e sembrò convincere la P.A. a desi-

stere dall’abbattimento, tant’è che per 14 anni calò

sulla vicenda un sipario che si sarebbe riaperto solo

nel 2010, esibendo la stessa scenografia e qualche

Proprietà Vacca:braccio di ferro tra pubblico e privatoAntonio Losito

Polit

ica

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PrimaVera Gioia 17

nuovo attore. Anche il copione non cambiava: ac-

cuse di abusivismo da un lato, accuse di vessazione

dall’altro; oggetto del contendere, ancora una volta,

questa presunta prosecuzione di via Enrico Castel-

laneta (allora X Savonarola) fino a via Cairoli.

La prima considerazione utile al nostro ragiona-

mento è la seguente: via Enrico Castellaneta

non ha mai ricoperto, almeno in tempi documenta-

bili e soprattutto pertinenti alla vicenda in questio-

ne, il ruolo di strada nel tratto in discussione - dato

non solo difficilmente confutabile alla presenza di

documenti quali gli atti notarili di compravendita

e di locazione, ma anche decisivo per chiarire che

il Comune non può far rivalere la propria autorità

su quel suolo, se non attraverso l’esibizione di do-

cumenti che dimostrino una qualsivoglia forma di

trasferimento di proprietà. A questo proposito, già

è bene sottolineare una stranezza, ossia l’inversio-

ne dell’onere della prova richiesta al proprietario o

presunto tale del fondo per attestare una legittimità

abbastanza chiara già dai documenti suddetti, pre-

sentati da Mario Vacca in tre memorie scritte.

Ma torniamo ai fatti: come si diceva, il Comu-

ne, per entrare in possesso del bene, aveva a

disposizione due possibili vie: l’una era avviare una

sacrosanta procedura di esproprio (opzione che

avrebbe necessitato dell’esborso di un giusto inden-

nizzo); l’altra consisteva nel dimostrare che il trasfe-

rimento di proprietà fosse già avvenuto. Qui entra

in gioco uno dei documenti attorno ai quali forse

si è addensata maggiore foschia: la licenza edilizia,

datata 1961, con cui gli allora proprietari del fondo

erano legittimati dal Comune a realizzare la palazzi-

na oggi visibile, nella realizzazione della quale era-

no obbligati ad allontanarsi di 4 metri dal confine

con altre proprietà; spazio che avrebbe garantito,

La proprietà a seguito della demolizione dei muri di recinzione

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18 PrimaVera Gioia

per una dimensione pari alla metà della sua sezione,

la futura apertura di una strada larga 8 metri. Ora

apriamo un altro piccolo inciso: appare ovvio che

l’altra metà della carreggiata avrebbero dovuto ga-

rantirla le due proprietà frontiste; circostanza non ri-

spettata da uno dei due privati, il quale ha realizzato

un fabbricato ad un piano, staccandosi dal confine

di soli due metri. Più che fare le pulci a soggetti terzi

(mansione che in questa sede non ci compete), il

dato è rilevante per le conseguenze che ha in ter-

mini pratici, in quanto suggerirebbe il disinteresse

dell’amministrazione comunale alla realizzazione

della strada, salvo aprirne una la cui osservanza del-

le norme potrebbe risultare dubbia.

Premettendo che l’entrare nel merito del suo

contenuto e tentare di esprimere a partire da

esso giudizi pro o contro qualcuno sarebbero stati

gesti da parte nostra supponenti e maldestri, ci li-

miteremo a fare un’osservazione complessiva sulla

succitata licenza edilizia: parrebbe che proprio que-

sta, contrariamente alla sua natura di perentorietà e

inequivocabilità, nasconda il diavolo in qualche det-

taglio, dimostrandosi la fonte di tante speculazioni,

ciascuna condotta al mulino della propria partigia-

neria.

Da una parte, il Comune sostiene che proprio da

quell’atto si evince la negoziazione tra i sog-

getti coinvolti, pubblici e privati, con la quale i se-

condi si impegnavano verso i primi a cedere a titolo

gratuito quella striscia di terra; da ciò risulterebbe

l’abusività della recinzione oggetto della contesa.

Dall’altra, il privato sostiene l’inesistenza di ogni

sorta di consensualità sulla cessione immediata del

diritto di proprietà del suolo, e che quella carta sa-

rebbe anzi la prova del fatto che tutto sia in regola.

Stando a questa linea di difesa, il diritto di cui egli ha

goduto dal giorno dell’acquisto ad oggi sarebbe non

solo sancito da quella licenza, ma addirittura confer-

mato da grafici catastali e da ordinanze comunali (ci

viene addotta come esemplare la N.101, Prot. N.3709

del ’94), laddove esse si riferiscono esplicitamente a

quell’area, affibbiandole l’appellativo di pertinenza

o cortile (e ammettendone in qualche modo il carat-

tere privato).

Non ci dilungheremo nello sgranare il rosario

delle diffide, delle note protocollate e delle

ordinanze scambiate dal 2010 a oggi tra le parti; ci

limiteremo ad evidenziare un altro aspetto che salta

all’occhio.

Non vorremmo essere fraintesi se parlassimo

di sospetta sollecitudine nel portare a com-

pimento l’opera di abbattimento dei manufatti in

questione. Una vicenda lunga 17 anni di certo non

può dirsi frettolosa. Tuttavia è lecito chiedersi le

ragioni dell’escalation degli ultimi mesi, che hanno

condotto l’amministrazione comunale ad accedere

(gesto al limite tra l’immissione in possesso e l’effra-

zione, secondo le ragioni del contestatario) in una

proprietà, la cui natura pubblica o privata è ancora

da sancirsi in sedi opportune, per demolire un ma-

nufatto la cui legittimità o meno d’esistere va ancora

dimostrata nelle medesime sedi. Tornando al para-

gone col tavolo verde, questa parrebbe una mossa

d’azzardo. Il coinvolgimento dell’opinione e della

ragione pubblica subentra in questa storia per due

motivi: in prima istanza, c’è da domandarsi se è mai

possibile che vicende come questa, dove si rinnova

sistematicamente un contenzioso tra i diritti dei sin-

goli individui e gli interessi della collettività di cui gli

enti pubblici sono garanti, debbano concludersi con

atti di forza di una delle parti, dopo aver vacillato

per anni sul filo tagliente della incapacità o non vo-

lontà di tutti o alcuni di ricercare onestamente il luo-

go, neanche tanto occultato, dove risiede la verità o

quantomeno convergono il buon senso e la buona

fede. In secondo luogo, ci chiediamo chi salderà alla

fine il conto: un’amministrazione può correre il ri-

schio, anche solo remotamente, di avere torto alla

fine di un incauto avventurarsi e di pagare la sua

ansia di giustizia (se è di questo che si tratta) con i

soldi dei contribuenti? ¿

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…ho cercato di essere il più obiettivo possibile;

mi scuso se è affiorato nei miei interventi qual-

che giudizio eccessivamente duro ma, sicura-

mente, mai preconcetto;

tutto quello che ho fatto è stato dettato dalla

passione e imposto dalla regola etica che ha

sempre contraddistinto il mio impegno;

una passione mai ispirata all’interesse perso-

nale ma costantemente alimentata da una in-

commensurabile sete di giustizia e dall’ingenuo

proponimento di tentare di contribuire a fare

qualcosa di buono per questa mia amata città

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Quando lo sport è donna:

Nonostante ci sia poco spazio a Gioia per declinare lo sport femminile a livello agonistico,

eccezion fatta per la pallavolo, è moti-vo di orgoglio segnalare la vittoria del-la gioiese Angela Covella al Campio-nato Italiano di Ultramaratona 2013 categoria TF (23-34 anni), svoltosi nel centro storico di Putignano lo scorso 23 marzo. Angela ha percorso 54 km e 693 m in 6 ore, vincendo la seconda edizione del campionato organizzato dalla IUTA (Italian Ultramarathon and Trail Association), che quest’anno ha deciso di premiare la città del Carne-vale, scegliendola come sede per lo svolgimento di questa impegnativa ma coinvolgente manifestazione po-distica: si tratta, infatti, di una gara di corsa su strada di oltre 43 km (la maratona prevede, invece, un percor-so lungo “soltanto” 42 km e 195 m), che si disputa per categorie suddivise in base all’età e al sesso dei parteci-panti, in un arco di tempo pari a 6 ore (per questo denominata la 6 ore di San Giuseppe). La scarsa attenzione riser-vata alla notizia dalla stampa locale e il curriculum di tutto rispetto della no-stra atleta la dicono lunga sul perché Gioia non abbia mai offerto grandi possibilità alle donne che intendono praticare sport a livello agonistico. Escludendo infatti la partecipazione ai campionati di pallavolo femminile under 16 e under 18 e la parentesi di Stop di Petto, torneo dilettantistico di calcetto femminile che tanto tifo ed entusiasmo suscitò qui a Gioia alla

fine degli anni Novanta, Angela, classe 1979, non trova spazio nella sua città d’origine per continuare a praticare il calcio a livello agonistico. Sarà perché si tratta di una disciplina sportiva tra-dizionalmente appannaggio dell’ormai ex sesso forte e poco consona a certe frivolezze da diva, sta di fatto che An-gela deve guardare oltre i confini della città federiciana, del vino e della moz-zarella per coltivare la sua passione: è così che nel 2003 disputa il primo campionato di calcetto femminile di serie C nella squadra di Acquaviva, vincendo nel 2007 la classifica capi-cannonieri del campionato CSI (Cen-tro Sportivo Italiano). Nel 2008, milita nella squadra del Sammichele, l’anno successivo in quella del Noci per poi tornare a Sammichele a disputare il campionato 2010-2011. La stessa cosa accade quando, sempre nel 2011, spinta dal bisogno di trovare una nuo-va identità sportiva, l’atleta decide di passare dal calcetto alla corsa: la sua scelta, in quel momento, è condizio-nata dall’assenza di una società po-distica sul territorio gioiese ed è per questo che decide di iscriversi alla società Nadir di Putignano, cui rimane tutt’oggi legata da motivi affettivi, no-nostante a Gioia sia nata nel 2012 la ASD Gioia Running, che conta però al momento soltanto 6 atlete su un to-tale di 52 iscritti (fonte: http://www.fidal.it/societa/GIOIA-RUNNING-A-S-D-/BA713, informazioni aggiornate al 2013).

Ma cosa spinge una donna a concepire lo sport come competizione? Nel caso

di Angela, tutto nasce da un’innata predisposizione all’agonismo e dalla voglia di migliorarsi e di reagire posi-tivamente alle sfide quotidiane incon-trate nella sua militanza in campio-nati di tutto rispetto, dove l’obiettivo per chi si iscriveva ai corsi non era solo quello di imparare la tecnica, ma di finalizzare quest’ultima alla parte-cipazione al campionato. Con il sup-porto di tanti bravi coach incontrati lungo il suo cammino sp urale che condizionano o addirittura invogliano alla pratica agonistica dello sport. Ed è quello che Angela ha potuto con-statare con i propri occhi durante la preparazione dell’Ultramaratona: “Ba-sti pensare al cosiddetto autodromo di Putignano, una pista lunga circa 3 km sulla via che porta a Castellana, decentrata rispetto al centro urbano ma non troppo periferica e soprattut-to ben illuminata di notte, tant’è che è possibile imbattersi in atleti che si allenano alle 5 del mattino così come alle 22 di sera, in piena sicurezza, data la completa assenza di cani randagi. La pista è frequentata non solo da professionisti della corsa, ma anche da principianti, dilettanti e gente che viene apposta dalla vicina Castellana, in macchina o addirittura a piedi. A Gioia invece correre è sempre un’av-ventura piena di insidie, soprattutto per l’inciviltà dei proprietari delle ville di campagna che non tengono i cani al

Angela Covella vince l’Ultramaratona di Putignano (categoria TF)

Maria Marmontelli | /maria.marmontelli.9

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guinzaglio, lasciandoli liberi di avven-tarsi contro chi semplicemente vuole correre. A Putignano si può dire che le donne corrano quasi tutte, tant’è che esistono una società podistica esclu-sivamente femminile ed altre tre mi-ste. E’ l’esempio di come la collabora-zione tra istituzioni, società sportive e cittadini riesca a creare le condizioni idonee per favorire la pratica dello sport a tutti i livelli. A Putignano c’è poi una varietà di palestre e di attivi-tà sportive: si può fare triathlon (pi-scina, bicicletta e corsa) oppure, nella zona industriale, ci si può iscrivere a palestre di arrampicata (con imbra-catura) su parete artificiale attrezza-ta -è la più grande d’Europa, alta 16 m ed è anche sede di gare - oppure, soprattutto per le donne, ci sono cor-si di tessuto, una disciplina circense che consiste in una danza acrobatica da svolgersi sospesi in aria, grazie al supporto di lunghe strisce di tessuto appese saldamente al soffitto. Ogni occasione lì è buona per organizzare un evento sportivo che viene vissuto

dagli abitanti del posto come autenti-co momento di aggregazione sociale”.

Oltre all’agonismo, c’è un al-tro aspetto interessante che emerge dal racconto sull’Ul-

tramaratona del 23 marzo. L’idea vincente è stata quella di allestire un percorso di 1280 m non su una stra-da qualunque, bensì nei meandri del centro storico di Putignano in conti-nuità con un tratto di corso Umberto: qui, un tabellone elettronico mostra-va ai podisti in transito il tempo e i chilometri già percorsi, grazie al rile-vamento effettuato da un microchip inizialmente infilato nei lacci delle loro scarpe. Nel centro storico, erano allestiti, inoltre, diversi punti ristoro messi a disposizione degli atleti dagli albergatori del posto, mentre gruppi di musica folcloristica animavano gli angoli più suggestivi presenti lungo il percorso. L’evento così organizzato ha attratto moltissimi appassionati che sono accorsi anche dai paesi limi-trofi a fare il tifo per i loro beniamini.

Non solo. In un’ottica lungimirante di ricaduta economica sul territorio, gli organizzatori hanno pensato di proporre il giorno successivo alla 6 Ore di San Giuseppe un altro evento podistico: la Marcialonga di San Giu-seppe. Con questa oculata strategia, molti “turisti sportivi” hanno optato volentieri per un pernottamento pres-so le strutture ricettive di Putignano e dintorni, che così hanno beneficia-to in termini economici dei due eventi sportivi allestiti ad hoc in sequenza. È questo un esempio virtuoso che anche Gioia dovrebbe seguire, come pare stia già facendo la società Gioia Running con una manifestazione po-distica in cantiere per giugno. E chissà che non sia l’occasione giusta perché le donne gioiesi si sveglino dal torpore che le rende così assenti dallo scena-rio sportivo e, guarda caso, anche da quello politico.¿

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Che Ascanio Celestini non abbia nemmeno un po’ di af-fanno alla fine di un monologo durato 100 minuti non è qualcosa d’inaspettato né di assurdo. E non è nem-

meno tanto assurdo vederlo alla fine dello spettacolo “PRO PATRIA- Senza Prigioni, Senza Processi” indossare un paio di occhiali da sole a specchio e la giacca di una divisa militare su un paio di mutande bianche, mentre ripete ossessivamente, a mo’ di canzone, le parole “Niente è uguale a niente, niente per niente è uguale a niente, niente per due è niente…” Sì, perché già le sue sole parole, recitate in un modo unico e travolgen-te, possono essere sia assurde sia banali. “PRO PATRIA” sono le parole di un detenuto che scrive un discorso (per gli altri e per sé stesso) mentre dialoga con Mazzini, tacito e invisibile. In una cella di due metri per due, rappresentata da un pavi-mento verde e da un fondale bianco pieno di manifesti e ritagli di giornale, un ergastolano (data di uscita 9/99/9999) prova e riprova il suo discorso. Dice: “I morti e gli ergastolani hanno una cosa in comune, non temono i processi. I morti perché non possono finire in galera. Gli ergastolani perché dalla galera non escono più.” Un discorso serio, importante, dove intrec-cia la propria storia con quelle di Mameli, Mazzini, Pisacane e Garibaldi. Attorno a lui vagano presenze talvolta inquietanti, talvolta rassicuranti: un padre vero con le mani sempre nere a via di lucidare mobili (pulite e bianche solo nel momento della sua morte), un padre ideale che ha fatto la Storia, un eroe per così dire; un secondino chiamato “Intoccabile” (come quello de “I Promessi Sposi” “sbaglia” Celestini ridendo), padrone vivo e reale della vita carceraria e un immigrato dall’Africa, il “Matto Negro Africano”, un uomo che dorme cinque minuti ogni ora, che ha cercato di evadere due volte (la seconda provando a rendersi invisibile con una “pozione” miracolosa e vagando nudo per Roma) e che parla con i gorgoglii della macchinetta del caffè. Non ci sono scenografie spettacolari, superflue per uno spettacolo del genere: basta uno sgabello rosso sangue, un prato inglese verde smeraldo e uno sfondo bianco per cre-are l’effetto “Bandiera Italiana” e le musiche in sottofondo

sono semplicemente due composizioni classiche (rivisitate) di Chopin. E Celestini ride, parla, gesticola, si alza e si siede, canticchia e indica, alza e abbassa la voce, resta zitto e si gode le risate del pubblico. Ma nonostante l’ilarità generale e il viso sereno, il suo è un monologo pieno d’idee, di racconti passati e di orrori presenti, carico sia di parole vere e dure che di parole lievi e serene. C’è la storia della sua infanzia umile e sempre soggetta a ceti sociali più elevati e c’è la sua storia presente, la sua vita di mezzo matto rinchiuso in una cella piccolissima senza diritti. Non può essere nemmeno definito un matto vero, al cento percento, perché lui parla solo con Mazzini e finché non lo vede, può solo essere considerato una metà, cui è stata data la semi-infermità mentale. E infine c’è questo senso di CONTROVERTIGINE, questa voglia di saltare e non tornare più che ci accompagna nella quotidianità. “Tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, hanno pensato di saltare. Per qualcuno l’ossessione ritorna non appena si sporge. Ba-stano pochi metri d’altezza. Quando l’idea si fa largo nel cer-vello, stringe le mani sulla balaustra del balcone o sugli stipiti della finestra per frenare l’impulso. L’attrazione per il vuoto è come una controvertigine. Solo pochissimi saltano per dav-vero, ma tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, hanno pensato di fare il salto.”¿

CONTROVERTIGINE Breve storia della storia italiana

secondo Ascanio Celestini

Teat

ro

Fiamma Mastrapasqua | / fiamma.mastrapasqua

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“Melensa”. Questa è stata la parola con cui lo sceneggiatore Francesco Niccolini ha definito la più nota tragedia d’amore

teatrale: “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare è la triste vicenda dei due innamorati ostacolati da un antico astio familiare. Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti soffrono, piangono, pregano, si amano, si nascondono, cercano di fuggire e non tro-vano altra via d’uscita se non quella dell’inganno e, infine, quella della morte. L’opera è dunque tut-to tranne che comica. Eppure Tonio de Nitto (regia) e Francesco Niccolini (adattamento e traduzione) sono riusciti a rinnovarla e a renderla divertente e ironica, sempre però mantenendo tratti drammati-ci o dolci amari. Alternando saggiamente scoppi di risa a momenti di assoluto silenzio, colpiti dalla dolcezza e dalla tristezza delle scene, il risultato è ottimo. Ma perché lo spettacolo è piaciuto tanto, sia a giovani che ad adulti? La risposta è sempli-ce: poeticamente si fanno parlare i sei attori (che interpretavano più personaggi) in rima, eccetto gli eterni innamorati (perché l’amore vero fulmina e non ha bisogno di regole precise per essere espresso) e attenersi nonostante tutto ai versi dell’opera cin-quecentesca. Per far divertire il pubblico, invece, c’è bisogno di inventiva, di un tocco originale, estroso, di qualcosa che sia comico e moderno allo stesso tempo, ma non troppo calcato: il risulta-to potrebbe essere quello di creare uno spettacolo grottesco e finto. E allora basta aggiungere qualco-sa che sia alla portata di tutti. Un paio di grosse e colorate cuffie appese al collo dei protagonisti per esempio. E aggiungiamoci anche una balia impic-ciona, manesca e con l’affanno (la vera, pardon, il vero show-man sul palco: la balia era interpretata da un uomo), un cugino (Menico ucciso poi per mano

dell’invidioso e arrogante Tebaldo Capuleti) sem-pre a caccia di donne, una canzone dei Radiohead e un ballo di gruppo. Niente come vedere Montecchi e Capuleti ancheggiare sulle note di “Fiesta” di Raffaella Carrà rende uno spettacolo teatrale tanto comico. Senza dimenticare però che si sta assistendo a una delle opere più dolci, più drammatiche e più sentite della letteratura mondiale di tutti i tempi. Tanto coinvolgente quanto bello e tanto vero quanto ironico, lo spettacolo “Romeo e Giulietta” di Nicco-lini- de Nitto è da vedere e rivedere. Non importa quante volte, non importa che età avete o quale sia la professione. Una discreta conoscenza sull’opera di Shakespeare e una predisposizione verso le arti teatrali farebbero di voi un ottimo spettatore. La-sciatevi letteralmente coinvolgere dall’esuberanza dei personaggi e godetevi lo spettacolo. Non fate caso alla balia che cerca disperatamente la cara Giulietta tra il pubblico, distribuendo una certa quantità di confusione e centrini da asciugare per gli spalti, e non pensate mica che Romeo vi stia dedicando un poema: recita soltanto, il suo cuore è per la giovane Capuleti! E ricordatevi di spegnere il cellulare. Romeo e Giulietta erano sì moderni ed “emancipati” non usavano un Nokia o un iPhone per scambiarsi parole d’amore…

Alla domanda: “Perché scrivere un’altra versione di Romeo e Giulietta?” Francesco Niccolini risponde che la tragedia racconta non solo una storia d’amo-re ma la colpa della soppressione dell’infanzia e dell’adolescenza. Un delitto pianto universalmente, poiché rappresenta la fine di un’età libera. Per dirla con Shakespeare, “non c’è niente da fare, la giovinezza morirà per tutti.”. La soluzione da tro-vare affinché non muoia sta a noi. ¿

Romeo e Giulietta indossano le cuffie

dell’mp3Quando Montecchi e Capuleti

giocano a fare i comici sul palco

Fiamma Mastrapasqua | / fiamma.mastrapasqua

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Alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso, Gioia del Colle e tutto il territorio murgiano sono stati un vero e pro-prio ombelico del mondo di allora. Erano presenti - e a quanto rilevano alcune cronache dell’epoca anche mol-to ben visibili - dieci postazioni di ricovero e lancio di almeno trenta testate nucleari puntate verso il nemico rosso che stava ad Est. Risale esattamente al 10 agosto 1959 il momento in cui il governo italiano siglò con gli Stati Uniti l’accordo che prevedeva l’installazione nelle Murge delle suddette testate. Esse furono attive fino al 1963 e vennero poi rimosse in seguito agli accordi deri-vanti dalle tensioni cubane per la simmetrica installa-zione balistica russa nel territorio del regime castrista. I sovietici, con le installazioni cubane, pareggiarono il vantaggio tattico che gli Usa avevano ottenuto in Euro-pa con gli Jupiter presenti sulla Murgia e installati an-che in altre aree, tra cui la Turchia...Ma questa è un’al-tra storia. Torniamo ai nostri missili.

Nel frattempo, Alan G. James produce al termine di una visita al nostro aeroporto militare un rapporto che per decenni rimane secretato e che da pochi anni è di-sponibile anche sul web. Ma Chi era Alan G. James? Si trattava di un inviato dell’ufficio Affari europei del Di-partimento di Stato americano in visita al comando del-la 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica di Gioia del Colle il 15 settembre 1961..James scrive esplicitamente che il permesso di visitare Gioia del Colle e i siti coin-volti viene rilasciato dal nostro dicastero degli Interni e dalle varie Autorità competenti “on condition there is no publicity”(James è accompagnato in questa visita sia da un membro del senato che da un membro del congresso americano). Traspare dalle parole dell’autore del rapporto un’evidente sorpresa riguardo come il go-verno italiano tenti di tenere sopita il più possibile la vicenda delle installazioni pugliesi, quando egli stesso

ammette che sono clamorosamente visibili e l’opinione pubblica locale conosce la localizzazione di questi siti. Interessante da questo punto di vista la testimonianza di Peppino Vasco, memoria storica della sinistra gio-iese, che riprendiamo da un articolo di Ilaria Ficarella della Gazzetta del Mezzogiorno dell’11 febbraio 1999: Massiccia era in quegli anni l’adesione dei cittadini alla lotta contro il nucleare a Gioia. Una lotta che non si è mai realmente sopita. Venne eretto in piazza un facsi-mile di cartone a dimensioni reali di un missile Jupiter e sui bordi era elencato tutto quel che si sarebbe potuto fare per la città con il denaro impiegato per costruire uno solo di quei missili. La polizia tentò di distruggerlo.

Il rapporto continua, descrivendo con grande dovizia di particolari quelle che sono le condizioni di sorveglian-za di ogni singolo sito, alcune caratteristiche tecniche degli stessi nonché il ruolo della vigilanza esterna e la questione della doppia chiave.

James riconosce alla parte italiana coinvolta nel pro-gramma Jupiter un alto tasso di affidabilità ed in parti-colare sottolinea il ruolo di sorveglianza esterna ai siti affidata all’Arma dei Carabinieri. Egli suppone che un attacco esterno di tipo terroristico presso uno o più siti difficilmente potrebbe sfuggire al controllo dei carabi-nieri. Interessante la questione della doppia chiave per il lancio dei missili. Una volta ottenuto l’ordine definiti-vo, un missile poteva essere scagliato solo se entram-be le chiavi, una in mano italiana ed una in mano USA, fossero state correttamente azionate. Può sembrare in apparenza una questione tecnica, ma in realtà dimostra come il governo italiano avesse un ruolo di primissi-mo piano nella gestione e negli eventuali obiettivi del

Gioia del Colle,

il rapporto di

Alan G. James sui

missili JupiterEnrico Febbraro | /enrico.febbraro.9

Stor

ia

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programma Jupiter. Il rapporto si conclude con una ri-flessione di James in cui si sottolinea l’importanza as-segnata a Jupiter dalle autorità italiane e il fatto che, quando gli Usa decideranno di uscire dal programma, dovranno farlo in maniera molto “careful”: possiamo ipotizzare che la questione Jupiter sulle autorità dell’e-poca avesse un peso fortissimo da mettere quasi cer-

Come funzionano le testate nucleari?

Il PGM-19 Jupiter, prodotto dalla Chrysler, era un missile a me-dio raggio, con una gittata tra i 1000 e i 5500 km, armato con una potente testata che sfruttava reazioni di fusione termo-nucleare.Tali reazioni – tipiche del Sole e delle stelle del nostro universo – si ottengono in laboratorio mediante compressio-ne di due nuclei atomici, che, avendo entrambi carica positiva, hanno la tendenza a respingersi. In seguito a compressione, invece, l’interazione forte, che spinge particelle subatomiche dello stesso segno ad aggregarsi, prevale sulla forza di repul-sione elettromagnetica. Il risultato è la generazione di un nu-cleo di massa maggiore con neutroni liberi e il rilascio di una consistente quantità di energia.Nelle testate, si possono impiegare anche reazioni di fissione nucleare, in cui il nucleo di un elemento pesante (ad es. l’ura-nio-235 o il plutonio-239), una volta colpito da un neutrone, decade (si suddivide) in frammenti di minori dimensioni, con emissione di grandi quantità di energia e radioattività.Cosa sarebbe successo se questi missili fossero stati mano-messi o peggio ancora sganciati sul territorio gioiese? ci sa-rebbero state una seconda Hiroshima e una seconda Nagasaki in un attimo.Il calore della reazione avrebbe provocato istantaneamente la volatilizzazione della sostanza organica, con la conseguente scomparsa di tutte le forme di vita nel raggio di diversi chi-lometri e un enorme numero di ustionati destinati alla morte tra atroci sofferenze nelle zone più esterne. Un lampo di spa-ventosa intensità avrebbe causato cecità tra la popolazione e lo spostamento d’aria dovuto all’esplosione avrebbe raso al suolo case, edifici e tutto il resto. Le radiazioni sprigiona-te avrebbero condotto alla morte un altrettanto considerevole numero di persone, con ripercussioni di carattere genetico e malformazione di feti. La nube e le polveri radioattive si sareb-bero disperse anche negli strati alti dell’atmosfera, oscurando la radiazione solare e diffondendosi in altre aree del pianeta.Non sarebbe stato meglio dunque dirottare le ingenti somme di denaro investite per la costruzione di questi missili sulla ricerca del cosiddetto “nucleare pulito” per cui Carlo Rubbia ha speso una vita intera? Un nucleare non più connesso a quell’ossessivo pensiero dello “smaltimento delle scorie ra-dioattive a lungo termine”.Amaldi, uno dei ragazzi di via Panisperna, ha affermato che “quando un uomo crede di poter fare qualcosa, fino alla fine la realizza”. Accostando questa massima al pensiero di Hans Jonas sul “principio di responsabilità e sul diritto di ogni uomo a morire” in una società in cui la Scienza, affiancata dal suo braccio armato che è la Tecnica, domina imperante e senza scrupoli, forse si riuscirebbe a fare del nucleare anche uno strumento di progresso e non di regresso. E il forse è mera retorica. ¿

tamente in relazione con lo scenario storico in cui si svolsero tali eventi.

Sono passati cinquanta anni ormai dalla rimozione dei missili e dallo smantellamento delle postazioni, ma il territorio presenta tracce indelebili di quel periodo sto-rico. Anche nella cultura popolare, non solo gioiese, i luoghi che hanno ospitato gli Jupiter contengono nel loro nome molto spesso la parola missili, declinata più o meno diversamente a seconda delle varie inflessioni dialettali. Sul destino di queste aree nel periodo suc-cessivo alla rimozione delle testate, sono interessanti le parole del sindaco Sergio Povia, che riprendiamo dal già citato articolo della Gazzetta del Mezzogiorno:”Le aree in cui sono state custodite per anni le testate nu-cleari appartengono al demanio militare. Perciò non sappiamo dire come siano state gestite in questi anni. E per lo stesso motivo non è mai esistita la possibilità di rilevare quelle aree per farne alcunché”. Possiamo concludere quindi che la nostra comunità di fatto non è mai stata all’oscuro della presenza di queste posta-zioni, ma forse soltanto con l’andar del tempo ha preso pienamente coscienza di che cosa vi fosse realmente custodito. La presenza di questi missili nel cuore del Mediterraneo, puntati oltre la cortina di ferro, sono sta-ti, di fatto, una delle cause scatenanti di una delle ten-sioni più forti USA-URSS durante il primo periodo della Guerra Fredda. A modo nostro siamo stati protagonisti involontari di una grande pagina di storia, anche se for-se non ce ne siamo mai del tutto accorti. ¿

Emma Lomonte | /emma.lomonte

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Giovedì 11 aprile, presso il Chiostro comunale, in occasione dell’incon-tro organizzato dal Presidio del Libro di Gioia del Colle e dall’Associazione culturale Polifonie, abbiamo avuto il piacere di intervistare Oscar Iarussi, giornalista e saggista, critico cinema-tografico, docente di Storia del Cine-ma Americano all’Università di Bari, Presidente di Apulia Film Commission fino a novembre 2011, membro della commissione esperti della Mostra In-ternazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Ecco cosa ha risposto alle nostre domande.

1) Nel suo saggio “Il viaggio nel cine-ma americano” lei elabora il concetto di genere Western inteso come cinema americano per eccellenza. Cosa inten-de?

Il cinema western lo definisco come

genere per eccellenza, perché tutta la storia del cinema negli Stati Uniti è concepita come una generosa espan-sione verso l’Ovest.Questo è un concetto singolare, perché in realtà la frontiera ha una sua stori-cità: si chiude infatti nel 1895, quan-do cioè le ultime terre degli Stati Uniti vengono colonizzate.Il cinema in America comincia quan-do la frontiera è ormai chiusa da circa vent’anni.Tutto il western è una sorta di meta-genere, con uno sguardo retrospettivo e nostalgico verso qualcosa che non c’è più, una gigantesca poetica della nostalgia. Il canone stesso del western si trova in altri generi americani, dal cinema di guerra a tutto il filone sulla secon-da guerra mondiale, fino al cinema sul Vietnam per giungere a quello sulle guerre in Afghanistan e Iran. Ebbene, il canone, il meccanismo drammatur-gico e narrativo è ricalcato su quello del western.Elementi in comune sono l’attraversa-mento del territorio del nemico, sem-pre in agguato, verso cui si prova sia attrazione sia repulsione. C’è poi un

superamento di prove che conducono ad un premio, che rappresenta a sua volta una promessa di felicità (conqui-sta di una terra o di una donna).Il protagonista assoluto è l’eroe dai mille volti e un generale anelito verso il ricominciamento, la ricerca di qual-cos’altro.Ciò vale anche per il cinema di fanta-scienza, dove avviene la conquista di altri mondi e quindi di altre frontiere. L’unica eccezione è rappresentata dal genere della commedia, che invece ha un suo sviluppo originale di matrice più europea.

2) Nel saggio “Ciak si Puglia, cinema di Frontiera 1989- 2012”, lei traccia in maniera appassionata un bilancio di quella ricca stagione che ha fatto della Puglia il set privilegiato di produzioni cinematografiche di qualità. La nostra regione è rinomata quale perla rara da un punto di vista paesaggistico e per la sua ospitalità. Cosa pensa Oscar Ia-russi della Puglia cinematografica?

Già da molti anni con la mia attività saggistico-giornalistica, avevo intu-ito che bisognava dare una cornice a

Intervista aOscarIarussiMaria Castellano | /maria. castellano.5

Cine

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questa terra. L’episodio netto che ha delineato la Puglia e l’ha resa terra di frontiera è avvenuto nei primi anni ‘90, quando la regione fu investita dalle migrazioni albanesi. Le frontiere han-no un fascino interessante per il cine-ma, la letteratura e la musica, perché sono dei luoghi dove avvengono dei fatti, si producono dei traumi, degli strappi, dove c’è passaggio di storie.

Quando c’è un passaggio di uomini e di donne, avviene un passaggio di sto-rie e di echi, come ne “Le vie dei canti” di Cathwin. La Puglia cinematografi-ca quindi non è intesa soltanto da un punto di vista squisitamente paesag-gistico, ma è stata ed è una regione interessante per questa sua cangian-te identità, per questo suo profilo in continuo mutamento. Queste sue pe-culiarità hanno attratto registi anche da molto lontano e ciò, a mio avviso, soprattutto in virtu’ di questa migra-zione avvenuta un ventennio fa. Poi le cose sono mutate, c’è stata quella che io definisco una provvidenziale espe-rienza di natura istituzionale, ovvero la creazione di una Film Commission, alla quale io ho personalmente con-tribuito in qualità di presidente per alcuni anni. Si sono messe in atto con successo delle politiche di un certo in-teresse che si sono rivelate attrattive per i territori e di sostegno per le pro-duzioni filmiche. Credo però che oggi ci troviamo in una stagione differente e in parte ineffabile che va analizza-ta. Non lo dico per reticenza, ma per-ché segnalare una differenza rispetto al passato, prendere atto che una si-tuazione stia mutando, anche se non si sa come, è già un rilievo giornalisti-co. Dare quindi per scontato che tutto sarà sempre com’è adesso, sarebbe un grave errore assolutamente da evitare.

3) In gran parte dei paesi europei il doppiaggio non esiste. Partendo dal presupposto che l’Italia rappresenta la patria dei grandi doppiatori, il dato di fatto è che siamo purtroppo indie-tro rispetto all’Europa, dal momento che il film in lingua originale acquista

un imprescindibile valore aggiunto. Qual è il suo personale punto di vista a riguardo?

Penso che i film in lingua originale siamo una scelta virtuosa. Tuttavia ri-tengo che, sia in virtu’ della lunga tra-dizione che ha scuola del doppiaggio italiano, sia purtroppo per la chiusura che il nostro Paese mostra nei con-fronti delle lingue straniere - triste costatazione la mia - un conto è fare degli strappi virtuosi e culturali d’es-sai, rivolgendosi ad un pubblico “ari-stocratico”, un conto è decidere oggi di proporre solamente film in lingua originale. Sarebbe come uccidere l’e-sercizio cinematografico.

4)In un’Italia nella quale la cultura è sempre stata ai margini del nostro bilancio nazionale, il cinema sta at-traversando un periodo difficile. Se-condo lei, la settima arte in Italia è in crisi solo per un momento economico penoso o c’è anche crisi di idee e di fertilità creativa? C’è mancanza di cu-riosità?

Questo è un vecchio dilemma che si ripercuote sulla vicenda cinematogra-fica da decenni.Io credo che, prima ancora del cine-ma, sia l’Italia ad essere in crisi e non soltanto in crisi economica ma in crisi d’identità. Siamo in un momento nel

quale nemmeno il Paese sa se esse-re partecipe di uno scenario europeo; gli italiani non hanno ancora deciso se essere o meno europei di un’Eu-ropa peraltro anch’essa in forte crisi. Questo processo di smarrimento si ri-percuote, come è ovvio che sia, anche sulla scena cinematografica.

5) In questi ultimi mesi, la “Fabbrica dei sogni” sta attraversando quel pro-cesso di digitalizzazione già affrontato da stampa, fotografia, libri, televisione, home video. Ci si auspica che l’intera industria cinematografica viva una se-conda vita. Lei crede nelle opportunità di sviluppo che può offrire questa in-novazione tecnologica?

Credo che come in tutti i casi di tra-sformazione tecnologica, ci siano delle legittime ma superabili paure. Come sempre avviene nei casi di modifica del supporto tecnologico, subentrano il timore e la classica domanda “Che si fa adesso?”. Il problema si presenta soprattutto per gli operatori del setto-re o per l’imprenditore cinematografi-co che dispone della sala in pellicola e deve passare al digitale, deve trovare il modo di farlo, soprattutto trovare i mezzi economici che permettano que-sto passaggio. Ma sono certo che si tratti solo di un processo di trasforma-zione che con il tempo non susciterà più paure e interrogativi. ¿

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Quello che avviene è un addestramento basato su paura e privazione del cibo con due fasi ben distinte. La prima, quella portata avanti dagli addestratori esperti al di fuori dei ten-doni, quindi prima che gli animali giungano nel circo, utiliz-za metodi quali la sottomissione e le percosse. La seconda, l’allenamento, inizia quando il circo ha acquistato l’animale e si accinge ad insegnargli l’esercizio. Durante questa fase, l’addestratore deve semplicemente ricordare all’animale quello che gli è stato già insegnato durante la prima fase dell’ addestramento, ovvero che è l’ uomo che comanda, e impartirgli l’ ordine. Per gli animali come i leoni marini, che non possono ricevere percosse a causa della loro delicatezza fisica, ci si affida solo, per dire, alla privazione del cibo. Il rac-conto di tutto questo è stato accompagnato dalla visione di un filmato che, attraverso microcamere nascoste, documen-tava la vera realtà del circo. La mia penna non riuscirà ad essere tanto affilata quanto quelle immagini e può sempli-cemente raccontare dell’estenuante rumore delle percosse sulla pelle, delle immagini di elefanti che dondolavano come presi da autismo, bufali che cercavano di liberarsi dalle gab-bie e tante altre atrocità. Come se tutto ciò non fosse ba-stato, l’intervento del dott. Vincenzo Celiberti ha ricordato a tutti quanto gli animali siano molto simili agli uomini. Tanto per fare un esempio, un gorilla ha solo il 97% di compatibilità genetiche con un uomo e che Koko, un esemplare femmina di gorilla, si destreggia perfettamente con il linguaggio ame-ricano dei segni (ASL). E’ così intelligente da esser arrivata a farsi beffa dei suoi interlocutori sostenendo di essere un uccello per poi confessare la piccola bugia “detta” così, per scherzare. Ovviamente i rappresentanti del Comune erano tutti troppo impegnati nei loro uffici per poter spendere del tempo a presenziare seppur disinteressatamente alla ma-nifestazione. L’ unica breve comparsata è stata quella dell’ assessore Masi e del sindaco Povia, il quale ha risposto all’i-ronico saluto al microfono aperto del dott. Vincenzo Celiberti con un: “Ne riparliamo in altra occasione”. Ci auguriamo che questa “altra occasione” ci sia davvero, ma nel frattempo di-fendiamoci, decidendo di boicottare il circo con gli animali. Il circo con gli animali non è uno spettacolo né per bambini né per adulti. Non è uno spettacolo. Il circo con gli animali è un massacro.¿

Grazie all’ impegno del neonato Comitato per la tutela dei diritti degli animali si torna a parlare di circo a Gioia del Colle. Nel 2004 un’ordinanza comunale fi-

nalmente aveva imposto il divieto ai tendoni di stabilirsi nel-la nostra cittadina, poi poche settimane fa il traffico si ferma a causa di un elefante portato a spasso dal suo addestra-tore. Quindi il WWF, l’Arci Lebowsky, l’associazione Petali di Pietra e l’associazione Ombre hanno unito le loro forze per la creazione del suddetto comitato e il 30 aprile scorso hanno dato vita ad un’interessante quanto illuminante conferenza con Erica Franco, responsabile del settore Circhi della LAV e Vincenzo Angelillo, archeologo, preistorico, primatologo e ricercatore presso il “Centre Europé de Recherche Prehi-storique” di Travel in Francia. Più che tracciare cronachi-sticamente gli interventi dei due esperti, è importante dare un’informazione chiara su quello che è il circo degli animali e collaborare così con gli obiettivi del Comitato. In Italia il Circo con gli animali è una realtà che paradossalmente an-cora riceve sovvenzionamenti dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) in quanto, nell’obsoleto 1968, si riconobbe la sua portata educativa. Quarantacinque anni dopo, è fondamen-tale ribaltare questo status quo ed educare i più piccoli ad aborrire gli spettacoli del circo che prevedono “lavoratori” senza contratto firmato come elefanti, tigri, dromedari, ecc. Senza contratto firmato. Questo è il nocciolo della questio-ne. Nessun animale giunto al circo ha ricercato quel lavoro sulla facciata di un giornale nè si è presentato per un rego-lare colloquio di lavoro. Anzi, quello che avviene davvero die-tro le quinte del Circo è esattamente il contrario di tutto ciò, si tratta della manifestazione che la pratica della schiavitù esiste ancora anche in un paese apparentemente democra-tico come il nostro e non solo sugli animali, ci sarebbe da aggiungere. Già perché, tra parentesi, è notizia recente che a Vibo Valentia il circo della famiglia Wanet Togni sia stato chiuso per aver ridotto in schiavitù alcuni lavoratori “umani” stranieri. Ma, tornando all’argomento, gli animali spesso già adulti vengono addestrati preventivamente da “esperti” del settore, che operano prevalentemente in Francia e Spagna. Il cosiddetto “metodo dolce” (quello dei bocconcini premio) è un alibi utilizzato per oscurare le vere metodologie applicate per gli animali esotici sui quali è assolutamente impossibile “operare” con lo stesso metodo utilizzato per i cani e i gatti.

Dietro le quinte del circo con gli animaliLyuba Centrone | /maria. castellano.5

Etica

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Laura Castellaneta | / laura.castellaneta.7

Cos’è “Ad Maiora”?È il classico sogno nel cassetto che realizzi a costo di rinun-ciare ad altre cose in regime di incertezza totale. Ho sempre avuto la passione dell’artigianato creativo a margine di altri lavori precari inerenti alla mia laurea in Scienze Politiche. Dopo tanti impieghi che alla lunga ti demoralizzano, cerchi stabilità attraverso qualcosa di più concreto, anche al di fuori di quello che il tuo percorso di studi suggerisce. “Ad Maiora” nasce nel dicembre 2011 come laboratorio e banco di prova per promuo-vere la mia linea realizzata con tessuti e materiali da riciclo. La novità è che questo negozio ospita gratuitamente molti arti-giani che vogliono esporre, differenziandosi dalle attività che offrono uno spazio a pagamento con l’affitto del temporary shop. La scelta degli espositori in base a cosa viene fatta? Chi sono?Ho conosciuto numerosi artigiani, alcuni dei quali con una tec-nica molto alta e li ho portati qua, altri invece mi contattano attraverso internet. Mi piace l’idea che si possano alternare in uno spazio sia pure limitato rispetto a quello di una piazza. Ciò che faccio ha sicuramente un ritorno in termini pubblici-tari ed economici ed io in questo modo ho prodotti sempre nuovi in negozio, una formula volta al risparmio per me e per chi espone. Io non posso far pagare un artigiano e rischiare di non vendere il suo prodotto, quindi il contratto di un mese dà a chiunque la possibilità di avere una propria visibilità, venden-do opere del proprio ingegno in maniera occasionale. Attual-mente ci sono 12 espositori: illustratrici, ragazze che creano gioielli con i materiali e le tecniche più vari, altre che realizzano linee di abbigliamento, per la casa e l’arredamento.Qual è la differenza tra le vendite in negozio e quelle online? Finora online ho venduto poco perché il mercato è grande e chi compra ha le idee chiare. In questo tipo di vendite c’è una fiducia di base nei confronti sia della persona che sta dietro il monitor, sia della fotografia e dei sistemi di pagamento, invece chi viene qua va consigliato e guidato all’acquisto. La gente non è abituata ad osservare, ma guarda distrattamente e il mio compito è argomentare sul prodotto, spiegando cosa c’è dietro ogni singolo pezzo, chi è l’artigiano, qual è il proget-

to all’origine e quali sono le possibili evoluzioni. La mia clientela è diversificata, ma mi piacerebbe lavorare di più con quella più creativa, perché il divertimento sarebbe quello di creare una cosa ad hoc per il cliente, personalizzata e ir-ripetibile. Quali sono le modalità e i pro-getti per valorizzare ancora di più questo spazio?Uso molto internet, ma lavoro tanto sul passaparola. Ogni tan-to faccio qualche mercatino, partecipo ad eventi come il “Salon Bizarre” e spero di poter fare delle mostre. Farò esposizioni e fiere dell’artigianato specializzate, mi piacerebbe fare labora-tori perché ci sono richieste, soprattutto in una fase di recupe-ro generale delle cose. L’interesse c’è nonostante la concorren-za, l’assenza di un marchio, il fatto che i prodotti non sempre ci sono ma si devono realizzare. Ho preferito stare lontana dalle reti della burocrazia ed essere libera di muovermi, ma magari un domani, per incrementare il giro d’affari del negozio, mi ser-virà il supporto di una consulenza, perché gestire contempo-raneamente la clientela, la produzione dei pezzi, l’approvvigio-namento dei materiali, la pubblicità, la parte amministrativa, la pulizia e l’ordine del negozio è difficoltoso. C’è un messaggio che vorresti lanciare ai nostri lettori?Io sono un ex consulente di orientamento al lavoro e sono ar-rivata a fare una cosa mia perché vedevo troppa gente lamen-tarsi dell’assenza di lavoro attraverso una sorta di autocom-miserazione. Bisogna provare ad inventare, tentare la strada dell’autonomia, nel piccolo, con un’idea, con un progetto, con una collaborazione, perché la piccola e media impresa sono il cuore pulsante dell’economia italiana .Mettendoti in proprio fai uno sforzo per sottrarti alla massa che cerca lavoro dipen-dente altrove, ma sei uno in meno che deve essere assorbito dal sistema occupazionale. ¿

Inno

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AD MAIORA

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Si chiama ATTRAVERSO la nuova creatura dei C.F.F e Il Nomade Venerabile , lanciata ad aprile ed anticipata dal videoclip No-stra signora della neve, edito a tre anni di distanza dall’ultimo album - raccolta LUCIDI NERVI IN CIRCOSTANZE DI GHIACCIO.

I C.F.F. tornano a calcare il palcoscenico partendo da Pulsano e Acquaviva delle Fonti e travolgendo il pubblico con la voce cal-da e graffiante della straordinaria Anna Maria Stasi, mirabile interprete del lavoro del paroliere nonché bassista Vanni La Guardia, autore della maggior parte dei testi (altri pezzi inve-ce portano la firma di Anna Surico e della stessa Anna Maria Stasi).L’album, il quinto in uscita, succede in ordine cronologico a Ghiaccio (2004), Circostanze (2006), Lucidi nervi (2009), Lucidi nervi in circostanze di ghiaccio (2010) e tocca la dimensione intimistica dell’uomo moderno rapportata alla vita di tutti i giorni, strutturando l’intera opera attorno al tema affascinante e multisfaccettato del tempo.Con Attraverso i CFF mostrano un livello di qualità alto, con un sound diverso da quello degli album precedenti, concedendosi maggiormente a vibrazioni punk rock , post rock, stoner. La scelta azzeccata, visto il ri-sultato ottenuto, è in piena continuità con il leitmotiv della loro carriera improntata sulla continua sperimentazione, non ristretta alla sola musica ma anche alla rappresentazione sce-nica. Andando a ritroso nel loro progetto, infatti, possiamo notare come i C.F.F. abbiano espresso la propria musica spaziando dalla video arte al teatro-danza, il tutto rafforzato dalla col-laborazione con Anna Moscatelli.Correva l’anno 1999 quando Vanni La Guardia e Nicola Liuzzi fondavano i C.F.F. (Concet-tuale Fisico Fastidio) e il Nomade Venerabile (in riferimento alla componente scenico-teatrale caratteristica degli esordi), presto affiancati da Monica Notarnicola, tastierista dei C.F.F. per ben 8 anni. Da allora si sono succeduti una serie di trionfi e importanti riconoscimenti degni della miglior gavetta. La band,

attualmente composta da Anna Maria Stasi (voce e movimenti scenici), Vanni La Guardia (basso e voce), Anna Surico (chitarre e korg microstation), Fabrizio Lavegas (chitarre e moog) e Lo-renzo Velle (batteria e cori) si afferma fin da subito come uno dei migliori prodotti sulla scena indie rock italiana, subendo influenze di mostri sacri del rock anni ’80 e ’90 tra cui The Cure, JoyDivision, fino ai compatrioti CCCP-Fedeli alla Linea, Massi-mo Volume e Scisma. E proprio l’ex fondatore degli Scisma, Pa-olo Benvegnù, nel 2009 si presta alla collaborazione nell’album LUCIDINERVI assieme, tra gli altri, a Franz Goria dei Fluxus, Paolo Archetti Maestri degli YoYo Mundi e Umberto Palazzo, definendo i C.F.F. come “uno dei migliori gruppi in Italia, con una grande forza e abnegazione”.Dal loro debutto hanno conseguito prestigiosi risultati, come la partecipazione nel 2002 alla tappa materana dell’ I-Tim Tour e nel 2005 al rinomato Sziget festival di Budapest, kermesse di sette giorni in cui si esibiscono artisti di tutto il mondo con una media di 350.000 visitatori.Nel giro di pochi anni le loro partecipazioni sulla scena mu-sicale si intensificano arrivando a fare oltre 400 concerti tra Italia ed estero, ottengono premi della critica e la voce di Anna Maria Stasi è eletta da Paola Turci miglior voce della rassegna Venerelettrica International Female Rock festival di Perugia. Migliorano le loro performance musicali dal vivo, aprendo i concerti dei più blasonati Marlene Kuntz, Giorgio Canali e Ros-sofuoco, Moltheni e Giardini di Mirò.Poi una sosta lunga 3 anni. Tre anni nei quali il lavoro artistico della band apparentemente si ferma. L’impegno nella ricerca poetica però prosegue in una dimensione raccolta, lontana per l’appunto dalle platee. Quel che ne nasce è un progetto inti-mistico e “metropolitano” allo stesso tempo. “ATTRAVERSO” infatti traccia la linea dell’eterna scissione tra la nostra inte-riorità ed il mondo esterno, tra il divenire intimo di noi stessi e il divenire fisico della storia, dei costumi. La continua lotta tra l’essere umano e la sua storia che solo “attraverso” il binario del Tempo Interiore o Fisico scoprono una sinergia nuova… ¿

Quinto album e nuovo tour per la band gioiese

Per ulteriori informazioni sui CFF, è possibile visitare la pagina www.facebook.com/cffeilnomadevenerabile.

WELCOME BACK C.F.F.

Filippo Linzalata | /filippo.linzalata

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La democrazia che oggi viviamo qui in Europa, piaccia o non piaccia ai conservatori, è fi-glia della rivoluzione. Anche se la rivolu-

zione francese fu per antonomasia la rivoluzione borghese, si trattò pur sempre di atti radicali che determinarono una chiara discontinuità nella Sto-ria della modernità. In questa occasione, ci pia-cerebbe discutere a proposito di uno dei segni distintivi della Rivoluzione francese: il princi-pio dell’uguaglianza. Per opportunità narrative tralasceremo tutte le interpretazioni filosofiche e politologiche che derivano dal principio in og-getto all’art. 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma ci limiteremo ad af-fermare che questo definisce soprattutto un limite e fornisce legittimità al concetto stesso di liber-tà democratiche. Nella Gioia del Colle degli anni 2010 - che in termini generali si può sempre eleg-gere a esempio paradigmatico dell’italica nazione cantata da, buon anima, Mino Reitano - i poteri forti sono invece sopra la linea mediana della leg-ge, che di fatto uguale per tutti non è. Questa affermazione agli occhi del lettore medio e incaz-zato può apparire scontata, quasi lesiva dell’in-telligenza umana, un’ovvietà da ‘Porta a Porta’ della quale facciamo a meno e per la quale non sarebbe necessario pagare delle spese di stampa. Il denaro costituisce potere, la legge è discriminan-te; uguaglianza e democrazie non esistono, e più o meno tutti ne sono coscienti. Accade però che, spesso, ad essere al di sopra della legge siano le aziende, gli apparati che allo Stato si rifanno e che con il tricolore e l’inno di Mameli hanno un

rapporto morboso; in questo caso le aporie democra-tiche appaiono anche più scomode. Non vogliamo fare sensazionalismi da Striscia la Notizia, ma appare evidente che, se non vogliamo ridurre queste ri-flessioni al solito ricettario di belle parole e di emozioni che valgono soltanto per il tempo della lettura, è necessario dare nomi e cognomi alle cose. Qualche anno fa una giovane e coraggiosa ra-gazza alle prese con una nuova attività imprendi-toriale sportiva mi raccontava delle difficoltà legate alla concessione da parte dell’ufficio ASL delle autorizzazioni necessarie all’avviamento dell’impresa. Il problema era la presenza di un parcheggio su asfalto, le cui dimensioni richiede-vano la realizzazione di un sistema di trincee drenanti al fine di depurare le acque meteoriche (piovane) che sarebbero finite nei terreni vicini di loro stessa proprietà. Nulla di inesatto in principio, poiché è quanto disposto dal dettato del Piano di Tutela delle Acque che la Regione Puglia ha adottato con il DGR n. 883/2007 al fine di ade-guare la normativa regionale alle diposizioni del D. Lgs. n.152/2006, recanti “norme in materia am-bientale” (il legislatore statale aveva a sua vol-ta recepito le norme della Direttiva 2000/60/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 23 ottobre 2000). Tuttavia, da questo breve cenno, derivavo almeno due considerazioni. La prima è che l’ultimo livello del potere esecu-tivo, costituito dall’ufficiale della strada, l’ufficio ASL nella fattispecie, dovrebbe far ap-plicare la legge a tutti, non in maniera arbitra-ria, ma comunque in modo ragionevole al fine di

Al di sopra di ogni sospetto

qRosario Milano

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rendere le norme legittime agli occhi del cittadi-no. Una soluzione certamente pericolosa, che ri-manda necessariamente a un livello elevato di pre-parazione da parte degli agenti e sulla quale non formuleremo ulteriori analisi. La seconda conside-razione, per me la più importante nell’elaborazio-ne di questa riflessione, è che la stessa legge, fatta applicare giustamente a tutti i poveracci di questo mondo, anche, ripeto, a un parcheggio di pochi metri quadrati di un giovane cooperativa di trentenni, non si faccia applicare a una società di diritto privato di nome Azienda Nazionale Autonoma delle Strade spa che, malgrado la privatizzazione nel 2002, resta comunque in mano al Ministero del Tesoro della Repubblica Italiana. Ancora una vol-ta, mi cogliete in pieno conflitto di interessi: parlo infatti di esperienze personali e sono mosso da rancori personali; poco male, perché per caso mi trovo dalla parte della legge, anzi, tra coloro i quali si trovano al di sotto della legge e per que-sto schiumo di rabbia. Se vuoi costruire un par-cheggio, devi preoccuparti di depurare l’acqua di poche centinaia di metri quadrati che non può fi-nire nei terreni, perché inquinano; se invece ti chiami ANAS puoi anche non preoccuparti di scari-care centinaia di litri di acque meteoriche diret-tamente nella falda acquifera, senza neanche pas-sare attraverso i campi di spandimento e i filtri costituiti dagli strati. Più precisamente, in un inghiottitoio naturale situato tra via Polmonare e via Santa Candida, in contrada Bassa Gaudella, l’A-NAS, utilizzando un canale di scolo, canalizza vo-lontariamente tutto quello che l’acqua piovana ri-pulisce sul manto stradale della SS 100 (per una superfice di circa 3 ettari e mezzo): pneumatici, carburanti, bottiglie, lattine, ecc. Ogni cosa, spinta dal flusso dell’acqua va a condire la falda acquifera del nostro paesino di collina. Del resto, le mie riflessioni sono avvalorate dalla pratica in uso negli ultimi mesi dalla stessa ANAS che al po-sto di investire euro per adeguarsi alla normativa vigente in relazione al trattamento delle acque meteoriche, continua a dilapidare un patrimonio in pratiche oscure: mi riferisco alla circostanza ri-portata da alcuni tecnici incaricati di effettuare perizie per espropri lungo l’asse della SS 100 (lavori affidati spesso al benemerito gruppo Mar-cegaglia) che sarebbero stati liquidati con cifre pari a tre volte il valore effettivo. Non ci sor-prenderemmo se gli espropri andassero a vantaggio di nomi noti, ma in generale occorre chiedersi perché l’ANAS può continuare ad andare in deroga alla legge quando i danni causati all’ambiente – per non parlare delle persone e delle colture – sono tali da chiedere uno sforzo concreto in dire-zione del rispetto della normativa. La spiegazione è semplice: nessuno impone all’ANAS di stare al di sotto della legge e la magistratura impiega invece decenni per imporre soluzioni. Ma l’ANAS non è la

sola a fare delle nostre falde acquifere quel che le pare, senza che alcun solerte ufficio igienico sanitario dell’italica nazione, sempre attento in-vece in materia di cappe fumarie e scarichi, si adoperi per imporre le medesime norme. Mi riferisco a tutto il complesso residenziale denominato Vil-laggio Azzurro e annesso Aeroporto militare che, di fatto, almeno fino al novembre 2011, destinava at-traverso apposita tubatura degli scarichi reflui direttamente in falda acquifera, nello stesso in-ghiottitoio e utilizzando il canale in comune con l’ANAS. Leggende metropolitane senza nulla di leg-gendario narrano che questi complessi residenziali di circa un migliaio di unità non abbiano nessun allaccio alla rete fognaria: provate a chiedere un’autorizzazione per un locale di un ristorante con tali lacune e certamente vi verrà negata; se invece rappresentate le Forze Armate (che ringra-ziamo per la protezione dagli alieni, dai cinesi, dai comunisti e da Bin Laden) potete anche fare a meno della fogna e scaricare in falda acquifera quando il vostro depuratore – inadeguato per dimen-sioni - raggiunge il “troppo pieno”. Come dire, questa è la differenza tra i cittadini al disotto della legge e chi invece vive perennemente al di sopra di ogni sospetto. Se non rischiassi di risul-tare ulteriormente ridicolo alle orecchie di mol-ti, ogni tanto avrei voglia di dare una spiegazio-ne molto romantica alla mia ostinata residenza a Gioia del Colle. Vorrei dire che qui, in questa via e nella stanza di casa, ho costruito la mia trin-cea. Da giovani si è sempre terzomondisti; io lo sono ancora. Tuttavia, ti capita di crescere e ca-pire che anche la difesa di questi diritti piccolo borghesi ispirati ai principi delle società debi-trici della rivoluzione nata nel 1789, è qualcosa per cui vale la pena di impegnarsi. Una sensazione confortata dalla considerazione che, nelle società cosiddette avanzate come la nostra, almeno sul pia-no teorico, non è possibile definire una gerarchia per la tutela dei diritti politici, civili e socia-li. Del resto, posso garantire che l’organismo uma-no, soprattutto la testa, non risponde positiva-mente a queste piccole forme di violenza e di sopruso, perpetrate da una macchina burocratica irresponsabile rispetto alle proprie azioni. Ho conosciuto il dolore che si prova a non avere spe-ranza, la disperazione che si prova a non avere ascolto nelle sedi istituzionali, il disagio di essere governati da idioti senza né arte né parte. Troppi esseri umani vivono ancora al di sotto del-la legge e, trincerati, aspettano una speranza. Non siamo soliti vendere sogni e fare promesse; per questo ci sono zio Silvio e gli aspiranti alchimi-sti della sua setta. Noi ci limitiamo a ripromet-terci e a promettere che resteremo qui a sostenere i diritti di chi non ha amici forti e non ha aggan-ci da spendere. ¿

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Via Dante, 80