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    13. Processo di produzione di prodotti da forno

     I cereali

    I cereali sono delle piante erbacee appartenenti alla famiglia delle Poaceae (Gramineae), più

    comunemente dette Graminaceae, e svolgono un ruolo di primissimo piano nell’alimentazioneumana. L’importanza alimentare dei cereali è legata alla commestibilità delle cariossidi1,

     particolarmente ricche in amido e quindi costituenti una buona fonte di energia (10-15 kJ/g),

    ma povera in proteine e lipidi, e inoltre abbastanza ricche in vitamine idrosolubili del gruppo

    B, ma non contengono vitamina C, mentre ovviamente le vitamine liposolubili sono poco

     presenti a causa del basso contenuto di lipidi. La cariosside è costituita da acqua per circa il

    12-14%, glucidi per il 65-72% (tra i quali amidi, pentosani, cellulosa e zuccheri), proteine per

    circa il 7-12% (prolammine e gluteline), lipidi per circa il 2-6% (trigliceridi insaturi, ...), sali

    minerali per circa il 2% e tra gli elementi prevalgono P, K, Mg, Ca, S.

    I cereali possono essere consumati usando direttamente le cariossidi (riso), oppure loro

    sfarinati. I prodotti possono essere distinti in fermentati e non fermentati. La fermentazione

    alcolica viene utilizzata per ottenere la lievitazione del pane, e per la produzione di bevande

    alcoliche (birra). La pasta è il classico esempio di prodotto non fermentato in cui l’impasto di

    acqua e farina viene prima lavorato per ottenere la consistenza desiderata, poi trafilato per

    1 Con il termine cariosside si indica un frutto secco indeiscente (frutto che, anche giunto a completa maturazione, non si aprespontaneamente per fare uscire il seme) monospermio (contenente cioè un solo seme) tipico della famiglia delle Graminacee.

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    dargli la forma voluta, e quindi essiccato. Gli sfarinati ottenuti dal frumento sono

     particolarmente indicati per ottenere pasta o pane.

    Dal punto di vista tecnologico il componente più importante della cariosside è l’endosperma,

    formato principalmente da cellule contenenti granuli di amido immersi in una matrice proteica

    (le proteine costituiscono una riserva di N per lo sviluppo di una nuova pianta).

    Le proteine sono distinte in prolammine, solubili in alcoli, e gluteline, solubili in acidi o basi

    diluite. Nel frumento queste due classi di proteine prendono il nome rispettivamente di

    gliadina e glutenina e sono responsabili della formazione del glutine durante la preparazione

    dell’impasto. Esso è un complesso macromolecolare che si forma durante l’impasto di farine

    di frumento per interazione tra gliadina e glutenina mediante legami idrogeno, legami di-

    solfuro, ... Il glutine, per la sua alta viscosità, trattiene la CO2  che si forma durante la

    lievitazione cosa che determina, dopo la cottura, la formazione di una struttura spugnosa ed

    elastica. Le proteine di altri cereali (orzo, segale) non sono in grado di formare un complesso

    macromolecolare con proprietà simili al glutine. Nei cereali, soprattutto negli strati esterni,

    sono presenti altre proteine (il 16% del totale), indicate come proteine metaboliche, enzimi,

     proteine strutturali,... distinti in albumine, solubili in acqua, e globuline, solubili in soluzionisaline, ma hanno poca o nessuna importanza dal punto di vista tecnologico.

    L’amido svolge un ruolo fondamentale durante la cottura dei derivati dai cereali attraverso il

    fenomeno della gelatinizzazione che consiste nella trasformazione delle strutture cristalline in

    strutture amorfe con conseguente formazione di gel. Questa trasformazione avviene a

    temperature di 50-70°C ed in presenza di acqua ed è caratterizzata da un aumento di viscosità

    ed è responsabile della differente consistenza dei vari prodotti derivati dai cereali sottoposti a

    cottura. L’amido gelatinizzato, una volta raffreddato, può passare dallo stato amorfo allo stato

    cristallino (retrogradazione dell’amido): questo fenomeno è la causa principale del

    raffermamento del pane.

    Il frumento appartiene al genere triticum  fra le cui specie coltivabili, indicate con il terminecollettivo Triticum sativum, le più importanti sono il Triticum aestivum, che costituisce il

    cosiddetto grano tenero, il Triticum compactum  ed il Triticum durum, che costituisce il più

    noto grano duro. La durezza della cariosside è un importante parametro per differenziare i vari

    tipi di frumento e destinarli a differenti produzioni. I termini “tenero” e “duro” si riferiscono

    alla facilità con cui l’endosperma può essere frantumato. Dal grano tenero si ottiene la farina

     propriamente detta (particelle di 14-120 µm), usata per la produzione di svariati prodotti da

    forno, tra cui il pane. Dal grano duro si ottiene la semola (particelle dal diametro di 200-500

    µm), usata principalmente per la produzione di pasta e di alcuni tipi di pane.

     La produzione di sfarinati

    Lo scopo dell’industria molitoria è di ottenere una farina in cui predominano i componenti

    dell’endosperma (amido e proteine che formano il glutine). Le altre parti della cariosside sono

    in genere eliminate per migliorare le proprietà organolettiche ed aumentarne la conservazione.

    In particolare si scartano la crusca, per la presenza di sostanze indesiderate quali la lignina, ed

    il germe, per la presenza di sostanze grasse che potrebbero portare a fenomeni di

    irrancidimento delle farine. La raffinazione diminuisce il valore nutrizionale per la perdita di

    fibre, sali minerali, proteine e vitamine. La molitura è il termine usato per indicare i processi

    di trasformazione delle cariossidi in sfarinati; tale processo si articola in:

    -   pulitura, allo scopo di allontanare tutti i materiali estranei che potrebbero danneggiare

    il mulino o diminuire la qualità della farina;

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    -  condizionamento: consiste nell’aumentare l’umidità della cariosside per favorire la

    separazione dell’endosperma dalle altre strutture;

    -  macinazione ed abburattamento, con i quali si effettua la macinazione

    dell’endosperma (macinazione) e la successiva separazione delle varie frazioni

    ottenute (abburattamento).

    Quasi tutte le farine in commercio sono ottenute mediante mulini a cilindri, anche detti

    laminatoi, che consentono sia la macinazione, sia la separazione dei diversi elementi prodotti.

    La produzione di sfarinati viene ottenuta in più stadi:

    -   parziale rottura del seme,

    -  separazione delle parti ottenute mediante appositi setacci,

    -  ulteriori fermentazioni e separazioni.

    I laminatoi sono costituiti da tre diverse coppie di cilindri metallici rotanti in senso opposto,

    attraverso i quali passa il materiale da macinare, e la cui distanza è determinata in base alla

    dimensione desiderata delle particelle:-  i cilindri di rottura, che hanno profonde rigature, permettono la frantumazione della

    cariosside con conseguente separazione dell’endosperma dalle scaglie di crusca;

    -  i cilindri di svestimento, che sono più ravvicinati tra loro e sono dotati di scanalature

     più fitte e meno profonde, servono per allontanare completamente la crusca ancora

    aderente;

    -  i cilindri di rimacina, che hanno superficie liscia per ridurre ulteriormente la

    dimensione dello sfarinato.

    All’uscita da ogni coppia di cilindri il materiale è sottoposto a setacciature per la separazione

    dei diversi prodotti, ottenendo così una farina sempre più raffinata. Per la setacciatura si

     possono utilizzare i setacci Plansichter, formati da una serie di setacci sovrapposti, con maglie

    decrescenti dall’alto verso il basso. La separazione avviene grazie ad un continuo movimento

    di oscillazione.

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    Le semolatrici, usate per gli sfarinati di grano duro, fanno avvenire la separazione mediante

    una corrente di aria ascendente che separa i componenti in base alle diverse dimensioni ed aldifferente peso specifico.

    A mano a mano che si eliminano le componenti indesiderate, diminuisce la quantità di

    sfarinato che si ottiene. La resa in farina varia tra il 100% per una farina integrale, ed il 72%

     per farine bianche molto raffinate. Durante la raffinazioni il contenuto in ceneri diminuisce,

    essendo gli strati esterni più ricchi in minerali. Il quantitativo di ceneri costituisce quindi uno

    strumento utile per valutare il grado di separazione dell’endosperma dagli altri componenti

    della cariosside, ossia il grado di raffinazione della farina. La farina 00 ha un indice di

    abburattamento del 50% ed è estremamente bianca per la completa assenza di crusca; la farina

    0 ha un indice di abburattamento del 72% è meno bianca per la presenza di piccole quantità di

    crusca; la farina 1 ha un indice di abburattamento dell’80%. Se non si ha alcun tipo di

    setacciatura la farina è detta integrale.

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     La produzione del pane

    Si definisce “pane”, secondo la legislazione italiana, il prodotto ottenuto dalla cottura totale o

     parziale di una pasta lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza

    aggiunta di NaCl. Il sale agisce a vari livelli nella produzione del pane:

    -  formazione del glutine: permette l’avvicinamento delle maglie, che saranno così piùcompatte.

    -   proprietà antisettica: rallenta le fermentazioni secondarie dei microrganismi (acetico,

     butirrico) responsabili della formazione di CO2 e della produzione dell’alveolatura.

    -  imbrunimento e sapore: la crosta risulterà essere di un colore più scuro, con maggiore

    croccantezza e un maggiore aroma.

    -  conservabilità: in ambiente secco il sale rallenta la cessione di acqua quindi il pane

    rimane croccante; in ambiente umido tende ad acquistare umidità dall’ambiente

    esterno con conseguente rammollimento del prodotto finito.

    La prima fase della lavorazione del pane è l’impastamento  che ha l’obiettivo di fornirel’energia necessaria per la produzione del glutine. Gli ingredienti di base sono mescolati

    mediante macchine fino ad ottenere una massa omogenea. A questo punto l’impasto viene

    fatto lievitare mediante aggiunta di lieviti. La CO2  ottenuta per fermentazione del glucosio

    ottenuto per idrolisi dell’amido permette di ottenere un prodotto più leggero e masticabile.

    L’impasto è poi suddiviso nella pezzatura voluta, modellato, e rimesso a lievitare prima della

    cottura che avviene a temperatura di 200-300°C, principalmente in forni elettrici, per fornire

    al pane una forma stabile e le sue caratteristiche organolettiche.

    Delle varie procedure per la preparazione del pane riportiamo le più importanti.

     Nel metodo diretto  tutti gli ingredienti sono aggiunti contemporaneamente e mescolati per

    ottenere lo sviluppo dell’impasto che, fatto fermentare per 2-3 ore, è poi tagliato e modellato prima di essere cotto. Il metodo è di semplice applicazione, ma lavorando grosse quantità di

    impasto la qualità del pane ottenuto con la prima parte differisce significativamente da quella

    del pane ottenuto con la parte finale dell’impasto.

     Nei metodi indiretti  gli ingredienti formanti l’impasto sono aggiunti in più volte, definite

    “rinfreschi” dell’impasto. Il primo dei sistemi, denominato “a biga” prevede la preparazione

    di un impasto preparatorio (biga) ottenuto dalla miscelazione di farina, acqua, sale e lievito.

    La lievitazione avviene ad opera di microrganismi selezionati ed ha una durata di 10-20 ore a

    seconda della tipologia di pane da produrre. Dopo la lievitazione si aggiunge il resto degli

    ingredienti, lasciando il tutto a riposo per 30-60 minuti per la fase di maturazione, durante la

    quale si ha il massimo sviluppo della lievitazione. L’impasto è poi tagliato, formato, e cottodopo un’altra lievitazione della durata di circa 1 ora.

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     Nel sistema con “madre acida”, detto anche con lievito naturale, si utilizza un innesto

    costituito da un impasto preparato il giorno precedente che, dopo fermentazione, è conservato

    in ambiente refrigerato. Si operano aggiunte successive, a ciascuna delle quali segue un

     periodo di lievitazione che contribuisce all’aumento di volume dell’impasto a seguito della

    moltiplicazione degli agenti lievitanti e della loro capacità fermentativa.

    Il metodo indiretto richiede più tempo, ma ha vari vantaggi, tra cui il minor consumo di

    lievito (perché se ne consente la moltiplicazione nella prima parte della lavorazione) e la

    minore alterazione nel tempo delle proprietà reologiche dell’impasto (dovuta all’aggiunta

    successiva della maggior parte della farina).

    La lievitazione può essere di tipo biologico o di tipo chimico. Con la prima la produzione di

    CO2  è operata dai lieviti mentre per quella chimica si ricorre a bicarbonati da cui il gas si

    sviluppa o per decomposizione termica, o per reazioni con acidi. Per la lievitazione biologica

    si usano generalmente colture di saccaromyces cerevisiae che fermentano gli zuccheri con

     produzione di alcol etilico e CO2.

    Per la lievitazione chimica si impiega il bicarbonato di ammonio (da cui la CO2 si sviluppa

     per riscaldamento) ed i bicarbonati alcalini (da cui la CO2 si forma per reazioni con acidi). La

    decomposizione termica del bicarbonato di ammonio è limitata a prodotti sottili, con un basso

    valore di umidità (< 5%): se il prodotto trattenesse troppa acqua, verrebbe solubilizzata anche

    l’ammoniaca, rendendo il prodotto inedibile. Nella reazione con i bicarbonati si impiega il

     bitartrato di potassio e l’acido tartarico; tra i sali, il più usato è il bicarbonato di sodio. La

    lievitazione chimica produce una alveolatura regolare e fine e viene usata soprattutto per la

     preparazione di biscotti ed in pasticceria, mentre la lievitazione biologica, che produce una

    alveolatura più vistosa ed irregolare, è usata per la preparazione del pane.

    Durante la cottura  la temperatura all’interno del prodotto si mantiene attorno ai 100°C,

    mentre la crosta può raggiungere temperature vicine a quelle del forno. Questo gradiente di

    temperatura può essere spiegato considerando il trasporto di acqua nell’impasto. Poichél’acqua evapora prima dalle regioni superficiali, che sono le più calde, il suo allontanamento

     provoca un gradiente di concentrazione tra le zone più interne, più umide, e le zone

    superficiali, meno umide, per cui si verifica una migrazione di acqua verso la superficie

    esterna dove evapora, per cui la temperatura si mantiene attorno ai 100°C per effetto del

     passaggio di stato. Con il procedere della cottura, l’acqua superficiale non viene più

    efficacemente rimpiazzata, per cui, diminuendo la quantità di acqua che evapora, la

    temperatura subisce l’incremento che porta alla formazione della crosta. Parallelamente al

    trasporto di acqua dall’interno verso l’esterno si ha una migrazione di vapore nella direzione

    opposta in quanto la tensione di vapore è maggiore nella zona superficiale che si trova a

    temperatura maggiore. Il vapore, incontrando zone più fredde, condensa, rilasciando il calore

    latente di evaporazione, che permette il raggiungimento di temperature intorno ai 100°C

    anche all’interno del prodotto. Alla fine della cottura l’interno del prodotto sarà comunque più

    umido rispetto alla crosta.

    Durante la conservazione del pane ha luogo il raffermamento  del pane. La crosta,

    assorbendo umidità, diviene sempre meno croccante e perde la sua lucentezza mentre la

    mollica, anche se più lentamente, assume compattezza, perde elasticità e si sbriciola

    facilmente. A causa del gradiente di concentrazione, l’acqua diffonde dalla mollica verso la

    crosta: da ciò dipende il raffermamento della crosta, inizialmente croccante e friabile (i

     polimeri si trovano nello stato vetroso), ma poi, per l’arrivo dell’acqua, proteine e

     polisaccaridi possono superare la loro temperatura di transizione vetrosa, e la crosta diventa

    dura e gommosa.

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    Se l’acqua viene allontanata mediante riscaldamento si ritorna allo stato vetroso e la crosta

    recupera la sua friabilità. L’assorbimento di acqua dalle zone più interne è controbilanciatodalla perdita di acqua da parte della crosta per evaporazione, il che consente il mantenimento,

     per un certo tempo delle proprietà della crosta, ma se il pane è conservato in un sacchetto di

     plastica l’evaporazione viene rallentata e la crosta si deteriora più rapidamente.

    Il raffermamento della mollica è un fenomeno più complesso in cui un ruolo fondamentale è

    giocato dalla retrogradazione dell’amido. La temperatura influenza la velocità del

    raffermamento (basse temperature accelerano il processo, mentre il riscaldamento, in presenza

    di umidità, è efficace nel rallentarlo, seppur con imbrunimento della crosta).

     Altri prodotti da forno

    I prodotti da forno rappresentano una famiglia molto numerosa ed eterogenea di prodotti

     preparati dagli sfarinati dei cereali in cui, ovviamente, è possibile includere anche il pane. Essi

    hanno in comune gli ingredienti di base (farina, acqua ed agente lievitante) e le operazioni

    tecnologiche fondamentali (impastamento, lievitazione e cottura).

    Essi sono classificati in base alla sofficità (dipendente dall’umidità e dal volume specifico) ed

    al contenuto in zucchero. I prodotti da forno possono essere distinti anche in base al tipo di

    lievitazione usata.

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     La pasta

    Si definisce pasta il prodotto ottenuto dalla trafilatura, laminazione e conseguente

    essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente con semola e semolati di

    grano duro ed acqua.

    Si parte da farine aventi dimensioni di particelle tra 200 e 400 µm: si può così ottenere unimpasto omogeneo (in caso contrario le particelle di dimensione più piccola assorbiranno più

    facilmente acqua rispetto alle altre, con formazione di macchioline bianche sulla superficie

    della pasta).

    L’acqua impiegata deve essere potabile, pura, poiché la pasta è in genere essiccata a

    temperature inferiori a quella di pastorizzazione e quindi la carica batterica del prodotto finale

    è legata alla carica batterica dell’acqua.

    Il processo di produzione parte dalla formazione dell’impasto con semola e 20-30% di acqua

     per permettere la formazione del glutine e l’idratazione dell’amido. Nella gramolatura

    l’impasto acquista la consistenza e l’elasticità desiderata. L’impasto ottenuto può quindi

    essere trafilato o laminato. Con la trafilatura l’impasto viene compresso ad alta pressione espinto attraverso i fori, opportunamente sagomati, di una trafila. Con la laminatura l’impasto è

    laminato attraverso due robusti rulli in acciaio per ottenere una sfoglia dello spessore del

     prodotto finale. I trafilati ed i laminati sono poi tagliati per ottenere le forme e le dimensioni

    volute. Questi processi sono condotti a bassa pressione, sia per ridurre la formazione di bolle

    d’aria che conferiscono alla pasta un aspetto gessoso e ne riducono la resistenza meccanica,

    sia per limitare l’ossidazione dei pigmenti che ridurrebbe la colorazione gialla della pasta.

     Negli impianti moderni impastamento, gramolatura e trafilatura sono effettuati in un’unica

    macchina, l’estrusore. Alla fine di queste operazioni, la pasta contiene circa il 35% di acqua

    che deve essere portata ad un valore inferiore al 12.5% in modo tale da farle conseguire la

    consistenza desiderata ed evitare la formazione di muffe. Se l’essiccamento è lento il

    materiale può deteriorarsi per la formazione di muffe, se è veloce la pasta può spaccarsi per laformazione di gradienti di umidità tra la superficie e l’interno. L’essiccamento viene

    effettuato in più fasi:

    -  incartamento: la pasta perde rapidamente l’acqua dagli strati superficiali, con

    formazione di una pellicola superficiale dura, che conferisce rigidità al prodotto;

    -  rinvenimento: la pasta è lasciata a riposo per agevolare la ridistribuzione dell’umidità,

    e quindi fessurazioni sulla superficie della pasta;

    -  essiccazione definitiva: condotta a 40-80°C per tempi variabili da 6 a 28 ore.

     Nelle paste fresche l’umidità può arrivare al 30%.

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    Dimensionamento di una apparecchiatura per il raffreddamento di prodotti da forno

    Si consideri un impianto per il raffreddamento di un prodotto da forno (densità: 570 kg/m3,

    calore specifico: 2580 J/kg K, conducibilità termica: 0.21 W/m K) avente una forma sferica

    (diametro: 4 cm), e che si vuole portare da 70°C a 25°C impiegando aria a bassa temperatura.

    -   Nell’ipotesi di impiegare aria a 20°C e che sia trascurabile la resistenza allo scambio

    di calore tra il prodotto e l’aria, determinare come varia la temperatura a varie

     posizioni radiali nel prodotto, ed il tempo necessario al raffreddamento del prodotto.

    -   Nell’ipotesi che non sia trascurabile la resistenza allo scambio di calore tra il prodotto

    e l’aria, determinare come varia la temperatura a varie posizioni radiali nel prodotto,

    ed il tempo necessario al raffreddamento del prodotto nel caso di impiegare aria a

    20°C e con una velocità di 1 m/s.

    -  Come varia il tempo di raffreddamento se si aumenta la velocità dell’aria a 5 m/s e a10 m/s?

    -  Come varia il tempo di raffreddamento se si diminuisce la temperatura dell’aria a

    15°C?

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    Correlazione per il calcolo dello scambio termico tra il prodotto e l’aria:

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    322 0.6 Nu Re Pr = +  

     prodotto

    aria

    hd  Nu

    λ = ,

    , p aria aria

    aria

    cPr 

    µ 

    λ = ,

    aria aria p

    aria

    v d  Re

     ρ 

    µ =  

    Proprietà dell’aria

    c p,aria = 0.0004 T 2 + 0.0086 T  + 1000.7

    λ aria = 0.00007 T  + 0.0243

    µ aria = -0.000000009 T 2+ 0.00004 T   + 0.0168

    [T ] = °C, [c p,aria] = J/kg K, [λ aria] = W/m K, [µ aria] = cP

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     Determinazione dell’evoluzione di temperatura in un solido di forma sferica

    Bird R.B., Stewart W.E., Lightfoot E.N., Transport phenomena, John Wiley & Sons Inc.,

     New York, 2002

    Carslaw H.S., Jaeger J.C., Conduction of heat in solids, Oxford Clarendon Press, 1959

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     Nelle pagine estratte dal testo di Carslaw, occorre prestare attenzione ai simboli; in particolare si ha che ν =

    temperatura, κ   = diffusività termica. Gli altri simboli hanno l’usuale significato. Quando poi si parla di“Radiation at the surface” nel paragrafo 9.4, si deve intendere l’usuale scambio termico per convezione.

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