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Analisi del processo di granulazione per la produzione di forme farmaceutiche solide Analisi del processo di granulazione per la produzione di forme farmaceutiche solide Diego Caccavo Diego Caccavo Università degli Studi di Salerno Facoltà di Ingegneria Anno Accademico 2009/2010

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Analisi del processo di

granulazione per la produzione di

forme farmaceutiche solide

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Diego Caccavo

Università degli Studi di Salerno Facoltà di Ingegneria

Anno Accademico

2009/2010

Chi trascura di imparare in giovinezza perde il

passato ed è morto per il futuro.

(Euripide)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria Chimica

Analisi del processo di granulazione per la

produzione di forme farmaceutiche solide

Tesi in

Principi di Ingegneria Chimica

Relatori: Candidato:

Prof. Ing. Gaetano Lamberti Diego Caccavo

matricola 0610200279

Correlatrice:

Ing. Sara Cascone

Anno Accademico 2009/2010

Alla mia famiglia

Questo testo è stato stampato in proprio, in Times New Roman

La data prevista per la discussione della tesi è il 22/02/2011

Fisciano, 04/02/2011

[I]

Sommario

Sommario ............................................................................. I

Indice delle figure ............................................................. III

Indice delle tabelle ........................................................... VII

Introduzione ......................................................................... 1

1.1 Definizione e scopi della granulazione _________________ 2

1.2 Tecniche di granulazione ___________________________ 2

1.2.1 La granulazione a secco 3

1.2.2 La granulazione a umido 4

1.3 Granulazione high-shear ____________________________ 5

1.3.1 Il granulatore [3] 5

1.3.2 Il processo[3] 5

1.3.3 Il meccanismo[3] 6

1.3.4 Effetto dei parametri e delle condizioni operative [4] 8

1.4 Stato dell’arte ___________________________________ 11

1.4.1 Utilizzo dei bilanci di popolazione per la modellazione 11

1.4.2 Metodi di risoluzione della PBE 15

1.4.3 Sviluppo di un modello predittivo per la granulazione high-shear[5]17

1.5 Obiettivi della tesi ________________________________ 20

Materiali e metodi ............................................................. 21

2.1 Materiali _______________________________________ 22

2.2 Granulometria ___________________________________ 23

Pag. II Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

2.2.1 Funzioni di distribuzione 23

2.2.2 Analisi con setacci a scuotimento 30

2.2.3 Analisi al laser 32

2.2.4 Analisi dell’immagine 33

2.3 Analisi al DSC (Differential Scanning Calorimetry) _____ 41

2.3.1 Estrazione dei dati di interesse 43

2.3.2. Multi-peak fitting 44

Risultati sperimentali ....................................................... 47

3.1 Misure granulometriche ___________________________ 48

3.1.1 Risultati dell’analisi al Malvern Mastersizer 48

3.1.2 Risultati dell’analisi dell’immagine 51

3.1.3 Confronto tra l’analisi dell’immagine e l’analisi al Malvern Mastersizer

59

3.2 Risultati dell’analisi al DSC ________________________ 62

Modellazione matematica ................................................ 69

4.1 Cenni sul modello matematico ______________________ 70

4.1.1 ODEs: definizione e metodi di risoluzione 70

4.1.2 Il modello 74

4.2 Risultati modellistici _____________________________ 78

Conclusioni ........................................................................ 81

5.1 Conclusioni_____________________________________ 82

Bibliografia ........................................................................ 83

Sommario e indici. Pag. III

Indice delle figure

Figura 1. Compattatore a rulli .................................................................................... 3

Figura 2. Schema di un granulatore high-shear ad asse verticale [3] ......................... 5

Figura 3. Nucleazione [1] ........................................................................................... 7

Figura 4. Meccanismo di accrescimento dei grani: coalescenza [1] .......................... 7

Figura 5. Meccanismo di accrescimento dei grani: layering [1] ................................. 7

Figura 6. Meccanismo di riduzione delle dimensioni dei grani: attrito [1] ................. 7

Figura 7. Meccanismo di riduzione dei grani: breakage [1] ....................................... 8

Figura 8. Evoluzione del diametro massico medio per differenti quantità di

bagnante. (1) 17.8 wt% liquid (2) 18.4 wt% liquid, (3) 19.1 wt% liquid,

(4) 19.8wt% liquid and (5) 20.4 wt% liquid [4] ....................................................... 10

Figura 9. Bilancio di popolazione concettuale per una fissata regione del sistema

particellare [3] .......................................................................................................... 12

Figura 10. Vari kernel di coalescenza [3] ................................................................. 14

Figura 11. Distribuzione granulometrica discretizzata [7] ....................................... 16

Figura 12. Meccanismi di interazione binaria utilizzati nella discretizzazione di

Hounslow [7] ............................................................................................................ 16

Figura 13. Primo step per lo sviluppo di un modello: studio dell'influenza delle

variabili sul risultato [5] ........................................................................................... 18

Figura 14. Secondo step per lo sviluppo di un modello: distinzione dei

meccanismi che formano la granulazione [5] ........................................................... 18

Figura 15. 3° step per lo sviluppo di un modello: simulazione del processo di

granulazione mediante un modello basato sui meccanismi ed estrazione dei

parametri [5] ............................................................................................................. 18

Figura 16. 4° step per lo sviluppo di un modello: relazione tra variabili di

processo e parametri del modello [5] ....................................................................... 19

Figura 17. Utilizzo del modello predittivo: previsione del risultato [5] ................... 19

Figura 18. Utilizzo del modello predittivo: modifica delle variabili per

indirizzare il risultato [5] .......................................................................................... 19

Pag. IV Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 19. Schema dell’ impianto utilizzato per la produzione del farmaco in

esame ........................................................................................................................ 22

Figura 20. Funzione di distribuzione cumulativa percentuale “undersize”[8] .......... 24

Figura 21. Funzione densita di distribuzione [8] ...................................................... 25

Figura 22. Rappresentazione continua della funzione cumulativa e della densità

di distribuzione [8] .................................................................................................... 26

Figura 23. Relazione tra distribuzione cumulativa massica e numerica ................... 28

Figura 24. Relazione tra distribuzione di densità massica e numerica ...................... 28

Figura 25. Formazione di aggregati sui setacci ......................................................... 32

Figura 26. Schematizzazione del Malver Mastersizer .............................................. 32

Figura 27. Procedura generale per la dispersione [10] .............................................. 35

Figura 28. Cattura dell' immagine, zoom 4x , risoluzione 1280x1024 px ................ 36

Figura 29. Vetrino micrometrico di taratura ............................................................. 37

Figura 30. Immagine ottimizzata con il comando "Best Fit" .................................... 38

Figura 31. Immagine analizzata ................................................................................ 39

Figura 32. Confronto delle distribuzioni numeriche di tre analisi su C1 .................. 40

Figura 33. Confronto delle distribuzioni massiche di tre analisi su C1 .................... 40

Figura 34. Storia termica subita dal campione durante l’analisi al DSC .................. 42

Figura 35. Risposta del DSC - Energia/Temperatura ............................................... 42

Figura 36.Elaborazione dei dati ricavati dal DSC ..................................................... 43

Figura 37. Picco "ripulito" ........................................................................................ 44

Figura 38. Multi-peak fitting .................................................................................... 45

Figura 39. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni A ................ 49

Figura 40. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni B ................ 49

Figura 41. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni C ................ 50

Figura 42. Risultati Malver: confronto tra i campioni analizzati .............................. 50

Figura 43. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni A ............................................................................................................... 51

Figura 44. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni B ................................................................................................................ 52

Figura 45. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni C ................................................................................................................ 53

Figura 46. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni D ............................................................................................................... 53

Sommario e indici. Pag. V

Figura 47. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni E ................................................................................................................ 54

Figura 48. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni F ................................................................................................................ 54

Figura 49. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni G ............................................................................................................... 55

Figura 50. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni H ............................................................................................................... 55

Figura 51. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni I ................................................................................................................. 56

Figura 52. Foto di polvere e granulato ..................................................................... 56

Figura 53. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern: campioni

A ............................................................................................................................... 59

Figura 54. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern: campioni

B ............................................................................................................................... 59

Figura 55. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern: campioni

C ............................................................................................................................... 60

Figura 56. Analisi al DSC: campioni A ................................................................... 62

Figura 57. Analisi al DSC: campioni B ................................................................... 63

Figura 58. Analisi al DSC: campioni C ................................................................... 63

Figura 59. Analisi al DSC: campioni D ................................................................... 64

Figura 60. Analisi al DSC: campioni E ................................................................... 64

Figura 61. Analisi al DSC: campioni F ................................................................... 65

Figura 62. Analisi al DSC: campioni G ................................................................... 65

Figura 63. Analisi al DSC: campioni H ................................................................... 66

Figura 64. Analisi al DSC: campioni I .................................................................... 66

Figura 65. GSD a 100 s [5] ....................................................................................... 75

Figura 66. Somma dei quadrati delle differenze tra modello e dati sperimentali

al variare di β0........................................................................................................... 77

Figura 67. GSD a 100 s e a 150 s ............................................................................. 78

Figura 68. GSD a 200 s e a 250 s ............................................................................. 78

Figura 69. GSD a 300 s e a 350 s ............................................................................. 79

Figura 70. GSD a 400 s e a 450 s ............................................................................. 79

Figura 71. GSD a 500 s e a 550 s ............................................................................. 79

Figura 72. GSD a 600 s e a 650 s ............................................................................. 80

Pag. VI Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 73. GSD a 700 s ............................................................................................. 80

Sommario e indici. Pag. VII

Indice delle tabelle

Tabella 1. Sequenza di setacci utilizzati per le analisi dei campioni ........................ 31

Tabella 2. Tabella riassuntiva dei campioni analizzati ............................................. 48

Tabella 3. Confronto tra diametri medi: campioni A................................................ 51

Tabella 4. Confronto tra diametri medi: campioni B ................................................ 52

Tabella 5. Confronto tra diametri medi: campioni C ................................................ 53

Tabella 6. Confronto tra diametri medi: campioni D................................................ 53

Tabella 7. Confronto tra diametri medi: campioni E ................................................ 54

Tabella 8. Confronto tra diametri medi: campioni F ................................................ 54

Tabella 9. Confronto tra diametri medi: campioni G................................................ 55

Tabella 10. Confronto tra diametri medi: campioni H .............................................. 55

Tabella 11. Confronto tra diametri medi: campioni I ............................................... 56

Tabella 12. Diametri medi numerici e massici dei campioni analizzati ................... 58

Tabella 13. Differenze tra le tecniche di analisi dell'immagine e di diffrazione

laser .......................................................................................................................... 61

Tabella 14. Quantità di solventi presenti: campioni A ............................................. 62

Tabella 15. Quantità di solventi presenti: campioni B .............................................. 63

Tabella 16. Quantità di solventi presenti: campioni C .............................................. 63

Tabella 17. Quantità di solventi presenti: campioni D ............................................. 64

Tabella 18. Quantità di solventi presenti: campioni E .............................................. 64

Tabella 19. Quantità di solventi presenti: campioni F .............................................. 65

Tabella 20. Quantità di solventi presenti: campioni G ............................................. 65

Tabella 21. Quantità di solventi presenti: campioni H ............................................. 66

Tabella 22. Quantità di solventi presenti: campioni I ............................................... 66

Tabella 23. Quantità di solventi presenti nei campioni "1" ...................................... 67

Pag. VIII Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Tabella 24. Quantità di solventi presenti nei campioni "2"....................................... 67

[1]

Capitolo Uno

Introduzione

Questo capitolo contiene informazioni

generali sui processi di granulazione

con particolare riferimento a quello

“high-shear”, cenni sulla modellistica

presente in letteratura ponendo in rilievo

i metodi basati sui bilanci di

popolazione e la loro risoluzione

mediante discretizzazione. Infine sono

definiti gli obiettivi del lavoro di tesi.

Pag. 2 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

1.1 Definizione e scopi della granulazione

Un processo di granulazione può essere definito:

“Size enlargement is any process whereby small particles are

agglomerated, compacted, or otherwise brought togheter into larger,

relatively permanent masses in which the original particles can still

be distinguished.”

“Solid-Solid Operations and Processing, Ennis et al. [1].”

È chiaro quindi che l'input di tale processo è costituito da particelle di

piccole dimensioni mentre l’output consiste in altre particelle, che

sono il risultato dell’agglomerazione delle prime, di più grosse

dimensioni.

Qual è la motivazione che spinge a granulare?

Innanzitutto l’utilizzo di particelle fini (pochi micron) in processi

industriali introduce il problema della bassa “flowability” della carica

trattata. Sebbene mediante l’utilizzo di sistemi a scuotimento

meccanico e/o a vibrazioni si possa minimizzare la “resistenza allo

scorrimento” di queste polveri, l’unica soluzione soddisfacente è

quella di aumentarne le dimensioni. Inoltre lavorare con polveri sottili

rispetto a granulati comporta rischi maggiori per la salute degli

operatori dell’impianto e non solo, visto che il tempo di sospensione

delle piccole particelle in aria sarà sicuramente superiore a quello di

particelle di dimensioni maggiori, con la possibilità quindi di inalare

grosse quantità della sostanza trattata [2].

Altre motivazioni di carattere puramente farmaceutico riguardano il

miglioramento delle proprietà di compressibilità della carica, con i

relativi vantaggi che ne conseguono nella fase di produzione di

compresse (compressione), e l’aumento dell'uniformità di

distribuzione del farmaco nel prodotto. Infine se si intendono i

granulati come prodotti finiti, vi è una facilitazione della misura e del

dosaggio volumetrico nonché dell'aspetto del prodotto [3].

1.2 Tecniche di granulazione

Nella pratica industriale, i fenomeni che presiedono all’accrescimento

dei granuli, sono promossi attraverso due tecniche fondamentali: la

granulazione a secco e la granulazione a umido.

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 3

La granulazione a secco, non prevedendo l’uso di una fase bagnante,

comporta un minor rischio di alterazioni chimico-fisiche dei materiali

granulati.

La seconda tecnica è la più comune; essa prevede l’utilizzo di una fase

bagnante (acqua o solventi organici), e di fasi di lavorazione deputate

alla stabilizzazione finale dei granuli ottenuti (tra cui l’essiccamento).

1.2.1 La granulazione a secco

La granulazione a secco conduce alla produzione di granuli a partire

da polveri, utilizzando elevate pressioni per ottenere l’effetto della

coesione interparticellare. Il metodo più utilizzato ad oggi è quello dei

compattatori a rulli. La miscela di polveri viene fatta passare

attraverso due cilindri, che ruotano in senso inverso comprimendo la

miscela, trasformandola così in un foglio sottile.

Figura 1. Compattatore a rulli

I fogli che si ottengono vengono poi frantumati e setacciati. Rispetto

alla granulazione ad umido, quella a secco ha il vantaggio di eliminare

i problemi di alterazione dei principi attivi dovuti al calore e

all’umidità. Essa, però, presenta alcuni significativi svantaggi: elevata

polverosità, difficoltà a distribuire uniformemente il principio attivo,

lunghi tempi di pulizia e soprattutto le polveri poco coesive non sono

granulabili o tendono a formare compatti facilmente sbriciolabili.

Pag. 4 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

1.2.2 La granulazione a umido

La granulazione a umido consta di diverse fasi: spesso la prima è un

pretrattamento (anche se non è sempre indispensabile, dipende dal tipo

di materiale) che consente di uniformare le caratteristiche dei materiali

di partenza attraverso procedure come setacciatura e macinazione.

Questa fase iniziale è seguita dalla miscelazione delle polveri da

trattare e poi dalla “bagnatura”, che consiste nell’umidificare e

impastare le polveri con un’adeguata quantità di fase liquida, ed ha lo

scopo di conferire alle particelle solide le caratteristiche di adesione

necessarie. I solventi che possono essere utilizzati sono diversi:

acqua, etanolo, miscele idroalcoliche con o senza aggiunta di leganti

(ad esempio polivinilpirrolidone o derivati cellulosici).

Dopo aver ottenuto impasti omogenei si formano i granuli e, a

seconda delle tecniche utilizzate, la formazione avviene in modi

diversi.

Il completamento della produzione dei granuli prevede una fase

d’essiccamento, che può essere realizzato in stufe a letto fisso o

sottovuoto, ma anche in sistemi a letto fluido. L’essiccamento avviene

a temperatura controllata, in modo da prevenire processi degradativi e

gestire al meglio i costi energetici.

L’ultima fase è la calibrazione, ossia una sorta di setacciatura dei

granuli secchi, che consente di ottenere prodotti granulati dalle

dimensioni uniformi.

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 5

1.3 Granulazione high-shear

1.3.1 Il granulatore [3]

Figura 2. Schema di un granulatore high-shear ad asse verticale [3]

I granulatori “high-shear” sono costituiti solitamente da un mixing

bowl, un impeller a tre lame e da un chopper.

Il mixing bowl può essere incamiciato per consentire il riscaldamento

o raffreddamento della sostanza contenuta al suo interno, mediante

circolazione rispettivamente di vapore o di acqua di raffreddamento.

L’impeller è utilizzato per miscelare le polveri e per agevolare lo

spargimento omogeneo della fase bagnante. Insieme al chopper è

l’organo deputato all’immissione di lavoro all’interno del sistema,

fornisce in questo modo l’energia necessaria alle particelle per

agglomerarsi. Ha una velocità di rotazione che varia a seconda del

processo tra i 100 e i 500 rpm.

Il chopper ha la funzione di “rompere” gli ammassi all’interno del

bowl e produrre così granuli. La velocità di rotazione nella maggior

parte dei casi è compresa tra 1000 e 3000 rpm.

1.3.2 Il processo[3]

Può essere schematizzato nel modo seguente:

Pag. 6 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

1. Caricamento delle polveri all’interno del bowl.

2. Miscelazione “a secco” per 2-5 minuti per omogeneizzare la

carica.

3. Aggiunta del liquido bagnante alla miscela di polveri, mentre

l’impeller e il chopper ruotano a bassa velocità.

4. Aumento della velocità del chopper (ed eventualmente anche

dell’impeller) per disgregare la massa di polveri bagnata.

5. Rimozione della carica dal bowl, ora costituita da granuli

bagnati, ed essiccamento con opportune tecniche (es.

essiccatore a letto fluido).

6. Setacciatura dei granuli essiccati.

Il processo così descritto ha valenza generica, a seconda del caso

specifico possono variare diversi parametri, ad esempio i tempi di

premiscelazione delle polveri, quantità e qualità della fase bagnante,

velocità di rotazione del chopper e dell’impeller e così via.

Solitamente tutti questi parametri vengono fissati e specificati

nell’apposita “ricetta”.

1.3.3 Il meccanismo[3]

Il meccanismo di granulazione per il processo high-shear può essere

diviso in cinque fasi:

1. Miscelazione delle polveri

2. Aggiunta del liquido bagnante

3. Nucleazione

4. Crescita dei granuli e aumento di densità

5. Rottura dei granuli

Alla prima fase di miscelazione delle polveri, necessaria per

omogeneizzare la carica trattata, costituita solitamente dalla fase attiva

e da vari eccipienti, segue la fase di aggiunta del liquido bagnante

contenente eventualmente il legante (es. Polivinilpirrolidone - PVP).

La distribuzione uniforme della soluzione quindi, favorita

dall’agitazione impartita dall’impeller, fa sì che le polveri si bagnino e

possa iniziare così il processo di agglomerazione tramite la

nucleazione.

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 7

Questo meccanismo si innesca

quando diventa possibile la

formazione di ponti liquidi tra le

particelle, potendo così formare i

primi aggregati.

Dopo questa prima fase i granuli iniziano a crescere mediante due

meccanismi : coalescenza e stratificazione.

La coalescenza si ha in seguito

alla collisione e

consolidazione di nuclei/grani

deformabili, a patto che poi

questi rimangano coesi

nonostante le forze di taglio

esercitate dall’impeller.

La stratificazione vede invece

l’adesione della polvere su

particelle bagnate di

dimensioni maggiori.

A ridurre le dimensioni dei grani concorrono due meccanismi:

l’attrito e la rottura.

I grani, mediante attrito tra se

stessi e con le pareti del

granulatore, vanno incontro ad

un’erosione superficiale, che

porta al rimpicciolimento dei

grani stessi e alla riformazione

di polvere.

Figura 3. Nucleazione [1]

Figura 4. Meccanismo di accrescimento

dei grani: coalescenza [1]

Figura 5. Meccanismo di accrescimento

dei grani: layering [1]

Figura 6. Meccanismo di riduzione delle

dimensioni dei grani: attrito [1]

Pag. 8 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

La rottura invece è funzione

della durezza dei grani e della

forza di taglio a cui sono

sottoposti. Se la forza di

impatto è maggiore della

resistenza del granulo, questo

andrà a rompersi in grani di

dimensioni minori.

1.3.4 Effetto dei parametri e delle condizioni operative [4]

1.3.4.a Effetto della quantità di legante aggiunto (rapporto

liquido-solido)

La granulazione ad umido sfrutta la fase bagnante per innescare il

processo di nucleazione, e quindi si potrebbe concludere che

l’aumento della fase liquida favorisca il processo. Ciò è vero solo in

parte, infatti, quando il rapporto liquido-solido diventa troppo elevato

(fenomeno di “overwetting”) il processo non fornisce granuli ma un

impasto. Chiaramente questa situazione è indesiderata per

l’impossibilità di procedere con le lavorazioni successive (es.

compressione).

Se si definisce saturazione dei granuli il rapporto tra il volume di

liquido e il volume interstiziale dei granuli, si può affermare che

maggiore è la saturazione, maggiore sarà la dimensione media dei

grani. Al contrario se la saturazione è bassa non si osserva crescita dei

granuli. Queste osservazioni permettono di dire che esiste un valore di

saturazione critico al di sopra del quale si avrà crescita.

Infine è stato dimostrato che la quantità di liquido necessaria ad

innescare la granulazione è inversamente proporzionale alla

dimensione delle polveri. In particolare la quantità minima di bagnate

aumenta quando la grandezza delle particelle diminuisce.

1.3.4.b Effetto del metodo di aggiunta del legante

Il legante può essere immesso nel processo in tre modi: versandolo,

facendolo fondere o spruzzandolo.

Se il liquido è aggiunto molto velocemente (es. versandolo) la regione

delle polveri coinvolta andrà in contro al fenomeno dell’overwetting,

cosa evitabile mediante addizione graduale (es. spruzzandolo).

Figura 7. Meccanismo di riduzione dei

grani: breakage [1]

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 9

Inoltre versando o spruzzando il legante, la distribuzione delle

dimensioni dei granuli (GSD) risulterà inizialmente bimodale con

dimensioni modali simili mentre, per elevati tempi di granulazione, la

GSD tenderà ad essere monomodale. Invece, usando la tecnica della

fusione del legante, si avrà minore formazione di granuli grossolani e

la natura bimodale della distribuzione si svilupperà per tempi più

elevati. In definitiva si afferma che: “i tre metodi di aggiunta

differiscono per la differenza iniziale della distribuzione del liquido,

ma sono fondamentalmente gli stessi in quanto dipendono dal

prolungamento del meccanismo di miscelamento che dà una buona

uniformità di distribuzione”.

1.3.4.c Effetto dell’agitazione

È stato dimostrato che la velocità dell’impeller non ha effetti

significativi sulla porosità dei granuli, invece, ha effetti importanti

sulla crescita. Questa, infatti, è limitata maggiormente dai fenomeni di

breakage e attrito ad alte velocità di rotazione.

Si è visto invece che quando si utilizza il chopper si ottiene un

granulato con dimensione media dei granuli leggermente inferiore,

mentre non si hanno particolari effetti sulla GSD e sulla porosità.

Quindi l’influenza della velocità dell’impeller e del chopper dipende

dalla risposta dei granuli all’input energetico. Se l’aumento

dell’energia d’impatto ha come risultato una maggiore deformazione

dei granuli allora aumenteranno sia la dimensione dei granuli che il

tasso di crescita. Al contrario, se l’aumento dell’energia d’impatto

porta alla rottura dei granuli allora a maggiori velocità di rotazione

corrisponderanno dimensioni minori dei granuli.

1.3.4.d Tempo di processo

Il prolungamento del tempo di processo porta, con qualche eccezione,

ad un aumento delle dimensioni dei granuli ed a una GSD più stretta.

Come si osserva dalla Figura 8, ad un periodo iniziale in cui non vi è

crescita segue una fase in cui i granuli crescono rapidamente. Si

sostiene che durante la prima fase i granuli diventino più densi a causa

dei ripetuti impatti, mentre la saturazione è ancora troppo bassa per

permettere la crescita. Man mano che la densità aumenta il volume

interstiziale diminuisce finché la saturazione non raggiunge il valore

critico, permettendo così l’inizio della fase di crescita. Questa

affermazione è confermata dal fatto che il decremento di porosità è

Pag. 10 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

molto più marcato per tempi bassi, mentre per tempi prolungati non

cambia.

Figura 8. Evoluzione del diametro massico medio per differenti quantità di

bagnante. (1) 17.8 wt% liquid (2) 18.4 wt% liquid, (3) 19.1 wt% liquid,

(4) 19.8wt% liquid and (5) 20.4 wt% liquid [4]

1.3.4.e Proprietà del legante

Le proprietà del legante/bagnante che più influenzano il processo di

granulazione sono:

Viscosità: alte viscosità portano ad una più rapida crescita per

coalescenza e a dimensione medie dei granuli maggiori.

Tensione superficiale.

Angolo di contatto.

1.3.4.f Dimensioni delle polveri

Le dimensioni delle polveri hanno un ruolo importante per

determinare la quantità di bagnate da utilizzare. Come è stato detto

precedentemente, c’è una relazione inversa tra quantità minima di

legante e dimensione delle polveri. I granuli si formano quando si

instaurano dei ponti liquido tra le polveri e perché questo avvenga con

particelle piccole, con elevata area superficiale, è richiesta una

maggiore quantità di liquido.

La dimensione iniziale delle particelle influenza anche la viscosità

critica del bagnante, cioè la viscosità necessaria per promuovere la

crescita dei granuli. Maggiore sarà la dimensione delle particelle

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 11

maggiore sarà la viscosità che dovrà avere il bagnate per prevenire il

breakage.

1.4 Stato dell’arte

Per molto tempo lo sviluppo di un processo di granulazione

farmaceutico di tipo high-shear è stato ritenuto “più un’arte che una

scienza” [5]. Sono stati effettuati diversi studi sull’argomento e

applicate diverse metodologie per lo sviluppo di un modello fisico-

matematico che descriva il processo di granulazione. In particolare gli

approcci modellistici utilizzati possono essere così raggruppati:

Modellazione del processo usando un experimental design

(modelli puramente matematici).

Si scelgono una serie di variabili in input, tra le condizioni di

processo e le proprietà dei materiali, e in output, tra le

proprietà del granulato. Per ogni variabile in uscita si cerca

una relazione (spesso lineare) che coinvolga le più rilevanti

variabili in ingresso. L’utilizzo di questo modello non

richiede assunzioni fisiche.

Modellazione con elementi discreti (DEM: Discrete Element

Modelling).

Il DEM è usato quando il sistema è costituito da particelle

separate e discrete. Si calcolano i movimenti di questi corpi

che interagiscono con altri vicini.

Modellazione mediante i bilanci di popolazione.

1.4.1 Utilizzo dei bilanci di popolazione per la modellazione

I primi utilizzi dei bilanci di popolazione risalgono agli inizi del 1900,

dove furono impiegati per descrivere il meccanismo di coagulazione

di soluzioni colloidali, per effetto dei moti Browniani. L’elevata

potenza di calcolo richiesta e l’assenza di computer adatti ne limitò

fortemente gli usi per diversi anni, tanto che, l’approccio modellistico

con i bilanci di popolazione per la granulazione, iniziò a svilupparsi

solamente negli anni ’60. Al giorno d'oggi, grazie alle elevate

prestazioni computazionali dei personal computer, questo tipo di

modellazione è uno dei più usati e sviluppati nei più svariati settori:

ingegneria chimica, aeronautica, civile, in biofisica etc. [4,6].

Il bilancio di popolazione richiede un’espressione cinetica per ogni

meccanismo che va a modificare le proprietà dei granuli.

Pag. 12 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 9. Bilancio di popolazione concettuale per una fissata regione del

sistema particellare [3]

A seconda delle variabili interne (proprietà delle particelle:

dimensione, quantità di bagnante contenuto etc.) il bilancio di

popolazione assume carattere monodimensionale, bidimensionale o

multidimensionale.

Prendendo in considerazione una sola variabile interna, la dimensione,

per un sistema aperto la PBE (Population Balance Equation) assume

la forma [4]:

(1.1)

In un sistema batch:

(1.2)

è la funzione densità di distribuzione, in generale:

con

quando la coordinata interna è il volume, o quando il

bilancio di popolazione è basato sulla lunghezza caratteristica dei

granuli. La “b” è invece definita “base” e può essere massica o

volumetrica, avendo come unità di misura i oppure i .

V è il volume del granulatore o la massa contenuta al suo interno ]

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 13

sono le portate volumetriche o massiche in ingresso e in

uscita dal granulatore

è la crescita intesa come layering

A è l’attrito

è la nascita per nucleazione ]

sono la nascita e la morte per coalescenza ]

In molti lavori di modellazione si opera una semplificazione, che

fornisce ugualmente risultati accettabili, considerando solo il

meccanismo di coalescenza:

(1.3)

Da alcune considerazioni sull’aggregazione si possono esplicitare

. Nelle ipotesi di coalescenza binaria si può affermare

che la possibilità di collisioni tra particelle di volume v e u è

proporzionale al prodotto .

Si ottiene :

(1.4)

dove β è il kernel di coalescenza .

1.4.1.a Il kernel di coalescenza

Deve tener conto di due fattori: il primo è la probabilità di collisione

tra due particelle, il secondo è l’efficacia o meno della collisione.

La scelta dell’opportuno kernel è di fondamentale importanza nella

modellazione di un processo di granulazione. Le relazioni che

intercorrono tra proprietà del materiale trattato, condizioni operative e

kernel di coalescenza sono molto complesse. Ciò ha portato allo

sviluppo di diverse tipologie di kernel (empirici, semiempirici e basati

sul modello), ognuno utilizzato per determinati accoppiamenti

materiale/granulatore.

Pag. 14 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 10. Vari kernel di coalescenza [3]

Come si può notare dalla Figura 10 molto spesso il kernel è diviso in

due termini:

(1.5)

è la frequenza di aggregazione, indipendente dalle dimensioni, ed

include diversi parametri quali geometria del granulatore, condizioni

operative e formulazione delle sostanze lavorate.

descrive la dipendenza del kernel dalle dimensioni ossia

l’influenza che le dimensioni delle particelle hanno sulla frequenza di

collisione.

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 15

1.4.2 Metodi di risoluzione della PBE

La risoluzione analitica dell’equazione di bilancio di popolazione

anche nel caso in cui si considera solo il meccanismo di coalescenza

non è banale ed è applicabile sono in limitati casi.

La risoluzione con metodi numerici quali metodo delle differenze

finite, metodo dei volumi finiti, metodo spettrale è praticabile ma la

complessità di risoluzione è ancora elevata.

L’approccio più comune presente in letteratura è la risoluzione della

PBE mediante la discretizzazione del bilancio di popolazione. Questo

metodo porta a sistemi di equazioni differenziali ordinarie che

possono essere risolte integrando con le tecniche standard (es. Runge-

Kutta). Discretizzando quindi si sostituiscono i differenziali alle

derivate parziali con differenze finite, integrali con sommatorie e la

funzione densità di distribuzione numerica con il numero di particelle

in un certo intervallo (

). I metodi di

discretizzazione più utilizzati sono essenzialmente due:

Il metodo dei pivot, sviluppato da Kumar e Ramkrishna, che

va a supporre che per ogni intervallo considerato le particelle

abbiano un’unica dimensione.

La discretizzazione di Hounslow [7].

1.4.2.a La discretizzazione di Hounslow

Il metodo di risoluzione della PBE proposto da Hounslow, utilizzato

in questo lavoro di tesi, adopera come coordinata interna non il

volume ma la lunghezza caratteristica delle particelle.

La discretizzazione utilizzata è di tipo geometrico con il seguente

rapporto tra due classi successive:

(1.6)

Pag. 16 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 11. Distribuzione granulometrica discretizzata [7]

Considerando il solo meccanismo di coalescenza, Hounslow ha

considerato quattro tipi di interazioni binarie tra le particelle:

1. La nascita nell’i-esimo intervallo avviene quando una

particella dell’intervallo si aggrega con particelle degli

intervalli precedenti all’i-1-esimo . 2. La nascita nell’i-esimo intervallo si verifica quando collidono

due particelle entrambe appartenenti all’intervallo . 3. La scomparsa nell’i-esimo intervallo avviene quando una

particella dell’i-esimo intervallo collide con una particella

appartenente a classi inferiori ma sufficientemente

grande da creare un aggregato di dimensioni superiori a quelle

dell’i-esimo intervallo.

4. La scomparsa nell’i-esimo intervallo ha luogo quando la

particella della classe i-esima collide con particelle

appartenenti a classi superiori .

Figura 12. Meccanismi di interazione binaria utilizzati nella discretizzazione di

Hounslow [7]

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 17

Tali assunzioni portano alla formulazione della seguente equazione:

(1.7)

Dove rappresenta il numero di particelle presenti nell’i-esima

classe.

Hounslow ha confrontato e validato la sua discretizzazione

confrontandone il risultato con quello ottenibile dalla risoluzione della

PBE attraverso il metodo dei momenti [7].

1.4.3 Sviluppo di un modello predittivo per la granulazione

high-shear[5]

Lo scopo di un modello predittivo è quello di riuscire a prevedere il

risultato del processo di granulazione per una data formulazione, per

certe condizioni operative e per un determinato granulatore. Inoltre,

nel caso in cui il risultato del processo non corrisponda alle

aspettative, si potrà agire sui suddetti parametri per indirizzare

l’output verso le caratteristiche richieste.

Per quanto visto finora, le variabili da tener conto in un processo di

granulazione sono numerose e la loro influenza sul risultato non è ben

nota. Saranno quindi necessari vari step per giungere allo sviluppo di

un modello vero e proprio.

1. Si può iniziare studiando l’influenza delle variabili sul

risultato, cambiando una singola variabile per volta e

confrontato i risultati ottenuti con diversi valori della variabile

stessa.

Pag. 18 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 13. Primo step per lo sviluppo di un modello: studio dell'influenza delle

variabili sul risultato [5]

2. Si possono distinguere i diversi meccanismi che costituiscono

la granulazione: nucleazione, crescita, coalescenza e breakage

e ancora il meccanismo di consolidazione dei granuli etc…

Questi permettono una descrizione più dettagliata del processo

e rendono note alcune relazioni tra variabili e risultati.

Figura 14. Secondo step per lo sviluppo di un modello: distinzione dei

meccanismi che formano la granulazione [5]

3. Si trasformano i meccanismi in modelli matematici, così da

poter simulare il processo di granulazione e validare i

meccanismi utilizzati. Quando i meccanismi ben descrivono il

processo allora si estraggono i parametri del modello.

Figura 15. 3° step per lo sviluppo di un modello: simulazione del processo di

granulazione mediante un modello basato sui meccanismi ed estrazione dei

parametri [5]

Capitolo Uno. Introduzione Pag. 19

4. Si cerca una relazione tra parametri del modello e variabili di

processo. Quando tutte le variabili saranno collegate, il

modello predittivo sarà ultimato.

Figura 16. 4° step per lo sviluppo di un modello: relazione tra variabili di

processo e parametri del modello [5]

A questo punto il modello sviluppato sarà idoneo a predire e variare i

risultati del processo.

Figura 17. Utilizzo del modello predittivo: previsione del risultato [5]

Figura 18. Utilizzo del modello predittivo: modifica delle variabili per

indirizzare il risultato [5]

Pag. 20 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

1.5 Obiettivi della tesi

In questo lavoro di tesi sarà studiato il processo di granulazione, in

particolare ne saranno approfonditi due aspetti.

Il primo obiettivo sarà la messa a punto di metodi per la

caratterizzazione delle polveri e del granulato, che costituiscono

rispettivamente la materia prima e il risultato di un processo di

granulazione. Il lavoro svolto in quest’ambito punterà a caratterizzare

le sostanze mediante la loro granulometria e in base alla tipologia ed

alla quantità di solventi contenuti. Le analisi granulometriche saranno

svolte con l’ausilio dei setacci, mediante analisi al laser e con una

tecnica di analisi dell’immagine, perfezionata nell’ambito di questo

lavoro. Anche la ricerca e la quantificazione dei solventi presenti nel

materiale sarà condotta con un metodo sviluppato in questo lavoro di

tesi, basato sui risultati prodotti da un calorimetro a scansione

differenziale (DSC).

Il secondo obiettivo sarà l’implementazione di un modello descrittivo

del meccanismo di coalescenza nel processo di granulazione high-

shear. Il modello, basato sull’utilizzo di bilanci di popolazione, è stato

proposto e discretizzato da Hounslow e verrà utilizzato in un codice di

calcolo numerico.

Entrambi gli aspetti investigati in questo lavoro sono fondamentali per

la descrizione e la gestione del processo industriale di granulazione.

[21]

Capitolo Due

Materiali e metodi

In questo capitolo vengono illustrati i

materiali oggetto di studio ed i metodi

utilizzati per caratterizzarli. Vengono

inizialmente fornite alcune nozioni sulla

granulometria. Seguono le tecniche

impiegate per le misure granulometriche

e il metodo di ricerca e quantificazione

dei solventi.

Pag. 22 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

2.1 Materiali

I materiali su cui sono state effettuate le analisi sono stati prelevati da

diversi lotti di lavorazione di un farmaco (antiipertensivo) prodotto

nello stabilimento Novartis S.p.A. di Torre Annunziata.

I prelievi sono stati effettuati in due punti dell’impianto di

granulazione, a monte e a valle del granulatore high-shear come

riportato nello schema:

Figura 19. Schema dell’ impianto utilizzato per la produzione del farmaco in

esame

Indicheremo in seguito con il pedice “1” i campioni di polvere, e con

il pedice “2” i campioni di granulato.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 23

2.2 Granulometria

Questo tipo di analisi è volto alla caratterizzazione delle dimensioni

dei granuli che compongono il campione. La maggior parte dei sistemi

particellari è costituita da grani con range dimensionali più o meno

ampi. Per descrivere questi sistemi dal punto di vista granulometrico

quindi, è necessario introdurre i concetti di funzioni di distribuzione.

2.2.1 Funzioni di distribuzione

Preso un insieme di particelle di dimensioni ∈ e

indicando con il numero totale di particelle, si può andare a

scindere l’intervallo dimensionale in più classi di una certa ampiezza:

.

xmin xmaxxi xi+1

A questo punto considerando le particelle di dimensione

∈ è possibile andare a definire due funzioni di

distribuzione.

Funzione di distribuzione cumulativa (undersize)

(2.1)

Il pedice “0” viene utilizzato per indicare che si tratta di una

distribuzione numerica, ossia proporzionale alla potenza zero

della dimensione.

La proprietà di questa distribuzione è che:

(2.2)

La rappresentazione di questa funzione di distribuzione può

avvenire tramite un istogramma, che dovrà presentare

un’ampiezza dei rettangoli pari all’intervallo dimensionale

considerato.

Pag. 24 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 20. Funzione di distribuzione cumulativa percentuale

“undersize”[8]

È possibile anche utilizzare una cumulativa oversize:

Rj = 1 – Q0j

Funzione densità di probabilità (distribuzione di frequenza)

È definita come segue:

(2.3)

Le proprietà:

(2.4)

Dall’istogramma di questa funzione di distribuzione si potrà

avere un’idea immediata della frazione di particelle presenti in

una determinata classe dimensionale, andando a valutare l’area

del singolo rettangolo. Quindi l’area sottesa all’intero

istogramma dovrà essere unitaria.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 25

Figura 21. Funzione densita di distribuzione [8]

Solitamente però, la rappresentazione più comune per entrambe le

funzioni di distribuzione è quella mediante linea continua passante per

una x intermedia del rettangolo: si potrà considerare un diametro

medio aritmetico (di+di+1)/2 o geometrico (di*di+1)1/2

dell’intervallo.

Passando, in questo modo, dal discreto al continuo (Δx→dx) si

possono ridefinire tutte le relazioni precedentemente viste:

(2.5)

Funzione densità di probabilità.

(2.6)

Frazione totale di particelle

aventi diametri compresi tra

zero ed x*.

=1

(2.7)

Frazione totale di particelle.

Pag. 26 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 22. Rappresentazione continua della funzione cumulativa e della densità

di distribuzione [8]

Funzioni di distribuzioni massiche

Analogamente a quanto fatto per le funzioni di distribuzione

numerica, le stesse considerazioni possono esser fatte sulla

massa delle particelle.

Preso un insieme di particelle di dimensioni ∈ e indicando con la massa totale di particelle, si può andare

a scindere l’intervallo dimensionale in più classi di una certa

ampiezza:

.

xmin xmaxxi xi+1

A questo punto considerando la massa di particelle , di

dimensione ∈ , è possibile andare a definire le

seguenti funzioni di distribuzione:

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 27

(2.8)

Funzione di distribuzione

cumulativa (undersize).

(2.9)

(2.10)

Funzione densità

di probabilità.

x

(2.11)

Frazione massica totale

di particelle aventi

diametri compresi tra

zero ed x*.

=1

(2.12)

Frazione massica totale

di particelle.

In questo caso le funzioni di distribuzione sono contraddistinte

dal pedice “3” che sta ad indicare che dipendono dalla potenza

tre del diametro ( dove è il fattore di

forma).

Relazione tra distribuzioni numeriche e massiche

Nei grafici sottostanti sono riportati i classici andamenti delle

distribuzioni cumulative e di densità (massiche e numeriche) di

uno stesso campione.

Pag. 28 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 23. Relazione tra distribuzione cumulativa massica e numerica

Figura 24. Relazione tra distribuzione di densità massica e numerica

Come si può notare, nella distribuzione massica hanno

maggiore rilevanza le particelle con diametri maggiori.

La relazione matematica può essere ricavata dalla seguente

considerazione:

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 29

(2.13)

Ipotizzando a questo punto che e non siano funzioni del

diametro delle particelle

Quindi :

(2.14)

Con i dati sperimentali ci si trova a lavorare con variabili

discretizzate:

(2.15)

Pag. 30 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

2.2.2 Analisi con setacci a scuotimento

È condotta mediante l’utilizzo di appositi setacci disposti in serie,

ognuno dei quali trattiene la frazione di solido i cui granuli hanno

dimensioni maggiori dei fori del setaccio.

Dopo avere impilato i setacci, un

campione pesato di solido viene

adagiato sul piatto superiore, che è

rappresentato dal setaccio a maglia

più larga. I piatti inferiori sono

costituiti da setacci a maglia via via

più fine. Con lo scopo di

standardizzare l’analisi, negli anni,

sono state proposte diverse

successioni delle aperture dei

setacci. La prima è stata quella di

Rittinger nel 1867 che propose l’utilizzo di una progressione tale che

il rapporto tra le aperture di due setacci consecutivi fosse [8].

Standard più moderni (es. ASTM E11) invece prevedono l’utilizzo di

progressioni basate sulla . Il piatto alla base della colonna è

costituito da una scodella piana (detta pan), in cui vengono raccolti

tutti i granuli con diametro minore dell'apertura della maglia del

setaccio più basso. La colonna di setacci viene generalmente

appoggiata su uno scuotitore meccanico, chiamato "vibrovaglio". Il

vibrovaglio scuote la colonna per un determinato lasso di tempo,

passato il quale si procede alla pesatura delle frazioni di solido

trattenute in ciascun setaccio. Il peso di ciascuna frazione solida viene

quindi rapportato al peso del solido totale, per ottenere la percentuale

(in massa) di solido trattenuto in ciascun piatto. È possibile così

andare a valutare le funzioni di distribuzione massiche, che descrivono

la granulometria del campione.

In particolare, per quanto riguarda le analisi sul campione di

antiipertensivo, si sono utilizzate pile costituite da otto setacci più il

pan, con una successione di maglie differenti per i campioni di polvere

e granulato, così da avere una migliore distribuzione dimensionale.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 31

Tabella 1. Sequenza di setacci utilizzati per le analisi dei campioni

Polveri [µm] Granulato [µm]

400 1000

315 800

150 400

90 315

63 150

50 90

36 63

25 36

Pan Pan

Sebbene, grazie alla sua semplicità, l’analisi granulometrica con i

setacci sia molto diffusa per la caratterizzazione di sostanze

particellari, presenta un problema di fondo di non poca importanza: è

un’analisi discreta che fornisce risultati legati al gap presente tra i vari

setacci.

Inoltre, nel caso specifico dei campioni in esame, ha mostrato un

ulteriore problema: la formazione di aggregati sui setacci. Per questi

motivi le analisi granulometriche effettuate con questo metodo non

saranno riportate in seguito.

Pag. 32 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 25. Formazione di aggregati sui setacci

2.2.3 Analisi al laser

Lo strumento utilizzato è il “Malver Mastersizer” basato sul principio

del light scattering, più precisamente sulla diffrazione laser.

Figura 26. Schematizzazione del Malver Mastersizer

La tecnica sfrutta il fenomeno della diffrazione di un’onda

elettromagnetica, coerente e monocromatica, sul contorno delle

particelle in sospensione in un liquido inerte.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 33

Come liquido inerte, in queste analisi, è stata impiegata acqua

distillata e per favorire la dispersione delle polveri il campione è stato

sonicato. Per consentire le analisi mediante il Malvern Mastersizer i

granulati sono stati setacciati così da ottenere la frazione <700 µm.

Secondo il fenomeno della diffrazione, quando un raggio collimato di

luce monocromatica interagisce con una particella, viene diffratto di

un angolo la cui ampiezza è funzione delle dimensioni della particella

impattata: più piccola è la particella, più ampio è l’angolo di

diffrazione. Inoltre l’intensità del raggio diffratto con un dato angolo è

misura del numero di particelle aventi una determinata area della

sezione trasversale. Per calcolare la dimensione della particella a

partire dall’intensità della luce registrata dagli elementi ricevitori

possono essere utilizzati il modello di diffrazione di Fraunhofer o la

teoria di Mie. Entrambe le teorie assumono che le particelle siano di

forma sferica; in altri termini, i diametri delle particelle forniti dal

Malvern sono diametri sferici ottici, cioè diametri di sfere che hanno

un’area della sezione trasversale equivalente a quella misurata

mediante la diffrazione del raggio laser. Lo strumento è configurato

per produrre una distribuzione in volume delle particelle, che

corrisponde ad una distribuzione in massa, se è valida l’ipotesi di

densità costante [9].

2.2.4 Analisi dell’immagine

Con questo termine si indicano generalmente le tecniche che

prevedono l’acquisizione di un’immagine in formato digitale e la

successiva analisi, volta all’estrazione delle informazioni ricercate,

mediante l’utilizzo di un computer con un apposito software.

In particolare, in questo lavoro, è stato messo a punto uno specifico

metodo di analisi, in grado di fornire accurate funzioni di

distribuzione, nel rispetto dello standard ASTM E 2651-08 (Standard

Guide for Powder Particle Size Analysis).

La tecnica sviluppata può essere schematizzata nel modo seguente:

1. Dispersione delle polveri.

2. Cattura dell’immagine.

3. Analisi dell’immagine.

Pag. 34 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

2.2.4.a Dispersione delle polveri

Questa fase, necessaria a preparare il campione agli stadi successivi, è

di fondamentale importanza per una corretta analisi. Seguendo la

procedura riportata in Figura 27, si è fatta una verifica della solubilità

del campione in acqua distillata che, dando esiti negativi, ne ha

permesso l’utilizzo come supporto per la dispersione. Visto però che

le polveri risultavano poco bagnate è stato necessario l’utilizzo di un

surfattante: Twin80 (Polysorbate 80). Valutata a questo punto

l’insufficiente dispersione, si è fatto ricorso all’energia ultrasonica

mediante il sonicatore “Sonics Vibracell 130 PB”. Il campione, anche

in questo caso setacciato cosi da ottenere la frazione <700 µm, è

risultato idoneo per le successive analisi.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 35

Figura 27. Procedura generale per la dispersione [10]

2.2.4.b. Cattura dell’immagine

Parte del campione così disperso è stato posto su un vetrino

portaoggetti ed esaminato mediante microscopio ottico “Leica

DMLP”. Le foto sono state scattate con un ingrandimento 4x e

risoluzione 1280x1024 pixel.

Pag. 36 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 28. Cattura dell' immagine, zoom 4x , risoluzione 1280x1024 px

2.2.4.c Analisi dell’immagine

Il software utilizzato per l’analisi dell’immagine è stato “ImagePro

Plus 6.0”della Media Cybernetics.

Le operazioni effettuate sono:

1. La taratura del software in relazione alle immagini che

dovranno essere analizzate.

Può esser fatta mediante la creazione di una calibrazione di

riferimento (Measure/Calibration/Spazial Calibration

Wizard/Create Reference Calibration) basata su una foto di un

vetrino micrometrico di taratura (Figura 29). La risoluzione e

l’ingrandimento della foto con il vetrino di taratura dovranno

essere le stesse delle immagini da analizzare per rispettare il

rapporto Pixel/Unit , dove “unit” è l’unità di misura scelta.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 37

Figura 29. Vetrino micrometrico di taratura

2. Ottimizzazione del contrasto e della luminostità.

Prima di procedere al conteggio e alla misura delle particelle

presenti nell’immagine, per avere un miglior risultato, può

essere necessario ottimizzare contrasto e luminosità. Il software

consente modifiche manuali e automatizzate. Nell’ottica di

mettere a punto un’analisi standardizzata, evitando quindi che i

risultati dipendano dalle capacità dell’operatore, è consigliabile

utilizzare operazioni automatizzate. Degno di rilievo è il

comando “Best Fit” (Enhance/Equalize/Best Fit) di cui è

possibile vedere il risultato in Figura 30.

Pag. 38 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 30. Immagine ottimizzata con il comando "Best Fit"

3. Conta e misura delle particelle.

È possibile a questo punto scegliere le grandezze fornite in

output da ImagePro (Measure/ Select Measurements); quella

utilizzata in questo lavoro per la caratterizzazione delle

particelle è “Diameter (mean)”. Tornando al menu Count/Size

basta selezionare “Automatic Dark Objects” per individuare le

particelle nere e procedere alla conta (Count). Il software a

questo punto, a seconda dell’outline style, evidenzierà le

particelle “riconosciute” (Figura 31) e i dati potranno essere

esportati in un foglio di calcolo per le successive elaborazioni. Il

risultato fornito, per quanto detto finora, sarà basato sul numero

di particelle, quindi saranno ricavate distribuzioni numeriche.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 39

Figura 31. Immagine analizzata

2.2.4.d Test di ripetibilità

Per validare il metodo di analisi dell’immagine messo a punto, è stato

effettuato un test di ripetibilità della misura, andando a confrontare le

distribuzioni numeriche e le massiche risultanti. Il campione

esaminato è identificato dal codice C1, su cui sono state effettuate tre

analisi (1,2,3). I risultati si sono rivelati sufficientemente riproducibili

e sono di seguito riportati:

Pag. 40 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 32. Confronto delle distribuzioni numeriche di tre analisi su C1

Figura 33. Confronto delle distribuzioni massiche di tre analisi su C1

0.1 1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0.1 1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

q0 1

q0 2

q0 3

q0

x [ m]

0.1 1 10 100 1000

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

0.030

0.035

0.040

0.1 1 10 100 1000

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

0.030

0.035

0.040

q3 1

q3 2

q3 3

q3

x [ m]

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 41

2.3 Analisi al DSC (Differential Scanning Calorimetry)

Il principio di base di queste tecnica consiste nel ricavare informazioni

sul materiale analizzato, riscaldandolo o raffreddandolo in maniera

controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza

di flusso termico tra il campione in esame e uno di riferimento, mentre

i due sono vincolati ad una temperatura variabile definita da un

programma prestabilito.

La macchina viene predisposta mettendo sugli alloggiamenti due

crogioli identici, in grado resistere alle temperature di prova senza

interagire con il campione in esame. Uno dei due crogioli rimarrà

vuoto, in quanto servirà come riferimento per la misura differenziale,

mentre l’altro, caricato con pochi mg di campione, sarà chiuso e forato

per consentire la fuoriuscita di gas/vapori che si potranno generare

durante l’analisi. Chiusa la fornace ed avviato il programma termico,

viene creata un'atmosfera inerte, con un flusso continuo ed uniforme

di N2, nella fornace. Può avere così inizio l’analisi: il calore ceduto (o

sottratto) dal calorimetro riscalda (o raffredda) sia il campione che il

crogiolo di riferimento allo stesso modo. Ogni variazione di

temperatura tra i due è dovuta a fenomeni che insorgono nel materiale

da analizzare: una reazione esotermica (decomposizione,

cristallizzazione, …) innalzerà la temperatura del campione mentre

una endotermica (es. fusione, rilascio di solvente o gas) farà

l'opposto. Durante tutto l'arco dell'esperimento, un sistema di

termocoppie raccoglie i dati di temperatura e li invia ad un

elaboratore, che, mediante un apposito software, genera l'output per

l'utente. Il flusso termico differenziale (dato dalla differenza tra il

flusso di calore erogato dallo strumento al campione ed al provino di

riferimento, in modo da mantenerli alla stessa temperatura durante la

prova) è direttamente proporzionale alla differenza di temperatura tra

campione di riferimento e campione in analisi.

Lo scopo di questo esame, nel caso specifico dei campioni di farmaco,

è quello di andare ad estrarre informazioni utili dal flusso termico, per

identificare e quantificare solventi presenti, nonché eventuali altri

additivi.

La storia termica a cui sono stati sottoposti i campioni (Figura 34)

consta di due riscaldamenti e due raffreddamenti, da 25 a 200°C e

viceversa, con una velocità di riscaldamento e di raffreddamento pari a

10°C/min. L’ambiente è stato inertizzato con una portata di N2 di 50

ml/min.

Pag. 42 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 34. Storia termica subita dal campione durante l’analisi al DSC

Per quanto detto precedentemente, il DSC produce come risposta: dati

di tempo, di temperature (dei due crogioli) e quantità di calore fornita

(o sottratta) alla capsula contenente il campione.

Nella figura sottostante (Figura 35) è riportata la quantità di calore (è

negativa la quantità di calore fornita dal calorimetro al campione) in

funzione della temperatura. Si può notare che nel primo ciclo termico

avviene un fenomeno endotermico, che richiede energia per rimanere

alla temperatura programmata. Non essendo presente al secondo ciclo,

si può affermare che si tratti di un’evaporazione di solventi.

Figura 35. Risposta del DSC - Energia/Temperatura

La tecnica impiegata per l’identificazione e quantificazione delle

sostanze rilasciate può essere scissa in due parti:

1. Estrazione dei dati d’interesse.

2. Multi-peak fitting.

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 43

2.3.1 Estrazione dei dati di interesse

In primo luogo, l’energia fornita dal calorimetro viene normalizzata

dividendo per i mg di campione. Siccome i dati di interesse si trovano

nel primo semi-ciclo (25°C-200°C), si va a considerare solo il

suddetto intervallo, prendendo l’energia specifica in valore assoluto.

Per estrapolare a questo punto i dati relativi al picco è necessario

tracciare una linea di base (Figura 36). Quest’ultima procedura,

nell’ottica di un’analisi altamente standardizzata, è stata il più

possibile automatizzata.

Figura 36.Elaborazione dei dati ricavati dal DSC

Infine sottraendo alle ordinate la linea di base si ottiene il picco

“ripulito” (Figura 37).

Pag. 44 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 37. Picco "ripulito"

2.3.2. Multi-peak fitting

Mediante la tecnica del multi-peak fitting, si va a considerare il picco

ricavato dall’analisi al DSC, come se fosse la somma di più picchi che

rappresentano singolarmente l’evaporazione di un determinato

solvente.

In questo lavoro i picchi, che rappresentano il singolo solvente, sono

stati descritti da una gaussiana di equazione:

(2.16)

(2.17)

= altezza della gaussiana, = ampiezza a metà altezza, = moda,

= area sottesa alla gaussiana.

Scelta quindi una moda rappresentativa della sostanza ( = =

temperatura di evaporazione del solvente) e impostata una certa

altezza ed ampiezza, è stato possibile tracciare diverse gaussiane. Per

rendere l’operazione di fitting più flessibile e performante è stato

utilizzato il metodo della tangente iperbolica per le tre variabili che

descrivono la gaussiana:

Capitolo Due. Materiali e metodi Pag. 45

(2.18)

= parametro ( ), = stima iniziale del parametro,

= massima variazione consentita (in percentuale), = argomento

della tanh variabile tra - ∞ e + ∞.

Sfruttando la caratteristica della di variare tra -1 e 1, si

imposta il massimo scostamento percentuale da agendo sul

parametro , si va infine ad ottimizzare il fitting variando l’argomento

della .

Figura 38. Multi-peak fitting

Dall’area sottesa alla singola gaussiana è possibile quantificare il

determinato solvente considerando che:

(2.19)

Se si divide per la velocità di riscaldamento (o raffreddamento) che è

di 10 K/min = 0,167 K/s e si moltiplica per i mg di campione si

ottiene:

(2.20)

Pag. 46 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Che rappresenta (in questo caso) il calore fornito dal calorimetro per

l’evaporazione dello specifico solvente. Dividendo per il calore latente

di evaporazione dello stesso:

(2.21)

Utilizzando il metodo descritto sono stati dunque identificati e

quantificati i solventi residui all’interno dei campioni di polveri.

[47]

Capitolo Tre

Risultati sperimentali

In questo capitolo sono mostrati i

risultati ottenuti dalle analisi

granulometriche al Malvern e mediante

l’analisi dell’immagine, mettendo a

confronto poi le due tecniche. Infine

sono mostrati i risultati ottenuti con il

DSC.

Pag. 48 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

3.1 Misure granulometriche

Di seguito vengono elencati i campioni analizzati correlando la

notazione utilizzata in questo lavoro con il lotto di lavorazione e la

data di prelievo dal processo produttivo.

Tabella 2. Tabella riassuntiva dei campioni analizzati

Data di

prelievo

Lotto di

lavorazione

Polveri Granulato

25/03/2010 T1038 A1 A2

01/04/2010 T1109 B1 B2

06/05/2010 T1049 C1 C2

27/05/2010 T1054 D1 D2

14/06/2010 T1055 E1 E2

26/07/2010 T0259 F1 F2

27/07/2010 T0260 G1 G2

28/07/2010 T0261 H1 H2

29/07/2010 T0262 I1 I2

3.1.1 Risultati dell’analisi al Malvern Mastersizer

Nelle figure sottostanti: Figura 39, Figura 40 e Figura 41 sono

riportate le frazioni massiche ricavate dai dati forniti dall’analisi col

Malvern.

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 49

Figura 39. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni A

Figura 40. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni B

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

A1

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

A2

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

B1

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

B2

mi/m

tot

x [ m]

Pag. 50 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 41. Analisi Malvern: frazione massica (volumetrica) campioni C

Come si nota, le mode (valore massimo di frequenza) dei campioni

“2” sono traslate, rispetto ai campioni “1”, verso dimensioni maggiori,

confermando che la granulazione ha portato ad un accrescimento delle

dimensioni dei grani. Si ricorda che i campioni “2” sono stati

setacciati in modo da ottenere la frazione al di sotto dei 700 µm.

Figura 42. Risultati Malver: confronto tra i campioni analizzati

Nella Figura 42 sono riportate per un miglior confronto le

distribuzioni dei tre campioni analizzati con questa tecnica. I campioni

A e B mostrano una analoga GSD sia in forma di polvere che dopo la

granulazione, il campione C, invece, presenta valori modali più elevati

in entrambi i casi.

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

C1

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

C2

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

A1

B1

C1

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

1 10 100 1000

0.00

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0.08

0.09

0.10

A2

B2

C2

mi/m

tot

x [ m]

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 51

3.1.2 Risultati dell’analisi dell’immagine

Nelle figure sotto riportate sono mostrate le distribuzioni numeriche e

massiche dei campioni analizzati con il metodo di analisi

dell’immagine. In particolare la distribuzione numerica è riportata con

linea continua, leggibile sulla sinistra del grafico, e la distribuzione

massica è rappresentata dalla linea punteggiata, leggibile sulla destra.

Siccome l’analisi dell’immagine fornisce risultati correlati al numero

di particelle, la distribuzione massica è stata ottenuta utilizzando

l’equazione 2.15.

Figura 43. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni A

Per comparare i diversi campioni oltre al confronto grafico si può far

riferimento ai diametri medi su base numerica e su base massica:

(3.1)

(3.2)

Tabella 3. Confronto tra diametri medi: campioni A

A1 18 83

A2 9 70

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

A1 numerica

q0

x [m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

A1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

A2 numerica

q0

x [m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

A2 massica

Pag. 52 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Dai risultati ottenuti sul campione A sembrerebbe che il diametro

medio sia su base numerica che massica diminuisca a seguito del

processo di granulazione. In realtà la differenza dei diametri a monte e

a valle del processo per questo campione è piuttosto piccola e tale

deviazione può essere attribuita ad un errore sperimentale.

Figura 44. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni B

Tabella 4. Confronto tra diametri medi: campioni B

B1 12 76

B2 9 81

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

B1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

B1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

B2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

B2 massica

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 53

Figura 45. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni C

Tabella 5. Confronto tra diametri medi: campioni C

C1 10 39

C2 12 42

Figura 46. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni D

Tabella 6. Confronto tra diametri medi: campioni D

D1 11 59

D2 8 132

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

C1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

C1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

C2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

C2 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

D1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

D1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

D2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

D2 massica

Pag. 54 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 47. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni E

Tabella 7. Confronto tra diametri medi: campioni E

E1 5 37

E2 6 64

Figura 48. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni F

Tabella 8. Confronto tra diametri medi: campioni F

F1 5 37

F2 7 74

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

E1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

E1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

E2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

E2 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

F1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

F1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

F2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

F2 massica

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 55

Figura 49. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni G

Tabella 9. Confronto tra diametri medi: campioni G

G1 8 47

G2 7 89

Figura 50. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni H

Tabella 10. Confronto tra diametri medi: campioni H

H1 8 60

H2 6 100

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

G1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

G1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

G2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

G2 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

H1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

H1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

H2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

H2 massica

Pag. 56 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 51. Analisi dell’immagine: funzione di densità numerica e massica

campioni I

Tabella 11. Confronto tra diametri medi: campioni I

I1 7 84

I2 7 83

Dalla Figura 52 risulta evidente l’effetto del processo di granulazione

sul materiale considerato. La differenza evidenziata dai risultati

ottenuti tra i campioni di polvere e granulato però, in termini di

dimensioni, non è così marcata come ci si aspetterebbe.

Figura 52. Foto dei campioni B1 (a sinistra) e B2 (a destra)

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

I1 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

I1 massica

0.1 1 10 100 1000

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.1 1 10 100 1000

I2 numerica

q0

x [ m]

0.000

0.005

0.010

0.015

0.020

0.025

q3

I2 massica

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 57

Questi risultati trovano spiegazione nella procedura di analisi, in

particolar modo nella fase in cui sono state prese in esame solo le

particelle con dimensioni minori di 700 µm. Per confrontare i risultati

ottenuti col Malvern, che ha un limite superiore in termini di diametro

misurabile pari a 1 mm, è stata necessaria la setacciatura anche per

l’analisi dell’immagine. Sebbene questa operazione non abbia portato

effetti sui campioni “1”, in quanto tutti i grani erano al di sotto dei

700 µm, ha avuto conseguenze sui campioni “2”.

La distribuzione numerica ha risentito dell’assenza “in numero” delle

particelle di dimensioni elevate accentuando così la già elevata

presenza di particelle di piccole dimensioni. Ciò ha portato a

distribuzioni con diametri medi numerici più o meno simili a quello

dei campioni “1”.

La distribuzione massica, similmente, ha risentito della mancanza “in

massa” delle particelle di diametri elevati, dando comunque

distribuzioni mediamente più spostate, rispetto alle polveri, verso

valori elevati. Questo dimostra l’effettiva presenza di particelle di più

grosse dimensioni rispetto ai campioni “1” anche al di sotto dei

700 µm, seppur non in numero tale da modificare le distribuzioni

numeriche.

Pag. 58 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Tabella 12. Diametri medi numerici e massici dei campioni analizzati

A1 18 83

A2 9 70

B1 12 76

B2 9 81

C1 10 39

C2 12 42

D1 11 59

D2 8 132

E1 5 37

E2 6 64

F1 5 37

F2 7 74

G1 8 47

G2 7 89

H1 8 60

H2 6 100

I1 7 84

I2 7 83

Sono riportati in un'unica tabella (Tabella 12) i risultati in termini di

diametri medi numerici e massici. Come si può notare dai risultati

ottenuti, eccetto per i campioni A e I, la granulazione ha portato ad un

aumento delle dimensioni delle particelle.

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 59

3.1.3 Confronto tra l’analisi dell’immagine e l’analisi al Malvern

Mastersizer

Nelle figure seguenti sono confrontati in termini di frazione massica i

risultati ottenuti dall’analisi dell’immagine e dal Malvern.

Figura 53. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern:

campioni A

Figura 54. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern:

campioni B

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

A1 Malvern

A1 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

A2 Malvern

A2 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

B1 Malvern

B1 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

B2 Malvern

B2 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

Pag. 60 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 55. Confronto dei risultati granulometrici ImagePro/Malvern:

campioni C

Le distribuzioni dei campioni A e B, più di quelle dei campioni C,

ottenute dall’analisi dell’immagine e dal Malvern mostrano una certa

analogia.

Sebbene l’analisi dell’immagine mostri picchi più accentuati ed

intervalli dimensionali più ristretti, mentre l’analisi al laser fornisce

distribuzioni più regolari con diametri medi solitamente più elevati,la

diversità è da attribuirsi alla differenza di analisi tra le due tecniche.

In particolare la diffrazione laser è definita una “ensemble technique”,

tecnica d’insieme, in quanto è adatta a misurare un gran numero di

particelle e non fornisce risultati legati al singolo granello.

L’analisi dell’immagine invece è una tecnica che ben si presta alla

caratterizzazione delle particelle, potendo estrarre dal campione

diversi parametri oltre alla lunghezza caratteristica, quali il fattore di

forma, il perimetro e così via. I risultati quindi sono legati alla

morfologia delle singole particelle.

Alcune delle differenze presenti tra le due tecniche sono riportate nella

Tabella 13.

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

C1 Malvern

C1 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

1 10 100 1000

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

C2 Malvern

C2 ImagePro

mi/m

tot

x [ m]

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 61

Tabella 13. Differenze tra le tecniche di analisi dell'immagine e di diffrazione

laser

Analisi dell’immagine Diffrazione laser

Basata sul numero delle

particelle: fornisce distribuzioni

numeriche

Basata sul volume delle

particelle: fornisce distribuzioni

volumetriche

Alta sensibilità con particelle di

piccole dimensioni

Alta sensibilità con particelle di

grosse dimensioni

Fornisce informazioni sulla

singola particella

Fornisce informazioni relative

all’insieme del campione

Fornisce risultati relativi ad una

piccola quantità di materiale

Fornisce risultati relativi ad una

elevata quantità di materiale

Nel caso in esame essendo le particelle geometricamente molto

differenti da una sfera, il diametro sferico ottico considerato dal

Malvern ha portato ad una leggera sovrastima del campione rispetto ai

risultati ottenuti dall’analisi dell’immagine.

Pag. 62 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

3.2 Risultati dell’analisi al DSC

Figura 56. Analisi al DSC: campioni A

In Figura 56 è riportata l’analisi effettuata con il DSC sui campioni A.

Nella legenda sono riportati i colori delle gaussiane rappresentative

dei solventi individuati. Nei campioni “2” è stata aggiunta una

gaussiana indicativa dell’etanolo, vista la presenza certa dovuta

all’aggiunta durante il processo di granulazione. Delle altre quattro

gaussiane non presenti in legenda, le due a T>140°C sono

rappresentative di sostanze non identificate o della fusione di polimeri

e, le altre due, sono funzioni ausiliarie di fitting.

Tabella 14. Quantità di solventi presenti: campioni A

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

A1 1.2 / 2.9 1.5

A2 0.8 1.6 2.1 1.3

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

A1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

A2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 63

Figura 57. Analisi al DSC: campioni B

Tabella 15. Quantità di solventi presenti: campioni B

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

B1 1.4 / 3.0 1.1

B2 0.7 0.7 3.7 1.6

Figura 58. Analisi al DSC: campioni C

Tabella 16. Quantità di solventi presenti: campioni C

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

C1 3.6 / 5.6 1.5

C2 2.3 1.1 0.3 3.5

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

B1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

B2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

C1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

C2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

Pag. 64 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 59. Analisi al DSC: campioni D

Tabella 17. Quantità di solventi presenti: campioni D

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

D1 6.4 / 2.7 1.0

D2 11 1.1 0.8 0.7

Figura 60. Analisi al DSC: campioni E

Tabella 18. Quantità di solventi presenti: campioni E

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

E1 6.0 / 2.7 1.6

E2 6.6 4.7 0.8 0.7

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

D1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

D2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

E1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

E2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 65

Figura 61. Analisi al DSC: campioni F

Tabella 19. Quantità di solventi presenti: campioni F

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

F1 3.1 / 2.3 1.9

F2 0.5 1.0 3.6 3.9

Figura 62. Analisi al DSC: campioni G

Tabella 20. Quantità di solventi presenti: campioni G

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

G1 5.2 / 0.4 1.1

G2 0.8 7.8 2.0 0.6

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

F1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

F2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

G1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

G2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

Pag. 66 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 63. Analisi al DSC: campioni H

Tabella 21. Quantità di solventi presenti: campioni H

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

H1 4.3 / 1.4 1.2

H2 0.3 5.9 3.4 1.0

Figura 64. Analisi al DSC: campioni I

Tabella 22. Quantità di solventi presenti: campioni I

Metanolo

%

Etanolo

%

Isopropanolo

%

Acqua

%

I1 4.6 / 4.7 1.6

I2 1.0 2.8 4.4 1.5

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

H1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

H2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

I1

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

I2

Dati sperimentali

Somma

Metanolo

Etanolo

Isopropanolo

Acqua

En

erg

ia/m

g c

am

pio

ne

[m

W/m

g]

T [°C]

Capitolo Tre. Risultati e Discussione Pag. 67

Di seguito, nella Tabella 23 e Tabella 24, sono raggruppati i risultati

in termini di percentuali di solventi presenti nei campioni analizzati.

Tabella 23. Quantità di solventi presenti nei campioni "1"

Tebb

[°C] Solvente

A1

%

B1

%

C1

%

D1

%

E1

%

F1

%

G1

%

H1

%

I1

%

≈ 64.7

± 2% Metanolo 1.2 1.4 3.6 6.4 6.0 3.1 5.2 4.3 4.6

≈ 82 ±

2%

Isopropano

lo 2.9 3.0 5.6 2.7 2.7 2.3 0.4 1.4 4.7

≈ 100

± 2% Acqua 1.5 1.1 1.5 1.0 1.6 1.9 1.1 1.2 1.6

Tabella 24. Quantità di solventi presenti nei campioni "2"

Tebb

[°C] Solvente

A2

%

B2

%

C2

%

D2

%

E2

%

F2

%

G2

%

H2

%

I2

%

≈ 64.7 ± 2%

Metanolo 0.8 0.7 2.3 11 6.6 0.5 0.8 0.3 1.0

≈ 78.4 ± 2%

Etanolo 1.6 0.7 1.1 1.1 4.7 1.0 7.8 5.9 2.8

≈ 82 ±

2%

Isopropano

lo 2.1 3.7 0.3 0.8 0.8 3.6 2.0 3.4 4.4

≈ 100 ± 2%

Acqua 1.3 1.6 3.5 0.7 0.7 3.9 0.6 1.0 1.5

Come si nota sia dai grafici sia dalle percentuali di solventi c’è

un’analogia tra i campioni A e B, tra i campioni G e H, tra D e E e tra

C, I e F.

Pag. 68 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

[69]

Capitolo Quattro

Modellazione matematica

In questo capitolo oltre a fornire cenni

sulla risoluzione di ODEs mediante

l’utilizzo di metodi numerici quali

Runge-Kutta, sono presentate le

equazioni del modello matematico

utilizzato per descrivere l’evoluzione

della GSD durante il processo di

granulazione.

Pag. 70 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

4.1 Cenni sul modello matematico

In questo lavoro di tesi è stato riprodotto e implementato il modello

descrittivo proposto nel lavoro “Development of a predictive high-

shear granulation model” di Sanders et al. [5]. La descrizione del

processo di granulazione è basata sul solo meccanismo di coalescenza

e il metodo di risoluzione proposto è la discretizzatione di Hounslow.

Siccome il modello si basa su equazioni differenziali ordinarie nel

paragrafo successivo si definiranno le ODEs e verranno accennati

alcuni dei metodi numerici di risoluzione.

4.1.1 ODEs: definizione e metodi di risoluzione

Le equazioni differenziali ordinarie (ODEs dall’inglese Ordinary

Differential Equations) sono equazioni in cui compaiono correlate ad

una funzione di una sola variabile indipendente le sue derivate (totali).

Se N è la funzione (variabile dipendente) e t è la variabile

indipendente allora un ODE nella forma implicita sarà:

(4.1)

Volendo legare la trattazione all’ODEs utilizzate in questo lavoro di

tesi, bisogna considerare che sono limitate al primo ordine di

derivazione:

(4.2)

Esplicitando si ottiene:

(4.3)

Per determinare la soluzione cercata: N=N(t), occorre completare

l’ODE con le opportune condizioni ausiliarie, in forma di condizioni

iniziali (per t = 0) o di condizioni al contorno (per ≠ ). Le

condizioni ausiliarie devono essere in numero pari all’ordine della

ODE (una nel caso in esame) in modo tale da ottenere una soluzione

unica.

Le equazioni differenziali ordinarie possono essere risolte a volte per

via analitica, ma nella maggioranza dei casi di interesse fisico occorre

fare ricorso a metodi di integrazione numerica, essendo la via analitica

impercorribile.

Capitolo Quattro. Modellazione matematica Pag. 71

4.1.1.a Metodi di integrazione numerica [11]

La risoluzione dell’ODE mediante i metodi di integrazione numerica

prevede una fase iniziale in cui si suddivide l’intervallo temporale

lungo il quale si vuole eseguire l’integrazione in parti. Si

definisce inoltre “ ” il passo e, nel caso sia costante assume il valore

.

In corrispondenza di ogni nodo (punto della frontiera dei

sottointervalli):

con (4.4)

Per ogni valore della variabile indipendente (tr) si valuta il valore

della funzione N. Si approssima quindi la funzione continua con n

elementi di un array monodimensionale.

(4.5)

Per valutare i valori di Nr si applica il Teorema Fondamentale del

Calcolo Integrale alla funzione N(t):

(4.6)

l’ultimo integrale non è risolvibile in quanto la funzione integranda

dipende anche da N. Applicando il Teorema della Media Integrale

però, si ha:

(4.7)

e se il passo è costante:

(4.8)

dove è un approssimazione dell’integrale. In base alla bontà

dell’approssimazione fatta si riesce a simulare più o meno

accuratamente la soluzione esatta.

4.1.1.b Il metodo di Eulero

Il metodo di Eulero utilizza come funzione approssimante la derivata

della funzione che quindi coincide con .

Adottando il metodo esplicito anche detto forward si ottiene:

Pag. 72 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

(4.9)

Questa approssimazione è basata sullo sviluppo in serie di Taylor,

troncato alla derivata prima, della (4.3) in un intorno di :

(4.10)

Da cui risulta che:

(4.11)

Analogamente è possibile utilizzare un metodo implicito, anche detto

backward, che si basa sullo sviluppo in serie della funzione in un

intorno di adottando però un passo negativo :

(4.12)

Da cui risulta che:

(4.13)

Quindi:

(4.14)

Si nota che l’errore di troncamento locale è , mentre è

dimostrabile che l’errore di troncamento globale è pari a .

I metodi che presentano un errore di troncamento globale pari a vengono detti metodi del primo ordine, più in generale vengono

definiti metodi di ordine n-esimo metodi con errore di troncamento

globale pari a . Maggiore è l’ordine del metodo, maggiore sarà

la precisione con cui la soluzione numerica approssimerà la soluzione

reale.

La risoluzione delle ODEs mediante il metodo di Eulero, sia forward

che backward o mediante combinazione delle due (centered: permette

di ottenere un metodo del secondo ordine), non è molto utilizzata per

Capitolo Quattro. Modellazione matematica Pag. 73

la limitata accuratezza dovuta all’errore di troncamento e per la scarsa

stabilità numerica.

4.1.1.c Il metodo Runge-Kutta [11]

Il metodo di Runge-Kutta è essenzialmente un tentativo di abbinare

una formula simile a quella di Eulero allo sviluppo in serie di Taylor

troncato al n-esimo termine. L’approssimante è costruita a partire da

più valori della derivata, calcolati in punti dell’intervallo . Si

ha che:

(4.15)

Dove sono i pesi di ciascun approssimante e le derivate ovvero

gli approssimanti di Runge-Kutta, mentre è l’ordine del metodo (il

numero di approssimanti adoperati). L’errore di troncamento è del tipo

. Un buon compromesso tra costo di calcolo e precisione è nello

scegliere = 4 (metodi del 4° ordine). In tal caso:

(4.16)

Con

(4.17)

Confrontando la (4.16) con l’espressione ottenuta dallo sviluppo in

serie di Taylor della (4.3), troncato al 4° termine e tenendo conto che

la somma dei pesi deve essere 1, si hanno 11 relazioni che legano

le 13 variabili indipendenti ( ),( , , ), ( ), ( , ) e ( , ,

). Saturando due gradi di libertà si determinano tutti e 13 i

coefficienti (senza influenzare né la precisione né la stabilità del

metodo, ma solo la forma dei coefficienti). Imponendo = 0.5 e

= 0 si hanno i coefficienti più semplici, per cui:

(4.18)

con

Pag. 74 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

(4.19)

In definitiva quindi:

(4.20)

4.1.2 Il modello

Il metodo di risoluzione proposto da Hounslow, come visto nel

Capitolo 1, porta alla formulazione della (1.7):

(1.7)

Si tratta di un sistema di equazione differenziali ordinarie.

Il kernel di coalescenza utilizzato, similmente al lavoro di Sanders, è

del tipo: “Equi Kinetic Energy”(EKE) kernel (si basa su

considerazioni fatte sulla distribuzione di velocità all’interno del

granulatore):

(4.21)

Il inizialmente utilizzato è [m5/2

s-1

], fornito nel lavoro

stesso.

In realtà le unità di misura di fornite nel lavoro [5] sono [m-1/2

s-1

],

portando ad un =[s-1

]. Inoltre [=][/] ed è riportato [=][m-3

].

Utilizzando però queste unità di misura si giunge ad un incongruenza

dimensionale quando si utilizzano le relazioni:

Capitolo Quattro. Modellazione matematica Pag. 75

(4.22)

(4.23)

Il problema è stato risolto controllando e utilizzando le unità di misura

dell’EKE kernel del lavoro di Tan et al. [12] e considerando una base

volumetrica, tale che [=][m-3

].

La condizione iniziale del modello è la GSD a 100 s.

Figura 65. GSD a 100 s [5]

Bisogna però considerare che la discretizzazione di Hounslow si basa

sul numero di particelle nell’i-esimo intervallo dimensionale, mentre,

l’ordinata della GSD è espressa come prodotto tra la funzione densità

di distribuzione per la lunghezza caratteristica delle particelle di

quell’intervallo. Considerando quindi la relazione:

(4.24)

Ed in particolare considerando costante per l’intervallo , :

(4.25)

Si ricava la matrice delle condizioni iniziali:

Pag. 76 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

I.C.

[µm]

[m-3

] [µm]

[m-3

]

63 0 635

79 800

100 1008

126 1270

158 1600

200 2016

252 2540

317 3200

400 4032

504

Il problema risulta così ben posto e risolvibile mediante un metodo

numerico. In questo lavoro di tesi è stata utilizzata la funzione built-in

di Mathcad® 14 “rkfixed”, che utilizza il metodo Runge-Kutta del IV

ordine con passo fisso. In particolare per la risoluzione di sistemi di

ODEs prende in ingresso l’array contenente le condizioni iniziali,

l’estremo inferiore e superiore di integrazione, il numero di punti,

oltre a quello iniziale, per i quali si vogliono conoscere i valori delle

funzioni, e un vettore contenente le derivate delle funzioni incognite.

Il comando “rkfixed” restituisce una matrice contenente nella prima

colonna i punti nei quali è stata valutata la funzione mentre le restanti

colonne contengono i valori delle funzioni valutate in quei punti.

Ottenuti quindi i risultati in termini di , volendo confrontare il

modello con i dati sperimentali si è tenuto conto della relazione:

(4.26)

Che per la discretizzazione utilizzata può essere riformulata nel modo

seguente:

(4.27)

Capitolo Quattro. Modellazione matematica Pag. 77

Inoltre valutando la somma della differenza dei quadrati, tra i valori

del modello e i valori dei dati sperimentali:

(4.28)

è stata ottimizzata la modellazione modificando l’unica variabile: il

kernel di coalescenza e più in particolare β0. Variando quest’ultimo e

valutando la somma degli errori è stato ricavato il seguente

andamento:

Figura 66. Somma dei quadrati delle differenze tra modello e dati sperimentali

al variare di β0

Come si nota il modello descrive con errore minore i dati sperimentali

quando il valore di β0 = 3.8∙10-9

[m5/2

s-1

].

2.5x10-9

3.0x10-9

3.5x10-9

4.0x10-9

4.5x10-9

5.0x10-9

1x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2.5x10-9

3.0x10-9

3.5x10-9

4.0x10-9

4.5x10-9

5.0x10-9

1x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

2x1012

Somma dei quadrati delle differenze (SS)

SS

[(m

-3)2

]

m

5/2 s

-1]

Pag. 78 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

4.2 Risultati modellistici

Di seguito sono riportati i grafici in cui sono presenti i dati

sperimentali, il modello con il β0 fornito nel lavoro di Sanders et al. e

quello con il β0 ottimizzato.

Figura 67. GSD a 100 s e a 150 s

Figura 68. GSD a 200 s e a 250 s

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

150s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

200s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

250s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

Capitolo Quattro. Modellazione matematica Pag. 79

Figura 69. GSD a 300 s e a 350 s

Figura 70. GSD a 400 s e a 450 s

Figura 71. GSD a 500 s e a 550 s

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

300s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

350s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

400s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

450s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

500s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

550s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

Pag. 80 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Figura 72. GSD a 600 s e a 650 s

Figura 73. GSD a 700 s

Il modello descrittivo così realizzato ha ben riprodotto quello

utilizzato da Sanders et al. [5] nel suo lavoro, e l’ottimizzazione del

kernel di coalescenza ha portato a fitting più precisi nella maggior

parte delle GSD.

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

600s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

650s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

100 1000

0.0

2.0x105

4.0x105

6.0x105

8.0x105

1.0x106

1.2x106

1.4x106

1.6x106

1.8x106

700s

Dati sperimentali

Modello

Modello ottimizzato

n(l

)l [

m-3

]

x [ m]

[81]

Capitolo Cinque

Conclusioni

In questo capitolo sono riportate le

conclusioni in merito al lavoro svolto ed

è illustrato il possibile sviluppo futuro.

Pag. 82 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

5.1 Conclusioni

In questo lavoro di tesi sono stati analizzati diversi aspetti di un

processo di granulazione industriale.

Partendo dalla definizione e dagli scopi della granulazione, sono state

brevemente descritte le due principali tecniche di granulazione, a

secco e ad umido, ponendo in rilievo le differenze fra di esse.

Particolare risalto è stato dato al processo di granulazione high-shear

descrivendo il granulatore, il meccanismo con cui avviene

l’accrescimento dei granuli e formulando una generica “ricetta”.

Inoltre sono stati presi in considerazione gli effetti delle condizioni e

delle variabili operative sul processo high-shear.

Sono stati analizzati poi gli aspetti legati al materiale utilizzato in un

processo di granulazione, andando a considerare le tecniche utilizzate

per la caratterizzazione delle dimensioni delle particelle e giungendo,

per il caso in esame, alla messa a punto di un metodo basato

sull’analisi dell’immagine. È stata inoltre sviluppata una tecnica di

analisi che consente la ricerca e la quantificazione dei solventi presenti

nel materiale.

Sono stati considerati inoltre gli approcci modellistici al processo di

granulazione. Si è focalizzata l’attenzione sulla modellazione

mediante i bilanci di popolazione. In particolare è stato riprodotto e

implementato un modello descrittivo del meccanismo di coalescenza

basato sulla discretizzazione del bilancio di popolazione proposta da

Hounslow [7].

Nel lavoro di tesi dunque: sono state sviluppate tecniche di

caratterizzazione del materiale, e quindi atte a definire le variabili del

processo; si è fatto luce sull’influenza delle condizioni operative sui

risultati della granulazione; è stato implementato e validato un

modello descrittivo. Tutto ciò ha permesso di gettate le basi per la

realizzazione di un modello predittivo. Ulteriori studi potranno essere

quindi indirizzati alla correlazione delle variabili con l’unico

parametro del modello: il kernel di coalescenza.

[83]

Bibliografia

1. Perry’s chimical engineers’ handbook 8th edition, Ch. 21: Solid-Solid

Operations and Processing, MacGraw-Hill.

2. J. R. Backhurst, J. H. Harker and J. F. Richardson, Coulson and

Richardson’s : Chemical Engineering Volume 2 Fifth Edition,

Butterworth-Heinemann.

3. Dilip M. Parikh, Handbook of Pharmaceutical Granulation Technology

Second Edition, Taylor & Francis Group.

4. Agba D. Salman (Editor), Michael Hounslow (Editor), Jonathan P.K.

Seville (Editor) , Handbook of Powder Technology Vol. 11 Granulation,

Elsevier Science.

5. C.F.W. Sanders, A.W. Willemse, A.D. Salman, M.J. Hounslow,

Development of a predictive high-shear granulation model, Powder

Technology 138 (2003) 18– 24.

6. Doraiswami Ramkrishna, Population Balances: Theory and Applications to

Particulate Systems in Engineering, Academic Press.

7. Hounslow M.J., Ryall R.L., Marshall V.R. , A discretized population

balance for nucleation, growth and aggregation, AIChE Journal 1988;

Vol.34, No.11:1821–1832.

8. T. Allen, Powder sampling and particle size determination, Elsevier.

9. http://www.malvern.com.

10. ASTM E 2651-08: Standard Guide for Powder Particle Size Analysis.

11. Lamberti G., Modellazione di processi di estrazione, adsorbimento e

desorbimento con fluidi supercritici. Simulazione numerica del loro

comportamento dinamico con Mathcad® PLUS 6.0. Tesi di Laurea in

Ingegneria Chimica, Università degli Studi di Salerno (1996).

12. H.S. Tan, M.J.V. Goldschmidt, R. Boerefijn, M.J. Hounslow, A.D. Salman,

J.A.M. Kuipers, Building population balance model for fluidized bed melt

granulation: lessons from kinetic theory of granular flow, Powder

Technology 142 (2004) 103– 109.

Pag. 84 Analisi del processo di granulazione Diego Caccavo

Desidero ringraziare il prof. Gaetano Lamberti

per avermi dato la possibilità di lavorare nel suo

team, per avermi fatto conoscere ed apprezzare il

mondo della ricerca universitaria e per i tanti

insegnamenti, trasmessi con passione ed

entusiasmo.

Ringrazio l’ing. Sara Cascone per avermi aiutato

nei momenti difficili della ricerca, per avermi

guidato nella stesura della tesi, e per la piena

disponibilità concessami.

Ringrazio in particolar modo i miei genitori che

sono stati sempre al mio fianco, per avermi

saputo ascoltare, capire e consigliare e per avere

riposto fiducia in me.

Ringrazio mia sorella Vanna, da sempre il mio

modello di riferimento, per avermi incoraggiato

ad intraprendere il percorso accademico e per

avermi supportato e sopportato in questi anni.

Ringrazio nonno Gerardo, al quale devo

particolare riconoscimento per essersi occupato

delle mie finanze extra.

Ringrazio Alessia, la mia fidanzata, che con

estrema pazienza e dolcezza ha sopportato i miei

sbalzi di umore e ha condiviso con me gioie e

dispiaceri.

Ringrazio infine i compagni d’avventura

accademica che hanno reso piacevoli questi anni

di studio.

Analisi del processo di

granulazione per la produzione di

forme farmaceutiche solide

An

alisi d

el pro

cesso d

i gra

nu

lazio

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Il riquadro tratteggiato nero è leggermente più grande dell’area effettiva della copertina. L’immagine selezionata per lo sfondo deve quindi essere ancora un po’ più grande (sarà

tagliata). Il rettangolo riempito col gradiente azzurro è solo un esempio. Non spostare le cornici già esistenti e usare un solo font (di un solo colore) su tutta la copertina.

Selezionare Strumenti > Opzioni > Visualizza > Limiti del testo per vedere le posizioni delle caselle di testo.

Diego Caccavo

Università degli Studi di Salerno Facoltà di Ingegneria

Anno Accademico

2009/2010

Chi trascura di imparare in giovinezza perde il

passato ed è morto per il futuro.

(Euripide)