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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. CAPITOLO 11 11 TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO Sinossi e tecnologie di deformazione plastica a caldo (cioè condotte al di sopra della temperatura di ri- cristallizzazione) trovano utilizzo nelle costruzioni aerospaziali nella loro accezione di tecnologie sia primarie (dal materiale grezzo al semilavorato), che secondarie (dal semilavorato al componente finito). Le strutture metalliche convenzionali a semiguscio sono infatti costituite da pannelli (rivestimenti, centine, ordinate) sottili e da elementi longitudinali (correnti, longheroni) esili. I primi sono realizzati con tecnologie di stampaggio a partire da lamiere sottili, a loro volta ottenute per laminazione a caldo. I secondi possono essere ricavati per piegatura da lamiere o direttamente per trafilatura o estrusione a caldo di billette. Anche i rivetti e ribattini per le giunzioni sono ottenuti a partire da filo per chioderia estruso a caldo e trafilato. Inoltre le costruzioni aerospaziali moderne comprendono anche parti strutturali (ordinate e centine di forza, longheroni, strutture delle superfici mobili e delle centine motore) ricavate per lavorazione alla macchina utensile a partire da sbozzati ottenuti per forgiatura a stampo aperto. Infine componenti primari quali gambe carrello, attacchi di forza e parti dei propulsori vengono prodotti, con modesto sovrametallo, direttamente per forgiatura in stampo chiuso. Tutti questi processi verranno trattati in dettaglio nel presente capitolo. 11.1 Generalità e tecnologie di deformazione plastica sono quei processi tecnologici nei quali la variazione di forma del pezzo o del semilavorato è accompagnata dalla rimozione di un volume trascurabile di materiale ed è viceversa dovuta alla capacità del materiale stesso di deformarsi permanentemente al di sopra dello sforzo di snervamento, grazie alla propria duttilità (elasto-plasticità tipica dei metalli). I processi di deformazione plastica possono essere divisi in categorie sulla base di numerosi criteri: in dipendenza della forma del pezzo da lavorare: formatura di pezzi massicci (con alto rapporto volume/superficie): il materiale di partenza è sotto forma di semilavorati; il procedimento induce rilevanti variazioni della forma e delle sezioni; gli effetti del ritorno elastico sono trascurabili; formatura delle lamiere (aventi basso rapporto volume/superficie): il materiale di partenza è costituito da lamiere piane sottili; il processo induce forti variazioni di forma e piccole variazioni di spessore, ma con rilevanti effetti dovuti al ritorno elastico; L L G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

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Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

CAPITOLO

11 11 TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE

PLASTICA A CALDO

Sinossi e tecnologie di deformazione plastica a caldo (cioè condotte al di sopra della temperatura di ri-

cristallizzazione) trovano utilizzo nelle costruzioni aerospaziali nella loro accezione di tecnologie sia primarie (dal materiale grezzo al semilavorato), che secondarie (dal semilavorato al componente finito). Le strutture metalliche convenzionali a semiguscio sono infatti costituite da pannelli (rivestimenti, centine, ordinate) sottili e da elementi longitudinali (correnti, longheroni) esili. I primi sono realizzati con tecnologie di stampaggio a partire da lamiere sottili, a loro volta ottenute per laminazione a caldo. I secondi possono essere ricavati per piegatura da lamiere o direttamente per trafilatura o estrusione a caldo di billette. Anche i rivetti e ribattini per le giunzioni sono ottenuti a partire da filo per chioderia estruso a caldo e trafilato. Inoltre le costruzioni aerospaziali moderne comprendono anche parti strutturali (ordinate e centine di forza, longheroni, strutture delle superfici mobili e delle centine motore) ricavate per lavorazione alla macchina utensile a partire da sbozzati ottenuti per forgiatura a stampo aperto. Infine componenti primari quali gambe carrello, attacchi di forza e parti dei propulsori vengono prodotti, con modesto sovrametallo, direttamente per forgiatura in stampo chiuso. Tutti questi processi verranno trattati in dettaglio nel presente capitolo.

11.1 Generalità e tecnologie di deformazione plastica sono quei processi tecnologici nei quali la variazione di forma

del pezzo o del semilavorato è accompagnata dalla rimozione di un volume trascurabile di materiale ed è viceversa dovuta alla capacità del materiale stesso di deformarsi permanentemente al di sopra dello sforzo di snervamento, grazie alla propria duttilità (elasto-plasticità tipica dei metalli). I processi di deformazione plastica possono essere divisi in categorie sulla base di numerosi criteri:

• in dipendenza della forma del pezzo da lavorare: ○ formatura di pezzi massicci (con alto rapporto

volume/superficie): il materiale di partenza è sotto forma di semilavorati; il procedimento induce rilevanti variazioni della forma e delle sezioni; gli effetti del ritorno elastico sono trascurabili;

○ formatura delle lamiere (aventi basso rapporto volume/superficie): il materiale di partenza è costituito da lamiere piane sottili; il processo induce forti variazioni di forma e piccole variazioni di spessore, ma con rilevanti effetti dovuti al ritorno elastico;

L L

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• in dipendenza dell’effetto prodotto da deformazione e da temperatura sulle proprietà meccaniche: ○ lavorazioni ad alta temperatura (hot

working): avendo definito Tf la temperatura di incipiente fusione, il processo avviene, senza rilevanti effetti di incrudimento e di recupero dinamico nel campo di temperature 0,7 < Tf < 0,8;

○ lavorazioni a media temperatura (warm working): il processo avviene nel campo di temperature 0,3 < Tf < 0,5 con possibili effetti di incrudimento e precipitazione;

○ lavorazioni a bassa temperatura (cold working): il processo avviene a temperature Tf < 0,3 con rilevanti effetti d’incrudimento.

Questo è il criterio assunto nel seguito, adottando però una divisione più netta tra lavorazioni a caldo (0,5 < Tf < 0,8) e lavorazioni a freddo (0,5 < Tf < Tamb);

• in dipendenza della modalità di deformazione: ○ a velocità uniforme (trafilatura); ○ intermittente (forgiatura); ○ ibrida (estrusione);

• in dipendenza del sistema di sforzi imposti al pezzo: ○ compressione ○ trazione ○ trazione e compressione ○ flessione ○ torsione ○ taglio.

In sintesi, in questo capitolo, verranno trattate le tecnologie (primarie e secondarie) di formatura di pezzi massicci a temperatura superiore alla ricristallizzazione (0,5 < Tf < 0,8), ovvero: laminazione, estrusione, trafilatura, forgiatura in stampo aperto e forgiatura in stampo chiuso (Figura 11.1), mentre nel capitolo seguente verranno trattate le tecnologie di formatura delle lamiere a temperatura inferiore alla ricristallizzazione. Per essere convenientemente formato plasticamente, il metallo deve possedere basso sforzo di snervamento e grande duttilità: in questo caso è quindi preminente la parte plastica della curva sforzo deformazione riportata in Figura 11.2, la cui parte lineare, se riportata in scala logaritmica (Figura 11.3), può esprimere la curva di flusso come:

nKεσ = dove: σ = sforzo

K = coefficiente di resistenza (175-1200 MPa) ε = deformazione n = esponente di incrudimento (0,20-0,40)

Figura 11.1 - Tecnologie (primarie e secondarie) di formatura dei pezzi massicci. (a) Laminazione (b) Forgiatura in stampo aperto (c) Estrusione (d) Trafilatura.

Figura 11.2 - Esempio di curva sforzo deformazione per un metallo.

Man mano che il metallo si deforma in campo plastico, la sua resistenza aumenta a causa dell’incrudimento, perciò, per continuare la deformazione, lo sforzo deve essere parimenti aumentato; il valore istantaneo di tale sforzo (flow stress) vale:

nf Kεσ =

In talune tecnologie, come la forgiatura, la massima forza necessaria può essere calcolata a partire da questo valore istantaneo; in altri processi, come l’estrusione, è preferibile usare un valore medio del flow stress, che si calcola integrando la curva di flusso da deformazione nulla a deformazione massima:

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( )n1/K n(max))med(f += εσ

Queste proprietà dipendono dalla temperatura, dalla velocità di deformazione e dal grado di lubrificazione: dipendenza dalla temperatura: sia K che n si riducono ad alta temperatura e consentono di ottenere elevate deformazioni applicando forze relativamente basse. Questo è il motivo per cui, in genere, i pezzi massicci vengono lavorati a caldo (forgiatura) mentre le lamiere sottili sono lavorate a freddo (stampaggio).

Figura 11.3 - Curva di flusso. Parte lineare, in scala logaritmica, della curva sforzo deformazione per un metallo.

Di seguito i vantaggi e gli svantaggi delle tre classi di lavorazione indicate sopra:

• hot working: K è molto basso, n è praticamente nullo; si possono ottenere deformazioni molto grandi; sono richieste forze e potenze ridotte; non avvengono rotture né incrudimenti; la struttura che ne consegue è isotropa in quanto si ha ricristallizzazione e non distorsione dei grani. Per contro le lavorazioni a caldo comportano minor accuratezza dimensionale, scarsa finitura e possibile ossidazione superficiale, necessità di energia termica e minor vita operativa degli stampi;

• warm working: essendo condotte a temperature intermedie, rappresentano un compromesso ed offrono diversi vantaggi: minori forze e potenze richieste, possibilità di realizzare forme moderatamente intricate, possibilità di evitare i trattamenti termici preventivi di ricottura e successivi di distensione;

• cold working: rispetto alle lavorazioni a caldo, esse garantiscono miglior accuratezza dimensionale, finitura superficiale e più strette tolleranze; miglioramento della resistenza e della durezza grazie all’incrudimento; possibilità di direzionare le caratteristiche

meccaniche grazie alla distorsione dei grani; risparmio energetico, in quanto non sono necessari forni di riscaldo. Per contro, esse richiedono maggiori forze di formatura; presentano pericoli di abrasioni e rotture superficiali; possono garantire ridotti valori di deformazione, a meno di effettuare trattamenti termici preventivi di ricottura e successivi di distensione;

• isothermal working: alcuni metalli come gli acciai alto-legati, le leghe di titanio e le leghe di nickel-cobalto offrono apprezzabili prestazioni ad elevata temperatura, ma presentano per contro difficoltà alla lavorazione con tecnologie di tipo hot working: il contatto con lo stampo riduce infatti la temperatura locale del materiale e ne aumenta la resistenza, con la nascita di sforzi residui e possibili rotture superficiali. Per ovviare a questo problema, gli stampi vengono pre-riscaldati alla stessa temperatura di lavoro del metallo; non vi sono gradienti di temperatura, raffreddamenti locali, sforzi residui e rotture; per contro, il degrado degli stampi è accelerato e la loro vita abbreviata;

dipendenza dalla velocità di deformazione: in teoria, durante una lavorazione a caldo, un metallo dovrebbe fluire a sforzo costante una volta raggiunto tale livello di sforzo. In pratica non è così, a causa della sensibilità alla velocità di deformazione (strain rate) dε/dt, che è una grandezza locale, dipendente dalla geometria del pezzo, non necessariamente coincidente con la velocità di processo; nel caso della forgiatura essa può superare i 1000 s-1. Come mostrato nel diagramma logaritmico di Figura 11.4, la resistenza aumenta all’aumentare della velocità di deformazione secondo la relazione:

( )mf dt/dC εσ =

dove: C = costante di resistenza, diversa da K; m = esponente della sensibilità alla dε/dt

C è calcolato a dε/dt = 1.0; m è la pendenza della retta. All’aumentare della temperatura, C diminuisce ed m aumenta. L’effetto combinato della temperatura e della velocità di deformazione è mostrato in Figura 11.5. A temperatura ambiente, l’effetto di dε/dt è trascurabile; mentre all’aumentare della temperatura (specie per le normali temperature di hot working) esso diventa assai rilevante. L’espressione completa del flow stress è:

( )mnf dt/dA εεσ =

dove A combina l’effetto di K e di C, mentre A, n, m sono funzione della temperatura. In generale, l’effetto di dε/dt può essere ragionevolmente trascurato nei casi di cold/warm working e di hot working a bassa velocità di processo;

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dipendenza dal grado di lubrificazione: durante i processi di deformazione plastica, l’attrito nasce a causa dello stretto contatto materiale/stampo e delle grandi forze che ivi vengono scambiate. L’attrito è un fenomeno indesiderato perché:

Se il coefficiente d’attrito aumenta sino a superare una data soglia, si verifica il cosiddetto incollaggio, nel quale le due superfici non scorrono più l’una sull’altra, bensì aderiscono e lo sforzo d’attrito alla superficie diventa maggiore dello sforzo di taglio del materiale. Onde evitare questa disastrosa evenienza, si provvede ad una lubrificazione, che riduce le forze richieste, migliora la finitura della superficie e rimuove parte del calore. I lubrificanti, scelti in funzione del tipo di lavorazione, temperatura di lavoro, natura dei materiali, tossicità, infiammabilità e costo, possono consistere in olii minerali, emulsioni acquose, grafite e vetro fuso (questi ultimi due nei casi di hot working).

• il flusso di metallo è ritardato sforzi residui e difetti;

• le forze e le potenze in gioco devono essere aumentate;

• gli stampi si usurano aumento dei costi e ridotta accuratezza dimensionale dei pezzi.

Figura 11.4 - Effetto della velocità di deformazione sul valore della resistenza (Flow stress).

Al contrario di quanto accade negli usuali problemi di contatto delle costruzioni meccaniche (basse pressioni e temperature, abbondante lubrificazione), l’attrito durante i processi di formatura (alte pressioni e temperature, con deformazione plastica del materiale) comporta elevati coefficienti, anche in presenza di lubrificazione (cfr. Tabella 11.1).

Figura 11.5 - Effetto della velocità di deformazione, parametrizzato in funzione della temperatura, sul valore della resistenza (Flow stress).

Tabella 11.1 - Coefficienti di attrito per un processo di deformazione plastica classificato in funzione della temperatura Tm.

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11.2 La laminazione è una tecnologia primaria, che può essere condotta a caldo (hot rolling) o a freddo (cold rolling) e trasforma il metallo dalla forma

originaria di lingotti in lamiere sottili (flat rolling) per ulteriori lavorazioni di stampaggio oppure dalla forma originaria di billette in elementi allungati di sezione costante (shape rolling) per successive lavorazioni di forgiatura od alla macchina utensile. La laminazione è la lavorazione più comune per i metalli: circa il 90% di tutto l’acciaio e la lega di alluminio utilizzati nelle costruzioni subisce questo tipo di lavorazione. In particolare, le strutture aerospaziali convenzionali, assimilabili a gusci o semi-gusci, sono costituite da elementi sottili (pannelli) ed esili (correnti), tutti realizzati a partire da semi-lavorati rispettivamente ottenuti per flat rolling e shape rolling. Nel caso di flat rolling, lo spessore del metallo è ridotto plasticamente dalle forze di compressione esercitate da coppie di rulli contro-rotanti entro cui il metallo è forzato ad entrare (Figura 11.6), i quali contemporaneamente comprimono e “tirano” il materiale. La riduzione di spessore d vale:

aminazione

d = to – tf dove to e tf sono gli spessori iniziale e finale; sovente essa è semplicemente espressa come percentuale dello spessore iniziale:

r = d/to

Figura 11.6 - Esempio di laminazione tipo flat rolling. Nella figura si riportano tutti i parametri utilizzati per la teoria della laminazione.

In un treno di laminazione, costituito da numerose coppie di rulli contro-rotanti, la riduzione è data dalla somma delle singole riduzioni divisa per lo spessore iniziale. In generale, oltre alla riduzione di spessore, la laminazione piana induce un aumento di larghezza del materiale, tanto maggiore quanto minore è il rapporto iniziale larghezza/spessore e ridotto l’attrito. La massa del materiale viene conservata, cosicché:

towoLo = tfwfLf dove:

wo e wf = larghezze iniziale e finale Lo e Lf = lunghezze iniziale e finale

anche la portata del materiale è conservata, cosicché: towovo = tfwfvf

dove: vo e vf = velocità di entrata e di uscita I rulli di raggio R sono in contatto con il materiale lungo un arco definito dall’angolo θ; la loro velocità di rotazione produce la velocità periferica al contatto v, la quale è:

vo < v < vf Poiché il materiale fluisce con continuità, vi è una variazione graduale di velocità, ma esiste un punto in corrispondenza del quale la velocità del materiale coincide con la velocità periferica dei rulli, chiamato punto di non scorrimento o punto neutro. In qualsiasi altro punto vi è scorrimento tra materiale e rulli, il cui valore viene misurato dal parametro s, calcolato come:

s = (vf – vr)/vr avendo posto vr la velocità dei rulli. La deformazione effettiva subita dal materiale dipende dagli spessori iniziale e finale:

ε = ln(to/tf) tale deformazione effettiva consente di calcolare il flow stress medio σf med come:

( )n1/K nfmed += εσ

dove: K = coefficiente di resistenza (175-1200 MPa) n = esponente di incrudimento (0,20-0,40)

Tale sforzo medio è utilizzato per stimare la forza e la potenza necessarie alla laminazione. A causa del coefficiente d’attrito tra materiale e rulli e della forza di compressione esercitata tra di essi, durante la laminazione si generano due forze d’attrito: dall’entrata al punto neutro in una direzione, dal punto neutro all’uscita nell’altra direzione. Tali forze hanno valore diverso: quella che agisce dalla parte dell’entrata è maggiore di quella che agisce dalla parte dell’uscita, sicché la forza totale tira il materiale attraverso i rulli: se così non fosse, la laminazione non sarebbe possibile. Fissato un certo coefficiente d’attrito μ, esiste un valore limite della riduzione di spessore, dato da:

d = μ2R essendo R il raggio dei rulli. Se l’attrito fosse nullo, la riduzione sarebbe nulla e l’operazione impossibile. Il coefficiente d’attrito dipende dalla lubrificazione, tipo di materiale e temperatura di lavoro (valori tipici sono μ = 0,1 cold rolling, 0,2 warm rolling, 0,4 hot rolling, fino al verificarsi dell’incollaggio fenomeno per il quale, oltre μ = 0,7, il materiale aderisce alla superficie dei rulli ed il materiale più interno deve deformarsi enormemente a taglio per passare attraverso il meato fra i rulli. Per un dato coefficiente d’attrito, sufficiente a consentire l’operazione, la forza di laminazione F è calcolabile integrando la pressione di laminazione p lungo la zona di contatto:

L

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∫= L0 pdLwF

Poiché il valore della pressione varia in maniera significativa prima e dopo il punto neutro, ove presenta una discontinuità con valore massimo (cfr. Figura 11.7), tale integrazione comporta due termini separati.

Figura 11.7 - Diagramma dell’andamento della pressione di contatto, tra rulli e lamiera, lungo la direzione di laminazione.

Tale valore massimo aumenta all’aumentare dell’attrito; se l’attrito diminuisce, il punto neutro si allontana dal punto di ingresso per garantire una forza risultante che “tiri” il materiale verso l’uscita. Con valori di attrito troppo bassi si avrebbe slittamento piuttosto che passaggio attraverso i rulli. Tenendo conto che:

∫= L0fmed pdLLσ

risulta, in via approssimata e trascurando l’attrito: wLF fmedσ=

dove la lunghezza L della zona di contatto vale:

( )[ ] 2/1f0 ttRL −=

A causa della forza F i rulli si deflettono ed i loro supporti si deformano, aumentando il valore del meato di passaggio del materiale rispetto al valore teorico; per evitare ciò si mettono in atto degli accorgimenti:

• riduzione dell’attrito; • riduzione del diametro dei rulli per ridurre l’area di

contatto; • riduzione del valore d per ciascuna passata; • aumento della temperatura di laminazione; • applicazione di una trazione al materiale.

Il momento torcente T necessario può essere stimato ipotizzando che la forza di laminazione F agisca nella sezione media della zona di contatto, con un braccio pari ad un mezzo della lunghezza di contatto L:

T = 0,5FL La potenza P necessaria per muovere ciascun rullo è data dal prodotto del momento torcente T per la velocità angolare 2πn, con n velocità di rotazione del rullo. Quindi, sostituendo l’espressione del momento torcente e raddoppiando il valore poiché la laminazione richiede una coppia di rulli, risulta:

P = 2πnFL Nella pratica, le prime passate di laminazione vengono effettuate a caldo, per avere alti valori di riduzione d, assenza di sforzi residui e proprietà isotrope. Le ultime passate vengono effettuate invece a freddo, per evitare la formazione di ossidi superficiali, garantire tolleranze strette e migliorare le prestazioni meccaniche. Con riferimento alla Figura 11.8(a),(b) i passi principali del processo di laminazione sono:

• il lingotto appena solidificato viene mantenuto in forno per molte ore in modo da garantire l’uniforme distribuzione di temperatura (circa 1200°C per gli acciai, 450 °C per le leghe d’alluminio); questo procedimento raffina il grano e conferisce l’opportuna duttilità;

• il lingotto è trasferito al treno di laminazione, dove viene trasformato, tramite un processo a caldo, in una delle forme intermedie:

- blumo (150x150mm) profili per forgiatura

- billetta (40x40mm) barre per macchina utensile

- piastra (250x40mm) lamiere da stampaggio

• le forme intermedie sono preparate superficialmente tramite processi chimici (decapaggio) o meccanici (sabbiatura) per eliminare le imperfezioni e gli ossidi;

• vengono effettuate le passate finali a freddo (temperatura ambiente); nel caso della lega d’alluminio, per aumentare la produttività, vengono laminate assieme due lamiere, aventi una faccia lucida (contatto lamiera/rullo) ed una faccia opaca (contatto lamiera/lamiera);

• per eliminare imperfezioni superficiali locali (bande di Lueder) viene effettuata un’ultima passata con leggera riduzione (0,5-1,5%);

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• per eliminare i difetti di planarità, le lamiere vengono infine fatte passare attraverso il treno dei cosiddetti rulli di livellamento.

(a)

(b)

Figura 11.8 – (a) Configurazione per un laminatoio di tipo inverso; (b) Struttura per un laminatoio di tipo tandem.

La struttura generale di un impianto per la laminazione (treno di laminazione o laminatoio) è la medesima per processi a caldo o a freddo. Esistono però differenze per quanto riguarda materiali dei rulli, parametri di processo, modalità di lubrificazione e raffreddamento. Un laminatoio è un impianto imponente, che richiede grandi investimenti, necessita di elevata automazione e richiede un utilizzo in continua (3 turni/giorno per 7

giorni/settimana senza interruzioni durante l’anno). Possono essere prodotti manufatti piani di larghezza fino a 5m (anche se le larghezze standard sono di 0,66-1,5m) e spessori fino a 0,0025mm con velocità fino a 25m/s e anche più. Facendo riferimento alla Figura 11.9, l’architettura dell’impianto può consistere in semplici coppie di rulli (2-high) di diametro 0,6-1,4m dotati eventualmente di rotazione reversibile per consentire riduzioni multiple. Configurazioni alternative sono costituite dalla 3-high, che consente riduzioni multiple a patto di movimentare dall’alto al basso e viceversa il materiale. Come si è visto, la riduzione del diametro dei rulli consente di ottenere maggiori riduzioni di spessore per ogni passata, come pure minori forze e potenze necessarie.

Figura 11.9 - Diverse architetture di impianti di laminazione. (a) a singola coppia di rulli (2 – high) (b) a tre rulli con sistema di movimentazione dall’alto verso il basso e viceversa (3 – high) (c) e (d) laminazione con rulli conduttori (diametro maggiore) e condotti (diametro minore) (4 – high, cluster) (e) laminatoio di tipo tandem.

Rulli di piccolo diametro possono però deflettersi eccessivamente, producendo laminati di spessore variabile. Si adottano allora le configurazioni 4-high oppure a cluster, dove i rulli condotti di piccolo spessore vengono supportati da rulli conduttori più rigidi in quanto di maggior diametro. Per aumentare il rateo produttivo, si adotta in genere la configurazione in tandem, che usa numerose coppie di rulli (fino a 10), ciascuna delle quali induce una riduzione di spessore. I requisiti principali dei rulli sono rigidezza, resistenza e resistenza all’usura; essi sono in genere realizzati in ghisa fusa o acciaio forgiato eventualmente rivestiti in carburo di tungsteno per i rulli di minor diametro nell’architetture cluster. I rulli adatti alla laminazione a freddo non lo sono per la laminazione a caldo, in quanto potrebbero andare incontro a criccature a causa dello shock termico. La laminazione a caldo degli acciai normalmente non fa uso di lubrificazione (solo in alcuni casi vien utilizzata la grafite), mentre le leghe di alluminio vengono lubrificate con olii, emulsioni acquose o acidi grassi. La laminazione a freddo viene lubrificata pure con olii minerali a bassa viscosità o emulsioni, paraffine, acidi grassi. I processi di laminazione possono dar luogo a difetti tipici, che possono affliggere sia la geometria del manufatto che

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la struttura del materiale. Per esempio, a causa della deflessione elastica dei rulli (Figura 11.10), la lamiera tende ad essere più spessa al centro che ai bordi. Per ovviare a tale problema, si usa conformare i rulli a botte, conferendo loro un cosiddetto camber. In genere il massimo incremento di diametro nella sezione centrale non supera gli 0,25mm. Rulli di questo tipo risolvono il problema, ma per un solo valore di carico e di larghezza del manufatto: una soluzione generale consiste invece nell’applicare un momento flettente ai supporti dei rulli in modo da compensare quello indotto dalla laminazione. A causa del calore dissipato durante la deformazione plastica, i rulli tendono ad assumere naturalmente una forma a botte: di conseguenza il camber totale può essere controllato variando in modo opportuno la distribuzione del raffreddamento. Inoltre, la forza di laminazione tende ad appiattire localmente i rulli, con conseguente aumento dell’area di contatto e della forza stessa: il processo è quindi divergente e viene limitato usando materiali rigidi, resistenti e duri.

Figura 11.10 - Esempi di difetti tipici per i processi di laminazione e relative contromisure da adottare. (a) Laminato con spessore non costante realizzato con rulli cilindrici (b) Laminato a spessore costante ottenuto con rulli a botte.

La laminazione di lamiere con alto rapporto larghezza/ spessore non modifica significativamente la larghezza; la larghezza aumenta invece in modo considerevole (spreading) all’aumentare di tale rapporto (riduzione del vincolo laterale); esso aumenta altresì al crescere dell’attrito ed al diminuire del rapporto tra il diametro dei rulli e lo spessore della lamiera (aumento del vincolo longitudinale al passaggio nel meato tra i rulli). Lo spreading viene prevenuto utilizzando rulli verticali a contatto con i bordi della lamiera. I difetti che influiscono sulle prestazioni meccaniche e sulle caratteristiche tecnologiche possono essere di

tipo superficiale (ossidazione, abrasioni, cricche, crateri) oppure coinvolgere tutto lo spessore del manufatto (cfr. Figura 11.11) quali: l’ondulazione dei bordi (dovuta al fatto che i bordi, più sottili a causa della flessione dei rulli, si allungano maggiormente e si instabilizzano); le cricche centrali o perimetrali (dovute ad insufficiente duttilità del materiale alla temperatura di laminazione); l’alligatoring (come è pittorescamente definito dalla letteratura anglosassone, dovuto a difetti nella billetta o deformazioni disuniformi durante la laminazione).

Figura 11.11 - Difetti di un pezzo ottenuto per laminazione che coinvolgono tutto lo spessore del manufatto. (a) ondulazione dei bordi (b) cricche centrali (c) cricche perimetrali (d) alligatoring.

I difetti di bordo vengono eliminati tramite operazioni di contornatura; quelli centrali portano invece allo scarto del manufatto. Altre criticità del processo risiedono nella nascita di sforzi residui, specie nella laminazione a freddo: rulli di piccolo diametro e limitate riduzioni di spessore inducono uno stato di sforzo compressivo sulla superficie e tensile nel cuore; questa situazione migliora il comportamento a fatica. Rulli di grande diametro e forti riduzioni di spessore portano ad uno stato di sforzo opposto: di trazione sulla superficie e di compressione al cuore. Le tolleranze sullo spessore variano da 0,1 a 0,35mm per il cold rolling, maggiori per l’hot rolling; le tolleranze di planarità restano entro -/+15mm/m per il cold rolling, -/+55mm/m per l’hot rolling. La finitura superficiale del cold rolling è tanto buona da non richiedere operazioni di finitura, mentre l’hot rolling conferisce rugosità paragonabili a quelle della colata in sabbia. Oltre alla laminazione piana (flat rolling) esistono diverso altri processi consimili (shape rolling) i quali, grazie all’uso di rulli opportunamente sagomati sono in grado di produrre forme svariate. In questi casi la sezione del materiale viene ridotta in maniera non uniforme: possono così nascere sforzi residui, cricche, distorsioni e tolleranze non sufficientemente accurate. La messa a punto di un processo di shape rolling comporta la progettazione di una serie di coppie di rulli in grado di modificare progressivamente la forma del manufatto inducendo campi di deformazioni e sforzi il più possibile uniformi

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

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(Figura 11.12): è un procedimento particolarmente critico, che richiede grande esperienza.

Figura 11.12 - Esempi di processi di laminazione di tipo shape rolling.

Le principali tecnologie di shape rolling sono: • rullatura di filettature: per motivi di resistenza

a fatica, in campo aerospaziale sono vietati i componenti la cui filettatura sia ottenuta per tornitura: la filettatura deve essere ottenuta per rullatura a freddo (Figura 11.13): il materiale è preventivamente trattato termicamente in modo da massimizzare la duttilità e bonificato in un secondo tempo. ○ I vantaggi di una filettatura rullata rispetto

ad una convenzionale tornita sono: ○ deformazione/orientazione dei grani anziché

loro interruzione; ○ incremento delle caratteristiche meccaniche

grazie all’incrudimento; ○ creazione di uno stato di sforzo superficiale

di compressione benefico per la fatica; ○ ottima finitura superficiale; ○ assenza di sfrido.

• rullatura di ingranaggi: è un procedimento simile alla rullatura delle filettature e può essere eseguito a partire da semilavorati cilindrici oppure pre-sagomati alla macchina utensile. Si possono ricavare sia ingranaggi esterni che esterni, sia a denti diretti che elicoidali. Per garantire assenza di difetti superficiali ed accuratezza dimensionale devono essere utilizzati attrezzi in acciaio duro opportunamente lubrificati;

• rullatura di anelli: si tratta di un processo nel quale un anello di grande spessore e piccolo

diametro viene deformato in uno di piccolo spessore e grande diametro (Figura 11.14).

Figura 11.13 - Laminazione di tipo shape rolling: rullatura di filettature.

Figura 11.14 - Laminazione di tipo shape rolling: rullatura di anelli.

Essendo compresso, il materiale si allunga e, a parità di volume, riduce lo spessore ed aumenta il diametro. Il processo è condotto a caldo per grandi anelli, a freddo per anelli piccoli. La sezione può non essere rettangolare, il grano è orientato e incrudito nella direzione ottimale, gli sfridi sono minimi processo ideale per produrre componenti anulari di macchine rotative (turbine e compressori), skirts ed inter-stages di motori per missili, gabbie di cuscinetti volventi;

• formatura di tubi: si tratta di un processo a caldo per la produzione di tubi spessi senza saldatura che va sotto il nome di processo Mannesmann. Esso si basa sul principio che quando un solido cilindrico è compresso radialmente, nella zona centrale si

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sviluppano sforzi di trazione così elevati da creare una cavità(*). L’impianto (cfr. Figura 11.15) è costituito da due rulli contro-rotanti con asse lievemente (6°) sghembo rispetto all’asse della billetta. Essi applicano una sollecitazione radiale e, nel contempo, grazie alla componente longitudinale della rotazione, “tirano” la billetta, costringendola a passare attraverso la luce lasciata libera.

Figura 11.15 - Laminazione di tipo shape rolling: formatura di tubi o processo Mannesmann.

Un mandrino, libero o flottante, espande la cavità(*) e ne garantisce l’uniformità di diametro. Stante le forti deformazioni messe in gioco, il materiale deve essere in uno stato di massima duttilità e privo di difetti. Il diametro e lo spessore dei tubi possono infine essere variati tramite tecniche tube rolling (Figura 11.16) con/senza mandrino. Il tubo e il mandrino si muovono di moto alterno, mentre i rulli di forma opportuna ruotano in continua.

Figura 11.16 - Tube rolling. Tecniche per variare il diametro/spessore con/senza mandrino a seguito di una operazione di formatura di tubi.

11.3 Estrusione ’estrusione è un processo di compressione nel quale il metallo da lavorare è premuto e costretto a passare

attraverso una trafila sagomata, in maniera da produrre una forma di sezione desiderata. Esso presenta numerosi vantaggi: specie nell’estrusione a caldo, si possono ottenere profili di forma svariata, anche se a sezione costante; la struttura microcristallina può venir migliorata per incrudimento, specie nei processi a freddo; si possono ottenere tolleranze strette; gli sfridi di lavorazione sono limitati. Nelle costruzioni aerospaziali, l’estrusione viene adottata per produrre i componenti esili a sezione costante ed asse rettilineo1, come longheroni, correnti ed irrigidimenti in genere. Sono stati realizzati anche profili aerodinamici per superfici mobili e, in qualche caso, anche profili alari veri e propri (aliante Caproni Calif). Il processo di estrusione può venir classificato secondo diversi criteri: - in base al verso: estrusione diretta (Figura 11.17a) – la billetta metallica è contenuta nella camera cilindrica ed è forzata a passare attraverso una trafila sagomata da un tampone pressatore; materiale e tampone si muovono nello stesso verso; alla fine del processo rimane un residuo di materiale che non può essere estruso e viene scartato. Possono essere ottenute forme cave (eventualmente a celle multiple) utilizzando un mandrino (Figura 11.17b), in questo caso la billetta deve venir preventivamente forata. Il problema del processo consiste nell’attrito tra superficie interna della camera e billetta, che accresce la forza necessaria per l’estrusione e, nel caso di processo a caldo, tende ad inglobare nel manufatto lo strato esterno di ossido. estrusione inversa (Figura 11.18 (a)) – in questo caso la trafila è montata sul tampone pressatore; quando questo penetra nella billetta, il materiale viene estruso in verso opposto. Poiché la billetta non si muove rispetto alla camera, non si genera attrito e la forza necessaria all’estrusione è minore. I problemi consistono nella scarsa rigidezza del tampone tubolare e nella difficoltà di supportare il profilo estruso. Anche questo processo può produrre profili cavi (Figura 11.18(b)), anche se di lunghezza limitata. Esistono anche altre tecnologie di estrusione, come l’estrusione idrostatica, ove la billetta ha diametro più piccolo della camera, che viene riempita da un fluido e pressurizzata per mezzo di un pistone (vengono così annullati i problemi d’attrito billetta/camera), oppure l’estrusione laterale, ove l’apertura della trafila è ricavata sulla superficie esterna della camera e non ad una sua

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1 Se necessario, queste limitazioni possono venir superate per mezzo di lavorazioni successive. La sezione può essere variata lungo l’apertura tramite fresatura chimica, mentre l’asse può essere curvato tramite lavorazioni plastiche a freddo

L

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estremità, o infine la co-estrusione, quando 2 billette coassiali (i materiali devono possedere duttilità comparabili) vengono estruse contemporaneamente per dar luogo ad un rivestimento (cladding).

(a)

(b)

Figura 11.17 – (a) Estrusione di tipo diretta. (b) a) estrusione di tipo diretta caratterizzata dalla presenza di un mandrino. b) e c) tipologie di sezioni ottenibili.

- in base alla temperatura: estrusione a caldo – con questa tecnica vengono trattati alluminio, magnesio e acciai legati. Il metallo viene preventivamente riscaldato sopra la temperatura di ri-cristallizzazione (Tabella 11.2), cosicché la duttilità viene aumentata, possono essere ottenute forme più complesse, la forza richiesta è minore e la velocità di processo maggiore. Per evitare il raffreddamento della billetta si riscalda la camera (estrusione isoterma) e si lubrifica con vetro fuso (che funge anche da barriera termica); per evitare che gli ossidi superficiali entrino in trafila, al tampone è applicato un anello di diametro leggermente inferiore alla billetta, in modo da lasciare nella camera un sottile mantello di materiale, per lo più costituito da ossido; estrusione a freddo – con questa tecnica vengono trattate le leghe di alluminio, magnesio, rame, zinco, stagno e gli acciai dolci. Le dimensioni limite dei

semilavorati di partenza possono essere: diametro 40mm, lunghezza 2m, peso 45 kg.

Figura 11.18 - (a) Estrusione di tipo inverso. (b) Estrusione di tipo inverso per la produzione di profilati a sezione cava.

Si possono ottenere buone finiture superficiali, strette tolleranze dimensionali, elevate prestazioni meccaniche grazie all’incrudimento; il rateo produttivo (che può raggiungere i 2000 pezzi/ora) e la convenienza economica sono competitivi rispetto alle altre tecnologie. Inoltre la billetta non deve essere pre-riscaldata e non avviene formazione di ossidi.

Tabella 11.2 - Temperature di ricristallizzazione per l’estrusione a caldo in funzione del materiale da lavorare.

A causa degli sforzi che si generano durante il processo, le due parti che costituiscono l’attrezzatura (il punzone e la trafila, mostrati in Figura 11.19) devono possedere durezze molto elevate, rispettivamente di 60-65 HRC e 58-62 HRC.

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Inoltre è richiesta tenacità e resistenza all’usura, che viene migliorata dalla lubrificazione con fosfati, cere o saponi;

Figura 11.19 - Elementi per l’operazione di estrusione a freddo. Punzone e trafila.

- in base alla modalità di processo: estrusione continua – se il volume della billetta è elevato e il profilo estruso è molto esile, il processo si può considerare in continua, poiché vengono prodotti profili molto lunghi in un’unica soluzione. Tali profili devono comunque essere successivamente tagliati in spezzoni più corti per permetterne la movimentazione; estrusione discreta – si ha quando in un singolo ciclo produttivo viene estrusa una singola parte (tipicamente di grande sezione e lunghezza limitata), oppure nel caso di estrusione per impatto, trattata più avanti. Per calcolare la forza necessaria all’estrusione, si assuma che sia la billetta sia il profilo estruso siano circolari (Figura 11.20).

Figura 11.20 – Grandezze utilizzate per la definizione della forza necessaria per una operazione di estrusione

Il rapporto di riduzione, che in questo caso si chiama rapporto di estrusione re, vale

re = Ao/Af dove:

Ao = area della sezione della billetta Af = area della sezione dell’estruso

trascurando l’attrito, si può calcolare la deformazione effettiva:

εe = ln re = ln (Ao/Af) se σf(med) è il flow stress medio durante l’estrusione, la pressione esercitata dal tampone pressatore sulla billetta vale, nel caso di estrusione indiretta:

p = σf(med) lnre In realtà, specie nel caso di estrusione diretta, l’attrito è presente, tra materiale e trafila e tra billetta e camera di estrusione. Per questo motivo, la pressione calcolata in questo modo è sottostimata, come pure le deformazioni che ne conseguono. Vengono allora adottate relazioni semi-empiriche per calcolare la deformazione di estrusione εe, come quella proposta da Johnson:

εe = a + b lnre dove a e b sono costanti semi-empiriche che dipendono dall’angolo della trafila e che tendono ad aumentare all’aumentare dell’angolo. Tipicamente a varia da 0,7 a 0,9, mentre b varia da 1,2 a 1,5. Come alternativa, nell’estrusione diretta, viene isolata la forza d’attrito tra billetta e camera, cui deve essere imputato l’aumento della forza necessaria rispetto all’estrusione indiretta:

lDp4/Dp 0c20f πππ =

dove: Do = diametro della billetta l = lunghezza della billetta pf = pressione aggiuntiva per vincere l’attrito pc = pressione scambiata tra billetta e camera μ = coefficiente d’attrito tra billetta e camera

nel caso peggiore si verifica il fenomeno di incollaggio tra billetta e parete della camera, per cui lo sforzo d’attrito è uguale allo sforzo di snervamento a taglio τs:

lD4/Dp 0s20f πτπ =

assumendo che: τs = σf(med) /2

si ottiene: pf = σf(med) (2l/D0)

e quindi, per l’estrusione diretta: p = σf(med)[ln Ao/Af + (2l/D0)]

Il termine 2l/D0 rappresenta la pressione aggiuntiva dovuta al fenomeno di attrito. Poiché l rappresenta la lunghezza residua della billetta durante il processo, tale termine va riducendosi, come indicato dai diagrammi di Figura 11.21. I valori indicati di pressione possono essere ridotti adottando un’efficace lubrificazione. La forza necessaria all’estrusione è:

F = pA0 La potenza necessaria è:

P = Fv Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

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dove v è la velocità di estrusione.

Figura 11.21 - Diagramma della pressione, per l’operazione di estrusione inversa/diretta, esercitata dal tampone sul materiale da estrudere in funzione della lunghezza residua della billetta l.

Nella pratica i rapporti di estrusione possono variare da 10 a 100, ma possono arrivare sino a 400 per i profili più semplici; in ogni caso non devono essere inferiori a 4, onde consentire una reale plasticizzazione. Per le sezioni tubolari, lo spessore di parete minimo è di 1mm per le leghe d’alluminio, 3mm per gli acciai legati, 5mm per gli acciai inossidabili. Per motivi di praticità si estrudono spezzoni non più lunghi di 7,5m, eccezionalmente sino a 30m. Le dimensioni trasversali vengono in genere identificate dal minimo cerchio circoscrivibile alla sezione: per l’alluminio esso può arrivare sino a 1m, per gli acciai a 0,15m. Le velocità di estrusione possono arrivare sino a 0,5m/sec per gli acciai, titanio e superleghe; valori più bassi sono adottati per le leghe di alluminio, magnesio e rame. Nel processo di estrusione rivestono un’importanza basilare il semi-angolo della trafila e la forma della sua apertura (Figura 11.22(a)). Angoli piccoli comportano un esteso contatto tra trafila e materiale, elevate forze d’attrito e maggiori forze necessarie. D’altra parte, angoli grandi provocano turbolenza nel materiale e, ugualmente, aumento della forza necessaria. Ne segue una curva ad U, mostrata in Figura 11.22(b), con un valore ottimo dell’angolo, che dipende dal tipo di materiale, dalla temperatura della billetta e dalla modalità di lubrificazione. Se il semi-angolo è retto (square die, Figura 11.23(a)) si vengono a costituire delle zone morte, dove il metallo è stazionario; le zone morte a loro volta creano un angolo di trafila naturale.

(a)

(b)

Figura 11.22 – (a) Parti fondamentali della trafila: semi-angolo e forma dell’apertura della trafila. (b) Curva ad U per un processo di estrusione. La stessa evince l’effetto del semi-angolo della trafila nei confronti della forza/lavoro di estrusione.

La Figura 11.23(b) mostra due tipiche sezioni di trafila rispettivamente per le leghe d’alluminio e per gli acciai. Forme complesse dell’apertura della trafila comportano pressioni e forze di estrusioni maggiori rispetto a quelle calcolate in precedenza sulla base di una sezione circolare. Per tener conto di questo aspetto si utilizza il fattore di forma, definito come il rapporto tra la pressione necessaria ad estrudere una forma qualsivoglia e quella necessaria ad estrudere una sezione circolare di uguale area. Il fattore di forma Ke viene espresso semi-empiricamente come:

Ke = 0,98 + 0,02(Ce/Cc)2,25 dove :

Ce = perimetro della sez. reale Cc = perimetro della sez. circ. di area uguale

Tale relazione perde di valore per rapporti (Ce/Cc) > 6.

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I profili cavi in parete sottile sono caratterizzati da fattori di forma elevati e sono più difficili da estrudere.

(a)

(b)

Figura 11.23 – (a) Fasi successive del processo di estrusione caratterizzato da una trafila con il semi-angolo retto. (a) fase iniziale (b)fFormazione di zone morte (c) angolo di trafila naturale dipendente dalle zone morte. (b) Tipiche sezioni di trafila. (a) leghe di alluminio (b) acciai.

Tenendo conto della pressione aggiuntiva dovuta alla maggior complicazione della sezione rispetto a quella circolare, le espressioni della pressione divengono: estrusione indiretta:

p = Keσf(med) ln (Ao/Af) estrusione diretta:

p = Keσf(med)[ln Ao/Af + (2l/Do)] I materiali usati per le trafile sono:

• estrusione a caldo: acciai legati per utensili, (eventualmente ceramizzati con zirconia per aumentare la resistenza all’usura) in virtù dell’elevata durezza e resistenza all’usura ad alta temperatura, nonché alta conducibilità termica;

• estrusione a freddo: carburi, acciai da utensili, acciai cementati, grazie alla loro elevata

resistenza all’usura e capacità di resistere indeformati a forti sollecitazioni.

Nell’estrusione a caldo degli acciai, degli acciai inossidabili e delle leghe di titanio, la lubrificazione avviene per mezzo di vetro fuso (processo Sèjournet); per i metalli che tendono all’incollaggio, la billetta viene preventivamente rivestita con uno strato sottile di metallo morbido (rame o acciaio dolce) che funge da interfaccia a basso attrito e nel contempo protegge la billetta da contaminazioni esterne e da ossidazioni. Le presse per estrusione possono essere verticali o orizzontali (soluzione più comune perché consente di utilizzare billette più lunghe) con forza massima sino a 120MN. L’attuazione è per lo più idraulica (estrusione diretta in continua) oppure meccanica (estrusione discreta); tale soluzione è più spesso adottata nelle presse verticali (estrusione per impatto). Oltre alle classiche tecniche di estrusione diretta ed indiretta, altre due metodologie (già citate) meritano di essere illustrate in dettaglio:

• estrusione per impatto: spesso essa viene annoverata tra le tecniche di estrusione indiretta. Il punzone scende rapidamente e colpisce una pastiglia del materiale da estrudere, contenuta nello stampo (Figura 11.24).

Figura 11.24 - Diversi esempi di estrusione per impatto.

Il volume rimane costante, cosicché lo spessore dell’estruso tubolare dipende dallo spazio (clearance) tra punzone e stampo. Il processo può produrre manufatti tubolari in parete sottile di altezza ridotta, con diametro massimo di 150mm e rapporto tra spessore e diametro 0,005 ad un rateo che può superare i 7000 pezzi/ora • estrusione idrostatica: uno dei principali problemi

dell’estrusione diretta risiede nell’attrito all’interfaccia tra billetta e camera. Esso viene risolto dalla tecnica di estrusione idrostatica (Figura 11.25), ove la billetta nella camera è

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circondata da un fluido incomprimibile (olii vegetali) che viene pressurizzato fino a 1400 MPa dal movimento del pistone. In tal modo l’attrito tra billetta e camera viene annullato e la forza necessaria ridotta.

A patto di utilizzare fluidi opportuni (cere, polimeri, vetro fuso), il processo può venir applicato anche ad alta temperatura. Inoltre la pressione idrostatica aumenta la duttilità del materiale e consente di estrudere anche materiali troppo fragili per le tecniche convenzionali; nel caso in cui il metallo sia già sufficientemente duttile, possono essere ottenuti rapporti di riduzione più elevati. Uno dei problemi dell’estrusione idrostatica risiede nella necessità di preparare preventivamente la billetta, che deve essere rastremata ad una estremità per garantire la tenuta del fluido idraulico ed impedirne la fuoriuscita attraverso l’apertura della trafila.

Figura 11.25 - Tecnica di estrusione idrostatica.

In dipendenza delle condizioni del materiale e dei parametri di processo, le parti prodotte per estrusione possono presentare diversi tipi di difetti, tali da inficiarne le prestazioni e ridurne il livello qualitativo: • cavità interne (Figura 11.26(a)): la zona

centrale della parte estrusa può essere affetta dalla presenza di cavità dovute allo stato di sforzo di trazione idrostatica che si viene a creare nella zona di deformazione entro la trafila. La probabilità di questo tipo di difetto aumenta all’aumentare dell’angolo della trafila e all’aumentare della presenza di difetti e diminuisce all’aumentare del rapporto di estrusione e dell’attrito;

• piping (Figura 11.26(b)): si tratta di un difetto tipico dell’estrusione diretta e consiste nella formazione di una cavità centrale a forma di coda di pesce all’estremità della billetta, dovuta all’inglobamento di impurità e di ossidi; tale cavità può occupare fino ad un terzo della billetta, che deve essere eliminato come scarto. Il problema viene eliminato controllando il

flusso del materiale ed asportando lo strato esterno di ossidi;

• cricche superficiali (Figura 11.26(c)): se la temperatura, l’attrito o la velocità di estrusione sono troppo elevate, specie per le leghe di alluminio, magnesio e zinco, si possono generare cricche intergranulari superficiali. Il problema viene eliminato riducendo la temperatura e/o la velocità di estrusione. Il medesimo tipo di difetto si può verificare anche a causa della formazione e rilascio periodico di zone di incollaggio tra billetta e camera.

Figura 11.26 - Difetti associati ai pezzi prodotti con la tecnica dell’estrusione. (a) cavità interne (b) piping (c) cricche superficiali.

11.4 Trafilatura a trafilatura è l’operazione che consiste nel ridurre la sezione di una barra o di un filo tirati attraverso la

luce di una trafila, come mostrato in Figura 11.27.

Figura 11.27 - Operazione di trafilatura.

Il principio generale del processo è simile a quello dell’estrusione; la differenza consiste nel fatto che nell’estrusione il materiale è spinto attraverso la trafila; nella trafilatura il materiale è tirato. Lo stato di sforzo è principalmente di trazione, ma anche di compressione allorché il materiale viene spremuto fuori dalla trafila. Il principio generale si applica sia alle barre di maggior diametro, ed allora il processo (con una sola passata2) è di tipo discontinuo, oppure ai fili di diametro fino a 0,03mm e lunghezza di migliaia di metri, (con passate multiple, variabili da 4 a 12), ed allora il processo è continuo

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2 Per passata p si intende la differenza fra il diametro originale D0 ed il diametro finale Df del materiale p = D0-Df

L

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

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trafilatura continua. Nella trafilatura, la variazione delle dimensioni del materiale è espressa per mezzo della riduzione percentuale r della sezione:

r = (Ao – Af)/Ao dove:

Ao = area della sezione originale Af = area della sezione finale

Assumendo assenza di attrito grazie alla lubrificazione, è possibile calcolare la forza necessaria alla trafilatura a partire dall’espressione della deformazione effettiva:

ε = ln(Ao/Af)= ln[1/(1-r)] da cui lo sforzo effettivo:

σ = σf(med)ε = σf(med)ln(Ao/Af) essendo σf(med)ε il flow stress medio precedentemente calcolato. È però possibile tener conto sia dell’attrito che dell’effetto esercitato dall’angolo di conicità della trafila tramite un’espressione semi-empirica del tipo:

σt = σf(med) [1 +(μ/tgα)]� ln(Ao/Af) dove:

σt = sforzo reale di trafilatura μ = coefficiente d’attrito trafila/materiale α = semi-angolo trafila � = coefficiente di disomogeneità delle deform.

Da misure sperimentali, il valore di � per una sezione circolare, vale:

� = 0,88 + 0,12(D/lc) dove:

D = diametro medio durante la trafilatura lc = lunghezza di contatto materiale/trafila

calcolati come: D = (Do – Df)/2

lc = (Do – Df)/2sinα Infine, la forza totale di trafilatura Ft è espressa come:

σt = Af σf(med) [1 +(μ/tgα)]� ln(Ao/Af) Da questa espressione risulta chiaro che, al crescere del rapporto di riduzione della sezione, cresce lo sforzo di trafilatura: per valori sufficientemente elevati della riduzione, tale sforzo supera lo sforzo di snervamento del materiale. Se ciò accadesse, il filo semplicemente si allungherebbe, senza che nuovo materiale sia realmente spremuto attraverso la trafila. Affinché lo sforzo di trafilatura sia minore dello sforzo di snervamento del materiale, la riduzione di sezione non può quindi superare un determinato valore. Assumendo assenza di attrito e materiale perfettamente plastico (n = 0), il massimo valore possibile dello sforzo di trafilatura σt è uguale allo sforzo di

snervamento σs. Tenendo conto che σf(med)= σs, essendo n nullo, risulta: σt = σf(med) ln(Ao/Af)= σs ln(Ao/Af)= σs ln[1/(1-r)]= σs

da cui: ln(Ao/Af)= ln[1/(1-r)]=1

e quindi: 1/(1-r)= (Ao/Af)=e=2,7183 (base log. neperiano)

perciò la massima possibile riduzione vale: rmax = (e –1)/e = 0,632

Tale valore rappresenta la massima possibile riduzione teorica in un’unica passata, in quanto trascura gli effetti dell’attrito (che ridurrebbe il valore) e l’incrudimento (che lo aumenterebbe, poiché renderebbe il materiale più resistente). In pratica, la riduzione per passata è molto inferiore al limite teorico: 0,50 per passate singole e 0,30 per passate multiple rappresentano i reali valori limite tecnologici. Molto spesso la trafilatura è effettuata come cold working per produrre a) barre di piccolo diametro rivetti e ribattini, b) fili trefoli per cavi di comando. Possono essere trafilate anche sezioni solide non circolari, nonché tubi (per trasmissione comandi), a partire da semilavorati prodotti per estrusione miglioramento delle caratteristiche meccaniche, della finitura superficiale e riduzione dei difetti. La velocità di trafilatura dipende dalla natura del materiale e dalla riduzione di sezione, ma può variare da 1 a 2,5 ms-1 per barre di grande diametro sino a 50 ms-1 per fili molto sottili, tenendo però conto che elevate velocità di trafilatura producono elevate temperature e riduzione della qualità. L’incrudimento dovuto a forti riduzioni di sezione può rendere necessari trattamenti termici intermedi di ricottura. Prima di effettuare la trafilatura vera e propria, devono essere portate a termine tre operazioni preliminari:

• trattamento termico di ricottura: serve ad aumentare la duttilità del materiale e rendere possibile la deformazione senza rottura;

• pulitura chimica e pallinatura: vengono rimossi i contaminanti superficiali per evitare di danneggiare la trafila;

• appuntitura: viene ridotta (per tornitura o rullatura) l’estremità della barra per rendere facile l’inserimento nella trafila.

Gli impianti per la trafilatura sono diversi a seconda che debbano produrre barre o fili. Nel caso di barre, il funzionamento è discontinuo e l’impianto è costituito da una struttura che supporta l’attuatore idraulico che imprime la trazione, il carrello che afferra le barre e la trafila (Figura 11.28). Spesso tali impianti operano su più barre contemporaneamente, possono trafilare barre di diametro

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sino a 20mm e lunghezza sino a 30m, applicano forze sino a 1,3MN a velocità di 6-60m/min. Nel caso di fili, gli impianti di trafilatura (Figura 11.29) sono costituiti da trafile multiple, intervallate da tamburi azionati da motori elettrici che forniscono la forza di trazione necessaria ed avvolgono il filo, accumulandolo in attesa dell’operazione successiva. Si tratta di un processo in continua, talvolta interrotto da trattamenti termici di ricottura.

Figura 11.28 - Esempio di impianto di trafilatura per l’ottenimento di barre.

Figura 11.29 - Esempio di impianto di trafilatura per la produzione di fili

Le caratteristiche tipiche delle trafile sono mostrate in Figura 11.30. Si distinguono 4 zone particolari:

• la bocca d’entrata a forma di campana, che non entra in contatto con il materiale e garantisce l’apporto del lubrificante;

• la zona d’approccio, nella quale il materiale viene effettivamente trafilato; ha forma conica con semi-angolo variabile da 6° a 20° in dipendenza del tipo di materiale;

• la sezione minima di pressione, che determina il diametro finale del manufatto;

• la regione di uscita, di forma conica con un semiangolo di 30°.

A seconda della complessità del profilo che si vuole trafilare, la trafila può essere costituita da un pezzo singolo oppure da diversi segmenti tenuti assieme da un anello. Le trafile in genere sono costruite con acciai da utensile o con carburi.

Per aumentare la resistenza all’usura, le trafile in acciaio sono cromate, quelle in carburi sono ricoperte con nitruro di titanio. I mandrini per la trafilatura di tubi sono in acciaio temprato superficialmente oppure anch’essi in carburi. Per trafilare fili di diametro 1,5mm – 2μm si usano trafile in diamante sintetico monocristallino o sinterizzato. La trafilatura a caldo richiede invece trafile in acciaio da colata, in virtù della loro elevata resistenza all’usura ad elevata temperatura.

Figura 11.30 - Caratteristiche tipiche di una trafila (si vedano le zone indicate dalle parentesi graffe).

I processi di trafilatura dipendono grandemente dalla modalità di lubrificazione, la quale prolunga la vita delle trafile, riduce la forza e la temperatura e migliora la qualità superficiale. Nel caso della trafilatura di tubi la lubrificazione è estremamente critica a causa della difficoltà di mantenere un film di adeguato spessore all’interfaccia materiale/mandrino. In dipendenza della modalità di lubrificazione si può avere:

• trafilatura a umido: sia il materiale che la trafila sono completamente immersi nel lubrificante, costituito da olii minerali o da emulsioni acquose con additivi clorinati;

• trafilatura a secco: solo la superficie della barra da trafilare è lubrificata, in conseguenza del passaggio attraverso una camera contenente sapone, posta a monte della trafila;

• rivestimento: la barra o il filo da trafilare sono ricoperti da uno strato di metallo morbido (rame o stagno depositati chimicamente), che fungono da lubrificante solido;

• vibrazione ultrasonora: sia la trafila che il mandrino sono messi in vibrazione; ciò riduce le forze, migliora la qualità superficiale, aumenta la vita della trafila e consente maggiori riduzioni di sezione per passata.

La trafilatura può essere utilizzata anche per ridurre il diametro o lo spessore di parete di tubi senza saldatura prodotti con altri processi (per esempio estrusione). A seconda delle scelte tecnologiche relative al mandrino, possono essere adottate diverse metodologie:

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(a)

(b)

(c)

Figura 11.31 – (a) Trafilatura senza mandrino. (b) Trafilatura con mandrino fisso. (c) Trafilatura con mandrino flottante.

• trafilatura senza mandrino (Figura 11.31(a)): che non garantisce però il controllo morfologico della superficie interna del tubo;

• trafilatura con mandrino fisso (Figura 11.31(b)): la lunghezza del supporto limita necessariamente la lunghezza del tubo che può essere prodotto;

• trafilatura con mandrino flottante (Figura 11.31(c)): grazie alla propria forma, il mandrino trova una posizione stabile in corrispondenza della zona d’approcci

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o dellatrafila.

I principali difetti che può presentare un manufatto trafilato sono:

• cricche nella parte centrale; • rigature longitudinali sulla superficie; • piegature e torsioni longitudinali; • sforzi residui; nel caso di leggere riduzioni di

sezione, si creano sforzi di trazione al cuore e di compressione sulla superficie migliorata resistenza a fatica; nel caso di riduzioni di sezione più marcate, si generano sforzi di compressione al cuore e di trazione in superficie possibilità di stress-corrosion.

11.5 Forgiatura: aspetti generali n dipendenza del fatto che durante il processo tecnologico il materiale sia o meno confinato tri-

dimensionalmente, si suole trattare separatamente la forgiatura in stampo aperto e la forgiatura in stampo chiuso; alcuni aspetti sono però comuni: forgiabilità – la forgiabilità è definita come la capacità di un materiale di subire deformazioni senza criccarsi. Esistono numerosi test per valutare la forgiabilità, anche se nessuno è universalmente accettato: uno di questi consiste nel comprimere assialmente un cilindro rilevando l’insorgere di cricche sulla superficie esterna a botte al crescere della deformazione (upsetting test); esso può essere effettuato a varie temperature e ratei di deformazione. Un altro test consiste nel torcere un provino circolare attorno al suo asse (hot-twist test), legando la forgiabilità al valore dell’angolo di torsione che può raggiungere prima di cedere, anche in questo caso a diversi livelli di temperatura. La Tabella 11.3 elenca diversi metalli in ordine decrescente di forgiabilità. Tale classifica si basa su considerazioni di duttilità, resistenza e qualità del forgiato e deve essere considerata solo come orientativa. A causa della differente duttilità a differenti temperature, le leghe bi-fasiche (come il titanio) sono più difficili da forgiare di quelle mono-fasiche. La stessa tabella riporta anche le temperature di forgiatura (hot working): si noti che alte temperature non significano necessariamente maggior difficoltà di forgiatura del materiale. Per i processi warm-working le temperature variano da 200-300 °C per le leghe d’alluminio a 350-750 °C per gli acciai. attrito - nei processi di forgiatura, come in tutti i processi di lavorazione dei metalli caratterizzati da un movimento relativo tra stampo e metallo, l’attrito costituisce un fenomeno di fondamentale importanza, in quanto:

• aumenta la forza necessaria; • peggiora la finitura superficiale del manufatto; provoca usura degli stampi.

I

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Sebbene il contatto avvenga solo in corrispondenza delle asperità delle superfici, come area A viene assunta l’area totale di contatto, mentre il coefficiente di attrito coulombiano μ viene usualmente assunto costante per un dato materiale, stampo e tipo di lubrificante.

Tabella 11.3 - Intervallo approssimativo delle temperature per l’operazione di forgiatura a caldo.

Quando lo sforzo tangenziale all’interfaccia eguaglia il flow stress a taglio del materiale, avviene il fenomeno dell’incollaggio, non vi è più moto relativo tra stampo e metallo: quest’ultimo non scorre più sulla superficie dello stampo, ma si deforma in prossimità della superficie stessa3. Lo sforzo tangenziale all’interfaccia non può quindi superare il flow stress a taglio del materiale ed il coefficiente d’attrito μMAX assume il suo valore massimo di 0,577 o 0,500 a seconda che si adotti, rispettivamente, il criterio di snervamento di Von Mises o del massimo sforzo di taglio. Dal punto di vista fenomenologico, il meccanismo dell’attrito dipende da:

• interazione meccanica delle asperità; • rigatura del materiale più cedevole • saldatura a pressione, successivo incrudimento

e rottura delle asperità. Generalmente si assume che μ mantenga un valore costante durante il processo. Tale valore dipende però dalla temperatura. Di seguito alcuni valori tipici:

• cold working: μ = 0,1 • warm working: μ = 0,2 • hot working: μ = 0,4

lubrificazione – un accorgimento irrinunciabile per limitare le conseguenze dell’attrito durante la

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3 In realtà, prove sperimentali hanno dimostrato che, in un processo di cogging, μ può variare da 0 al centro del cilindro fino a 0,5 alla periferia.

forgiatura consiste nella lubrificazione. Essa è generalmente classificata come:

• idrodinamica: il meato lubrificante è mantenuto dal rapido moto relativo tra stampo e materiale;

• con lubrificanti consumabili: gli acidi grassi formano film di saponi metallici solidi, che vengono via vai consumati;

• per alta pressione: i lubrificanti sono costituiti da paraffine clorinate (50%) resistenti a pressioni estremamente elevate;

• con film solidi: dotati di resistenza a taglio inferiore a quella del metallo da lavorare; sono costituiti da rame, piombo, grafite, disolfuro di molibdeno (MoS2).

I lubrificanti a loro volta di distinguono tra: • lubrificanti liquidi:

○ olii vegetali o minerali ○ olii con acidi grassi (per alte pressioni) ○ emulsioni acquose di olii con fasi solide

• lubrificanti solidi: ○ fasi solide in solventi volatili ○ polimeri ○ cere

Le funzioni della lubrificazione sono: • ridurre l’attrito e l’usura dello stampo; • impedire l’asportazione del metallo da parte dello

stampo; • garantire l’isolamento termico tra stampo e

materiale e raffreddare quest’ultimo; • controllare la finitura superficiale del manufatto.

Nel far questo, il lubrificante deve, nel contempo: • sopportare le condizioni di processo (temperatura e

pressione); • non deteriorarsi durante l’uso e

l’immagazzinamento; • essere facile da applicare e rimuovere, senza

lasciare residui; • essere sicuro e non tossico:

magli - sia la forgiatura in stampo aperto, che la forgiatura in stampo chiuso possono venir effettuate con presse (ove la forza viene applicata progressivamente nel tempo) o con magli (ove la forza è applicata istantaneamente). Spesso si preferiscono questi ultimi, in considerazione del fatto che di solito si lavorano materiali al di sopra della temperatura di ri-cristallizzazione, a partire da semi-lavorati massicci, con l’obiettivo di imprimere forti deformazioni, senza avere particolari problemi di

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO

incrudimento dinamico. Per questo motivo, qui di seguito vengono descritte le principali architetture dei magli, lasciando la descrizione delle presse idrauliche al capitolo relativo alle tecnologie di deformazione plastica a freddo. I magli sono macchinari che derivano la loro energia dall’energia potenziale della massa battente, che è convertita in energia cinetica e poi in energia di deformazione plastica del materiale da lavorare: perciò essi operano ad energia limitata. A differenza delle presse idrauliche, essi operano ad alta velocità ed i conseguenti ridotti tempi di formatura minimizzano il raffreddamento del materiale. Tale basso rateo di raffreddamento consente di realizzare forme complesse ed intricate. In ogni caso, è necessario effettuare una serie di impatti ripetuti per completare la forgiatura del pezzo. Sono disponibili diversi tipi di maglio: essi costituiscono comunque i macchinari più versatili ed economici per questo tipo di operazione. La scelta del macchinario dipende da: forza necessaria, dimensioni, forma e complessità del pezzo; resistenza del materiale e sua sensibilità al rateo di deformazione; rateo produttivo, manodopera necessaria, livello di rumore e costo. In generale il maglio è preferito per la forgiatura di acciai, leghe di titanio, di rame e metalli refrattari, mentre le presse sono adatte alla forgiatura delle leghe di alluminio, magnesio, berillio, bronzo e ottone. Non di rado, vengono utilizzate in serie prima un maglio e poi una pressa idraulica o meccanica. Di seguito sono illustrati i più comuni tipi di maglio:

• board drop hammer (Figura 11.32): la massa battente è sollevata per mezzo di una o più tavole, che passano attraverso due rulli a frizione e poi viene rilasciata meccanicamente; peso della massa battente 50-5000 kg

• air-lift gravity drop hammer: la massa battente è sollevata tramite attuatori ad aria compressa o vapore e lasciata cadere per gravità; peso della massa 250-5000 kg; energia 350-7.250 kgm;

• power drop hammer (Figura 11.33(a)): la forza della massa battente è incrementata da attuatori ad aria o vapore in pressione a 620-860 kPa; peso della massa 250-17.500 kg; energia 1030-59.000 kgm;

• counterblow hammer: possono essere orizzontali o verticali (cfr. Figura 11.33(b)); la forza di forgiatura è dovuta al movimento di due attuatori a vapore a moto contrapposto; le vibrazioni sono limitate (in quanto è eliminata l’incudine); le energie possono arrivare sino a 125.000kgm (verticali), 10.000 (orizzontali);

• high energy-rate forging (HERF) machines: sono magli di tipo counterblow, con attuatori ad idrogeno e sistemi a rilascio rapido; la velocità della massa può raggiungere i 20 ms-1 (rispetto ai 2,5-8,5 ms-1 dei magli convenzionali); queste

macchine producono forgiati near-net-shape di buona accuratezza dimensionale e finitura superficiale, anche di materiali difficilmente forgiabili.

stampi - la maggior parte delle operazioni di forgiatura viene effettuata ad elevata temperatura, per questo, i requisiti generali dei materiali per stampi sono:

• resistenza e tenacità ad elevata temperatura; • induribilità superficiale; • resistenza agli shock meccanici e termici; • resistenza all’usura.

Inoltre la scelta dei materiali dipende anche da: • dimensioni e forma del forgiato; • temperatura di processo; • la numerosità della serie; • il costo.

Tutto ciò considerato, i più comuni materiali per stampi sono gli acciai al cromo, nickel, molibdeno e vanadio, la ghisa e le leghe non ferrose. Essi possono essere prodotti per fusione o, più comunemente, per forgiatura e successiva lavorazione alla macchina utensile. Poiché i materiali per stampi sono resistenti e duri superficialmente, spesso è conveniente lavorarli con tecniche sottrattive non convenzionali, come l’elettro-erosione a tuffo o la fresatura chimica/elettrochimica.

Figura 11.32 - Maglio di tipo: board drop hammer.

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(a)

(b) Figura 11.33 – (a) Maglio di tipo: power drop hammer (b) Maglio di tipo: counterblow hammer.

Essi subiscono poi trattamenti termici superficiali per aumentare la durezza ed infine vengono rettificati e/o lucidati con metodi meccanici, elettrici o chimici per migliorare l’accuratezza dimensionale e minimizzare la rugosità, avendo cura di evitare distorsioni e nascita di stati di sforzo residui. In conseguenza di tale processo produttivo, un set di stampi per produzione in grande serie può arrivare a costare 1,5-2,0 MEuro. Gli stampi possono essere classificati in stampi maschio

(convessi) o stampi femmina (concavi) oppure a seconda della dimensione: stampi piccoli con superfici di 103-104 mm2, stampi grandi con superfici > 106mm2. Durante l’esercizio, gli stampi possono andare incontro a rotture per una o più delle seguenti cause:

• errori di progetto: gli stampi devono essere correttamente dimensionati, evitando brusche variazioni di sezione, raccordi e spigoli vivi;

• materiale difettoso; • errori nel trattamento termico e/o nelle lavorazioni

di finitura superficiale: i materiali per stampi sono duri e resistenti, ma spesso sono sensibili agli impatti e all’azione chimica di taluni lubrificanti;

• sovra-riscaldamento o shock termici: per evitare riscaldamenti repentini, di solito gli stampi sono pre-riscaldati a 1500-2500 °C;

• eccessiva usura: oltre che al cedimento dello stampo, essa può indurre errori dimensionali nei manufatti. Gli stampi usurati possono comunque essere riparati per saldatura o laser-deposition di metalli. Talvolta si realizzano stampi componibili, aventi inserti sostituibili in corrispondenza delle regioni soggette a maggior usura;

• sovra-sollecitazione: può essere dovuta ad errore di allineamento oppure alla mancata rimozione del pezzo prima di procedere alla forgiatura successiva;

• errori nell’uso o nella movimentazione. Infine una curiosità: non è raro il caso di stampi posti a riposo sul pavimento o sugli scaffali che si disintegrano istantaneamente esplodendo a causa degli sforzi residui e proiettando all’intorno schegge ad alta velocità: per questo motivo essi devono sempre essere protetti da schermi opportunamente progettati e realizzati. difetti – oltre alle cricche superficiali dovute alla scarsa forgiabilità (vedi sopra), possono nascere altri difetti durante il riempimento dello stampo da parte del materiale. Se la quantità di materiale è insufficiente a riempire lo stampo (Figura 11.34(a)), le anime sottili possono instabilizzarsi e sviluppare sovrapposizioni: lo spessore delle anime dovrebbe essere aumentato. Al contrario, se la quantità di materiale è eccessiva e lo spessore delle anime sovradimensionato, il materiale in esubero tende a rifluire verso le nervature, creando delle cricche (Figura 11.34(b)). Questi tipi di difetti sono influenzati dalla presenza di angoli e raccordi. Altri tipi di difetti interni possono svilupparsi a causa di:

• disuniforme deformazione del materiale; • gradienti di temperatura nel materiale; • difetti microstrutturali dovute a cambi di fase.

Una situazione che non costituisce di per sé un difetto, ma che può innescare un danneggiamento in servizio si verifica quando le linee di flusso del materiale, e quindi

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l’orientazione dei grani, raggiunge la superficie esterna perpendicolarmente (Figura 11.35).

Figura 11.34 - (a) Instabilizzazione delle anime a causa della insufficiente quantità di materiale. (b) Formazione di cricche a causa dell’esubero di materiale.

Figura 11.35 - Esempio di pezzo ottenuto per forgiatura. Si noti che l’orientazione dei grani e le linee di flusso raggiungono perpendicolarmente la superficie esterna.

Le superfici di bordo grano così esposte direttamente all’ambiente e possono essere attaccate chimicamente

nascita di cricche. Tutti questi difetti portano, in servizio, a problemi di:

• fatica • corrosione • usura

aspetti economici – il costo di un forgiato dipende da diversi fattori (. L’incidenza del costo delle attrezzature e degli stampi può, come già detto, essere rilevante. D’altra parte, come per altre tecnologie, tali costi vengono distribuiti su tutti gli esemplari prodotti (Errore. L'origine

riferimento non è stata trovata.); il costo unitario va quindi riducendosi all’aumentare della numerosità della serie, e tende asintoticamente al costo del solo materiale + manodopera. Evidentemente l’incidenza del costo del materiale dipende dal suo costo intrinseco e dalla massa del forgiato. L’incidenza del costo del materiale sul costo totale aumenta perciò all’aumentare delle sue dimensioni in quanto, al tempo stesso:

• il costo relativo per gli impianti non aumenta; • il costo della manodopera aumenta di poco;

il costo degli stampi aumenta in funzione della superficie (m2) del getto, mentre il costo del materiale aumenta con il suo volume (m3). Nei processi di forgiatura il costo della manodopera è generalmente basso, grazie all’adozione delle tecniche CAD/CAM per la progettazione degli stampi e della automazione/controllo durante le fasi produttive. La billetta viene posizionata nello stampo ed il forgiato viene rimosso dallo stampo per mezzo di manipolatori e robot. Anche i processi di lubrificazione e di finitura sono automatizzati: l’evoluzione tende inoltre verso processi near-net-shape per ridurre le fasi produttive, aumentare il rateo e diminuire il costo. A quest’ultimo proposito, in Figura 11.37 sono confrontati i costi unitari di un componente significativo prodotto con le tecnica di forgiatura e con i vari processi di colata: ne risulta che, in conseguenza degli elevati costi per gli stampi, la forgiatura è competitiva solo per serie produttive molto numerose (decine di migliaia di esemplari). Perciò essa è raramente adottata nella produzione aerospaziale, se non per produrre semilavorati da sottoporre a ulteriore lavorazione alla macchina utensile.

Figura 11.36 - Diagramma che mostra l’effetto del numero dei pezzi nei confronti del costo unitario relativo.

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Figura 11.37 - Effetto del numero di pezzi da produrre, parametrizzato in funzione della tecnica produttiva, nei confronti del costo relativo di un elemento.

11.6 Forgiatura in stampo aperto er forgiatura in stampo aperto si intendono tutte le operazioni di deformazione plastica dei metalli,

svolte a temperatura superiore alla ricristallizzazione su semilavorati massicci (con basso rapporto tra superficie e volume), nelle quali non esiste un vincolo laterale a parte l’attrito e di conseguenza non viene esercitato uno sconfinamento tridimensionale. La forgiatura in stampo aperto (la quale ingegnerizza l’operazione artigianale del fabbro che lavora con incudine e martello) fa uso di impianti come il maglio o la pressa (che verranno discussi) più avanti; gli stampi sono piani o quasi-piani e la manipolazione del pezzo viene fatta manualmente o tramite manipolatori meccanici. Questo tipo di processo viene utilizzato quando:

• la forma da ottenere è molto semplice; • la serie produttiva è minima e non giustifica il

costo degli stampi; • costituisce un’operazione preliminare di pre-

formatura preparatoria a successive operazioni di forgiatura in stampo chiuso o di lavorazione alla macchina utensile;

• il componente ha dimensioni troppo grandi per essere forgiato in stampo chiuso;

• i tempi di consegna sono troppo ravvicinati e non consentono la realizzazione degli stampi.

Talvolta la forgiatura in stampo aperto è conveniente per produrre grandi componenti (come alberi di trasmissione o alberi a gomito) che richiedono come ulteriori operazioni solo lavorazioni/finiture localizzate e trattamenti termici. Spesso, così facendo, non solo si risparmiano costose lavorazioni alla macchina utensile, ma si impartiscono al materiale migliori

caratteristiche, grazie alla compattazione dei vuoti ed alla orientazione dei grani. Alcune tipiche lavorazioni di forgiatura in stampo aperto sono mostrate in Figura 11.38: a) cogging – compressione tra stampi di dimensioni

minori rispetto al pezzo; b) upsetting – compressione tra stampi piani; c) heading – compressione e deformazione localizzata di

una sola estremità del pezzo (p.e. per formare la testa); d) swaging – compressione tra stampi longitudinali e

semicircolari (p.e. per ridurre lo spessore di una barra); e) fullering – compressione tra stampi convessi per

ridurre la sezione intermedia di una barra; f) edging – compressione tra stampi concavi per

aumentare la sezione intermedia di una barra. La Figura 11.39 mostra invece le cosiddette operazioni ancillari (o ausiliarie) che possono venir effettuate a completamento di una forgiatura in stampo aperto: a) punching – perforazione per mezzo di attrezzi di forma

complementare; b) piercing – indentazione per mezzo di attrezzi di forma

complementare; c) shearing – rescissione per mezzo di attrezzi sfalsati; d) extrusion – estrusione di una protuberanza entro uno

stampo recante una cavità; e) bending – piegatura tramite attrezzi di forma

complementare; f) twisting - torsione di una barra piana. Se la forgiatura in stampo aperto viene effettuata in condizioni ideali, ovvero trascurando l’attrito tra il materiale da lavorare e la superficie, allora si instaura una deformazione omogenea e il flusso radiale del materiale è uniforme lungo tutta l’altezza (Figura 11.40(a)). In queste condizioni ideali, la deformazione effettiva ε del materiale durante in un istante qualsiasi vale:

ε = ln(ho/h) ove:

ho = altezza iniziale h = altezza ad un istante generico

al termine del processo h = hf e la deformazione raggiunge il suo massimo valore. La forza necessaria in ogni istante per continuare la deformazione è pari al prodotto tra la corrispondente area della sezione A ed il flow stress σf corrispondente alla deformazione ε:

F = σfA Durante il processo, l’altezza va continuamente diminuendo e l’area va aumentando, come pure il flow stress σf a causa dell’incrudimento, ad eccezione del caso in cui il materiale è perfettamente plastico. In tal caso, l’esponente di incrudimento è nullo ed il flow stress σf è uguale allo sforzo di snervamento σsn del materiale. La

P

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO

forza raggiunge il massimo valore al termine del processo, quando sia l’area che lo sforzo sono massimi.

Figura 11.38 – Operazioni di forgiatura in stampo aperto.

Nella realtà l’attrito si oppone al flusso del materiale in corrispondenza delle superfici degli stampi: ciò provoca la deformazione a botte mostrata in Figura 11.40(b).Essa è tanto più pronunciata tanto maggiore è la differenza di temperatura tra il materiale e lo stampo, in quanto vi è assorbimento di calore dello stampo dal materiale, raffreddamento di quest’ultimo, aumento della sua resistenza alla deformazione e del coefficiente d’attrito4 . Il metallo fluisce meglio nella parte centrale del pezzo (più calda) che alle estremità (più fredde); tale effetto è tanto più rilevante tanto più aumenta il rapporto tra diametro ed altezza del pezzo, a causa del maggior trasferimento di calore.

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4 Per ovviare a questo inconveniente, e specie per materiali di difficile forgiabilità, come le leghe di titanio e le superleghe, viene adottata la tecnica della isothermal forging, nella quale gli stampi sono mantenuti a temperatura prossima a quella del materiale, in modo che questo non si raffreddi durante il processo; spesso si opera in vuoto in modo da evitare ossidazioni superficiali-.

Figura 11.39 - Operazioni ancillari (ausiliarie) a completamento di una precedente operazione di forgiatura.

(a)

(b)

Figura 11.40 – (a) Fasi successive nel processo di forgiatura in stampo aperto in condizioni ideali: attrito nullo e deformazione omogenea. (b) Fasi successive nel processo di forgiatura in stampo aperto in condizioni reali: attrito non nullo e con deformazione a botte.

A causa di tutti questi effetti, la reale forza F necessaria è maggiore, in ragione di un fattore di forma Kf determinato per via semi-empirica, e vale:

F = KfσfA ove:

Kf = 1 + 0,4μD/h avendo assunto:

μ = coefficiente d’attrito definito come μ = τ/p

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D = diametro del pezzo a contatto con la superficie h = altezza del pezzo τ = sforzo tangenziale all’interfaccia p = pressione normale all’interfaccia.

A causa della variazione del flow stress, dell’altezza, dell’area e del coefficiente d’attrito, la forza varia a sua volta durante in processo. La Figura 11.41 ne riporta un tipico andamento per una operazione di jogging.

Figura 11.41 - Diagramma tipico dell’andamento della forza di forgiatura durante l’operazione di cogging (forgiatura in stampo aperto).

11.7 Forgiatura in stampo chiuso a definizione forgiatura in stampo chiuso si riferisce a tutte quelle operazioni di forgiatura che

comportano confinamento e controllo tridimensionale del materiale, a differenza di quanto accade durante la forgiatura in stampo aperto. Nelle costruzioni aero-spaziali vengono prodotti con questa tecnica semi-lavorati o pezzi finiti quali: gambe degli organi di atterraggio, ordinate di forza, longheroni (Figura 11.42(a-c)). Il processo di progettazione e di realizzazione di una forgiatura in stampo chiuso passa attraverso le seguenti fasi: 1) progettazione della parte, secondo criteri

puramente funzionali, senza presupporre necessariamente la produzione per forgiatura;

2) una volta presa la decisione di realizzare la parte per forgiatura in stampo chiuso, progetto tecnologico della parte e dello stampo, nonché

calcolo della forza di forgiatura necessaria; in questa fase si tiene conto di: • necessario strato di sovrametallo; • angolo di spoglia per la sformatura; • opportuni angoli di raccordo; • cavità per formare il testimone5;

3) progettazione del semilavorato di partenza (billetta) e, nel caso di forgiati particolarmente complessi, di eventuali pre-forme intermedie;

4) preparazione della billetta o della pre-forma; 5) riscaldamento in forno della billetta o della pre-forma; 6) pre-riscaldamento e lubrificazione dello stampo; 7) forgiatura e finitura del forgiato, 8) pulitura chimica, eventuale lavorazione meccanica e

controllo dimensionale; 9) eventuale trattamento termico; 10) ispezione finale. A questo fine possono essere adottate diverse strategie:

• metodi semi-empirici, che richiedono grande esperienza nell’utilizzo e comportano grandi livelli di approssimazione;

• metodi analitici (upper-bound method, slip-line method), con limiti di impiego dovuti al grado di complicazione della forma;

• metodi numerici (elementi finiti, differenze finite), che presuppongono però la conoscenza delle leggi costitutive del materiale.

Facendo riferimento al pezzo di forma assialsimmetrica mostrato in Figura 11.43 , le fasi del processo e la relativa curva carico-spostamento sono riportate in Figura 11.44: 1) upsetting, nella quale il materiale fluisce lateralmente

per formare la flangia e verso l’alto per formare il rilievo centrale;

2) filling, nella quale la cavità centrale è riempita del tutto ed inizia a riempirsi il testimone;

3) forging, nella quale il processo è completato, la cavità è riempita, i massimi valori di forza e di pressione sono raggiunti.

Secondo la pratica progettuale il land (e quindi il testimone) ha uno spessore pari a circa il 3% dello spessore massimo del forgiato ed una lunghezza pari a 2-5 volte lo spessore. Il metallo che si solidifica all’interno del land ed (eventualmente) entro il gutter è il cosiddetto testimone (cfr. nota5).

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5 Il testimone è quella porzione di materiale in esubero che fuoriesce dallo stampo e riempie (anche parzialmente) delle cavità all’uopo progettate. La sua esistenza testimonia appunto l’avvenuto riempimento dello stampo ed è conditio-sine-qua-non per poter considerare portato a termine con successo un processo di forgiatura in stampo chiuso.

L

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(a)

(b)

(c)

Figura 11.42 – Elementi prodotti per applicazioni aerospaziali. (a) Componenti di organi di atterraggio; (b) ordinate di forza; (c) longheroni.

Figura 11.43 - Esempio di elemento assialsimmetrico ottenibile con la forgiatura in stampo chiuso.

E’ bene che il volume del testimone sia mantenuto al minimo per due motivi:

• valori eccessivi provocano alti valori di sollecitazione sullo stampo (cfr. Figura 11.45) e ne riducono la vita;

• il materiale del testimone costruisce uno sfrido, e quindi incide negativamente sul costo totale del forgiato (per il 50% circa dovuto al materiale).

Figura 11.44 – (a), (b), (c) fasi del processo (d) curva di carico-spostamento addotte al pezzo assialsimmetrico mostrato nella figura 11.43.

Il rendimento del materiale in un processo di forgiatura in stampo chiuso varia dal 50 al 70% rispetto al volume originario del materiale, quindi un risparmio del 10%, che comporta un risparmio in costo del 5% non è disprezzabile: d’altra parte, gli stampi sono progettati e la forma/volume della billetta sono scelti in modo da minimizzare lo sfrido dovuto al testimone. Il grado di riempimento della cavità prima che cominci a formarsi il testimone costituisce un buon indicatore del livello di

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ottimizzazione della forma della billetta. Il coefficiente di riempimento k è definito come:

k = 100(Vm/Vs) ove: Vm = volume del metallo nella cavità Vs = volume della cavità La Figura 11.45 mostra il legame tra il coefficiente di riempimento ed il proporzionamento altezza/larghezza ho/bo del forgiato, ottenuto sperimentalmente. Poiché il volume del materiale è costante, anche il volume del testimone costituisce un indice del riempimento della cavità: tanto più piccolo, tanto migliore il riempimento. Una prima valutazione della massima forza F richiesta per la forgiatura si può ottenere dalla seguente formula semi-empirica:

F = S1σf(med)Ap ove:

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S1 = fattore di forma forza (Tabella 11.4) σf(med) = flow stress medio del materiale Ap = area proiettata, incluso il testimone

Figura 11.45 - Diagramma sperimentale del coefficiente di riempimento k rispetto al parametro di proporzionamento altezza/larghezza (ho/bo) del forgiato.

Il flow stress medio viene calcolato a partire dalla deformazione ε e dal rateo di deformazione dε/dt:

ε = ln(hf/hi) = ln(V/Ap/hi) dε/dt = v/h

ove: V = volume del forgiato hf = altezza finale del forgiato hi = altezza iniziale del forgiato v = velocità istantanea del processo h = corrispondente altezza L’energia totale necessaria E per la forgiatura vale:

E = S2V ε σf(med) ove: S2 = fattore di forma energia (Tabella 11.4) Una fase decisiva per la buona riuscita di un processo di forgiatura in stampo chiuso risiede nel progetto dello stampo stesso. A questo fine è necessario conoscere la resistenza e la duttilità del materiale da forgiare, la sua sensibilità al rateo di deformazione, alla temperatura ed all’attrito, nonché la complessità della forma del pezzo da forgiare. Il materiale fluisce nella direzione di minor resistenza, quindi prima di tutto è di importanza fondamentale una pre-forma adatta a riempire la cavità dello stampo.

Tabella 11.4 - Fattori di forma S1 e S2 in funzione della modalità di deformazione.

Figura 11.46 - Disegno esemplificativo delle principali caratteristiche di uno stampo.

Dato questo per scontato, le principali caratteristiche di uno stampo sono (cfr. Figura 11.46):

• linea di partizione: è l’intersezione tra la superficie esterna del forgiato ed il piano che divide lo stampo superiore dallo stampo inferiore. Generalmente essa coincide con la sezione massima del forgiato. Per forgiati di forma complessa la linea di partizione si sviluppa su più piani. La scelta della linea di partizione influisce sull’orientazione dei grani, la formazione del testimone e la forza massima richiesta;

• angolo di spoglia: è l’entità dell’inclinazione delle superfici teoricamente parallele alla direzione di sformatura, necessaria per consentire l’estrazione

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del pezzo dallo stampo. Esso vale circa 3° per le leghe d’alluminio, 5°-7° per gli acciai ed è pressoché nullo nel caso di forgiatura di precisione. La contrazione al raffreddamento è tenuta in conto da angoli di spoglia interni (7°-10°) maggiori di quelli esterni (3°-5°);

• anime e nervature: le anime sono le parti sottili del forgiato, parallele alla linea di partizione; le nervature sono irrigidimenti sottili a sviluppo perpendicolare alla linea di partizione. Tanto più anime e nervature sono sottili, tanto più difficoltoso è il flusso del metallo;

• spigoli, angoli e raggi di raccordo: devono assumere valori grandi per quanto possibile, in quanto rendono difficile il flusso del metallo e inducono concentrazioni di sforzo nello stampo, problemi di usura e fatica;

• testimone: la formazione del testimone è responsabile dell’aumento di pressione all’interno della cavità dello stampo, causata dalla strizione in corrispondenza del land; lo spessore e la lunghezza del land controllano il valore della pressione; il gutter offre una via di fuga per il materiale in esubero ed evita che la pressione raggiunga valori troppo elevati;

• sovrametallo: è la quantità di materiale previsto in esubero sulla superficie del forgiato, specie in corrispondenza di superfici di accoppiamento, flange e fori; esso viene asportato con successive lavorazioni di macchina, onde rispettare requisiti in termini di tolleranza dimensionale e rugosità superficiale;

• contrazione termica: alla conclusione del processo il materiale si raffredda e si contrae: quindi lo stampo deve essere opportunamente sovra-dimensionato per tener conto di questo effetto, in misura dipendente dalla natura del metallo che deve essere forgiato.

11.8 Forgiatura: processi speciali partire dai principi generali della forgiatura, sono state sviluppate diverse tecniche specifiche,

ciascuna delle quali adatte a realizzare in maniera ottimìzzata morfologie particolari: forgiatura di precisione (Figura 11.47) – è un processo adatto alla lavorazione degli acciai e delle leghe di magnesio, alluminio e titanio, in grado di produrre forgiati di ridotto spessore, forma complessa, tolleranze strette, riduzione drastica del valore dell’angolo di spoglia e dell’estensione del testimone ed eliminazione quasi totale delle lavorazioni di finitura lavorazioni net-shape o near-net-shape. A

questo fine sono necessari stampi più complessi, billette controllate in forma, dimensione e posizionamento, nonché pressioni di forgiatura più elevate dell’usuale; forgiatura senza testimone (Figura 11.48) – è un processo nel quale il volume della billetta di partenza è identico al volume della cavità dello stampo, che è realmente chiusa, priva delle cavità ausiliarie (lead, gutter) volte alla formazione del testimone. La tecnologia si presta alla forgiatura di forme relativamente semplici in lega di alluminio/magnesio e richiede un accurato controllo del volume della billetta: se insufficiente non vi sarà riempimento completo, se esuberante provocherà sovra pressioni nello stampo; forgiatura della testa (heading) (Figura 11.49) – è una tecnologia attraverso la quale viene ricavata la testa di rivetti, ribattini e viti a partire da una barra di sezione circolare. Il processo è altamente automatizzabile e caratterizzato da elevati ratei produttivi (migliaia di pezzi/ora). Per evitare l’instabilizzarsi della barra compressa assialmente, in genere non è consigliabile forgiarne una lunghezza maggiore di tre volte il diametro, a meno che il rapporto tra il diametro della testa che si vuole ottenere (e quindi della cavità dello stampo) ed il diametro della barra sia minore di 1,5

Figura 11.47 - Processo di forgiatura di precisione. (a) Pezzo prodotto (b) pezzo finito.

Figura 11.48 - Fasi successive della tecnica di forgiatura senza testimone.

forgiatura radiale (Figura 11.50a-c) – è un processo utilizzato per ridurre il diametro di una barra a sezione solida o tubolare, con o senza l’uso di un mandrino. Esso viene altresì usato per rastremare l’estremità di barre o tubi (p.e. le aste degli impianti di comando di tipo push-pull).

A

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Figura 11.49 - Forgiatura della testa. Tecnica per l’ottenimento della testa di rivetti, ribattini e viti. (1) Inserimento della barra, (2) Chiusura nel sistema di afferraggio della barra, (3) e (4) Operazioni di deformazione.

L’effetto viene ottenuto tramite il martellamento alternato di utensili rotanti attorno al manufatto. La forgiatura radiale è in grado di lavorare pezzi di diametro 150-0,5mm con tolleranze di 0,5-0,05mm, senza limitazione di lunghezza, ad un rateo elevato (fino a 50 pezzi/ora). Quando gli utensili sono stazionari ed il manufatto ruota, anziché di forgiatura radiale, si parla di swaging. La rigatura interna delle canne delle bocche da fuoco è ottenuta per swaging tramite un mandrino dotato di rilievi elicoidali; forgiatura orbitale (Figura 11.51) – è un processo di forgiatura incrementale, ove uno stampo superiore di forma tronco-conica, affetto da un moto di precessione attorno al proprio asse, applica al materiale da lavorare un’azione contemporanea di rullatura e compressione (come il pestello in un mortaio). Grazie al moto dello stampo, in ogni istante solo una piccola parte del materiale è sollecitata: ne consegue una sostanziale riduzione della forza totale necessaria. Con sole 20-30 rivoluzioni, vengono formati pezzi di semplice forma discoidale, conica o tronco conica; forgiatura rotazionale (Figura 11.52) – è un processo in cui la sezione di una barra viene ridotta o deformata tramite il passaggio attraverso una coppia di rulli con rilievi opportunamente sagomati (roll-forming). I rulli non ruotano in continua, ma solo per quanto necessario a conferire la forma voluta. Talvolta viene considerata una tecnologia primaria, ma spesso viene utilizzata per produrre manufatti finiti, con caratteristiche migliorate grazie all’orientazione dei grani. Nell’accezione dello skew-rolling, il processo viene impiegato per produrre le sfere dei cuscinetti, che vengono rettificate e lucidate con successive operazione alla macchina utensile; idroformatura (Figura 11.53) – è un processo, che può essere condotto a caldo o a freddo, in cui un tubo, posto all’interno di uno stampo, viene gonfiato per mezzo dell’azione di un fluido (olio idraulico) in pressione sino ad assumere la forma desiderata, che può essere anche relativamente complessa.

(a)

(b)

(c)

Figura 11.50 – (a) Forgiatura radiale basata sul martellamento alternato di utensili attorno al pezzo rotante; (b) Operazione di swaging; (c) Operazione di swaging con la presenza di un mandrino.

Il valore massimo pmax della pressione richiesta vale in prima approssimazione

pmax = σsn[2t0/(31/2rc)] ove : σsn = sforzo di snervamento del materiale t0 = spessore iniziale del tubo

rc = minimo raggio di curvatura nello stampo

Il valore istantaneo t dello spessore durante il processo viene stimato tramite l’espressione

t = t0 exp[-ln(d/d0) (σ� + σθ)/(2 σθ – σ�)] ove:

d = diametro locale istantaneo

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO

d0 = diametro locale iniziale σ� = sforzo assiale σθ = sforzo circonfenziale;

Figura 11.51 - Forgiatura radiale.

coniatura (Figura 11.54) – è il processo con il quale vengono prodotte le monete metalliche e che, in genere, viene adottato quando si vogliano ottenere, con ridotto flusso di materiale, eccellente finitura superficiale, precisione dimensionale ed accuratezza dei dettagli. A questo scopo è necessario applicare pressioni 5-6 volte maggiori dello sforzo di snervamento del materiale, in assenza di lubrificazione: in una cavità perfettamente chiusa, il lubrificante incomprimibile renderebbe infatti impossibile l’operazione. Processi consimili sono la punzonatura (punching) e specialmente l’hubbing, con cui vengono realizzati gli stampi per lo stampaggio ad iniezione (injection moulding) delle materie plastiche; trimming (Figura 11.55) - non si tratta di un vero e proprio processo di forgiatura, bensì dell’operazione tramite la quale, per taglio, viene eliminato il testimone lungo il perimetro del forgiato. E’ un operazione che viene effettuata a caldo, immediatamente dopo la formatura: solo in caso di impossibilità viene effettuata a freddo con una lavorazione alla macchina utensile.

(a)

(b)

Figura 11.52 – (a) Forgiatura rotazionale con rulli rotanti nel medesimo verso; (b) Forgiatura rotazionale con rulli rotanti con verso opposto.

Figura 11.53 - Idroformatura.

Figura 11.54 - Coniatura. (1) Inserimento del materiale di partenza, (2) Applicazione della forza tramite punzone (3) Estrazione del pezzo finito.

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01

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CAP. 11 –TECNOLOGIE DI DEFORMAZIONE PLASTICA A CALDO

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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 31 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano