101 storie che guariscono -...

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Indice 9 Introduzione PRIMA PARTE Raccontare storie efficaci per bambini e adolescenti 21 CAP. 1 La magia della metafora 37 CAP. 2 Indicazioni per una narrazione efficace 57 CAP. 3 Strumenti e tecniche SECONDA PARTE Storie terapeutiche, storie educative 79 CAP. 4 Imparare 97 CAP. 5 Prendersi cura di sé 123 CAP. 6 Modificare il comportamento 151 CAP. 7 Gestire le relazioni 177 CAP. 8 Gestire le emozioni 201 CAP. 9 Creare pensieri utili 223 CAP. 10 Sviluppare le life skills 247 CAP. 11 Sviluppare le abilità di problem solving 273 CAP. 12 Gestire i periodi difficili della vita 295 CAP. 13 Storie terapeutiche scritte da bambini TERZA PARTE Come creare storie terapeutiche per bambini 317 CAP. 14 Come usare le metafore efficacemente 333 CAP. 15 Dove trovare idee per inventare delle storie tera- peutiche 353 CAP. 16 Come pianificare e presentare le storie terapeutiche 367 CAP. 17 Insegnare l’uso delle storie terapeutiche ai genitori 383 Bibliografia

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I n d i c e

9 Introduzione

PRIMA PARTE Raccontare storie efficaci per bambini e adolescenti

21 CAP. 1 La magia della metafora

37 CAP. 2 Indicazioni per una narrazione efficace

57 CAP. 3 Strumenti e tecniche

SECONDA PARTE Storie terapeutiche, storie educative

79 CAP. 4 Imparare

97 CAP. 5 Prendersi cura di sé

123 CAP. 6 Modificare il comportamento

151 CAP. 7 Gestire le relazioni

177 CAP. 8 Gestire le emozioni

201 CAP. 9 Creare pensieri utili

223 CAP. 10 Sviluppare le life skills

247 CAP. 11 Sviluppare le abilità di problem solving

273 CAP. 12 Gestire i periodi difficili della vita

295 CAP. 13 Storie terapeutiche scritte da bambini

TERZA PARTE Come creare storie terapeutiche per bambini

317 CAP. 14 Come usare le metafore efficacemente

333 CAP. 15 Dove trovare idee per inventare delle storie tera-peutiche

353 CAP. 16 Come pianificare e presentare le storie terapeutiche

367 CAP. 17 Insegnare l’uso delle storie terapeutiche ai genitori

383 Bibliografia

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INTRODUZIONE 9

2Introduzione

«Raccontami una storia.» Quante volte ti è stato chiesto di farlo? Se sei un genitore, un insegnante, un nonno o una nonna, uno zio o una zia, una baby-sitter, se lavori con i bambini o in qualche modo hai contatti frequenti con loro, sono sicuro che questa richiesta ti è stata fatta. Ma ti sei mai domandato che cosa vogliano veramente i bambini quando fanno questa richiesta? Divertirsi? Un viaggio nel mondo della fantasia? L’intimità della speciale relazione che si crea fra chi racconta e chi ascolta una storia? Cercano di identificarsi con un personaggio che rappresenta ciò che loro vorrebbero essere? Ti chiedono esempi per imparare a comportarsi, a relazionarsi con gli altri o ad affrontare la vita?

Ecco un principio generale: i bambini amano le storie — per molte ragioni diverse. Se hai bisogno di una prova, ascoltali quando chiedono: «Per favore raccontami una storia». Guarda quanti scaffali pieni di libri di storie per bambini ci sono nelle librerie e nelle biblioteche. Pensa alle trame dei film per bambini o a quanti videogiochi ruotano attorno ai temi del conflitto, del combattimento e della vittoria. Tale è la nostra fame di storie che nella vita non smettiamo mai di chiederne, anche se il genere di richiesta può cambiare un po’: «Posso avere un nuovo libro?» o «Prendiamo a noleggio un DVD?». Alla luce di questo desiderio di apprendere, informarsi, sviluppare attraverso le storie le capacità e le conoscenze necessarie per risolvere più efficacemente le difficoltà della vita, la prima doman-da a cui questo libro risponde è la seguente: se quotidianamente raccontiamo e ascoltiamo storie di apprendimento, di salute, di cura e benessere insieme ai nostri piccoli pazienti, come possiamo farlo in modo più efficace e utile?

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10 101 STORIE CHE GUARISCONO

Cosa offre questo libro

I professionisti della metafora hanno bisogno di ciò che serve agli artisti per creare opere d’impatto: abilità e arte. L’abilità del pittore sta nella conoscenza e nell’applicazione delle leggi della prospettiva, del colore e del tono. Quella del narratore di metafore sta nei principi per la costruzione di una storia terapeutica che catturi il bambino, lo induca a calarsi nel problema e lo stimoli a cercare una soluzione.

L’arte non è riducibile all’applicazione rigorosa di alcuni principi. È ciò che fa emergere un quadro fra i tanti, ciò che conferisce a una storia quella personalità che la rende efficace per il singolo ascoltatore. Serve arte sia per confezionare una storia sulla misura del singolo bambino e dei suoi bisogni, sia per raccontarla in modo da farla essere coinvolgente e significativa.

In questo libro voglio occuparmi nel modo più esauriente possibile delle abilità e dell’arte che ti permetteranno di usare in modo sicuro ed efficace le storie terapeutiche con i bambini e gli adolescenti, sia a scuola sia nel contesto di una consulenza psicologica o di una psicoterapia. Voglio rispondere ad alcune domande che gli ascoltatori mi rivolgono spesso in occasione dei miei workshop sull’uso delle metafore; per esempio, «Come Le vengono le idee per le sue storie?», «Come si fa ad attirare l’attenzione di un bambino e farlo ascoltare?», «Dove trova i materiali o le fonti per creare storie adeguate?», «Qual è il modo migliore per raccontare una storia terapeutica?». Fortunatamente queste domande hanno una risposta pratica e si può imparare a fare ognuna di queste cose. Il mio scopo è indicare le risposte nel modo più chiaro possibile nei prossimi capitoli. Vedremo come raccontare favole in modo efficace, come renderle metaforiche e dove trovare delle storie terapeutiche. Mostrerò come narrare modulando la voce in modo da catturare i bambini e condurli nel viaggio verso la guarigione. Il libro guida garbatamente il lettore fra queste procedure e spiega come creare storie metaforiche attingendo dalle proprie esperienze e da altre fonti.

Se intendi lavorare con le storie ti consiglio di cominciare subito a raccoglierne. Cerca nelle librerie, fra i video o nei giochi per computer che usano i bambini. Se interagendo con un bambino ti capita qualcosa di significativo e divertente che possa giovare anche a qualche altro, prendine nota. Io adoro raccogliere storie; per tanto tempo mi hanno affascinato per la loro straordinaria e sottile capacità di insegnare e di guarire. Fa’ attenzione alle storie tradizionali che si narrano ai bambini nei luoghi che ti capita di visitare; curiosa negli scaffali dei tuoi amici che hanno dei figli; interessati a ciò che scrivono i bambini stessi. I trionfi e le tragedie che i piccoli pazienti ti raccontano nel tuo studio possono insegnarti molto sulle risorse, la resistenza e la capacità di cavarsela da soli dei bambini. Se

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INTRODUZIONE 11

sappiamo essere modesti e ci prendiamo un po’ di tempo per ascoltare le storie creative e fantasiose dei nostri pazienti e degli altri bambini possiamo, apprendere da queste esperienze di vita giovanili. Spesso loro non hanno ancora assorbito le restrizioni e le strutture imposte dagli adulti riguardo a ciò che si deve (o non si deve) dire e a come dirlo. Se avrai l’opportunità di frequentare un gruppo o sentire un convegno di scrittori, potrai osservare la loro arte e catturare il loro messaggio. Puoi scoprire delle storie ricche di contenuti metaforici significativi nelle antologie, nei racconti popolari, nei libri per bambini e in certi messaggi di posta elettronica che circolano su Internet. Come in ogni altro genere di colle-zione, esiste un’abilità acquisita e un’arte nello scartare o nell’adottare e coltivare il materiale valido — cosa che ti suggerisco di fare non solo con le storie che leggerai in questo libro ma anche con le altre in cui ti capiterà di imbatterti.

Gli psicoterapeuti esperti potranno trovare in questo volume, io spero, varie idee per costruire delle metafore terapeutiche significative. Inoltre, tecniche per affinare le abilità, migliorare la comunicazione e lavorare efficacemente con piacere.

Gli psicoterapeuti che si accostano per la prima volta alla terapia basata sulle metafore troveranno invece procedure esplicite, esempi di casi e una ricca fonte di storie terapeutiche, pronte da usare a prescindere dagli orientamenti teorici di riferimento. Oltre che imparare ad applicare le metafore, potrai svilup-pare le tue competenze nell’arte della comunicazione terapeutica e nei processi di cambiamento.

Qualche parola sui termini

Quando uso il termine metafora intendo riferirmi a una forma di comuni-cazione (insieme alle storie, ai racconti e agli aneddoti) di genere narrativo in cui un’espressione viene tratta da un campo di esperienza e utilizzata per dire qualcosa a proposito di un altro campo di esperienza. Parlare di un bullo e descriverlo arrabbiato come un orso con una zampa ferita non significa affermare che il bullo e l’orso sono effettivamente simili; la descrizione, la frase o il riferimento all’orso e al suo comportamento trasmettono semplicemente un’immagine fantasiosa del bullo e del suo comportamento. È questa associazione simbolica che conferisce alle metafore la loro efficacia letteraria e terapeutica.

Nella psicoterapia e nell’insegnamento la metafora serve a parlare con i bambini in modo indiretto, immaginoso e implicito di esperienze, processi o cambiamenti che possono contribuire a risolvere i loro problemi e suggerire nuovi modi per far fronte alle difficoltà. Uno psicoterapeuta potrebbe parlare di cosa

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12 101 STORIE CHE GUARISCONO

conviene fare per proteggersi da un orso con la zampa ferita allo scopo di affrontare i problemi psicologici e pratici che un bambino sta incontrando nel rapporto con una persona violenta. Le metafore comprendono storie, fiabe, aneddoti, barzel-lette, proverbi, analogie e altre forme di comunicazione. Approfondirò alcuni di questi strumenti e tecniche per comunicare con i bambini attraverso le metafore nel capitolo terzo. Ciò che distingue le metafore terapeutiche da altri racconti, storie o aneddoti è la combinazione di (a) un messaggio simbolico preparato appositamente e (b) una specifica intenzione curativa o terapeutica.

Non voglio in questo libro essere troppo pedante soffermandosi sulle differenze fra storie, favole e aneddoti. Infatti utilizzerò questi termini perlopiù come sinonimi. Quando utilizzo le espressioni metafora o storia terapeutica intendo sottolineare che ciò di cui sto parlando non è né un racconto casuale né una semplice storia come si potrebbe raccontare a un ritrovo fra amici, bensì un racconto costruito deliberatamente per conseguire un preciso scopo terapeutico. Si tratta in altre parole di un racconto che si basa sulla nostra ricca storia di narratori, affonda le radici nella scienza della comunicazione efficace, ha una specifica rilevanza terapeutica rispetto ai bisogni del paziente e viene esposto secondo l’arte della buona narrazione.

Storie scritte e storie raccontate a voce

Da bambino ho ascoltato le storie dei miei genitori. Poi a mia volta ne ho raccontate ai miei figli, ai nipoti e ai pazienti, grandi e piccoli, e mi sono reso conto che raccontare una storia è molto diverso da scriverla. Infatti provo una strana sensazione trattando del racconto di storie per iscritto. Una volta messe nero su bianco le storie tendono ad assumere un che di immutabile, come se così fossero sempre state e così si dovessero sempre raccontare. In realtà le storie sono dinamiche. Si evolvono, cambiano e si adattano a seconda di chi le racconta e chi le ascolta. Anche tu ti renderai conto, voglio sperare, che non racconti mai la stessa storia due volte allo stesso modo, poiché il potere di una storia spesso sta nella sua flessibilità o facoltà di essere adattata ai bisogni e alle circostanze vissute dall’ascoltatore.

Quindi non garantisco che le storie di questo libro siano proprio così come le ho udite originariamente o che siano esattamente come sono state create. Né posso garantire che il modo in cui le leggerai sarà lo stesso in cui le ho raccontate al mio ultimo cliente o le racconterò al prossimo. Vorrei che si prestasse attenzione ai temi, alle idee o ai significati e non alle parole testuali. Cerca di riconoscere il messaggio terapeutico in ciascuna di esse e non di cercare di memorizzarle o di

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INTRODUZIONE 13

raccontarle parola per parola letteralmente. Non sono state pensate per essere raccontate e riraccontate come un attore impara a memoria e ripete fedelmente una parte. Mi aspetto che il lettore permetta a questi racconti di evolversi e che con essi maturino anche le sue storie e la sua capacità di raccontarle. Le storie vengono da dentro di noi, comunicano qualcosa delle nostre esperienze e ci aiu-tano a definirci individualmente. In esse noi e i nostri giovani pazienti possiamo trovare gioia e benessere oltre che un mezzo per creare e mantenere condizioni psicologiche positive.

Com’è organizzato questo libro

Il libro è diviso in quattro parti, per facilitare la consultazione delle sezioni quando si cercano determinati contenuti che può essere utile rileggere durante la terapia con alcuni bambini. La prima parte, intitolata «Raccontare storie efficaci per bambini e adolescenti», analizza l’uso delle metafore per informare, educare, insegnare valori, disciplinare, arricchire l’esperienza, facilitare la soluzione di problemi, modificare il comportamento e curare. Contiene indicazioni su come rendere efficace il racconto e regolare la voce. L’ultimo capitolo della sezione presenta strumenti, tecniche e mezzi utili per trasmettere messaggi terapeutici attraverso le metafore. Come utilizzare libri, rappresentazioni, pupazzi, giocattoli, il gioco, l’umorismo, le storie collaborative e altri media nella terapia basata sulle metafore?

La seconda parte, intitolata «Storie terapeutiche, storie educative», è suddivisa in dieci capitoli. Ognuno contiene dieci storie (tranne il capitolo quarto che ne ha solo nove) attinenti con l’obiettivo terapeutico tema del capitolo. Tutti i capitoli cominciano con una breve descrizione del tema e si concludono con un esercizio per prendere nota delle proprie idee narrative e svilupparle.

I temi su cui sono imperniati i vari capitoli costituiscono un obiettivo terapeutico comune. Non pretendo che siano esaustivi né che definiscano per-fettamente gli obiettivi della psicoterapia infantile. Derivano dalla mia esperienza clinica e dal confronto con altri psicologi clinici, dell’educazione, pediatrici e dello sviluppo, nonché dai risultati di uno studio non pubblicato che ho condot-to su un gruppo di congressisti a cui è stato chiesto di elencare i dieci obiettivi terapeutici secondo loro più frequenti. Gli obiettivi che ho scelto di utilizzare for-niscono semplicemente una struttura che si presta bene a ordinare le mie storie terapeutiche. Spero che possano servirti come guida per lo sviluppo di nuove metafore originali — ma voglio anche richiamare l’attenzione sul fatto che non sono gli unici obiettivi terapeutici sensati e che possono non essere importanti

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per te o per i tuoi piccoli pazienti. Se ti servono, per favore, sentiti libero di utilizzarli; in caso contrario, non sentirti vincolato a un’organizzazione che si è rivelata utile a qualcun altro.

Le storie del capitolo tredicesimo deviano dal formato generale di questa sezione essendo storie inventate da bambini anziché create per loro da un adulto. Sono perlopiù il frutto di un progetto sviluppato in una scuola in cui si è chiesto agli alunni di scrivere le loro storie terapeutiche.

La terza parte, «Come creare storie terapeutiche per bambini», spiega per l’appunto come fare per inventare una storia mirata a un obiettivo terapeutico. Vengono esaminate le insidie da evitare e le vie che può essere utile seguire. Si presentano varie fonti da cui attingere per la creazione di metafore e vengono sug-gerite alcune procedure per creare, strutturare e presentare metafore terapeutiche efficaci. L’ultimo capitolo spiega come insegnare ai genitori l’uso delle metafore; con la loro collaborazione i risultati di questi interventi di psicoterapia infantile possono migliorare.

Il libro è basato prevalentemente sugli aspetti pratici della narrazione di storie, del vaglio di idee per la costruzione di metafore e dell’organizzazione delle storie terapeutiche, anziché sulla rassegna delle ricerche che suffragano la psicoterapia basata sulle metafore. Poiché sono importanti sia l’arte che la scienza di questa psicoterapia, alla fine del libro il lettore interessato troverà una sezione di risorse utili per conoscere più approfonditamente le metafore come forma linguistica, le ricerche sulla loro efficacia e il ventaglio delle applicazioni terapeutiche.

Volevo che questo libro fosse chiaro, pratico e accessibile senza essere o sembrare troppo prescrittivo. Spero di essere riuscito a trasmettere il concetto che affinché una metafora sia sensata dev’essere personalizzata — meglio ancora se viene sviluppata in collaborazione con il singolo bambino — e deve tenere conto del suo carattere, dei suoi problemi, delle sue risorse e dei risultati auspicabili. Spero che questo viaggio nel mondo delle metafore infantili sia per te gradevole quanto per me lo è stato scrivere il libro.*

* A settembre 2006, le storie saranno disponibili anche separatamente in due volumi della collana «Capire con il cuore». (ndr)

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INTRODUZIONE 15

STORIA 1

Storia della storia

Lascia che ti presenti un personaggio che incontrerai diverse volte nei racconti e nei discorsi di questo libro. Si chiama Topo Fred e vive in un buco nel muro,

in un angolo della casa come ha sempre fatto da quando è entrato a far parte della nostra famiglia due generazioni fa. Comparve una notte, quando mia figlia voleva che le leggessi una storia a letto prima di dormire, ma non dei soliti vecchi libri di fiabe che conosceva ormai molto bene dopo averli sentiti e risentiti un sacco di volte. Fred arrivò non si sa bene da dove, richiamato dalla situazione, e raccontò una storia semplice semplice e cioè quello che mia figlia aveva fatto quel giorno. La notte successiva, nonostante in biblioteca avessimo fatto rifornimento di libri di favole colorati, mia figlia volle ancora Topo Fred… e lui rimase con noi, per divertire e per insegnare tante cose a mia figlia, mio figlio e a mio nipotino. E ora sta cominciando a entrare anche nella vita della mia nipotina.

Pur essendo un topolino piccolo e a volte timido, Fred è molto bravo a raccontare le storie perché ha due qualità speciali. La prima è che ascolta con il cuore. La seconda è che racconta quello ha visto veramente. Una volta, per esempio, raccontò la storia di un’avventura speciale vissuta con il suo carissimo amico Thomas (mio nipote). L’avventura cominciò quando Fred trovò una vecchia mappa del tesoro consumata e polverosa mentre esplorava certe fessure nascoste nei muri di casa. Facendo molta attenzione Fred e Thomas srotolarono la mappa sul pavimento e cominciarono a esaminarla.

«Guarda!» disse Thomas «è proprio qui vicino alla casa di nonno George».«E questa linea tratteggiata è un sentiero che porta al Monte Thomas»

aggiunse Fred.«Io so dov’è» esclamò Thomas «perché l’ho scalato e il nonno George gli

ha dato il mio nome».Così Fred e Thomas seguirono le indicazioni della mappa fino a raggiun-

gere la vetta del monte e da lì udirono dei colpi molto forti provenienti da sotto — pum! Pum! Pum! Guardarono giù e videro un dinosauro enorme e minac-cioso che calpestava ogni cosa e con le sue zampone più grandi di quelle di un elefante spiaccicava le persone che gli capitavano a tiro. La gente lo chiamava Rex Tyrannosaurus Cattivus e mentre scappavano per salvarsi calpestavano le formiche. Che disastro! Il dinosauro pestava la gente e la gente pestava le for-miche, e nessuno sentiva le grida di aiuto degli altri.

La mappa portò Topo Fred e Thomas a una caverna nascosta proprio sotto la cima del monte. Fred, da topino qual era, non fece fatica a entrare, mentre

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16 101 STORIE CHE GUARISCONO

Thomas dovette farsi piccino, infilarsi di sbieco e contorcersi. Dentro si trovarono in un mondo diverso; attraversarono paludi e giungle, percorsero spiagge e in-contrarono diverse isole finché non trovarono un vecchio baule di legno proprio nel punto segnato con una croce sulla mappa.

Ti immagini che eccitazione? E poi la delusione quando scoprirono che il baule del tesoro era chiuso con un vecchio lucchetto arrugginito di cui mancava la chiave. Thomas scese dalla montagna, andò alla casa di nonno George e si fece prestare la cassetta degli attrezzi e poi — tira e spingi, torci e picchia — alla fine il lucchetto saltò via e i due riuscirono ad aprire molto lentamente il coperchio che cedette al loro sforzo con un lungo cigolio.

E immagina quanto restarono delusi quando scoprirono che nel baule non c’erano né oro né gioielli preziosi. Poco male, pensò Fred, perché l’oro e i gioielli non sarebbero serviti per salvare le persone o le formiche da Rex Tyrannosaurus Cattivus. Thomas sperava di trovare una spada potente per ammazzare eroica-mente il dinosauro cattivo, invece nel baule c’era soltanto una storia. Erano sul punto di riabbassare il coperchio quando la storia parlò.

«Aspettate» disse «sono una storia magica e possiedo tutti i poteri di tutte le storie che siano mai state raccontate. Poiché mi avete scoperto, è mio dovere aiutarvi. Ditemi, che posso fare per voi?».

«Beh, abbiamo un problema molto grande» disse Topo Fred pensando a quanto pareva grosso Rex Tyrannosaurus Cattivus visto dall’umile altezza di un topolino, e raccontò di come le persone, che stavano calpestando le formiche, venissero a loro volta spiaccicate da un tirannosauro grande e cattivo.

«Andiamo a visitare le formiche» disse la storia, e si misero a seguire una lunga fila di formiche indaffarate fino al loro nido, dove brulicavano disordinata-mente in tutte direzioni, dato che qualcuno c’era passato sopra distruggendo la casa e schiacciando molti loro amici. Quando Topo Fred e Thomas passarono gentilmente la storia alla formica regina, lei si mise a raccontare una fiaba nel linguaggio delle formiche. Calò il silenzio e tutte smisero di correre a destra e a manca per radunarsi e ascoltare quel racconto che Fred e Thomas non potevano capire. Quando la storia finì rimase per un po’ il silenzio. Poi le formiche con voce sommessa cominciarono a parlottare fra di loro e con la storia. Fred e Thomas vide che facevano di sì con la testa, come se fossero d’accordo.

Alla fine la storia disse: «Andiamo a visitare le persone».Anche le persone stavano correndo di qua e di là in mezzo alla confusione.

Rex Tyrannosaurus Cattivus aveva appena calpestato il loro villaggio, acciaccato le loro automobili, demolito le case, distrutto le scuole e spiaccicato le persone. Topo Fred e Thomas ascoltarono le loro angosce e, non sapendo in che altro modo aiutarli, diedero anche a loro la storia. Di nuovo la storia riportò la calma

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INTRODUZIONE 17

nella confusione: le persone si fermarono e si misero ad ascoltare incantate, consolate, incoraggiate, guidate e sorrette da un nuovo senso di speranza.

«Ora» disse la storia «per noi è venuto il momento di trovare Rex Tyranno-saurus Cattivus».

L’idea era spaventosa per un topolino timido come Fred, e anche per un bambino coraggioso come Thomas. Ma non fu difficile seguire le tracce del di-nosauro pasticcione che con i suoi zamponi aveva impresso le sue impronte nel recinto di una fattoria, aveva spianato cespugli e abbattuto alberi, fino ad arrivare a un grosso albero sotto il quale Rex Tyrannosaurus Cattivus, addormentato, stava russando beatamente. Thomas muovendosi con molta cautela attraversò la lunga coda verde del bestione, oltrepassò il pancione, raggiunse il collo e gli mise delicatamente la storia vicino all’orecchio. Il dinosauro rizzò l’orecchio, aprì lentamente un occhio e ascoltò una storia raccontata nel suo linguaggio speciale. Gli uscì una lacrima, che scivolò lungo la guancia e cadde in terra vicino a Topo Fred e Thomas, che dovettero scansarsi perché era come se qualcuno gli avesse gettato addosso un catino d’acqua dalla finestra.

La storia fece un cenno e disse: «Venite, arrampicatevi sulla testa di Rex. Torniamo a far visita alle persone e alle formiche».

Accipicchia! Che emozione! Fred e Thomas non si erano mai sognati di cavalcare la testa di un dinosauro. E come stava attento a dove metteva le zampe per non schiacciare le colture nei campi e le case delle persone! Tornata al villaggio la storia abbatté le barriere e riavvicinò tutti quanti traducendo ciò che dicevano il dinosauro, le persone e le formiche in modo che tutti potessero capirsi fra loro.

«Festeggiamo» urlò qualcuno, e organizzarono la festa più stramba che si possa immaginare. Rex, che aveva fiato più di chiunque altro, gonfiò i palloncini. Le persone tirarono fuori il cibo che avevano coltivato e messo da parte, mentre le formiche si offrirono per pulire gli avanzi a festa finita. E tutti si sentirono felici come non lo erano stati da molto tempo.

In un momento di tranquillità, Topo Fred e Thomas chiesero alla storia: «Ma come hai fatto? Che storia è che hai raccontato?».

«Spesso» rispose la storia «ci si fa prendere così tanto dalla propria storia che non si è più in grado di ascoltare quelle degli altri. Poiché le nostre storie danno forma al modo in cui vediamo le cose e al modo in cui reagiamo a quello che ci succede, non ho fatto altro che raccontare alle formiche la storia delle persone. Ho spiegato che, come era successo alle formiche, le case e la vita delle persone erano andate distrutte e quindi non stavano schiacciando a posta le formiche ma, siccome guardavano in alto per fare attenzione a Rex Tyrannosaurus Cattivus, non potevano vedere in basso cosa stavano facendo alle formiche.

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18 101 STORIE CHE GUARISCONO

Poi ho raccontato alle persone la storia delle formiche e al dinosauro la storia delle persone, perché il dinosauro, tutto preso dalla sua solitudine, non si era accorto di cosa stava facendo alle persone.

Udendo le storie, le formiche si offrirono di aiutare le persone a tenere in ordine a condizione che loro stessero attente a dove mettevano i piedi; le persone promisero di diventare amiche del povero Rex, che era tutto solo, se lui guardava dove metteva le zampe; e Rex disse che avrebbe imparato a camminare facendo attenzione se le persone e le formiche fossero diventate loro amiche».

«Le storie» continuò la storia «hanno il potere di far scoppiare le guerre e di farle cessare, di distruggere le amicizie e di alimentarle, di informarci sulle cose importanti e di confonderci, di appesantire il nostro mondo e di arricchirlo. Se utilizzate con attenzione — come ha imparato a camminare Rex — hanno il potere di risolvere i nostri problemi e cambiare il corso della nostra vita!».

Non so se la storia disse altro; di certo Topo Fred e Thomas non lo sentirono perché tutti per gratitudine cominciarono a battere sul tavolo e, rivolgendosi a Fred, a gridare: «Di-scor-so! Di-scor-so!». Rex era così entusiasta che quasi sfasciò il tavolo prima di ricordarsi che va bene essere entusiasti ma facendo attenzione. Quando Fred parlò ringraziò tutti per avere ascoltato le storie e seguito i loro insegnamenti. Annunciò che Rex da quel momento in poi si sarebbe chiamato Rex Tyrannosaurus Bonus, e che la storia non avrebbe avuto più bisogno di restare nascosta in un vecchio baule polveroso ma sarebbe diventata un tesoro per tutti.

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PRENDERSI CURA DI SÉ 113

Infine il leone, signore della giustizia silvestre, si rivolse alla mosca e le chiese: «Mosca, perché hai lodato il serpente?».

La mosca non rispose direttamente al re degli animali ma rivolse il suo sguardo al serpente e gli chiese: «Cos’è, non sai accettare un complimento?».

STORIA 17

Quello che dai è quello che ricevi

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Impulsività vs. considerazione o riflessione• Comportamento subdolo• Andare contro le regole dei genitori• Nascondere le malefatte

Risorse sviluppate

• Ricordarsi di pensare prima di agire• Assumersi la responsabilità del proprio comportamento• Affrontare le conseguenze delle proprie azioni

Risultati perseguiti

• Scoprire che quello che si dà è quello che si riceve• Imparare la legge di causa ed effetto• Essere attenti agli altri

Brett e Cameron erano fratelli. Brett era il maggiore e il più avventuroso. Era quello che si buttava nelle cose e ci provava senza fermarsi a riflettere a ciò

che poteva accadere finché non era troppo tardi. Cameron era il minore e il più cauto; pensava in anticipo a tutto quello che sarebbe potuto succedere.

Un giorno Brett e Cameron si trovarono a casa da soli. I loro genitori erano andati via e pensavano che i due ragazzini fossero ormai diventati abbastanza grandi da potersela cavare da soli senza combinare pasticci. Alcuni amici di Brett a scuola gli avevano raccontato che i loro genitori gli avevano dato il permesso di assaggiare una bevanda alcolica. Al babbo di Brett e Cameron piaceva bere una birra ogni tanto quando tornava a casa dal lavoro. La madre invece non beveva per niente. Tutte le volte che Brett aveva chiesto al padre il permesso di assaggiare un sorso di birra, la madre si era intromessa immediatamente dicendo: «Quando sarai più grande».

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114 101 STORIE CHE GUARISCONO

Ora che i genitori non c’erano, Brett pensò che fosse la volta buona per sentire che gusto aveva l’alcol. Non osava toccare le birre del padre perché pro-babilmente sapeva quante lattine c’erano in frigo e se ne mancava qualcuna se ne sarebbe accorto. Sapeva che la mamma teneva una bottiglia di brandy nella credenza, una bottiglia che sembrava essere lì da sempre. Brett versò un bicchiere per sé e uno per il fratello.

«Se la mamma lo scopre?» chiese Cameron.«Non ti preoccupare» rispose Brett, incoraggiando il fratello a bere. Bevvero

un po’… e ancora un po’. Gli bruciava la bocca. Brett non sapeva se gli piaceva o no — ma doveva atteggiarsi a vero uomo di fronte al fratello minore, no?

Cameron espresse nuovamente la sua preoccupazione: «E se la mamma vede che il livello nella bottiglia è calato?».

Brett non ci aveva pensato, ma gli venne un’idea brillante. «Pisceremo nella bottiglia» disse. «Ha lo stesso colore del brandy e tanto la mamma non lo beve. Non se ne accorgerà mai.»

Cameron si sentì in colpa per avere bevuto il brandy di nascosto dalla madre, e ancora di più per avere fatto pipì nella bottiglia. Di quando in quan-do controllava la bottiglia nella credenza — e inorridiva vedendo che il livello calava. Qualcuno si stava bevendo quell’intruglio! Era la mamma che beveva di nascosto?

Lo disse a Brett. «Non ti preoccupare» rispose lui, ma Cameron si preoc-cupava. Non riusciva a sopportare l’idea che la mamma bevesse la schifezza che c’era dentro quella bottiglia, così un giorno si fece coraggio e glielo chiese. «Mamma, ho visto che il brandy nella credenza è diminuito» provò a dire con aria indifferente. «Non sapevo che bevessi.»

«No, no» rispose la madre «l’ho usato per prepararvi da mangiare».

STORIA 18

Bene, non perfettamente

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Voler essere perfetti• Porsi obiettivi troppo elevati• Dover affrontare la paura• Fare errori

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MODIFICARE IL COMPORTAMENTO 123

5Modificare il comportamento

Uno dei motivi principali per cui i genitori portano i figli da uno psicote-rapeuta è perché vorrebbero modificare qualche comportamento problematico come l’enuresi, la tendenza a rubare o a mentire, i disturbi dell’alimentazione, l’abuso di sostanze, l’aggressività o il ritiro. Questi problemi di comportamento possono ripercuotersi sul rapporto con i genitori, i fratelli, i compagni di classe o gli insegnanti e possono essere fonte di infelicità non solo per il bambino ma anche per le persone che gli stanno intorno.

Aiutare un bambino o una famiglia a modificare un determinato modello di comportamento è da molto tempo uno scopo centrale e piuttosto studiato degli interventi psicoterapeutici. Sono stati messi a punto molti metodi cognitivi, comportamentali e strategici per aiutare i bambini a ottenere i cambiamenti desi-derati (Kazdin e Weisz, 2003). Questi metodi empiricamente fondati forniscono istruzioni, strategie e interventi che possono essere facilmente trasformati in metafore che facilitano il cambiamento. Spesso, per un bambino, ascoltare una storia sulla modificazione di un determinato modello di comportamento può essere più utile che non ricevere un compito oneroso da svolgere a casa.

Le storie seguenti cercano di illustrare questo concetto descrivendo dei modi per affrontare e superare le paure. Esse parlano di come ragionare sui problemi e mettere a frutto le proprie capacità. Mostrano come un semplice gesto possa essere determinante o benefico per molte persone e suggeriscono alcune tecniche per modificare vecchi comportamenti e svilupparne di nuovi.

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124 101 STORIE CHE GUARISCONO

STORIA 21

Affrontare le paure: una storia per bambini

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Paura dell’ignoto• Convinzioni infondate• Esame di realtà inefficace• Aspettarsi il peggio dagli altri

Risorse sviluppate

• Imparare a controllare i pensieri• Sviluppare stili di pensiero positivi• Modificare vecchie convinzioni• Cambiare per approssimazioni successive• Essere aperti alle nuove esperienze

Risultati perseguiti

• Nuove abilità di gestione delle vecchie paure• Modelli di pensiero positivi• Metodi per fare l’esame di realtà• Disponibilità a sperimentare

Nella scuola di Carolina tutti i bambini raccontavano una certa storia. Non so se ci credessero veramente, ma sicuramente alcuni di loro si comportavano

come se ci credessero.Sulla strada che Carolina percorreva tutti i giorni per andare a scuola c’era una

vecchia casetta di campagna seminascosta in fondo a un ampio appezzamento di terreno. Anche le dimensioni di quell’isolato facevano apparire la casetta strana e inquietante, perché la zona circostante era perlopiù divisa in complessi più piccoli di case lustre e moderne ognuna con un piccolo giardinetto curato. La vecchia casetta si intravedeva soltanto, come se stesse cercando di nascondersi dietro gli alberi nodosi e il giardino cespuglioso di cui nessuno sembrava più curarsi. C’erano grovigli di rose spinose ed erbacce alte quanto un ragazzo.

Qualche volta, anche se non molto spesso, i bambini avevano visto una vecchietta avanzare piano piano lungo la stradina piena di crepe e ricoperta di foglie che andava dall’uscio di casa alla cassetta della posta. Le dita delle sue mani erano deformate e bitorzolute, tutto il corpo era curvo in avanti e la schiena ingobbita. Si trascinava lentamente e, se alzava la testa per guardarti, il suo volto

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MODIFICARE IL COMPORTAMENTO 125

era coperto di rughe. Dal mento le spuntavano ciuffi di peli grigi. I suoi occhi scavati ti seguivano con uno sguardo che — come si raccontava fra gli amici di Carolina — era capace di ipnotizzare chi lo incrociava.

Fra i bambini era conosciuta perlopiù come «la strega del numero novan-tasette». «Non guardarla negli occhi» dicevano. «Altrimenti ti fa un incantesimo, ti porta dentro casa e non ti lascia più andare via.» Circolavano molte storie raccapriccianti su quanto era accaduto ai bambini catturati, ma se si chiedeva il nome di uno di loro naturalmente non si otteneva nessuna risposta.

Così gli amici di Carolina non passavano mai da soli davanti a quella casa. Se la strega del numero novantasette li avesse guardati, cosa sarebbe successo? Sarebbero stati abbastanza forti da riuscire a non guardarla in faccia?

Andando a scuola alla mattina si trovavano all’angolo uno o due isolati prima e poi correvano tutti insieme. A fine giornata si davano appuntamento nel cortile della scuola e tornavano a casa in gruppo. In tanti si sentivano più sicuri.

Dunque, tornando a Carolina, era così brava a suonare il flauto che le avevano chiesto di entrare a far parte della banda della scuola. Quindi un pomeriggio alla settimana avrebbe dovuto fermarsi a scuola oltre il termine delle lezioni per fare le prove. Nessun altro della banda abitava nella sua zona così dopo le prime prove dovette tornare a casa da sola, passando davanti al numero novantasette senza nessuno che le facesse compagnia e coraggio. Quella sera il cielo era nuvoloso e la luce brillante del giorno che spesso ci dà coraggio era scomparsa. Carolina si incamminò verso casa come sempre, ma quando cominciò ad avvicinarsi alla vecchia casetta, questa le sembrò più spaventosa che mai.

Gli alberi alti tutt’intorno erano mossi dal vento e la loro ombra si agitava sul marciapiede. Indugiò qualche momento, non sapendo cosa fare. Come avrebbe affrontato la paura della vecchia malefica? Cosa le sarebbe successo se la stre-ga del numero novantasette si fosse affacciata e l’avesse guardata negli occhi? Pensò di tornare a scuola. Se si fosse messa a correre sarebbe arrivata lì prima che le maestre andassero via. Magari avrebbe potuto telefonare a sua madre per chiederle di andare a prenderla. Ma se avesse incontrato qualche bambino più grande? Se avessero saputo che aveva paura di andare a casa da sola sarebbe diventata lo zimbello di tutta la scuola.

C’era anche un’altra strada per tornare a casa, ma era più lunga e ormai il cielo stava diventando scuro. Avrebbe potuto passare di là, ma ci sarebbe stato il problema del buio, perché anche quello le faceva paura. Poteva tornare a scuola ma non voleva. Poteva passare per un’altra strada al buio ma non voleva. «No» pensò «devo farmi coraggio e proseguire passando davanti alla casa del numero novantasette».

Quando si avvicinò, la vecchia casetta, in parte nascosta in mezzo alle fronde e alle sterpaglie di quel giardino trascurato, le parve diventare più grande

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126 101 STORIE CHE GUARISCONO

e minacciosa. Avrebbe voluto correre ma sentì che in realtà aveva bisogno di vivere con calma quell’esperienza. Fece qualche respiro profondo e cercò di pensare a qualcos’altro: alla sua casa, al papà e alla mamma che l’aspettavano, al suo piatto preferito, a quanto sarebbe stato bello infilarsi nel letto quella sera. Pensando a queste cose l’aspetto sinistro della casa sembrò svanire. Non era più così spaventosa.

Quando si metteva a pensare di nuovo alla strega, la casa incombeva minacciosa nei suoi pensieri. E più la guardava, peggio si sentiva. «No» disse a se stessa «concentrati su quanto starai bene quando sarai di nuovo a casa», e con quell’idea cominciò a sentirsi più a suo agio. Carolina sorrise fra sé e sé. Le stava piacendo quel piccolo trucco che aveva imparato a fare nella sua mente.

Ma poi, quando fu di fronte al cancello di entrata del numero novantasette, il suo cuore si arrestò quasi. Il pensiero confortante di casa svanì. La vecchietta era fuori in giardino… e la stava guardando! Carolina cercò di non guardarla, ma con la coda dell’occhio vide che quella donnina le sorrideva amichevolmente. Si accorse che sembrava più piccola e meno minacciosa di quando aveva intorno gli altri bambini che raccontavano storie tremende sul suo conto. Ciò nonostante Carolina continuò a camminare, pensando a casa sua e lasciando che la paura si attenuasse al pensiero delle belle sensazioni che avrebbe provato a tavola con la sua famiglia di fronte a un piatto caldo.

Forse questo racconto potrebbe anche finire qui, ma la storia va avanti. Ogni settimana, quando Carolina tornava a casa da scuola tutta sola, la vecchia-rella del numero novantasette era lì a sorriderle. Carolina, pensando che non fosse poi così spaventosa come i racconti degli altri bambini facevano credere, cominciò a ricambiare il sorriso. La prima volta che la vecchietta le disse «ciao» fu contentissima e, non molto tempo dopo, cominciò a non vedere l’ora di fermarsi a chiacchierare con lei al ritorno da scuola. Quella donnina aveva un sacco di storie interessanti da raccontare. In realtà il suo nome era signora Walcott, come le disse lei stessa.

Prima della fine del quadrimestre, Carolina chiese alla signora Walcott se poteva intervistarla per un compito che la sua classe stava svolgendo sulla storia del quartiere. Si sedette nella casetta con la sua nuova amica, sorseggiando limonata e mangiando biscotti insieme a lei, e scoprì più cose di tutti i suoi compagni. Nel compito di storia prese addirittura «benissimo con lode».

All’inizio i suoi amici non credevano che fosse diventata amica della strega del numero novantasette né che fosse entrata nella vecchia casetta e ne fosse uscita viva. Forse, dicevano, Carolina aveva subito un incantesimo e un giorno sarebbe stata catturata per sempre. Sembravano non voler abbandonare l’idea

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MODIFICARE IL COMPORTAMENTO 127

che quella donna fosse una strega rapitrice di bambini. Un giorno Carolina li portò davanti alla casa e li presentò alla signora Walcott. In poco tempo anche loro riuscirono ad abbandonare le loro paure. Le storie sulla strega del numero novantasette e sui bambini scomparsi cominciarono a diventare solo un ricordo lontano.

STORIA 22

Affrontare le paure: una storia per adolescenti

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Paura dell’ignoto• Convinzioni infondate• Esame di realtà inefficace• Aspettarsi il peggio dagli altri

Risorse sviluppate

• Imparare a controllare i pensieri• Sviluppare stili di pensiero positivi• Modificare vecchie convinzioni• Cambiare per approssimazioni successive• Essere aperti alle nuove esperienze

Risultati perseguiti

• Nuove abilità di gestione delle vecchie paure• Modelli di pensiero positivi• Metodi per fare l’esame di realtà• Disponibilità a sperimentare

Charlie aveva sentito raccontare una storia a cui non sapeva se credere o no. Molto semplicemente, gli altri allievi del corso di vela sembravano convinti

che sulla barca vivesse un fantasma. «Ai fantasmi ci credono i bambini» pensava Charlie «non i ragazzi».

Sin da quando si ricordava, Charlie aveva sempre amato le imbarcazioni e il mare. Guardava invidiosamente le barche a vela in crociera per l’oceano. Le ammirava sulle riviste, le disegnava sui testi scolastici — invece di stare attento in classe — e leggeva libri sulla vela. Appena aveva avuto l’età, si era iscritto ai Sea Scout (una sorta di Boy Scout dediti in modo particolare alle imbarcazioni e

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170 101 STORIE CHE GUARISCONO

STORIA 39

Mettersi nei panni degli altri

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Essere l’ultimogenito • Sentirsi comandati a bacchetta • Sentirsi esclusi• Provare invidia per gli altri

Risorse sviluppate

• Mettersi nei panni altrui• Vedere le cose da un diverso punto di vista• Provare compassione• Riflettere sul proprio egocentrismo

Risultati perseguiti

• Vedere le cose dal punto di vista degli altri• Compassione per gli altri• Saper essere d’aiuto

Non sempre è facile essere la più giovane della famiglia. Questo, almeno, è ciò che mi aveva detto Michelle. Era la più piccola di tre figlie e si sentiva

comandata a bacchetta dalle due sorelle e dai genitori. Tessa e Marie erano sempre molto più indaffarate di lei e, anche se a volte Michelle si arrabbiava con loro, in realtà le sarebbe piaciuto essere al loro posto per fare tutte quelle cose. Insomma, essere la piccoletta di casa non era bello per niente.

Fortunatamente per il suo compleanno le cose cambiarono. Papà e mamma le regalarono un costume da strega e un manuale di incantesimi. Michelle allora si chiuse a lungo nella sua camera indossando quell’abito da strega e allenandosi a pronunciare le sue formule magiche. Una di esse, Vorriabus Essendius, nel libro era descritta come l’incantesimo capace di realizzare i desideri più potente e più magico. Seguì passo passo le istruzioni del manuale e alla fine, come il libro indicava, esclamò: «Vorriabus Essendius Tessantibus». Per tutti quelli che non capiscono il linguaggio magico delle streghe, il significato doveva somigliare a qualcosa come «Vorrei essere mia sorella Tessa».

In un baleno si ritrovò nella camera di Tessa. Si guardò e si accorse di avere indosso i vestiti di sua sorella maggiore. Si voltò verso lo specchio e scoprì che era tale e quale a lei. Proprio mentre si meravigliava del suo potere di far avverare i

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GESTIRE LE RELAZIONI 171

desideri, qualcuno bussò alla porta: era Michelle! Stava piagnucolando e comin-ciò a tirare in aria le cose di Tessa. Allora Tessa (o meglio, Michelle!) cominciò a infastidirsi: forse non era una gran cosa essere la sorella «di mezzo» e avere una sorellina così capricciosa. «Non è poi un granché essere Tessa» pensò Michelle e disse: «Vorriabus Essendius Marientibus», cioè «Vorrei essere mia sorella Marie».

Divenne immediatamente Marie, la sorella maggiore, ritrovandosi nella sua stanza da letto. Ancora una volta vide i suoi vestiti e si guardò allo specchio. Eh già, adesso era proprio Marie. «Marie» chiamò la mamma dalla cucina «vieni a lavare i piatti». «Perché io?» chiese Marie. «Perché non può farlo Tessa o Michelle?» «Perché sei la più grande» disse la mamma «e devi imparare a prenderti qualche responsabilità in più».

Michelle cominciò a pensare che non era molto bello essere Marie, ma decise di insistere. Quella sera poté andare a letto un po’ più tardi di quanto non avrebbe fatto se fosse stata Michelle, ma la mamma le fece passare quelle ore di veglia in più obbligandola a fare dei compiti molto difficili. Si sedette alla scri-vania di Marie e osservò i libri: erano di matematica e scienze. C’erano simboli e parole di cui non capiva il significato. Era talmente dura essere Marie che si ritrovò a pensare: «La mamma può stare in piedi fino a tardi senza che nessuno le dica cosa fare. Mi piacerebbe diventare la mamma». Così esclamò: «Vorriabus Essendius Mammantibus».

Beh, nemmeno aveva finito di pensarlo che si ritrovò nei panni della mamma. A quell’ora Michelle era già infagottata sotto le coperte e in effetti anche le sue sorelle maggiori erano a letto a dormire. Siccome era la mamma, pensò che per esempio poteva vedere alla TV un programma notturno che, quand’era Michelle, normalmente non aveva il permesso di guardare… Ma in realtà, proprio perché era la mamma, adesso doveva mettere a posto le stoviglie, pulire la cucina e stirare i vestiti che papà avrebbe indossato al mattino per andare al lavoro; e allora si sentì così stanca che volle infilarsi subito a letto. Il mattino dopo, la sveglia suonò così presto che fuori faceva ancora freddo ed era ancora buio; si infilò dei vestiti in tutta fretta e andò in cucina a preparare veloce veloce i panini per il pranzo per Michelle, per le sue sorelle e per papà. Poi svegliò le bambine, controllando che si lavassero per bene e che uscissero per andare a scuola. Alla fine si sentì così stanca che volle essere papà. Papà dirigeva una grande azienda e di sicuro non c’era nessuno che gli dicesse cosa fare. Così pronunciò le parole magiche: «Vorriabus Essendius Papantibus».

In un batter d’occhio Michelle si ritrovò seduta dietro alla scrivania di papà, di fronte allo schermo di un computer che visualizzava figure e concetti confusi e complicati. La segretaria entrò nella stanza con un grosso cumulo di posta, lo divise in due pile sulla scrivania e disse che una delle due era più urgente e

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172 101 STORIE CHE GUARISCONO

bisognava assolutamente smaltirla entro la giornata. Michelle diede un’occhiata alla pila delle carte urgenti e si domandò come fosse possibile riuscire a fare tutto quel lavoro in un giorno solo. Squillò il telefono. Era il capo di papà. Incredibile: papà aveva un capo! La voce all’altro capo del telefono disse che la ditta doveva effettuare «alcuni tagli» e che papà avrebbe dovuto licenziare parecchie persone che lavoravano con lui. Persone che erano suoi amici da tanto tempo, rispose papà. Come avrebbe potuto dire loro di andarsene quando dovevano pagare l’affitto e dare da mangiare ai figli? «Spiacente» spiegò il capo di papà «è una cosa che dev’essere fatta». Prima ancora di mettere giù il telefono, Michelle desiderò di non essere più papà. Così disse: «Vorriabus Essendius Michellentibus».

Adesso voleva solo essere se stessa e, non appena l’ebbe pensato, il desi-derio si avverò. Si ritrovò in classe, fra i suoi compagni, con davanti a sé dei libri che almeno capiva (più o meno!). La maestra magari qualche volta era un po’ spigolosa, ma Michelle adesso non pensava che fosse così male. Infatti non fu certo una tragedia quando Michelle tornò a casa da scuola quella sera ed entrò nella sua cameretta. Le cose sembravano un po’ differenti rispetto a prima. Non che la stanza fosse cambiata; ma forse era Michelle a essere un tantino diversa. Sapendo com’era trovarsi nei panni di Tessa e Maria, non andò a piagnucolare da loro spesso come prima. Pensò anche che sarebbe stato giusto prendersi un po’ più di responsabilità, proprio come Tessa e Marie. Ciò l’avrebbe aiutata a sentirsi un po’ più grandicella e avrebbe dato modo a Marie di fare i compiti. Sapere che mamma aveva tutte quelle cose da fare le fece capire perché a volte fosse così severa e le fece anche comprendere cos’era successo durante la giornata di lavoro a papà quand’era tornato a casa d’umore così nero.

Quando aprì nuovamente il suo libro d’incantesimi, non fu con l’idea di cambiare le cose per sé. Infatti adesso si sentiva proprio bene nell’essere quel-la che era e, con i suoi incantesimi magici, augurò ogni bene a Tessa, Marie, mamma e papà.

STORIA 40

Il Topo Fred ha un nuovo amico

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Solitudine• Mancanza di amici• Mancanza di abilità sociali

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GESTIRE LE EMOZIONI 177

5Gestire le emozioni

«Le emozioni positive hanno un effetto inibente su quelle negative» asserisce Fredrickson (2000) e aggiunge che i sentimenti desiderabili come la gioia, l’in-teresse e la soddisfazione ampliano il repertorio personale di pensieri e azioni, costruendo a loro volta risorse durevoli per la sopravvivenza e il benessere. Si tratta in pratica dello stesso principio alla base dell’inibizione reciproca e della desensibilizzazione sistematica di Joseph Wolpe: si può eliminare un’emozio-ne indesiderata creandone una desiderabile. Per i genitori, gli insegnanti e gli psicoterapeuti dell’infanzia ciò significa che quanto più si aiuta un bambino a scoprire e sperimentare la sua capacità di creare felicità e benessere, tanto meno quel bambino sarà portato a provare ansia, depressione o rabbia. Gestire appropriatamente le emozioni significa anche imparare che a volte la sofferenza, per quanto dolorosa, può far parte di un processo di adattamento efficace, o che la paura, per quanto sgradevole, può impedire di mettersi in una situazione pericolosa.

Dal momento che la paura, il dolore e il senso di colpa sono trattati in altri capitoli, in questa sezione le storie prendono in esame le strategie per costruire emozioni positive. Ci sono racconti sulla consapevolezza delle esperienze sen-soriali (Burns, 1998) che parlano di divertimento, umorismo e ilarità. Vedremo come coltivare il senso di soddisfazione, come cambiare i sentimenti modificando l’atteggiamento verso le cose e come esprimere appropriatamente le emozioni. Ci sono inoltre storie sulla gestione della rabbia in cui il messaggio terapeutico viene trasmesso umoristicamente.

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178 101 STORIE CHE GUARISCONO

STORIA 41

Le cose belle: storia per bambini

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Bisogno di aumentare il numero di esperienze piacevoli• Bisogno di incrementare la consapevolezza e il piacere sensoriali

Risorse sviluppate

• Prendere coscienza dei piaceri sensoriali• Sviluppare la consapevolezza dei cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto• Godersi i semplici piaceri della vita

Risultati perseguiti

• Piacere• Soddisfazione• Allegria• Cura di sé autonoma

T i piace andare in vacanza? Che cosa fai in genere quando sei in vacanza? Conoscevo un bambino, Sabi, che aspettava l’arrivo dell’estate più di ogni

altra cosa. La sua famiglia di solito andava al mare e lui ne era felicissimo.

Il vero nome di Sabi era Sabino, però tutti l’avevano sempre chiamato Sabi. Quando scoprì che il suo vero nome era Sabino la cosa un po’ lo sorprese. Magari capiva che in fin dei conti «Sabi» poteva derivare da Sabino, ma i due nomi gli sembravano comunque diversi: in fondo lo erano quando li si vedeva scritti l’uno accanto all’altro… Ad ogni modo Sabi aveva stabilito che tutti lo chiamavano così perché amava da matti la sabbia delle spiagge. Quest’idea gli faceva pensare che lui e la spiaggia fossero fatti l’uno per l’altra, che si appartenessero. La spiaggia era fatta di sabbia e lui era Sabi.

All’inizio delle vacanze estive la sua famiglia lasciava l’appartamento in città e si trasferiva nella villetta al mare, arrivando di norma nel tardo pomeriggio. Giusto il tempo di scaricare l’automobile, sistemare la casa, preparare e consumare la cena ed era già ora di andare a dormire. A Sabi non dispiaceva affatto che papà e mamma lo spedissero a letto, perché non vedeva l’ora di svegliarsi l’indomani mattina presto. Fremeva all’idea di poter finalmente correre in spiaggia per la prima volta e sentire la sabbia umida sotto ai piedi. Era impaziente di gettarsi carponi e gustarsi il momento in cui le sue mani si immergevano nella sabbia

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GESTIRE LE EMOZIONI 179

soffice e granulosa. Sapeva bene cosa si prova quando la si preme per ricavarne una scultura di sabbia ed essa diventa sempre più compatta a ogni colpetto, e quando la si leviga con le mani dando forma all’opera finale.

A volte costruiva un castello, altre volte un dinosauro e altre volte ancora un pupazzo. La sabbia era ruvida, pesante e fredda quand’era bagnata, calda e chiara quand’era asciutta. Sabi era libero d’immaginare e costruire tutto quello che desiderava.

Adorava il piacevole calore del sole estivo sulla pelle, malgrado fosse grande abbastanza perché nessuno dovesse ricordargli di coprirsi le spalle, indossare un berretto e spalmarsi la crema protettiva per non scottarsi. Accidenti, era proprio bello correre fino a riva e tuffarsi nell’acqua fresca e salata. Si abbandonava sulla superficie dell’acqua e galleggiava spensieratamente, come se fosse sorretto da mani amorevoli.

Galleggiare nell’acqua marina era molto più facile e dava un maggiore senso di libertà rispetto alla piscina (ci era stato quell’inverno con la scuola, per le lezioni di nuoto). E alla fine della giornata la rinfrescante brezza marina gli provocava regolarmente qualche piacevole brivido e un po’ di pelle d’oca.

Udiva con piacere tutti i rumori inconsueti che in città non avrebbe mai potuto ascoltare. La prima notte nella casetta al mare era sempre speciale. Era meraviglioso addormentarsi al suono delle onde che lambivano la spiaggia, specialmente perché non potevi mai sapere di preciso di che umore fossero. Qualche volta scrosciavano e ruggivano fragorose, altre volte erano calme e delicate — come un canto sottovoce, quasi sussurri sulla sabbia. Sabi restava disteso a letto giocando a sincronizzare il suo respiro con il ritmo delle onde. Era spesso l’ultima cosa di cui aveva memoria il mattino dopo, risvegliandosi con i battibecchi e le buffe starnazzate dei gabbiani impegnati a contendersi qualche rimasuglio di cibo trovato in spiaggia.

Quando si dirigevano verso la villetta al mare, Sabi tirava giù il finestrino in attesa del primo aroma salmastro. Spesso poteva sentirlo nell’aria prima ancora d’oltrepassare le cespugliose dune di sabbia e d’intravedere l’acqua marina.

Di mattina presto Sabi setacciava ciò che l’alta marea aveva portato a riva durante la notte. Poteva trovarvi ossi di seppia schiariti dal sole, una stella marina multicolore o pezzi di legname nodoso trasportato dall’acqua, con incrostazioni di cirripedi dalle forme bizzarre. Un’estate trovò il grande guscio di una testuggine rotondo e verdastro. Nelle piccole pozze d’acqua fra le rocce giacevano ciottoli lisci lisci, granchietti frettolosi e pesciolini che guizzavano qua e là. Sabi imma-ginava che la spuma bianca e cangiante lasciata dalle onde fosse un serpente brioso. Nei viscidi mucchi di alghe brune riusciva talvolta a scovarne alcune con delle vescicole che si potevano fare scoppiare tra le dita. Sabi si sentiva a casa

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180 101 STORIE CHE GUARISCONO

sulla sabbia in riva al mare e secondo me proprio per questo motivo era sicuro che il suo nome traesse origine da lì.

STORIA 42

Le cose belle: storia per adolescenti

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Bisogno di aumentare il numero di esperienze piacevoli• Bisogno di incrementare la consapevolezza e il piacere sensoriali

Risorse sviluppate

• Prendere coscienza dei piaceri sensoriali• Sviluppare la consapevolezza dei cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto• Godersi i semplici piaceri della vita

Risultati perseguiti

• Piacere• Soddisfazione• Allegria• Cura di sé autonoma

Sei mai stato a fare una camminata con lo zaino in spalla o in campeggio nei boschi? Shelley no. Era una ragazza di città. Suo padre non aveva mai

guidato l’auto su strade non asfaltate e sua madre non aveva mai soggiornato se non in alberghi di lusso. Un giorno un’insegnante di Shelley, la professoressa McKay, annunciò che tutta la classe sarebbe andata a fare un’escursione nei boschi: quattro giorni di camminata nella foresta e ben tre notti accampati in tenda. Come avrebbe potuto scamparla?

Beh, non poteva, punto e basta! E infatti il gran giorno si ritrovò ad arrancare per i boschi trasportando uno zaino che — ne era sicura — perfino un lottatore di sumo avrebbe retto a fatica. Era un peso che non voleva portare ma sapeva anche che conteneva cose fondamentali per la sua sopravvivenza, quindi capì che ne aveva bisogno, anche se al tempo stesso lo detestava. Fu così contenta di liberarsene quando finalmente arrivarono al campo base!

La professoressa McKay chiamò le ragazze a raccolta. «Appena avrete montato le vostre tende» — «Fantastico, e come faccio?» si chiese Shelley — «Vo-glio che esploriate il territorio circostante il campo. Ma non spingetevi troppo

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GESTIRE I PERIODI DIFFICILI DELLA VITA 273

5Gestire i periodi difficili della vita

Se è vero che anche alle persone migliori può capitare di vivere delle brutte esperienze, è vero anche che bambini che non se lo meritano possono trovarsi a vivere delle situazioni pessime. Spesso accade in modo inaspettato e non sempre i bambini sono equipaggiati adeguatamente per affrontarle, non avendole mai vissute prima e non avendo sviluppato le abilità necessarie per gestirle. Se un bambino si trova in una situazione per la quale non possiede abilità adeguate, c’è una probabilità elevata che sviluppi modelli di pensiero, emozioni e comportamenti che poi conserverà da adulto. Cosa possiamo fare allora per preparare i bambini a vivere queste situazioni? Come si dice, preve-nire è meglio che curare. Raccontando storie metaforiche sul fronteggiamento, prima che certe circostanze difficili si verifichino, si forniscono loro alcune abilità che potranno rivelarsi utili in seguito. Al momento della crisi, può es-sere necessario raccontare più storie nell’arco di molte settimane per aiutarli ad affrontare il dolore, la diagnosi di una malattia grave, le fasi della cura e la gestione della prognosi.

Le storie di questo capitolo mostrano come affrontare problemi come il dolore, la malattia e altri frangenti molto difficili. Parlano della gestione di aspet-tative irrealistiche da parte dei genitori, di forti cambiamenti nelle circostanze di vita, di idee di suicidio e di abuso di sostanze. Certamente non affrontano tutte le difficoltà che un bambino può incontrare, ma dimostrano come le metafore possano svolgere una funzione sia preventiva sia facilitante per la gestione di un problema in atto.

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274 101 STORIE CHE GUARISCONO

STORIA 81

Fa’ volare via il dolore: storia per bambini

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Dolore• Farsi male senza avere vicino una persona cara • Cure mediche• Mancanza di abilità di gestione del dolore

Risorse sviluppate

• Imparare una nuova abilità• Imparare a spostare l’attenzione• Concentrarsi sul piacere anziché sul dolore• Distinguere e sviluppare abilità comportamentali complesse• Godersi i successi

Risultati perseguiti

• Strategie di gestione del dolore• Uso di abilità di fronteggiamento scoperte autonomamente • Capacità di spostare l’attenzione

Hai mai imparato a fare le bolle di sapone? Qualche tempo fa insegnai alla mia nipotina come si fa. Prendemmo un pezzetto di fil di ferro e lo curvammo

fino a formare un cerchio. Poi mettemmo un po’ di detersivo per i piatti in un recipiente di plastica e ci infilammo dentro il cerchio fino a ricoprirlo tutto con il liquido. Lei prese in mano il cerchio, lo portò davanti alla bocca e soffiò. All’inizio soffiava troppo forte e il liquido non faceva altro che colarle sulle dita. Poi, quan-do imparò a soffiare più piano, riuscì a fare delle grandi bolle che galleggiavano in aria. Si divertiva molto. Illuminate dalla luce, le bolle luccicavano. Cercava di acchiapparle, le guardava scoppiare e rideva. Meno male che aveva imparato una cosa nuova e divertente, perché stava per succedere una cosa brutta.

Infatti cadde e batté forte un ginocchio. Naturalmente un taglio in un ginoc-chio non fa male come quando si è gravemente malati, ci si è rotti un osso o c’è bisogno di andare all’ospedale. Ma quando si è piccolini, la mamma non c’è, e si ha un ginocchio che fa male e perde sangue, si può avere paura.

Dovevo pulirle il ginocchio, disinfettarlo e metterle una benda, ma le faceva male e non voleva che la toccassi. Aveva le guancine piene di lacrime. Aveva paura che le facessi ancora più male.

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GESTIRE I PERIODI DIFFICILI DELLA VITA 275

Mi ricordai di come poco prima si era divertita a fare le bolle; allora, prima di cominciare a curarle la ferita, andai a prendere l’anello di fil di ferro e il deter-sivo. Quando immerse l’anello, lo portò davanti alla bocca e ci soffiò piano piano dentro, cominciò a formarsi una bolla molto grande. La bolla risplendette nella luce. Mentre la guardava librarsi in aria, i suoi occhi smisero di lacrimare e la sua faccina accennò un sorriso. Imparò che se soffiava più velocemente poteva fare una serie di bolle che volavano in aria per un po’ e poi scoppiavano. Era come se stesse facendo volare via la sua paura. Forse, se avesse voluto, avrebbe potuto immaginare il suo timore e il suo dolore all’interno le bolle, che si allontanavano da lei e si dileguavano nella stanza.

Quando le bolle scoppiavano lei ridacchiava, specialmente quando qualcu-na andava a finire sulla testa di suo fratello e ci restava attaccata un po’ prima di rompersi. Imparando a controllare il soffio — veloce o lento, breve o lungo — poteva fare bolle di diverso tipo: piccole, grandi, solitarie, in serie e, a volte, persino doppie.

Io levavo lo sporco mentre lei faceva volare via le bolle. Pulii la ferita con un disinfettante mentre lei soffiava e rideva, senza rendersi conto che stava imparando a mutare un po’ il suo stato d’animo o a sentirsi un po’ meglio. Quando asciugai la ferita e la fasciai, lei stava ancora facendo bolle e ridendo.

Ti faccio vedere come abbiamo fatto. Se prendo questa graffetta, la raddrizzo, poi l’attorciglio intorno a una grossa penna come questa e la piego per fare un’impugnatura, abbiamo un anello per fare le bolle di sapone, tutto per te. Cosa dici, chiediamo a tua mamma se ti mette un po’ di detersivo in un recipiente, così le fai vedere che anche tu sai fare le bolle di sapone? E lo riporti la prossima volta che ci vediamo? Così fai vedere anche a me come hai imparato.

STORIA 82

I migliori atleti: storia per adolescenti

Caratteristiche terapeutiche

Problemi affrontati

• Dolore• Farsi male senza avere vicino una persona cara • Cure mediche• Mancanza di abilità di gestione del dolore