Politica della ricerca e Documentazione: l'eredità di Paolo Bisogno / Paola Castellucci
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7/25/2019 10 Castellucci
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Presbyterorum Ordinis cinquantanni dopo.
Genesi, sviluppo, attualitdi
S.E. MONS. ERIO CASTELLUCCI
Convegno alla Pontificia UniversitUrbaniana, 19.11.15
Ringrazio il sig. Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il
Clero, che mi ha invitato a tenere questa relazione in un contesto cos alto e
qualificato e in unoccasione cos significativa come la celebrazione dei
cinquantanni del decreto conciliare Presbyterorum Ordinis. Linvito mi giunse intempi non sospetti, ben prima del 3 giugno scorso, giorno in cui sono stato
nominato arcivescovo di Modena-Nonantola. Avevo gi accettato con piacere,
appartenendo con gioia a quel presbiterorum ordo del quale avrei dovuto parlare.
Anzi, appartenendo al parochorum coetus, nel quale mi trovavo benissimo: come
ebbi modo di dire a papa Francesco lo scorso 29 giugno in occasione della consegna
del pallio, ero un parroco felice. Nella stessa occasione il Card. Stella, incontrato
in San Pietro, mi rinnov linvito e, nonostante limminente congedo dal
presbyterorum ordo, rinnovai di nuovo a mia volta la disponibilit.
Nella consapevolezza che largomento molto vasto, procedo in tre passaggi
successivi: delineando in primo luogo la genesi del decreto, individuandone poi tregrandi nuclei tematici ed offrendo infine alcuni spunti sulla sua attualit.
1. Genesi del documento
Allapertura dei lavori conciliari non era previsto alcun documento specifico sui
presbiteri. Lunico passaggio di un certo rilievo ad essi riservato si trovava al n. 12
dello SchemaDe Ecclesia, preparato prima del Concilio, dove in dieci righe veniva
riassunta una dottrina ritenuta assodata: i presbiteri, sebbene non posseggano lapice
del pontificato proprio dei vescovi, tuttavia in forza dellordinazione sono verisacerdoti; offrendo il sacrificio della Messa e amministrando i sacramenti agiscono
anchessi in persona Christi; posti in aiuto dei vescovi, dai quali vengono ordinati,
ricevono dal papa o dai vescovi la giurisdizione (cf.ASI, IV, 23).
Sia nelle discussioni in aula (1-7 dicembre 1962), sia nelle osservazioni scritte
inviate nei mesi successivi, i padri rilevarono quasi unanimemente la povert di
quelle poche righe, e chiesero un approfondimento ed un ampliamento della
trattazione sui presbiteri: parecchi espressero il parere che il Vaticano II avesse
lintenzione di dire molto e bene dei vescovi, ma poco dei presbiteri; e che nel
ministero dei primi venisse evidenziata giustamente la dimensione missionaria,
mentre i secondi rimanevano racchiusi nellabilitazione al culto.
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Le critiche portarono ad un nuovo paragrafo, sempre dentro allo Schema De
Ecclesia(ma diventato ora il n. 15), elaborato nel marzo 1963. Non possiamo per
seguirne ulteriormente la storia, perchci porterebbe diritti aLG28, e non a PO: era
tuttavia necessario accennarvi, in quanto nelle prime due sessioni del Vaticano II
non avendo ancora deciso di elaborare un documento a parte gli unici interventi
concernenti il presbiterato furono quelli relativi a questo schema.
Mentre maturava laLG, diveniva sempre pievidente ai padri conciliari come la
rinnovata dottrina sulla Chiesa e sullepiscopato non potesse non riflettersi anche sul
presbiterato. Il modello cultualedi sacerdote, plasmato specialmente nel secondo
millennio, si trovava quasi schiacciato tra due ali missionarieche il Vaticano II
stava riscoprendo: la dimensione missionaria della Chiesa intera, con la
rivalutazione del laicato, e la dimensione missionaria dellepiscopato, con la
sottolineatura della sacramentalit e collegialit, che sottraeva il ministero dei
vescovi a quella funzione prevalentemente amministrativa e burocratica alla quale
sembrava relegato da secoli. Il presbiterato cos, essendo inquadrato unicamente neitermini del culto, rischiava di apparire un elemento statico rispetto a questo contesto
ecclesiologico dinamico. Fu questo il motivo fondamentale per cui, nello stesso
marzo 1963 in cui compariva la seconda stesura del De Ecclesia, si decise di
svilupparne il paragrafo sui presbiteri in un vero e proprio testo a parte, di la poco
identificato come decreto.
Nei due anni di elaborazione conciliare, il decretoattraverssette stesure prima
di raggiungere la sua forma definitiva (cf. Schema decreti De clericis: ASIII, IV ,
825-845; Schema propositionum De sacerdotibus: AS III, IV, 846-849; Schema
propositionum De vita et ministerio sacerdotali: AS III, IV, 227-229; Schema
Decreti de ministerio et vita presbyterorum: ASIV, IV, 833-863; IV, IV, 336-375;
IV, VI, 345-388; IV, VII, 107-190). Gli interventi, tesi a criticare e migliorare la
trattazione furono molto numerosi: da una loro lettura e dal confronto sinottico delle
diverse redazioni del decreto, si evince facilmente lesistenza di una triplice ottica
tra i padri conciliari, i cui tratti si erano gi manifestati in occasione della
discussione sui presbiteri nellelaborazione delDe Ecclesia. Alcuni vescovi africani
e asiatici chiedevano insistentemente di allargare la visione cultuale tridentina
tenendo conto dellimportanza che ha il ministero dellannuncio, come primo passo
per la diffusione del Vangelo; ad essi si univano poi anche alcuni vescovi della
Francia che gida un ventennio era cosciente di essere un paese di missione. Altrivescovi, specie del Sud Europa, rammentavano perche la dottrina di Trento non si
deve contraddire o superare, ma al massimo integrare, e chiedevano che per nessun
motivo si mettesse in disparte la visione cultuale. Altri padri conciliari di diverse
parti del mondo, specialmente di area italiana e tedesca, chiedevano che anche il
modello fino ad allora piuttosto trascurato, quello pastorale, venisse integrato negli
elementi essenziali del ministero ordinato. Si delineava in tal modo la griglia dei
tria munera, che come dirtra poco venne assunta dal Vaticano II. Il problema
era che allinizio, per, i tre compiti non venivano intesi come tre aspetti dellunico
ministero presbiterale, ma potremmo dire come tre concezioni diverse di tale
ministero.
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Il lavoro dei redattori sfociin un testo ricco, che cercper quanto possibile di
accogliere queste diverse ottiche, senza limitarsi ad affiancarle e giustapporle, ma
cercando di integrarle e fonderle. Il risultato dei lavori conciliari, ossia il decreto
Presbyterorum Ordinis, si puapprezzare da almeno tre prospettive, che ne fanno
risaltare ancora oggi, a cinquantanni di distanza, la grande attualite forse lancora
incompiuta recezione.
2. Tre nuclei tematici del decreto
Il primo nucleo il passaggio dal modello delle duepotestatesa quello dei tre
munera. Il testo finale del decreto fa proprio il modello ternario; oltre che nella
struttura ( 4-6) esso appare in altri punti: al 1 stabilisce un rapporto diretto
fra i tre aspetti del ministero presbiterale e la triplice azione di Cristo (il
presbitero partecipa dellautoritcon la quale Cristo stesso exstruit, sanctificat
et regit il suo corpo); al 7 serve a rinsaldare il rapporto tra presbiteri e vescovi(i presbiteri sono collaboratori e consiglieri dei vescovi nella funzione di
istruire, santificare e governare il popolo di Dio); e, infine, il 13 mostra come
lesercizio della triplice funzione sacerdotale esige e favorisce la santit.
Che cosa significa ladozione del modello ternario rispetto al precedente modello
binario? La concezione delle duepotestates, cristallizzata gidallinizio del secondo
millennio, rispondendo alla figura teologica del sacerdote come uomo del culto,
riconduceva il ministero sacerdotale a due diverse origini: il sacramento
dellOrdine, che abilita allesercizio degli atti cultuali sacerdotali (potestas ordinis)
e la missio canonica, che abilita alla predicazione e alla guida pastorale (potestasiurisdictionis). In questo modo il ministero presbiterale era teologicamente
concentrato nel culto, che diventava il suo elemento distintivo. Questa doppia
origine entrnella visione del sacerdozio del Concilio di Trento, che da una parte
raccolse la concezione medievale di tipo cultuale, consacrata da San Tommaso e
dallaltra lancila figurapastorale, interpretata poi da grandi vescovi come Carlo
Borromeo, per cui lideale dei ministri divenne quello di dare la vita per il gregge.
I due aspetti vennero a Trento affiancati ma non perfettamente fusi. Nei decreti
dogmatici infatti comparve solo la componente cultuale e sacerdotale, mentre nei
decreti di riforma prevalse laspetto pastorale e venne richiamato anche il compito
di predicare.Assumendo il modello dei tre munera, prima per i vescovi e poi anche per i
presbiteri,1giinLG28 e poi approfonditamente in PO4-6, il Vaticano II ha inteso
ricondurre tutti i compiti presbiterali ad ununica origine, che lordinazione
sacramentale: Cristo, attraverso il conferimento dellOrdine, che abilita a
predicare, celebrare, guidare. La Chiesa, hierarchica communio, interviene poi a
regolare questa triplice abilitazione, trasformando il munus in potestas. In questo
senso si pu dire che il passaggio allo schema ternario non ha cancellato quello
binario, ma lo ha integrato in un contesto teologicamente pi ricco. Si pensi ad
1Tale modello infatti utilizzato in LG per tutta la Chiesa (cf. nn. 10-13), per i vescovi
(cf. nn. 25-27) e per i laici (cf. nn. 34-36).
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esempio alla rilettura neotestamentaria pi ampia del tema dellistituzione del
ministero, prima limitata allUltima cena e da PO2 invece estesa allintera missione
da Cristo affidata agli apostoli. Lermeneutica biblica attenta anche alla dimensione
storico-critica, adottata dal Vaticano II al posto delluso dei versetti biblici come
dicta probantia, molto diffuso prima, ha portato a questa lettura globale
dellargomento: per il Vaticano II Ges ha istituito il ministero articolato poi
lungo i secoli dalla Chiesa non attraverso una sorta di atto notarile, dicendo una
frase o facendo un gesto, ma nella globalitdella missione da lui consegnata a pi
riprese ai suoi apostoli; una missione che comprende certamente, come suo
momento culminante, il mandato eucaristico (fate questo in memoria di me), ma
include anche il compito di battezzare, rimettere e ritenere i peccati, annunciare il
vangelo, insegnare ad osservare i comandamenti, lavarsi i piedi gli uni gli altri,
pascere il gregge e dare la vita per esso.
I padri conciliari, adeguando la figura dei presbiteri alle acquisizioni che
lecclesiologia aveva guadagnato, hanno potuto offrire quindi unimmaginemissionaria e non pi solo cultuale dei presbiteri. Essi, come ripete pi volte il
decreto, sono consacrati per la missione; la loro origine proviene stessa missione
affidata da Cristo agli apostoli. Essi non sono solo sacerdoti, ma anche profeti e
pastori. Il presbitero non mediatore tra il cielo e la terra, come si tendeva a dire
prima, e neanche alter Christus due espressioni che, sebbene proposte da alcuni
padri, non entrano mai in alcun testo conciliare riguardante i presbiteri ma un
ministro abilitato dal secondo grado del sacramento dellOrdine ad esercitare il
triplice ministero nella Chiesa annuncio, celebrazione e guida in nome e in
persona di Cristo Profeta, Sacerdote e Pastore. In questo modo il Vaticano II ha
integrato quelli che prima erano modelli paralleli o addirittura contrapposti e ha
equilibrato il riferimento cristologico con quello ecclesiale.
Un secondo nucleo tematico riguarda la dimensione comunitaria del ministero
presbiterale, la cui assunzione ad opera di PO espressa dalla massiccia
introduzione del plurale al posto del singolare: mentre il documento prendeva
forma, si parlava sempre meno di sacerdote o presbitero e sempre pi di
sacerdoti e presbiteri. POpresenta solo 7 volte presbitero al singolare, mentre
le altre 111 ricorrenze sono al plurale. Lapprofondimento conciliare
dellecclesiologia di comunione e il guadagno della collegialitepiscopale hannodisincagliato la figura presbiterale dallindividualismo di cui soffriva da parecchi
secoli, mettendone in evidenza lintima natura relazionale (cf. PO7-9). La teologia
del ministero dei primi secoli era profondamente segnata dalla dimensione
relazionale: dei ministri tra di loro, sotto la guida dellapostolo (nel Nuovo
Testamento) e del vescovo (da Ignazio in poi); e dei ministri in rapporto alle
comunit, dalle quali sorgono e per le quali si spendono. Il Vaticano II anche in
questo caso ha riletto con maggiore attenzione le antiche fonti, fino a riabilitare il
presbiterio nella sua pregnanza teologica, dopo secoli nei quali sembrava essersi
ridotto a grandezza architettonica (il presbiterio come luogo delimitato dalla
balaustra) o, tuttal pi, sembrava un utile espediente operativo (essere uniti
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meglio che essere divisi). Per il Concilio, il presbiterio una realtteologica, che
deriva dalla profonda comunione tra coloro che ricevono lo stesso sacramento
dellOrdine nella medesima Chiesa particolare. in forza di questa intima unit,
intrinseca al sacramento stesso, che i presbiteri formano un corpo nel quale tutti
insieme, sotto la guida del vescovo, portano la responsabilitministeriale di quella
determinata Chiesa. PO8 inizia proprio affermando la specificitdel legame che vi
tra i presbiteri di una medesima diocesi. Essi infatti: costituiti nellordine del
presbiterato mediante l'ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternit
sacramentale; ma in modo speciale (specialiter) essi formano un unico presbiterio
nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo.
Il carattere speciale della comunione nel presbiterio rispetto alla comunione tra
tutti i presbiteri del mondo, pure affermato, non viene permotivato, probabilmente
a causa di una insufficiente trasposizione dellincipiente teologia della Chiesa
locale/particolare sulla dottrina riguardante i presbiteri. Daltra parte, il tentativo
avanzato da alcuni padri di stabilire unanalogia tra la collegialitepiscopale e ilpresbiterio viene regolarmente respinto dai redattori. Unapplicazione va comunque
notata, in PO 8, l dove si auspicano delle forme espressive della comunione
presbiterale: per far sche i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare
la vita spirituale e intellettuale, collaborare pi efficacemente nel ministero, ed
eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata fra di essi una certa
vita comune o una qualche comunitdi vita, che punaturalmente assumere forme
diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali: putrattarsi, cio, di
coabitazione, l dove possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di
frequenti e periodici raduni. Il problema sarquello di distinguere quali forme pu
legittimamente assumere la fraternitdei presbiteri diocesani, senza confondersi con
la vita comune dei religiosi.
Nonostante alcune incertezze, dunque, il risultato finale solido: PO afferma
chiaramente quella dimensione comunitaria del ministero presbiterale che era stata
messa in sordina nella teologia e spiritualitprecedente. E lo fa mettendo in luce le
tre relazioni fondamentali del presbitero: con il vescovo, il presbiterio e il popolo di
Dio (cf. rispettivamente PO7, 8 e 9). Dirtra poco qualche parola sullattualitdi
queste prospettive, ancora non sufficientemente recepite nella prassi.
Un terzo nucleo tematico simboleggiato dallinversione nel titolo del testo, nelpassaggio dalla terza alla quarta redazione, quando il de vita et ministeriodiventa de
ministerio et vita. A questo ha ovviamente corrisposto il capovolgimento della
trattazione: fino alla terza redazione, si trattava prima della vita spirituale dei
presbiteri epoidei vari aspetti dellapostolato; dalla quarta in poi, si tratta prima del
ministero nelle sue tre dimensioni epoidella vita spirituale.
Limpostazione precedente rispondeva allimmagine del serbatoio, per cui era
necessario riempirsi per poter guadagnare unautonomia sufficiente a svolgere il
ministero; lattuale impostazione risponde invece allimmagine dei vasi
comunicanti, per cui sono le esigenze stesse del ministero vissuto, a plasmare la vita
interiore dei presbiteri, che a sua volta alimenta lapostolato stesso. Esercitare il
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ministero significa compiere un atto che nutre la spiritualit e quindi santifica i
presbiteri. I presbiteri raggiungeranno la santit nel loro modo proprio se nello
Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e
instancabile. Il 13 di POun numero spesso trascurato, ma di grande spessore
teologico-spirituale. Lincipit molto eloquente:i presbiteri raggiungeranno la
santit nel modo loro proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie
funzioni con impegni sincero e instancabile. E questo principio viene declinato per
tutti e tre i munera: come ministri della parola, essi la leggono e lascoltano, e
insegnandola ne vengono plasmati essi stessi; come ministri della liturgia, e
specialmente nel sacrificio della Messa, sono invitati a imitare ciche compiono, e
ripetono lofferta della loro stessa vita; come pastori, infine, nellincontro con le
persone loro affidate, rinnovano latteggiamento di Cristo Pastore che accompagna
il suo gregge.
Per capire bene questa prospettiva del Vaticano II, che probabilmente costituisce
uno degli aspetti meno recepiti della teologia conciliare del ministero ordinato, utile ricordare come veniva prima impostato il discorso sulla spiritualit
presbiterale. Dallinizio del II millennio, con la riforma gregoriana, la spiritualit
sacerdotale (vescovi e presbiteri) era plasmata sulla tradizione monastica. Gregorio
VII, che proveniva da Cluny, aveva impostato la parte della sua riforma riguardante
i costumi del clero sul modello dei monaci: i sacerdoti si santificavano nella misura
in cui praticano la contemplazione, la preghiera e la lettura della parola di Dio;
devono poi compiere lapostolato, facendo per attenzione a rifornirsi spesso per
non rimanere privi di nutrimento spirituale. Questa prospettiva si potrebbe definire
con limmagine del serbatoio: necessario riempirsi spesso per poter guadagnare
unautonomia sufficiente a compiere il ministero; lapostolato visto come
necessario per i sacerdoti, ma di per snon entra nellambito della loro spiritualit,
che invece, per cos dire, tutto verticale. San Tommaso esprime questa
impostazione, con la sua consueta capacit sintetica, nella formula contemplata
aliis tradere.
Il Vaticano II, prendendo ispirazione da alcune riflessioni abbozzate dal Card.
Mercier allinizio del Novecento a proposito della spiritualitdel clero diocesano,
integrdunque lo schema del serbatoio, completandolo con la prospettiva inversa:
vero che una profonda contemplazione alimenta lazione dei ministri, ma anche
vero che lapostolato stesso incide sulla vita spirituale dei presbiteri. In questaimpostazione, dove la spiritualit si ricarica nello svolgimento stesso del
ministero, non pi possibile tratteggiare la vita spirituale prima del ministero,
perchsono proprio le esigenze del ministero vissuto a plasmare la vita spirituale
dei presbiteri. Il Vaticano II ha in tal modo ritenuto superata lidea che il prete una
sorta di monaco prestato allapostolato: idea che sottendeva una certa tensione tra
le esigenze della spiritualite quelle dellattivit. Per il Concilio, come si visto,
sono le istanze dellannuncio, della celebrazione e della vita pastorale nei suoi
diversi aspetti a connotare la spiritualitdel ministro. In tal modo il Concilio ha
messo in luce che la spiritualitdel ministro non ha solo una dimensione verticale
costituita dalla preghiera, dalla contemplazione e dalla meditazione, bensanche una
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inscindibile dimensione orizzontale, costituita dalla trama di relazioni con i fratelli
che sostanzia quotidianamente il suo ministero.
E evidente allora in che senso il Vaticano II fa perno sulla caritpastorale (cf.
PO 14) come categoria capace di unificare vita e ministero dei presbiteri. Ed
proprio questa categoria, poi indicata come perno del ministero sacerdotale dalla
Pastores dabo vobisdi Giovanni Paolo II (1992), che il Vaticano II come ci verr
tra poco illustrato da Mons. Lambiasi declina per i presbiteri il tema dei consigli
evangelici (cf. PO15-17).
3. Spunti sullattualitdel decreto
Il processo della recezione ecclesiale di un documento magisteriale sempre
molto complesso e difficile da delineare, perchsi svolge in un continuo intreccio
tra dottrina e prassi, teologia e pastorale e coinvolge praticamente tutti i soggetti e
gli aspetti della vita ecclesiale. Non pretendo dunque certamente di offrire unquadro completo, ma cercherdi evidenziare qualche aspetto.
Prendo spunto prima di tutto dal vissuto del presbitero. Non sono in grado di
offrire approfondite analisi sociologiche, psicologiche o pastorali; propongo
piuttosto una sintetica lettura della situazione, ricavata dallesperienza e soprattutto
dai documenti del Magistero (specialmente Pastores dabo vobise vari interventi dei
vescovi) e da studi di specialisti. Il vissuto, come generalmente accade,
attraversato da luci e ombre, opportunite fatiche. Lo si potrebbe esprimere con una
sola parola? Oggi forse no, ma quarantanni fa s: era dobbligo usare la parola
crisi e parlare di crisi di identitpresbiterale.Lespressione, assente nei testi del Vaticano II, venne coniata allinizio degli anni
settanta e caratterizzil Sinodo dei vescovi del 1971 dedicato (anche) al sacerdozio
ministeriale. Per un ventennio si discusse a fondo su questa crisi che costitu
dunque lalveo fondamentale dellermeneutica di PO, cercando di capirne i motivi e
di uscirne. Se gli aspetti che colpivano di pi lopinione pubblica, anche molto
lontano dalle mura della Chiesa, erano quelli scandalistici i non pochi preti che
contestavano e lasciavano rumorosamente il ministero, le comunit che si
opponevano in vari modi ai vescovi, la richiesta massiccia di abolizione del celibato
e di estensione del sacerdozio alle donne i motivi reali e piprofondi erano di
natura propriamente teologica: qual la ragion dessere del ministero ordinato nellaChiesa? E proprio necessaria lesistenza del sacramento dellOrdine che d il
carattere o sufficiente che ogni comunitelegga un suo presidente per un certo
tempo? Al di sotto quindi delle rivendicazioni ecclesiali, delle crisi psicologico-
affettive, degli atteggiamenti pastorali provocatori, e cos via, vi erano ragioni
teologiche vere e proprie, riguardanti niente meno che la natura stessa del ministero
ordinato.
Era dunque una crisi del sacerdozio paragonabile solo a quella che cinque secoli
prima aveva contrapposto Lutero e il Concilio di Trento; in fondo, pure in un
contesto diversissimo, si trattava del medesimo problema: Lutero, rifacendosi allasola Scrittura, aveva negato la legittimitdel sacramento dellOrdine, sostituendo i
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sacerdoti con dei ministri eletti dalle comunitper la predicazione della parola e
Trento, leggendo la Scrittura attraverso la Tradizione, aveva reagito diametralmente
riaffermando lesistenza di un sacerdozio ministeriale fondato sullOrdine e abilitato
allofferta del sacrificio eucaristico. Se Lutero aveva interpretato teologicamente il
ministero in chiave unicamenteprofeticae funzionale, Trento lo imposta in chiave
decisamente cultualee ontologica anche se, come ho accennato, dal punto di vista
pratico adotta la visionepastorale, ma solo nei decreti di riforma.
Per cinque secoli quindi vengono avantiparallelamentequeste tre concezioni del
ministero ordinato: il mondo protestante caratterizzato, con molte sfumature tra le
varie confessioni, dal ministero inteso come funzione profetica nella comunit,
come predicazione della Scrittura; il mondo cattolico invece connotato da due
modelli che convivono nella stessa figura di sacerdote: da una parte egli
configurato ontologicamente a Cristo Sacerdote ed esprime questo suo essere nella
celebrazione del sacrificio eucaristico e dei sacramenti; dallaltra egli deve assumere
lo stile di Cristo Pastore verso il gregge, dando la vita per la Chiesa. Avendo persolo il primo dei due modelli vera e propria dignit sacramentale, il secondo
rimaneva affidato alla dedizione generosa del prete ma non ne caratterizzava
lessere.
Se ora torniamo alla crisi di identit del ventennio successivo al Vaticano II,
riscontriamo lo stesso aspro confronto tra una visione funzionale e profetica da una
parte ed una ontologica e cultuale dallaltra, con la concezione pastorale ancora in
sordina. Il Concilio, vero, aveva tracciato una dottrina equilibrata del ministero
ordinato, coniugando i tre modelli attraverso lo schema dei tria munera ricondotti
alla loro radice sacramentale. E questo risultato, come si appena detto, era stato
raggiunto non come soluzione salomonica, ma come esito di una rilettura ampia
della Scrittura e delle Tradizione a partire dalle istanze di situazioni concrete. Il
Vaticano II aveva potuto quindi offrire, specialmente attraverso PO, un quadro
approfondito, sereno e non polemico, documentato e radicato nelle fonti, della
natura e missione del ministero presbiterale.
Con il Vaticano II sembrava cosraggiunta una felice sintesi fra i diversi modelli
che per secoli erano stati contrapposti o giustapposti: eppure sei anni dopo la
chiusura del Concilio papa Paolo VI sent il bisogno di celebrare un Sinodo sul
sacerdozio ministeriale. Il clima di contestazione e dissenso costitu un nuovo
scenario nel quale ancora una volta veniva interrogata la dottrina, e in maniera come abbiamo visto molto radicale.
Al Sinodo del 1971 pi che le teologie del ministero si confrontarono le
ecclesiologie. Da una parte vi era chi portavoce H. Kng domandava di portare a
compimento la riforma iniziata dal Vaticano II, accettando una interpretazione
democratica della Chiesa (Kng in un libretto del 1971 sul prete la definiva
comunitdi uguaglianza, liberte fraternit); sul versante opposto, chi aveva mal
digerito lecclesiologia conciliare del popolo di Dio, reagiva riaffermando quella
visione di Chiesa come corpo di Cristo che il Concilio aveva accolto ma
relativizzato, o addirittura quella precedente di Chiesa come societas perfecta, che il
Concilio aveva lasciato da parte, almeno in quei termini. Nella prima concezione
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ecclesiologica, il ministero non altro che espressione della comunit ed ha la
funzione di leadership, coordinando i carismi e presiedendone lannuncio e le
celebrazioni su delega dal basso; nella seconda concezione, al contrario, il ministero
nasce dallaltoed ha la funzione di trasmettere la grazia che da Cristo scende verso
la Chiesa; volentieri il sacerdote qui definito, secondo luso preconciliare,
mediatore e alter Christus.
Il Sinodo del 1971 percorse una via mediatra questi due estremi, e sulle piste
del Concilio evitdi cadere in una visione di Chiesa come democrazia o come
monarchia assoluta, proponendo invece una concezione ecclesiologica che, pur
tenendo conto di tutte le istanze dal basso, riafferm la natura teandrica della
Chiesa, irriducibile ad ogni schema di tipo civile (democrazia, monarchia...). La
Chiesa dipende essenzialmente da Cristo, suo capo nel documento sinodale lidea
della Chiesa come corpo di Cristo ha maggiore spazio rispetto aLG e la coscienza
di questa radicale dipendenza condizione essenziale per la sua vita: se la Chiesa
perdesse la consapevolezza di ricevere da Cristo tutto quanto le necessario pervivere e operare - la parola, i sacramenti, i doni dello Spirito perderebbe la sua
stessa natura di Chiesa, ciocomunitradunata dallalto, corpo di Cristo Capo. Il
Sinodo, adottando questa visione ecclesiologica, collocil sacerdozio ministeriale
nel punto dunione tra la Chiesa e Cristo: come ministero di Cristo Capo della
Chiesa, a servizio della sua edificazione, uno degli strumenti che la mantiene
nella consapevolezza di dipendere dal suo Signore. Ecco dunque la risposta alla crisi
di identitteologica: il ministero ordinato ha come ragion dessere la testimonianza
efficace della prioritdella grazia Cristo Capo, Profeta, Sacerdote e Pastore, che
continua ad edificare il suo corpo che la Chiesa. La stessa idea fu ripresa ventanni
dopo da Giovanni Paolo II nellEsortazione Pastores dabo vobis(in particolare al n.
16), che raccolse e rilanciquanto emerso nel Sinodo del 1990 sui presbiteri. Questa
la risposta costante del Magistero post-conciliare alla domanda sulla natura
teologica del ministero sacerdotale.
La Pastores dabo vobisdichiarconclusa la crisi di identitteologica, e dopo pi
di ventanni le si pudare sostanzialmente ragione. Uno sguardo alla bibliografia
conferma che dopo lesplosione di studi degli anni settanta e ottanta, la teologia del
ministero raggiunse dagli anni novanta una certa pacificazione. Si aperto tuttavia
un altro fronte della crisi quasi un contraccolpo tardivo di quella post-conciliare
che si potrebbe indicare come crisi di identitpastorale. Questo nuovo tornantenon riguarda pi tanto le domande radicali sulla ragion dessere teologica del
ministero, ma ruota attorno alla sua configurazione pastorale. Se la crisi di tre
decenni fa si pu paragonare a unalta montagna che si vede da lontano, questa
sembra piuttosto un iceberg, emergente solo in piccola percentuale, ma presente
sottacqua in maniera consistente: allora il numero elevato di coloro che lasciavano
il ministero, spesso in maniera provocatoria, faceva notizia e creava un clima
acceso; ora invece il numero di coloro che lasciano il ministero grazie a Dio molto
pi contenuto, la gestione della crisi pi riservata e spesso non conduce
allabbandono; rimane tuttavia un clima di sottofondo a volte pesante tra i presbiteri,
specialmente giovani, che poco tempo dopo lordinazione gisembrano in alcuni
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casi pastoralmente rassegnati. Bisognerebbe senza dubbio cercare le cause in
direzioni diverse, come: la fragilitpsicologica e affettiva del mondo giovanile, pi
capace forse di slanci generosi e meno di donazione costante; la complessit e
frammentarietdella nostra cultura, nella quale cosdifficile orientarsi, discernere
il bene dal male e mantenersi fedeli al Vangelo; la fatica di molti Seminari ad
impostare percorsi di formazione che da una parte evitino il ritorno a modelli
cultuali e sacrali e dallaltra parte evitino laccomodarsi borghese ai venti culturali
pialla moda. Ma forse il perno attorno a cui ruota un certo malessere una causa
precisamente pastorale, che rende oggi piattuale di alcuni decenni fa la dottrina
di POe ne mostra pichiaramente il carattere equilibrato.
Il quadro pastorale, che ci stato pi volte autorevolmente richiamato dagli
ultimi pontefici e ora con particolare forza da papa Francesco, richiede ormai
decisamente il passaggio da una Chiesa che conserva se stessa a una Chiesa
missionaria. Il passaggio in atto da decenni, ma non facile. I presbiteri sentono
tutta la responsabilit di questo passaggio e qualche volta si trovano in gravedifficolt, fino ad aprire veri e propri spazi di crisi, che sono la porta per la ricerca di
compensazioni e alternative. Il Concilio aveva indicato nella triplice relazione con
il vescovo, il presbiterio e i laici la trama adeguata per affrontare le sfide della
missione da parte dei presbiteri. Ora possiamo dire con chiarezza che se un
presbitero va in crisi, non pinormalmente a motivo della confusione o del dubbio
circa la sua identit teologica, ma a motivo del logoramento di alcune relazioni
ecclesiali: incomprensioni o mancanza di relazione con il proprio vescovo, rapporti
di bassa qualitnel presbiterio, tensioni e conflitti con i laici.
Se la qualitdelle relazioni con i laici, gli altri presbiteri e il vescovo buona
pur nelle inevitabili e per certi aspetti necessarie tensioni pi difficile che
rimanga aperto uno spazio per una crisi profonda. Sembra quindi che la radice di
quella che anche oggi si puchiamare crisi crisipastorale dipenda da qualche
relazione ecclesiale vissuta in modo inadeguato dal presbitero. Se questa analisi
plausibile, allora lattenzione si rivolge nuovamente alla dimensione ecclesiologico-
pastorale del presbiterato, e non tanto su quella cristologico-sacramentale. Ora, la
dimensione ecclesiologica, come si visto, era stata precisamente messa a fuoco dal
Vaticano II, soprattutto in PO: per questo la dottrina conciliare si presenta oggi
nuovamente come un aiuto per affrontare e superare la crisi. Credo quindi che il
rilancio della visione offerta dal Concilio sui presbiteri sia urgente. Una buonaintegrazione tra i ministeri dellannuncio, della liturgia e della guida pastorale che
eviti di ridurre il servizio presbiterale ad uno solo di essi puvincere quel senso di
frammentazione che spesso fa da sottofondo alle crisi. Unesperienza comunitaria,
che prendendo o meno la forma della coabitazione favorisca lo scambio, la
preghiera e lamicizia, puvincere quel senso di solitudine e autoreferenzialitche
talvolta rappresenta la base per la maturazione delle crisi. E infine un equilibrio tra
contemplazione e azione, che eviti le due sponde estreme dellintimismo e
dellattivismo, pu vincere quel senso di pesantezza pastorale che pu aprire lo
spazio per le crisi. PO, a cinquantanni dalla sua promulgazione, dunque un
documento ancora in parte da recepire e anche per questo pienamente attuale.
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7/25/2019 10 Castellucci
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