1. Sociologia Dello Sport

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RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XLI, n. 2, aprile-giugno 2000 L’analisi sociologica dello sport di PIPPO RUSSO La riflessione sociologica sul tema dello sport si presenta come un’impresa discontinua e irregolarmente dislocata, che risente ancora di una difficoltà ad assegnare una dignità accademica al tema e a conferirgli uno statuto di specifico campo disciplinare. Lo sport come fenomeno sociale, infatti, continua a essere un oggetto d’analisi periferica, sul quale convergono approcci teorici eterogenei per estrazione disciplinare e strumenti analitici, ognuno con paradigmi e apparati concettuali propri, col risultato di enfatizzare quasi sempre aspetti singoli del fenomeno stesso. Rimangono ancora limitati i tentativi di spiegazione sistematica, assurti con stupefacente velocità al rango di «classici» proprio in ragione di una «mancanza di concorrenza teorica», oltre che di una così marginale collocazione del tema nell’ambito delle scienze sociali e di un altrettanto carente sforzo sistematico nell’approntare schemi concettuali e modelli di analisi endogeni. Così, all’osservatore che si ponga lo scopo di trarre un bilancio sullo «stato dell’arte» della sociologia dello sport non resta che registrare la presenza di una serie di studi circoscritti nei temi e nella dimensione indagata, e un fiorire di ricerche empiriche — provenienti soprattutto dagli ambienti accademici anglofoni — che dalla loro stessa dimensione micro vengono rese utilizzabili soltanto in termini di agenda (la legittimità del tema scelto come issue rilevante dell’ambito discipli- nare), non certo per il contributo euristico offerto alla causa di una più puntuale definizione del campo teorico. La stessa filiazione della socio- logia dello sport come sotto-disciplina risulta problematica: non esiste infatti una opinione univoca sulla «disciplina-madre» cui essa dovrebbe fare capo. L’opinione più diffusa, e tutto sommato più accreditabile, è quella che vorrebbe far rientrare gli studi sociologici sullo sport all’interno del campo dei cultural studies; ma non mancano gli approcci che riconducono il tema nell’ambito della sociologia politica (Porro 1995), o della sociologia dell’organizzazione (Slack 1997); quelli che fanno della lettura dei processi legati allo sport un’efficace cartina di tornasole per analizzare l’equilibrio dei rapporti fra generi (Creedon 1994; Cole, Messner e Mc Kay 1997); quelli che proiettano in focus sui comportamenti devianti, sia sul versante degli atleti che del pubblico (Dal Lago 1990;

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Approfondimento sulla valenza dello Sport

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RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XLI, n. 2, aprile-giugno 2000

L’analisi sociologica dello sport

di PIPPO RUSSO

La riflessione sociologica sul tema dello sport si presenta comeun’impresa discontinua e irregolarmente dislocata, che risente ancora diuna difficoltà ad assegnare una dignità accademica al tema e a conferirgliuno statuto di specifico campo disciplinare. Lo sport come fenomenosociale, infatti, continua a essere un oggetto d’analisi periferica, sul qualeconvergono approcci teorici eterogenei per estrazione disciplinare estrumenti analitici, ognuno con paradigmi e apparati concettuali propri,col risultato di enfatizzare quasi sempre aspetti singoli del fenomenostesso. Rimangono ancora limitati i tentativi di spiegazione sistematica,assurti con stupefacente velocità al rango di «classici» proprio in ragionedi una «mancanza di concorrenza teorica», oltre che di una così marginalecollocazione del tema nell’ambito delle scienze sociali e di un altrettantocarente sforzo sistematico nell’approntare schemi concettuali e modellidi analisi endogeni. Così, all’osservatore che si ponga lo scopo di trarreun bilancio sullo «stato dell’arte» della sociologia dello sport non restache registrare la presenza di una serie di studi circoscritti nei temi e nelladimensione indagata, e un fiorire di ricerche empiriche — provenientisoprattutto dagli ambienti accademici anglofoni — che dalla loro stessadimensione micro vengono rese utilizzabili soltanto in termini di agenda(la legittimità del tema scelto come issue rilevante dell’ambito discipli-nare), non certo per il contributo euristico offerto alla causa di una piùpuntuale definizione del campo teorico. La stessa filiazione della socio-logia dello sport come sotto-disciplina risulta problematica: non esisteinfatti una opinione univoca sulla «disciplina-madre» cui essa dovrebbefare capo. L’opinione più diffusa, e tutto sommato più accreditabile, èquella che vorrebbe far rientrare gli studi sociologici sullo sport all’internodel campo dei cultural studies; ma non mancano gli approcci chericonducono il tema nell’ambito della sociologia politica (Porro 1995),o della sociologia dell’organizzazione (Slack 1997); quelli che fanno dellalettura dei processi legati allo sport un’efficace cartina di tornasole peranalizzare l’equilibrio dei rapporti fra generi (Creedon 1994; Cole,Messner e Mc Kay 1997); quelli che proiettano in focus sui comportamentidevianti, sia sul versante degli atleti che del pubblico (Dal Lago 1990;

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Dunning 1971; Elias e Dunning 1989; Roversi 1992); quelli che declinanoil rapporto fra sport e mass media (Rowie 1999; Wenner 1998); e, infine,quelli che ne studiano le trasformazioni provocate dai processi diglobalizzazione (Bale e Maguire 1995; Maguire 1999).

Il quadro appena delineato fa intendere quanto difficile sia ladefinizione disciplinare degli studi sullo sport, e la loro specificazionenell’ambito degli studi sociologici. A partire da queste constatazioniappare dunque necessario delineare i principali riferimenti teorici sullosport all’interno dello spettro complessivo delle scienze umane e sociali,per poi passare ai — limitati — tentativi di teorizzazione ascrivibili alcampo disciplinare della sociologia, e concludere con l’indicazione dialcuni filoni di analisi che possono essere ritenuti di ausilio per una piùcompiuta definizione dello sport come problematica sociologica.

1. Sport e teoria sociale

L’importanza dello sport nelle scienze umane emerge per la primavolta all’interno del dibattito relativo a quella che è stata definita la«dialettica lavoro-tempo libero»1. L’oggetto del contendere attorno alquale le opposte tesi prendevano partito riguardava il primato frapropensione ludico-espressiva e propensione strumentale nell’agire uma-no; quale delle due assume la posizione principale, e quale quellaresiduale? L’uomo esprime primariamente le proprie inclinazioni attra-verso quelle attività che consistono nell’impiego dei mezzi per larealizzazione di fini, rispetto alla quale il tempo dedicato a attività nonstrumentali assume una valenza residuale? O, viceversa, egli sviluppa almassimo grado attraverso le attività espressive la sua natura di «animalesimbolico», all’interno della quale le attività strumentali non sono altroche una classe di pratiche designate a definire, assieme alle altre, il«rapporto significativo» dell’uomo col mondo circostante? Nel contestodi questa disputa rientra il ruolo dello sport come gioco organizzato eformalizzato, della sua natura nel quadro complessivo delle attività umanee della sua dignità, primaria o residuale, come pratica.Attorno al dilemma tempo libero-sport/lavoro si sono confrontati alcunifra i teorici sociali di maggior spicco dello scorso secolo, provenienti daambiti disciplinari diversi e grosso modo riconducibili a due filoni dipensiero: quello del materialismo marxista e quello del conservatorismoculturale.

Secondo il primo filone l’attività spesa nella ricerca del migliorgoverno possibile delle condizioni materiali dell’esistenza rappresenta la

1 Per una esauriente ricostruzione di questo dibattito si veda Hoberman (1984, inpart. trad. it. 51-87).

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più compiuta realizzazione della stessa natura umana; da ciò deriva cheil lavoro non può che essere posto in posizione primaria rispetto al tempolibero e a tutte le espressioni che in esso trovano collocazione (segna-tamente, nel nostro caso, gioco e sport). Il tempo libero, secondo gliintellettuali riconducibili all’interno di questo filone, non è altro che«tempo residuo» rispetto all’attività di lavoro, e ogni pratica che in essovenga esperita gode di uno statuto inferiore rispetto a quelle checontraddistinguono il tempo di lavoro. In questo contesto, le attivitàludiche e sportive altro non possono essere che pratiche di simulazioneo perfezionamento di quelle lavorative. Esemplare di questo modello diapproccio è la teoria dello storico marxista Gerhard Lukas (1969),secondo il quale il primo sport praticato dall’uomo non può essere statoche il lancio del giavellotto. Tale pratica, infatti, sarebbe il frutto dellanecessità dell’uomo di ridurre al minimo il rischio di contatto con belveferoci, o di rendere meno ardua la cattura di prede rapide nella fuga,colpendole a distanza per mezzo di uno strumento letale (la lancia) dausare con la precisione d’obbligo per chi non può consentirsi di scagliareun altro colpo: e dalla necessità di affinare la tecnica di lancio e dimigliorarne l’efficienza si sarebbe aperto un canale per le pratiche diaddestramento, anticamera della ludicizzazione e della sportivizzazione.Come si può notare, nella ricostruzione fatta da Lukas è l’attività pratico-materiale a far da levatrice a quella ludico-sportiva.

Rispetto a un’impostazione così monodirezionale, alcuni teorici chesi muovono all’interno del medesimo spazio della critica marxistarivalutano il gioco e lo sport come pratiche non secondarie rispetto allavoro, né reificanti e alienanti come sostenuto dai teorici della scuoladi Francoforte. Riprendendo alcuni spunti dei Grundrisse, il sociologofrancese Joffre Dumazedier (1959) sostiene che lo stesso Marx avevaprevisto il sopraggiungere dell’era del tempo libero. A proseguire lungoquesta linea di revisione del rapporto fra lavoro e tempo libero si dedicanoFrancis Hearn (1976/77) e Lawrence M. Hinmann (1977) i quali, pursostenendo tesi non del tutto compatibili fra loro, conferiscono un’im-portanza e un significato diversi alle sfere di attività non materiali dellavita quotidiana. A ogni modo, però, nessuno dei critici marxisti citatigiunge a scindere il binomio lavoro/tempo libero e a analizzare ciascunodei termini in modo separato, mai riuscendo a avvicinarsi alla formu-lazione di una compiuta teoria dello sport come fenomeno indipendenteda una matrice materialista delle attività umane.

L’altro filone di riflessione teorica che è stato qui citato, oppostoa quello del materialismo marxista, è quello del conservatorismo culturale.Le tesi sostenute dagli autori riconducibili all’interno di questa posizionefa riferimento alle attività ludico-espressive come a quelle davverofondative dell’agire umano, rispetto alle quali le pratiche destinate aassicurare le condizioni materiali minime di esistenza non sono che epi-fenomeni connotati simbolicamente. Il principale esponente di questo

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filone è lo storico olandese Johan Huizinga, il cui testo Homo ludens(1938) rappresenta a tutt’oggi uno dei più alti tentativi di fornire unfondamento culturale e teorico al fenomeno del gioco. La tesi di Huizingasostiene che l’uomo esprime al meglio la propria natura intima attraversoattività la cui matrice è inequivocabilmente ludica2. Il gioco stesso forniscesecondo l’autore una sorta di grammatica del comportamento all’indivi-duo, argomentazione che rappresenta una sorta di anticipazione delle tesidi Caillois sulla categoria ludus dei giochi che più avanti verrannoillustrate; il gioco è un’attività a forte connotazione culturale, che siesprime attraverso una ritualità dalla vaga matrice religiosa o rituale efornisce il principale canale espressivo per l’inclinazione simbolica dellanatura umana. L’argomentare di Huizinga parte da un presuppostopolemologico che si orienta contro due nemici ben identificabili, perquanto mai dichiarati in tutto il corso del libro: l’utilitarismo borghesee il materialismo marxista, che in generale rappresentano i bersagli controi quali si indirizzano gli strali della corrente cultural-conservatrice.Rivalutando il gioco come principale attività espressiva della naturaumana, egli attacca in modo indiretto quanto raffinato le due correntiche dominano la scena ideologica a cavallo dei due secoli e la loro comunematrice strumentalista.

Meno raffinata, per quanto più suggestiva, è la proposta del filosofospagnolo José Ortega y Gasset (1924), il quale fa un esplicito riferimentoallo sport come fattore di costruzione dello stato. L’elaborazione di Ortegay Gasset si colloca a metà strada fra la filosofia della storia e laricostruzione mitologica; egli, universalizzando un episodio mitico dellastoria romana (il ratto delle Sabine) indica nel senso di sfida e nello spiritodi corpo virilista che motivano la predazione esogina (cioè, il rapimentodi donne appartenenti a raggruppamenti sociali estranei alla famiglia, allastirpe e alla tribù) il primo gesto emancipatorio rispetto ai vincoli conle cerchie sociali di ascrizione. Il carattere sportivo di questo gestopredatorio viene rintracciato in quella batteria di motivazioni anti-utilitariste all’interno delle quali il senso di sfida, l’affermazione di identitàe la gratuità del rischio giocano un ruolo determinante. La sommatoriadel ragionamento di Ortega y Gasset enuncia il carattere irrazionaledell’origine dello stato moderno, e anche in questo caso è possibile leggerein controluce la vena anti-razionalista alimentata in polemica allo scien-tismo marxista e liberal-borghese.

Gli approcci di Huzinga e Ortega y Gasset, nonostante il loro valorespeculativo e letterario, sono criticabili sotto due profili: quello della

2 In uno dei passaggi più significativi del libro, l’autore scrive: «Nel gioco abbiamoa che fare con una funzione degli esseri viventi, la quale non si lascia determinare appienoné logicamente né eticamente. Il concetto di gioco rimane isolato singolarmente da tuttele rimanenti forme di pensiero con cui possiamo esprimere la struttura della vita spiritualee sociale» (1938, 10).

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scientificità, rispetto al quale sono entrambe ampiamente opinabili; equello della fedeltà storica, alla cui prova i riscontri sono alquanto labili.Soprattutto, né Ortega y Gasset né tantomeno Huizinga si soffermanosull’analisi specifica dello sport come fenomeno sociale.

Allontanandosi dalla tematica sul rapporto lavoro/tempo libero ecentrando l’attenzione sul gioco e sullo sport, va segnalata l’ormai classicaricerca dell’antropologo francese Roger Caillois (1958), all’interno dellaquale si procede a una classificazione dei giochi la quale, oltre arappresentare uno strumento analitico ancora molto valido, apre unaprospettiva su quella dimensione agonistica che costituisce il nucleocentrale di ogni fenomeno sportivo. Caillois indica due contrappostepolarità nella vasta gamma di giochi umani: da un lato, i giochi chevengono fatti rientrare nella definizione di paidìa, che sono quelli chesorgono come fenomeni spontanei dell’interazione fra individui e sonocontrassegnati da scarsa regolazione; dal lato opposto, i giochi chevengono ricondotti entro la categoria ludus, i quali evidenziano unatendenza verso la fissazione di principi d’azione ai quali i giocatori sonotenuti a uniformarsi. All’interno di questo continuum, poi, Cailloisindividua una tipologia quadruplice di giochi: 1) quelli definiti alea, lacaratteristica dominante dei quali è data dalla preponderanza del casonella determinazione dell’esito; 2) quelli che vengono etichettati comeagon, nei quali domina la dimensione della competizione; 3) quellidenominati mimickry, nei quali l’aspetto della finzione e del maschera-mento rappresentano il nucleo dell’interazione ludica; 4) quelli che fannoinsorgere una dinamica di ilinx, cioè di vertigine e sballo.

La tipologia approntata da Caillois, col suo campionario di definizionie esempi, mantiene ancor oggi un valore analitico, ma mostra un difettonella carenza di attenzione verso la dimensione individuale dei giochi;la stessa polarità ludus-paidìa, infatti, avrebbe ben potuto essere spesanel tentativo di illustrare l’ambivalente tendenza dell’attore a cercareconformità e certezza d’interazione nelle regole (ludus) e a violarle altempo stesso, dando corso ai propri istinti individualisti e auto-espressivi(paidìa). Per ciò che attiene il tema dello sport, l’individuazione di unaclasse di giochi riconducibili alla dimensione di agon traccia una lineache fa delle moderne discipline agonistiche fenomeni appartenenti a unmodello di espressività umana originario, per nulla residuali rispetto alleattività pratiche-materiali di conquista dei mezzi di sopravvivenza.

Un’ultima fonte non sociologica che qui merita di essere passata inrassegna è quella che mette in diretta connessione gli sport moderni conla ritualità religiosa delle società tradizionali e pre-moderne. Il principalerappresentante di questa scuola può essere indicato nello storico tedescoCarl Diem (1971), il quale individua le prime pratiche proto-sportive neigiochi che venivano celebrati come manifestazioni collaterali alle grandicelebrazioni religiose in molte società antiche. La connessione fraesperienza mistica, ritualità delle pratiche celebrative e esercizio di una

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fisicità regolata secondo criteri non estemporanei viene indicata da Diemcome l’origine degli sport contemporanei. L’analisi si rivela utile sotto alcuniaspetti, soprattutto quelli relativi al carattere cerimoniale del gioco spor-tivizzato che nelle teorie fin qui indagate era mancata; la prospettiva diDiem, però, regge a stento alla critica avanzata da Guttman (autore delquale ci si occuperà diffusamente tra poco), che poggia su due ordini dieccezioni: l’assenza di un carattere fatidico nell’interazione ludica, riassu-mibile entro l’elemento del «risultato»; il carattere strumentale dei giochistessi, compresi all’interno di un più complessivo rito indirizzato all’otte-nimento del favore degli dei. Entrambi i rilievi offuscano quell’idea dicontinuità fra i giochi religiosi pre-moderni e gli sport contemporanei.

2. Le fonti sociologiche sullo sport

Passando all’analisi dei lavori sullo sport più dichiaratamente socio-logici, quello che più di tutti ha segnato il cammino verso la fondazionedi una disciplina specifica è quello di Allen Guttman, docente diAmerican Studies all’Ahmerst College. Il suo Dal rituale al record (1978)rappresenta il più ambizioso tentativo di costruire una teoria sociologicasullo sviluppo degli sport moderni. Guttman individua una connessionefra la parabola dell’industrialismo e la «sportivizzazione» dei giochi;questa connessione si compone a partire da 7 linee di sviluppo evolutivo,comuni a entrambi i fenomeni:

1) secolarismo: si tratta dell’elemento che porta Guttman a assumereposizioni critiche nei confronti della ricostruzione di Diem. Gli sportmoderni sono cerimonie laiche, avulse da motivazioni trascendenti efondate sul primato assoluto della dimensione umana;

2) uguaglianza: gli sport moderni promuovono una democratizzazionedella pratica e del consumo rispetto a molte delle attività proto-sportivedelle epoche precedenti. Lo sport consumato e praticato cessa progres-sivamente di essere una linea di demarcazione fra una classe e l’altra.

3) specializzazione: soprattutto grazie alla diffusione e allo sviluppodegli sport di squadra vengono a raffinarsi delle strategie di divisionedel lavoro che consentono l’ottimizzazione delle risorse disponibili;

4) razionalizzazione: la regolamentazione precisa e scrupolosa dellepratiche viene assunta come uno degli imperativi principali per ognipratica ludico-agonistica che oltrepassi la soglia della sportivizzazione;

5) burocratizzazione: è un passaggio reso necessario dalla razionalizza-zione; affinché, infatti, alle regole venga garantita effettività e vincolativitàè necessaria la creazione di uno o più organi di coordinamento;

6) quantificazione: è questo l’elemento che secondo Guttman rappre-senta in modo più significativo la natura degli sport moderni, i qualivengono sottoposti a una forma numerica di razionalizzazione che fa dellamisurazione di un’ampia classe di prestazioni l’elemento centrale;

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7) record: esso costituisce l’evoluzione della appena accennata tendenzaalla misurazione delle prestazioni e costituisce la massima realizzazione dellanatura degli sport moderni. Il record, che per la propria natura diperformance di eccellenza sanzionata in termini numerici rappresenta infattila massima realizzazione dell’industrialismo nello sport e si distacca almassimo grado dal rituale, che viceversa rappresentava la natura nonquantitativa dei giochi pre-sportivizzati, è il concetto che al più alto gradorealizza la sintesi fra giochi sportivizzati e spirito dell’industrialismo.

La lezione di Guttman ha costituito per lungo tempo un terminedi riferimento per chiunque abbia voluto affrontare un approcciosociologico allo studio dello sport, e molte delle sue intuizioni rimangonovalide come strumenti analitici. Ciò che sarà interessante valutare è ilgrado di resistenza dell’impianto teorico guttmaniano all’attuale svolta insenso postindustriale e postmoderno dello sport, che impone unarevisione dei paradigmi fin qui utilizzati e della quale si parlerà più avanti.

Un’altra grande lezione sociologica sullo sport è quella formulata daNorbert Elias (Elias e Dunning 1989). Partendo dal suo fortunatoparadigma sul processo di civilizzazione come tendenza evolutiva dellemoderne democrazie, Elias individuò in un analogo processo di sportiviz-zazione, consistente nella sterilizzazione e formalizzazione dei giochi.Individuata l’origine degli sport moderni nell’Inghilterra settecentesca,l’autore ricostruì una corrispondenza fra la fondazione e il consolidamentodella prima democrazia parlamentare e la diffusione di un atteggiamentoverso i loisir fisici più incline alla loro regolazione che alla repressione.Ciò avveniva in un paese che prima di altri era riuscito a neutralizzarei cicli di violenza interna e a costruire un clima di fiducia reciproca trafazioni opposte. L’approccio neo-simmeliano di Elias rimane carente nellaspiegazione del perché gli sport di matrice inglese (calcio, rugby, tennis)sviluppatisi entro un contesto storico-sociale ben connotato, abbiano poitrovato diffusione pressoché totale sul pianeta, conquistando il favore pressopaesi e culture diversi per cultura, indici di sviluppo e democratizzazione.

Un approccio sociologico al tema dello sport che mostra una dichiarataaffinità con l’impostazione eliasiana è quello della scuola configurazionale(Dunning 1971; Elias e Dunning 1989; Bale e Maguire 1994). I suoi teoricisostengono che gli attori degli odierni sport di vertice agiscono all’internodell’agone non soltanto in rappresentanza di se stessi o della compaginein cui sono inseriti, ma sono i rappresentanti di una più ampia collettività(che può giungere a comprendere un intero stato-nazione), dei suoi stili,della sua cultura, delle tensioni correnti all’interno della struttura sociale3.

3 «(…) le pressioni e i controlli reciproci che operano in società urbano industrialivengono riprodotte generalmente nella sfera dello sport. Ne risulta che sportivi di altolivello non possono essere indipendenti e giocare per divertimento ma devono accettareuna modalità di partecipazione allo sport eterodiretta e seria. Non possono più giocare

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Gli studi configurazionali si sono intrecciati nei tempi più recenti conquelli relativi agli effetti dei processi di globalizzazione (Porro 1997;Porro 1999). Da questo intreccio si è potuta osservare una realtàprismatica nella quale realtà ormai fortemente post-nazionali conservanouno spazio per l’espressione di un intramontabile nazionalismo sportivo(Russo 1999).

Spostando l’ottica in direzione delle teorie critiche sullo sport, ilcontributo più degno di nota è quello del sociologo francese PierreBourdieu (1979; 1980); il quale, facendo ricorso al suo concetto dicampo, ha visto nello sport un ambito contrassegnato simbolicamenteentro il quale si riproducono fedelmente le asimmetrie vigenti all’internodel sistema sociale complessivo4. Il modello di riferimento, secondoBourdieu, rimane quello dello sport elitario, con la sua dimensione dicampionismo e di enfasi sul successo personale che veicolano i medesimicontenuti alle classi sociali privilegiate e a quelle subalterne venendorecepito in modo diverso a seconda delle aspettative che si trova aincontrare.

L’ultima tematica sociologica sullo sport da passare in rassegna èquella che fa riferimento allo «sport per tutti». Essa parte dall’assuntorelativo all’esistenza di uno sport altro rispetto a quello imperante suimass-media e che fa ancora da modello di riferimento per la maggio-ranza del pubblico. La tematica dello «sport per tutti», tendente arestituire una centralità all’individuo nella pratica sportiva e di riportarea dimensione d’uomo la sfera dell’agonismo organizzata, viene fattarientrare dal sociologo tedesco Klaus Heinemann (1990) all’interno diuna complessa e articolata teoria sull’evoluzione dei sistemi sportivi iquali si trovano a un certo punto a affrontare una fase di sfida indirezione di un’inclusione di attori che, in proporzione crescente,rimangono emarginati dai meccanismi del modello sportivo di altaprestazione.

per se stessi e sono costretti a rappresentare unità sociali più ampie, come le città, lecontee, i paesi. (…) essi devono fornire una “prestazione sportiva”, cioè il tipo disoddisfazione che coloro che controllano e coloro che “consumano” lo sport richiedono,lo spettacolo di una contesa eccitante per assistere alla quale la gente sia disposta a pagare;oppure la conferma, ottenuta con la vittoria, dell’“immagine” e della “reputazione”dell’unità sociale con cui si identificano quelli che controllano e/o consumano il gioco»(Dunning, in Elias e Dunning 1989, trad. it. 280).

4 «(…) l’universo delle pratiche e degli spettacoli sportivi si presenta di fronte adogni nuovo arrivato come un insieme di scelte già preparate, di possibili già oggettivamentecostituiti, di tradizioni, regole, valori, attrezzature, tecniche, simboli, che traggono il lorosignificato dal sistema sociale che costituiscono e che, in ogni momento, sono debitoridi una parte delle proprietà alla situazione storica» (1979, trad. it. 216).

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3. La sociologia dello sport in Italia e i nuovi filoni di ricerca

Per quanto riguarda gli studi sociologici italiani che abbiano avutolo sport come focus, soltanto di recente è stato possibile registrare un,seppur timido, fiorire di analisi e ricerche. La prima tematica trattatain modo scientifico è stata quella legata ai gruppi ultrà. Originale, inquesto senso, è stato lo studio di Dal Lago (1990), che applicando glistrumenti dell’analisi etnografica ha offerto una lettura di questa parti-colare realtà che si pone in netta contrapposizione rispetto a quellemaggiormente diffuse, accomunate da una tendenza a far rientrare i casiin questione all’interno delle analisi sulle subculture devianti. Piùtradizionale, rispetto a quello di Dal Lago, è l’approccio di Roversi (1990;1992) che riprende le categorie utilizzate da Dunning negli studi sulfenomeno hooligan.

Su un versante politologico si colloca l’analisi di Porro (1995), il qualedescrivendo lo sviluppo del sistema sportivo italiano e le sue peculiaritàindividua nello sport un’arena politica entro la quale vengono fatte oggettodi disputa risorse scarse.

Le analisi più recenti su sport e mass media (Russo 2000) e sulletendenze evolutive dello sport contemporaneo (Porro 2000) si interroganosulle trasformazioni che i giochi sportivizzati hanno già subito e siapprestano a subire in presenza di uno scenario mutato, nel quale interessieconomici e commerciali sempre più pressanti, la riconfigurazione delrapporto fra spettacolo e fruitori e l’abbattimento di ogni limite allaperformance agonistica5 hanno provocato un rivolgimento talmente veloceda rendere obsoleti molti degli strumenti analitici disponibili. Parados-salmente, si potrebbe dire che la sociologia dello sport, mentre cercaancora affannosamente una strutturazione disciplinare e accademica, sitrova già costretta a affrontare una ri-strutturazione concettuale. Cherischia di ritardarne ulteriormente il cammino verso l’acquisizione di unostatus di disciplina a se stante.

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