1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario...

26
- 1 - Stabile organizzazione e credito per le imposte estere Relazione al Convegno “La stabile organizzazione, Milano, 11 e 12 ottobre 2013 Prof. ANGELO CONTRINO Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi”, Milano 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina sul credito per le imposte estere, come disegnata dal legislatore della riforma fiscale del 2003: osservazioni introduttive. Il credito per le imposte estere introdotto nel nostro sistema tributario con la riforma del 1973 in ragione del rivoluzionario passaggio dalla realità alla personalità dell’imposizione è stato profondamente rivisitato dal legislatore della riforma fiscale del 2003, sia per eliminare le criticità e le problematiche, interpretative e applicative, rimaste nell’art. 15 del vecchio T.U., dopo i due interventi “manutentivieffettuati dal momento dellintroduzione dello stesso nel nostro ordinamento 1 ; sia per adeguare il credito per le imposte estere alle nuove esigenze poste dal sistema fiscale riformato, che ha visto l’introduzione di molteplici, nuovi istituti (consolidato nazionale, consolidato mondiale, trasparenza fiscale, ecc.) 2 . Fra le altre innovazioni introdotte con l’art. 165 del nuovo T.U. che, come recita la sua rubrica, accoglie il “Credito d’imposta per i redditi prodotti all’esteroe reca la disciplina generale dell’istituto 3 ve ne sono alcune che specificamente coinvolgono la stabile organizzazione. La prima è quella concernente la nozione di “reddito prodotto all’estero”, che è rilevante per il riconoscimento del diritto di detrazione dei tributi esteri pagati sui 1 Interventi modificativi riguardanti, per lo più, l’articolazione della condizione di reciprocità, introdotta, ab origine, in attuazione della Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825. Per una compiuta ricostruzione dell’evoluzione dell’istituto e dei profili problematici che residuavano dopo i predetti interventi, v. M. INGROSSO, Il credito d’imposta, Milano, 1984, 232 ss. e A. MIRAULO, Doppia imposizione internazionale, Milano, 1990, 108 ss., nonché, in modo specifico per quelli ancora esistenti dopo il secondo, attuato con il Testo Unico del 1986, fra gli altri, A. MANZITTI, Il foreign tax credit, in Operazioni internazionali e fiscalità, Milano, 1987, 19 ss.; C. GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, 443 ss.; B. GANGEMI, Credito d’imposta e redditi esteri, in Commentario al Testo Unico delle imposte sui redditi scritti (Studi in memoria di A.E. Granelli), Roma-Milano, 1990, 51 ss.; A. URICCHIO, Commento sub. Art. 15), in N. D’AMATI, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, 122 ss. F. CROVATO, Il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero (art. 15 t.u.i.r.), in V. UCKMAR e F. TUNDO (a cura di), L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Vol. II, Milano, 2003, 83 ss., e, infine, R. LUPI, Rapporti internazionali e imposte sui redditi: regole interne e convenzionali sull’individuazione degli imponibili e sui criteri di tassazione, in L. CARPENTIERI, R. LUPI e D. STEVANATO, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano, 2003, 142 ss. 2 Come risulta, peraltro, dalla Relazione di accompagnamento al D. Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che si può leggere in Riv. dir. fin., 2004, I, 584 ss. (spec. 625), che fa riferimento, oltre alle esigenze di adeguamento indicate nel testo e risultanti expressis verbis dall’art. 4, 1° co., lett. l) della Legge delega n. 80/2003, alla necessità di soddisfare “una più generale esigenza di aggiornamento” dell’istituto. Sulle problematiche di costituzionalità delle diverse innovazioni e, più in generale, per la disamina del nuovo credito per le imposte assolte all’estero, come delineato da quest’ultima riforma, sia consentito il rinvio ad A. CONTRINO, Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino, 2012, 5 ss., ma si vedano, altresì, gli Autori citati alle pagg. 7-8, nota 11. 3 La disciplina generale è integrata da disposizioni particolari collocate all’interno di vari istituti, vecchi e nuovi, che richiamano espressamente l’art. 165 o ne contemplano comunque l’applicazione, come il consolidato mondiale (art. 136), la cd. “CFC rule” (art. 167) e – a seguito delle modifiche apportate dal d. lgs. 18 novembre 2005, n. 247, correttivo dell’Ires – il consolidato nazionale (art. 118).

Transcript of 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario...

Page 1: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 1 -

Stabile organizzazione e credito per le imposte estere

Relazione al Convegno “La stabile organizzazione”, Milano, 11 e 12 ottobre 2013

Prof. ANGELO CONTRINO

Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi”, Milano

1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina sul credito per le imposte

estere, come disegnata dal legislatore della riforma fiscale del 2003: osservazioni

introduttive. – Il credito per le imposte estere – introdotto nel nostro sistema tributario

con la riforma del 1973 in ragione del rivoluzionario passaggio dalla realità alla

personalità dell’imposizione – è stato profondamente rivisitato dal legislatore della

riforma fiscale del 2003, sia per eliminare le criticità e le problematiche, interpretative

e applicative, rimaste nell’art. 15 del vecchio T.U., dopo i due interventi

“manutentivi” effettuati dal momento dell’introduzione dello stesso nel nostro

ordinamento1; sia per adeguare il credito per le imposte estere alle nuove esigenze

poste dal sistema fiscale riformato, che ha visto l’introduzione di molteplici, nuovi

istituti (consolidato nazionale, consolidato mondiale, trasparenza fiscale, ecc.)2.

Fra le altre innovazioni introdotte con l’art. 165 del nuovo T.U. – che, come recita la

sua rubrica, accoglie il “Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero” e reca la

disciplina generale dell’istituto3 – ve ne sono alcune che specificamente coinvolgono

la stabile organizzazione.

La prima è quella concernente la nozione di “reddito prodotto all’estero”, che è

rilevante per il riconoscimento del diritto di detrazione dei tributi esteri pagati sui

1 Interventi modificativi riguardanti, per lo più, l’articolazione della condizione di reciprocità,

introdotta, ab origine, in attuazione della Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825. Per una compiuta

ricostruzione dell’evoluzione dell’istituto e dei profili problematici che residuavano dopo i predetti

interventi, v. M. INGROSSO, Il credito d’imposta, Milano, 1984, 232 ss. e A. MIRAULO, Doppia

imposizione internazionale, Milano, 1990, 108 ss., nonché, in modo specifico per quelli ancora

esistenti dopo il secondo, attuato con il Testo Unico del 1986, fra gli altri, A. MANZITTI, Il foreign tax

credit, in Operazioni internazionali e fiscalità, Milano, 1987, 19 ss.; C. GARBARINO, La tassazione del

reddito transnazionale, Padova, 1990, 443 ss.; B. GANGEMI, Credito d’imposta e redditi esteri, in

Commentario al Testo Unico delle imposte sui redditi scritti (Studi in memoria di A.E. Granelli),

Roma-Milano, 1990, 51 ss.; A. URICCHIO, Commento sub. Art. 15), in N. D’AMATI, L’imposta sul

reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, 122 ss. F. CROVATO, Il credito d’imposta per i redditi

prodotti all’estero (art. 15 t.u.i.r.), in V. UCKMAR e F. TUNDO (a cura di), L’imposta sul reddito delle

persone fisiche, Vol. II, Milano, 2003, 83 ss., e, infine, R. LUPI, Rapporti internazionali e imposte sui

redditi: regole interne e convenzionali sull’individuazione degli imponibili e sui criteri di tassazione,

in L. CARPENTIERI, R. LUPI e D. STEVANATO, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano,

2003, 142 ss.

2 Come risulta, peraltro, dalla Relazione di accompagnamento al D. Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che

si può leggere in Riv. dir. fin., 2004, I, 584 ss. (spec. 625), che fa riferimento, oltre alle esigenze di

adeguamento indicate nel testo e risultanti expressis verbis dall’art. 4, 1° co., lett. l) della Legge delega

n. 80/2003, alla necessità di soddisfare “una più generale esigenza di aggiornamento” dell’istituto.

Sulle problematiche di costituzionalità delle diverse innovazioni e, più in generale, per la disamina del

nuovo credito per le imposte assolte all’estero, come delineato da quest’ultima riforma, sia consentito

il rinvio ad A. CONTRINO, Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino, 2012, 5 ss.,

ma si vedano, altresì, gli Autori citati alle pagg. 7-8, nota 11.

3 La disciplina generale è integrata da disposizioni particolari collocate all’interno di vari istituti,

vecchi e nuovi, che richiamano espressamente l’art. 165 o ne contemplano comunque l’applicazione,

come il consolidato mondiale (art. 136), la cd. “CFC rule” (art. 167) e – a seguito delle modifiche

apportate dal d. lgs. 18 novembre 2005, n. 247, correttivo dell’Ires – il consolidato nazionale (art. 118).

Page 2: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 2 -

redditi ivi prodotti e – innestandosi sulla struttura di base, rimasta intonsa,

dell’istituto – anche per il calcolo del quantum di imposte estere accreditabili in

dichiarazione.

Il 2° co. dell’art. 165 eleva, infatti, a redditi esteri che legittimano l’accreditamento e

che vanno conteggiati, in sede di determinazione delle imposte estere detraibili, i

redditi localizzabili all’estero mediante l’utilizzo di “criteri reciproci” a quelli previsti

dall’art. 23 del T.U. per la localizzazione in Italia dei redditi prodotti dai soggetti non

residenti. Donde la rilevanza della stabile organizzazione all’estero, per i soggetti

residenti, ai fini del riconoscimento e della determinazione del credito per le imposte

assolte all’estero su: (i) redditi d’impresa derivanti da attività ivi esercitate da soggetti

residenti [lettura simmetrica della lett. e) del 1° co.]; e (ii) redditi di capitale e altre

fattispecie reddituali (pensioni, assegni, taluni redditi assimilati a quelli di lavoro

dipendente, royalties, ecc.) corrisposti dalla stessa a soggetti residenti [lettura

simmetrica delle lett. da a) a d) del 2° co.].

La seconda è l’innovazione riguardante il “momento” di accreditamento delle imposte

assolte all’estero, che è stato individuato, come regola generale, nella dichiarazione

relativa al periodo di imposta in cui il reddito di fonte estera concorre a formare

l’imponibile italiano, purché la “definitività” sopraggiunga prima della data di

presentazione della dichiarazione

Il 5° co. dell’art. 165 prevede, tuttavia, che “per i redditi prodotti all’estero mediante

stabile organizzazione” (oltre che dalle società estere in regime di consolidato

mondiale) la detrazione possa essere effettuata nel periodo d’imposta di competenza,

ossia quello di concorso del reddito estere alla formazione del reddito complessivo,

“anche se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione

della dichiarazione relativa al primo periodo di imposta successivo”. In altre parole,

in caso di produzione del reddito d’impresa mediante una stabile organizzazione

all’estero è consentito, ferma restando la rilevanza del periodo di competenza,

l’allungamento di un anno del termine entro cui deve avverarsi la “definitività” del

pagamento, che continua a essere, come in passato, condizione fondamentale e non

obliterabile di accesso al credito per le imposte estere.

In ragione delle due disposizioni sinteticamente illustrate – che sono le uniche a

richiamare indirettamente, la prima, e direttamente, a seconda, la stabile

organizzazione – è diffusa l’idea che nel contesto della disciplina di cui all’art. 165

del T.U. essa assuma rilevanza soltanto in funzione localizzatrice dei redditi di fonte

estera, doppiando l’analoga funzione dell’art. 23 per i redditi di fonte italiana, e quale

mezzo per l’accreditamento delle imposte assolte all’estero su taluni redditi ivi

prodotti, in primis quelli d’impresa.

Donde la susseguente idea di una rilevanza della stabile organizzazione, nel contesto

della disciplina del credito per le imposte estere, nella declinazione della stabile

organizzazione “estera” di soggetti residenti.

Non è, infatti, infrequente imbattersi in affermazioni – corrette, ma, come vedremo,

parziali – secondo cui la stabile organizzazione consente la concessione del credito

d’imposta in Italia sul reddito estero derivante dalla sua autonoma gestione e la

definizione del parametro del reddito tassabile all’estero cui commisurare il predetto

credito d’imposta.

Ma anche in affermazioni – errate, come vedremo, in tutto o in parte – secondo cui

“qualora non sia ravvisabile una stabile organizzazione nel territorio del contraente

estero, le imposte pagate dall’impresa italiana allo Stato estero non formano credito

Page 3: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 3 -

d’imposta e va richiesto il rimborso allo stesso Stato estero”; o secondo cui l’art. 165

“riguarda le società residenti in Italia e le loro stabili organizzazioni all’estero

relativamente ai redditi ivi prodotti”4.

Limitare, all’interno dell’art. 165, la rilevanza della stabile organizzazione nella sola

ipotesi “estera” è, invero, riduttivo. Ma è, addirittura, sbagliato escludere la stabile

organizzazione nella declinazione “italiana” dalla sfera di applicazione del credito per

le imposte estere.

Ai fini della disciplina sul credito d’imposta la stabile organizzazione svolge, infatti,

un ruolo che va ben oltre la mera localizzazione all’estero dei redditi d’impresa ivi

tassati per i quali si chiede la detrazione: essa si configura, nella sua declinazione

“italiana”, quale fattispecie che determina il sorgere, in capo al soggetto non residente

cui appartiene, di quella particolare situazione giuridica soggettiva che è il diritto di

detrarre in Italia i tributi assolti al fuori dal territorio italiano sui redditi che sono ivi

prodotti, imputabili alla stabile organizzazione e tassati in Italia come reddito

impresa.

2. La stabile organizzazione “italiana” quale fattispecie che fa sorgere, per il non

residente, il diritto di detrarre i tributi assolti all’estero sui redditi ivi prodotti e in

essa confluiti e tassati. – Può dirsi oramai pacifico, essendo rimasta isolata la tesi

contraria5, che la stabile organizzazione non è dotata di soggettività passiva ai fini

delle imposte sui redditi, non essendo “padrona di sé stessa”6 e, per l’effetto,

risultando gli obblighi strumentali e/o sostanziali riferibili al soggetto residente o non

residente cui essa appartiene, nelle ipotesi di stabile organizzazione, rispettivamente,

“estera” ed “italiana”7.

La stabile organizzazione definisce, in via generale, “una parte dell’attività d’impresa

di un soggetto appartenente ad un’altra giurisdizione, priva di soggettività distinta

ancorché dotata di autonomia gestionale e contabile e di forte e duraturo radicamento

sul territorio”8. L’apporzionamento del reddito d’impresa tra le diverse giurisdizioni è

accompagnato dall’allocazione territoriale dello stesso, che è funzionale, nell’ipotesi

di stabile organizzazione “estera”, all’accesso al credito per le imposte pagate sul

reddito d’impresa prodotto all’estero (art. 165, 2° co.) e, nell’ipotesi di stabile

organizzazione “italiana”, a fissare il reddito d’impresa prodotto e tassabile in Italia

quale indice di capacità contributiva individuato dal presupposto dell’imposta.

4 Le affermazioni sono, rispettivamente, di L. CACCIAPAGLIA, Art. 165 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n.

917, in L. ABRITTA, L. CACCIAPAGLIA, V. CARBONE e M. R. GHEIDO, (a cura di), Codice TUIR.

Commentato, Milano, 2011, 2298, e di A. DE LUCA e A. BAMPO, La stabile organizzazione in Italia,

Milano, 2009, 220.

5 V. E. NUZZO, Questioni in tema di tassazione di enti non economici, , in Rass. trib., 1985, I, 129.

6 L’espressione è di G. FRANSONI, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, 375, e ivi nota

137.

7 Cfr., per tutti, nella manualistica, F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino,

2012, 184; A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 312; e, tra le opere e i saggi monografici,

E. DELLA VALLE, Contributo allo studio della stabile organizzazione nel sistema di imposizione sul

reddito (profili di diritto interno), Roma, 2004, 19 ss.; A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e

fattispecie impositive, 1996, 201 ss.

8 Così, A. FANTOZZI, La stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2013, I, 105.

Page 4: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 4 -

Quest’ultima affermazione s’inquadra nell’ambito di quell’autorevole ricostruzione,

ancora oggi valida, che vede nella stabile organizzazione un fenomeno di

organizzazione nell’ambito dell’impresa che acquista rilievo come elemento del

presupposto dell’imposizione9, senza comunque assurgere a centro “autonomo” di

imputazione di situazioni giuridiche, le quali, seppur originate dalla fattispecie stabile

organizzazione, fanno sempre capo – come detto – al soggetto non residente cui

appartiene.

Orbene, se è vero che la stabile organizzazione “italiana” non è centro “autonomo” di

imputazione di situazioni giuridiche, essa è fattispecie che fa comunque sorgere

situazioni giuridiche riferibili al soggetto non residente e, fra queste, vi è senz’altro il

diritto di ottenere l’accreditamento dei tributi pagati in un Paese diverso dall’Italia

(compreso, come vedremo, lo Stato estero di residenza del soggetto cui essa

appartiene) per i redditi che sono stati ivi prodotti dalla stabile organizzazione

“italiana” e che, in quanto a essa imputabili, concorrono alla formazione del reddito

d’impresa tassabile in Italia.

Questa soluzione discende direttamente dalla collocazione dell’art. 165 all’interno del

T.U. e dal coordinamento sistematico delle disposizioni relative ai non residenti

(individui, società ed enti) che disciplinano la misurazione del reddito complessivo

tassabile in Italia.

L’art. 165 – che reca la disciplina generale del credito per le imposte estere – è stato

collocato nel Titolo III, relativo alle “Disposizioni comuni”, Capo II (che costituisce

una novità assoluta del nuovo Testo Unico), dedicato specificamente alle

“Disposizioni relative ai redditi prodotti all’estero ed ai rapporti internazionali”10

:

questa collocazione rende la disciplina sul credito per le imposte estere accessibile

indistintamente ai soggetti passivi dell’Irpef e dell’Ires11

.

Non è il caso di indugiare sulle persone e gli enti che si qualificano come tali nel

sistema dell’imposizione sui redditi, in quanto, se si fa eccezione per l’inserimento

del trust all’interno dell’art. 73 del T.U., le norme di riferimento sono rimaste

pressoché immutate dopo la riforma fiscale del 2003 e i relativi ambiti risultano

oramai compiutamente circoscritti.

E’, invece, opportuno sottolineare che, per effetto di tale collocazione, fra i soggetti

passivi dell’Irpef e dell’Ires ammessi a beneficiare dell’istituto in esame vi sono

anche le persone fisiche non residenti, le società e gli enti commerciali non residenti

9 In questi termini, G. A. MICHELI, Soggettività tributaria e categorie civilistiche, in Opere minori di

diritto tributario, vol. II, Milano, 1982, 330. Osserva G. FRANSONI, La nozione di stabile

organizzazione personale nel diritto interno e la rilevanza della “stabilità” dell’organizzazione, in

Riv. dir. trib., 2002, I, 363 ss. (e spec. 370), che la stabile organizzazione si colloca all’interno “degli

indici rivelatori del particolare legame fra un soggetto e la collettività che giustifica l’affermazione

dell’esistenza in capo al medesimo del dovere di partecipazione alle spese proprie della collettività

medesima, nonché la graduazione del dovere medesimo”.

10 Condivide nel merito tale scelta, pur evidenziando – giustamente – che essa non comporta alcun

particolare stravolgimento strutturale, M. BASILAVECCHIA, Verso il codice, passi indietro; spunti critici

sulla tecnica legislativa nel decreto delegato sull’Ires, in Riv. dir.trib., 2004, I, 90.

11 Il credito per le imposte estere spetta anche per i redditi derivanti dalla partecipazione in un GEIE

non residente nel territorio dello Stato, che concorrono a formare il reddito imponibile del soggetto

passivo residente: il riferimento agli artt. 15 e 92 del vecchio T.U. contenuto nell’art. 11, 6° co., del d.

lgs. n. 240/91, deve intendersi, adesso, all’art. 165 del T.U.

Page 5: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 5 -

e, infine, gli enti non commerciali non residenti, ossia soggetti la cui tassazione è

assisa sul principio dell’imposizione su base territoriale.

La ragione di tale presenza è presto spiegata.

Per tali soggetti l’accesso al credito per le imposte estere è legato all’esercizio di

un’attività commerciale in Italia a mezzo di una stabile organizzazione, la quale, lungi

dal determinare una tassazione strettamente reale, è passibile di accogliere nel reddito

d’impresa imponibile anche redditi prodotti dalla stessa al di fuori del territorio dello

Stato italiano, con riguardo ai quali è possibile chiedere – appunto – il credito per le

imposte assolte estero.

Ed infatti, le disposizioni sulla misurazione del reddito complessivo tassabile dei non

residenti (individui, società ed enti) richiamano, in presenza di una stabile

organizzazione nel territorio dello Stato, le disposizioni della sezione I, capo II del

titolo II (artt. 81 e seg.), e cioè le regole valevoli per la determinazione della base

imponibile di società ed enti commerciali residenti, il cui reddito complessivo –

com’è noto – va computato in base al paradigma dell’utile mondiale12

: in altre parole,

seppur appartenente a un soggetto non residente, la stabile organizzazione è

considerata alla stregua di un “quasi residente”. E non a caso – com’è stato

efficacemente sintetizzato – “la stabile organizzazione determina il reddito d’impresa

avvalendosi di un proprio bilancio e di una propria contabilità, come se si trattasse

non già di una situazione fattuale, bensì di un vero e proprio ente” 13

. Si perviene,

così, allo stesso assetto della disciplina previgente, ove il riconoscimento del credito

per le imposte estere ai non residenti con stabile organizzazione in Italia scaturiva

dalla sistemazione degli artt. 15 e 92 del vecchio T.U. fra le “Disposizioni generali”,

rispettivamente, dell’Irpef e dell’Irpeg.

Non solo i residenti, tassati sui redditi ovunque prodotti nel mondo, hanno dunque il

diritto di detrarre in Italia le imposte assolte all’estero, ma anche i non residenti,

benché tassati su base territoriale, allorquando i redditi prodotti al di fuori del

territorio dello Stato italiano siano imputabili a una stabile organizzazione sita in

Italia e aggregati al reddito d’impresa quivi tassabile: per il non residente, dunque, la

stabile organizzazione “italiana” ha un effetto costitutivo di quella particolare

situazione giuridica, normalmente propria dei residenti, che è il diritto di detrarre le

imposte assolte all’estero sui suddetti redditi.

Tanto chiarito, occorre chiedersi se il credito d’imposta spetti anche per i redditi

prodotti dalla stabile organizzazione “italiana” al di fuori del territorio dello Stato ma

12

Per le persone fisiche non residenti la conclusione indicata nel testo scaturisce dal combinato

disposto degli artt. 3, 23, 1° co., lett. e), e 56 del T.U., disposizione, quest’ultima, che richiama – per

l’appunto – le regole di cui all’art. 81 e seguenti. Per le società e gli enti commerciali non residenti la

soluzione può essere enucleata dall’art. 151 in combinato disposto con il successivo art. 152, 1° co.,

secondo cui “per le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato,

eccettuate le società semplici, il reddito complessivo è determinato secondo le disposizioni della

sezione I del capo II del titolo II”, che, come evidenziato, sono quelle che disciplinano la

determinazione della base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti. Per quanto

concerne gli enti non commerciali non residenti il riferimento è costituito dall’art. 153 in combinato

disposto con l’art. 154, 1° co., il quale sancisce che “il reddito complessivo degli enti non commerciali

è determinato secondo le disposizioni del titolo I”, il quale – come evidenziato trattando delle persone

fisiche non residenti – ai fini della determinazione del reddito d’impresa (art. 56) richiama le

disposizioni dettate per le società e gli enti commerciali residenti.

13 Così, M. BEGHIN, Diritto tributario. Principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza,

Torino, 2011, 239, e ivi nota 21.

Page 6: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 6 -

all’interno del Paese estero di residenza del soggetto cui appartiene, che è titolare di

tale situazione giuridica.

Detto in altre parole, cosa accade, in termini di riconoscimento del credito per le

imposte estere, quando il reddito estero della stabile organizzazione “italiana”

proviene dallo Stato ove il soggetto non residente (la “casa madre”) paga le imposte

secondo il paradigma della tassazione mondiale?

Per l’unico, altro Autore che si è posto il problema14

, nel silenzio dell’art. 165 “la

logica vorrebbe che in questo caso l’Italia non conceda il credito d’imposta perché

dovrebbe spettare allo Stato di residenza eliminare la doppia imposizione

internazionale”.

Questa soluzione non convince.

Ed infatti, proprio perché il reddito di pertinenza della stabile organizzazione in Italia

affonda le sue radici nello Stato estero di residenza della “casa madre”, non si verifica

– dalla prospettiva di quello Stato – nessuna doppia imposizione internazionale da

eliminare e, dunque, il presupposto stesso del credito per le imposte estere, le quali,

sempre da quella prospettiva, non esistono affatto (si tratta di tributi del medesimo

Stato di residenza). In tale caso, considerato che il predetto reddito estero concorre

comunque a formare il reddito d’impresa della stabile organizzazione imponibile in

Italia, non si vede perché il foreign tax credit italiano non debba essere riconosciuto

in sede di dichiarazione dei redditi, essendo la ratio dell’istituto l’eliminazione della

doppia imposizione internazionale. Lo Stato estero di residenza della “casa madre”

dovrà poi concedere, salvo che non sia internamente o convenzionalmente previsto il

criterio dell’esenzione, un credito per le imposte assolte in Italia dalla stessa casa

madre sull’utile d’impresa aggregato nei suoi conti e riassoggettato, per tale via, a

imposizione in capo alla stessa nello Stato di residenza.

3. La stabile organizzazione “estera” quale elemento di “localizzazione” di taluni

redditi prodotti al di fuori del territorio per i quali si chiede il credito d’imposta e i

problemi per i contribuenti “imprenditori”. – La detrazione delle imposte assolte

all’estero è subordinata – secondo l’articolazione tradizionale, ma anche comune,

dell’istituto – al concorso alla formazione della base imponibile del contribuente

residente di un reddito che possa essere qualificato come “reddito prodotto

all’estero”.

Come si è già anticipato all’inizio, tale nozione è definita dal 2° co. dell’art. 165, il

quale – colmando una lacuna che, in vigenza delle precedenti discipline, aveva

provocato notevoli incertezze e reso alquanto difficoltoso l’accesso all’istituto –

sancisce che “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri

reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel

territorio dello Stato”.

In base a questa definizione, un reddito si qualifica come “reddito prodotto all’estero”

quand’è soddisfatto almeno uno dei criteri di collegamento enumerati dal citato art.

23 per le diverse species di reddito: i vari criteri di collegamento, i quali esprimono

differenti tipi di legame reddito-territorio che sono comunque connotati da elementi

di comunanza, sono chiamati a operare in modo simmetrico e contrario,

14

Il riferimento è a S. MAYR, La disciplina del credito d’imposta per i redditi esteri (I), in Boll. trib.

2005, 744-745.

Page 7: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 7 -

configurandosi alla stregua di presunzioni iuris et de iure di produzione del reddito

estero nel territorio dello Stato di origine15

.

Per l’individuazione del criterio di collegamento specularmente applicabile è

rilevante la qualificazione del reddito estero in base alla normativa tributaria

nazionale, e non quella che discende dalla legislazione estera. Laddove, pertanto, il

reddito estero non sia inquadrabile all’interno di alcuna delle categorie reddituali

italiane o delle fattispecie menzionate nell’art. 23, l’imposta assolta all’estero dal

contribuente residente non potrà essere portata in detrazione dal tributo dovuto in

Italia, non configurandosi il predetto reddito come reddito di fonte estera (i.e.

prodotto all’estero) ai sensi del 2° co. dell’art. 165.

Quanto alla stabile organizzazione, nell’ambito dell’art. 23 essa assolve la funzione di

allocazione del reddito nel territorio dello Stato, ancorché con un diverso grado di

consistenza, per un folto numero di redditi, che possono essere aggregati su due poli

in ragione – appunto – della diversa consistenza del collegamento rappresentato dalla

stabile organizzazione.

Il primo assomma i redditi di capitale [lett. b) del 1° co.] e le altre fattispecie

reddituali indicate nel 2° co. [lett. da a) a d)] del citato articolo, ossia le pensioni, gli

assegni, taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, le royalties, ecc., per i

quali la stabile organizzazione (insieme ad altri enti e soggetti) rileva, in funzione

localizzatrice, quale “erogatore” di tali redditi. Il secondo polo è costituto dai redditi

d’impresa [lett. e) del 1° co.], per i quali la stabile organizzazione è elemento

costitutivo della fattispecie di collegamento insieme all’esercizio, per il suo tramite,

di un’attività commerciale fiscalmente rilevante16

,

Orbene, in base al criterio di reciprocità di cui al 2° co dell’art. 165 i redditi di

capitale e gli altri redditi inseriti nel primo gruppo potranno essere considerati

“prodotti all’estero”, consentendo così l’accesso al credito d’imposta, se il pagamento

al percettore residente è stato effettuato, fra gli altri, da una stabile organizzazione

“estera”; dall’altro lato, i redditi d’impresa derivanti da attività svolte fuori dal

territorio dello Stato potranno essere considerati “prodotti all’estero”, ottenendo il

diritto di detrarre le relative imposte estere, se derivano da un’attività d’impresa ivi

esercitata mediante una stabile organizzazione “estera”.

Per i redditi appartenenti al primo gruppo è necessario precisare che, essendo il nesso

di collegamento costituito dal cd. “criterio del pagatore”, il legame rilevante è la mera

15

Secondo la Ris. Ag. Entr., 28 giugno 2007, n. 147, è irrilevante che lo Stato della fonte sia un Paese

“a regime fiscale privilegiato” e privo di una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia,

perché – argomenta l’Agenzia – l’art 165 del T.U. non contempla limitazioni di accesso al credito

d’imposta correlate a tali evenienze, tanto che l’art. 167, 6° co., riconosce ai residenti il credito

d’imposta indiretto per i tributi assolti dalle controlled foreign companies.

16 Come chiosa C. GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, 198, “nei

riguardi dei non residenti, affinché esistano redditi d’impresa, deve esistere la stabile organizzazione;

se essa non esiste, non vi sono redditi d’impresa. Inoltre se detta stabile organizzazione esiste, i redditi

non sono d’impresa se essi non derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante la

stabile organizzazione stessa”. L’esistenza è dunque condizione necessaria ma non sufficiente,

dovendo altresì sussistere un nesso funzionale tra le attività produttive del reddito e la stabile

organizzazione: in mancanza, il reddito è suscettibile di trattamento isolato. Deve potersi ravvisare, in

sostanza, “una precisa funzione attiva svolta dalla stabile organizzazione nella produzione del reddito

(…), e cioè quella che definirei la strumentalità «attiva» della struttura decentrata ai fini della

produzione del reddito”: così, F. GALLO, La stabile organizzazione, in Il diritto tributario nei rapporti

internazionali, in Quad. di Rass. trib., 1986, n. 2, 154-155.

Page 8: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 8 -

localizzazione sul territorio dello Stato estero della stabile organizzazione, e non

anche la residenza della “casa madre”. Agli effetti del 2° co. dell’art. 165, ciò

comporta che un reddito di capitale o un compenso per l’utilizzazione di un brevetto

corrisposto a un contribuente residente da una stabile organizzazione localizzata in un

Paese estero si considera reddito prodotto all’estero anche quando la “casa madre”

dovesse essere residente in Italia, e comporta, altresì, che non possa essere qualificato

come tale il reddito di capitale o il canone di licenza corrisposto al contribuente

residente da una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente (in

quest’ultima ipotesi, fra l’altro, mancherebbe anche l’imposta estera da accreditare).

Il criterio di reciprocità, in base al quale si deve accertare la fonte estera di un

determinato reddito, desta particolari problemi quando il contribuente che chiede il

credito per le imposte estere svolga in Italia un’attività d’impresa, assumendo la veste

di “imprenditore” (e, dunque, anche in caso di stabile organizzazione “italiana” di un

soggetto non residente).

E’ noto che, a prescindere dalla fonte da cui provengono e dalla loro origine

nazionale o estera, i redditi conseguiti in regime d’impresa perdono la loro

individualità e sono considerati redditi d’impresa: si realizza, in buona sostanza, una

riduzione a unità di redditi ontologicamente diversi.

Questa valutazione unitaria e assorbente dei redditi conseguiti dall’imprenditore deve

fare i conti, nel caso di redditi provenienti dall’estero, con il criterio di collegamento

dettato dall’art. 23 per i redditi d’impresa, in ragione del quale – come detto – è

possibile considerare di fonte estera, ai fini dell’accreditamento delle imposte ivi

assolte, i soli redditi d’impresa che derivano da attività esercitate mediante una stabile

organizzazione “estera”

Orbene, se si vuole dare un senso a questo criterio di localizzazione, evitandone la

sterilizzazione per le fattispecie reddituali provenienti dall’estero che possono anche

configurarsi in Italia quali componenti positive del reddito d’impresa, non si può non

ritenere che, ai fini dell’applicazione del 2° co. dell’art. 165, e solo a questi fini17

,

l’unitario reddito d’impresa debba essere scomposto e le singole componenti positive

di origine estera debbano essere inquadrate nella categoria corrispondente alla propria

essenza, così da localizzarle secondo il criterio di collegamento di oggettiva

pertinenza18

.

17

E’ il caso di precisare, fin da subito, che la soluzione interpretativa prospettata nel testo non vale né

per la quantificazione del reddito d’impresa prodotto all’estero dalla stabile organizzazione, né ai fini

della compensazione delle eccedenze d’imposta di cui al 6 co. dell’art. 165: per i motivi di tale

conclusione si rinvia nuovamente all’opera monografica Contributo allo studio del credito per le

imposte estere, cit., 78 ss. e 190 ss.

18 Aderisce alla tesi esposta, già anticipata nel saggio Il credito per le imposte assolte all’estero, in F.

TESAURO (opera diretta da), Imposta sul reddito delle società (IRES), Bologna, 2007, 1042, anche G.

MELIS., Art. 165 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in, Commentario breve alle leggi tributarie.

Tomo III. TUIR e leggi complementari (a cura di A. FANTOZZI), Padova, 2011, 809. Contra Gianl.

MARINI, La riforma del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, in R. ESPOSITO e F.

PAPARELLA (a cura di), La nuova imposta sul reddito delle società. Atti del Convegno, Napoli, 2006,

260-262, secondo cui “la norma dovrebbe essere interpretata nel senso più comune e conforme alla sua

lettera, e cioè che il credito d’imposta spetti esclusivamente per i redditi derivanti da attività effettuate

medianti stabili organizzazioni all’estero”. In tale senso anche A. M. GAFFURI, La tassazione dei

redditi di impresa prodotti all’estero, Milano, 2008, 107 ss., il quale non manca, tuttavia, di

sottolinearne gli effetti distorsivi rispetto ai principi costituzionali e generali interni, ma anche sul

piano europeo e dei rapporti giuridici internazionali.

Page 9: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 9 -

E’ in altri termini necessario procedere – ai fini della localizzazione, e, lo si ripete,

solo a questi fini – al cd. trattamento isolato delle fattispecie reddituali provenienti

dall’estero e confluite nel reddito d’impresa del soggetto, ente o stabilimento fisso

localizzato in Italia (i.e. dell’individuo o dell’ente non commerciale residente, della

società o ente commerciale residente ovvero della stabile organizzazione in Italia di

un soggetto non residente).

Così, la natura di reddito prodotto all’estero di dividendi, interessi e royalties oggetto

di tassazione isolata nello Stato della fonte, e costituenti componenti positivi del

reddito d’impresa nel nostro Paese, deve essere verificata sulla scorta dei criteri di

collegamento di cui al 1° co., lett. b) e 2° co., lett. c) dell’art. 23. Egualmente, un

reddito oggettivamente d’impresa realizzato in un altro Paese, e ivi assoggettato a

prelievo, si configura quale reddito di fonte estera, agli effetti dell’art. 165, se, e solo

se, è stato prodotto mediante una stabile organizzazione “estera”19

, con conseguente

impossibilità, in mancanza, di recuperare in Italia il tributo assolto all’estero. In

quest’ultimo senso si è espressa di recente anche la prassi, che ha negato la possibilità

di accreditare in Italia una ritenuta d’imposta prelevata in Kazakistan sul volume

d’affari, e correlata allo svolgimento in loco di un’attività d’impresa, sul presupposto

che non fosse configurabile l’esistenza di una stabile organizzazione per difetto del

requisito temporale specificamente previsto dalla Convenzione fiscale Italia-

Kazakistan20

.

E’ appena il caso di precisare che siffatta conclusione – vale a dire la necessaria

presenza nello Stato della fonte di una stabile organizzazione per considerare

localizzato e, dunque, prodotto all’estero un reddito oggettivamente d’impresa – non

è inficiata dal fatto che il 6 co° dell’art. 165 non richieda il medesimo requisito ai fini

del riporto delle eccedenze d’imposta.

Le due cose sono distinte. Ed infatti, per i redditi oggettivamente d’impresa non

realizzati all’estero mediante una stabile organizzazione non si pone alcun problema

di riporto delle eccedenze, essendo i tributi assolti all’estero indetraibili per difetto di

uno dei presupposti di accesso all’art. 165. Per altro verso, la mancata previsione di

tale condizione ai fini del riporto delle eccedenze fa sì che pure le imposte assolte

nello Stato della fonte su redditi isolati, e costituenti in Italia componenti positivi del

reddito d’impresa, possano generare eccedenze recuperabili mediante il meccanismo

di riporto delle eccedenze d’imposta Del resto, com’è stato osservato21

, “ove si

acceda alla tesi della irrilevanza in funzione localizzatrice, in via di principio, della

stabile organizzazione estera, il primo comma dell’art. 23, in parte qua (ossia per i

redditi d’impresa prodotti all’estero), costituirebbe una norma inutiliter data”.

19

Sembra accogliere la tesi della localizzazione dei redditi esteri in base al criterio di collegamento di

oggettiva pertinenza, ma ne nega, poi, l’applicabilità alla categoria del reddito d’impresa, per le

iniquità e incongruenze che si verrebbero a determinare, G. PIZZITOLA, Per il credito d’imposta contro

le doppie imposizioni i redditi sono “prodotti all’estero” secondo i criteri italiani?, in Dial. trib.,

2011, 696 ss. Si osserva, tuttavia, che il rinvio operato dall’art. 165, 2 ° co., è generalizzato e non

lascia margini per ritagliare soluzioni interpretative ad hoc per la sola categoria del reddito d’impresa.

20 Cfr. Ris. Ag. Entr. 3 luglio 2008, n. 277/E, ove, considerata l’assenza di potestà impositiva da parte

del Kazakistan con riguardo ai redditi d’impresa ivi prodotti, si è correttamente concluso che “la

ritenuta fiscale subita dal contribuente è stata effettuata in assenza dei presupposti richiesti dalla

convenzione e, di conseguenza, la società deve chiedere il rimborso alle Autorità estere di quanto

indebitamente pagato”

21 Cfr. E. DELLA VALLE, Contributo allo studio, op. cit., 29.

Page 10: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 10 -

4. (Segue). Le problematiche interpretative di taluni nessi di collegamento per le

stabili organizzazioni “italiane”, le distorsioni applicative del nesso della stabile

organizzazione “estera” per i residenti e il possibile ausilio delle Convenzioni contro

le doppie imposizioni. – La scelta di utilizzare il “criterio di reciprocità”, ai fini della

localizzazione all’estero del reddito per il quale il contribuente chiede il credito per le

imposte estere, è fonte di problematiche interpretative ma anche di distorsioni

applicative se la si guarda, e valuta, con la lente della ratio dell’art. 165, che – come

già evidenziato – è la neutralizzazione della doppia imposizione internazionale (nella

sua duplice veste giuridica ed economica)22

.

E non potrebbe essere diversamente, posto che la soluzione di “piegare” i criteri di

collegamento di cui all’art. 23 del T.U. all’assolvimento di una funzione di mera

localizzazione dei redditi esteri, nella prospettiva dell’accreditamento dei tributi

assolti all’estero (e, in via mediata, dell’eliminazione della doppia imposizione

internazionale), mal si concilia col fatto che la selezione di tali criteri avviene in vista

dell’individuazione di un ragionevole legame della ricchezza col territorio dello Stato

che giustifichi, ex art. 53 Cost., l’assoggettamento a prelievo del non residente23

; ma

anche in ragione di precise scelte di politica fiscale, quali, ad esempio, la promozione

degli investimenti esteri, la concreta possibilità di controllo, la tutela dell’interesse

erariale, ecc., che portano sovente a mitigare o accentuare l’intensità dei legami

espressi dai criteri di collegamento, se non addirittura a sterilizzare il legame e,

dunque, il criterio stesso.

Le problematiche interpretative, dianzi accennate, si pongono in particolare per le

esclusioni contemplate dal 1° co., lett. f) dell’art. 23, che si traducono in una

presunzione assoluta di extraterritorialità dei redditi interessati24

, che ben possono

essere conseguiti all’estero – per quanto di nostro interesse – anche da stabili

organizzazioni “italiane” di soggetti non residenti.

Ed infatti, in conseguenza di tale connotazione l’applicazione sic et simpliciter della

reciprocità, postulata dal 2° co. dell’art. 165, comporta che gli interessi e gli altri

proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali detenuti presso istituti

esteri non possano essere considerati prodotti nel territorio dello Stato ove risiedono

gli stessi istituti, valendo – per l’appunto – in senso inverso la presunzione di

22

Le ragioni di questa conclusione, contraria alla comune opinione secondo cui il credito per le

imposte estere sarebbe deputato a contrastare solo la doppia imposizione giuridica internazionale anche

nel nuovo contesto dell’art. 165, sono illustrate nell’opera monografica, Contributo allo studio del

credito per le imposte estere, cit., 15 ss.

23 Cfr. F. MAFFEZZONI, Il principio di capacità contributiva nel diritto finanziario, Torino, 1970, 23; F.

MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 21; G.C. CROXATTO,

L’imposizione, op. cit., 33, e, più di recente, L. PERRONE, Enti non residenti ed imposizione fiscale in

Italia, in Riv. dir. trib. int., 2001, 107 ss. Pur nell’ambito della teoria del tributo come emanazione

della sovranità o della supremazia dello Stato, la stessa esigenza era stata sottolineata da E. VANONI,

Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, in Opere giuridiche, t. I, Milano, 1961, 83-85; ma v.

anche B. GRIZIOTTI, Divergenti casi di interessi passivi, pagati a banche estere tassabili oppure

deducibili dall’imposta di R.M., in Riv. dir. fin., 1937, I, 73 ss., il quale attribuiva ai criteri di

collegamento il significato di indici espressivi dell’appartenenza allo Stato e distingueva fra le diverse

forme di appartenenza, economica, sociale e politica. Per una completa indagine sui ragionevoli nessi

di collegamento in grado di limitare l’universalità della potestà impositiva, da ultimo, R. CORDEIRO

GUERRA, I limiti alla potestà impositiva ultraterritoriale, in Riv. trim. dir. trib., 2012, n. 1, 31 ss.

24 Le esclusioni sono state introdotte con l’art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 21 luglio 1999, n. 259.

Page 11: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 11 -

extraterritorialità [1° co., lett. b)]. Lo stesso dicasi per le plusvalenze derivanti dalla

cessione di partecipazioni non qualificate in società non residenti quotate e per quelle

derivanti dalla cessione o rimborso di attività finanziarie, titoli obbligazionari, e

similari, nonché per i redditi derivanti da contratti derivati conclusi in mercati

regolamentati [1° co., lett. f), nn. 1, 2 e 3].

In tutti questi casi, l’accreditamento in Italia delle imposte assolte su tali redditi nel

Paese estero (di norma, sotto forma di ritenuta alla fonte o di imposta sostitutiva) è

automaticamente negato e la stabile organizzazione “italiana”, al pari dei contribuenti

residenti in Italia, è costretta a subire un’altrettanta automatica duplicazione del

prelievo.

Un simile effetto risulta inaccettabile. Le esclusioni sono ispirate a ragioni di politica

fiscale che prescindono dall’assenza di effettivi legami reddito-territorio delle

fattispecie interessate25

. Ora, se ciò vale a giustificare la prevista extraterritorialità dei

redditi astrattamente tassabili in Italia, appare alquanto irrazionale che la scelta

compiuta dal legislatore fiscale finisca col riverberarsi negativamente su stabili

organizzazioni “italiane” e, più in generale, contribuenti residenti che ottengono i

medesimi redditi all’estero, impedendo la localizzazione nello Stato della fonte di

redditi che sarebbero ivi localizzati in applicazione degli ordinari criteri di

collegamento previsti dalle medesime lettere b) e f) dell’art. 23, con l’effetto di

generare una doppia imposizione internazionale che rappresenta la negazione della

ratio della disciplina del credito d’imposta.

Sulla scorta di questi rilievi – e tenuto conto dell’orientamento oramai diffuso anche

in ambito tributario, che riconosce come legittimo il disvelamento dell’effettiva

portata di una disposizione mediante il necessario e concorrente ricorso ai criteri

letterali e logico-funzionale26

– pare sostenibile l’ipotesi interpretativa secondo cui la

reciprocità dei nessi di collegamento di cui all’art. 23 debba intendersi riferita ai soli

criteri ordinari ivi enumerati, ma non anche alle esclusioni, tanto più che solo i criteri

di collegamento – per così dire – “positivi” esprimono effettivamente quel legame

reddito-territorio (in termini oggettivi o in via presuntiva) che permette al 2° co.

dell’art. 165 di assolvere ai propri compiti di localizzazione (o meno) di un reddito

estero nello Stato di origine.

Le distorsioni applicative si ricollegano, invece, all’intensità del legame contemplato

da taluni criteri di territorialità, che, ove maggiore rispetto a quella del criterio di

collegamento adottato nello Stato della fonte del reddito, produce inesorabili effetti di

doppia tassazione internazionale.

Il problema è di nostro interesse, ponendosi soprattutto per i redditi di impresa che –

come si è visto – si considerano prodotti al di fuori del territorio dello Stato, in base al

criterio di reciprocità, se l’attività è ivi svolta per il tramite di una stabile

organizzazione “estera”.

Come già osservato, per l’individuazione del nesso di collegamento specularmente

applicabile è rilevante la qualificazione del reddito estero in base alla normativa

italiana, e non quella che discende dalla legislazione estera: ciò comporta, quanto ai

25

E’ sufficiente, in merito, rinviare alla Circ. Min., 26 dicembre 1999, n. 207/E, par. 1.

26 Per approfondimenti, G. MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 27 ss.

Page 12: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 12 -

redditi d’impresa, che la sussistenza della stabile organizzazione “estera” debba

essere accertata in base alla normativa interna e/o convenzionale27

.

Da ciò deriva che ogniqualvolta il criterio di collegamento dello Stato della fonte

richieda, per localizzare il reddito sul territorio, un legame meno intenso della

presenza di una stabile organizzazione (ad esempio, il semplice svolgimento in loco

di un’attività commerciale o, ancora meno, la mera corresponsione da parte di un

soggetto residente del compenso per la prestazione resa dall’imprenditore italiano),

risultando così più rigoroso di quello interno, il criterio di reciprocità contemplato dal

2° co. dell’art. 165 non consente di qualificare il reddito oggettivamente d’impresa

come prodotto all’estero.

Lo stesso accade quando il criterio di territorialità del Paese estero è incentrato sulla

stabile organizzazione, ma la relativa nozione risulta meno stringente di quella

delineata dalla normativa italiana e, dunque, più facile da integrare (ad esempio,

l’elemento temporale per i cantieri di montaggio o di installazione è inferiore ai tre

mesi), senza che possa essere di ausilio, quanto ai requisiti necessari per configurarne

l’esistenza, l’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa col Paese

estero.

Due considerazioni a margine.

La prima è che, sulla scorta della ricostruzione effettuata, deve ritenersi superato il

vecchio orientamento della prassi che riconosceva, vigenti le pregresse discipline, il

credito per le imposte pagate in Paesi esteri sui ricavi ivi prodotti con attività svolte in

assenza di una stabile organizzazione (il pronunciamento riguardava la vecchia taxe

forfetaire applicabile in Algeria sui redditi derivanti da attività commerciali svolte

temporaneamente in loco da soggetti non residenti)28

; orientamento, questo,

legittimante l’accreditamento anche delle ritenute alla fonte subite all’estero dalle

imprese residenti sui corrispettivi per prestazioni di servizio rese al soggetto estero

27

Sulla nozione interna di stabile organizzazione di cui all’art. 162 del T.U., e per i rapporti tra questa

e le singole nozioni convenzionali, L. PERRONE, La stabile organizzazione, in Rass. trib., 2004, 796

ss.; A. M. GAFFURI, Il concetto di stabile organizzazione nella riforma delle imposte sui redditi, in

TributImpresa, 2004, 5 ss.; E. DELLA VALLE, Contributo allo studio, op. cit., 64 ss. e ID., La stabile

organizzazione, in TESAURO (opera diretta da), op.cit., 912 ss.

28 Trattasi della Ris. Min., 21 aprile 1983, n. 9/2540, che ha avuto grande eco per il fatto di aver

riconosciuto la sussumibilità nei tributi esteri accreditabili di un prelievo sostitutivo delle ordinarie

imposte sui redditi, rettificando le conclusioni raggiunte nella precedente Ris. Min., 12 marzo 1979, n.

9/146, ove, negata la riconducibilità all’interno delle imposte estere accreditabili, il tributo era stato

assimilato a un costo di produzione del reddito estero deducibile ai fini fiscali nel nostro Paese. Questa

conclusione non dovrebbe essere più possibile per l’attuale taxe forfetaire algerina, anche a prescindere

dal fatto che il 2° co. dell’art. 165 richieda per i redditi d’impresa l’esistenza all’estero di una stabile

organizzazione (il vincolo, infatti, potrebbe essere superato mediante il ricorso all’art. 24 della

Convenzione italo-algerina), in quanto, per il corrispondente tributo esistente oggi, l’art. 156, 2° co. del

“Codice delle imposte dirette e dei tributi assimilati” sancisce che il prelievo forfetario, oltre a essere

sostitutivo dell’Impot sur le Bénéfices des Sociétés (IBS), “couvre la taxe sur l'activité professionnelle

et la taxe sur la valeur ajoutée”, tributo, quest’ultimo, che non è certo assimilabile alle imposte sui

redditi. Più permissiva è, tuttavia, la posizione della prassi, che in un altro caso di prelievo estero

forfetario di carattere “misto”, e cioè sostitutivo anche di tributi diversi da quelli sui redditi (si trattava,

in ispecie, del Prélèvement fiscal global forfaitaire, applicato in Tunisia, sostitutivo non solo le

imposte dirette, ma anche quelle indirette, presenti e future, e i diritti doganali), ha ammesso la

possibilità di una “assimilabilità” parziale o pro-quota, con possibilità di accreditare la parte

dell’imposta forfetaria proporzionalmente riferibile ai soli tributi sostituiti aventi carattere reddituale

(nella specie si trattava dell’Impòt sur les sociétés: cfr. Ris. Ag. Entr. 7 marzo 2008, n. 83/E).

Page 13: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 13 -

direttamente dall’Italia. Tanto sembra trovare conferma nel recente pronunciamento

di prassi riguardante il Kazakistan – già richiamato – con cui l’Agenzia delle Entrate

ha negato l’accreditamento in Italia di un’imposta sul volume d’affari ivi pagata a

fronte dello svolgimento di un’attività di impresa in loco senza l’esistenza di una

stabile organizzazione, neanche in base ai requisiti previsti dal relativo Trattato

fiscale29

. La seconda considerazione, strettamente collegata alla prima, attiene al

fatto che il criterio di reciprocità di cui al 2° co. finisce per vincolare gli imprenditori

residenti – che esercitano attività commerciali all’estero – a operare in loco mediante

una stabile organizzazione, essendo precluso in caso contrario l’accesso al foreign tax

credit, e ciò anche nelle ipotesi in cui l’imposizione ordinaria dovesse essere

maggiore del prelievo alla fonte o sostitutivo previsto sui redditi oggettivamente

d’impresa conseguiti senza stabile organizzazione.

Le illustrate problematiche interpretative e le distorsioni applicative sono in principio

superabili, unitamente all’effetto di duplicazione del prelievo di cui sono latrici, in

presenza di una Convenzione internazionale.

Se si legge l’art. 23B del Modello Ocse sul credito d’imposta, ma anche se si

consultano i corrispondenti articoli della maggior parte delle Convenzioni fiscali

concluse dall’Italia (la cui formulazione è parzialmente diversa), è immediato notare,

infatti, che la clausola pattizia non reca – in entrambi i casi – alcuna definizione del

concetto di reddito prodotto all’estero, né subordina l’accesso al foreign tax credit

all’accertamento di tale qualità per la ricchezza tassabile proveniente dall’altro Stato

contraente, ma si limita a richiedere che il reddito risulti imponibile e sia stato

effettivamente tassato in tale Stato in conformità alle disposizioni convenzionali30

.

Donde la conclusione che la norma pattizia sul credito d’imposta, ove conforme alla

“clausola modello” dell’art. 23B o al “modello di clausola” enucleabile dai Trattati

fiscali conclusi dall’Italia, consente in principio l’accreditamento nel nostro Paese

anche delle imposte straniere assolte su redditi che, pur avendo un’origine estera, non

possono essere qualificati come redditi prodotti all’estero ai sensi del 2° co. dell’art.

165.

La rassegnata soluzione poggia sul presupposto che il coordinamento delle norme

interna e convenzionale in materia di foreign tax credit sia configurabile non in

termini di mera prevalenza della seconda sulla prima, bensì come rapporto di

complementarietà di tipo integrativo con esclusione delle c.d. “integrazioni negative”,

intendendo per tali tutte le regole di dettaglio previste dalla disciplina interna che

comportano, da un lato, la negazione del diritto di detrazione spettante al contribuente

residente nello Stato contraente (con violazione dell’obbligo convenzionale di

concedere il credito d’imposta e del correlato impegno assunto nei confronti dell’altro

29

Cfr. Ris. Ag. Entr. 3 luglio 2008, n. 277/E, cit.

30 In via generale, la formula dell’art. 23B del Modello Ocse sul credito per le imposte estere si

connota per una spiccata semplicità, che comporta una maggiore flessibilità applicativa dell’istituto,

limitandosi a fissare il solo limite generale di detrazione dei tributi esteri con un principio che –

sebbene enunciato letteralmente in modo differente – è in buona sostanza analogo a quello scolpito nel

1° co. dell’art. 165 del T.U. (la quota di imposta italiana proporzionalmente corrispondente al “peso”

del reddito di fonte estera sul reddito imponibile). Le corrispondenti disposizioni delle Convenzioni

fiscali concluse dall’Italia – quand’anche in via di principio conformi alla struttura generale della

“clausola modello” – risultano più aderenti alla formulazione letterale dell’art. 165 e, in ispecie,

rimarcano la necessità del concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo,

condizione, questa, che non è palesata – almeno nei termini considerati – nella “clausola modello”..

Page 14: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 14 -

Stato contraente) e il manifestarsi di una duplicazione del prelievo contraria allo

scopo primario delle Convenzioni fiscali (con violazione dell’essenza stessa

dell’Accordo concluso con lo Stato della fonte)31

.

5. Le regole applicabili, ai fini del credito d’imposta, per il computo del reddito

d’impresa derivante da una stabile organizzazione “estera” di un residente (reddito

prodotto all’estero) e da una stabile organizzazione “italiana” di un non residente

(reddito complessivo). – Pur attribuendo alla stabile organizzazione “estera” la

funzione di localizzazione dei redditi derivanti da un’attività commerciale svolta

all’estero, il legislatore fiscale della riforma non ha chiarito se i redditi d’impresa

“prodotti all’estero” (ma lo stesso dicasi per gli altri redditi che si qualificano come

tali ai sensi del già citato 2° co. dell’art. 165) debbano essere conteggiati in base alla

normativa fiscale dello Stato della fonte ovvero in base alla regole del T.U.

Nel silenzio, quest’ultima soluzione va prediletta.

Il 10° co. dell’art. 165 prende in considerazione l’ipotesi che “il reddito prodotto

all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo”, per

sancire una corrispondente limitazione del tributo estero detraibile, ma evidenziando,

altresì, che, ai fini della determinazione del reddito imponibile costituente

denominatore del rapporto frazionario, il reddito estero va quantificato secondo i

criteri previsti dalle norme tributarie italiane. E la medesima soluzione vale anche per

il numeratore del rapporto, che ospita il solo reddito di fonte estera32

, essendo

determinante, in questo caso, l’esigenza di un’omogeneità dei termini del rapporto

frazionario. Ed infatti, se quest’ultimo comporta un raffronto tra il reddito prodotto

all’estero (numeratore) e il reddito complessivo (denominatore), il reddito estero non

può che essere inteso, in un accezione tecnica, come fattispecie reddituale che

confluisce, in base alle regole prevista dalla normativa fiscale italiana, nella base

imponibile. Peraltro, se si sposa la diversa soluzione del recepimento dei valori di

origine, il risultato del rapporto non esprime più il “peso” effettivo del reddito estero

sul reddito complessivo, e conseguentemente la porzione di imposta italiana lorda,

che costituisce il limite generale di credito d’imposta, non rappresenta più la quota

attribuibile al medesimo reddito estero (perché l’imposta italiana lorda è calcolata sul

reddito complessivo, che comprende anche il reddito estero, determinato secondo le

regole interne)33

.

31

Per l’analitica illustrazione degli argomenti a sostegno della tesi di cui nel testo è stata riportata la

conclusione si rinvia all’opera monografica Contributo allo studio del credito per le imposte estere,

cit., 35 ss.

32 Se il reddito estero rideterminato secondo la normativa fiscale italiana è pari a zero o negativo, le

imposte pagate nello Stato della fonte non saranno accreditabili. Questa conclusione, che discende dal

rapporto di cui al 1° co. dell’art. 165, ha una sua giustificazione logico-sistematica: se il reddito estero

è pari a zero, o negativo, vuol dire che su tale reddito non sono state pagate imposte in Italia e che,

dunque, non vi è alcuna doppia imposizione internazionale da sterilizzare. Nel nuovo assetto le

predette imposte costituiscono, comunque, eccedenza d’imposta estera recuperabile se, e nella misura

in cui, trovino copertura in eccedenze di segno opposto negli otto periodi d’imposta precedenti o

successivi, ma soltanto per i contribuenti imprenditori.

33 Ciò è particolarmente evidente in caso di imposizione ordinaria con aliquota proporzionale, com’è

nell’Ires, ove il risultato che discende dall’applicazione della formula di cui al 1° co. dell’art. 165

coincide con quello derivante dall’applicazione dell’aliquota d’imposta al reddito estero latore del

diritto di detrazione delle imposte estere.

Page 15: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 15 -

Una conferma in tale senso sembra potersi ricavare da un pronunciamento di prassi in

materia di credito d’imposta riguardante proprio il reddito d’impresa prodotto

mediante una stabile organizzazione “estera”, ove è stato affermato che “le modalità

di determinazione degli imponibili da sottoporre a tassazione nei due Paesi sono

autonome, in quanto dipendono dai rispettivi regimi nazionali (…). Tenuto conto che

può essere diversa nei due Stati la determinazione della base imponibile di una

medesima stabile organizzazione e, dunque, possono essere disarmoniche le imposte

di periodo di volta in volta applicate, il comma 6 dell’art. 165 consente alle imprese

di riportare le eccedenze di imposta in avanti e all’indietro per otto periodi di

imposta”34

.

Da questa affermazione si evince che in sede di determinazione del foreign tax credit

il reddito prodotto all’estero mediante stabile organizzazione debba essere

quantificato seguendo la via della misurazione separata (o, se si vuole, della

determinazione aggregata)35

: del resto, com’è stato osservato, “se (…), per quanto

riguarda la stabile organizzazione italiana di soggetto non residente la determinazione

separata del relativo reddito si ricava (anche) dall’art. 23, comma 1, lett. e), del Tuir,

non vi sono ragioni per ritenere diversamente con riferimento alla stabile

organizzazione estera di soggetto residente considerato che la disciplina del credito

d’imposta (…) si basa su criteri di localizzazione delle fattispecie reddituali che sono

assolutamente speculari rispetto a quelli di cui al predetto art. 23, comma 1, lett. e)”36

.

In ragione del 2° co. dell’art. 165, che prevede tale criterio di reciprocità, la nozione

di reddito prodotto all’estero muove sempre dall’ordinamento italiano e le relative

regole di determinazione non possono non essere quelli propri del sistema fiscale

nazionale, come non ha mancato di chiarire di recente anche la prassi con riguardo ai

redditi di lavoro dipendente prestato all’estero nel rispetto delle condizioni previste

dall’art. 51, co. 8-bis, del T.U, ossia quelli che sono tassati in Italia su base

convenzionale37

.

Da quanto detto fino ad adesso a proposito delle regole applicabili per la

determinazione del reddito d’impresa “estero”, e il suo concorso alla formazione del

reddito complessivo del soggetto residente, è già chiaro che il reddito d’impresa

prodotto da una stabile organizzazione “italiana” di un soggetto non residente debba

essere determinato, anche ai fini del computo delle imposte estere da accreditare, in

base alla normativa del T.U.

Il reddito complessivo è una nozione codificata, seppur mutevole in ragione della

natura del soggetto passivo. E nel caso di soggetti non residenti che operano mediante

34

Si esprime in questi termini la Ris. Ag. Entr., 1 giugno 2005, n. 69/E.

35 Sullo spinoso problema della quantificazione su base aggregata o disaggregata in capo alla casa

madre residente del reddito prodotto dalla stabile organizzazione estera, v. G. FRANSONI, La

determinazione del reddito delle stabili organizzazioni, in Rass. trib., 2005, 84 ss.; e A. M. GAFFURI,

La determinazione del reddito della stabile organizzazione, in Rass. trib., 2002, 87 ss., cui si rinvia

anche per la ulteriore bibliografia.

36 Così, E. DELLA VALLE, Contributo allo studio, cit., 142. Vigente l’art. 15 del vecchio T.U., a favore

della quantificazione separata del reddito della stabile organizzazione estera, ai fini dell’individuazione

del reddito estero rilevante per il calcolo del credito d’imposta, si era già espresso G. ZIZZO, Regole

generali sulla determinazione del reddito d’impresa, in F. TESAURO (a cura di), Giuri. sist. dir. trib..

L’imposta sul reddito delle persone fisiche, t. II., Torino, 1994, 576.

37 Il riferimento è alla Ris. Ag. Entr., 8 luglio 2013, n. 48/E.

Page 16: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 16 -

stabile organizzazione “italiana” (al pari di quanto accade per le società e gli enti

commerciali residenti in Italia) esso è costituito dal reddito d’impresa, quale

contrapposizione dei componenti reddituali positivi e negativi rilevanti secondo le

regole fiscali (in base al meccanismo di cui all’art. 83): si tratta di una grandezza di

sintesi che è determinata secondo le norme tributarie italiane e che accoglie, in via

mediata o immediata, le spese sostenute per la produzione dei vari elementi di reddito

(salve poche eccezioni), tanto se di origine interna quanto se di fonte estera, e assorbe

i risultati negativi in qualsiasi modo e ovunque prodottisi.

Per essere “rilevante”, ai fini della determinazione del credito per le imposte estere, il

reddito complessivo, così determinato, va considerato – come precisa il 1° co.

dell’art. 165 – “al netto delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in

diminuzione”, donde l’obbligo, nel caso della stabile organizzazione “italiana”, di

ridurne l’ammontare nella misura corrispondente38

.

Questa precisazione costituisce una novità assoluta dell’art. 165, essendo la soluzione

adottata dalla precedente disciplina (addirittura) di segno contrario, ed è legata alla

previsione, nel nuovo contesto normativo, del meccanismo di riporto delle eccedenze

d’imposta estere di cui al 6° co. dell’art. 165, il quale, ancorché il dato testuale sia di

segno contrario, non può che trovare applicazione – per i motivi infra spiegati –

anche alle stabili organizzazioni “italiane” di soggetti non residenti.

La ragione del collegamento è subito spiegata. Anche se il reddito complessivo deve

essere depurato delle perdite pregresse, l’incapienza della quota di imposta italiana –

che si manifesta per effetto di perdite pregresse che riducono o azzerano il reddito

complessivo39

– non determina più la definitiva irrecuperabilità delle imposte estere

eccedentarie. Ed infatti, il riporto consente l’utilizzo, quale credito d’imposta

immediato (riporto all’indietro) o futuro (riporto in avanti), dei tributi assolti

all’estero che risultano, in un dato periodo, superiori alla quota di imposta italiana

relativa al reddito estero di riferimento. Nel nuovo sistema l’effettiva misura del

credito per le imposte estere è legata, dunque, all’ammontare delle imposte italiane

che sono dovute per il medesimo reddito estero nell’arco di più periodi di imposta

(quello di riferimento, gli otto precedenti e gli otto successivi), potendosi determinare,

in uno o più periodi, eccedenze d’imposta italiana che determinano la trasformazione

delle eccedenze d’imposta estera in un nuovo credito che va ad aggiungersi a quello

ordinario già detratto nel periodo di imposta di competenza.

6. Le imposte assolte all’estero sul reddito d’impresa della stabile organizzazione

“estera” accreditabili dal contribuente residente e la regola speciale in ordine al

periodo d’imposta di accreditamento. – L’art. 165 non reca, al pari del suo

predecessore, una definizione di “imposta estera” accreditabile, limitandosi a sancire

nel 1° co. che, in caso di concorso dei redditi prodotti all’estero alla formazione del

38

L’obbligo di riduzione riguarda anche il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali

residenti, ma non quello delle persone fisiche, residenti e non residenti, nonché – a seguito

dell’applicazione per rinvio delle disposizioni del Titolo I – quello degli enti non commerciali,

residenti e non residenti, perché, in forza dell’art. 8 del T.U., il reddito complessivo di questi utili

soggetti passivi è già al netto delle perdite riportate da precedenti periodi di imposta.

39 Come precisato nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 344/2003, cit., 625, “per effetto

delle perdite pregresse che influenza il denominatore del rapporto, ne può derivare che il rapporto in

questione può anche assumere valore superiore a 1, nel qual caso, ovviamente, dovrà intendersi

acquisito al 100 per cento”.

Page 17: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 17 -

reddito complessivo, “le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono

ammesse in detrazione”.

Premesso che – pur nel silenzio della disposizione circa le caratteristiche del prelievo

estero – l’orientamento prevalente e consolidato è nel senso che le imposte assolte

all’estero debbano essere “assimilabili” alle imposte italiane sul reddito40

, le

condizioni che devono sussistere per detrarre le imposte estere in sede di

dichiarazione sono sostanzialmente due.

La prima è che le imposte devono state “pagate a titolo definitivo”, condizione,

questa, che è rilevante – come vedremo – per l’individuazione del periodo d’imposta

di detrazione. La seconda è che deve trattarsi, per ciascun reddito prodotto all’estero

ai sensi del 2° co. dell’art. 165, di “imposte ivi pagate (…) su tali redditi”,

espressione, questa, che, pur essendo criptica, circoscrive l’area di origine delle

imposte estere rilevanti.

Per quanto riguarda i tributi assolti sui redditi delle stabili organizzazioni “estere”, è

di particolare interesse, in quanto fonte di alcuni problemi, soffermarsi sulla seconda

condizione. Del resto, con riguardo alla prima condizione è oramai pacificamente

riconosciuto – superata la prima interpretazione restrittiva che, confondendo due piani

nettamente distinti, la riconduceva all’immodificabilità del reddito nello Stato della

fonte41

– che la definitività va identificata con la “irripetibilità” del tributo versato, a

nulla rilevando che il reddito estero sia ancora rettificabile o che la rettifica, ove

effettuata, non si sia ancora cristallizzata42

.

40

Cfr., per la prassi, Ris. Min., 12 marzo 1979, n. 9/146, e Ris. Min., 21 aprile 1983, n. 9/2540, cit.,

riguardanti entrambe la c.d. taxe forfetaire algerina, nonché, di recente, Ris. Ag. Entr., 7 marzo 2008,

n. 83/E, concernente l’imposta sostitutiva dell’Impòt sur les sociétés tunisina; per la dottrina, fra gli

altri, M. INGROSSO, op.cit.., 233; A. MANZITTI, op.cit., 21; C. GARBARINO, op.cit., 453; B. GANGEMI,

op.cit., 66, e, in adesione al relativo orientamento, ma commentando l’attuale art. 165 del T.U., S.

MAYR, op.cit., 748; Gianl. MARINI, op.cit., 263-264, A. M. GAFFURI, , La tassazione dei redditi di

impresa, op. cit., , 419-420; R. BAGGIO, Il principio di territorialità, op. cit. 389. La necessità di

acclarare la natura del tributo pagato all’estero non si pone in sede di applicazione del foreign tax

credit di fonte pattizia, ove il problema è risolto in radice con una soluzione che meriterebbe d’essere

innestata in quello di fonte interna. In particolare, conformemente alla “clausola modello”, in tutte le

Convenzioni fiscali vi è la specificazione delle imposte sui redditi – ed eventualmente di quelle sul

patrimonio – che sono “coperte” dalle disposizioni convenzionali, con clausola di chiusura che amplia

programmaticamente la sfera di applicazione alle imposte di natura identica o sostanzialmente analoga

istituite in aggiunta o in sostituzione di quelle indicate. E’ ben evidente che la lista convenzionale può

essere di ausilio per comprendere, ai fini interni, se un determinato tributo sia o meno assimilabile alle

imposte sui redditi italiane, così come può suggerire il ricorso al credito d’imposta convenzionale

nell’ipotesi – invero, di difficile verificazione – di un tributo estero ivi previsto che non sia assimilabile

alle imposte italiane sui redditi, ma null’altro.

41 L’interpretazione restrittiva era stata fornita nella Circ. Min., 30 aprile 1977, n. 7/1496. La

confusione di due piani distinti è evidente. Un conto è, infatti, la definitività del reddito perché non più

suscettibile di rettifica, che implica la definitività delle imposte assolte; altro conto è il pagamento

definitivo delle imposte dovute in base al reddito prodotto in un certo periodo d’imposta, ossia la

condizione posta dalle normative sul foreign tax credit, che non implica l’immodificabilità del reddito

sottoposto a prelievo. L’errore è stato compreso e l’interpretazione rettificata nella successiva Circ.

Min., 8 febbraio 1980, n. 3/7/360.

42 In dottrina v., fra i molti, A. URICCHIO, op. cit., 123; M. INGROSSO, op.cit., 223; B. GANGEMI, op.cit.,

61 e F. CROVATO, op.cit., 84; nonché, con specifico riferimento all’art. 165 in esame, R. CORDEIRO

GUERRA, Il credito d’imposta per i redditi esteri e l’estensione del regime delle CFC ai soggetti

“collegati”, in Atti del Convegno “La nuova imposta sulle società”, Milano, 12-13 Ottobre, 2004, 3-4

del dattiloscritto; S. MAYR, op.cit., 749; Gianl. MARINI, op.cit., 265 ss.. Il criterio enunciato nel testo

Page 18: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 18 -

La prima condizione circoscrive – come detto – l’area di origine delle imposte estere

rilevanti: nel caso di stabile organizzazione “estera” (ma la questione è di valenza più

generale) si tratta di capire se, in base a tale condizione, sia possibile

l’accreditamento, da parte del contribuente residente, delle imposte pagate su redditi

aggregati nella stabile organizzazione ma prelevate in uno Stato diverso da quello di

localizzazione della stessa.

Facendo la disposizione riferimento – per ciascun reddito prodotto all’estero – alle

“imposte ivi pagate (…) su tali redditi”, si ritiene che non qualsivoglia imposta pagata

all’estero sia passibile di detrazione in sede di dichiarazione, ma che lo siano soltanto

le “imposte ivi pagate”, dove l’“ivi” deve intendersi riferito allo Stato estero di

produzione del reddito tassabile anche in Italia.

A questa soluzione, già in altra sede anticipata, è stato obiettato che “la norma (…),

quando parla di <<imposte ivi pagate>>, riferisce l’avverbio <<ivi>> al termine

estero, cioè intendendo, genericamente, i tributi corrisposti al di fuori del territorio

italiano” 43

.

Invero, se la connessione valorizzata è incontestabile nel limitato contesto letterale

del 1° co., non si può dire altrettanto della soluzione interpretativa che ne discende, la

quale non tiene conto del carattere “generale” della formula di accreditamento dettata

dal citato 1° co. e risulta dissonante nel contesto sistematico della disciplina, che

palesa – appunto – la correlazione “reddito prodotto in uno Stato - imposte pagate nel

medesimo Stato”.

Tanto emerge, ad esempio, dal criterio generale per country di determinazione della

detrazione dell’imposta estera, di cui al 3° co., ove si sancisce che “Se concorrono

redditi prodotti in più Stati esteri, la detrazione si applica separatamente per

ciascuno Stato”. E, soprattutto, dal meccanismo di riporto in avanti e all’indietro

dell’eccedenza dell’imposta estera, di cui al 6° co., ove si utilizza la stessa

espressione del 1° co., qui in esame, ma con esplicitazione della suddetta

correlazione: “Nel caso di reddito di reddito d’impresa prodotto (…) nello stesso

Paese estero, l’imposta estera ivi pagata a titolo definitivo su tale reddito eccedente

(…) costituisce un credito d’imposta fino a concorrenza dell’eccedenza [di segno

opposto pregressa]” o, in mancanza, “può essere riportata a nuovo”. E’ evidente

l’incompatibilità di tale regola con una soluzione che includa tra le imposte estere

pagate sul reddito prodotto in uno Stato anche i tributi eventualmente assolti in uno

Paese terzo.

La detraibilità va riconosciuta, pertanto, alle sole imposte estere pagate nello Stato

della fonte del reddito estero, che va naturalmente individuato secondo la regola

prevista dal 2° co. dell’art. 16544

, e non genericamente a tutti i tributi assolti al di

fuori del territorio italiano e, dunque, anche a quelli pagati in uno Stato terzo: il

problema del riconoscimento dei tributi eventualmente assolti in un Paese diverso

non è naturalmente applicabile alle imposte estere che si considerano prelevate in base alle clausole sul

matching credit o tax sparing contenute nelle Convenzioni fiscali, con riguardo alle quali la definitività

deve ritenersi automaticamente maturata, e per la parte corrispondente, al verificarsi delle condizioni

che comportano il sorgere del diritto a beneficiarne. 43

La soluzione interpretativa era stata anticipata nel saggio, Il credito per le imposte assolte all’estero,

in F. TESAURO (opera diretta da), op.cit., 1074 ed è condivisa da G. MELIS., Art. 165 del D.P.R. 22

dicembre 1986, n. 917, op. cit., 809. L’obiezione riportata è di R. BAGGIO, Il principio di territorialità,

cit., 390, e ivi nota 279.

44 Conclude in questo senso anche S. MAYR, op.cit., 749.

Page 19: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 19 -

dallo Stato della fonte del reddito, come potrebbe accadere in esame, va risolto da e in

quest’ultimo Stato.

Il credito d’imposta non può essere riconosciuto, dunque, per i tributi pagati dalla

stabile organizzazione “estera” in Stati diversi da quello di localizzazione, quali

potrebbero essere, ad esempio, le ritenute alla fonte prelevate dallo Stato terzo su

dividendi, interessi o royalties provenienti da tale Stato e incassati dalla stabile

organizzazione “estera” del contribuente residente. Lo stesso vale, altresì, per le

ritenute alla fonte, le imposte sui redditi o le imposte sostitutive assolte in Italia dalla

medesima stabile organizzazione “estera” per i redditi prodotti nel nostro Paese; e ciò

a maggiore ragione se si considera che i tributi pagati in Italia non sono certamente

“imposte estere”: ciò comporta il manifestarsi di una doppia imposizione sulla

medesima ricchezza, che, ove non sterilizzata nel Paese estero di localizzazione della

stabile organizzazione, non può essere eliminata con il credito d’imposta, ma soltanto

per altra via45

.

Per quanto concerne il periodo di imposta di accreditamento delle imposte estere

rilevanti, come sopra delimitate, il legislatore fiscale della riforma ha introdotto un

nuovo criterio a “elasticità progressiva”, che consta di una regola generale, valevole

per tutti i redditi, e una speciale, dedicata espressamente – come si è evidenziato

all’inizio – ai redditi d’impresa prodotti mediante stabile organizzazione “estera”

(oltre a quelli prodotti dal società estere consolidate)46

.

Questo nuovo criterio, scolpito nel 4° e 5° co. dell’art. 165, segna un radicale

cambiamento di rotta, sostituendo la vecchia e iniqua disposizione dell’art. 15, 3° co.

del vecchio T.U. – che imponeva l’effettuazione della detrazione, a “pena di

decadenza”, nel periodo d’imposta di definitività del pagamento, a prescindere dal

momento di denuncia dei redditi esteri – e determinando il passaggio dal criterio di

cassa a quello di competenza, con una tolleranza maggiore, ma non ingiustificata, per

i redditi delle stabili organizzazioni “estere”.

La detrazione va effettuata, adesso, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo

d’imposta in cui il reddito estero concorre alla formazione dell’imponibile, in base al

criterio di imputazione temporale previsto per la relativa categoria di appartenenza. E

ciò a prescindere dal momento di definitività del pagamento, purché tale condizione

sussista, pena l’indetraibilità dell’imposta estera, entro la data di presentazione della

medesima dichiarazione (con possibilità, dunque, di spingersi in avanti fino al

termine di presentazione) ovvero, per i soli redditi d’impresa prodotti da stabili

organizzazioni “estere” (o da società estere consolidate), entro il termine di

presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo a quello di

imputazione del reddito estero. L’esistenza soltanto di un “termine massimo” per la

45

Il problema potrebbe essere risolto mediante l’applicazione del divieto di doppia imposizione,

esplicitato per le imposte sui redditi nell’art. 163 del T.U., quale principio generale dell’ordinamento

tributario che trova copertura nell’art. 53 Cost.: cfr. M.C. FREGNI, Appunti in tema di doppia

imposizione interna, in Riv. dir. fin., 1993, II, 19-20; MARELLO, Il divieto di doppia imposizione come

principio generale del sistema tributario, in Giur. cost., 1997, 4131-4132 e D. STEVANATO, Divieto di

doppia imposizione e capacità contributiva, in L. PERRONE e C. BERLIRI (a cura di), Diritto tributario

e Corte Costituzionale, Napoli, 2006, 79-80.

46 La regola speciale che si va ad illustrare non vale per i redditi d’impresa prodotti dalle società estere

controllate o collegate soggette alla “CFC rule”, sebbene, trattandosi di fattispecie similare, non

sussistano apparenti ragioni che giustifichino la mancata inclusione e il conseguente diverso

trattamento.

Page 20: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 20 -

definitività del pagamento e la mancata riproduzione della sanzione della

“decadenza” non precludono più l’accreditamento delle imposte estere pagate in via

definitiva prima che il reddito estero concorra a formare l’imponibile, valorizzando e

attuando in pieno la finalità dell’istituto perché evita l’ingiustificata – almeno sul

piano logico – duplicazione internazionale della tassazione che il precedente criterio

di cassa determinava.

In base al nuovo sistema, sussistendo la definitività del pagamento, il periodo di

competenza di computo delle imposte estere non può essere derogato; mancando la

definitività del pagamento, il periodo di competenza di detrazione dei tributi esteri è

giocoforza derogato, dovendosi spostare la detrazione alla dichiarazione del primo

periodo di imposta successivo di avveramento di tale condizione47

, a meno che non si

tratti di redditi d’impresa prodotti mediante stabile organizzazione “estera” ( società

estere consolidate).

In via generale, infatti, le imposte estere aggregabili sono tutte (e solo) quelle che

diventano irripetibili prima della data di presentazione della dichiarazione che

accoglie i correlati redditi prodotti all’estero, con possibilità di attendere, quindi, fino

al termine finale di presentazione della dichiarazione (4° co). In via eccezionale, per i

redditi d’impresa prodotti da stabili organizzazioni “estere” (e società estere

consolidate) assumono rilevanza i tributi assolti all’estero che non soddisfano la

condizione della definitività del pagamento nel termine indicato ma che, in base a un

giudizio prognostico, la soddisferanno entro il termine di presentazione della

dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta successivo (5° co): è riconosciuta, in

altre parole, la facoltà di detrarre comunque le imposte nel periodo di competenza

mediante annotazione nella dichiarazione del redditi48

, se il contribuente prevede

l’avveramento di tale condizione entro un anno dalla scadenza dell’ordinario termine

massimo.

Nel caso di redditi d’impresa prodotti mediante stabile organizzazione “estera” (o da

società estere consolidate) la mancanza della definitività del pagamento pone, in altre

parole, il contribuente residente di fronte alla scelta se esercitare la facoltà

concessagli, nel quale caso scatta la fictio per cui i pagamenti non definitivi sono

considerati definitivi e le imposte estere diventano immediatamente detraibili nel

periodo di competenza, o attendere l’avveramento della condizione, nel quale caso

vale quanto sopra detto.

Questa maggiore tolleranza è stata verosimilmente accordata in considerazione del

fatto che, spesso, nelle ipotesi considerate non vi è un’uniformità della durata del

periodo d’imposta, con gli effetti conseguenti per gli adempimenti formali e

sostanziali, e ciò, nella prospettiva dianzi esplicitata, rende “stretto” il termine

previsto in via generale, ancora di più se il contribuente residente rientra fra i soggetti

passivi dell’Ires per i quali – com’è noto – il periodo d’imposta è altrettanto flessibile.

Occorre chiedersi, a questo punto, che cosa succede se, esercitata la facoltà prevista

dal 5° co., per le imposte assolte sui redditi prodotti mediante stabile organizzazione

“estera”, e accreditate nel periodo di competenza, la definitività del pagamento non

sopraggiunga alla scadenza del più lungo termine previsto dalla citata disposizione,

che in merito tace.

47

La detrazione avviene, in forza del rinvio operato dal 4° co., mediante la procedura di riliquidazione

di cui al 7° co.

48 Condizione, questa, prevista nell’ultimo periodo del 5° co.

Page 21: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 21 -

Contrariamente a quanto sostenuto da una parte della dottrina – e premessa la

mancanza di un richiamo espresso al 7° co., relativo alla riliquidazione, da parte del

5° co. in esame – non si reputa che l’imposta possa essere pagata anche molto più

tardi senza dovere recuperare la detrazione già operata49

, né che sia possibile la

restituzione delle somme corrispondenti alla detrazione rivelatasi ex post indebita50

:

nel silenzio del 5° co., la soluzione sistematicamente più corretta e coerente appare,

infatti, il ricorso alla riliquidazione ai sensi del successivo 7° co. dell’art. 165, così da

ripristinare la situazione che si sarebbe prodotta in assenza della detrazione rivelatasi

indebita e da evitare, nel contempo, di falsare le eccedenze d’imposta riportabili e, per

tale via, l’ammontare dei futuri crediti d’imposta che originano dalla loro

compensazione51

.

7. Le ragioni dell’applicabilità della disciplina sul riporto delle eccedenze ai non

residenti con stabile organizzazione “italiana” (ancorché in apparenza esclusi) e la

sorte delle imposte estere non recuperabili con tale meccanismo o, se ritenuto

inapplicabile, in eccesso rispetto al credito d’imposta riconosciuto. – L’innovazione

più significativa dell’art. 165, che è stata richiamata nel quinto paragrafo è senza

dubbio il meccanismo previsto dal 6° co., che attribuisce rilevanza alle imposte estere

in eccesso rispetto a quelle ammesse in detrazione, introdotto in attuazione del

criterio direttivo di cui all’art. 4, 1° co., lett. l), della legge delega.

Esso – come già anticipato – consente di porre rimedio, anche se non in modo

assoluto, al principale limite dell’istituto nella sua vecchia conformazione, e cioè la

definitiva perdita della totalità o di una porzione delle imposte assolte all’estero

ogniqualvolta l’imposta italiana risulti in tutto o in parte incapiente, con una

duplicazione internazionale del prelievo fiscale contraria alla finalità stessa del

credito per le imposte estere.

Il meccanismo disegnato dal legislatore fiscale della riforma è concettualmente

semplice, sebbene la sua gestione si complichi non poco per effetto dell’interazione

con i criteri di determinazione del rapporto frazionario di cui ai commi 1° e 3°

dell’art. 165.

In ispecie, le eccedenze d’imposta estera che emergono rispetto all’ammontare del

tributo portato in detrazione costituiscono, nel contesto del meccanismo in esame, una

sorta di credito d’imposta in pectore, che può diventare attuale o immediatamente o in

un futuro prossimo in ragione dei “saldi d’imposizione” rinvenibili, in relazione al

medesimo reddito estero, nell’arco dei sedici periodi di imposta a cavallo di quello di

competenza52

.

49

L’opinione riportata è di S. MAYR, op.cit., 751.

50 V., in tale senso, Gianl. MARINI, op.cit, 270, il quale osserva che “l’assenza sul punto di una

specifica sanzione dovrebbe far ritiene dovuta la sola imposta indebitamente detratta, oltre agli

interessi”.

51 Per la compiuta illustrazione degli argomenti a sostegno di tale conclusione, nonché per le varie

soluzioni prospettabili in presenza di scenari ibridi relativamente alla definitività dei pagamenti, sia

consentito rinviare, ancora una volta, all’opera monografica Contributo allo studio del credito per le

imposte estere, cit., 160-162.

52 Per “saldo d’imposizione” s’intende la differenza fra le imposte assolte all’estero e la quota di

imposta italiana relativamente a uno stesso reddito di fonte estera, che può dare luogo a un’eccedenza

d’imposta estera, quando le prime superano la seconda, o a un’eccedenza d’imposta italiana, quando le

prime sono inferiori alla seconda.

Page 22: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 22 -

Con il riporto all’indietro, che va effettuato per primo, si rapporta l’eccedenza di

imposta estera ai “saldi d’imposizione” relativi allo stesso reddito estero che si sono

prodotti negli otto periodi di imposta anteriori a quello di competenza. Laddove, così

procedendo, si riscontrino delle eccedenze d’imposta italiana, e cioè di segno

opposto, l’eccedenza d’imposta estera oggetto di carry back si tramuta in un credito

d’imposta “attuale” – con ciò intendendo un credito d’imposta immediatamente

detraibile nel periodo di imposta di competenza – fino a concorrenza dell’ammontare

delle eccedenze d’imposta italiana che sono state individuate. Con il riporto in avanti,

che opera soltanto quando le eccedenze d’imposta italiana pregresse non esistono o

sono inferiori all’ammontare dell’eccedenza d’imposta estera riportata all’indietro, si

rinvia la compensazione dell’eccedenza d’imposta estera residua agli otto periodi di

imposta successivi a quello di competenza. Se, in quest’arco di tempo, si formano dei

“saldi d’imposizione” di segno opposto, l’eccedenza d’imposta estera si trasformerà

in un credito d’imposta detraibile in misura pari alle eccedenze d’imposta italiana che

emergono in ciascuno degli otto periodi d’imposta, fino a esaurimento.

Il riporto all’indietro e in avanti delle eccedenze d’imposta estera si applica “nel caso

di reddito d’impresa prodotto, da imprese residenti, nello stesso Paese estero”,

nonché – ma questa parte non interessa la tematica oggetto di disamina – di “redditi

d’impresa prodotti all’estero dalle singole società partecipanti al consolidato

nazionale e mondiale, anche se residenti nello stesso paese, salvo quanto previsto

dall’art. 136, comma 6”.

Così definito, l’ambito operativo del meccanismo di riporto delle eccedenze risulta, se

posto al cospetto della sfera generale di applicazione dell’istituto, più ristretto sul

versante soggettivo e, all’interno di questi nuovi confini, sostanzialmente coincidente

su quello oggettivo, per il quale, dunque, si rinvia alle osservazioni espresse nel

paragrafo terzo.

Quanto al profilo soggettivo, si nota immediatamente che il riporto delle eccedenze

d’imposta estera è riservato ai soggetti passivi Irpef o Ires che si qualificano come

imprenditori residenti, nonché alle società residenti che assumono la veste di

consolidante in entrambi i regimi speciali di tassazione del gruppo. Sono esclusi,

pertanto, tutti gli altri contribuenti, ancorché ammessi a beneficiare del credito per le

imposte estere in quanto rientranti nel novero dei destinatari della disciplina di cui

all’art. 165.

Fra i contribuenti esclusi vi sono anche i soggetti passivi dell’Irpef o dell’Ires non

residenti che esercitano un’attività commerciale mediante una stabile organizzazione

“italiana”, per i quali – come si è dimostrato nel secondo paragrafo – la stabile

organizzazione “italiana” ha un effetto costitutivo di quella particolare situazione

giuridica, normalmente propria dei residenti, che è il diritto di detrarre le imposte

assolte all’estero sui suddetti redditi.

La ragione di tale esclusione è da ricercare nella formulazione 6° co.: i contribuenti in

questione rivestono sì la qualifica di imprenditori, costituendo la stabile

organizzazione “l’elemento esternamente rilevante dell’esistenza della impresa nel

territorio dello Stato”53

, ma non sono residenti, essendo impossibile configurare una

residenza fiscale della stabile organizzazione autonoma e diversa da quella del

soggetto estero cui appartiene.

53

In questi termini sintetici ma efficaci, D. STEVANATO, Inizio e cessazione dell’impresa nel diritto

tributario, Padova 1994, 103-104.

Page 23: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 23 -

Invero, per le ragioni che si vanno subito a illustrare, l’esistenza della qualità di

imprenditore in capo ai soggetti passivi non residenti si reputa sufficiente per

l’accesso anche al meccanismo di riporto delle eccedenze d’imposta, configurandosi

nella specie la residenza italiana alla stregua di un requisito sostanziale e non

formale54

.

Tanto si ricava dalla stessa lettera della disposizione, che pone al centro della

condizione di accesso non tanto la residenza fiscale in Italia dell’impresa che produce

il reddito di fonte estera, quanto l’esistenza di un “reddito d’impresa prodotto, da

imprese residenti, nello stesso paese estero”, ossia la produzione all’estero di un

reddito che si qualifichi come reddito d’impresa secondo la normativa fiscale italiana:

ebbene, in base a quest’ultima il reddito prodotto da una stabile organizzazione

“italiana” di un soggetto non residente è reddito d’impresa e va determinato – come si

è visto nel paragrafo quinto – secondo le regole previste per le società e gli enti

commerciali residenti. Nel contesto normativo in esame la locuzione “residente”,

accanto a quella di “impresa”, non va ricondotta all’interno della nozione formale di

residenza fiscale, ma va interpretata, almeno in via residuale, come esercizio effettivo

nel territorio dello Stato di un’attività imprenditoriale.

Diversamente opinando, peraltro, la condizione si porrebbe in contrasto con il divieto

di discriminazione previsto dall’art. 24 delle Convenzioni concluse dall’Italia e

conformi al “Modello Ocse” (determinando un trattamento fiscale della stabile

organizzazione “italiana” meno favorevole rispetto a quello riservato alle imprese

residenti)55

, e risulterebbe altresì incompatibile con il diritto europeo primario,

configurando, a seconda dei casi, una restrizione alla libertà di stabilimento (a parità

di condizioni sostanziali, non permette il riconoscimento alla stabile organizzazione

di un trattamento fiscale analogo a quello previsto per le società residenti) o una

restrizione alla libera circolazione dei capitali (effetto di dissuasione per i non

residenti dall’investire i propri capitali, sotto forma di conferimento, in società

54

In tale senso, richiamando precedenti di prassi recanti un’identica conclusione in casi diversi, R.

MICHELUTTI, Aspetti problematici in tema di riporto delle eccedenze di crediti per imposte estere, in

Corr. trib., 2005, 2135, per il quale “considerando che l’Amministrazione finanziaria, con la C.M. 19

dicembre 1997, n. 320/E, ai fini dell’affrancamento gratuito del disavanzo da annullamento, ha già

mostrato di equiparare la stabile organizzazione alla società residente in presenza dell’identica

locuzione normativa (<<impresa residente>>) contenuta nell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 8 ottobre

1997, n. 358, il regime del riporto delle eccedenze dovrebbe ritenersi spettante anche alle stabili

organizzazioni di soggetti non residenti, superando il mero dato letterale”. In senso contrario, Gianl.

MARINI, op.cit., 289, secondo cui il riporto delle eccedenze “viene limitato alle sole imprese residenti,

con preclusione quindi per le stabili organizzazioni in Italia di imprese non residenti (…). Sembra

invece più corretto ritenere che il riferimento alle imprese residenti nella norma sia superfluo in quanto

la stabile organizzazione in Italia di una soggetto non residente non potrebbe beneficiare del credito

d’imposta che spetta solo per i redditi prodotti all’estero”: per la confutazione di questo argomento v.

retro par. 3.

55 Cfr. COMMENTARIO, sub art. 24, par. 49, ove, proprio con riferimento al credito per le imposte

estere, si afferma che “when a permanent establishment receives foreign income which is included in

its taxable profits, it is right by virtue of the same principle to grant to the permanent establishment

credit for foreign tax borne by such income when such credit is granted to resident enterprises under

domestic laws”. Su questa clausola del “Modello Ocse”, e con specifico riferimento al divieto di

discriminazione nei confronti delle stabili organizzazioni, v. F. AMATUCCI, Il principio di non

discriminazione fiscale, Padova, 2003, 77 ss. e K. VAN RAAD, Non discrimination in International Tax

Law, Kluwer, Deventer, 1986, 140 ss.

Page 24: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 24 -

residenti che sono o possono essere trasparenti ai fini fiscali) contraria, in ogni caso,

al Trattati europei56

.

Rimane da affrontare un ultimo problema, che è quello della sorte delle eventuali

imposte estere non recuperabili con il meccanismo del riporto delle eccedenze, il

quale è di particolare interesse per la stabile organizzazione “italiana” di soggetto non

residente, per la seguente ragione.

Siccome la stabile organizzazione “italiana” fa sorgere, in capo al soggetto non

residente cui appartiene, il diritto di detrarre le imposte assolte sui redditi prodotti

all’estero e confluiti nel reddito imponibile della stessa, se dovesse affermarsi – in

luogo di quella sostenuta in questa sede – l’interpretazione formalistica e restrittiva

dell’inapplicabilità a tali soggetti del riporto delle eccedenze, il problema della sorte

delle imposte estere irrecuperabili si porrebbe, con riguardo alla stabile

organizzazione “italiana” di soggetto non residenti, per tutte quelle in eccesso rispetto

al credito d’imposta riconosciuto, che sono – com’è evidente – quantitativamente ben

più ampie di quelle in eccesso dopo l’applicazione del riporto delle eccedenze.

Tanto chiarito, si tratta di capire se, in assenza di una disciplina specifica, le imposte

estere eccedentarie siano, nell’una e nell’altra ipotesi interpretativa, irrecuperabili in

maniera definitiva.

Una conclusione in tale senso non pare necessitata. E ciò perché, se le eccedenze

d’imposta estera non compensate si configurano alla stregua di un costo imputabile a

conto economico, in ossequio al principio di dipendenza parziale – il quale governa la

determinazione del reddito d’impresa che è, come detto, il reddito proprio della

stabile organizzazione “italiana” – tale costo è destinato a trasmigrare e a essere

accolto immutato in ambito tributario.

In particolare, l’assenza di una regolamentazione fiscale della fattispecie fa sì che in

questa ipotesi non vi sia alcun aggiustamento da apportare al risultato emergente dal

bilancio e, dunque, che l’onere appostato nel conto economico concorra nella sua

configurazione civilistica alla formazione del reddito d’impresa. Tanto più che,

soddisfatto il principio della previa imputazione a conto economico, nessun dubbio

56

Sulla neutralità dell’ordinamento tributario nazionale rispetto alle forme giuridiche di insediamento

in un determinato “Paese UE”, quale condizione imposta dalla libertà di stabilimento, la

giurisprudenza della Corte di giustizia è copiosa: cfr., tra le altre, sentenza 28 gennaio 1986, causa

270/83, Avoir Fiscal, in Racc., 1986, punto 18; sentenza 13 luglio 1993, causa 330/91, Commerzbank,

in Racc., 1993, I-4017, punto 13; sentenza 15 maggio 1997, causa 250/95, Futura and Singer, in

Racc., 1997, I-2471; punti 18-22; sentenza 29 aprile 1999, causa 311/97, Royal Bank of Scotland, in

Racc., 1999, I-2651, punti 22-23; sentenza 21 settembre 1999, causa 307/97, Saint-Gobain, in Racc.,

1999, I-6163, punto 34; sentenza 14 dicembre 2000, causa 141/99, AMID, in Racc., 2000, I-11619,

punto 23. Sulla censurabilità delle norme tributarie interne che producono l’effetto di dissuadere i

residenti di uno Stato membro dall’investire i loro capitali in società aventi sede in un altro Stato

membro, è particolarmente significativa, fra le molte, la sentenza 6 giugno 2000, causa 35/98,

Verkooijen, in Racc., 2000, I-4073. Nella dottrina italiana, per la disamina della giurisprudenza

europea sulle predette libertà e l’affermazione del principio di non restrizione, nonché per la

ricostruzione delle libertà europee in rapporto al principio di non restrizione fiscale e l’incidenza sulle

politiche tributarie, si vedano P. BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, 133 ss. e M.

BASILAVECCHIA, L’evoluzione della politica fiscale dell’Unione europea, in Riv. dir. trib., 2009, I, 361

ss. (spec. 379); L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano,

2010 53 ss. e 96 ss. e, da ultimo, P. LAROMA JEZZI, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto

delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione europea, Pisa, 212, 24 ss.

Page 25: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 25 -

sussiste in ordine alla certezza e obiettiva determinabilità del componente negativo in

esame e alla sua inerenza all’attività imprenditoriale.

Ma se tutto ciò è vero, si può anche generalizzare e sostenere che, “per i redditi

d’impresa, basati sul principio di globalità e di determinazione differenziale,

l’imposta estera non accreditabile attraverso il credito d’imposta ha concettualmente

natura di elemento negativo di reddito”57

, riconoscendo la deducibilità fiscale dei

tributi esteri indetraibili per difetto di una qualsiasi delle condizioni, previste dall’art.

165, che ne consentono l’accredito58

.

L’unico ostacolo a questa soluzione, più che sostenibile in chiave logico-sistematica,

potrebbe essere costituito – come taluni sostengono59

– dall’art. 99 del T.U., in forza

del quale “le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa anche

facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili

nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.

In tale senso un vecchio pronunciamento della prassi, in cui si asserisce che

l’eventuale imposta estera in eccesso “non può essere detratta dal reddito d’impresa

della beneficiaria nazionale (…) perché a ciò osta il preciso disposto legislativo”60

,

facendo implicito riferimento alla corrispondente norma del D.P.R. 597, che si

esprimeva negli stessi termini61

.

57

Così, R. LUPI, Rapporti internazionali, cit., 150,

58 Questa conclusione è in sintonia con la ricostruzione dogmatica di G. FRANSONI, Il sistema

dell’imposta sul reddito, in P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 93,

il quale, muovendo dalla premessa che il vero significato del credito d’imposta sarebbe quello di

concedere un incentivo alle imprese che operano all’estero da parte dei Paesi esportatori di capitali,

sostiene che “l’imposta applicata da un altro Stato dovrebbe rilevare tutt’al più per lo Stato impositore

come un <<costo>> della produzione, cosicché la concessione di un abbattimento dell’imposta svolge

una funzione premiale o incentivante”. 59

Cfr. S. MAYR, op.cit., 746 e 748, e Gianl. MARINI, op.cit., 285.

60 Cfr. Ris. Min., 31 luglio 1982, n. 12/1548, in cui l’affermazione riportata è accompagnata da due

ulteriori argomentazioni: la deduzione fiscale va negata altresì “perché detta eccedenza costituisce in

ogni caso costo indeducibile per l’impresa secondo la legislazione nazionale, sia perché infine essa

andrebbe in effetti ad essere sopportata non già dal contribuente bensì dall’Erario”. Qualche

osservazione in merito. La prima delle due argomentazioni è destituita di ogni fondamento, ma lo era

anche nel contesto normativo dell’epoca che permetteva una ricostruzione analoga a quella effettuata e

in grado di legittimare sul piano sistematico la deducibilità delle imposte estere non accreditate. La

seconda è fuori bersaglio: ove la deducibilità fiscale dovesse essere ritenuta non incompatibile con il

sistema, il fatto che essa determini una riduzione delle imposte dovute in Italia – e che dunque lo Stato

rimanga inciso, in modo indiretto e in misura corrispondente, dalle predette imposte estere – non può

portare alla sua negazione, poiché, altrimenti, si dovrebbe negare la deducibilità di tutti i componenti

negativi di reddito fiscalmente riconosciuti, senza considerare la violazione del principio di capacità

contributiva che ne discenderebbe. E’ il caso di segnalare che, prima della sua classificazione come

imposta sui redditi accreditabile, la c.d. taxe forfetaire algerina era stata assimilata dalla prassi a un

costo di produzione del reddito estero e come tale ammessa in deduzione ai fini fiscali nel nostro

Paese: cfr. Ris. Min., 12 marzo 1979, n. 9/146. 61

Si tratta dell’art. 61, il cui contenuto, per la parte di nostro interesse, è stato trasfuso nel 1° co.

dell’art. 64 del vecchio T.U., e coincide con l’odierna formulazione dell’art. 99, 1° co., riportato nel

testo. Sono ancora attuali, pertanto, le disamine compiute da S. SAMMARTINO, La deducibilità delle

spese e la nozione di <<costo dei beni>>, in V. UCKMAR, C. MAGNANI e G. MARONGIU, (coordinato

da), Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988, 603 ss. e L. DEL FEDERICO, Oneri fiscali

e contributivi ed accantonamenti per imposte e tasse, in F. TESAURO (diretta da), Giur. sist. dir. trib.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche, t. II, cit., 721 ss., cui si rinvia. Dopo la riforma fiscale, V.

Page 26: 1. La stabile organizzazione nel contesto della disciplina ... · Associato di diritto tributario nell’Università “L. Bocconi ... alla necessità di soddisfare “una più generale

- 26 -

Questa ipotesi interpretativa è tuttavia da rigettare in quanto poggia su un presupposto

che si reputa errato, e cioè che le “imposte sui redditi” rilevanti agli effetti della

regola in esame siano le imposte tanto italiane quanto estere.

La ratio della disposizione è, invero, quella di evitare che l’imposta applicata su un

determinato reddito imponibile possa essere allo stesso tempo configurata come un

onere di produzione senza ontologicamente esserlo, determinando un’indebita

riduzione dell’indice di capacita contributiva soggetto a prelievo e la conseguente

violazione dell’art. 53 della Cost.: in sostanza, un’imposta sui redditi non può mai

essere in contemporanea mezzo di prelievo ed elemento della base da cui si preleva.

Tutto ciò, se può verificarsi in astratto per le imposte italiane, non può accadere per le

imposte estere prelevate nello Stato di produzione dei redditi imponibili, le quali, per

la parte non ammessa in detrazione in Italia, riducono effettivamente il reddito

imponibile prodotto e, dunque, si configurano alla stregua di un costo di produzione

che, per quanto peculiare, incide sulla capacità contributiva del contribuente.

In definitiva, e in modo esplicito, l’art. 99, 1° co., del T.U. si rivolge alle sole imposte

italiane sui redditi: “nell’ottica dello stato italiano, infatti, il proprio tributo sui redditi

non costituisce un costo di produzione del reddito stesso, ma una sua forma di

erogazione, cioè di ripartizione del reddito tra contribuente e stato. Il prelievo

tributario estero si colloca invece a monte della produzione del reddito in Italia, e

pertanto dovrebbe concettualmente essere ammesso in deduzione nella parte in cui

non riesce ad essere accreditato”62

.

Questa conclusione, una volta condivisa la premessa, trova anche conforto nello

stesso 1° co. dell’art. 99: se le imposte sui redditi menzionate nel primo periodo sono

soltanto quelle italiane, le imposte estere sui redditi non accreditate in Italia ricadono

giocoforza tra le “altre imposte” del secondo periodo, le quali “sono deducibili

nell’esercizio in cui avviene il pagamento”63

.

MASTROIACOVO, Art. 99 - Oneri fiscali e contributivi, in G. TINELLI, (a cura di), Commentario al testo

unico delle imposte sui redditi, Padova, 2009, 841 ss.

62 Così, ancora, R. LUPI, Rapporti internazionali, cit., 150.

63 Ammette la deducibilità dei tributi esteri che dovessero risultare indetraibili, in applicazione della

disciplina di cui art. 165, anche G. MAISTO, Deducibilità dei tributi esteri e qualificazione dei rapporti

giuridici redditi dal diritto straniero, in Riv. dir. trib., 2013, I, 41 ss., ma facendola discendere

dall’effetto combinato del “principio di omologazione” (si sostiene che il riferimento della normativa

fiscale nazionale ad “imposte sui redditi” o “altre imposte” non ricomprenda anche i tributi prelevati in

altri Stati), che comporterebbe l’inapplicabilità dell’art. 99, e dall’inerenza conseguente alla

connessione alle attività d’impresa esercitate dal soggetto passivo.