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2011 /1 Anno XVI n° 1, gennaio-aprile 2011 Quadrimestrale - reg. Tribunale Roma n. 496 del 9.10.1995 www.aiaf-avvocati.it RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI L’ADOZIONE: UN PERCORSO SOSTENIBILE

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AIA

FRIVISTA •2011/1

Anno XVI n° 1, gennaio-aprile 2011Quadrimestrale - reg. Tribunale Roma n. 496 del 9.10.1995

www.aiaf-avvocati.it

RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

L’ADOZIONE:UN PERCORSO SOSTENIBILE

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Editoriale2 L’adozione: un percorso sostenibile

Luisella Fanni

Focus6 Ogni bambino ha il suo fagottino di fortuna. Un’esperienza di adozione nazionale

12 L’adozione nazionale: storia e prospettiveElisa Ceccarelli

26 Sul ruolo dell’avvocato nel corso della procedura di adozione. CriticitàEnrico Bet

30 La relazione tra genitori e figlio adottivo: come svilupparla al meglioFrancesco Vadilonga

37 Motivazione e rischio adottivo: riflessioni giuridiche e metapsicologicheMarco Cesaracciu

41 L’idoneità all’adozioneAntonina Scolaro, Giuseppe Barile

47 L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abbandonoEmma Seminara

55 L’adozione per il bambino: tra ricordi, negazione e costruzioneLoredana Di Natale

57 Adozione: la preparazione tra nazionale e internazionaleMaria Teresa Rizzarelli

61 Il ruolo degli Enti autorizzati nell’iter adottivoMaria Concetta Catera

66 La Commissione per le Adozioni Internazionali: tra controllo e incentivoCaterina Chinnici

69 Adozione ai single: forse giusto aprire la porta, non spalancarla. In margine alla recente sentenza della CassazioneMaurizio Quilici

73 Adozioni ai single sì o no. La necessità di un modello nuovoFrancesco Pisano

77 Il fallimento dell’adozioneRemigia D’Agata

Europa79 La giurisprudenza della Cedu in materia di adozione in relazione alla normativa statuale italiana

Grazia Corradini

91 Parlamento Europeo, Direzione Generale Politiche Interne - Diritti dei cittadini e affari costituzionali. Rapportosull’adozione internazionale nell’Unione europeaIstituto degli Innocenti di Firenze

SOMMARIO

AIAF

RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORIAnno XVI n° 1, gennaio-aprile 2011 - nuova serie quadrimestrale

Direttore responsabile Milena PiniComitato di redazione Manuela Cecchi, Gabriella de Strobel, Luisella Fanni (coordinatrice Quaderni),

Alberto Figone, Giulia Sarnari, Antonina ScolaroRedazione Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano - tel. e fax 02 29535945

[email protected] www.aiaf-avvocati.it

Stampa O.GRA.RO. srl - vicolo dei Tabacchi 1, 00153 Roma

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Nei giorni 10 e 11 dicembre del 2010 si è tenutoa Modica il convegno “La seconda chance. L’ado-zione: efficacia e criticità della tutela del bambi-no in stato di abbandono”, organizzato dal-l’AIAF Sicilia in collaborazione con l’Associazio-ne italiana dei magistrati minorili e della fami-glia (AIMMF).L’iniziativa ha visto anche il contributo dell’Isti-tuto degli Innocenti di Firenze, la partecipazio-ne della Commissione per le Adozioni Interna-zionali (CAI) con il suo vicepresidente la dott.ssaChinnici; degli operatori dei Servizi sociali delterritorio, sia locali che di altre regioni, e dei re-sponsabili degli Enti Autorizzati per le adozioniinternazionali. Ha partecipato ai lavori la Consigliera Maria Ro-saria Sangiorgio, giudice estensore della senten-za n. 13332 del 27 aprile 2010, pronunciatadalla Cassazione a Sezioni unite, su ricorso delProcuratore generale a norma dell’art. 363c.p.c., che ha stabilito il principio di diritto percui “il decreto di idoneità all’adozione non puòessere emesso sulla base di riferimenti alla etniadei minori adottandi, né può contenere indica-zioni relative a tale etnia”. L’AIAF nazionale era presente con il vicepresi-dente e con gli avvocati Enrico Bet di Genova,Francesco Pisano di Cagliari e Remigia D’Agatadi Catania, presidente dell’AIAF Sicilia.Instancabile, efficiente organizzatore e condut-tore dei lavori l’avvocato Corrado Garofalo diModica, al quale siamo profondamente grati,anche perché è riuscito a mettere insieme, cosanon facile, gli operatori e le istituzioni più im-portanti del mondo della giustizia minorile, incollaborazione con i magistrati minorili del Di-stretto di Catania che hanno dato un contribui-to determinante alla riuscita del convegno.Sollecitata dai lavori di Modica, l’AIAF ha rite-

nuto di dovere dedicare all’adozione una rifles-sione più ampia. Utilizzando le relazioni delconvegno e integrandole con altri interventi haquindi focalizzato l’attenzione sull’adozione co-me percorso sostenibile, il cui fine ultimo è la tu-tela dei bambini. Una tutela che può attuarsi so-lo se i bisogni e i diritti dei bambini si incrocia-no e si fondono con i bisogni e il diritto anchedei “grandi” a farsi una famiglia e a mantener-la, come stabilito dalla nostra Costituzione, san-cito dalla Convenzione europea dei diritti del-l’uomo (Cedu) e confermato dalle normative in-ternazionali e comunitarie tra cui anche la Car-ta di Nizza.Per i bambini abbandonati, spesso maltrattati eabusati, che si sentono soli, non voluti non ama-ti, ancora oggi l’adozione è la migliore chance.Lo conferma la testimonianza di un’esperienzavera e positiva di percorso adottivo, messaggio disperanza che, non a caso, apre questo numero.Lo confermano i più aggiornati studi di chi nesperimenta, anche clinicamente, i momenti dicrisi nella relazione familiare ed evidenzia cheper l’abbandono “la vera cura resta sempre e co-munque l’adozione” (Vadilonga). Ma l’adozionedeve essere sostenuta da motivazione sincera,formazione e preparazione adeguata; da unaconcezione di famiglia, fondata non esclusiva-mente sul legame di sangue, ma sulla relazionetra persone, che apre a diverse tipologie di fami-glia in cui i bisogni si intrecciano e si risolvonoinsieme e dove i bambini possano ridiventare fi-gli; figli di chiunque sia disponibile e in grado,con le necessarie verifiche, di farlo. È necessario calibrare volta per volta sul casoconcreto chi possa meglio garantire loro un’ac-coglienza forte nella protezione e aperta al lorovissuto, che non resti imbrigliata nello schemadell’ imitatio naturae, ma consideri che l’innesto,

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L’ADOZIONE: UN PERCORSO SOSTENIBILE

Luisella FanniAvvocato del Foro di Cagliari e vicepresidente nazionale AIAF

frequente metafora dell’adozione, è opera del-l’uomo sullo sviluppo spontaneo di un organi-smo che ne devia e condiziona il corso rispetto aquanto accadrebbe in natura; in entrambi i ca-si si possono avere buoni frutti (Pisano).Si apre così la porta, magari senza spalancarla(Quilici) anche ai single “perché l’amore di unafamiglia, anche se da qualcuno ritenuta imper-fetta, è sempre meglio dell’abisso della solitudi-ne”, come ha dichiarato in una recentissima in-tervista su “L’Unione Sarda” del 20 marzo 2011l’ex primo cittadino di Nuoro, allevato da due so-relle single.La Rivista affronta i non pochi problemi che sul-l’istituto dell’adozione si sono posti nel tempo e sipongono nell’attualità della sua applicazione.Sia sul versante dei diritti agibili nei giudizi, cheaccertano l’esistenza o meno dello stato di ab-bandono di un minore, quasi sempre a fronte diuna non rimediabile incapacità parentale neitempi necessari a garantire a quel minore unavita e uno sviluppo normali e qualche volta lasua stessa sopravvivenza.Sia sul versante dell’accertamento dell’idoneità adivenire genitori adottivi.La completa ricostruzione storica sull’adozionenazionale (Cecarelli), rivisita con spirito criticole norme e l’operato della giustizia minorile inalcuni suoi momenti; ribadisce però una valuta-zione negativa sull’istituzione di sezioni specia-lizzate, competenti per famiglia, minori e tutti idiritti della persona presso ogni Tribunale ordi-nario. Infatti al contrario dei Tribunali per i Mi-norenni, le sezioni specializzate non sarebberomodulate in rapporto alle esigenze dei soggettideboli, i minori; e la legge 149 del 2001 – che hafinalmente giurisdizionalizzato il processo civileminorile e quello sull’adottabilità in particolare– sarebbe stata frettolosamente approvata eavrebbe introdotto una miniriforma più ideolo-gica che di sostanza, ispirata dal favore verso gliaspiranti all’adozione, tanto che “nel quadrocomplessivo della legge l’interesse del minoreha visto ridotta la sua posizione preminente avantaggio di un più ampio bilanciamento con gliinteressi sia della famiglia di origine sia degliaspiranti genitori adottivi”. Questa è una valutazione che l’AIAF non puòcondividere; la legge 149, come serenamente epacatamente illustra l’avvocato Bet, ha introdot-to un giudizio rispettoso del contraddittorio, hareso finalmente terzo tra tutte le parti coinvolte

l’organo giudicante, il Tribunale per i Minoren-ni, ha reso obbligatoria per tutte le parti l’assi-stenza tecnica di un difensore, anche nei proce-dimenti di limitazione o decadenza della potestàgenitoriale introducendo addirittura la figuradel difensore d’ufficio per lo stesso minore o per isuoi parenti.Una conquista di civiltà giuridica che non impe-disce né i necessari rigorosi accertamenti sull’ab-bandono o l’incapacità parentale; né giudizi edecisioni tempestivi per la tutela dei minori nelrispetto del principio che giurisdizione e ammi-nistrazione, pur contigui per il benessere di tutti,grandi e piccoli, dovranno e devono rispettareregole diverse.Non poche perplessità su questa “adozione mite”che avanza, e che nasconde forse la paura e lasofferenza di decidere. Spesso sembra risolversiin una concezione confusiva dei bisogni deibambini che hanno sì assoluta necessità di esse-re accettati con il loro passato, ma devono poteravere chiarezza sul loro presente e, soprattutto,sul loro futuro.Devono poter instaurare relazioni di attacca-mento sicure e avere concreti modelli di identifi-cazione per strutturare la loro personalità e af-frontare da grandi e da soli, cioè in autonomia,la loro vita, conservando con le loro famiglie,quelle che li hanno cresciuti, una costante e re-ciproca relazione che durerà, come per tutte lefamiglie vere, per l’intera vita.Non è facile ottenere questo risultato. È per que-sto che sono necessari controlli, verifiche e soste-gno, che tengano conto dei nuovi scenari adotti-vi e, forse, dell’opportunità di aggiustare il mo-dello di adozione; fornendo ai suoi protagonistiun supporto, anche terapeutico, nel procederedella loro vita insieme (Vadilonga), che non de-ve però diventare una forma di controllo intru-sivo e permanente, quasi una medicalizzazionedell’adozione.Il compito importantissimo che ha la coppia conil bambino adottato è proprio quello di favorirela trasformazione del dolore e della sofferenzadell’abbandono in un’opportunità di crescita. Siparla tanto di resilienza ed è proprio questa l’op-portunità che hanno questi bambini: trasforma-re il proprio dolore in forza, creatività, energiapositiva, ricchezza interiore (Di Natale).Anche la famiglia adottiva può sviluppare unasua “resilienza” e cioè la capacità di reagire agliattacchi della vita, alle difficoltà, con l’autosti-

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EDITORIALE

ma e anche il senso dell’umorismo, innescandoquel processo di ripresa evolutiva, di natura psi-cologica, culturale, affettiva, sociale che permet-te a una persona o a un gruppo umano di avereun nuovo sviluppo davanti a un evento trauma-tico (Rizzarelli).Per raggiungere questi obiettivi occorre che buo-ne siano state le premesse sia in punto di motiva-zione e consapevolezza del rischio adottivo, siain punto di accertamento, senza pregiudizi, del-l’idoneità ad adottare.Centrale è avere consapevolezza di chi sono og-gi i bambini adottabili: pochissimi neonati; po-chi quelli lasciati piccoli in comunità; non pochiquelli che, superati i nove anni, rifiutano l’ado-zione, preferendo semmai una famiglia affida-taria alla comunità; la maggior parte con un’etàche supera i quattro o cinque anni e provenien-te in prevalenza dall’estero.La maggior parte di loro ha subìto gravi trascu-ratezze o maltrattamenti o abusi.Il rischio è che alla mancanza di consapevolez-za di questa realtà, si aggiunga la convinzioneche vale la pena di vivere solo se si ha un figlio eche basti l’amore a vincere tutti i problemi (Se-minara). Soprattutto quando, come dicono i nu-meri, è la mancata genitorialità naturale a mo-tivare all’adozione, anche se non è la motivazio-ne esclusiva visto che tra gli istanti vi sono anchecoppie che hanno già adottato o che hanno unoo più figli naturali; situazione quest’ultima chepuò rappresentare sia una risorsa sia una va-riante di rischio, quando la mancata procrea-zione del secondo figlio integra a sua volta il lut-to per la mancata genitoralità biologica. Se en-trambe le ferite, quella dell’abbandono e quelladella mancata genitorialità, sono ancora aperteil rischio di fallimento diventa quasi una certez-za (Cesaracciu). E con le gravi conseguenze siaper i bambini che vivono un nuovo abbandonoche per gli adulti che vedono fallire il loro proget-to di vita illustrate (D’Agata).Tuttavia coppie, riviste a distanza di un annodopo l’affidamento adottivo, mostrano una mo-tivazione e una forza ancora maggiori di quelleiniziali, nonostante le tante difficoltà e il mani-festarsi di problematiche, alcune delle quali im-previste e destabilizzanti (Cesaracciu).L’esperienza insegna che spesso il senso di fortis-simo rinforzo, dovuto alla nuova e acquisita ido-neità di genitori, può generare un circolo virtuo-so dove la capacità di reggere le difficoltà au-

menta per una quotidianità in cui le identità in-dividuali e di coppia e i confini generazionalidei sottosistemi familiari (figli, genitori, nonni)vengono riproiettati all’esterno proprio grazie ainuovi figli adottati. È forse la resilienza che si attiva.Non sempre appare utile né esaustivo focalizza-re la verifica dell’idoneità all’adozione sull’esi-stenza di questo lutto da mancata genitorialità esulla sua mancata elaborazione.Non è infatti nella mancata genitorialità e nellaperdita di un figlio (il lutto) che deve essere tro-vata la progettualità adottiva, bensì nell’elabora-zione consapevole e nella transizione dalla geni-torialità naturale alla genitorialità relazionale-affettiva. Né è giustificato, anzi non è giusto,condurre le indagini sull’idoneità come un“inumano decathlon” dove gli aspiranti genitoriperdono a priori la sfida (Barile).Quanto poi all’audizione degli aspiranti genito-ri da parte del giudice onorario talvolta succedeche anziché limitarsi a una precisa verbalizza-zione delle domande e delle risposte venga redat-to un verbale di osservazione con palese viola-zione dei diritti di difesa e del contradditorio(Barile, Scolaro).In tal modo violando quel limite relativo allapropria specificità metodologica e professionaleche non deve invadere la dimensione processua-le dell’indagine (Cesaracciu).È pur vero che l’eventuale decreto di inidoneità,ma solo per l’adozione di bambini stranieri, èimpugnabile in Corte d’Appello, a prezzo di gra-vi sacrifici, anche economici e di un percorso digrande sofferenza: l’ennesimo decathlon per gliaspiranti genitori.D’altronde le coppie che si propongono per l’ado-zione si troveranno a dover affrontare un deli-catissimo e difficile compito: diventare genitoridi un bambino che non solo ha già un vissuto diricordi, emozioni, esperienze di vita, ma appar-tiene a un’altra cultura con un’altra lingua, conaltri dati somatici, con altre lontane radici.Se è vero che genitori non si nasce ma si diven-ta, ancor più non si nasce genitori adottivi e tan-tomeno di bambini stranieri, che costituiscono lagran parte dei bambini adottabili.Mentre gli operatori dei Servizi sociali territoria-li preparano gli aspiranti genitori sia all’idonei-tà nazionale che a quella internazionale (Riz-zarelli), la Commissione per le Adozioni Inter-nazionali, svolgendo un compito tra controllo e

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incentivo, interviene con lo scopo di rendere pos-sibile e positivo, attraverso procedure corrette estabili, l’ingresso dei bambini provenienti da al-tre nazioni in una nuova famiglia (Chinnici) egli Enti Autorizzati, che la CAI controlla, inter-vengono a idoneità acquisita per informare, for-mare, accompagnare gli aspiranti genitori nelpercorso dell’adozione internazionale sino al-l’ingresso dei bambini nelle loro nuove famiglie.Per gli aspiranti genitori è la parte finale del de-cathlon; infatti la coppia che finora – se non èstata costretta ad appellare – non ha sopportatoalcun esborso economico in quanto tutta la pro-cedura è per legge gratuita, dovrà ora affronta-re, trovandolo spesso ingiustificato, il fatto di do-ver pagare l’Ente. Ma dovrà anche ripercorrereun cammino che riteneva compiuto, in terminidi formazione e informazione, colloqui psicolo-gici con relative relazioni, lunghe attese e ansie(Catera). E non sempre gli abbinamenti operatidalle autorità straniere rispettano i diritti e i bi-sogni dei bambini, dando così origine a non po-chi fallimenti adottivi. Per tutti valga il caso delminore straniero che non era stato neppureascoltato e rifiutava l’adozione (Seminara).Tutto era stato troppo veloce e i coniugi – unacoppia assolutamente idonea, affettiva e motiva-ta – avevano sì adottato il minore, ma il minorenon aveva adottato loro, tanto da percepirel’adozione come un sequestro: “Sono stato presoe portato via. Nessuno mi ha chiesto se volevopartire”. Il suo viaggio ha portato un cambia-mento di destino al quale il ragazzo non era sta-to preparato. C’è un tempo per diventare genitori e c’è un tem-po per diventare figli; ma c’è anche un tempominimo da rispettare per essere privati dei figli edichiararli adottabili.Una non recentissima sentenza della Cedu, cherisale al 13 gennaio 2009, ha affermato che loStato italiano è venuto meno agli obblighi positi-vi derivanti dall’art. 8 della Convenzione, pernon aver assicurato che il consenso prestato dal-la ricorrente all’abbandono dei figli fosse statochiarito e supportato da adeguate garanzie.È il caso Todorova contro Italia (Corradini), illu-strato nell’ultima parte della rivista, dedicata al-l’Europa e in particolare alla giurisprudenzadella Cedu in materia di adozione.La ricorrente, lamentando un’ingerenza nellasua vita privata e familiare non proporzionale enon necessaria in una società democratica, af-

fermava che la decisone di dichiarare adottabilii suoi figli minori, gemelli, dopo soli ventisettegiorni dalla loro nascita era contraria agli stan-dard del Consiglio d’Europa, riportati nell’art. 5comma 4 della Convenzione europea in materiadi adozione dei minori del 24 aprile 1968, se-condo il quale il consenso della madre all’ado-zione del figlio non potrà essere accettato che do-po la nascita di questi, allo spirare del termineprescritto dalla legge e che non dovrà essere infe-riore a sei settimane o, ove non sia specificato untermine, nel momento in cui, a giudizio dell’au-torità competente, la madre si sarà sufficiente-mente ristabilita dalle conseguenze del parto.La Corte europea, pur avendo constatato lo sfor-zo profuso dalle autorità italiane per tutelare iminori, ha però rilevato che il Tribunale per i Mi-norenni di Bari aveva proceduto alla pronunciadella dichiarazione di adottabilità senza pren-dere nella dovuta considerazione il fatto che laricorrente aveva chiesto del tempo per ragionaresulla decisione relativa al riconoscimento dei fi-gli, aveva chiesto di poter essere ascoltata dal Tri-bunale e di poter vedere i figli almeno fino allascadenza dell’eventuale maggior termine con-cesso per il riconoscimento.La richiesta della Todorova era pervenuta quat-tro giorni dopo la nascita dei bambini.È singolare che il Tribunale per i Minorennicoinvolto in questa vicenda sia lo stesso da cui èpartita l’ideologia dell’adozione mite che, tra lesue caratteristiche strutturali, ha proprio la con-servazione dei rapporti con la famiglia naturale.

Si ringraziano colleghi, magistrati, operatori eIstituzioni per il loro ricco e generoso contributodi esperienza, analisi e professionalità che haconsentito un aperto confronto di idee e di diver-si punti di vista.

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EDITORIALE

La vita non è quella che si è vissutama quella che si ricorda

e come si ricorda per raccontarla.

Gabriel García Márquez

UN PERCORSO DI FAMIGLIA ADOTTIVA

Ricostruire l’esperienza della nostra famiglia adottiva, focalizzandone i momenti essenziali e indi-cando ciò che ha funzionato e non, è un’impresa di non facile ricomposizione a distanza di ven-totto-trent’anni. Tutti insieme abbiamo ripercorso all’indietro la nostra vita familiare di genitori adot-tivi e di figli adottati. È stato interessante il ritrovarsi uniti e vicini, nonostante la distanza geografi-ca e la diversità delle scelte di vita. Sì, abbiamo messo a fuoco, ognuno dal suo punto di vista, lediverse tappe dell’excursus dalla famiglia naturale all’istituto, alla famiglia adottiva e, infine, all’in-terno di quest’ultima. Ombre, che sembrava persistessero ancora, in realtà erano svanite o si era-no ormai ammantate di un velo di irrealtà. Ognuno dei figli oggi guarda al proprio progetto di fu-turo, sicuro rispetto alle attuali figure di riferimento e capace di costruire nuove relazioni affettive.Il passato è un insieme di ricordi che sedimentano nella memoria e che si rivisitano con atteggia-mento sereno, senza sofferenza.

Perché adottare

La coppia e la genitorialità

Le motivazioni che stimolano la coppia verso l’adozione possono essere varie. Credo che non esi-sta un’unica causa anche se il bisogno biologico di generare per la conservazione della specie èpresente in ogni essere umano, ma non è determinante per la scelta di coppia e di famiglia con fi-gli. Altri fattori storico-socio-ambientali intervengono nel voler avere figli e costruire una famiglia,struttura base che regge, con fatica e disfunzioni, l’organizzazione e il funzionamento della nostrasocietà.Nella nostra esperienza “Perché l’adozione” è una riflessione a cui siamo giunti dopo un rodaggiodi quindici anni di vita insieme, ricca di comuni e diversificati percorsi e di condivisione di valorie scelte. Si sentiva però un vuoto nel privato: il bisogno di una presenza di figli emergeva pressan-te. La ricerca della genitorialità ha seguito primariamente la via biologico-naturale. Questa, pur es-

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OGNI BAMBINO HA IL SUO FAGOTTINO DI FORTUNAUn’esperienza di adozione nazionale

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sendo possibile, presentava tempi lunghi. “Perché non l’adozione?” incominciava a far capolino.Spesso sentivo, e sento tuttora affermazioni sull’adozione considerata, da un lato, come risoluzio-ne del problema dell’infertilità che impedisce di creare la famiglia che si desidera, dall’altro, un’ope-ra buona per aiutare i bambini senza famiglia e, oggi, come terapia riparativa dei traumi subiti daibambini adottati con i genitori nel ruolo di co-terapeuti.In seguito all’esperienza vissuta si è rafforzata la convinzione che per diventare genitori adottivi ènecessario passare attraverso la riflessione sulla genitorialità naturale. Questa, infatti, comporta l’in-terrogarsi sul significato della propria esistenza, sui legami parentali profondi, su cosa si intendeper genitorialità, se un figlio è un altro da sé o una rigida proiezione di sé; e se, per ritrovare lapropria identità e dare un senso al proprio sé, si deve generare fisicamente una nuova vita.Comprendere, quindi, quanto “il legame di sangue” sia intrinsecamente legato al modo di sentirela paternità e la maternità è indispensabile e inevitabile. Solo attraverso questa speculazione esi-stenziale si può arrivare a comprendere che la paternità e la maternità possono avere diverse mo-dalità di realizzazione. Una di queste è concepire la genitorialità sia come relazione interpersona-le tra due Sé che sono reciprocamente Altro senza nessun processo di identificazione nell’Altro, siacome costruzione di alterità diverse in un rapporto di continua circolarità.Da questa modalità di sentirsi padre e madre può finalmente scaturire il bisogno di adozione: per-sone che non vogliono fare i genitori a bambini traumatizzati dall’abbandono e dalla perdita delledue principali figure di attaccamento, il padre e la madre, in particolare quest’ultima, ma essere esentirsi genitori di bambini che vogliono essere e sentirsi nuovamente figli amati e voluti.Questa condizione ontologica permette e dà la forza per trovare le risorse e affrontare tutte le di-sfunzioni, le problematiche e le ombre di cui sono portatori tutti i protagonisti dell’adozione: ge-nitori e figli. L’adozione non è terapia rielaborativa e riparativa di relazioni familiari malate, ma cor-rispondenza di bisogni che si incontrano. Da ciò discende non la centralità del bisogno del bam-bino, ma la centralità di due bisogni che si incontrano in una circolarità relazionale. Genitori chesi sentono “protagonisti responsivi” e “base sicura” per i figli che modificano, cambiano i modellioperativi interni. Il percorso adottivo non è certo lineare e semplice, ma riccamente e faticosamen-te complesso, durante il quale darsi aiuto, supporto e ascolto promuove la formazione di una strut-tura equilibrata della personalità.

Scenario di una vita adottiva

L’inizio della nostra esperienza risale ai primi anni Ottanta con una prima adozione di un bambi-no di quasi dieci anni e una seconda adozione a distanza di due anni, di due sorelline rispettiva-mente di sei e sette anni.Precisato che ogni esperienza è un caso a sé stante e che il modello di transizione (che si riportasotto) è sicuramente valido per molti differenti casi, in questi due scenari si colgono punti di con-vergenza e divergenza.

“Transizione concettuale da un modello di adozione a un nuovo modello di adozione”

Fondato sul segreto delle origini Fondato sul recupero del passato

Basato sull’interruzione tra il prima e il dopo Basato sulla continuità

Adozione come seconda nascita Famiglia adottiva intesa come una triadeFamiglia adottiva come unica famiglia genitore adottivo-figlio adottato-genitori biologici

Da Vadilonga (a cura di), Curare l’adozione, Milano, 2010, XVII

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FOCUS

Nel primo punto i genitori non debbono sapere nulla sulle origini / i genitori debbono conoscereil passato. C’è un eccesso di rigidità in entrambe le affermazioni. Nel colloquio con i genitori glioperatori del Tribunale dovrebbero passare le informazioni utili per la fase iniziale, rinviando allefasi successive le altre informazioni da mettere a disposizione quando e se la relazione adottiva neavesse bisogno. A questo punto non si possono ignorare carenze dei Servizi sociali: da un lato nel-la raccolta dei dati, in particolare si fa riferimento al “background genetico” che in vari momentidella vita è richiesto, dall’altro nella loro assenza quando necessitano altre informazioni, supportoe sostegno.Nel secondo punto l’interruzione tra il prima e il dopo è messa in atto dagli stessi figli che voglio-no capire, sistemare ma non ritornare indietro, addirittura temono che ciò possa accadere e sognicon risvegli angoscianti lo manifestano. La continuità tra il prima e il dopo esiste nella realtà inte-riore di ogni figlio adottato. In questa continuità genitori adottivi e figli adottati si imbattono; nonè la vita vissuta oggetto di scontro e disequilibrio, di successivo incontro e nuovo equilibrio maquella che si ricorda, che è soggettiva e diversa per ognuno di loro. Il “prima” occupa lo spaziodel “dopo” finché “il dopo” riassorbe “il prima”, che diventa una pagina da rileggere, come sta av-venendo in occasione di questo articolo. Nel terzo punto l’adozione è davvero una seconda nascita e la famiglia adottiva l’unica famiglia. Lafamiglia è una triade solo nella fase iniziale del processo adottivo perché lentamente nel tempo ifigli prima trasferiscono il modello interiorizzato della famiglia biologica nella famiglia adottiva, poilo modificano, sfumandolo gradatamente fino ad annullarlo nella famiglia adottiva. Cito comeesempio la richiesta chiara e determinata delle mie allora bimbe, che hanno voluto rivivere tutte lefasi vissute o negate nella precedente famiglia, fin dalla nascita: contatto fisico con la pancia ma-terna, biberon, pannolini, culla-lettino, passeggino e battesimo fino all’invenzione della favola “Pa-pà, mamma, dite la verità: ci avete lasciato in istituto e poi siete passati a riprenderci”.La nostra vita è stata sempre costellata di sfide, continue provocazioni, forti crisi con alcuni mo-menti di supporto di qualche specialista per nostra iniziativa personale. superate con il legame af-fettivo, la relazione di attaccamento e accudimento e la fortissima voglia dei figli di essere unica-mente “figli”, consapevoli che non bisogna privarsi dei ricordi perché questi sono una profonda,anche se dolorosa, ricchezza di umanità, comprensione e accettazione dell’Altro da sé, anche quan-do Altro ha significato abbandono e perdita.

Perché essere adottati

Mamma di pancia, mamma di cuore

Sotto forma di riflessione il primo figlio, ha posto l’accento sul significato dell’adozione per il bam-bino saltando la transizione nell’istituto, le due figlie hanno preferito raccontare in modo diretto al-cuni momenti della loro vita prima dell’adozione, focalizzando l’attenzione sul ruolo dell’istituto esul momento del passaggio alla famiglia adottiva, con qualche riferimento alla situazione successiva.

Primo figlio

Un bambino adottato è un bambino che ha vissuto l’esperienza della famiglia perduta. È un bam-bino che vive nell’attesa, sospeso nella speranza di essere o ritornare “figlio”, e che non vuole es-sere dimenticato nelle strutture di assistenza.Certamente molto diverse sono le conseguenze psicologiche che patisce un bambino che non haavuto una famiglia, cioè che è stato abbandonato alla nascita e ha vissuto un periodo più o menolungo di ricovero in istituto, rispetto alle conseguenze che subisce il bambino che perde una fami-

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glia in cui ha vissuto e trascorre diverso tempo in un istituto; diversi saranno i problemi che i ge-nitori adottivi dovranno affrontare con un bambino già grandicello, traumatizzato e gravemente sof-ferente. I nuovi genitori non potranno non tenere conto di ciò che è avvenuto prima del suo arri-vo e dovranno curare le ferite del bambino. I genitori non devono sperare che il bambino dimentichi il proprio passato; nell’eventualità piùprobabile, per una questione di sopravvivenza, questo può essere solo rimosso: un bambino sa co-sa deve fare in merito, poiché il suo passato rappresenta una parte importante nella costruzionedella propria identità. I genitori dovranno a maggior ragione aiutarlo a integrarlo nel presente. Si pone quindi il problema del “come dirglielo?”. In alcuni casi non è necessario, nel senso che un bambino, inconsciamente o consciamente, nonaspetta altro che fuggire da una situazione diventata ormai pesante, estenuante ed è quasi costret-to, qualora se ne presenti l’occasione, a buttarsi tra le braccia di chi vorrà portarlo via, lontano.Sono comunque l’esperienza dei genitori e la loro progressiva conoscenza del bambino, il migliormetro di misura del quando e del come, tenuto conto che il “dire troppo” può spaventare ed es-sere rischioso quanto il “dire poco”. “Ti abbiamo adottato” apparirà a questo punto la cosa più naturale del mondo.Non è necessario addentrarsi in spiegazioni intricate su cosa è l’adozione; è sufficiente raccontare,ricordare i fatti, l’incontro, il paese di origine, per incidere nella memoria del figlio dei ricordi im-portantissimi che non deve dimenticare. La rivelazione al bambino della sua storia è un processo lento e delicato che provoca all’inizio unforte senso di smarrimento (chi sono io, chi siete voi, chi erano i miei genitori, perché mi hannoabbandonato, perché mi avete preso voi?) e la sensazione di perdita di tutte le sue fonti di sicu-rezza: sicurezze che col tempo, attraverso la costruzione di nuovo rapporto tra nuovi figli e nuovigenitori, diventano certezze. Certezze che, sempre col tempo, faranno capire al bambino che “nonsei figlio di chi ti partorisce ma di chi ti vorrà bene e di chi si prenderà cura di te”. La ricostruzionedella sua identità avviene con una graduale e armonica fusione tra l’immagine che il bambino ave-va costruito di sé e quella che costruisce nella sua nuova famiglia. L’adozione diventa così una ne-cessità, l’unica soluzione possibile.

Seconda figlia

Prima dell’istituto stavo a casa da sola, in una famiglia dove i genitori non c’erano mai. Facevo di-spetti alla mamma perché non si occupava di noi. È stato un trauma da assenza. L’istituto è stato, invece, una presenza negativa che ha provocato traumi e difficoltà di apprendi-mento. Si subivano maltrattamenti fisici e psicologici e io cercavo di proteggere la sorella più pic-cola di me. Pensavo: “Non ti hanno voluto i tuoi, figurati se ti vogliono gli altri! Quindi sono io unapersona cattiva, per questo motivo non mi amano e mi hanno abbandonato tutti e... io mi odio”. Un giorno ci vestirono bene e ci dissero: “Arrivano papà e mamma”. “Anna, forse qualcuno è venuto a portarci via, forse una mamma e un papà nuovi”. Anna stava zit-ta. Ero contenta perché uscivo dall’istituto e mi dicevo: “Speriamo che sia qualcuno che ci vogliabene”.Ero frastornata, non capivo niente, respiravo un’aria diversa, mi sentivo frizzante come uscita dal-la gabbia. Con i bambolotti nel salotto dai nonni, la cagnetta Barone che abbaiava, le zie, gli zii...Nella mia nuova famiglia, nella mia nuova città mi sentivo rinascere e volevo essere la maggioreperché avevo svolto quel ruolo in istituto e alla mamma dicevo: “Manda via il fratello più grande,riportalo dove l’hai preso, cerchiamogli un’altra famiglia”. Facevo i dispetti alla mamma, per met-terla alla prova: “Se mi manda via, allora sono davvero cattiva”. Nei rapporti con gli altri, al di fuo-ri della famiglia, ho provato un po’ di sofferenza perché mi sentivo o mi facevano sentire diversa.Alle elementari e alle medie mi vergognavo di dire che ero figlia adottiva. Alle superiori il traumada abbandono e perdita era stato superato. Mi sono sentita sicura con i genitori. Mi dimentico diessere adottata. Se l’adozione è riuscita, non si sente necessità di cercare la famiglia naturale.

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FOCUS

Terza figlia

Sono stata adottata all’età di cinque anni insieme a mia sorella. Ero una bambina timida, riservatae diffidente. Della famiglia che mi ha abbandonato non ho alcun ricordo, se non un episodio dimonelleria. Vivo è invece il ricordo di essere stata portata dalle suore in un istituto. In quel mo-mento ho capito che a casa non sarei più tornata. Le suore secondo me non dovrebbero tenere ibambini che hanno subìto la perdita e l’abbandono: non avevano pazienza, sgridavano, punivano,chiudevano in bagno e da quel momento si iniziava ad avere paura del buio e a bagnare le len-zuola... Peccato che lì i bambini erano abbandonati e con tante paure! Avrebbero dovuto, invece,essere tenere perché loro, per un periodo, sostituivano i genitori. Un giorno, non ricordo se fosse estate o inverno, sono arrivati i nuovi genitori. Da una parte erocontenta dall’altra non sapevo se fidarmi nel timore di essere lasciata; quindi stavo lontano, osser-vavo, valutavo. Quando ho visto che mia sorella si avvicinò, allora mi avvicinai anch’io. La cosa bella fu che eravamo state prese tutte e due, non eravamo state separate. Ciò che mi hacolpito è che potevano prenderne solo una, invece hanno preso tutte e due. Allora ho capito cheforse non saremmo state abbandonate. Dei nuovi parenti incontrati in quel giorno ricordo una zia,i nonni, la cagnetta Barone... Volevamo “tutta la roba” dei bambini piccoli. Nella nuova famiglia sono sempre stata una bambina riservata che si faceva un po’ gli affari suoi,giocavo molto da sola e non esternavo il mio affetto davanti a nessuno. Mamma e papà si sonodati tanto da fare, avevamo molti problemi soprattutto nella scuola. Li abbiamo fatti penare tan-to, proprio come in una famiglia in cui i figli sono partoriti. Secondo me i figli sono di chi li cre-sce: non ho mai avuto la voglia di sapere chi fossero i vecchi genitori. Penso che siamo stati, esiamo, una famiglia come tante: ci sono state litigate pesanti, ci sono state scappatelle, ma abbia-mo sempre cercato di risolvere i problemi. Forse ciò di cui ho un po’ risentito è stato l’averci pro-tetto tanto, forse avrebbero dovuto farci fare degli errori, ma per il resto sono stati e sono dei ge-nitori veri.

Conclusioni

Queste piccole testimonianze sottolineano le disfunzioni dei Servizi e delle Istituzioni e la necessi-tà che tutte le strutture pubbliche delegate prendano in carico la problematicità della transizionedalla famiglia naturale a quella adottiva e del processo educativo. Gli ambiti di intervento per mi-gliorare il sostegno e la presa in carico dei bambini che hanno subìto l’abbandono e la perdita del-le figure di attaccamento sono diversi, per cui tutti i protagonisti dovrebbero lavorare in rete siner-gica.Le mie osservazioni restano circoscritte alla tipologia dell’adozione nazionale, della coppia cheadotta e della nostra esperienza adottiva.Un ambito è quello della cultura professionale, della competenza delle figure preposte all’incontrocon i genitori che vogliono intraprendere il cammino adottivo, e alla cura e al sostegno del bam-bino che sarà adottato. La solitudine, l’essere lasciati soli rende assai difficoltoso il percorso adot-tivo, più che il disagio per il bambino provocato dall’abbandono e il bisogno di orientamento delgenitore nella relazione con il bambino. Bisogna, però, stare attenti a non demandare troppo aiServizi la responsabilità genitoriale e il trovare soluzione alle problematiche che inevitabilmente sipresentano. Il fattore resilienza come esiste per il bambino, è opportuno che operi anche nellacoppia. Con ciò non voglio certo sostenere che la coppia e la famiglia debbano essere lasciate so-le. A ognuno va riconosciuta la responsabilità del proprio ruolo e del considerare fisiologico e nonpatologico il percorso adottivo. L’adozione non è una malattia da curare e i protagonisti della fa-miglia non sono pazienti da seguire in modo terapeutico. Consideriamo l’adozione come uno dei tanti percorsi che la Famiglia in quanto tale si trova di fron-te. Se procediamo in questa direzione ci ritroviamo ad aver a che fare con il retaggio culturale che

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sta dietro la concezione della famiglia. Legame di sangue o relazione tra persone? Forse è qui unodei nodi da sciogliere.Se il “legame di sangue” è considerato il vero e naturale collante tra genitori e figli, è indubbio chetutte le altre forme di famiglia costituiscono “la diversità” connotata da minor valore, una sorta dicopia non sempre ben riuscita. Se, invece, la “relazione tra persone” è il fondamento della fami-glia, non esiste la Famiglia e le sue copie più o meno riuscite, ma esistono diverse tipologie di fa-miglia in cui i bisogni si intrecciano e si risolvono insieme. Credo che questo sia lo spartiacque cheproblematizza il lavoro e determina distorsioni nelle decisioni che vengono prese nell’ambito so-ciale, e rende insicuri e bisognosi di cura i genitori.Il modo di concepire la famiglia determina i comportamenti. Non tanto il trauma dell’esperienzadell’abbandono e della perdita (compresi anche quelli più tragici) dà sofferenza al bambino, quan-to il sentirsi solo, non amato e voluto dopo il trauma subìto.Proprio la fase della transizione dalla famiglia naturale a quella adottiva, ovvero l’istituzionalizza-zione è il momento più critico perché è il luogo e il tempo in cui altre figure di attaccamento e ac-cudimento dovrebbero temporaneamente, fino all’inserimento nella nuova famiglia, riempire ilvuoto e dare quel calore umano che fa sentire protetti dalle intemperie della vita.A questo punto l’intervento dell’Istituzione pubblica gioca un ruolo di grande responsabilità. Pur-troppo questo spesso non avviene, l’assenza di figure adeguate e la mancanza di controllo di tut-ti i soggetti coinvolti continuano a ripetersi, aggravando e scaricando sulla famiglia adottiva tutto ilpeso della sofferenza, della crisi d’identità, delle difficoltà di apprendimento dei bambini che vo-gliono solo ridiventare “figli”.

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FOCUS

Un po’ di storia

1967. La legge introduce un nuovo concetto di adozione e riceve risposte che denotano una disponibilità al supera-mento della famiglia tradizionale. Il TM assume nuove funzioni civili

L’adozione così come l’intendiamo oggi, non come mezzo per dare un erede a chi non l’ha ma perdare genitori a un bambino che ne è privo, è stata introdotta con la legge 5 giugno 1967 n. 431sull’adozione speciale, così chiamata per distinguerla da quella regolata dal codice civile del 1942. Lo spirito della legge era di garantire ai bambini di meno di otto anni, privi di assistenza materialee morale da parte della famiglia di origine, di diventare figli, in tutto equiparati ai figli legittimi, diun’altra famiglia. Lo scopo era anche di prevenire la devianza dei ragazzi che, allora numerosi, cre-scevano abbandonati in istituti di assistenza subendo gravi limitazioni nel loro sviluppo personale. La legge fu approvata dopo una lunga discussione parlamentare nella quale non mancarono pole-miche accese tra i suoi sostenitori e chi invece rivendicava l’inscindibilità del legame di sangue:una sorta di diritto di proprietà della famiglia sul bambino di cui era oggetto da secoli anche peril diritto. Tale convincimento era ancora forte e radicato in una parte della cultura tradizionale tan-to da determinare non poche resistenze anche tra i giudici nell’applicazione della nuova legge: nonfurono poche le decisioni che misero in secondo piano l’interesse del minore a crescere in una fa-miglia adeguata ai suoi bisogni, rispetto all’interesse della famiglia di origine di mantenerlo al suointerno2. Mentre l’adozione tradizionale era un atto negoziale fondato sul consenso dell’adottante e dell’adot-tato (se minorenne del suo legale rappresentante, cioè il padre o in mancanza il tutore), la nuovaadozione costituiva un atto di portata pubblica rimesso alla decisione del Tribunale per i Minoren-ni chiamato a valutare se un bambino potesse essere dichiarato abbandonato, e quindi adottabile,e a scegliere la coppia più adeguata ad adottarlo tra quelle disponibili e ritenute idonee. Ogni decisione doveva avvenire “nell’interesse preminente del minore” il quale veniva per la primavolta considerato soggetto di un diritto a crescere in una famiglia capace di rispondere ai suoi bi-sogni evolutivi. In relazione alle nuove competenze sull’adozione speciale i Tribunali e le Procure per i Minoren-ni, che dalla loro istituzione nel 1934 avevano esercitato quasi esclusivamente le competenze pe-nali e di rieducazione, svilupparono le funzioni civili. Dopo il 1967 gli uffici minorili acquisironoun ruolo del personale autonomo e cominciarono a sviluppare una specializzazione grazie alla pre-

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1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010. 2 Cfr. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2002, 222.

L’ADOZIONE NAZIONALE: STORIA E PROSPETTIVE1

Elisa Ceccarelligià presidente del Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna

senza di giudici togati con funzioni esclusive e giudici onorari con una formazione professionale. La legge del 1967 trovò un terreno fertile nella società civile da cui scaturì una domanda di ado-zione che fu subito evidente e che andò via via aumentando sempre più negli anni successivi. Al-l’inizio coloro che facevano la scelta adottiva si ispiravano a valori elitari, di apertura verso un rap-porto di filiazione fondato sull’affetto e sulla solidarietà in alternativa alla tradizionale visione au-tarchica della famiglia. In seguito, con l’aumento della denatalità, l’adozione è divenuta sempre piùrifugio delle coppie frustrate nel loro desiderio di generare un figlio. Nel corso del tempo l’adozione nazionale si è fortemente ridotta perché nel nostro Paese i bambi-ni in stato di abbandono sono stati fortunatamente sempre meno. Ne è derivato un ricorso sempre più diffuso all’adozione internazionale che, fino al 1983, non eraregolata dalla legge italiana ed era priva di vincoli internazionali sino alla approvazione della Con-venzione de L’Aja 29 maggio 1993, ratificata dall’Italia con legge n. 476/1998. Le coppie che vole-vano un figlio non erano sottoposte ad alcun giudizio di idoneità del Tribunale per i Minorenni epotevano ottenere un bambino rivolgendosi a organizzazioni private che operavano nei Paesi me-no sviluppati nei quali l’adozione veniva pronunciata secondo la legislazione locale3.

1983. La legge si applica a tutta la minore età, regola l’affidamento familiare e l’adozione internazionale, attribuiscenuove competenze al Tribunale per i Minorenni

L’esigenza di allargare l’adozione speciale a tutti i minorenni, adeguando la legislazione italiana al-la normativa europea (Convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967, ratificata con legge n. 357/1974),l’esigenza di regolamentare l’istituto dell’affidamento familiare (fino ad allora gestito solo dai Ser-vizi sociali) e di formalizzare l’adozione di bambini all’estero, sempre più diffusa, hanno trovato ri-sposta nella legge 4 maggio 1983 n. 184 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento familiare”. In essa è stato affermato il diritto del minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia(art. 1), mentre l’affidamento familiare e l’adozione sono stati previsti come rimedi qualora tale di-ritto non potesse trovare attuazione a causa di un ambiente familiare temporaneamente o definiti-vamente inidoneo.La legge entrò in vigore al termine della stagione in cui la legislazione italiana aveva riconosciutoil minore come soggetto di diritti (si pensi alla legislazione degli anni Settanta, in particolare allariforma del diritto di famiglia) e sancito il primato dell’interesse del minore come cardine di ogniintervento, secondo il principio proclamato dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia nella pri-mitiva formulazione del 1959 poi confermata nel 1989 (ratificata dall’Italia con legge 176/1991). La legge 184/83 comportò anche una ridefinizione delle competenze dei Tribunali per i Minoren-ni a cui vennero affidati, tra l’altro, i procedimenti per le azioni di stato relative ai minorenni. Gli interventi giudiziari minorili risultarono ampliati e rafforzati, ma cominciarono a suscitare criti-che per la loro ingerenza eccessiva negli affari di famiglia. Il criterio della prevalenza dell’interesse del minore cominciò a essere criticato da una parte delladottrina giuridica, che rilevava la genericità e la possibilità che giustificasse pronunce giudiziarie“passepartout” utili a dissimulare una discrezionalità a rischio di divenire arbitrio perché condiziona-ta da pregiudizi dei giudici sul tipo di famiglia, di allevamento e di educazione da impartire ai figli.I mezzi di informazione accolsero ed enfatizzarono polemiche contro il sistema dell’adozione su-scitate da casi che avevano clamorosamente diviso l’opinione pubblica tra chi difendeva la leggee chi invocava modifiche in nome di una maggiore garanzia delle famiglie di origine o, al contra-rio, in nome di una maggiore tutela di coloro che, anche al di fuori della legalità, rivendicavano ipropri legami affettivi con i bambini. Rimane emblematico quello che è noto come il “caso Serena”, una bambina filippina di circa due an-

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FOCUS

3 Anche negli ultimi anni le adozioni internazionali sono state i tre quarti del totale e hanno riguardato nella maggior partebambini provenienti dai Paesi della ex Unione Sovietica e dell’Europa dell’Est, preferiti per le loro caratteristiche somatiche checonsentono una totale apparente omologazione del bambino adottivo al figlio naturale.

ni allontanata a fine 1988 dalla coppia che l’aveva portata in Italia qualche mese prima come figliariconosciuta dal marito, riconoscimento che era risultato inesistente. La decisione del Tribunale per iMinorenni, confermata dalla Corte d’Appello, aveva scatenato reazioni accesissime e innescato unavivacissima discussione sul significato dell’adozione e sui limiti degli interventi della giustizia mino-rile4. Questo e altri casi presentati come incomprensibili prevaricazioni, volta a volta, delle ragionidelle famiglie adottive o delle famiglie di origine dei bambini avevano provocato violente polemichecontro i Tribunali per i Minorenni, accusati da taluni di delirio di onnipotenza, e contro i Servizi so-ciali descritti come coloro che “rubavano” i bambini alle famiglie anziché aiutarle a superare i loroproblemi economici e sociali. Significativa dell’atmosfera e dei peggiori umori del tempo è la coper-tina di un periodico a grande diffusione che, sotto l’immagine di un neonato, attraversata dalla scrit-ta “Venduto” intitolava: Il dramma dell’adozione. Perché in Italia la legge non funziona. E ancora:Adottati e ingannati. Comprati e venduti, strappati alle famiglie, rapiti. E i tribunali dei minori fini-scono sotto accusa. Ecco il ritratto di un paese diviso tra partito del cuore e quello dei codici 5. In questa atmosfera di violenti attacchi, provenienti da chi era coinvolto nelle vicende adottive eacriticamente raccolti dal sistema mediatico, all’inizio degli anni Novanta furono presentate in Par-lamento numerose proposte di modifica non solo della legge 184/83 ma dell’intero sistema giuri-sdizionale minorile. Le più radicali prevedevano l’abolizione dei Tribunali per i Minorenni e la loro sostituzione con se-zioni del Tribunale ordinario, senza partecipazione dei giudici onorari, considerati pregiudizialmen-te schierati a difesa dei minori e incapaci di porsi come giudici imparziali.

2001. La “riforma” risponde a esigenze contraddittorie espresse dalla società civile: diritto del minore a una famiglia(art. 1, comma 4); più rigore nelle dichiarazioni di adottabilità (rivalutazione della famiglia di sangue); riconoscimen-to del diritto del figlio adottivo alla conoscenza delle sue origini; meno rigore nella scelta degli aspiranti adottivi (età,matrimonio, no invece a single); più delimitazione temporaneità affido

L’esame di tali proposte (che sarebbero state poi rilanciate ancora senza successo nel 2002) con-dusse, dopo un decennio di discussioni inconcludenti dentro e fuori il Parlamento, alla frettolosaapprovazione, sull’orlo della fine della legislatura, della legge 1° marzo 2001 n. 149, “miniriforma”della legge 184/83, più ideologica che di sostanza. La nuova legge ha recepito le modifiche intervenute nel sistema dell’adozione internazionale conla legge 31 dicembre 1998 n. 476 (ratifica della Covenzione Aja del 1993) che aveva riaffermato ilprimato dell’interesse dei minori e introdotto controlli sulla loro circolazione da un Paese all’altro.Le nuove norme hanno risposto alla forte aspettativa verso l’innalzamento della differenza di etàtra adottanti e adottato indotta dal progressivo aumento della domanda di adozione da parte diaspiranti sempre meno giovani. Il limite di età è stato aumentato da quaranta a quarantacinque an-ni e ha perso ogni rigidità, poiché può essere sempre derogato se ciò viene ritenuto nell’interessedel minore6. Il favore del legislatore del 2001 verso gli aspiranti all’adozione ha ispirato altre norme tese a rende-

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4 Le diverse posizioni si possono vedere in Questione giustizia, 2/1989 e nel libro della Ginzburg, Serena Cruz o la vera giu-stizia, Torino, 1990.5 “L’Europeo”, n. 13, 31 marzo 1990.6 L’art. 6 della legge 149/01, lasciando invariato il divario minimo di diciotto anni tra adottanti e adottato, stabilisce che l’ado-zione non è preclusa quando lo scarto di età tra il minore e il più anziano dei due coniugi non superi i cinquantacinque anni;potrà però essere superiore qualora abbiano figli naturali o adottivi di cui almeno uno minorenne, o l’adozione riguardi un fra-tello del minore già da essi adottato (commi 3 e 6). Prima della legge, almeno dal 1997 in poi, la Corte Costituzionale e la Cas-sazione avevano affermato la possibilità di deroghe al limite legale, purché la differenza di età corrispondesse a quella possibi-le tra genitori e figli naturali, qualora la mancata adozione fosse contraria all’interesse del minore. Le pronunce legittimavano in-fatti situazioni precostituite in cui i minori avevano ormai un rapporto consolidato con coppie più anziane di quanto voluto dal-la legge. Nonostante tale soluzione fosse ragionevole e in un certo senso obbligata nei singoli casi (la cui eccezionalità le Cortiavevano sempre cura di sottolineare), questa giurisprudenza aveva di fatto eroso il limite legale di quarant’anni, ponendosi og-gettivamente in sintonia con le esigenze degli adulti più che con quelle dei bambini.

re più rapide e più facili le procedure adottive: la validità delle domande di adozione nazionale èprolungata da due a tre anni e si stabilisce un termine per l’indagine sulla capacità adottiva da par-te dei Servizi sociali (quattro mesi però prorogabili per altri quattro mesi, seppure una sola volta).Di fatto tali norme non hanno avuto nella loro applicazione l’effetto che si proponevano. Non è stata invece accolta un’altra istanza che da tempo era stata avanzata e non aveva trovato ac-coglimento nella giurisprudenza7, vale a dire quella riguardante l’ammissione all’adozione di per-sone singole. Quanto alle coppie non sposate, la legge ha operato un compromesso, mantenendo fermo il re-quisito del matrimonio ma prevedendo che nel termine di tre anni di stabile rapporto, che costi-tuisce presupposto necessario per l’accesso dei coniugi all’adozione, possa essere computato an-che il periodo pregresso di convivenza stabile e continuativa, il cui accertamento è rimesso al Tri-bunale per i Minorenni (art. 6). In controtendenza con il favore espresso dalla legge verso gli aspiranti genitori adottivi la legge149/2001 ha introdotto norme volte a dare maggior tutela alle ragioni delle famiglie di origine: ladichiarazione di adottabilità ha perso il carattere officioso ed è divenuta più complessa, perdendola ripartizione in due fasi (di volontaria giurisdizione e di opposizione) assumendo sin dall’iniziocarattere contenzioso e richiedendo sempre la difesa obbligatoria (anche di ufficio) dei genitori o,in loro mancanza, dei parenti tenuti alla cura del minore, nonché di quest’ultimo. Di fatto per la parte processuale la riforma è rimasta sospesa in forza di un rinvio deliberato dallegislatore nel giugno 2001, “in attesa di una compiuta disciplina sulla difesa d’ufficio nei procedi-menti per la dichiarazione di adottabilità” e di “una revisione del procedimento ex art. 336 c.c.”. Né l’una né l’altra sono mai state realizzate. Il legislatore, invece, ha reiterato il rinvio per cinquevolte finché, a partire dal luglio 2007, senza alcun ulteriore provvedimento, è venuto meno compor-tando l’entrata in vigore delle norme processuali nella forma scarna e incompleta adottata nel 2001. La legge 149 ha introdotto inoltre un termine per l’affidamento familiare (due anni), rendendoloperò prorogabile illimitatamenteInfine, in adempimento all’impegno assunto nel ratificare la Convenzione sull’adozione internazio-nale, ha introdotto la possibilità per il figlio adottivo di conoscere le sue origini e il diritto di es-serne informato. Nel quadro complessivo della legge l’interesse del minore ha visto ridotta la sua posizione premi-nente a vantaggio di un più ampio bilanciamento con gli interessi sia della famiglia di origine siadegli aspiranti genitori adottivi.

2002/03. Il tentativo di controriforma Castelli: contenimento del “potere” del TM e suo abbattimento come giudicespecializzato

La nuova maggioranza politica, uscita dalle elezioni celebrate subito dopo l’approvazione della leg-ge 149, manifestò un evidente disinteresse per il suo compimento nella parte relativa alle normeprocessuali, dimostrando invece la volontà di modificare integralmente l’intero sistema della giuri-sdizione minorile. Nella primavera del 2002, in un clima creato ancora una volta da una violenta campagna, non pri-va di spunti denigratori, condotta attraverso la stampa e il palcoscenico televisivo contro alcunepronunce di adottabilità, il governo in carica da poco più di un anno, sollecitato dal ministro del-la giustizia (il leghista Roberto Castelli), presentò al Parlamento due disegni di legge che prevede-vano la soppressione delle competenze civili dei Tribunali per i Minorenni e il loro trasferimentoa istituende sezioni dei Tribunali ordinari, composte di soli giudici togati, addette alla trattazionedi tutti i procedimenti in materia di minori, di famiglia, di stato e capacità delle persone. Ai Tribu-

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FOCUS

7 Cfr. le pronunce della Corte Costituzionale n. 183/94 e della Cassazione n. 7950/95 che avevano respinto la richiesta di ado-zione da parte dell’attrice Dalila Di Lazzaro il cui desiderio di adottare da sola aveva avuto grande risonanza nei mezzi di infor-mazione.

nali per i Minorenni sarebbe rimasta la sola competenza penale con inasprimento delle pene e li-mitazioni dell’applicabilità della messa alla prova. Dopo oltre un anno di discussione parlamentare accompagnata da vivaci reazioni da parte dei ma-gistrati associati (non solo minorili), delle realtà attive nel mondo minorile e di buona parte degliavvocati specializzati, la cosiddetta riforma Castelli fu bloccata nel novembre del 2003 dal voto con-trario del Parlamento che condivideva il parere contrario della Commissione giustizia e della Com-missione bicamerale per l’infanzia. In tal modo fu scongiurato il rischio di eliminare la specializzazione del giudice minorile e di va-nificare l’efficacia dei suoi interventi civili poiché le cosiddette sezioni specializzate non avrebbe-ro potuto avere competenze minorili esclusive né numero di giudici adeguati né il contributo cul-turale dei giudici onorari8. Lo scopo trasparente della minacciata riforma era proprio quello di eliminare il servizio specialisti-co reso dal Tribunale per i Minorenni, modulato in rapporto alle esigenze dei soggetti più deboliche, pur di rilevanza costituzionale, appariva pericoloso per l’autonomia della famiglia intesa co-me valore da salvaguardare nell’interesse prevalente degli adulti.

2007. Entrata in vigore della riforma processuale: la difesa nei procedimenti minorili e d’ufficio nell’adottabilità; il mi-nore è soggetto processuale e viene definito “parte”; la sua rappresentanza nel procedimento di adottabilità (nominacuratore)

Il legislatore del 2001 ha previsto norme processuali volte a garantire il contraddittorio e la difesa,escludendo la procedibilità d’ufficio e organizzando sin dall’inizio l’adottabilità come un procedi-mento sostanzialmente contenzioso seppure sempre nella forma camerale. Proprio per tale forma, priva di regole precise, i procedimenti avanti al Tribunale per i Minorenniavevano suscitato diffuse critiche tra i giuristi, divenute più vivaci dopo che il principio del giustoprocesso era stato ritenuto di generale applicazione in seguito all’introduzione del nuovo art. 111Costituzione9. Diversamente dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, che ne avevano sempre affermato lalegittimità purché nella forma “costituzionalizzata” (ss.uu. n. 5629/96) una parte della dottrina so-steneva l’illegittimità del rito camerale che consente un “processo del giudice” per procedimenti incui sono in gioco diritti personali tanto pregnanti da essere irrisarcibili. L’entrata in vigore, nel luglio 2007, delle disposizioni processuali della legge n. 149, non è stata ac-compagnata da alcuna riforma complessiva: l’occasione di emanare finalmente un “codice di pro-cedura civile minorile” è stata persa nonostante le ampie trattazioni dell’argomento che erano emer-se nel corso di una ricca e lunga discussione nella dottrina, nell’avvocatura e nell’associazione deimagistrati minorili10. L’introduzione, tout court, del diritto di difesa in tutti i procedimenti civili minorili e l’eliminazionedella procedibilità d’ufficio nell’adottabilità ha prodotto però il risultato di far superare i dubbi cir-ca la legittimità del rito camerale che continua a essere applicato a tutte le procedure avanti al Tri-bunale per i Minorenni. Di recente la Cassazione ha ribadito che il rito camerale “costituzionalizzato” deve ritenersi legitti-mo anche per le procedure sostanzialmente contenziose e particolarmente adatto, per le sue carat-teristiche di celerità e snellezza, alle procedure civili avanti al Tribunale per i Minorenni11.

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8 La rilevanza costituzionale della composizione mista del Tribunale per i Minorenni, con giudici togati e onorari, è tata rico-nosciuta dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 2003.9 Cfr. Proto Pisani, Garanzie del giusto processo e tutela degli interessi dei minori, in Questione Giustizia, 3/2000, 467 ss; Du-si, L’art.111 della Costituzione e le procedure minorili in camera di consiglio, in Civinini, Verardi (a cura di), Il nuovo art. 111della Costituzione e il giusto processo civile, Roma, 2001, 298 ss. Cfr. anche Ceccarelli, La giustizia minorile dopo la legge n.149/2001, in Questione Giustizia, 5/2001, 860 ss. 10 Cfr. Vaccaro, Processo camerale minorile e princìpi costituzionali, in Minorigiustizia, 3/2000, 32 ss.11 Cass. 4 novembre 2009, n. 23411 e Cass. 19 aprile 2010, n. 9277, in Famiglia e diritto, 2/2010, 113 ss. e 8-9/2010, 770 ss.

Con l’andata a regime del nuovo processo civile minorile lo statuto dei diritti dei minori non è piùaffare esclusivo dei giudici minorili: anche la giurisdizione di legittimità delinea la figura di un mi-nore soggetto processuale portatore di diritti autonomi di rango costituzionale nei confronti dei ge-nitori, non più titolari di potestà su di lui ma piuttosto di responsabilità verso di lui. Il diritto del minore di essere difeso insieme a quello di esprimersi in tutti i procedimenti che pos-sano coinvolgerlo non è più messo in dubbio: una recente pronuncia ha riconosciuto il diritto delminore a essere ascoltato nel procedimento di revoca dell’adottabilità12. Un’altra pronuncia delle Sezioni unite ha stabilito che il figlio minorenne, sebbene non possa es-sere considerato parte nel procedimento di modifica delle condizioni di separazione dei genitori(art. 710 c.p.c.), deve essere sentito13.Partendo dal diritto all’ascolto, fondato sulle convenzioni sui diritti del fanciullo (New York 1989)e sul loro esercizio (Strasburgo 1996) la Corte Costituzionale già nel 2002 ha configurato il minorecome “parte” del procedimento ex art. 336 c.c. “con la necessità del contraddittorio nei suoi con-fronti, se del caso previa nomina di un curatore”14. A questo proposito la cassazione, disattendendo una anomala giurisprudenza di merito, ha chiari-to che, secondo i principi generali, il minore sta in giudizio tramite il suo legale rappresentante esolo se esso manca o è in conflitto di interessi, il giudice deve nominare un curatore. Poiché neiprocedimenti di adottabilità il conflitto è in re ipsa quanto ai genitori, un curatore speciale va no-minato solo se manchi un altro legale rappresentante (tutore o tutore provvisorio). Il difensore delminore viene nominato dal suo legale rappresentante e se il curatore (come è prassi diffusa) è unlegale può difendere egli stesso il suo rappresentato15.

Problemi aperti e prospettive

Difficoltà del giudizio di adottabilità: diritto del minore alla propria famiglia o a una famiglia idonea alla sua crescita?

L’interesse del minore che, secondo le convenzioni internazionali deve prevalere su ogni altro, ènozione sfumata e non delineata dal legislatore, ma permette di rapportare l’intervento giudiziarioalla realizzazione di una condizione necessaria alla vita “non di un generico ragazzo tipicizzato dal-l’ordinamento, ma di un ragazzo concreto con le sue caratteristiche irripetibili di personalità, le suereali esigenze, i suoi diversi stadi di maturazione, le sue risorse, il suo vissuto e la sua peculiare ca-pacità relazionale”16. Nella complessa e difficile impresa di garantire tale interesse la giustizia minorile esercita un pote-re esposto al rischio di tentazioni autoritarie e sostanzialistiche.Da oltre trent’anni i giudici minorili, all’interno della loro associazione, si interrogano sul contenu-to e sui limiti del loro potere, consapevoli che, per esercitarlo responsabilmente, non possono fara meno di tenere conto a pieno delle ragioni di tutti i soggetti coinvolti.

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FOCUS

12 Cass. 20 aprile 2009, n. 14609, in Famiglia e diritto, 1/2010, 25 ss.13 Cass. Sez. un. 21 ottobre 2009, n. 22238, in Famiglia e diritto, 4/2010, 364 ss. Una recente pronuncia ha definito la natura,la portata e gli effetti dell’ascolto del minore: non testimonianza, ma espressione di bisogni e interessi che pur non vincolandoil giudice non possono essere da lui ignorati. Ha inoltre stabilito le modalità con cui il giudice deve procedere all’ascolto, se ne-cessario anche in assenza delle parti e dei loro difensori; ha riconosciuto la facoltà del giudice di vietare l’interlocuzione con igenitori e i loro difensori per “superare la straordinaria asimmetria tra la posizione del fanciullo (e il suo stato emotivo) e il con-testo relazionale e ambientale in cui vive (Cass. 26 marzo 2010, n. 7282) La stessa posizione era stata adottata dal “protocollo”elaborato da alcuni difensori e giudici milanesi subito dopo l’entrata in vigore della legge 54. Cfr. sul punto: L’ascolto del mino-re, relazione al gruppo di lavoro, Convegno dell’AIMMF, Brescia 2008. Sia la pronuncia sopra citata n. 7282/2010 che la relazio-ne si possono leggere in www.minoriefamiglia.it 14 Corte Cost. sent. n. 1/2002, in Famiglia e diritto, 3/2002, 229 ss., con nota ampiamente esplicativa di Tommaseo.15 Cass. 17 febbraio 2010, n. 3804.16 Moro, Diritti del minore e nozione di interesse, in Cittadini in crescita, anno 1, 2-3/2000, 18-19.

I diritti in gioco nelle procedure di famiglia sono “diritti relazionali” e il giudice ha il compito diporre la massima attenzione e cura nel conoscere i legami tra figli e genitori, identificando con cau-tela e capacità introspettiva i bisogni del figlio e le risorse attivabili per garantirgliene il soddisfaci-mento nella propria famiglia. Non dare ascolto nel processo a ciascun attore del dramma familiare potrebbe portare a decisionipericolose per lo stesso minore. In questo senso, ben prima che si ponesse il problema dell’applicabilità del nuovo art. 111 dellaCostituzione, è stato affermato che il processo minorile non può che essere “giusto” se non vuolefallire il suo obiettivo17. Già nel ventennio di applicazione della legge 184/83 il sistema delle adozioni era stato al centrodel dibattito sul potere del Tribunale per i Minorenni. Le dichiarazioni di adottabilità erano andate via via diminuendo, non solo per un’effettiva riduzio-ne delle condizioni generali di abbandono, ma anche per una aumentata disposizione critica deigiudici verso uno strumento tanto drastico da dover essere riservato a poche situazioni estreme. I procedimenti in cui si deve valutare se un bambino possa essere dichiarato abbandonato, e quin-di adottabile, sono i più complessi, delicati e sofferti non solo per le persone coinvolte, ma ancheper chi ha il compito di decidere. Gli accertamenti dello stato di abbandono non sempre si concludono con una dichiarazione diadottabilità poiché le condizioni di partenza possono modificarsi: le adottabilità costituiscono unascelta residuale ed estrema a cui si può pervenire solo dopo aver effettuato un’approfondita dia-gnosi della situazione familiare e dei suoi possibili sviluppi futuri, dopo aver valutato attentamen-te la praticabilità degli interventi sulla famiglia, la tollerabilità del rischio e del danno per il bambi-no, il tempo entro il quale è possibile intervenire18. La dichiarazione di adottabilità può intervenite solo se la famiglia risulta impermeabile a ogni aiu-to e irrimediabilmente inadeguata a dare al bambino quanto gli è indispensabile per crescere inmodo non patologico. Le situazioni che danno luogo alla dichiarazione di adottabilità, nonostante le specifiche diversità,hanno in comune i molteplici problemi psicosociali dei genitori e delle loro famiglie e una diffusaassenza delle figure maschili, passive e indifferenti, se non francamente pericolose e maltrattanti,sicché la possibilità di recupero si gioca in genere sulle figure femminili. Le tipologie ricorrenti riguardano le maternità precoci, la tossicodipendenza dei genitori (in parti-colare della madre) e le loro gravi patologie psichiatriche, il maltrattamento o l’abuso dei figli. In generale, e salve le specificità dei singoli casi, le maternità precoci riguardano adolescenti di fa-miglie trascuranti che non le hanno certamente aiutate a crescere. Per queste ragazze avere unbambino rappresenta la realizzazione inconsapevole e illusoria del desiderio di rivivere con lui lapropria infanzia misconosciuta. Allora il percorso per mantenere il legame madre-figlio è espostoa una serie di ostacoli talora insormontabili, costituiti dalla profonda immaturità della madre e dalsuo bisogno di continuare una vita fittiziamente adulta, sproporzionata alla sua età fisica e menta-le, in cui il figlio si manifesta ben presto come un ostacolo, apparentemente amato ma in realtà di-menticato, abbandonato ad altri, trattato come un compagno di avventure e non come un piccoloessere bisognoso di cura e protezione. Un percorso evolutivo è talora possibile solo a patto che madre e bambino trovino un ambienteaffettivamente ed educativamente contenitivo, adatto a sostenere e accompagnare la giovanissimamadre nella relazione con il figlio, alleggerendone le responsabilità e accogliendola come essa stes-sa bisognosa di aiuto a crescere. Per realizzare tale progetto occorrono comunità o famiglie di ac-coglienza disponibili e capaci di costituire un punto di riferimento fortemente terapeutico. Simili ri-

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17 Cfr. Dusi introduzione al volume Le procedure giudiziarie civili nell’interesse del minore, Milano, 1990; Id., Il procedimentocamerale nella giurisprudenza e nella prassi dei giudici minorili: linee evolutive, in Fanni (a cura di), Quale processo per la fami-glia e i minori, Milano, 1999, 37-44. 18 Per dare un’idea della consistenza numerica, in un TM di media grandezza a fronte di circa un migliaio di provvedimenti sul-la potestà dei genitori, le dichiarazioni di adottabilità sono meno di cento di cui pressappoco la metà riguarda neonati non rico-nosciuti alla nascita.

sorse, per quanto difficilmente reperibili, non possono comunque riuscire nell’intento se mancanella ragazza la disponibilità di inserirsi e di accettare gli aiuti, la capacità di costruire con il figliouna relazione sufficientemente autonoma, non subordinata ad altre, precarie e pericolose per leistessa e per il bambino. Analoghe considerazioni valgono per i casi, ancora più gravi e distruttivi per i figli, di genitori e inparticolare di madri tossicodipendenti, poiché è molto difficile che la gratificazione affettiva delrapporto materno riesca a spezzare la dipendenza dalle sostanze. Per i genitori che rifiutano i figli, li maltrattano o ne abusano, un approccio modificativo risultaestremamente problematico. Essi, che di solito hanno subìto a loro volta, nell’infanzia, trattamentidella stessa natura di quelli inflitti ai figli, risultano affetti da severe patologie, che tuttavia neganorecisamente, il che rende difficilissimo, per non dire impossibile, cercare di modificare l’assetto fa-miliare e di rendere meno insopportabile la vita dei bambini. Nel definire l’oggetto della decisione sull’adottabilità la legge fa riferimento a formule ampie e ge-neriche quali il diritto e l’interesse del minore, la significatività dei rapporti nella famiglia e la suaincapacità di provvedere a lui, l’irreversibilità di tale incapacità e la gravità del pregiudizio provo-cato al “normale” sviluppo del bambino. Formule che volta a volta il giudice deve applicare alle singole situazioni concrete, con riguardo aesigenze evolutive non astratte, ma relative a un determinato bambino in una determinata famiglia. Nel decidere i singoli casi il giudice deve applicare regole giuridiche, ma si trova principalmente aesaminare e valutare modalità relazionali all’interno delle famiglie che provocano profonde riso-nanze con la sua visione dei rapporti familiari costruita nella sua storia personale e sociale. La materia suscita emozioni che devono essere riconosciute e tenute sotto controllo per evitare cheinterferiscano nell’oggettiva valutazione della realtà, diversa in ciascun caso, che deve essere lettae interpretata con attenzione ed equilibrio massimi. La decisione deve essere raggiunta attraverso un delicato e difficile bilanciamento, in concreto, trail bisogno del bambino di vedere rispettato il suo legame primario con i genitori e il suo diritto divedere rispettate le sue fondamentali necessità di vita e di sviluppo quando essi non hanno i re-quisiti minimi per poterle garantire.Certamente sarebbe preferibile che il rapporto inadeguato genitori/figlio venisse riparato ma quan-do ciò non è stato possibile, deve essere rispettato il diritto del bambino ad avere comunque duegenitori che lo aiutino a crescere. Questa soluzione, per quanto dolorosa, è ineludibile quando la patologia della famiglia di origineè grave, il danno che comporta per il più piccolo appare insopportabile e le possibilità di conte-nerlo si rivelano illusorie. Come d’altronde richiesto esplicitamente dalla legge, una tale decisione dovrebbe intervenire solodopo che ogni tentativo di bonificare la situazione sia stato esperito. Tuttavia non sempre i tenta-tivi producono effetti sia per oggettive carenze delle strutture giudiziarie e dei servizi psicosocialiintervenuti, sia per l’ntrinseca impossibilità di modificarsi da parte di situazioni familiari multipro-blematiche da generazioni, di genitori privi di risorse per aver subìto, da piccoli, trattamenti ana-loghi a quelli che riservano ai loro figli. Ogni dichiarazione di adottabilità è una sconfitta della società (e in essa del giudice che la pronun-cia), la presa d’atto del fallimento dell’ideale rapporto generazionale che ognuno vorrebbe salva-guardare dentro e fuori di sé, per ogni bambino.

Tempi del processo e vicende del bambino: la legge non esige di spezzare i legami costituiti nel corso della procedu-ra, anzi consente. Il Tribunale per i Minorenni deve motivare le scelte adottive

L’elemento più problematico dei procedimenti adottivi è costituito dai tempi processuali che do-vrebbero sempre essere proporzionati ai tempi di crescita del bambino, ma che non lo sono qua-si mai.

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FOCUS

La ragionevole durata del procedimento di adottabilità è nella migliore delle ipotesi un desiderioirrealizzato e forse irrealizzabile. Ai tempi necessari per comprendere e valutare la reale portata dell’abbandono in situazioni fami-liari complesse e in continua evoluzione si aggiungono i tempi necessari a percorrere tutti i gradidel processo dopo la prima decisione. Il giudice e i Servizi di tutela devono impegnarsi al massimo per rispettare il più possibile i tempie le esigenze di continuità che sono proprie del delicato percorso di crescita del bambino che, nel-l’attesa di una decisione definitiva, non può rimanere “congelato” in situazioni inadatte, per esem-pio in una comunità, oppure in un affidamento familiare destinato a interrompersi dopo essere du-rato a lungo e positivamente. È un dato ormai acquisito tra gli studiosi di psicologia infantile che le separazioni e gli abbandonisono ferite dolorose anche in età molto precoce: non è vero che i bambini nei primi mesi e anni divita siano meno sensibili ai legami positivi, né che tali legami possano essere facilmente sostituibili. Non si può quindi accettare che i bambini piccoli, dopo aver vissuto la maggior parte della lorobreve vita con una famiglia a cui sono stati affidati, vengono dichiarati adottabili e per questo tra-sferiti in una famiglia diversa scelta tra quelle idonee all’adozione. La legge non impone né giustifica provvedimenti di questo genere, anzi, se ben interpretata, offreai giudici vari strumenti adatti a garantire ai bambini la continuità necessaria alla loro crescita.

Il collocamento a rischio giudiziario nel corso del procedimento di adottabilità

Quando un bambino deve essere allontanato dalla sua famiglia, ritenuta nociva per lui e della qua-le è in corso la valutazione ai fini dell’accertamento dell’abbandono, l’art. 10, 3° comma della leg-ge 184/83 (non modificato dalla legge 149/2001) prevede che il tribunale può disporre il “colloca-mento temporaneo presso una famiglia”. Da questa disposizione è derivato, in via interpretativa, il cosiddetto “collocamento a rischio giudi-ziario” che alcuni tribunali dispongono scegliendo la coppia più adatta al bambino tra quelle chehanno i requisiti per una sua eventuale adozione, ma che sono anche in grado di accettare il ri-schio di non poterlo tenere definitivamente con sé qualora, all’esito del procedimento, non possaessere adottato. Prima di emettere questo provvedimento il tribunale deve effettuare una rigorosa valutazione cir-ca la probabilità che il procedimento si concluda con una dichiarazione di adottabilità, in modo daprocedere solo quando, in base alle risultanze processuali, il rischio può ritenersi limitato. Durante il collocamento “a rischio” è opportuno adottare le necessarie cautele perché gli eventua-li rapporti tra il bambino e i genitori di nascita avvengano con modalità che non comportino uncontatto indiscriminato con la famiglia affidataria, ma si svolgano in un luogo neutro. Questa pre-cauzione è necessaria per evitare che, una volta dichiarata l’adottabilità, vi possano essere interfe-renze da parte di familiari che manifestano atteggiamenti aggressivi o violenti.

La segretezza dell’adozione non può prevalere sull’interesse del minore

Anche quando, all’inizio del procedimento, non appare probabile che si possa arrivare a una di-chiarazione di adottabilità accade che si ricorra a un affidamento familiare per un certo periodo nelquale si verificano contatti con i genitori non solo da parte del bambino, ma anche degli affidata-ri. Per esempio se si tratta di ragazze madri in difficoltà, l’affidamento può riguardare il bambinocon la sua mamma che però, col passar del tempo, non riesce a farsene carico e finisce per ab-bandonarlo. In casi di questo genere secondo alcuni non sarebbe possibile trasformare l’affidamento in adozio-ne neppure se gli affidatari ne avessero tutti i requisiti, perché mancherebbe la segretezza che co-stituirebbe, per la legge, una condizione necessaria dell’adozione.

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Questa opinione non può essere in linea di principio condivisa poiché, come è stato affermato daalcune sentenze, la segretezza dell’adozione non è un criterio che, nella logica della legge, possaprevalere su quello dell’interesse del bambino: quando si accerta in concreto che è bene per lui ri-manere nella famiglia dove è cresciuto e che sarebbe invece un grave danno essere spostato inun’altra famiglia non si può procedere in questo modo solo per mantenere il segreto19. Se dunque vi sono i presupposti per la dichiarazione di adottabilità, quando si accerta che il bam-bino ha un rapporto radicato e necessario per la sua crescita, la cui interruzione sarebbe grave-mente pericolosa, non è contrario alla legge, ma anzi risponde al suo fondamentale principio ispi-ratore, che gli affidatari che ne hanno i requisiti possano adottarlo nella forma pienamente legitti-mante.

Le adozioni in casi particolari

Può tuttavia anche accadere che un bambino, quando vive in condizioni così gravi da richiedereun allontanamento dalla sua famiglia, che potrebbe prima o poi portare a una adottabilità, sia af-fidato dai Servizi sociali a coppie prive dei requisiti per adottarlo oppure a persone singole. Per quanto ciò sia contrario alle buone regole, di fatto si verifica perché, sull’onda dell’emergenza,quando si deve trovare una collocazione per un piccolo “abbandonato”, si ricorre a chi è notoria-mente disponibile e capace di accudirlo, preferendo un nucleo familiare o una persona a una co-munità. Questi affidi che all’inizio si presentano come eccezionali e di breve periodo, in seguito possonoprotrarsi anche a lungo, sia per la complessità delle vicende della famiglia del bambino sia per dif-ficoltà dei Servizi sociali e lungaggini giudiziarie. Può darsi che al momento della dichiarazione di adottabilità il bambino piccolo abbia ormai tra-scorso buona parte della sua vita con qualcuno che non potrebbe in linea di principio adottarlo. In questi casi non si può far ricadere sul bambino il costo di errori o difficoltà oggettive degli ope-ratori sociali o giudiziari. Tutti coloro che hanno determinato in vario modo i fatti non possono nonassumersene la responsabilità e hanno il dovere di decidere nel prevalente interesse del bambino. Ciò significa valutare attentamente tutte le circostanze del singolo caso, avuto riguardo all’età e al-le caratteristiche evolutive del bambino, alla durata e al tipo di legame che si è instaurato con chiha contribuito alla sua crescita, all’utilità di tale legame e ai rischi della sua frattura per il piccolo. Se la crescita del bambino è avvenuta in modo armonioso e se il rapporto affettivo che si è crea-to garantisce quanto è necessario per proseguirla e se il cambio di famiglia può procurargli irrepa-rabile turbamento, non si può escludere a priori una soluzione che potrebbe risparmiargli il dolo-re della separazione, rendendo stabile una relazione che, per quanto giuridicamente carente (nelcaso di affidamento a un singolo o a una coppia solo di fatto) può risultare nei fatti vitale e co-struttiva. In questo caso la legge non esclude che, se è contrario al suo interesse cambiare famiglia, egli pos-sa essere adottato da chi lo ha cresciuto sebbene privo dei requisiti di legge per l’adozione piena. L’adozione in casi particolari è prevista proprio quando mancano tali requisiti in chi ha instauratorapporti stabili e positivi con il minore quando, per le circostanze del caso concreto, non sia pos-sibile procedere al suo affidamento preadottivo (art. 44 legge 184/83) . Pur non creando un rapporto di filiazione e di parentela legittima con l’adottante e la sua famiglia,questo tipo di adozione “non piena” consente al figlio adottivo di acquisire alcuni diritti molto im-portanti per la sua identità e la sua crescita (diritto al cognome adottivo, al mantenimento, all’ere-dità del genitore).

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FOCUS

19 Cfr. tra le altre Tribunale per i Minorenni di Milano, sentenza 15 novembre 2004, in Famiglia e Diritto, 6/2005, 653: “I rap-porti tra l’adottato e la sua famiglia di origine cessano di regola (oltre che di diritto) anche di fatto quando questo è possibile, co-me effetto dell’adozione. Ma non per questo deve escludersi la dichiarazione di adottabilità laddove sia noto alla famiglia di ori-gine il luogo in cui si trova il minore adottando, se l’adozione risponda al suo superiore interesse”.

Questa soluzione, prevista dalla legge come eccezionale, non può costituire la regola né essere uti-lizzata in modo indiscriminato, ma può venire in soccorso in situazioni in cui rappresenti per il mi-nore la soluzione più conveniente e meno dolorosa.

La pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo (aprile 2010)

La rilevanza dei rapporti familiari di fatto e la loro tutela a sensi dell’art. 8 della Cedu20 è stata re-centemente affermata dalla Corte dei diritti dell’uomo proprio in un caso in cui il Tribunale per iMinorenni ha proceduto all’affidamento di una bambina a una coppia adottiva, senza prima respin-gere motivatamente la domanda di adozione in casi particolari presentata da coloro a cui era sta-ta affidata dall’età di un mese a quella di un anno e otto mesi21. La Corte definisce “increscioso” che il Tribunale non abbia esaminato e valutato con un giudiziomotivato la domanda degli affidatari prima di scegliere una coppia diversa per l’adozione e rilevache il passaggio del tempo, in decisioni che riguardano bambini, ha l’effetto di renderle definitivema non per questo legittime. Sebbene la Corte prenda in considerazione solo la posizione dei ricorrenti adulti, non dei bambi-ni che non sono mai rappresentati nei giudizi (in contraddizione con la Convenzione di Strasbur-go del 1996 sull’esercizio dei diritti del minore), la pronuncia contiene il riconoscimento del dirit-to del bambino a non vedere violato indiscriminatamente e immotivatamente il rapporto affettivoe familiare con coloro che lo hanno cresciuto e costituisce un forte richiamo ai giudici minorili anon procedere mai senza avere attentamente valutato e motivato le scelte che attengono alla vitadelle persone, e dei bambini in particolare. La sentenza è sopravvenuta mentre era già in atto un movimento, nell’ambito della società civile,volto a chiedere al Parlamento una modifica della legge sull’adozione per garantire ai bambini lacontinuità dei loro rapporti affettivi con coloro che li hanno cresciuti22. Indipendentemente da tale iniziativa, è necessario sottolineare che un’interpretazione nel senso so-pra indicato è già fin d’ora possibile e spetta ai tribunali utilizzarla nel modo più opportuno, nel-l’interesse dei bambini23.

Il mantenimento dei precedenti rapporti dopo l’adozione

Quando la famiglia affidataria risulta non idonea a proseguire il rapporto con il bambino, e quindiè necessario per lui “cambiare famiglia”, occorrerebbe pur sempre non interrompere traumaticamen-te il suo legame affettivo con chi in precedenza lo ha cresciuto e mantenere un rapporto sostanzial-mente diverso, ma ugualmente buono, iscritto in un più ampio ambito di familiarità affettiva. Una tale eventualità sembra auspicabile e dovrebbe essere possibile a meno che il legame non siriveli più dannoso che utile per il bambino. Vi possono essere infatti situazioni di “appropriazio-ne” da parte di affidatari che antepongono la propria gratificazione e la convinzione di essere perlui la migliore soluzione possibile all’interesse del bambino di avere una famiglia a pieno titolo,mentre ciò non trova riscontro nella realtà e nelle sue stesse condizioni evolutive. In questo caso il legame simbiotico e acritico dell’adulto può far vivere al bambino come catastro-fico il passaggio a un altro ambiente familiare e può inficiare il nuovo rapporto con i genitori adot-tivi, oggetto di invidia da parte di chi non può sopportare di aver perso il “suo” bambino. Sarebbe conveniente che il passaggio avvenisse con tutte le più opportune cautele e che il rappor-

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20 “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”. 21 Sentenza 27 aprile 2010, Moretti-Benedetti/Italia.22 La petizione, il dibattito e le notizie sul convegno del 13 maggio 2010 si trovano in www.lagabbianella.org 23 Mi sia consentito rinviare al mio articolo, Adozione e diritto del bambino di mantenere i pregressi rapporti significativi, in Fa-miglia e diritto, 3/2010.

to venisse adeguatamente limitato o, se necessario, interrotto, fornendo un appropriato aiuto psi-cologico al bambino per liberarsene senza danni. Quando invece la capacità affettiva degli affidatari si manifesta sia nella validità del rapporto chehanno saputo instaurare e mantenere con il bambino, sia nella capacità di “lasciarlo andare” se ciòrappresenta per lui la soluzione migliore, l’accompagnamento da parte di chi gli è stato vicino econtinua a esserlo, senza rivalità con i genitori adottivi, può costituire un valido sostegno anchenella costruzione dei nuovi affetti familiari. Nel momento in cui il tribunale e i Servizi psicosociali del tutore decidono che per il bambino èmeglio cambiare famiglia è necessario che procedano a una valutazione approfondita e spassiona-ta che riguardi innanzi tutto il bambino e le sue esigenze, ma che tenga conto anche delle altre im-portanti variabili relative agli adulti che lo hanno cresciuto e che lo cresceranno. Come si è già detto i primi vanno considerati per quello che sono, ma anche i futuri genitori de-vono essere scelti in relazione alla loro capacità di accogliere un piccolo cresciuto con altri e di ri-spettarne il diritto di mantenere rapporti con loro se e quando possono continuare a dargli un ap-porto non esclusivo, ma comunque utile per una serena crescita.

Affidamento e adozione sono davvero istituti separati e impenetrabili?

a) Affidamento a lungo termine e adozioni in casi particolari (art. 44, legge 184/83)

Le argomentazioni sopra svolte portano a considerare l’affidamento familiare nella sua realtà di fat-to, che è diversa dalla previsione normativa. Per la legge l’affidamento familiare è una misura limitata nel tempo, volta ad aiutare un bambinotemporaneamente privo di un ambiente familiare e a consentirne il rientro in famiglia quando lastessa avrà superato le sue difficoltà. In realtà gli affidi familiari si concludono solo in parte in questo modo: nella metà dei casi duranoben più dei due anni previsti e spesso sono senza termine. Infatti le famiglie multiproblematicheche richiedono gli interventi del Tribunale per i Minorenni difficilmente riescono a operare il cam-biamento necessario a riprendere la cura del bambino. Ne consegue che a chi è disponibile all’affidamento, nei casi gravi cui qui ci si riferisce, si richiedeun atteggiamento di accoglienza del bambino che può essere per un giorno, ma anche per tutta lavita. La sincera e piena disponibilità a collaborare per il suo ritorno dai suoi genitori, se ve ne saran-no le condizioni, deve essere accompagnata dalla capacità di costituire un porto sicuro per lui, se igenitori non dovessero farcela a sostenere il peso e la responsabilità del suo ritorno. La cosa peggio-re per un bambino sarebbe trovare una famiglia affidataria che prenda sul serio quello che dice lalegge limitando la sua disponibilità a uno, due anni, e basta, malgrado egli ne abbia ancora bisogno. Queste considerazioni inducono a ritenere che l’esperienza dell’affido e quella dell’adozione ab-biano non pochi punti di contatto, nonostante di solito si tenda a tenerle distinte. Ciò che accomuna le due esperienze è la necessità che, in entrambe, gli adulti abbiano una pienaconsapevolezza della specificità della storia del bambino e un’autentica capacità di accoglierlo sen-za impossessarsene, di rispettarlo anche nel suo rapporto (reale o simbolico) con la famiglia d’ori-gine, di crescere insieme con lui, tenendolo saldamente per non lasciarlo solo a vivere la realtà do-lorosa costituita dalla separazione, temporanea o definitiva, dai propri genitori. Dati affettivi e reali simili sono ravvisabili in storie di adozioni e di affidamenti familiari che a vol-te si intersecano e possono portare alle stesse conclusioni. L’adozione in casi particolari (secondo quanto prevede l’art. 44, comma 1, lett. d della legge184/1983) è lo strumento per attribuire un contenuto giuridico a legami di fatto consolidati e di ri-conoscere a minori che sono cresciuti in una famiglia a cui sono rimasti per anni affidati, diritti pro-pri dei figli.

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FOCUS

b) Ricoveri in strutture e i rimedi possibili: adozione mite?

L’affidamento familiare è un istituto particolarmente complesso che difficilmente può essere rea-lizzato specie quando, come oggi, la famiglia come istituzione si trova a dover affrontare condizio-ni di isolamento e crisi economica soprattutto nelle grandi città. Accanto ai bambini/ragazzi che usufruiscono dell’affidamento a un’altra famiglia, sono molti di piùcoloro che vengono inseriti in comunità educative: anche per questa misura la legge richiede latemporaneità, ma purtroppo sovente l’indicazione non viene rispettata e l’inserimento rimane pri-vo di un progetto per il futuro. Alle gravi problematiche della famiglia di origine si sommano talo-ra la limitata capacità professionale e la mancanza di risorse sia dei Servizi sociali che della stessaistituzione giudiziaria minorile. Per queste situazioni è stato forgiato qualche anno fa il termine di “semiabbandono permanente”ed è stata proposta come rimedio la cosiddetta “adozione mite”, vale a dire l’affidamento a coppiedisponibili e idonee all’adozione nella prospettiva che l’affidamento potesse trasformarsi in brevetempo in adozione in casi particolari o anche in adozione pienamente legittimante, ma con il man-tenimento e la regolamentazione dei rapporti del minore con la famiglia di origine, salva tuttaviala loro interruzione, se pregiudizievoli, con successivo provvedimento del Tribunale per i Minoren-ni (cosiddetta “adozione aperta”). Queste forme di adozione sono state presentate come “nuove” e utili a risolvere le gravi situazio-ni di “minori nel limbo” dimenticati in istituto, ma non sembra siano servite in tal senso e di fattonon hanno trovato applicazione al di là di un breve momento iniziale.

Adozione seconda chance: scelta dei genitori adottivi e storia del bambino

Perché l’adozione possa essere una nuova opportunità per un bambino occorre che i genitori adot-tivi siano scelti con la massima cura, che siano davvero i più adatti a lui. Coloro che desiderano adottare devono sapere che il loro desiderio non si traduce in un diritto:soltanto il bambino, privo ormai della propria famiglia, ha diritto di trovarne un’altra capace di far-lo crescere. Gli aspiranti genitori adottivi danno una disponibilità ad adottare che può essere pre-sa in considerazione solo se sono in possesso di caratteristiche tali da far prevedere che possanosoddisfare le esigenze di un bambino: nell’adozione nazionale il tribunale non emette alcun prov-vedimento di idoneità (come nell’adozione internazionale) ma sceglie la coppia più adatta a un de-terminato bambino tra tutte quelle disponibili. La valutazione del tribunale può essere molto difficile da sopportare per le coppie perché le fa sen-tire diverse, a volte ingiustamente diverse: pensano infatti che nessuno deve sostenere un esameper poter procreare un figlio! Questo atteggiamento può essere attenuato considerando che un giudizio formalizzato e rigorosoè necessario per pervenire a una decisione che riguarda, come si è detto, la scelta di nuovi geni-tori per un bambino che ha già subìto gravi deprivazioni e spesso è in condizioni così difficili darichiedere in coloro che dovranno dedicarsi a lui una particolare disponibilità, una capacità empa-tica e una forza d’animo non comuni. Il giudizio di “idoneità” non è facile neppure da esprimere poiché le variabili che intervengono nel-la costruzione di un rapporto adeguato tra genitori e figlio sono numerose e difficilmente prede-terminabili. Diventare genitori e figli, naturali e ancor più adottivi, è sempre un’avventura il cuiesito più o meno felice può essere valutato solo dai suoi protagonisti, alla fine di un percorso dicrescita comune che può durare tutta la vita. Nella scelta della coppia adottiva il tribunale deve valutare anche la capacità dei genitori di con-frontarsi con la storia del bambino. Chi adotta deve essere capace di accogliere un bambino che, pur diventando figlio a tutti gli effet-

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ti, è nato da altri genitori e ha un’esperienza di relazione primaria che non può mai essere dimen-ticata. Ai genitori adottivi si richiede la capacità di porsi di fronte al figlio essendo pienamente con-sapevoli che egli ha vissuto una vita precedente a quella iniziata poi con loro: la sua “storia di pri-ma” deve essere rispettata perché si possa costruire, dopo, una buona vita insieme. Può capitare invece che coloro che vogliono l’adozione vadano cercando proprio un figlio senzastoria, simile nel loro immaginario a quello che vorrebbero generare, senza rendersi conto che nelrapporto adottivo non si può mai dimenticare che le origini “altre” del figlio sono dentro di lui edevono essere anche accolte e tenute nella mente dei genitori. Gli studi di psicologia hanno messo in guardia sul pericolo di non tener conto che sui bambiniadottati (sebbene piccolissimi, anche appena nati) pesa comunque l’abbandono da parte dei geni-tori di nascita. E tuttavia hanno dato speranza sulla capacità dei bambini di costruire nuovi legamiaffettivi, quando trovano nuovi genitori capaci di farlo. Hanno anche messo in guardia sulla pericolosità di mantenere il segreto sulle origini rilevando che,per quanto piccolo fosse al momento dell’adozione, il figlio adottato continuerà a tenere dentro disé un deposito di memoria della sua storia che potrà essere rimossa, ma non eliminata. Il rischioè quello di lasciare la verità nell’ombra del non detto. I genitori non devono dunque avere pauradi “tenere” nella loro mente il loro bambino e la sua storia e di partire da quei dati di realtà percostruire un solido legame con lui. Ormai anche la legge (art. 28, comma 1, legge 184/83 come modificato nel 2001) richiede ai geni-tori di informare il figlio, nei modi e termini che essi ritengono più opportuni, della sua condizio-ne adottiva e questa scelta del legislatore appare saggia, indipendentemente da ogni altra ulterio-re ricerca sulle origini che possa essere formalizzata in età adulta a discrezione dell’adottato. L’essere stata in contatto nel mio lavoro con molte storie infelici di bambini che hanno dovuto cam-biare famiglia, mi ha fatto capire quanto su ciascuno di loro incidano le vicende vissute e come es-se costituiscano un patrimonio affettivo sofferto, che merita grande rispetto da parte di tutti quelliche lo accostano. Coloro che desiderano diventare genitori non possono ignorare che il bambino approda al portosicuro della loro famiglia portando con sé un bagaglio prezioso, più o meno pesante, che sempreegli desidera sia preso in consegna e conservato con cura e amore dai suoi nuovi genitori perché,una volta consolidato il reciproco rapporto di fiducia, possa finalmente aprirlo insieme con loroutilizzando anche il suo contenuto per costruire una nuova storia comune.

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Nei procedimenti di adozione aperti ai sensi della legge 184/1983, è ormai pacifico che il ruolo del-l’avvocato sia obbligatorio ma, soprattutto, irrinunciabile per la tutela migliore di tutte le parti coin-volte nel giudizio.Il legislatore, infatti, con l’approvazione della legge 28 marzo 2001, n. 149, ha riformato la legge184/1983 modificando decisamente, in tema di difesa tecnica, la procedura applicabile alla dichiara-zione dello stato di adottabilità dei minori (e anche alle procedure aperte a sensi dell’art. 336 c.c.)1.Tale normativa ha introdotto nell’ordinamento processuale civile minorile un giudizio che appare piùrispettoso del contraddittorio che si svolge davanti a un Tribunale per i Minorenni il quale dovrebbeessere, finalmente, più terzo, a garanzia di tutte le parti coinvolte nel giudizio.La prima, importantissima, modifica è stata l’introduzione di un ultimo comma all’art. 8 della legge184, che stabilisce il principio per cui “il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio conl’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti”.Il secondo comma del nuovo art. 10 della stessa legge prevede inoltre espressamente che “all’atto del-l’apertura del procedimento, sono avvertiti i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto gradoche abbiano rapporti significativi con il minore. Con lo stesso atto il presidente del tribunale per i mi-norenni li invita a nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per ilcaso che essi non vi provvedano. Tali soggetti, assistiti dal difensore, possono partecipare a tutti gli ac-certamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze anche istruttorie e prendere visione edestrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice”.La norma quindi prevede espressamente che all’atto dell’apertura del procedimento i genitori o i pa-renti devono essere invitati a nominare un difensore e che, in mancanza, deve essere loro nominatoun difensore di ufficio. Con questo principio fa ingresso nel processo civile, sia pure limitatamente alprocedimento di adottabilità, la figura del difensore di ufficio.Questa previsione, che è ovvia in qualsiasi altro procedimento giudiziario, appare come una faticosaconquista da parte degli avvocati, in particolare anche grazie alle pressanti richieste dell’AIAF in talsenso. La legge 149/2001 ha poi introdotto l’obbligatorietà della presenza del difensore anche nei pro-cedimenti di limitazione o decadenza della potesà genitoriale, modificando l’art. 336 c.c.2.La riforma della legge 149/2001, introducendo finalmente la garanzia del corretto contradditorio pro-cessuale, appare come il tanto agognato adeguamento ai princìpi introdotti dalle convenzioni inter-nazionali, a cominciare dall’attuazione della Convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996sull’esercizio dei diritti del minore. A titolo di cronaca va ricordato che l’applicazione della riforma introdotta dalla legge 149/2001 veni-

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1 Legge 28 marzo 2001, n. 149, modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamen-to dei minori”, ora “Diritto del minore ad una famiglia”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile (in G.U. n. 96 del26 aprile 2001).2 Art. 37, 3. All’articolo 336 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: “Per i provvedimenti di cui ai commi pre-cedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore (anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge)”.

SUL RUOLO DELL’AVVOCATO NEL CORSO DELLA PROCEDURA DI ADOZIONE. CRITICITÀ

Enrico BetAvvocato del Foro di Genova

va immediatamente “bloccata” in quanto, non esistendo una disciplina della difesa tecnica nei proce-dimenti di adottabilità e di controllo della potestà genitoriale, la riforma non conteneva norme tran-sitorie e pertanto, con il successivo d.lgs. 150/2001, “in via transitoria e fino alla emanazione di unaspecifica disciplina sulla difesa di ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adotta-bilità disciplinati dal titolo II, capo II della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modifiche, ai pre-detti procedimenti e ai relativi giudizi di opposizione continuano ad applicarsi le disposizioni proces-suali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.2. In via transitoria e fino alla emanazione di nuove disposizioni che regolano i procedimenti di cuiall’articolo 336 del codice civile, ai medesimi procedimenti continuano ad applicarsi le disposizioniprocessuali vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.Tale “sospensione” è durata inspiegabilmente per circa sei anni, con la reiterazione di anno in annodi un decreto legge e – altrettanto inspiegabilmente (si è parlato di una “dimenticanza”) – a seguitodel mancato rinnovo nel 2007, le norme acquistavano piena efficacia senza alcuna norma transitoria.Ha fatto quindi finalmente ingresso nell’ordinamento processuale italiano il principio dell’obbligato-rietà della difesa tecnica nei procedimenti per la dichiarazione di adottabilità (sin dall’inizio) e in quel-li di limitazione e decadenza della potestà genitoriale, così che le parti (e in particolare i minori) nonpotranno più stare in giudizio senza l’assistenza del difensore.La riforma ha fatto seguito alla ratifica (di fatto inascoltata per anni) che l’Italia aveva sottoscritto pri-ma della Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 20 novembre 19893, e poi della Convenzio-ne europea sull’esercizio dei diritti dei minori, Strasburgo, 25 gennaio 1996, le quali entrambe preve-dono espressamente che tutte le parti, e il minore in particolare, debbano essere rappresentati nei giu-dizi che li riguardano4.Nel 2000 la Corte d’Appello di Genova-Sezione specializzata per i Minorenni, in un procedimento direclamo avverso un provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni di Genova a sensi dell’art.333 c.c., sollevava una questione di legittimità costituzionale in relazione alla rappresentanza del mi-nore nel processo.In relazione a tale questione, va sottolineato un passaggio molto interessante di detta ordinanza, lad-dove considera che “né l’interesse dei minori pare sufficientemente protetto dall’intervento obbligatoriodel P.M.” in quanto “com’è evidente, il P.M. non sta in giudizio come sostituto processuale dei minori”.La stessa Corte ha chiarito il concetto (che tutto’ggi è oggetto di discussione) relativo alla questioneper cui è il giudice minorile che “protegge” il minore, ritenendo, al contrario, che i poteri del giudi-ce “non possono sostituire la presenza in giudizio su un piano di parità con le altre parti di un rap-presentante del minore” e che esiste “nella prassi, la confusione dei ruoli: un Tribunale che è giudicee ad un tempo difensore del minore, privilegiando un rapporto immediato con lui, che esclude o limi-ta la posizione di altre professionalità presenti nel processo [...] ha dato luogo a comportamenti fuor-vianti, scelte di supplenza”.Oggi, quindi, la tutela del minore nel processo è affidata al suo avvocato, che deve essere sempre

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FOCUS

3 La Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n.176, all’art. 12, 2° comma, prevede che “si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura chelo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato”.4 La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, Strasburgo, 25 gennaio 1996, prevede, all’art. 1, come necessa-rio “promuovere, nell’interesse superiore dei bambini, i loro diritti, garantire i loro diritti processuali ed agevolarne l’esercizio, as-sicurando che i bambini siano, direttamente o tramite altre persone od organismi, informati ed autorizzati a partecipare ai pro-cedimenti giudiziari che li riguardano”. L’art. 4 della stessa Convenzione di Strasburgo prevede chiaramente che “ferma restando l’applicazione dell’art. 9, il bambino hail diritto di chiedere, personalmente o tramite altre persone od organismi, la designazione di un rappresentante speciale nei pro-cedimenti giudiziari che lo riguardano, quando la legge nazionale priva i detentori della facoltà di rappresentarlo a causa di unconflitto di interessi” e l’art. 5, lett. b, prevede la possibilità di “riconoscere ai bambini dei diritti processuali supplementari neiprocedimenti giudiziari che li riguardano, e in particolare il diritto di chiedere, personalmente o tramite altre persone od organi-smi, la nomina di un diverso rappresentante, e nei casi che lo richiedano, di un avvocato”.L’art. 9, 1° comma, prevede che “nei procedimenti che riguardano un bambino, quando, secondo la legge nazionale, i detentoridella responsabilità di genitori siano privati della facoltà di rappresentare il bambino per un conflitto di interessi tra loro e il bam-bino, l’autorità giudiziaria ha il diritto di nominargli uno speciale rappresentante” e l’art. 9, 2° comma, prevede che “nei proce-dimenti che riguardano un bambino, l’autorità giudiziaria abbia il potere di designare un rappresentante speciale per il bambi-no e, se necessario, un avvocato”.

presente nei procedimenti minorili de potestate ex art. 330 ss. c.c. (limitazione o decadenza dalla po-testà genitoriale) e in quelli di adozione aperti a sensi dell’art. 25 e/o del successivo art. 8 della l.184/19836.In questi procedimenti quindi la famiglia naturale e il minore saranno assistiti da diversi difensori, an-che se, quello del minore, nella veste di curatore speciale, in quanto i Tribunali per i Minorenni at-tualmente provvedono alla nomina del curatore speciale (che dovrebbe rivestire una veste più sostan-ziale che processuale) invece del “difensore del minore”, come prescrive l’art. 336 c.c., o “con l’assi-stenza legale del minore”, come prescrive l’art. 8. l. 184/1983.Sempre in tema di procedure di adozione, l’avvocato sarà poi presente obbligatoriamente anche neiprocedimenti di adozione internazionale, sia pure non dal momento della presentazione della dichia-razione di disponibilità7, ma successivamente, quando:

a. assiste la coppia a cui è stata negata l’idoneità all’adozione internazionale dal Tribunale per i Mi-norenni e che pertanto propone reclamo avverso detto provvedimento avanti la Corte d’Appello,Sezione specializzata per i minorenni8;

b. assiste la coppia a cui è stata revocata l’idoneità all’adozione internazionale dal Tribunale per i Mi-norenni e che propone reclamo avverso detto provvedimento avanti la Corte d’Appello, sezionespecializzata per i minorenni9.

Nei procedimenti di adozione, un altro caso dove sarebbe importante la presenza del difensore èquello dei procedimenti cosiddetti di “adozione a rischio”, quando la coppia che ha iniziato un per-corso adottivo si rivolge a un avvocato per comprendere quale sarà la strada da percorrere a seguitodell’accoglimento, totale o anche parziale, dell’opposizione alla dichiarazione di stato di adottabilità.I tempi della procedura di opposizione non sono mai brevi (seppure ridotti se rapportati alle causeordinarie, anche alla luce della riforma della procedura dettata dalla legge 149/2001), e normalmen-te, anche quando si giunge fino alla Corte di Cassazione, possono durare non meno di quattro/cin-que anni.I Tribunali per i Minorenni decidono quindi, anche quando è stata proposta l’opposizione, di affida-re comunque il minore, nel suo interesse, a una famiglia scelta tra quelle che hanno offerto la pro-pria disponibilità per l’adozione e sono state ritenute idonee allo scopo. I problemi nascono quando l’informazione sul “rischio” che viene data alle famiglie che accolgono ilbambino si rivela essere molto scarna (se non addirittura inesatta), e il fatto che penda una procedu-ra di opposizione viene spesso presentato come un problema di poco conto, quasi una mera forma-lità che – in teoria – porterà in tempi brevi la famiglia a perfezionare l’agognata adozione, piuttostoche come un reale rischio che il minore, in caso di accoglimento dell’opposizione, debba tornare nel-la propria famiglia, o quantomeno debba riallacciare con la stessa rapporti significativi.Le coppie che danno il proprio assenso a tale richiesta (senza richiedere l’assistenza di un avvocato)talvolta aderiscono anche alla luce dei tempi brevi di inserimento del minore in famiglia, anche per-ché i minori italiani dichiarati in stato di adottabilità sono sempre meno numerosi.

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5 L. 184/1983, art. 2: “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegnoe aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, ingrado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”.6 L. 184/1983, art. 8: “Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, iminori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o deiparenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transito-rio. La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche quando i minori si trovi-no presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare”.7 L. 184/1983, art. 29 bis: “Le persone residenti in Italia, che si trovano nelle condizioni prescritte dall’articolo 6 e che intendo-no adottare un minore straniero residente all’estero, presentano dichiarazione di disponibilità al tribunale per i minorenni del di-stretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione”.8 L. 184/1983, art. 30, n. 5: “Il decreto di idoneità ovvero di inidoneità e quello di revoca sono reclamabili davanti alla corted’appello, a termini degli articoli 739 e 740 del codice di procedura civile, da parte del pubblico ministero e degli interessati”.9 L. 184/1983, art. 30, n. 4: “Qualora il decreto di idoneità, previo ascolto degli interessati, sia revocato per cause sopravvenu-te che incidano in modo rilevante sul giudizio di idoneità, il tribunale per i minorenni comunica immediatamente il relativo prov-vedimento alla Commissione ed all’ente autorizzato di cui al comma 3”.

La famiglia adottiva, già poco informata dagli operatori, raramente si rende conto davvero dei proble-mi che potrebbero nascere dall’accoglimento dell’opposizione, problemi che vanno dalle difficoltà bu-rocratiche nascenti dalla necessità di mantenere il cognome originale del minore, al non poter inseri-re lo stesso nello stato di famiglia degli adottanti e, infine, al doversi trasformare necessariamente dafamiglia adottiva a famiglia affidataria, in quanto sarebbe impensabile che un bambino che ha vissu-to per anni con due persone che chiama (e giustamente considera) sua madre e suo padre e che liama come tali, possa andare a vivere, da un giorno all’altro, con persone che non conosce, anche sequeste sono i suoi genitori naturali.Spesso anche i rapporti tra gli opponenti e la coppia che ha accolto il minore sono difficili in quan-to quest’ultima viene (ingiustamente) accusata di avere “rubato” il bambino, nonostante l’ovvia e as-soluta buona fede di due persone che hanno concesso la propria disponibilità ad adottare un mino-re; gesto di grande disponibilità e nobiltà d’animo che ha fatto sì che il minore loro affidato è comese fosse figlio loro, non essendo poi così importante, in questi casi, il legame di sangue (che ovvia-mente, nei limiti della legge, va comunque rispettato) e ciò nello spirito della legge 184/1983.Ulteriore difficoltà nasce infine dal fatto che tutta la fase successiva all’eventuale accoglimento del-l’opposizione – quando il rientro e/o il riavvicinamento non sia possibile immediatamente – viene ge-stita nuovamente dallo stesso Tribunale per i Minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilità delminore: ragione ulteriore questa che deve spingere l’organo minorile a gestire con grande sensibilitàe attenzione tutta la procedura di adottabilità di un minore, e ciò sin dal suo inizio.In tutto questo percorso non è previsto come obbligatoria l’assistenza della coppia “ex adottiva” daparte di un difensore, circostanza questa che potrebbe creare non pochi disagi alla coppia stessa e,di riflesso, al minore.Infine, sono diventate sempre più numerose le coppie affidatarie che si rivolgono all’avvocato nel ca-so di affidamenti di minori che sembrano non avere alcun termine finale, nonostante la chiara (mapuramente teorica) previsione di durata massima dei ventiquattro mesi prevista dalla legge10.In ordine a tale termine mi sembra importante sottolineare come vi siano sempre più affidi che du-rano ben oltre detto termine, tanto da essere qualificati (impropriamente) come sine die, e sempremeno dichiarazioni di stato di adottabilità, nonostante si tratti di minori che sono stati sostanzialmen-te abbandonati.Molti di questi casi si concludono necessariamente con un’adozione speciale ex art. 44, legge183/1984, provvedimento che però pone alcuni problemi in ordine alla vita futura del minore, del suocognome (viene aggiunto e non sostituito quello dei genitori adottivi) e, non ultimo, di alcune parti-colarità dal punto di vista ereditario che possono creare problemi.La cosiddetta adozione mite, teorizzata e sperimentata in particolare dal Tribunale per i Minorenni diBari, non risolve il problema, e va comunque sottolineato che l’affido sine die non è previsto dalla leg-ge e non è neppure ipotizzabile come applicazione analogica od estensiva di norme già esistenti.La famiglia affidataria, di conseguenza, si affida all’avvocato per presentare la domanda ex art. 44, checomporta l’apertura di un nuovo procedimento consistente nell’accertamento dell’effettivo interessedel minore a una dichiarazione di adozione speciale, previo ascolto dei genitori naturali dello stesso.Per concludere, è quindi evidente che la presenza dell’avvocato nei procedimenti di adozione non èassolutamente una criticità, salvo che si ritorni all’idea che, nei procedimenti riguardanti i minori, l’av-vocato sia un fastidioso orpello.La presenza dell’avvocato è anzi un arricchimento, in quanto l’intervento di un professionista (ovvia-mente serio e preparato) non può che aiutare tutti gli attori della vicenda (il minore, la famiglia na-turale, la famiglia affidataria, la coppia adottiva, i giudici stessi e anche i Servizi sociali) a compren-dere meglio gli istituti e le procedure corrette da adottare, soprattutto nell’interesse dei minori coin-volti in queste, spesso dolorose, vicende.

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10 L. 184/1983, art. 4, n. 4: “Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile duratadell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo nonpuò superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affida-mento rechi pregiudizio al minore”.

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I nuovi scenari adottivi

Nell’ultimo decennio il contesto dell’adozione è profondamente mutato.In particolare tra i nuovi valori che si sono imposti vi è la consapevolezza del diritto ad avere unacasa e una famiglia per ogni bambino di qualunque età e razza; la convinzione che ogni bambinosia adottabile ha dato vita a una nuova prassi adottiva che enfatizza l’adozione di bambini con bi-sogni speciali, cioè i più grandi, i bambini portatori di difficoltà di carattere fisico o psichico, o igruppi di fratelli1. Se alle origini l’adozione serviva quasi esclusivamente per dare una famiglia aineonati rifiutati dalla loro madre e per fare uscire i bambini, non più neonati, dimenticati dai lorogenitori negli istituti, oggi il contesto sociale è molto cambiato e di conseguenza l’adozione diven-ta una risposta per quei bambini che hanno avuto una famiglia d’origine fortemente inadeguata,incapace di dare risposte ai loro bisogni di protezione e conforto. Tale quadro è indubbiamente ri-feribile all’adozione nazionale, ma in gran parte anche a quella internazionale. Pertanto è ipotizza-bile che nella maggior parte delle storie dei bambini l’abbandono sia stato preceduto e seguito daaltri eventi traumatici e che nel loro percorso di crescita essi siano andati incontro a esperienze sfa-vorevoli infantili (ESI)2 sia in modo diretto (maltrattamenti e abusi) sia indiretto (presenza di geni-tori alcolisti, tossicodipendenti, pazienti psichiatrici, eccetera). Questi bambini sono stati oggetto diprovvedimenti di tutela che possono aver comportato il passaggio attraverso una o più collocazio-ni in ambiti protetti prima di approdare definitivamente nella famiglia adottiva. È possibile inoltreche in una consistente percentuale abbiano subìto traumi cumulativi, maltrattamenti e abusi nellapropria famiglia d’origine, collocamenti sfavorevoli dopo l’allontanamento, ulteriori esperienzetraumatiche in istituto o nelle famiglie sostitute. Stiamo assistendo a una trasformazione della tipo-logia dei bambini adottabili e, quindi, a una conseguente trasformazione dell’adozione che, sem-pre più, sta diventando una risposta per quei bambini collocati in età avanzata (sopra i cinque an-ni), che hanno subìto distorsioni del legame di attaccamento e presentano un rischio elevato discompensi dello sviluppo. Un’importante meta analisi3 ha studiato le evidenze nell’attaccamentoper i bambini adottati. Essa ha mostrato che l’adozione è un intervento di recupero che funziona,più efficace di ogni specifica terapia medica o psicologica. Essa si costituisce come un fattore pro-tettivo rispetto ai bambini destinati a crescere in istituto e un fattore di rischio rispetto a bambinicresciuti in famiglie biologiche in assenza di traumi ed esperienze avverse.

1 Vadilonga, L’adozione di fratelli tra rischio e risorse, in Minorigiustizia, 1/2009, 255-267.2 Felitti, Anda, Nordernberg et al., Relationship of Childhood Abuse and Household Dysfunction to Many of the Leading Causesof Death in Adults, in Franey, Geffner, Falconer, The Cost of Child Maltreatment: Who Pays? We all do, Family Violence and SexualAssault Institute, S. Diego, CA, 2001.3 Van Ijzendoorn, Juffer, The Emanuel Miller Memorial Lecture 2006: Adoption as intervention. Meta-analytic evidence for mas-sive catch-up and plasticity in physical, socio-emotional, and cognitive development, in Journal of Child Psychology and Psychia-try, 47, 2006, 1228-1245.

LA RELAZIONE TRA GENITORI E FIGLIO ADOTTIVO: COME SVILUPPARLA AL MEGLIO

Francesco VadilongaResponsabile del Centro di terapia dell’adolescenza (CTA) e del Servizio specialistico per ilsostegno alle adozioni difficili e la cura delle crisi adottive di Milano; codirettore della scuola dispecializzazione in psicoterapia Insegnamento e Ricerca Individuo e Sistema (IRIS) di Milano

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FOCUS

I risultati di queste ricerche evidenziano una percentuale maggiore di attaccamenti sicuri nei bam-bini non adottati; ma, mentre negli attaccamenti insicuri, ambivalenti e evitanti le differenze nonappaiono significative, colpisce che nel gruppo degli adottati l’attaccamento disorganizzato sia piùdel doppio rispetto al gruppo dei non-adottati. In altre parole i bambini adottati sono più frequentemente disorganizzati rispetto ai loro pari nonadottati; l’attaccamento disorganizzato emerge all’interno di un certo tipo di relazione e non comeun tratto individuale o come una caratteristica innata del bambino. La chiave di lettura della disor-ganizzazione dell’attaccamento è stata individuata nella copresenza nella figura di attaccamento siadella paura (alcuni aspetti della figura di attaccamento suscitano paura o perché la figura è diret-tamente minacciosa o perché è impaurita da una fonte che il bambino non può identificare), siadella possibilità di ricevere protezione. La figura di accudimento che suscita paura pone al bambi-no un paradosso irrisolvibile, in quanto dovrebbe fuggire da essa perché fonte di pericolo e con-temporaneamente avvicinarsi a essa come rifugio sicuro.Tale dato conferma l’ipotesi che l’adozione sia un ambito di cura privilegiato per i bambini espo-sti a esperienze traumatiche.

Verso un nuovo modello di adozione

In passato lo sforzo è stato quello di modellare l’adozione il più possibile sul modello parentalebiologico; nella pratica tradizionale soltanto i bambini sani erano considerati “adottabili” e venivafatto ogni sforzo per far combaciare le caratteristiche biologiche del bambino con quelle dei geni-tori. Le differenze tra la famiglia biologica e quella adottiva dovevano essere negate con la conse-guenza di ignorare i processi peculiari e le eventuali difficoltà, altrettanto peculiari, di costruzionedelle relazioni affettive all’interno dell’adozione. Fino a che la famiglia adottiva veniva considerataalla stregua di quella biologica, conclusa la pratica dell’adozione, veniva tenuta segreta l’identitàdella famiglia di origine e, una volta attuato il trasferimento del bambino alla famiglia adottiva, eracomunemente accettato tenere segrete le informazioni relative al suo passato e alla sua storia. At-tualmente queste credenze, che per decenni hanno modellato la pratica delle adozioni, sono stateduramente messe alla prova. Oggi sappiamo quanto sia importante la continuità del sé e quanto gli adottati incontrino difficol-tà legate al senso di disconnessione dal passato che sperimentano nella loro crescita. Sappiamo cheessere adottati è un’esperienza che influenza la relazione dell’adottato con i suoi genitori adottivi,che forgia la sua personalità e contribuisce alla formazione dell’identità, che influenza le relazioniintime che instaurerà nel corso della vita; sappiamo inoltre che il problema dell’essere adottati ri-tornerà, consciamente o inconsciamente, a diversi stadi di crescita e sviluppo4. Siamo inoltre con-

4 Brodzinsky, Schechter, Marantz Henig, Being Adopted, New York, 1993.

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sapevoli dei rischi che le esperienze negative vengano escluse difensivamente dalla coscienza, ri-manendo tuttavia attive sul piano comportamentale e influenzando lo sviluppo della personalità.Stiamo dunque attraversando un periodo di trasformazioni che presumibilmente porterà in futuroa cambiamenti di finalità, obiettivi e prassi dell’adozione; ci troviamo di fatto all’interno di un pro-cesso di transizione concettuale del modello di adozione.

È in corso un passaggio da un modello adottivo fondato sul segreto delle origini a un modelloadottivo fondato sul recupero del passato, dove la storia del bambino non inizia nel momento incui incontra la famiglia adottiva, sia che questo avvenga a pochi mesi di età sia che avvenga a etàavanzata, ma inizia dal momento in cui è nato; è quindi importante che questo pezzo della sua sto-ria venga recuperato durante il periodo adottivo e il suo diritto all’identità garantito. Se il vecchiomodello adottivo faceva perno sull’interruzione, oggi siamo passati a un modello basato sulla con-tinuità.Si deve recuperare l’idea della triade adottiva all’interno della quale i tre poli (bambino, genitoribiologici, genitori adottivi) sono connessi lungo un continuum temporale dal passato al futuro.

Dimensione riparativa ed elaborativa dell’adozione

I bambini collocati in adozione, come abbiamo visto, sono portatori di difficoltà specifiche e spes-so di esiti post traumatici; per il buon esito dell’adozione è indispensabile che i genitori adottivi sicostituiscano, con i necessari supporti, come referenti del percorso riparativo del bambino. L’adozione, storicamente, ha assolto il compito di riordinare il mondo esterno del bambino fornen-dogli, in mancanza di propri genitori biologici adeguati, genitori adottivi sostitutivi; ora è tempoche si faccia carico, in modo mirato, di riordinare anche il suo mondo interno, aiutandolo a rimet-tere insieme i pezzi della sua vita5.Tra le aree in cui si esplica l’azione “terapeutica” dell’adozione vorrei evidenziarne due: la possi-bilità per il bambino di sperimentare un’esperienza correttiva dell’attaccamento (dimensione ripa-rativa) e la possibilità di essere sostenuto nell’attribuire un corretto significato alle vicende relazio-nali vissute, nel dare posto alle emozioni provate, nello spiegare le motivazioni dei comportamen-ti dei genitori biologici (dimensione elaborativa).

5 Vadilonga, Abbandono e adozione, in Terapia Familiare, 74, 2004, 43-66.

METAFORE

TRANSIZIONE CONCETTUALE DA UN MODELLO DI ADOZIONE

Fondato sul segreto delle origini Fondato sul recupero del passato

Basato sull’interruzione tra il prima e il dopo Basato sulla continuità

Adozione come seconda nascitaFamiglia adottiva come unica famiglia

Famiglia adottiva intesa come una triadegenitori adottivi-figlio adottato-genitori biologici

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FOCUS

La dimensione riparativa: costruire legami di attaccamento nella famiglia adottiva

Risulta fondamentale per il buon esito dell’adozione la capacità di capire, da parte di operatori efamiglie adottive, come funzionano i bambini nei nuovi contesti di cura, al fine di avere una cor-nice di significati sufficientemente ampia a cui attingere risorse per la comprensione dei compor-tamenti, evitando di incorrere in fraintendimenti. Il “modello transazionale” proposto da Stovall e Dozier6 ci aiuta a comprendere come il percorsodi crescita di un bambino lungo un particolare sentiero di sviluppo sia determinato dalle transazio-ni tra il bambino e i suoi caregiver; non solo i bambini sono influenzati dal loro ambiente, ma an-che l’ambiente sociale è influenzato dai bambini e dai loro bisogni e comportamenti. Tale model-lo applicato al contesto adottivo ci dice che il percorso di ogni bambino dipende dalle strategieadattive sviluppate nei contesti avversi precedenti l’adozione e dalle specifiche risposte dei genito-ri adottivi, a loro volta influenzate dai comportamenti dei bambini. Ci aiuta inoltre a capire che ibambini continuano a impiegare nel nuovo ambiente di cura le strategie basate sul controllo, sul-l’evitamento e la soppressione degli affetti, sul compiacimento che hanno sviluppato per sopravvi-vere in situazioni di abuso e negligenza, nonostante ora si trovino in un ambiente familiare sicu-ro. Tali strategie possono essere lette in termini adattivi all’interno del contesto nel quale si sonosviluppate: sono state infatti funzionali a garantire la sopravvivenza non solo psicologica, ma tal-volta anche fisica dei bambini. Tuttavia ripetute, come di solito accade, nel contesto della nuovafamiglia, appaiono fortemente disadattive se non francamente patologiche.Pertanto, alla luce della loro esperienza, i bambini adottati si aspettano che i nuovi caregiver ab-biano le stesse caratteristiche (danneggianti, imprevedibili, violenti, confusi) di quelli che hannoesperito in passato e ripeteranno nei loro confronti gli stessi comportamenti; essi sono mal equi-paggiati per trarre vantaggio dalla cura di buona qualità, amorevole e responsiva. In particolare,molti adottatati sembrano incapaci di elicitare o rispondere alla cura e alla genitorialità protettiva.Non si sentono al sicuro quando sono in ambienti di cura stretti e intimi e non sono in grado difidarsi della cura amorevole. Questi bambini hanno imparato a sentirsi considerevolmente più alsicuro contando solo su loro stessi.Se il genitore adottivo è sufficientemente sensibile e responsivo cercherà di fornire cura e prote-zione; tuttavia il suo atteggiamento di cura potrà produrre stati d’attivazione intensa con rispostecomportamentali di congelamento, spavento, rabbia, confusione. Stovall e Dozier7 sostengono che,nonostante le strategie apprese nei contesti di origine abbiano aiutato i bambini a sopravvivere inambienti molto difficoltosi, la dinamica attivata da questa interazione ha l’effetto di replicare nelnuovo caregiver alcune delle caratteristiche, quantunque in una forma più lieve, del caregiver d’ori-gine. La replica non è inevitabile, ma la rappresentazione mentale del bambino di come funzionala relazione, basata sulle passate esperienze di rifiuto, può instaurare potenti forze transazionali chepossono condizionare significativamente percezioni, pensieri, emozioni e comportamenti dei nuo-vi genitori8.Le precedenti esperienze del bambino e gli adattamenti al contesto di accudimento adottivo non so-lo influenzano il bambino, ma influenzano anche i nuovi caregiver. Il modello transazionale prediceche è probabile che i comportamenti contradditori che i bambini con attaccamento disorganizzatoportano nella relazione con i loro genitori adottivi aumentino i livelli di stress nelle interazioni, se-condo il modello circolare delle interazioni bambino-genitori adottivi suggerito da Stovall e Dozier9. È tipico di molti bambini adottati evitare nel nuovo contesto di cura l’intimità, impedendo ai geni-tori di fornire cure, o comportarsi come se il genitore adottivo (di solito la madre) fosse una po-tenziale fonte di ostilità, maltrattamento e trascuratezza o rivolgere i propri comportamenti di at-

6 Stovall, Dozier, Infants in Foster Care: An Attachment Theory Perspective, in Adoption Quarterly, 2, 1998, 55-88.7 Ivi.8 Howe, Fearnley, Disorder of attachment in adopted and fostered children: Recognition and treatment, in Clinical Child Psy-chology and Psychiatry, 8, 2003, 369-387.9 Stovall, Dozier, Infants in Foster Care cit.

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taccamento (l’accostamento, il mantenimento della vicinanza, la richiesta di conforto) agli estraneipiuttosto che alla madre adottiva. In risposta, è altamente probabile che coloro che si prendonocura di questi bambini si sentano a loro volta impotenti, arrabbiati, confusi, in quanto costretti afronteggiare ostilità, aggressioni, rifiuti e repentini cambiamenti d’umore. Il funzionamento menta-le di questi bambini ha un impatto sui genitori adottivi; essi, nei casi più difficili, possono esseretentati di abdicare al ruolo di caregiver, non più desiderosi o in grado di fornire ai loro figli curae protezione (“Mollo tutto; sento che ho bisogno d’aiuto, sono completamente esausto e depresso”).Molti genitori, senza il supporto e l’aiuto di un esperto, si ritrovano imprigionati nella visione di-storta del figlio riguardo al modo in cui funzionano i rapporti.

Le valenze terapeutiche dell’adozione

Nel citato modello transazionale proposto da Stovall e Dozier ciò che permette l’evoluzione dellerappresentazioni del bambino sono le risposte dei genitori adottivi. Sappiamo che la costruzionedel sé si basa su un processo interpersonale, in cui la rappresentazione del bambino di sé si svi-luppa in modo interdipendente rispetto a quella che il genitore ha del bambino. Hodges, Steele,Hillman et al. definiscono le rappresentazioni che il bambino adottato porta nella famiglia adotti-va come un “set di aspettative e percezioni derivanti dalle passate esperienze e relazioni, che hannocondotto il bambino all’adozione. Queste esperienze riguardano figure di attaccamento inaccessibi-li, rifiutanti o abusive, un’idea di sé come impotente e vulnerabile, e comportamenti, cognizioni epredisposizioni emotive di tipo difensivo sentite necessarie per la sopravvivenza”10. La costruzione della relazione di attaccamento tra i genitori adottivi e il bambino adottato può es-sere vista come un reciproco influenzamento delle proprie rappresentazioni; i genitori, attraversorisposte differenti, possono falsificare le aspettative del bambino, ma il bambino a sua volta puòattirare i genitori nelle sue rappresentazioni. Pertanto la sfida consiste nel portare progressivamen-te il bambino nell’ambito delle rappresentazioni dei genitori adottivi. Il bambino non potrà fare al-tro che riproporre i propri modelli; saranno le diverse risposte dei genitori, ripetute nel tempo, cheprogressivamente faranno evolvere le rappresentazioni del bambino. L’adozione presuppone la ca-pacità del genitore di guidare questo processo e di governare gradualmente il cambiamento; la ri-posta del genitore adottivo può, in altri termini, confermare le rappresentazioni del bambino o far-le evolvere. Pertanto la forza trasformativa dell’adozione consiste nel far sperimentare al bambinonuove esperienze di accudimento che si costituiscano come differenze significative in discontinui-tà con la sua esperienza precedente. Se tali nuove esperienze si verificheranno con una certa ripe-titività e forza, il bambino sarà costretto a costruire nuovi copioni, mettendoli in rete con quelli esi-stenti. L’adozione può essere quindi un’esperienza nuova, generatrice di cambiamenti nell’organiz-zazione mentale del bambino; a partire da nuove singole esperienze quotidiane di accudimento, ilcambiamento gradualmente si ripercuoterà sulla rappresentazione generale dell’attaccamento. Vi-ceversa quando le esperienze di accudimento che il bambino sperimenta nel collocamento adotti-vo ricalcano i modelli insicuri sperimentati in passato in continuità con le sue esperienze prece-denti, egli sarà confermato nelle sue rappresentazioni. Si convincerà che non può contare su adul-ti responsivi e protettivi in grado di capirlo, proteggerlo e confortarlo.

La dimensione elaborativa: sviluppare una narrazione emotiva

Questo processo non sarebbe completo se non fosse presa in considerazione la possibilità di gui-dare il bambino verso l’esplorazione del suo passato. L’adozione comporta la capacità da parte deigenitori adottivi di assumere non soltanto una posizione riparativa, ma anche gestire una dimensio-

10 Hodges, Steele, Hillman et al., Change and Continuity in Mental Representations of Attachment After Adoption, in Psycholo-gical issues in adoption. Research and practice, Wesport, CT, 2005, 93-116.

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FOCUS

ne elaborativa. Tale compito spesso viene affrontato precocemente quando non si sono ancora co-struite le condizioni; nella nostra esperienza guidare il bambino a rileggere la propria storia può av-venire quando i genitori si sono costituti come una “base sicura”. Il sistema esplorativo, come noto,è antagonista del sistema di attaccamento; l’esplorazione del passato presuppone che il bambino ab-bia sviluppato un attaccamento sufficientemente sicuro nei confronti dei nuovi genitori adottivi. Certo i due processi non possono essere nettamente separati e, comunque, è importante che findall’inizio dell’adozione sia presente una comunicazione familiare aperta, onesta, non difensiva,emozionalmente sintonica sui temi correlati all’adozione. Utilizzando le parole di Brodzinsky11, pos-siamo affermare che il modo in cui i genitori inizialmente condividono le informazioni sull’adozio-ne con i loro bambini, il modo in cui supportano le loro domande e il successo che raggiungononel rimanere emotivamente sintonici con i bisogni legati all’adozione dei loro figli determina quan-to sarà estesa l’esplorazione dei temi correlati all’adozione da parte dei bambini stessi. Pertanto uno dei compiti fondamentali dei genitori adottivi è quello di trasformare, attraverso lanarrazione, la storia avversa del bambino in informazioni che supportino l’autostima e la crescitapsicologica12. Affinché nella famiglia adottiva si possa sviluppare compiutamente il percorso narra-tivo, oltre a una buona apertura comunicativa, sono necessari un aiuto all’attribuzione di significa-ti e una buona capacità di sintonizzazione e rispecchiamento emotivo.Attribuire un corretto significato da parte del bambino ai comportamenti dei caregiver può costi-tuire un fattore protettivo e promuovere processi di resilienza. Fonagy e Target13 hanno sviluppatoil concetto di funzione riflessiva, mostrando sperimentalmente l’importanza della capacità di riflet-tere sui propri processi interni quale fattore protettivo di fronte a eventi stressanti. Raggiungere lacapacità di attribuire uno stato emotivo o cognitivo agli altri permette al bambino di rendere il lo-ro comportamento comprensibile. Per esempio se il bambino è in grado di attribuire il comporta-mento distaccato e non responsivo della madre al suo stato depressivo, piuttosto che alla propriacattiveria o alla propria incapacità di suscitare attenzione, è protetto dall’attribuire a se stesso la re-sponsabilità del comportamento rifiutante del genitore. Nelle situazioni di abbandono e di traumase manca la capacità di rappresentare le idee, il bambino è costretto ad accettare le implicazionidel rifiuto dei genitori e a sviluppare un’immagine negativa di se stesso.Riportando questo concetto al contesto adottivo, possiamo quindi affermare che la possibilità peril bambino adottivo di essere aiutato a rileggere la propria storia e ad attribuire un corretto signi-ficato agli eventi dolorosi che lo hanno visto protagonista lo protegge dalla naturale tendenza ditutti i bambini di autoriferire a sé (visione egocentrica) quello che accade.Inoltre, la comunicazione sull’adozione deve coinvolgere non solo lo scambio di informazioni, maanche soprattutto l’espressione e lo scambio delle emozioni. La narrazione che si svilupperà lungoil percorso adottivo dovrà quindi essere una narrazione emotiva, che abbia come principale riferi-mento il cuore del bambino, i suoi stati emotivi interni e che lo aiuti a dare forma ed esprimere isentimenti di dolore e di rabbia che accompagnano inevitabilmente un percorso elaborativo. I figli adottati devono poter esprimere il loro dolore e la loro rabbia; sentirla leggittimata nella ri-lettura della loro storia e rispecchiata nel cuore dei genitori adottivi. Essi sperano che i genitori comprendano il dolore che provano e che possano piangere insieme aloro. L’adozione dovrebbe offrire ai figli adottati la possibilità di sentirsi rispecchiati nella mente enel cuore dei genitori adottivi. Bambini così traumatizzati hanno bisogno di essere accompagnatiin un lungo e continuo percorso di elaborazione che li aiuti a rimettere insieme tutti i loro “pez-zetti” al fine di raggiungere un’integrazione del proprio sé. Il fallimento della possibilità di essererispecchiato dai genitori naturali ha comportato per il bambino una forma di non integrazione;compito dei genitori adottivi è, non solo quello di fornire al bambino le buone cure genitoriali chenon ha avuto, ma permettergli di sentirsi integrato almeno nella mente dei genitori adottivi.

11 Brodzinsky, Reconceptualizing Openness in Adoption: Implications for Theory, Research, and Practice, in Brodzinsky, Pala-cios (a cura di), Psychological Issues in Adoption. Research and Practice, New York, 2005, 145-166.12 Dallos, Attachment Narrative Therapy. Integrating Systemic, Narrative and Attachment Approaches, New York, 2006.13 Fonagy, Target, Attachment and Reflective Function: Their Role in Self-organization, in Development and Psychopatology, 9,1997, 679-700.

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Curare l’adozione

Questa impostazione abbraccia con forza una visione dell’adozione centrata sui bisogni del bam-bino e valorizza il contributo fondamentale che i genitori adottivi possono dare. Tuttavia la com-plessità di questi compiti comporta un gravoso impegno per le famiglie adottive. Se riteniamo che i bambini in adozione devono avere degli spazi per esprimere quello che prova-no e riflettere sull’esperienza particolare che stanno facendo, questa impostazione deve essere ga-rantita da quanti – giudici, avvocati, operatori, terapeuti – hanno la responsabilità dell’adozione edella tutela del minore. Le implicazioni per la pratica dell’adozione sono rilevanti. I cambiamenti da introdurre sono mol-teplici e collocati in diversi punti del percorso. In questa sede ci interessa sottolineare la necessitàdi costruire interventi di sostegno che tengano conto della specificità adottiva. Gli interventi di so-stegno dovranno deve essere mirati a supportare i compiti evolutivi dei figli e dei genitori nelle di-verse fasi del ciclo familiare adottivo. Le difficoltà infatti possono insorgere in momenti diversi delpercorso adottivo e il sostegno non deve quindi essere limitato nel tempo, ma accompagnare lacrescita del bambino in funzione dell’incrocio degli stadi di sviluppo con le specificità adottive; lafamiglia dovrebbe quindi poter accedere al sostegno nelle fasi cruciali o negli snodi del ciclo vita-le o sulla base di specifici bisogni. Esperienze in atto in diversi Paesi europei hanno permesso di considerare la costruzione della re-lazione di attaccamento, l’impostazione del processo elaborativo e il monitoraggio del processo ri-parativo come snodi centrali dei percorsi adottivi. L’utilizzo del paradigma della “Teoria dell’Attac-camento” ha permesso di mettere a punto delle metodiche di sostegno finalizzate a promuovereun’interazione positiva tra genitore e figlio, sviluppare la capacità dei genitori adottivi di comuni-care con i bambini, incrementare la loro sensibilità e la responsività, rendere più consapevoli i ge-nitori delle rappresentazioni di attaccamento dei bambini14.Nonostante una sifatta impostazione bisogna tuttavia prevedere che nelle varie fasi del percorsoadottivo possano insorgere problemi specifici per i quali è necessaria una terapia. Progettare un in-tervento terapeutico in un’adozione avviata è un’operazione complessa, i cui vantaggi possono es-sere pari ai rischi. Se concepiamo l’adozione come un processo di ristrutturazione dei modelli men-tali del bambino e delle sue rappresentazioni che fa leva sulla relazione con i genitori adottivi, lavera cura resta sempre e comunque l’adozione. Se l’adozione non funziona è sbagliato pensare dicurare il bambino a prescindere dai suoi genitori adottivi. Bisogna quindi curare l’adozione, cioèrimetterla in grado di assolvere ai suoi compiti terapeutici nei confronti dei bambini15. L’interventoterapeutico deve avere come focus la relazione tra il bambino adottato e i suoi genitori adottivi eporsi l’obiettivo di lavorare contemporaneamente sui due versanti, per comprendere i modelli e lerappresentazioni del bambino e modificare le risposte difensive dei genitori che tendono a rispec-chiarlo nell’immagine negativa che ha di se stesso. La terapia deve porsi all’interno del modello circolare descritto da Stovall e Dozier16 e favorire ri-sposte più funzionali da parte dei genitori alla riproposizione delle strategie inadeguate appresedai bambini nei contesti di origine. I genitori adottivi devono quindi essere inclusi nei percorsi te-rapeutici nella veste di co-terapeuti e, se necessario, aiutati a modificare se stessi per modificare larelazione con il figlio.L’assunzione di questa prospettiva può contribuire a diffondere una “cultura dell’adozione” checonsenta a bambini, ragazzi, giovani adulti e ai loro genitori biologici e adottivi di ricevere, al bi-sogno, aiuto qualificato in ogni fase del loro percorso di vita.

14 Vadilonga (a cura di), La cura della famiglia d’origine: nuove forme di sostegno, in Favretto, Bernardini, Mi presti la tua fa-miglia? Per una cultura dell’affidamento eterofamiliare per minori, Roma, 2010.15 Vadilonga (a cura di), Curare l’adozione. Modelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva, Milano, 2010.16 Stovall, Dozier, Infants in Foster Care cit.

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FOCUS

La complessità non tanto dell’istituto giuridico dell’adozione quanto del fenomeno adottivo è os-servabile da numerosi vertici e prospettive; di seguito se ne prenderà in considerazione un seg-mento, identificandone, con buona approssimazione, per quanto riguarda l’adozione di minori stra-nieri, un ambito psicogiuridico il cui framework è rappresentato da alcuni articoli della legge184/83 come modificata dalla legge 476/98.Entro tali norme si inscrivono e declinano le varie prassi operative dei diversi TM.Le coppie infatti che hanno il desiderio e il progetto di adottare un minore, straniero o italiano, de-vono presentare istanza al TM, dichiarando la loro disponibilità.Per i minori stranieri l’istanza può essere presentata solo presso il TM del distretto giudiziario diresidenza mentre per i minori italiani può essere presentata in tutti i TM dello Stato Italiano.

La cornice normativa

L’art. 29 bis, comma 4, lettera c), prevede che il TM proceda all’“acquisizione di elementi sulla si-tuazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sul loro ambiente sociale,sulle motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazio-nale, sulla loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo,sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di accogliere, non-ché all’acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del tribunale per i mino-renni della loro idoneità all’adozione”. Il comma 5 dell’art. 29 bis stabilisce che “I servizi trasmettono al tribunale per i minorenni, in esitoall’attività svolta, una relazione completa di tutti gli elementi indicati al comma 4, entro i quattromesi successivi alla trasmissione della dichiarazione di disponibilità”.Una volta acquisita la relazione dei Servizi, i fascicoli relativi alle coppie dei coniugi, che danno ladisponibilità all’adozione di minori stranieri e italiani, possono essere assegnati a dei giudici dele-gati, anche onorari, così come previsto dalla legge all’art. 30: “1. Il tribunale per i minorenni, rice-vuta la relazione di cui all’articolo 29 bis, comma 5, sente gli aspiranti all’adozione, anche a mez-zo di un giudice delegato, dispone se necessario gli opportuni approfondimenti e pronuncia, entro idue mesi successivi, decreto motivato attestante la sussistenza ovvero l’insussistenza dei requisiti peradottare”.Capita spesso che le coppie, in gran parte senza figli e infertili, presentino contemporaneamente,nel distretto giudiziario di competenza, sia la dichiarazione di disponibilità ad adottare minori ita-liani sia l’istanza per ottenere l’idoneità all’adozione di minori stranieri. Procedimento questo cheha il vantaggio di tempi maggiormente definiti, come precisa la normativa.Concretamente capita spesso che siano due le prospettive, di fatto quasi coincidenti, che guida-no l’attenzione e l’operato del giudice delegato, come due sono le tipologie di fascicoli, una perle adozioni nazionali (Adn) e una per le adozioni internazionali (A.I.). Delle due possibilità adot-

MOTIVAZIONE E RISCHIO ADOTTIVO: RIFLESSIONI GIURIDICHE E METAPSICOLOGICHEDa un’esperienza pluriennale di lavoro nel gruppo adozioni del TM di Cagliari

Marco CesaracciuPsicologo e psicoterapeuta, Cagliari

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tive una rimarrà nel porto del TM e l’altra prenderà il largo, in caso di accoglimento dell’istanza,all’estero.In tal modo vengono spesso a coincidere parzialmente due differenti prospettive.L’una dove si può pervenire a una valutazione di tipo binario, idoneità-non idoneità dei candidatia divenire genitori di minori stranieri, con successivo accoglimento o rigetto dell’istanza, se la va-lutazione troverà riscontro, previo invio degli atti al pubblico ministero, nella decisione del Tribu-nale, appellabile ex art. 30 comma 5. Non è infrequente l’opzione di un approfondimento del-l’istruttoria, come ad esempio la possibilità del rinvio ai Servizi psicosociali territoriali per degli ap-profondimenti su alcuni temi inerenti l’adozione per rendere maggiormente consapevoli le coppienelle quali vengono riconosciute risorse adottive valide e potenzialità che necessitano però di at-tualizzarsi.L’altra prospettiva è relativa all’eventuale accoglimento della disponibilità delle coppie che si can-didano ad adottare minori italiani che è, di fatto, praticamente incondizionata non essendoci ob-bligo di pronunciamento della Camera di consiglioQuesto, se ci sarà in futuro, riguarderà l’affidamento preadottivo con la coppia identificata e scel-ta dal TM che può avvenire entro i tre anni di validità dell’istanza prevista per legge.In questo caso saranno le condizioni stesse del minore a selezionare, in gran parte, le disponibili-tà date dalle numerose coppie come ad esempio: la sua appartenenza a una fratria, la sua condi-zione di salute, le sue problematiche intellettive o la sua età non più prescolare, vero e propriospartiacque della disponibilità adottiva su cui collassano probabilità numeriche e concrete prospet-tive di vita familiare.

Tenendo sullo sfondo la cornice giuridica sopra delineata, potremmo pensare il passaggio dellecoppie in Tribunale per la loro audizione come un filtro o forse, meglio, un imbuto in cui le infi-nite declinazioni personali della mancata genitorialità passano e si confrontano, spesso a fatica, conun contesto che inevitabilmente e in modo automatico evoca, comprensibilmente, in molte perso-ne significati ed emozioni, più o meno avvertite in modo superegoico nella variante idealizzata,persecutoria, giudicante o legittimante.Tale contesto connota inevitabilmente e pesantemente sia le emozioni che le comunicazioni traoperatori e utenti del servizio giustizia.È in questo contesto, in questo segmento operativo, che le categorie interpretative del giudice de-legato devono dare, e danno, un contributo al processo decisionale ma al tempo stesso devonotrovare un limite alla propria specificità metodologica e professionale. Limite che in ambito giu-ridico è dato in primo luogo dall’importanza degli atti, per esempio dalle relazioni dei servizi, edalla consapevolezza che il suo intervento fa parte di un iter procedurale complesso e precosti-tuito. A ciò si aggiunge che tale contesto giudiziario, così carico di significato, le coppie lo sperimen-tano, in genere, dopo un altro contesto in cui hanno conosciuto la speranza, spesso la cocentedelusione e, infine, il dolore: i centri medici specializzati pubblici e privati per la “cura” dell’in-fertilità.Contesto sanitario che, al pari del TM, spesso dispensa gratificazioni e frustrazioni in proporzionevariabile, con le statistiche dei suoi successi, le sue percentuali di riuscita, le sue procedure, l’atte-sa e, infine, il suo altrove, dove ci possono essere bambini che potranno diventare figli.E l’altrove dei bambini non nati in Italia diventa il mondo intero dove “ci hanno detto che ci sonopiù possibilità”, un altrove dove ricollocare speranze e aspettative importanti e profonde comequella di una famiglia con dei figli.È infatti la mancata genitorialità “naturale” la situazione numericamente di gran lunga prevalente,anche se non esclusiva visto che fanno istanza per l’ottenimento dell’idoneità anche coppie chehanno già adottato minori stranieri, o italiani, o che hanno uno o più figli naturali.Anche la valutazione dell’idoneità di queste ultime non è certamente più facile solo perché appa-rentemente esente da quei rischi specifici di fallimento adottivo legati alla mancata elaborazionedel lutto per la mancata genitorialità biologica; infatti “la presenza di figli nati dalla coppia o da es-

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FOCUS

sa adottati, rappresenta sia una risorsa che una variante di rischio tanto per i figli già presenti, quan-to per il bambino che viene adottato”1. Oltretutto anche la mancata procreazione del secondo geni-tore può rappresentare in profondità un equivalente dell’infertilità completa2.Tuttavia la mancata elaborazione del lutto per la mancata genitorialità biologica rimane uno deglielementi più importanti e di più difficile valutazione da parte di chiunque, TM compreso, pur se siserve talvolta di giudici onorari con una formazione e un’attività professionale quale quella dellopsicologo.L’importanza della valutazione di tale elemento, psicologicamente connotato in profondità, presen-ta ancora una volta il problema della traducibilità delle categorie psicologiche in quelle giuridiche.Le due lenti del diritto e della psicologia del profondo hanno fuochi differenti e la visione binocu-lare pone la sfida di continui aggiustamenti dal punto di vista teorico generale. Il rapporto tra lediscipline si ripropone in questo caso in termini di irriducibilità dialettica ma non, e ne siamo con-vinti, di mutua esclusione. Chi dei giudici onorari svolge l’attività di psicoterapeuta potrà concordare sul fatto che l’esperien-za dell’elaborazione del lutto per la mancata genitorialità biologica, al pari di altre elaborazioni le-gate a perdite e separazioni, ha spesso carattere discontinuo, non lineare, doloroso e instabile.La relativa frequenza con cui si dichiara che tale elaborazione è avvenuta va considerata con cau-tela critica se consideriamo la difficoltà a disinvestire piani fantasmatici legati così in profondità alcorpo e in comunicazione profonda e inconscia con la mente tramite rappresentazioni messe inevidenza anche da ricerche condotte in una prospettiva psicodinamica3.Tuttavia dobbiamo e vogliamo fidarci e confidare nelle spinte autenticamente elaborative che spes-so hanno bisogno proprio di un bambino per concretizzarsi e realizzare un divenire e una cresci-ta personale interiore che ha una sorta di visibilità esterna: la crescita psicofisica del bambino, lasua integrazione sociale e la sua vita adulta.Ma di due ferite, quella dell’abbandono e quella della non avvenuta genitorialità, almeno una de-ve essersi riconosciuta come tale e come tale curata, almeno in parte. Se entrambe sanguinano laguarigione non sarà reciproca ma ognuna ricorderà all’altra il proprio dolore, la propria paura, lapropria rabbia, la propria impotenza.Su questo è chiara la dell’Antonio: “In realtà le esigenze dell’uno e degli altri sono assai più comples-se e la situazione di adozione è tale da non poterne garantire automaticamente la soddisfazione”4.La tutela del minore prende qui la forma di una prevenzione dei rischi di un fallimento che nonvedrà le spese compensate tra le parti e in cui il soccombente è il più piccolo, chi ha meno pote-re di scegliere, connotare, spendere denaro, designare e diagnosticare nell’altro qualche psicopa-tologia.Per le famiglie che adottano un minore straniero, o anche italiano, pare molto importante un sen-so di fortissimo rinforzo dovuto alla nuova e acquisita identità di genitori. Nuova e agognata iden-tità che genera un circolo virtuoso in cui la capacità di reggere le difficoltà aumenta per una quo-tidianità in cui le identità individuali (padre, madre, nonno, nonna eccetera), di coppia (genitori,nonni) e i confini generazionali dei sottosistemi familiari (figli, genitori, nonni) sono stabiliti secon-do modelli introiettati durante l’infanzia e riproiettati finalmente all’esterno in età adulta propriograzie ai nuovi figli adottati.Coppie scelte per l’abbinamento con un minore italiano, riviste a distanza di un anno allo scaderedell’affidamento preadottivo, mostravano una motivazione e una forza ancora maggiori di quellainiziale, nonostante le tante difficoltà e il manifestarsi di problematiche alcune delle quali imprevi-ste e destabilizzanti.La dimensione e la pregnanza di questo segmento del processo adottivo è in interazione circolare

1 Galli, Viero, (a cura di), Fallimenti adottivi, prevenzione e riparazione, Roma, 2005.2 Ivi.3 Cfr. Ammanniti, Candelori, Pola, Tambelli, Maternità e gravidanza, Studio delle rappresentazioni materne, Milano, 1995.4 Dell’Antonio, Bambini di colore in affido e in adozione, Milano, 1994.

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con altri segmenti altrettanto se non più importanti, quale innanzitutto l’incontro con il bambino.Le coppie col decreto di idoneità che prenderanno il largo nel mondo, anche là nell’altrove, nontutte vedranno realizzato il loro progetto anche se il fenomeno delle adozioni di minori stranieriha assunto le dimensioni riportate nella relazione di Ernesto Lupo, primo presidente della Corte diCassazione, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011: “Quanto alle adozioni internazionali, si registra un aumento dei decreti d’idoneità rilasciati dai Tri-bunali dei minorenni. Il 2010 è stato inoltre l’anno con il maggior numero di adozioni realizzatoda coppie italiane; è la prima volta infatti che è stato superato il numero di 4.000 ingressi di mino-ri stranieri a scopo adottivo sul territorio nazionale, con un aumento del 4,2% rispetto al 2009. Il primo Paese di provenienza è ancora la Federazione Russa con 707 minori, seguita dalla Colom-bia 592, dall’Ucraina con 426 adozioni, dal Brasile con 318, dall’Etiopia con 274, dal Vietnam con251 e dalla Polonia con 193. Significativo è l’incremento dei minori provenienti dall’America latina (+16,34%) e dall’Asia(+34,71%) malgrado le trasformazioni interne in corso nei Paesi Vietnam, Nepal e Cambogia; 443sono i minori provenienti da Paesi dell’Africa. La regione con il maggior numero di adozioni è la Lombardia, seguita da Lazio, Toscana e Veneto,ma si constata un significativo aumento anche nelle regioni meridionali, ad eccezione della Sicilia”.Sono tali dimensioni quelle che rimandano alla considerazione del fenomeno su più livelli, proiet-tandolo oltre la prospettiva giuridica e psicologica individuale, che si configura come un vero eproprio flusso migratorio, come ben evidenziato da Cecilia Edelstein che riporta come già Weil, nel1984, coniava il termine di “migrazione silenziosa”, poiché quasi del tutto ignorata da demografi,sociologi e antropologi5.Livelli questi di articolazione psicologica, giuridica e sociale con cui la motivazione adottiva indi-viduale si deve confrontare in una società globalizzata e instabile. Confronto tanto più necessarioin quanto “l’Italia è tra i paesi a maggior propensione adottiva al mondo, unica nazione che ha fat-to registrare negli ultimi anni incrementi piuttosto che decrementi”6.

Cenni bibliografici

Oltre alle pubblicazioni citate in nota: Fadiga, L’adozione, Bologna, 1999.Dell’Antonio, Le problematiche psicologiche dell’adozione nazionale ed internazionale, Milano, 1986.

5 Cfr. Edelstein, Adozioni internazionali: identità mista e famiglie multiculturali, in Vadilonga (a cura di), Curare l’adozione.Modelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva, Milano, 2010, 55-78.6 Ivi.

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Le storie di vita di tutti sono uniche, ma quelle dei bambini adottivi, prima dell’adozione, sono sto-rie proibite, ostacolate, disturbate, dolorose, difficili; sono storie traumatiche e incomparabili, chehanno ostacolato il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, specie quelli di natura psicologica.L’istituto dell’adozione legittimante mette assieme differenti generanti e generati, per classe socia-le, origine, stirpe e, alle volte, anche per etnia. Nelle famiglie di “filiazione di sangue” le diversitàdi stirpe si giocano e si risolvono all’interno della diade del registro coniugale; nell’adozione, in-vece, coesistono tre differenti ceppi, che conducono a una implementazione della complessità, pervalori, tradizioni, religione, che richiede, per la molteplicità degli aspetti presenti, la sussistenza del-la qualità dell’interazione triadica. Far divenire appartenente (familiare) l’estraneo è un percorso che richiede audacia. Una sfida piùsaliente della filiazione biologica, una “complessa situazione familiare” ben più ampia della “mara-tona biologica”; una sfida di “triathlon esistenziale”, dove ogni frazione delle performance deltriangolo familiare deve essere bilanciata e ri-significata attraverso una rilettura-rivisitazione del-l’esperienza adottiva, inevitabilmente influenzata dalle dinamiche di coppia e dallo scambio inter-soggettivo rispetto alle tematiche adottive. Appare essenziale, affinché gli operatori abbiano unquadro esplicativo della complessità del fenomeno in oggetto, identificare delle unità di analisi che,se abilmente ricomposte, possono offrire un quadro d’insieme pluridimensionale. La diade coniu-gale (unità di analisi) deve essere osservata direttamente sul campo (contesto), attraverso strumen-ti utili a fornire una scrupolosa e accurata mappatura della transizione dalla genitorialità naturale aquella relazionale-affettiva. Non si intende certamente fornire delle ricette metodologiche, ma sipropone di osservare il peso relazionale delle figure attualmente presenti sulla scena familiare enello spazio simbolico intrapsichico dei soggetti valutati, conferendo rilievo al contesto relaziona-le per comprendere lo sviluppo affettivo dell’adottato. Si propone una duplice osservazione, in grado di contemperare sia le rappresentazioni mentali deigenitori adottivi, relativamente al rapporto con gli altri, sia i comportamenti realmente adottati daisoggetti. In tal modo il sistema degli operatori sociali potrà osservare se i soggetti si impegnano informe di comportamento interpersonale verosimilmente adattive, o probabilmente meno, in rap-porto alle situazioni critiche dei problemi di accudimento dei figli: questo conta, e pertanto questodovrebbe essere accertato. L’abilità basale che un genitore deve necessariamente possedere è la consapevolezza di che cosa,in una data “situazione critica”, deve o non deve divenire un punto focale del suo intervento. In-dagini adeguate relative alla verifica di che cosa un genitore direbbe e/o farebbe di fronte a situa-zioni caratteristiche e tipiche dell’infanzia-adolescenza, consentirebbe di comprendere in modo cir-costanziato e oggettivo gli atteggiamenti, le emozioni, le responsabilità genitoriali, le attività degliadottanti; permetterebbe di comprendere a cosa una persona mentalmente accede quando è chia-mato a rispondere come genitore a situazioni concernenti l’accudimento dei figli. Chiedere, adesempio, “Suo figlio di dodici anni è sorpreso a rubare dei soldi dalla borsa del compagno di ban-co. Lei come genitore che cosa direbbe e/o farebbe in questa situazione?” è certamente più funziona-

L’IDONEITÀ ALL’ADOZIONE

Antonina ScolaroAvvocato del Foro di Torino e presidente AIAF Piemonte

Giuseppe BarilePsicologo forense

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le per comprendere le abilità genitoriali dell’“aspirante genitore”, piuttosto che ipotizzare l’esisten-za di un lutto imprescindibilmente insito in chi promuove un’azione adottiva. Del resto gli operatori del mentale ben sanno come si costruiscono le predizioni che si autoavve-rano, in quanto la mente non funziona secondo i canoni della logica simbolica o della statisticaprobabilistica, ma tende, per un bisogno di chiusura cognitiva, a riscontrare e non a smentire ciòche aveva ipotizzato (need for closure). Pertanto, nella valutazione dell’idoneità-inidoneità, è neces-sario porre luce non solo sulle presunte debolezze, ma anche sulle abilità consapevoli a cui unapersona ricorre davanti alle situazioni presentate, testando in profondità le reazioni che potrebbemanifestare di fronte a eventi critici. È noto che le funzioni parentali adottive non possono essereperfettamente sovrapposte alle capacità genitoriali naturali, in quanto le prime, oltre a presuppor-re l’idoneità a far crescere il minore e a proteggerlo (coincidendo dunque con quella naturale), pre-suppongono un quid plus, ovvero la capacità di colmare e riparare le perdite subite dal minore. Dunque ciò che deve essere sottoposto al vaglio circa l’idoneità da parte del giudice (Tribunale peri Minorenni e Corte d’Appello in sede di reclamo contro l’inidoneità) non è solo una valutazioneche attenga alla stabilità della coppia, al suo stile di vita, al contesto sociale nel quale è inserita, al-la disponibilità economica e abitativa della medesima, al possesso dei requisiti di moralità, ma an-che alle capacità di sostegno del minore, alle doti umane e di sensibilità che le permettono di ac-cogliere il bambino conferendogli una sensazione di affetto che lo aiuti a superare i traumi subiti. Non vi è dubbio che l’articolo 6, n. 2, della l. 184/1983 contenga un forte richiamo all’idoneità af-fettiva quando sancisce che “i coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare,istruire e mantenere i minori che intendono adottare”. Pertanto non pare corretto ritenere che unodei fattori che possono escludere l’idoneità all’adozione sia la questione del “lutto”, che frequente-mente viene strumentalmente valutato. Indagini adeguate conducono linearmente a emanare provvedimenti adeguati e calzanti alla mi-gliore tutela del minore, il quale ha un assoluto diritto a essere inserito in un nucleo familiare fun-zionale a realizzare l’esercizio del diritto a essere amato, curato, istruito nonché all’adempimentodei corrispondenti doveri da parte dei genitori adottivi, doveri non adempiuti dalla propria fami-glia naturale. L’attività che svolgono le Asl e i Servizi socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 29 bis, 4° comma, del-la l. 184/1983 (informativa, preparazione degli aspiranti adottanti, acquisizione di elementi sulla si-tuazione personale, familiare eccetera), rappresenta indubbiamente la realizzazione di quella inter-disciplinarietà necessaria per una corretta e completa osservazione della relazione di coppia e del-la sua reale disponibilità ad accogliere un figlio; delle sue risorse a fronteggiare le eventuali diffi-coltà di inserimento; della flessibilità indispensabile per accettare la storia preadottiva del bambi-no, le sue doppie radici; della capacità di narrargli, una volta accolto, questo suo passato. Si trattaindubbiamente di un compito molto delicato il cui assolvimento richiede una specifica e ottima for-mazione degli operatori medesimi.Accade spesso che le indagini vengano snaturate dal pesante condizionamento teorico-ideologicomesso in atto dal sistema valutativo degli operatori che, frequentemente, producono apprezzamen-ti non attinenti ai dati di realtà che a loro volta costituiscono fondamento della valutazione di nonidoneità espressa dal Tribunale per i Minorenni. In tal caso il “triathlon esistenziale” diviene un“inumano decathlon”, dove gli aspiranti genitori a priori perdono la sfida. Ritenere che le persone abbiano un’intrinseca mancanza (il lutto), assegnando loro a fortiori unhandicap, non pare utile a fare ottenere la migliore tutela per il minore, che si realizza nel dirittoad avere una famiglia idonea a rispondere ai suoi bisogni. Le eccessive aspettative nutrite daglioperatori nei confronti dei genitori adottivi pare precludano loro la possibilità di svolgere un im-portante compito evolutivo: il riconoscere le differenze altrui, favorendone la somiglianza. Eccodunque il primum movens pregiudizievole, che frequentemente conduce al fallimento dell’azioneadottiva. Il compito del sistema degli operatori sociali è certamente difficile e non consiste solo nelrendere le persone consapevoli dei propri limiti, ma nell’aiutarli a rafforzare le proprie risorse. Illoro compito dovrebbe essere quello di “facilitatori” della famiglia adottiva nel consentirgli di ac-cedere a una normalità. Non è nella mancata fertilità o nella perdita di un figlio (il lutto) che de-

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ve essere trovata la progettualità adottiva, bensì nell’elaborazione consapevole e nella transizionedalla genitorialità naturale alla genitorialità relazionale-affettiva. È notorio infatti che ricorrono all’istituto dell’adozione piena anche le famiglie che infertili non so-no e che hanno già dei figli. Si deve forse ritenere che una coppia genitoriale, che ha solo figli ma-schi e desidera avere una figlia femmina, abbia un lutto non mentalizzato che promuove l’azioneadottiva e, pertanto, che la loro richiesta non sia legittima? E perché, di questo passo, non consi-derare la loro inidoneità a cogliere i bisogni dei propri figli? E ancora, la madre naturale, è forsematrigna di fatto? Forse sarebbe più vantaggioso abbandonare l’arcaica e primigenia idea di unadoppia mancanza, per focalizzare l’attenzione sull’unica ferita da sanare: quella del minore privodi un idoneo ambiente familiare, che pregiudica in modo grave e non transeunte il suo equilibra-to sviluppo psicofisico.È ampia la casistica dell’inidoneità attribuita in maniera indiscriminata, astratta e enfatica al “lutto”per l’incapacità procreativa della coppia. Si ritiene pertanto utile considerare il fenomeno dell’apop-tosi (termine greco che significa “caduta”), oggetto di una scoperta che ha rivoluzionato la biolo-gia e che riteniamo dovrebbe cambiare, in parte, il nostro modo di vedere la vita e la morte. L’apop-tosi consiste in una “morte cellulare programmata”; una morte con caratteristiche diverse da quel-la della necrosi e che va oltre a ciò che Freud ipotizzava come l’esistenza della pulsione di mor-te1. In sintesi il significato biologico dell’apoptosi, si discosta dalla mera cupio dissolvi freudiana. Ilnostro corpo fisico e psichico, prima di bambini e poi di adulti, è simile a un fiume che si rinno-va incessantemente (ontogenesi). Dunque, se un apparato come quello riproduttivo viene colpito,non necessariamente la funzione generativa si compromette definitivamente e durevolmente, mapuò essere vicariata dall’apparato psichico. In questo caso si parla di simbolopoiesi (capacità di ge-nerare). La creatività sessuale umana, in virtù della facoltà simboliche che sono concesse alla specie uma-na dalla neocorteccia, va oltre la mera riproduzione di tutti gli esseri viventi e si estende agli am-biti psichici, divenendo simbolopoiesi di coppia, con la creazione di un nuovo universo semanti-co peculiare di quella coppia. L’organo riproduttivo-generativo per eccellenza non è quindi rintrac-ciabile nelle gonadi, bensì nella mente umana. Ed è proprio tale apparato che deve essere atten-tamente approfondito dagli operatori psicologici, attraverso una metodologia probatoria solida, alfine di una adeguata valutazione. Accade sovente che la coppia che ha dichiarato la propria disponibilità all’adozione non si ricono-sca nelle relazioni trasmesse dai Servizi al Tribunale, nelle quali viene rappresentata l’inidoneità intermini di mancata elaborazione del lutto da genitorialità naturale o di una non reale comprensio-ne della peculiarità dell’esperienza adottiva e, in particolare, del trauma derivante al bambino dal-l’abbandono subìto.All’invito delle relazioni fa seguito la convocazione della coppia avanti a un giudice onorario chetalvolta, anziché limitarsi a una precisa verbalizzazione delle domande rivolte e delle risposte rice-vute, redige un verbale di osservazione: non occorre spendere molti argomenti per stigmatizzarela violazione dei fondamentali diritti di difesa e del principio del contraddittorio.Molte coppie ottengono la dichiarazione di idoneità a seguito del reclamo avanti alla Corte d’Ap-pello, che dispone un approfondimento istruttorio mediante consulenza tecnica dalla quale emer-gono elementi di valutazione che consentono al giudice di secondo grado di ritenere non giustifi-cati i profili di inidoneità evidenziati nel decreto del Tribunale che traevano il loro fondamento nel-la relazione dei Servizi o, addirittura, esclusivamente da valutazioni maturate all’interno del Colle-gio giudicante anche ove la relazione dei Servizi aveva concluso per l’idoneità della coppia.Dall’esperienza professionale maturata in questo ambito possiamo affermare che ciò che appare si-gnificativo è valutare il più oggettivamente possibile:

a) la “tenuta” della struttura di personalità (capacità di controllo e tolleranza allo stress; modula-

1 Freud, Al di là del principio del piacere, in Opere, Torino, 1966-1978 (ed. or. 1920).

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zione dell’affettività; percezione di sé e delle relazioni interpersonali; triade cognitiva, cioè idea-zione, mediazione e processamento dell’informazione);

b) la solidità della relazione coniugale;

c) le modalità con le quali la coppia genitoriale decide di intervenire, in quanto consapevole, difronte a eventi critici legati a situazioni di accudimento dei figli e l’efficacia con le quali essa siacapace di parlare di queste situazioni con la prole;

d) la funzionalità della rete sociale della quale può disporre la coppia adottiva.

Questi i fatti permanenti che le cognizioni tecniche devono dimostrare adeguatamente, ben sapen-do che le emozioni sono considerate necessarie per guidare il ragionamento e il pensiero, e chela capacità degli operatori di affrontare una determinata situazione è influenzata dal modo in cuiessi utilizzano i loro vissuti emotivi. Se tale capacità viene meno, gli operatori hanno difficoltà adistricarsi dall’“impasto” emotivo. Se dunque le emozioni del sistema degli operatori non sono in-tegrate possono distorcere le loro capacità di ragionamento e di percezione su ciò che è realmen-te accaduto; le emozioni, interferendo con il lavoro e con la loro necessità di contenere l’ansia,possono portare all’evitamento della comprensione e all’ipercontrollo delle famiglie osservate. Ta-le eventualità non pare del tutto infrequente e, di certo, in essa non si rintraccia lo scopo fonda-mentale dell’istituto dell’adozione.Nel caso poi il lutto vi sia realmente, il sistema degli operatori sociali, potrebbe forse provare a so-stenere la famiglia adottante, ben sapendo gli psicologi che anche gravi balbuzienti sono divenutinella storia grandi oratori (teoria dell’inferiorità d’organo).In merito alle condizioni di salute dei coniugi, non si comprende come l’infermità, o la non per-fetta efficienza fisica di uno dei componenti il nucleo familiare, possa pregiudicare il funzionamen-to parentale. Riteniamo che una menomazione a carico del futuro genitore adottivo (malattia, neo-plastica) possono rappresentare un ostacolo all’idoneità solo nel caso che esiti in un concreto pe-ricolo per lo sviluppo della personalità del minore. Il giudice non deve fermarsi al solo dato della“malattia”, egli dovrà altresì valutare e tenere conto se la malattia “comporti alcuna alterazione delpotenziale affettivo del soggetto, e della sua capacità di affrontare le responsabilità della vita e dicomprendere le sofferenze altrui” in quanto solo il venire meno di tali elementi può essere consi-derato elemento ostativo alla dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale2. Come sempre,ciò che deve essere centrale sono solo gli interessi dell’adottando, che ha diritto a essere inseritoin un ambiente familiare stabile, sicuro ed efficiente. Ovviamente alcuna generalizzazione pare uti-le, se non quella summenzionata. Appare imperativo valutare singolarmente ogni singolo caso, os-servando se le menomazioni impediscano all’adottante di adempiere in modo sufficiente alle fun-zioni parentali, ai compiti assistenziali ed educativi del minore. Si tratta, in definitiva, di determi-nare se la menomazione comporti conseguenze sul registro dell’equilibrio emotivo del minore.Affinché l’affidamento adottivo e quello preadottivo possano avvenire nel migliore modo possibi-le a tutela del supremo interesse del minore, è necessario che il provvedimento che dichiara l’ido-neità dei coniugi all’adozione di un minore straniero debba contenere l’esplicitazione dei requisitidi idoneità riscontrati nella coppia.Al riguardo è di particolare interesse la pronuncia della Cassazione, Sezioni unite del 1° giugno2010, n. 13332, non solo perché la Corte è stata chiamata a pronunciarsi a Sezioni unite a normadell’art. 363 c.p.c., comma 2, in ordine alla richiesta formulata dal Procuratore generale presso laCorte di Cassazione ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1, ma soprattutto, per quanto interessa nel-la presente trattazione, poiché l’enunciazione del principio di diritto è invocato con riferimento aldecreto del Tribunale per i Minorenni di Catania in tema di accertamento della sussistenza dei re-quisiti per l’adozione internazionale a norma dell’art. 30 della legge 184/1983.Il Procuratore generale ha osservato che la natura e il contenuto della dichiarazione di idoneità al-l’adozione internazionale sono rimesse a “un intervento del Giudice che non è limitato ad una me-

2 Corte d’Appello di Milano 1 aprile 2009, in Dir. famiglia, 4, 1772.

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ra verifica circa la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, ma diretto a formulare un apprez-zamento complesso, che investa anche la possibilità degli aspiranti adottanti di tenere un certo tipodi comportamento e che conduca all’adozione del decreto di idoneità solo con riguardo a personerealmente in grado di affrontare le difficoltà connesse all’adozione internazionale. In tale ottica sicollocano anche le indicazioni che a norma della legge n. 184/1983 art. 30 c. 2 il decreto di ido-neità deve contenere per favorire il migliore incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore daadottare”.Per tale ragione non è ammissibile che il decreto di idoneità che era stato emesso dal Tribunaleper i Minorenni di Catania recepisca indicazioni relative all’etnia degli adottandi in quanto si por-rebbe in contrasto con i princìpi del diritto interno e internazionale, pur operando la Cassazioneuna distinzione tra quella che può essere la volontà della coppia e il provvedimento del giudice:in buona sostanza se una coppia sente dei limiti all’adozione e tali limiti restano nella propria sfe-ra evolutiva, non acquistano nessun rilievo, ma se tali limiti vengono esternati, il giudice non puònon stigmatizzare la limitata capacità di accoglienza, che invece deve essere ben presente in unacoppia che intraprende un percorso finalizzato ad accogliere un minore straniero.La Corte mette altresì in evidenza che l’art. 29 dispone che l’adozione di minori stranieri ha luogoconformemente ai princìpi e secondo le direttive della Convenzione de L’Aja ispirata alla realizza-zione della collaborazione tra Stati affinché le procedure per l’adozione internazionale siano attua-te nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciu-ti dal diritto internazionale: l’adozione si è affermata come istituto di protezione del minore in sta-to di abbandono inteso a garantire uno sviluppo armonioso della sua personalità in una famigliasostitutiva di quella biologica, per cui tale interesse del minore è sovraordinato rispetto a quelliastrattamente confliggenti con esso, ivi compresi quelli fondati sui desideri degli adottanti, recessi-vi rispetto al primo.“La dichiarazione di idoneità dei coniugi aspiranti all’adozione costituisce una valutazione prelimi-nare e generica non correlata ad un minore già individuato, il cui interesse dovrà essere in primoluogo valutato dall’autorità straniera che provvede in ordine all’adozione, tenendo conto delle ca-ratteristiche della famiglia di accoglienza e giudicando se questa sia idonea a soddisfare in concre-to le specifiche esigenze del minore: è dunque necessario che le caratteristiche della coppia devonoessere esplicitate nel provvedimento perché possano essere tenute presenti ai fini dell’emissione delprovvedimento di adozione o di affidamento preadottivo”.Già la Corte Costituzionale con la sentenza del 5 febbraio 1998, n. 10 aveva ritenuto che “la dichia-razione di idoneità dei coniugi all’adozione (internazionale) costituisce solo una valutazione preli-minare e generica non correlata ad un minore già individuato, il cui interesse dovrà essere in pri-mo luogo valutato dall’autorità straniera che provvede in ordine all’adozione tenendo conto delle ca-ratteristiche della famiglia di accoglienza e giudicando se questa è idonea a soddisfare in concretole specifiche esigenze del fanciullo, le sole che giustificano con l’adozione il definitivo inserimentonella sua futura famiglia. Perché sia tutelato in modo efficace il preminente interesse del minore, lecaratteristiche della famiglia adottante, rilevanti per il giudizio di adozione, devono essere rese noteperché possano essere tenute presenti dall’autorità straniera che emana il provvedimento di adozio-ne o di affidamento preadottivo.Il provvedimento preliminare con il quale il Tribunale per i Minorenni accerta l’idoneità dei coniu-gi all’adozione, può dunque enunciare, nell’interesse del minore ogni elemento utile perché l’idonei-tà sia poi apprezzata in relazione allo specifico minore da adottare... Questa interpretazione, con-forme alla funzione dell’istituto dell’adozione di minori e rispondente ai princìpi costituzionali in-vocati dal Giudice rimettente, non è esclusa dall’art. 30 della L. 184/1983 che, nel disciplinare l’ac-certamento dell’idoneità dei coniugi da adottare, non impedisce al provvedimento che la dichiara diprecisare e rendere esplicite le caratteristiche della famiglia di accoglienza e, correlativamente, quel-le del minore o dei minori dei quali i coniugi aspiranti all’adozione possono prendersi cura”.Si è già accennato alla necessaria interdisciplinarietà che deve essere messa in atto al fine di valu-tare l’idoneità degli aspiranti genitori adottivi. La funzione difensiva, in senso tecnico, delle coppieche presentano domanda dichiarando la propria disponibilità all’adozione di un minore, assume

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tuttavia rilievo o in una fase di informativa, precedente alla presentazione stessa della domanda, onell’assistenza ai coniugi nella fase di reclamo del provvedimento emanato.Di fatto gli elementi tecnico-giuridici ai quali l’avvocato può attingere nella predisposizione del re-clamo attengono alla possibilità di rilevare, come innanzi accennato, la nullità di un atto del pro-cedimento, ovvero ad esempio del cosiddetto verbale di osservazione del giudice delegato all’au-dizione della coppia, e comunque di richiedere che attraverso la consulenza tecnica d’ufficio ven-ga rivalutata l’idoneità della coppia, ma anche e soprattutto i profili che a norma dell’art. 29 bis l.184/1983 i Servizi hanno ritenuto non sussistenti.L’esperienza maturata porta a concludere che, atteso l’esito positivo di molti reclami, è auspicabi-le che i coniugi, nella fase di indagine dei Servizi, possano essere assistiti da propri consulenti diparte; ciò consentirebbe di ridurre quel rischio di valutazioni fondate su ideologie che, nel difettodi un pieno espletamento del diritto di difesa delle persone in senso lato e del principio del con-traddittorio, si autoalimentano trascurando di cogliere significativi dati di realtà. Ciò non sarebbecerto a detrimento del doveroso rigore dell’indagine che deve essere espletata, atteso che il supre-mo diritto che deve essere tenuto in considerazione è esclusivamente quello del minore.

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Nel film “Arizona Junior” dei fratelli Joel ed Ethan Coen2 una giovane coppia innamorata e coniu-gata desidera fortemente un figlio. Le parole della moglie al marito sono: “siamo troppo felici e que-sto amore, questa bellezza dobbiamo condividerla con un bambino. Lui (il bambino immaginario,n.d.s.) potrebbe rimproverarci per ogni giorno d’amore che abbiamo fatto passare senza averlo con-diviso con lui”.Dolorosa è la notizia e la verifica della sterilità di lei. Segue la decisione di adottare un bambino. Al colloquio con gli impiegati del Servizio amministrativo americano per le adozioni, il marito va-lorizza il criterio della complementarietà della coppia – che effettivamente ha gioco anche nelle va-lutazioni dei nazionali Tribunali per i Minorenni – facendo notare che se pure lui ha dei preceden-ti penali, è anche vero che, in compensazione, la moglie serve da tanti anni lo Stato come poliziot-ta (lui aveva commesso vari furti in grandi magazzini, ma sempre con pistole scariche: il personag-gio, interpretato dall’attore Nicolas Cage è, infatti, quello di un tenero innocuo sognatore che viveuna seconda chance con il felice matrimonio con la poliziotta conosciuta in carcere, della quale èinnamoratissimo).L’idoneità all’adozione viene loro negata. Poiché la biologia e i pregiudizi sbarrano la strada al desiderio della coppia di adottare, nello svi-luppo della storia vediamo lei diventare depressa, dimettersi da poliziotto e perdere interesse almondo, con grande sofferenza condivisa dalla coppia. Finché al telegiornale i due sentono che unadonna americana, la signora Florence Arizona, dopo una cura per la fertilità, ha partorito cinquegemelli. La protagonista, interpretata dall’attrice Holly Hunter, la quale pure nel suo sangue portava il valo-re della legalità, decide in quel momento di rubare uno dei cinque bimbi; più forte del senso del-la legge è il suo bisogno di diventare madre. La vediamo comporre il conflitto tra le due pulsionia suo modo: lei dice che, comunque, la mamma di cinque gemelli non ce la farebbe ad allevarlibene tutti quanti e inoltre, restandole comunque quattro bambini, quella non perderebbe gran che,mentre viceversa lei acquisterebbe un figlio. Insomma un’ideologia di sostanziale giustizia distribu-tiva. Così convince il marito a portar via dall’abitazione della famiglia Arizona uno dei piccoli be-bè. L’acquisizione del bambino (in qualche modo un “abbinamento fai da te”) è facile e veloce.Complicata assai si rivela invece l’acquisizione delle competenze genitoriali. Succede intanto che le persone vicine alla coppia scoprono che quel bellissimo bambino non erastato né generato né adottato dagli amici, ma sottratto alla sua famiglia legittima e ai quattro fratel-

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.2 Titolo originale “Raising Arizona”, uscito nel 1987 e successivamente inserito dall’American Film Institute (AFI) al trentune-simo posto nella classifica delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi.

L’ADOZIONE: EFFICACIA E CRITICITÀ DELLA TUTELA DEL BAMBINO IN STATO DI ABBANDONO1

Sull’idoneità all’adozione internazionale: l’accoglienza del minore e limiti posti dalla coppia o dal decreto d’idoneità. Elementi concreti, sentimenti genuini e barriere ideologiche ed emotive

Emma SeminaraGiudice del Tribunale per i Minorenni di Catania

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lini gemelli. Vediamo che in maniera rocambolesca il bambino passa di mano in mano: dagli ab-bracci della coppia, che se n’era impossessata per tenerlo come figlio, alle grinfie di altri personag-gi della storia che se ne impossessano per denaro, con l’intenzione di restituirlo ai genitori legitti-mi (il caso degli ex “colleghi” del protagonista, che intendono approfittare del bambino per resti-tuirlo ai veri genitori e ottenere così il compenso promesso) oppure con l’intenzione di metterlosul “mercato” per guadagnare ancor più dei ventimila dollari della promessa “taglia” (un malviven-te guerrafondaio, che si definisce cacciatore di fuorilegge e fuorilegge anche lui e che fa saltarecon le bombe a mano ogni cosa tenera sul suo passaggio, fiori, coniglietti eccetera, in sostanza unalter ego del protagonista impersonato da Nicolas Cage). C’è persino chi ha mire sul bambino perregalarlo alla moglie che ha altri figli, ma già pre-adolescenti e vuole “qualcosa da coccolare” (l’excapo del protagonista, stimato come “persona perbene”)3.Il punto interessante della trama del film – che estremizza le situazioni, in maniera leggera e sfa-villante, essendo una commedia – è il percorso interiore della co-protagonista (attrice Holly Hun-ter), la quale, privata del procurato figlio e sconvolta dalla preoccupazione per la vita del minore,si mette per la prima volta dalla parte del bambino e si sente uguale ai nuovi rapitori. Seppure conmotivazioni diverse, anche quelli erano adulti che, come lei, pensavano soltanto alle proprie esi-genze (lei di diventare una madre, quelli di fare soldi) anziché a quelle del bambino. Per la primavolta lei pensa al fatto che il piccolo è stato separato dai suoi fratellini e dai suoi genitori, per laprima volta pensa alla storia del bambino e s’immedesima in lui.Nel film vediamo la donna che, per proteggere il bimbo togliendolo dalle mani dei malviventi, ri-veste nuovamente la divisa di poliziotto (altro simbolo) e rischia di perdere il marito sia come per-sona fisica (perché Nicholas Cage ingaggia una cruenta lotta con il fuorilegge cacciatore e assassi-no di “cose tenere”) sia come oggetto di sentimento (perché a un certo punto le sembra che la vi-ta non abbia più senso e che l’egoismo e la mancanza di concretezza sua, più l’egoismo e la man-canza di concretezza del marito, possano portare solo guai, quindi sarebbe meglio disinvestire, la-sciarsi). Alla fine la donna riesce a recuperare il bimbo, ma la decisione maturata è ormai quelladi riportare il piccolo al suo genitore – Arizona Senior – cui l’aveva sottratto, cioè riportarlo allasua storia. A quel punto del percorso le viene naturale rinunciare a un proprio bisogno egoisticoper amore di quel bambino nella cui vita si è immedesimata. Marito e moglie rimarranno proba-bilmente insieme e s’intravede nel finale del film la possibilità di ricorrere a cure per la fertilità odi ri-tentare la strada legale dell’adozione. I sogni di lui che chiudono il film sono pieni di visionidolci e vitali, d’amore gratuito (il marito immagina di far recapitare al bimbo rapito e poi restitui-to, Nathan Junior – frattanto nell’immaginazione divenuto adolescente e giocatore di football – deidoni di Natale, con un biglietto di accompagnamento che fa cenno a una “gentile coppia che desi-dera restare anonima”) e di continuità: sono immagini di figli, di nipoti e scene di calore familia-re, pur con la chiusa ironica finale della voce fuori campo che fa notare che forse genitori saggi,forti e capaci, come pure figli felici e adorati, si trovano solo a Disneyland.

Ho raccontato la trama di questo film poiché ho ritenuto interessanti per il nostro tema i simboli egli spunti di riflessione che contiene. Certo, qui oggi stiamo parlando di percorsi di adozione en-tro binari di legalità e certamente l’esito delle vicende non è e non dev’essere quello della restitu-

3 Seguono scene esilaranti in cui i nuovi rapitori – ex galeotti che vorrebbero portare il piccolo alla famiglia d’origine per ot-tenere il compenso – rapinano prima un supermercato per sottrarre pannolini, pappette e palloncini, portano con sé il piccolopersino in una rapina in banca, ma poi si distraggono, poggiano il “fagottino” dentro al seggiolino e si rimettono alla guida la-sciando il bimbo nel suo seggiolino sulla strada; ogni volta che si fermano con la macchina per una sosta, dimenticano di rimet-tere dentro il piccolo e tornano indietro sgommando, ogni volta felici di ritrovarlo ancora sul selciato. Potrebbe essere una me-tafora, estremizzata brillantemente dalla commedia, dell’incapacità, che spesso riscontriamo nelle procedure di adottabilità, di al-cuni adulti di “tenere nella mente” il bambino; spesso si tratta di persone che, come i personaggi del film, in passato erano sta-ti a loro volta bambini dimenticati per strada dai genitori e per trascuratezza e abbandono non hanno completato il personalesviluppo affettivo, sì da dimenticare a loro volta i bambini che noi tuteliamo “per strada” o da lasciarli da soli in una provviso-ria casa. Dopo il carcere e dopo l’evasione, i personaggi del film, ex colleghi di Nicolas Cage, per un momento si lasciano in-cantare dal sorriso del piccolo, e sono genuinamente preoccupati per il bambino; pur tuttavia non desistono dalla volontà diusarlo per far soldi.

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zione dei bambini ai loro genitori biologici dai quali sono stati motivatamente allontanati da partedelle Istituzioni allo scopo di proteggerli e offrire loro, appunto, una seconda chance, avendo ac-certato che la prima, quella di nascita, era incompatibile con una sana e armonica crescita. Tuttavia, cambiate le cose da cambiare, il film evidenzia alcune dinamiche emotive assolutamenteaderenti alla realtà che precede e a volte accompagna l’adozione. In particolare, la scelta di avere un figlio nasce da un sogno: la coppia immagina, con le tinte piùdolci, un figlio che ancora non è. Se poi il figlio naturale non arriva e si decide di adottare, c’è inmezzo un dolore grande da attraversare. Non è facile accettare una realtà così diversa da quella sognata (la continuità biologica), su un pre-supposto (la fertilità) dato per scontato e invece mancante. Accanto al dolore, si acuisce il bisognodi avere un figlio, in superamento del dolore. E il bisogno cresce man mano che il tempo passa e non arriva la notizia dell’“abbinamento”; ledue facce della medaglia della mancanza, il dolore e il bisogno, sono grandi ugualmente e pos-sono occupare l’anima, svuotare di senso tutto il resto della vita, fino a prendere il posto dell’in-teresse al lavoro, che pure prima c’era, e finanche dell’interesse per il partner. Tutti questi movi-menti, cambiamenti, onde mi sembra siano resi bene dal film pur con le tinte forti e il tono scan-zonato o esaltato. La concentrazione di uno dei componenti della coppia, spesso la donna, o di entrambi, può diven-tare totale sul pensiero della mancanza: “Mi/ci manca un figlio e lo voglio. Tutto il resto che ho/ab-biamo, non importa più. Devo/dobbiamo avere un figlio ad ogni costo”, un po’ come la protagoni-sta del film. Trattandosi di finzione, la clausola “a ogni costo” nella trama della commedia si traduce nell’azio-ne del rapimento del bambino, ma qui interessa non tanto l’agito (che in quasi tutti i casi di cui cioccupiamo resta nella sfera della legalità) quanto la posizione mentale di chi arriva a pensare chevale la pena di vivere solamente se si ha un figlio. La scala di valori si disordina e il cambiamento di posto delle priorità può portare a una fratturainteriore per il conflitto tra i valori in cui si credeva di credere e che vengono posposti; può por-tare a perdere di vista l’altro, a smettere di ascoltarlo e amarlo, a non dare più valore al piaceredella vita di coppia che prima era così importante. Sono tutti sentimenti genuini, magari condizionati a un modello sociale di famiglia numerosa e fe-lice, ma senz’altro umani e genuini. Non si vuole assolutamente esprimere un giudizio di disvalo-re, non si vuole giudicare una donna e un uomo. Il problema però è che nel caso dell’adozione c’è un bambino già nato da considerare e per in-contrarlo davvero, e per non fargli male, la coppia dovrebbe fare un percorso di trasformazione diquel bisogno in desiderio e di consapevolezza del divenire genitori di una persona ha altri bisognida realizzare e sentimenti da rispettare. Chi pensa e dichiara “voglio un figlio ad ogni costo, ho di-ritto alla genitorialità” dovrebbe essere messo a conoscenza di alcuni dati.

Chi sono oggi i minori adottabili

In minima parte sono adottabili i neonati lasciati in ospedale da madri che si sono avvalse del di-ritto di non essere nominate4. In numero lievemente maggiore i bambini lasciati in istituti o comu-nità su delega dei genitori che s’interessano minimamente di loro, visitandoli di tanto in tanto.È comunque sempre una percentuale bassa rispetto al totale dei minori adottabili. E in questa categoria vi è un numero significativo di minori sopra i nove anni che non voglionoessere adottati, preferendo semmai una famiglia affidataria in alternativa alla comunità. Loro stessi

4 Nel nostro distretto, inclusivo delle province di Catania, Siracusa e Ragusa e di alcuni Comuni del nisseno e del messinese,per un totale di 94 Comuni, ogni anno si verificano mediamente otto-dieci (negli ultimi dieci anni solo un anno si è verificato ilpicco di dodici) abbandoni di bimbi neonati in ospedale, i quali appena dimissibili vengono inseriti in una famiglia adottiva (sele condizioni di salute sono buone, l’abbinamento con la famiglia adottiva si realizza entro le prime due-tre settimane di vita).

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prospettano nella sostanza il loro diritto di mantenere l’originaria identità, insieme, purtroppo, auna diffidenza verso una nuova accoglienza (adozionale) sentita come irreversibile e minacciosaper gli attuali legami maturati anche in istituto. La maggior parte di bambini e ragazzini oggi dichiarati adottabili ha subìto gravi trascuratezze omaltrattamenti o abusi negli anni di permanenza in famiglia. L’età media nell’adozione nazionale,perlomeno con riferimento ai minori abbinati nel nostro distretto (52 nell’anno 2010), è di anni sei. Secondo i dati riferiti alle adozioni internazionali, raccolti dalla Commissione per le Adozioni In-ternazionali (CAI)5 ed elaborati in relazione all’anno 2009: dei “bambini entrati a scopo adottivo inItalia nei primi sei mesi del 2009, il 42,7% ha un’età media compresa tra 5 e 9 anni; il 36,8% fra 1e 4 anni, il 12,8% pari o superiore a 10 anni e l’8,6% sotto l’anno di età. Le età medie più alte deiminori adottati si registrano in Lituania (anni 8,36), Ungheria (8,26), Ucraina (8,18), Cile (8,07) eBrasile (7,95)...” Rispetto agli ingressi successivi e ai dati raccolti sino alla fine del 2009 (al momento risultano gliultimi dati elaborati; quelli relativi al 2010 sono in fase di elaborazione), i numeri risultano in rial-zo: solamente “circa un terzo dei bambini adottati ha un’età compresa tra 1 e 4 anni, il 45% tra 5e 9 anni, il 13,3% pari o superiore a 10 anni, mentre il 7,2% è sotto l’anno di età”6. La coppia deve essere consapevole che si tratta di ragazzini che hanno sviluppato dei legami coni genitori, i quali, sia pure maltrattanti, sono stati comunque le prime figure necessarie per la lorosopravvivenza e le prime figure da loro amate. Quindi si è costruito un attaccamento anche se cer-tamente insicuro, cioè evitante e ambivalente, o disorganizzato, come esito dei traumi subiti. Tuttiquesti minori, nei loro cinque, otto, dieci, dodici anni di vita non hanno mai sperimentato relazio-ni serene e rispettose nella famiglia d’origine e sono stati deprivati del calore di rapporti persona-lizzati all’interno degli Istituti e quindi, probabilmente, non sono pronti a ricevere, accettare, ap-prezzare le cure amorevoli della coppia e le respingono o le evitano, con grande frustrazione deiconiugi. Purtroppo in tanti casi l’amore non basta. Può essere essenziale l’aiuto di uno specialista che prenda in carico il ragazzino e i nuovi genito-ri. Ci vuole tempo perché il bambino sia aiutato dalla famiglia adottiva a fidarsi al punto da poterraccontare il passato senza perderlo e senza sentirsi costretto a cancellarlo. Ci vuole tempo per lafamiglia per conoscere il bambino e il suo mondo interiore, e prima ancora i suoi gusti, le sue abi-tudini, i suoi modi di esprimere emozioni. È accaduto in una nostra procedura che un ragazzo ucraino chiamasse i genitori “i miei sequestra-tori”. Eppure, si badi bene, era una coppia assolutamente idonea, affettiva e motivata, in astratto,ma nel caso di quel concreto abbinamento la fretta di tutti, innescata anche dal bisogno della cop-pia di sperimentarsi nella genitorialità, aveva portato a trascurare, anche nel Paese d’origine e suc-cessivamente dall’Ente autorizzato, la reale disponibilità del ragazzo a diventare figlio di altre per-sone in altro Paese. Ed era mancato un percorso condiviso dalla coppia insieme al minore nel Pae-se d’origine del minore. Tutto era stato troppo veloce e i coniugi avevano sì adottato il minore, mail minore non aveva adottato loro, tanto da percepire l’adozione come un sequestro. Analogamen-te ai fatti raccontati dal film. Cambiate le cose da cambiare, il ragazzino reale, fuori dal film e inudienza presso il Tribunale per i Minorenni, ha detto: “Sono stato preso e portato via. Nessuno mi

5 Commissione per le Adozioni Internazionali-Presidenza del Consiglio dei Ministri (a cura di), Comunicare Ascoltare Informa-re, anno 6/2009, n. 2, 4 (redatto in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze).6 Commissione per le Adozioni Internazionali-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dati e prospettive nelle adozioni interna-zionali. Rapporto sui fascicoli dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009, febbraio 2010, 28 (redatto in collaborazione con l’Istituto de-gli Innocenti di Firenze). Si consideri ancora che l’età media dei bambini adottabili con l’adozione internazionale è aumentata anche in collegamento conil positivo dato delle innovazioni legislative e politiche dei Paesi d’origine che hanno incentivato l’adozione nazionale da partedi famiglie locali. Ad esempio l’India, con legge del 2006, ha abolito il vincolo religioso così da estendere la possibilità di adot-tare anche alle coppie non indù. Si evidenzia che alcuni Paesi consentono di adottare a coppie straniere solamente minori di etàsuperiore ai cinque anni. Si tenga inoltre presente che i bambini di età tra uno e quattro anni (costituenti solo un terzo degli abbinamenti) in moltissimicasi vengono accolti insieme ai loro fratelli di otto, dieci anni o più.

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ha chiesto se volevo partire”. Il suo “viaggio” ha portato un cambiamento di destino cui il ragazzonon era stato preparato. In altri incontri di studio e convegni abbiamo riflettuto sul bisogno di tempo per i coniugi. L’abbi-namento e i successivi provvedimenti li fanno diventare genitori di quel bambino, in forza di leg-ge, ma occorre tempo per diventare genitori nello sguardo e nel respiro di quel minore che, persentirsi loro figlio, ha bisogno di percepire che non solo la sua persona fisica ha ora un posto nel-la casa dei nuovi genitori, ma che nella mente dei coniugi che sono andati a prenderlo viene ac-colto tutto il suo mondo interiore, tutto il suo passato sino al momento di conoscerli. È opportuno che la coppia indugi, senza la fretta di tornare subito in Italia con il bambino a fian-co, fermandosi per un po’ di tempo nell’ambiente in cui il minore da adottare ha vissuto i primiotto, nove – a volte persino dodici – anni della sua vita e che per l’avvenuto abbinamento deve la-sciare. La permanenza in quel Paese per alcuni mesi può garantire il successo di un’adozione chepassa necessariamente per un percorso di accoglienza reciproca. E nel rientro a casa, nella gestione delle giornate, bisogna pure tenere conto di elementi concreti:ad esempio il tempo libero che si può dedicare al nuovo figlio, non solamente per accompagnar-lo allo sport e al dopo scuola, ma per parlare, ascoltarlo, giocare, o anche semplicemente passeg-giare e trascorrere insieme un tempo insaturo in cui potrebbe venir fuori un ricordo, un pensieroo formarsi un rapporto. E se i minori adottati sono più fratelli, questo tempo dovrebbe essere maggiore. L’elemento con-creto, dato ad esempio dal lavoro a tempo pieno di entrambi i genitori, può contrastare con il sen-timento genuino dell’accoglienza per solidarietà di quanti più minori. Ben venga allora la riflessiva autoesplorazione delle risorse della coppia che si traduca in limiti neldecreto d’idoneità attinenti al numero di minori da adottare (“Ce la possiamo fare intanto con uno;poi si vedrà”), perché il tempo libero è poco e le cure da apprestare sono tante e perché vi è laconsapevolezza che la gestione ulteriore delle dinamiche relazionali tra fratelli può essere un pe-so difficilmente sostenibile. Quanto alle barriere ideologiche o a quelle emotive, il lavoro dei Servizi che formano le coppie èindispensabile. A volte c’è una chiusura collegata all’ignoranza del problema, oppure a resistenze inconsce cheemergono nei colloqui. Come nel caso delle coppie che mostrano disponibilità all’accoglienza diminori che abbiano subìto abusi sessuali o gravi maltrattamenti fisici, non avendo idea delle con-seguenze sulla psiche e sulla capacità relazionale del minore abusato; oppure che dicono sì all’ado-zione di minori con handicap, ma contano su una irrealistica reversibilità del ritardo. O il caso del-le tante coppie che dicono no all’adozione di minori di pelle non bianca, motivando con sinceritàche la palese differenza somatica tra loro e il figlio porterebbe problemi d’integrazione al minore.Magari in base al colloquio o alla relazione sociale emerge viceversa che il Comune in cui vivonoè popolato da tantissimi extracomunitari e allora il problema reale non è la differenza, ma la lororesistenza ad accettare il diverso da sé e anche la mancata procreazione, perché in cuor loro desi-derano tantissimo un figlio che assomigli loro, mentre la differenza tra loro e un bambino africanoè già in partenza. Sono tutti sentimenti autentici su cui però bisogna lavorare, per aprire la mente e far aprire il cuo-re. Il provvedimento di rigetto della domanda d’idoneità è del resto provvisorio. La coppia può fa-re un percorso, accostarsi ai bambini adottabili in carne e ossa, ed evolversi nella disponibilità. Cer-tamente si condivide l’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza 1° giugno 2010n. 13332 dietro “ricorso nell’interesse della legge” avanzato dal procuratore generale ai sensi del-l’art. 363 c.p.c.) secondo il quale il giudice di merito non deve avallare opzioni discriminatorie del-la coppia (relative a caratteristiche somatiche o provenienza etnica) ma, piuttosto, porsi il proble-ma della compatibilità dell’indicazione che restringe la disponibilità con una valutazione d’idonei-tà all’adozione. Se poi la coppia che ha ottenuto il rigetto della domanda farà un accertato percor-so di preparazione e maturazione, superando le chiusure e le difficoltà che aveva posto in un pri-mo momento, potrà essere valutata idonea (il decreto è sempre provvisorio, quindi ogni coppia hauna “seconda chance”).

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Se la capacità affettiva7 o capacità di accoglienza non evolve, resta preclusa la possibilità di adozio-ne. Del resto, mentre sussiste il diritto del bambino ad avere una famiglia, non esiste giuridicamenteun diritto (posizione giuridica perfetta che si possa ottenere coattivamente8) dei coniugi ad avereun figlio. La legge prevede infatti una dichiarazione di disponibilità della coppia che intenda dare una fami-glia a un minore in stato di abbandono. La coppia per legge non può pretendere di avere un fi-glio per completare la famiglia; fa istanza di adozione perché è disponibile a dare; fa valereun’aspirazione, tutt’al più un interesse garantito dalla legge che troverà soddisfazione se coincide-rà con l’interesse di un minore. Tale tesi sull’inesistenza di una posizione di diritto a diventare genitori è ribadita dal Consiglio d’Eu-ropa nella raccomandazione del gennaio 2000 e da varie Convenzioni internazionali che tutte met-tono al centro l’interesse superiore del minore9. Anche la dizione dell’epigrafe della legge base del 1983 è stata sostituita nel 2001 dalle parole “di-ritto del minore ad una famiglia”. L’adulto ha interesse a divenire genitore, mentre il minore ha di-ritto ad essere figlio. Se la dichiarazione di disponibilità della coppia realizza il diritto del minore,l’interesse dei potenziali genitori troverà attuazione; quindi la posizione dei coniugi istanti per ado-zione può essere semmai equiparata a quella giuridicamente rilevante, anche se meno piena dellaposizione di diritto, di un interesse legittimo. L’adozione è una “seconda chance” per il bambino, ma non è una nuova partenza da zero, non è unari-nascita.Del resto la filiazione adottiva è una “seconda chance” anche per la coppia; non vi sono coniugisani che tentino di adottare prima di aver tentato di avere un figlio proprio o prima di aver sapu-to dell’infertilità di uno o dell’altro.Come c’è un “prima” chance per la coppia che pensava a una naturale continuità, così c’è un “pri-ma” chance per il bambino, che conta molto di più del “prima” della coppia, anche perché quegliotto, nove anni non sono stati solamente di vuoto per il minore. Si diceva che il bambino adotta-bile non è solamente deprivato, non ha subìto soltanto una carenza, non è un guscio vuoto, ma èun bambino pieno di esperienze fatte quando i genitori adottanti non erano ancora nella sua vita. Nella maggior parte dei casi il minore adottato ha subìto comportamenti attivi dannosi degli adul-ti di riferimento, o ha assistito a violenza commessa su o da persone a lui care; negli anni egli hacomunque costruito dei legami, alcuni dei quali certamente insicuri e distorti (ad esempio con ilgenitore maltrattante, amato nonostante i maltrattamenti, idealizzato per i momenti sereni anche sepochi), ma altri costruttivi e nutrienti (ad esempio con altri ragazzi ospiti dell’istituto diventati ami-ci o con adulti di riferimento nella comunità o nella famiglia affidataria) e di questi conserva un ri-cordo, spesso idealizzato; inoltre egli ha attivato delle strategie di sopravvivenza e si è formato unavisione del mondo che ci vuole tempo per comprendere e parzialmente smontare per aprirla allafiducia e all’amore. Nemmeno la coppia desidererebbe del resto un bambino che fino a quel momento è stato segre-gato e non ha avuto rapporti con nessuno; quella persona non riuscirebbe probabilmente a venirpiù fuori dal buco nero, dal totale vuoto; quell’adozione non riuscirebbe di certo. Vanno accertati

7 Il requisito dell’idoneità affettiva della coppia è espressamente previsto come necessario per l’adozione nazionale cosiddettalegittimante dall’art. 6, 2° comma, legge 184/83; anche per l’adozione in casi particolari (ai sensi del novellato art. 57 della leg-ge citata) e anche per l’adozione di minori stranieri, dato che l’art. 29 bis richiama le condizioni prescritte nell’art. 6 e pertantoanche il requisito dell’idoneità affettiva.8 Se si trattasse di un diritto in senso stretto, ogni persona abbandonata dal partner, o rideterminatasi rispetto a una consen-suale interruzione del rapporto sentimentale, potrebbe convenire in giudizio l’ex compagno/a, vantando la lesione del diritto alcompletamento di sé e pretendendo, nel caso di una donna, di essere ad esempio sposata e fecondata. Risultato certamente pa-radossale. 9 L’interesse del minore è considerato superiore o preminente anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 (art. 24, par. 2), cui il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha ricono-sciuto valore giuridico di Trattato, comprendendo inoltre tra i princìpi generali del diritto dell’Unione i diritti fondamentali garan-titi dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

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e compresi i legami del bambino, con fratelli, con compagni o operatori dell’istituto, con certi luo-ghi, con certe abitudini eccetera. Inoltre la coppia dev’essere resa consapevole che gli abbracci, le coccole, gli spazi, le opportuni-tà che darà al minore non cancelleranno magicamente i traumi subiti dal bambino, e mai potran-no totalmente riparare ai danni. Dicevamo sopra che l’Amore da solo non vince su tutto e in certi casi la psicoterapia per il mino-re adottato è essenziale, anche come snodo per far accettare al minore l’amore dei genitori, per in-segnargli a fidarsi e così, alla lunga, trasformare la propria psiche togliendo paletti e automatismi.Mi sembra di fondamentale importanza che la coppia venga preparata dai Servizi alla frustrazionedella fede nell’onnipotenza del nutrimento affettivo e alla conseguente necessità di farsi affiancareda uno psicologo per il minore e, successivamente, da un Servizio di sostegno alla genitorialità.Quasi tutti i minori adottabili hanno bisogno di aiuto per mettere insieme il prima e l’ora, per com-pattare la loro storia e accettare di avere quattro genitori. Quasi tutti i genitori adottivi hanno bisogno di sostegno, specie nell’adolescenza del figlio che, co-me quasi tutti i figli adottati, è probabile che farà alla madre adottiva domande destinate a restaresenza risposta, del tipo: “Mi avresti trattato allo stesso modo se fossi nato dalla tua pancia?”. La coppia ce la farà se già di base possiede il requisito previsto dalla legge in via generale come“capacità affettiva”: tante adozioni portano ottimi risultati, nel senso di far crescere ragazzi chehanno avuto vicende complesse ma amano la vita, trovandoci un senso, nonostante tutto e ancordi più. Tale presupposto è sinonimo della capacità di accoglienza del diverso da sé e si riempie di signi-ficato nel raccordo con le altre norme che prevedono l’obiettivo di realizzare, anche apponendodei limiti al decreto d’idoneità – comunque provvisorio e modificabile – “il migliore incontro tragli aspiranti all’adozione e il minore da adottare” (termini utilizzati dall’art. 30, 2° comma, legge ci-tata); che precisano il contenuto degli accertamenti demandati ai “Servizi socio-assistenziali deglienti locali singoli o associati... avvalendosi per quanto di competenza delle aziende sanitarie...” qua-le quello di cui alla lettera c dell’art. 29 bis legge 184/83: “c) ACQUISIZIONE DI ELEMENTI sulle mo-tivazioni che determinano gli aspiranti genitori adottivi..., sulla loro capacità di rispondere in mo-do adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventuali caratteristiche particolari deiminori che essi sarebbero in grado di accogliere...”. La coppia con capacità affettiva è quella che riesce a immedesimarsi non nell’astratto, presunto esognato, generico bisogno del minore di avere una famiglia (che in concreto può persino del tut-to mancare in quel momento della storia del minore), ma in un minore che ha già una storia di vi-ta che si è curiosi di conoscere, che si vuole rispettare e mai provare a cancellare. Un’esemplificazione brillante di questa necessità di rispetto della storia del bambino si trova nelfilm citato a proposito del nome del piccolo. I gemelli erano cinque e nemmeno il padre biologi-co era sicuro su quale dei bambini fosse stato rubato. Il bambino rapito portava il nome “NathanJunior”, ossia il nome del padre con l’aggiunta di Junior frequente in America, e ognuna delle per-sone che nel seguito della storia s’impossesserà del piccolo lo chiamerà con il nome proprio o delpartner (interessante che il padre rapitore gli dia lì per lì il nome della moglie Edwina o Ed Junioranche se il minore è un maschietto; effettivamente lei voleva il bambino più di lui e lui glielo at-tribuisce anche con il dargli il nome di lei) o col nome del socio in affari (sempre con l’aggiuntadi “Junior”). Gli adulti della vicenda trattano il bambino come un oggetto per colmare un bisogno o per far sol-di, o come una propaggine di sé tanto da fargli portare persino lo stesso nome dell’adulto che sen’è appropriato, o che ne è proprietario per averlo messo al mondo. Solamente alla fine, quandola co-protagonista poliziotta comincia a pensare al bambino come persona, il bambino viene chia-mato con il suo nome originario, “Nathan junior”. In quel momento l’aspirante madre inizia a ri-spettare le origini del potenziale desiderato figlio e a quelle origini lo riconduce.L’adozione non può oggi essere intesa come una ri-nascita, e ciò lo si desume dalla sostituzione del-l’art. 28 legge 184/83 a opera della legge 149/01 che ha messo il nostro diritto nazionale in lineacon quello internazionale (art. 20 Convenzione europea di Strasburgo sull’adozione dei minori; artt.

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7 e 8 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; art. 30 Convenzione de l’Aja sulla prote-zione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale). Se fosse una ri-nascita, la storia precedente non avrebbe rilievo; invece è previsto dalla legge (art. 28)il diritto assoluto dell’adottato a essere informato di tale sua condizione e il diritto a conoscere le pro-prie origini.Tale ultimo diritto è incondizionato dai venticinque anni in poi, a meno che la madre abbia dichia-rato al momento del parto di non voler essere nominata, e l’ottenimento delle informazioni non ri-chiede nemmeno un’autorizzazione nel caso in cui i genitori adottivi fossero deceduti o divenutiirreperibili. La storia conta. Eccome se conta. L’adozione non deve cancellarla. La storia personale conta così tanto che secondo alcune legislazioni il diritto all’identità e allo svi-luppo personale deve prevalere sul diritto al rispetto della vita privata della madre che al tempoabbandonò il neonato all’ospedale. Nella legislazione francese del 2002, il segreto dell’identità del-la madre è dalla stessa revocabile su domanda del figlio adottato che voglia conoscerla10.Sempre nell’ottica che mette al centro il diritto d’identità dell’adottato, un articolo pubblicato su“D”, il magazine di “La Repubblica”, era titolato proprio “Seconda occasione”, alludendo alla se-conda chance che circa duecentomila ragazzi coreani – divenuti figli adottivi di coppie occidenta-li con cui in America o in Germania o in Italia sono cresciuti – vogliono dare ai loro genitori bio-logici coreani, tornando a Seul e cercandoli11. Loro dicono di voler cercare la propria cultura che portano scritta in faccia, nei tratti somatici, sen-za però appartenervi; di voler trovare il loro nome, che dai genitori adottivi il più delle volte vie-ne cambiato, e tracce della propria storia per capire come poteva essere il loro destino restando aSeul. L’articolo concludeva, all’esito di varie interviste, che questi ragazzi “provano a dare una se-conda occasione ai genitori e al Paese d’origine. A muoverli è il desiderio di avere due vite, e in ta-sca il biglietto aereo di ritorno”. Non è una ri-nascita ma sono due nascite e comunque si dà valo-re alla piena appartenenza alla seconda. E quando si cercano le radici, si tiene comunque a cheresti la chioma dell’albero. Anzi, se non ci fosse la chioma, non ci sarebbe l’energia e la forza perandare a cercare le radici.

10 In Italia il limite della tutela del diritto alla riservatezza della madre che non volle essere nominata al momento del parto re-sta assoluto e prevale sul diritto all’identità dell’adottato. Il Tribunale per i Minorenni di Firenze sollevò nel 2004 questione di legittimità costituzionale per ottenere dalla Corte Costitu-zionale una pronuncia che dichiarasse la norma citata illegittima nella parte in cui non consente al Tribunale per i Minorenni ita-liano – in analogia con la legge francese, in sostanza –, prima di rigettare l’istanza di autorizzazione, d’interpellare la madre bio-logica che più di venticinque anni fa chiese di non voler essere nominata ma oggi, al momento della richiesta di suo figlio di in-contrarla, potrebbe avere cambiato idea. La Corte Costituzionale con sentenza del 16 novembre 2005, n. 425 confermava l’asso-lutezza del divieto di rintracciare la madre biologica che abbia lasciato in ospedale il bambino, argomentando che la norma ga-rantisce alla donna, che non voglia o non possa accudire il figlio che ha partorito, di essere tutelata per tutta la sua vita dal “ri-schio di essere, in un imprecisato futuro e su richiesta di un figlio mai conosciuto e già adulto, interpellata dall’autorità giudizia-ria per decidere se confermare o revocare quella lontana dichiarazione di volontà”. Viene cioè oggi consacrato in Italia, al finedi far diminuire il numero degli infanticidi o degli aborti, il diritto della donna che non abbia voluto o potuto abortire, e che nonpuò o non vuole diventare madre, di mettere dopo una dolorosa scelta di abbandono e rinuncia la parola “fine”, come il dirittodi porre una “pietra sopra” la vicenda, una pietra che non possa essere più risollevata da nessuno e mai, nemmeno dal figlio asuo tempo “esposto”. La modifica richiesta o la legge francese in atto, invece danno in sostanza una “seconda chance” della ma-dre biologica che non voglia più celare la propria identità una volta che il figlio adottato esprima il desiderio di conoscerla.11 L’articolo di Marco Ciriello su “D” di La Repubblica del 4 dicembre 2010 (65 ss.) spiegava che con l’occupazione da partedegli statunitensi della Corea del Sud dopo la seconda guerra mondiale i soldati si erano integrati con le donne coreane ed era-no nati molti bimbi di sangue misto che la rigida struttura familiare coreana non poteva accettare. Questi bambini a quattro, di-ciotto, trentaquattro mesi andarono in adozione. L’articolo rappresentava che la ricerca dei propri genitori è diffusissima tantoche varie associazioni aiutano nella ricerca del passato e vi è un programma tv dedicato, “I miss that person”, che è trasmessoanche sugli autobus, negli aeroporti e nelle stazioni, con continue repliche.

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FOCUS

L’intervento in questione conclude i lavori delle due giornate del convegno in cui ci si è confron-tati in un dibattito aperto e costruttivo sulle tematiche relative al percorso adottivo. Ed è giusto chesi chiuda con la figura del bambino, vero anello debole di una catena in cui troppe volte gli anel-li “forti” ricevono maggiore considerazione e tutela. Si parla sempre di “vissuti abbandonici” del bambino e sembra che tutti ne abbiano consapevolez-za, ma mi chiedo sempre più frequentemente, quanto questa consapevolezza coinvolga la sferaemotivo-affettiva piuttosto che quella logico-cognitiva. E ancor di più quanto si sia consapevoli cheil vissuto abbandonico del bambino ne abbia contribuito a strutturare l’identità.L’identità del bambino si struttura già dalla nascita per cui l’abbandono subìto lo connota in modoindelebile. Ma il passato, pur doloroso, carico di sofferenza, irrecuperabile, non è intollerabile, rap-presenta le sue radici e come tale deve essere “accolto”. Accettare il passato del bambino non si-gnifica negare la bontà del presente, ma piuttosto, proprio in virtù della bontà di questo presente,permettere al bambino di accettare il suo passato, archiviarlo nella memoria del sé come parte del-la propria identità e trovare la forza interiore e l’energia per poter andare avanti.La coppia genitoriale non deve avere paura di affrontare le domande che le vengono poste dal fi-glio; le domande devono ricevere risposte, sempre, altrimenti il bambino creerà fantasie che lo por-teranno a costruirsi una falsa realtà che diverrà più potente della verità. Non porrà più, man ma-no, altre domande: l’imbarazzo che provoca lo avrà sempre più convinto che ciò che pensa di sésia vero. Senza entrare nel privato della coppia genitoriale biologica, esiste infatti una verità narra-bile al bambino, e a questa è necessario fare riferimento, senza paura, per potergli permettere di“lasciarsi andare” in quella danza relazionale di cui parla Stern per indicare lo “spirito” della rela-zione genitori-figli2. E non deve trattarsi di un semplice racconto, ma di una esperienza emoziona-le, deve creare uno spazio affettivo dove lui possa ritrovarsi al sicuro.Rispondere alle sue domande, confrontarsi con la sua sofferenza, riconoscerla e creare quello spa-zio affettivo che accolga la sua tristezza permette al bambino di crescere, di sentirsi “parte di” e disentirsi “ri-conosciuto”. È per questo che il bambino adottato è ancor di più il figlio del desiderioe non del bisogno, espressione della fertilità mentale della coppia che è capace di accogliere e con-tenere, sostenere e stimolare.Il compito importantissimo che ha la coppia con il bambino adottato è proprio quello di favorire,anzi, la trasformazione del dolore e della sofferenza dell’abbandono in un opportunità di crescita.Si parla tanto di resilienza ed è proprio questa l’opportunità che hanno questi bambini, quella di

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.2 Stern, Il mondo interpersonale del bambino, Torino, 1987.

L’ADOZIONE PER IL BAMBINO: TRA RICORDI, NEGAZIONE E COSTRUZIONE1

Loredana Di NataleNeuropsichiatra infantile, psicoterapeuta e giudice onorario del Tribunale per i Minorenni diCatania

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trasformare il proprio dolore in forza, creatività, energia positiva, ricchezza interiore... tutto ciò dicui parla Cyrulnik quando definisce il “dolore meraviglioso”3.Ed è così possibile archiviare e costruire, “negando la negazione di sé”, sentendo riconosciuta lapropria identità e la propria storia, per andare avanti come persona in crescita all’interno della pro-pria famiglia a cui si sente di realmente appartenere, con genitori che ne vivano l’accoglienza conpiena risonanza affettiva ed emotiva. Un capitolo a parte risulta essere invece la condizione di bambini che abbiano subìto traumi inter-ni all’identità, indicando con ciò gli esiti delle Esperienze Sfavorevoli Infantili, dove il dolore cheè stato il filo conduttore di tutte le loro esperienze di vita rimane pur sempre il veicolo attraversoil quale i bambini perpetuano i legami precocemente instaurati con i genitori maltrattanti. In que-sti casi ci ritroviamo a dover affrontare situazioni problematiche e complesse che necessitano di unintervento psicoterapico modulato all’interno di una presa in carico, definita dalla Malacrea multi-modale4, in cui i genitori adottivi sono partecipi e così pure il contesto ambientale allargato.Questi bambini considerano spesso i genitori adottivi scarsamente affidabili sulla scorta delle pro-prie passate esperienze e si aspettano che, in modo imprevedibile, possano divenire rifiutanti. Èper questo che non modificano i propri modelli operativi. Sarà necessario un lungo lavoro finaliz-zato a cancellare il concetto di imprevedibilità dei comportamenti genitoriali, a dare sicurezza, apermetter loro di credere a ciò che vivono nella nuova quotidianità perché non cambierà, per re-stituirgli il messaggio che le difese messe in atto precedentemente sono state funzionali a permet-tergli di vivere un momento molto difficile della vita, ma che ora è possibile fare di più per starmeglio. È possibile cambiare.

3 Cyrulnik, Il dolore meraviglioso. Diventare adulti e sereni superando i traumi dell’infanzia, Milano, 2004.4 Malacrea, Trauma e riparazione. La cura nell’abuso sessuale all’infanzia, Milano, 1998.

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FOCUS

Non si offre a due genitori un simpatico diversivo, si altera tutta la loro vita e se tutto va bene passeranno i

prossimi venticinque anni cercando di risolvere il problema che gli abbiamo proposto.

Donald Woods Winnicott

I genitori che si aspettano gratitudine dai figli (e c’è persinochi la pretende) sono come usurai: rischiano volentieri il

capitale pur di incassare gli interessi.

Franz Kafka

All’inizio i figli amano i genitori. Dopo un po’ li giudicano.Raramente, o quasi mai, li perdonano.

Oscar Wilde

Quando ero piccolo i miei genitori mi volevano talmentebene che mi misero nella culla un orsacchiotto. Vivo.

Woody Allen

Quanto emerso dalle sessioni di ieri è uno straordinario affresco dei temi adottivi e degli elemen-ti di forza e di debolezza, delle inquietudini che attraversano la nostra società. È sempre più difficile trovare spazi, tempi per focalizzare i temi cruciali, per fermarsi a riflettere ea porre l’attenzione rispetto a temi su cui ci interroghiamo tutti i giorni: l’adolescenza, i minori stra-nieri adottati, i diritti dell’infanzia, il lavoro di tutela, l’accoglienza, la solidarietà, il sostegno alla ge-nitorialità, le fatiche della funzione educativa quotidiana. In questa prospettiva l’evento odiernorappresenta una preziosa occasione di approfondimento e confronto. Cercherò di portare un con-tributo che parte da riflessioni generali e da pratiche quotidiane.Genitori non si nasce ma si diventa. Non si nasce genitori adottivi... e non si nasce genitori adot-tivi di bimbi stranieri. La strada percorribile è quella di acquisire sempre più competenze adegua-te per rispondere al bisogno legittimo dei bambini di avere una famiglia che li accolga e che ge-nitori “sufficientemente buoni” possano farli crescere.Attraverso la mia esperienza di assistente sociale ho avuto modo di capire negli anni che tanti bam-bini, dopo una lunga permanenza in istituto, hanno avuto danni devastanti che derivano dalle fe-rite dell’abbandono, da un vuoto affettivo, dall’incapacità, spesso, di esplorare i sentimenti perché

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.

ADOZIONE: LA PREPARAZIONE TRA NAZIONALE E INTERNAZIONALE1

Maria Teresa RizzarelliAssistente sociale responsabile presso il Servizio adozioni nazionali e internazionali del Comunedi Catania

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nessuno ha insegnato loro ad amare, da traumi subiti e difese messe in atto per non entrare in con-tatto con vissuti intollerabili.L’adozione, sia nazionale sia internazionale, “è un evento critico”. È un progetto di vita per la vi-ta, “un incastro unico e singolare”: è la risposta all’infanzia abbandonata. Diventare famiglia adot-tiva significa aprirsi consapevolmente alla piena accettazione di un bambino abbandonato, italianoo straniero, generato da altri. È un percorso caratterizzato dalla processualità e dalla complessità,percorso che va sostenuto e accompagnato con competenza ed empatia, con lo sguardo verso inumerosi aspetti critici, non limitandosi a svolgere con correttezza e competenza il proprio com-pito, ma con attenzione e sospensione di giudizio.In questo delicato percorso la famiglia non è sola: i Servizi accompagnano e sostengono le coppieinteressate. Il nostro Ufficio Adozioni del Comune di Catania, Assessorato della Famiglia, che hacompetenza sull’intera città di Catania, rappresenta l’attuazione di tutte le attività previste dalla leg-ge in materia di adozioni nazionali e internazionali, in particolare attraverso i compiti di informa-zione-preparazione, anche in collaborazione con gli Enti Autorizzati, di attività istruttoria ai fini va-lutativi e sostegno alla genitorialità adottiva in costante raccordo con gli psicologi dei Consultorifamiliari dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP). L’équipe Adozioni, quindi, è composta da psico-logi dell’ASP e da assistenti sociali del Comune con una consolidata esperienza e formazione spe-cifica riguardo l’istituto dell’adozione.Parlare di adozioni vuol dire parlare di abbandono: è un aspetto complesso e delicato che richie-de un lavoro più pensato, che richiede motivazione, impegno e responsabilità da parte di tutti co-loro che, direttamente o indirettamente, ne sono coinvolti, perché è una scelta di consapevole di-sponibilità nei confronti di un bambino che ha una storia di sofferenza.L’iter presuppone attività e iniziative mirate di informazione-preparazione, studio di coppia ai finivalutativi per coppie che intendono adottare uno o più bambini, anche provenienti da un Paesecon un modello socio-culturale molto diverso, e sostegno per famiglie adottive. I nostri corsi di pre-parazione, oltre ad avere l’intento di sollecitare riflessioni sui luoghi comuni e stereotipi che ruo-tano intorno al mondo dell’adozione, offrono informazioni specifiche e opportunità di approfon-dimento e di confronto rispetto a temi di carattere psicosociale, socioculturale, pedagogico e giu-ridico. Permettono di evidenziare sfumature e sottolineature anche attraverso il dialogo di punti divista differenziati... così, lo sguardo alla genitorialità adottiva assume forma di genitorialità sociale. Sostegno alla genitorialità, quindi, non come azione suppletiva a favore di coppie, famiglie, ma comeoccasione per la costruzione di un “sapere” poiché non si è davanti a un servizio, ma a un eventocon dinamiche ed esiti diversi e non sempre prevedibili. I genitori si assumono una responsabilità so-ciale e al tempo stesso anche il sociale ha una responsabilità nei confronti delle famiglie adottive.L’importanza di questo primo contatto tra il Servizio e la coppia è fondamentale, sia perché mira a crea-re nella coppia una consapevolezza necessaria per il percorso adottivo, sia perché è indispensabile sta-bilire un rapporto di fiducia tra la coppia e gli operatori, evidenziando la necessità di unire le risorseper affrontare insieme un percorso che, spesso, è difficile e sofferto. È previsto un percorso specificopresso il nostro Servizio prima della presentazione della dichiarazione di disponibilità all’adozionepresso il Tribunale per i Minorenni, offrendo alla coppia la facoltà di accedere preventivamente ai cor-si realizzati dal nostro Ufficio Adozioni. Infatti, anticipando il percorso di informazione/preparazione sipotranno avere coppie meglio orientate all’adozione nazionale o internazionale; inoltre, si può ottene-re una presumibile riduzione dei tempi successivi e una probabile prevenzione dei fallimenti.L’attività presenta il vantaggio della possibilità di accedere ai nostri corsi anche per le coppie pro-venienti dai Comuni della provincia di Catania. Il Tribunale per i Minorenni di Catania, attraverso la sua Cancelleria civile, rende disponibile il ma-teriale informativo da noi predisposto, collaborando alla diffusione, comunicando alla coppia lapossibilità di avvalersi del corso di informazione/preparazione realizzato dal nostro Ufficio.I corsi consistono in quattro incontri di gruppo, per cinque coppie al massimo e le pratiche rispettoall’impostazione e metodologia agiscono sia sulla dimensione cognitiva che relazionale e affettiva.Scopo dei corsi è promuovere una disponibilità consapevole e sollecitare nelle coppie la compren-sione della capacità di accogliere la diversità, esplorare l’essenziale capacità di una “fertilità men-

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tale” perché un bambino proveniente da condizione di abbandono ha un vissuto traumatico e de-ve essere aiutato a ristrutturare i legami affettivi... È un bambino che porta con sé tracce e fram-menti che ha interiorizzato. È un bagaglio che è importante conoscere e riconoscere e si deve averrispetto delle sue emozioni e dei suoi pensieri, dei suoi tempi “di transizione” dalle persone a luiconosciute alle persone a lui sconosciute, seppur accoglienti e affettive, per imparare a fidarsi deinuovi genitori: è un bambino che deve fare i conti con il significato dell’abbandono, con le pro-prie rabbie, con la scarsa autostima e l’autocolpevolizzazione. E l’adozione mentre da un lato glidà la possibilità di avere una famiglia cui ha diritto, dall’altro gli dà la certezza dell’abbandono de-finitivo dei genitori biologici. I potenziali genitori adottivi devono essere aiutati ad acquisire un atteggiamento conoscitivo edemotivo curioso e aperto verso l’altro, assumendo conoscenze e lavorando sulle loro emozioni alriguardo. Il solo amore non basta, più conosciamo e più alleniamo il pensiero a divergere... ad apri-re la mente e il cuore.Le azioni concrete agiscono sulla dimensione cognitiva e affettiva con corsi informativi, incontri perriflettere sugli stereotipi e pregiudizi, incontri finalizzati all’acquisizione di maggiore consapevolez-za, preparazione e comprensione della propria capacità nel gestire i conflitti, della capacità di tol-lerare, di far crescere i figli con la loro doppia radice, consapevoli che l’instaurarsi di una buonarelazione si fonda sull’accettazione e l’accoglimento di una vita generata altrove; accettazione checomporta una complessa elaborazione, personale e di coppia, del lutto procreativo.Gli incontri di preparazione sollecitano anche riflessioni sulla fase dell’inserimento, momento cru-ciale sia per il bambino che per i genitori, momento in cui si pongono le basi per la costruzionedel legame di attaccamento. La costruzione del legame genitoriale è un processo che avviene neltempo, basato sull’accettazione e l’appartenenza, e il compito evolutivo che genitori e figli devonoaffrontare si può sintetizzare nel “portare avanti la storia delle generazioni facendo diventare fami-liare un’origine diversa”2.È fondamentale, inoltre, prepararsi a un altro dei momenti più delicati e che rappresenta il rispet-to di uno dei più importanti diritti dei bambini adottati: il momento della rivelazione. “I genitoriadottivi dovranno “far entrare” la realtà dell’adozione nella vita quotidiana e nei loro discorsi”3. Laspecificità dell’identità genitoriale è rappresentata dalla capacità dei genitori adottivi di raccontareal bambino la verità narrabile che riguarda le sue origini. La costruzione della storia familiare hacome obiettivo l’acquisizione dell’identità genitoriale, tramite indispensabile per l’acquisizione del-l’identità filiale da parte del bambino che costruisce la propria appartenenza al nucleo familiare.“L’appartenenza è una dimensione psicologica fondamentale, ogni individuo ha bisogno di sentirsiappartenente a un gruppo, a una famiglia e il ricorso all’adozione a tutela di un bambino privile-gia tale dimensione. Dunque la storia familiare si costruisce attraverso il condividere eventi ed emo-zioni ma soprattutto i loro significati”4. La storia familiare entra a far parte della narrativa familiare, patrimonio non solo dei genitori e fi-gli ma anche dei nonni e della famiglia allargata: così le storie di famiglia diventano memoria con-divisa, in cui fanno parte le differenze, “la nicchia “ che permea la storia di ogni bambino, compo-nenti da non negare ma da riconoscere e da incorporare nella storia comune. Occorre, infatti, svi-luppare nelle famiglie la consapevolezza che poter esplorare le proprie origini, biologiche e cultu-rali è fondamentale per il bambino per mantenere un senso di continuità interna, così come occor-re sviluppare nelle famiglie la consapevolezza dei significati profondi del diventare multiculturaliche s’intrecciano con l’adozione internazionale e nazionale, differenze che entrano nella dimensio-ne famigliare, diventata multiculturale, nel quotidiano, nell’inserimento scolastico.

2 Scabini, Cigoli, Il Famigliare, Milano, 2000, 239.3 Intervento di Donatella Guidi, psicologa e psicoterapeuta, al seminario formativo nazionale “Il post-adozione fra progetta-zione ed azione” organizzato dall’Istituto degli Innocenti, Firenze, 2006.4 Intervento di Marco Chistolini – psicologo, psicoterapeuta, formatore, esperto in adozioni internazionali, coordinatore scien-tifico dell’Istituto degli Innocenti di Firenze – nel seminario formativo nazionale organizzato dall’Istituto degli Innocenti per con-to della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Valorizzare le specificità interculturali dal pre al post-adozione”, Firenze,2010.

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Un aspetto da considerare è l’autostima, sostenuta dalla solida relazione con i genitori, che è uno de-gli obiettivi educativi da parte della famiglia. Infatti un’identità forte consiste nell’affrontare e resiste-re alle avversità, ai fattori di rischio perché permette di sviluppare una resilienza, una capacità di rea-gire agli attacchi della vita, alle difficoltà, con l’intervento di elementi fondamentali come l’autostimae il senso dell’umorismo. “È un processo di ripresa evolutiva, di natura psicologica, psicosociale, cul-turale, affettiva, sociale che permette a una persona o a un gruppo umano di avere un nuovo svilup-po davanti a un evento traumatico... il tema adottivo si presta a una riflessione legata al tema dellaresilienza: c'è stato un evento che ha comportato un cambiamento creando un guscio sensoriale”5. Alcune ricerche recenti hanno messo a fuoco alcuni aspetti peculiari della genitorialità adottiva, lacui costruzione è un processo che si snoda nel tempo. È un processo di legittimazione reciproca,di legittimazione di sé e del proprio partner come genitori di quel figlio nel riconoscimento dellasua storia e della differenza delle sue origini. Sentirsi genitori pienamente responsabili a tutti gli ef-fetti, investire sul figlio quale continuatore della propria storia familiare, pur riconoscendo l’origi-ne diversa, si conferma uno dei fattori protettivi più importanti6.È in questo senso che occorre preparare la famiglia adottiva a entrare nella logica di sentirsi citta-dini del mondo, per attuare una genitorialità sociale con lo sguardo rivolto non solo al proprio fi-glio adottivo o no, ma alle generazioni. Appare sempre più come una prospettiva irrinunciabile il dover trovare strumenti per l’applicazio-ne dei diritti dei bambini, primo fra tutti ad avere una famiglia, che collega ad altri diritti, come ildiritto alla continuità dei legami. La consapevolezza della necessità di porsi accanto alla famigliache avvia il progetto adottivo nell’intraprendere percorsi di preparazione e supporto, è diffusa tragli operatori preposti, i quali condividono modelli di lavoro integrato e strategie, distinguendo i ri-spettivi ambiti di competenza, secondo una dimensione globale, specifica ed etica, nonché nel ri-spetto delle singole peculiarità in cui l’offerta di un Servizio più omogeneo porta a risultati qualiuna preparazione più completa.Dunque, promuovere iniziative di informazione e realizzare corsi di preparazione alla genitorialità èfondamentale per migliorare la qualità delle adozioni, aiutando la coppia a maturare la presa di co-scienza delle motivazioni alla base del dichiararsi disponibili ad adottare, a maturare la comprensio-ne reale del concetto e della condizione di abbandono, ad avviare un processo di maturazione orien-tato ad acquisire una competenza genitoriale specifica rivolta ad un bambino proveniente da unacondizione di abbandono, anche da un Paese con un modello socio-culturale diverso dal nostro. Durante gli incontri le tematiche richiamano e rafforzano il concetto che diventare famiglia adotti-va implica impegno e responsabilità nel creare legami tra persone lontane e diverse tra loro, mavicendevolmente capaci di costruire una reciproca appartenenza, “una comune dimora”.Concludendo, l’applicazione poco pensata del proprio tradizionale metodo di lavoro può impedi-re la crescita culturale. Difatti sappiamo quanto è necessario istituire nuove forme di dialogo e con-fronto tra istituzioni e famiglie, co-responsabili e co-protagonisti dell’esperienza, in una circolaritàvirtuosa di “buone pratiche”, positivamente sperimentate, apprendendo dall’esperienza, acquisen-do specifiche competenze, ampliando il proprio orizzonte, riflettendo e approfondendo i pregiu-dizi e interrogandosi, gli operatori tutti, in merito.In questa prospettiva, lo sguardo volto a questo straordinario viaggio che è l’adozione lega a chia-vi interpretative diverse Concludo pertanto, citando Bufalino che fa sue le parole di Montaigne su cos’è “... viaggiare: ac-cettare di sfregare il proprio cervello con quello degli altri, cosicché possa limarsi e levigarsi un po’”7.

5 Intervento di Elena Malaguti, pedagogista e psicologa, al Convegno europeo “Resilienza ed approccio autobiografico nelleadozioni internazionali” organizzato dall’Istituto degli Innocenti per conto della Commissione per le Adozioni Internazionali, Fi-renze, 2010.6 Palacios, Brodzinsky (a cura di), Psycological Issues in Adoption. Research and Parctice, New York, 2005.7 Bufalino, La luce e il lutto, Palermo, 1988.

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Il panorama normativo che emerge a seguito della complessa riforma in materia di adozione inter-nazionale, cominciato in conseguenza del recepimento nell’ordinamento italiano della Convenzio-ne de L’Aja, è ormai abbastanza consolidato e organizzato per ciò che riguarda i compiti e le pro-cedure dei singoli attori del procedimento.Abbiamo ascoltato gli interventi di operatori tanto dei Servizi sociali e territoriali quanto dei Tribu-nali per i Minorenni, i quali, certamente meglio della sottoscritta, ci hanno parlato di quelli che so-no i veri e più importanti protagonisti: i bambini. Le tematiche connesse alla protezione e alla sal-vaguardia dei diritti del minore, sotto il profilo del diritto a una famiglia – dovremmo dire della mi-gliore delle soluzioni alternative all’assenza di una famiglia naturale –, richiedono una trattazionesistematica non solo della normativa vigente ma anche delle questioni sociopsicologiche legate altema dell’abbandono e, dunque, impongono modalità di discussione che l’argomento a me affida-to deve dare per scontate, per acquisite.Mi scuso dunque se il mio intervento, oltre a portare il carico della preoccupazione che accompa-gna da qualche tempo gli operatori di questo specifico settore che sono gli Enti autorizzati, saràmolto “terra-terra”, nel senso che servirà – almeno nelle mie intenzioni – a puntare il dito su alcu-ne delle difficoltà operative emerse dall’esperienza.

I compiti dell’Ente autorizzato

I compiti dell’Ente autorizzato sono delineati nell’art. 31 della l. 476/98. Ruolo importante svolgo-no anche le linee guida elaborate dall’organismo cui è devoluta (fra l’altro) la supervisione sull’at-tività degli Enti, cioè la Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI).L’ente autorizzato, dunque, deve informare, formare, accompagnare gli aspiranti genitori adottivinel percorso dell’adozione internazionale. Questa azione si svolge sia in Italia, nella preparazioneall’adozione, nel sostegno durante la fase di attesa, nell’accompagnamento alla fase di abbinamen-to, sia all’estero per quanto riguarda la gestione delle procedure necessarie per portare a compi-mento l’iter adottivo. L’Ente autorizzato ha quindi il ruolo di assistere la coppia genitoriale in tuttele fasi amministrative legate all’adozione del minore davanti all’autorità straniera.Il compito dell’Ente autorizzato deve poi proseguire anche successivamente, sostenendo la coppiae il bambino nel percorso post-adozione attraverso interventi di sostegno psicologico nella fase diformazione della famiglia adottiva.

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.

IL RUOLO DEGLI ENTI AUTORIZZATI NELL’ITER ADOTTIVO1

Maria Concetta CateraAvvocato, vicepresidente Ente autorizzato “La Dimora”, Ragusa

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Quando l’Ente interviene

L’Ente interviene innanzitutto in un momento che, dal punto di vista della coppia adottiva, si po-trebbe definire “di arrivo”, cioè a idoneità acquisita. La coppia ha conquistato, dopo un percorsoche nella maggior parte dei casi è stato lungo e doloroso, quantomeno in termini di “invasione”della propria intimità personale e di coppia, il tanto aspirato documento – il decreto di idoneità –e, insieme a questo, la ferma convinzione che nessuno al mondo, adesso, potrà negare loro la pos-sibilità di avere un bambino! Ma l’adozione non è un fatto privato, che riguarda unicamente l’emotività e il progetto di vita del-la coppia. L’adozione è un fatto che, pur nascendo da un’iniziativa privata, richiede l’intervento delpotere pubblico a disciplinarne e attuarne le condizioni.Nel suo percorso assieme alla coppia verso il sospirato abbinamento, l’Ente – soggetto privato chesvolge un pubblico servizio – è letteralmente “schiacciato” tra tutti gli altri attori del sistema.

L’individuazione del bambino e l’abbinamento: chi decide

Lunga è stata la strada per portare le coppie alla consapevolezza che non esiste nessun diritto adadottare, ma solo la garanzia di una procedura corretta, limpida e trasparente, regolamentata siaper quanto riguarda l’iter sia per quanto riguarda i costi. La coppia in realtà, ancora oggi troppospesso, dietro alla richiesta di chiarimenti sulla procedura posta in essere, in caso di attesa moltolunga, cela una ben precisa rivendicazione: l’abbinamento ad ogni costo, il bambino.La coppia però è una realtà “viva”. Ci sono due persone in ansia, che a poco a poco vanno lette-ralmente in panico: i tempi dell’adozione, in questa fase centrale (dall’idoneità all’abbinamento) sisono fatti lunghi. Il mutato panorama politico di molti Paesi dell’Est ha cambiato radicalmente laloro politica in materia di adozione internazionale. In primo luogo la ratifica della Convenzione deL’Aja ha imposto a tutti i Paesi aderenti il preventivo ricorso all’adozione nazionale, in conformitàal principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale. In secondo luogo c’è stata la definitivachiusura di alcuni Paesi all’adozione internazionale, che ha spostato un gran numero di pratiche diadozione su altri Paesi, contribuendo a ingrossare le relative liste di attesa. In terzo luogo, un fat-tore molto importante si verifica in Paesi come, ad esempio, la Bulgaria, dove si sconta una certadisorganizzazione (per usare un eufemismo) da parte delle Autorità centrali che non riescono adelaborare né strategie di intervento sui minori, né politiche e procedure per ottimizzare il servizio.L’Ente, organismo privato, non ha poteri di intervento sull’Autorità centrale straniera, unico inter-locutore legittimo in base alla Convenzione de L’Aja. È l’Autorità centrale, attraverso l’organo indi-viduato di volta in volta dalle singole legislazioni, a decidere sull’abbinamento, gestendone moda-lità e tempi.

Il problema economico

Poi, sempre con riguardo alla questione del rapporto con le coppie, c’è il problema economico.Questa è un’altra spina dolorosa! L’Ente autorizzato per legge non può avere fini di lucro. Il nostroEnte, come la gran parte, è costituito in forma di onlus ed è diretto e gestito da volontari. Ma la coppia, che fino al momento dell’affidamento dell’incarico all’Ente, non ha pagato nulla inforza della previsione di gratuità delle prestazioni pubbliche connesse alle pratiche di adozione,spesso non comprende le ragioni dei costi che ora dovrà affrontare, trovando spesso ingiustificatoil fatto di dover “pagare” l’Ente. Ed è in parte in forza di tale corrispettività che la coppia “pretende” il risultato, nell’ambito di unrapporto contrattuale quale è l’affido di incarico (regolato obbligatoriamente oramai sulla scortadella cosiddetta carta dei servizi di cui alle ultime linee guida CAI) che comporta per l’Ente un’ob-bligazione di mezzi e non certo di risultato!

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Tra dubbi, sospetti, paure, facili entusiasmi, come può (perché deve) l’Ente gestire, sostenere e aiu-tare la coppia?

Il rapporto tra gli Enti autorizzati, i Servizi sociali e gli Enti territoriali

Qui si inserisce il tema del rapporto tra gli Enti e, in primo luogo, i Servizi sociali e gli Enti terri-toriali. Chi meglio del personale professionalmente specializzato può attuare strategie di interven-to a sostegno e accompagnamento della coppia? Molte sono le iniziative e le procedure attuate dal-le singole Aziende Sanitarie Provinciali (ASP) e i singoli Comuni, con risultati vari e diversi a se-conda della Regione interessata e – purtroppo per noi – decrescenti man mano che dal Nord siscende verso il Sud Italia. E spesso, purtroppo, il problema riguarda le risorse destinate e investi-te nel settore.Molte le procedure esistenti, dicevamo. Molte le carte vincenti (penso ad esempio ai corsi gestiti e“imposti” alle coppie da molti di questi Servizi, preliminarmente all’avvio degli incontri per le re-lazioni da inviare al Tribunale per i Minorenni). Molte le scommesse ancora da vincere. Una fratutte: la strada dei protocolli d’intesa. Le sinergia è senza dubbio la strategia migliore: convergeretutti verso lo stesso punto, ognuno con i propri mezzi, il proprio ruolo e le proprie professionali-tà specifiche. Però perché ciò avvenga è assolutamente necessario che l’obiettivo sia unico, chiaroed effettivamente condiviso; è necessario che siano chiari e definiti i ruoli e, correlativamente, leresponsabilità.Un’altra fase in cui quanto sopra si rivela di fondamentale importanza è quella del post-adozione.

La fase del post-adozione

Questa fase dovrebbe essere garantita da tutti gli Enti autorizzati nelle modalità e forme definite ecomunicate alla famiglia nel momento del conferimento dell’incarico. L’ente autorizzato ha il com-pito di seguire l’andamento dell’adozione per comunicare la qualità dell’inserimento e dell’ambien-tamento del bambino nella famiglia e nel Paese, attraverso le relazioni post-adozione inviate all’au-torità straniera.Al di là del ruolo degli Enti autorizzati, i Servizi degli Enti locali, su richiesta, possono accompa-gnare la famiglia e il minore nel loro percorso di inserimento e formazione della famiglia. I Servi-zi infatti hanno il compito di riferire al Tribunale per i Minorenni l’andamento dell’inserimento, leeventuali difficoltà. A carico dell’Ente è profilabile analogo dovere? La risposta, alla luce della nor-mativa, sembrerebbe essere negativa ma di fatto, il problema investe, in prima battuta, proprio l’En-te che per primo, in genere, incontra la coppia al rientro dal Pese di origine del minore adottato.L’intervento, anche in questo caso, dovrebbe essere sinergico, soprattutto nei casi in cui l’inseri-mento in famiglia appaia non armonioso o addirittura difficile e doloroso.

L’allargamento del decreto di idoneità

Viene alla mente un’altra questione che spesso investe direttamente l’Ente rispetto a una compe-tenza non propria. Il documento legittimante la domanda di abbinamento con un minore stranie-ro è sicuramente il decreto di idoneità rilasciato dal TM, ma le autorità straniere prestano essenzia-le attenzione alle relazioni psicosociali che lo accompagnano ed è sempre più attuale la prassi dirichiederne approfondimenti e chiarimenti. Adempimenti cui l’Ente deve fare fronte, spesso in con-dizioni di urgenza e, sempre, accompagnato dal “sospetto” della coppia che, di fronte a quello cheinevitabilmente vive come un “intoppo”, un rallentamento, cova dentro di sé sentimenti di abban-dono, paure che sfociano in palesi accuse di incapacità nei riguardi dell’Ente. L’attuale panorama dei rapporti Ente autorizzato/Servizio sociale-Enti territoriali, non è dunque co-

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sì chiaro come servirebbe. La stessa formulazione della legge spesso induce a creare confusione diruoli, a rendere incerti i confini tra le rispettive competenze e responsabilità, come nel caso nevral-gico delle segnalazioni di eventi e casi particolari al Tribunale per i Minorenni.I Tribunali per i Minorenni, appunto. Da questa considerazione si può partire per un breve cen-no in merito ai rapporti con i TM che sono essenzialmente legati al contenuto del decreto di ido-neità. In conformità al principio per cui attraverso l’adozione si attua uno dei più importanti stru-menti di salvaguardia e tutela del minore abbandonato, i giudici, molto correttamente, hannoadottato la prassi di “disegnare” le caratteristiche del minore adottabile da quella specifica coppianell’ottica di concorrere a realizzare il migliore degli “incontri” possibili. Di conseguenza i decre-ti, spesso, nell’indicare (per età e numero) la tipologia di minore limitano la “spendibilità” all’este-ro del decreto.Ciò comporta notevoli difficoltà per l’Ente autorizzato, che poi concretamente si confronta con l’au-torità straniera, a causa della difficoltà dell’abbinamento da attuarsi sulla base di un’idoneità che,di fatto, viene avvertita non già come meglio specificata, bensì limitata. Da un lato, peraltro, le Au-torità straniere, sovrane nel loro Stato e nel loro ordinamento, mal tollerano invasioni di campo ri-spetto al momento cruciale della scelta della famiglia straniera di destinazione del proprio piccolocittadino; d’altro lato è spesso materialmente complicato rispettare le condizioni dettate in questidecreti di idoneità cosiddetti “vestiti”.La ricaduta sull’Ente, che – giova ribadirlo – non ha spazi di intervento efficaci, è facilmente im-maginabile e investe, come sempre, il rapporto di fiducia con la coppia. Le informazioni in meri-to sono chiare. Occorre, in caso di proposta di abbinamento (decisa altrove) non consentito daldecreto, l’allargamento dello stesso. Occorre averlo, spesso, con urgenza perché le proposte di ab-binamento vanno riscontrate. Molti TM, per motivi che appaiono a rigore correttamente ispirati,non consentono l’allargamento che integrerebbe di fatto una modifica di un provvedimento giudi-ziario già reso. Sebbene le maglie di questa tipologia di procedura, praticamente caratterizzate daun rito per così dire elastico, consentano spazi di intervento, spesso si tratta di apporre modifiche,nell’impossibilità di valutarne i presupposti in fatto e in diritto. Questi alcuni dei problemi.

Il rapporto con la CAI

Non certo secondario, poi, il rapporto con la Commissione per le Adozioni Internazionali, istituitapresso il Consiglio dei Ministri, organismo direttivo e di controllo.Oltre a quelle legate all’organizzazione degli Enti medesimi, sono sempre più pressanti e invasivele condizioni dettate con riguardo alla struttura e alla regolamentazione della vita degli Enti, tantoche sembra, a mio personalissimo giudizio, ormai inadeguata la struttura privatistica alla luce deilimiti imposti sotto vari profili (dalla tipologia delle sede sino alla dislocazione sul territorio). For-se occorre riconsiderare un po’ tutto, a cominciare dalla natura di questi soggetti per arrivare al fi-nanziamento degli stessi, che potrebbe risolvere automaticamente anche la questione della onero-sità della prestazione a carico della coppia. Tutto ciò sposta il discorso verso l’ultimo tema relativo alla questione della particolare posizioneche l’Ente autorizzato ha assunto tra i vari attori del sistema.

L’Ente autorizzato e i vari attori del sistema

Il rapporto tra Enti medesimi. Molto brevemente l’attenzione va posta sulla sostanziale disarmonia,intesa non già come contesto di scontro, ma come assenza di coesione. Troppe le differenze, si di-ce spesso. In primo luogo tra gli Enti storici, da una parte, e gli Enti di nuova costituzione, dall’al-tra: quelli costituiti in seguito e in virtù della riforma introdotta dalla legge di ratifica della Conven-zione de L’Aja. I primi, fautori di un drastico ridimensionamento del numero degli Enti (con quali

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criteri, viene da chiedere) continuano a essere i protagonisti del sistema, puntando troppo spessoil dito contro l’inadeguatezza dei secondi. Nelle occasioni di incontro presso la Commissione con-tinua a registrarsi sempre più, quando non ci viene chiaramente verbalizzato, un sentimento di me-ra “sopportazione”. Il sito ufficiale di una delle più grosse organizzazioni non governative operan-ti in Italia nel campo delle adozioni e della cooperazione, ospita un forum in cui, lungi dal trova-re asilo ordinate e misurate espressioni della libertà di pensiero e di opinione, si alternano al rac-conto della propria personale esperienza e alla ricerca di condivisione dei problemi, attacchi pe-santi e insulti rivolti non già all’Ente nella sua astratta impersonalità, ma al personale – spesso in-dicato per nome e cognome. Ciò in assenza di filtri, se non in casi rarissimi, in cui – guarda caso– l’attacco riguardi un’altra Ong.Un simile clima, lungi dal contribuire al raggiungimento del giusto obiettivo di standard comuni estrategie condivise a garanzia di una sempre maggiore professionalizzazione del settore, generaunicamente divisioni e provoca inevitabili interventi (invocati a gran voce da parte delle organiz-zazioni più grosse) volti a regolamentare dall’esterno l’organizzazione degli Enti i cui effetti ricado-no unicamente (spesso in termini economici insostenibili) su quelle realtà più piccole, ma non perquesto meno significative sotto il profilo del numero e della tipologia di procedure gestite e por-tate a compimento ogni anno.La strada dei coordinamenti, che il nostro Ente a oggi ha scelto di non percorrere, non sembra pro-durre risultati veramente incoraggianti. Osservata dall’esterno, questa realtà appare ancora piùframmentata. Si cominciano a registrare, anche in queste esperienze, contrasti e cambi di campo;scissioni e rimescolamenti. I criteri, individuati da ultimo per realizzare una sorta di rappresentati-vità presso la Commissione, penalizzano pesantemente i non aderenti, costringendo questi ultimia operare una scelta tra il restare fuori dal momento delle decisioni o allinearsi da un parte o dal-l’altra, rinunciando alla propria individualità e alla legittima volontà di rappresentarsi da sé.

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A dieci anni dall’entrata in vigore della legge di ratifica della Convenzione de L’Aja del 29 maggio1993 e dall’insediamento della Commissione per le Adozioni Internazionali, avvenuto nel 2000, sisono consolidate precise modalità di collaborazione che riguardano tutti i soggetti coinvolti nel pro-cedimento di adozione internazionale e in tutte le sue fasi, che vanno dall’ottenimento della ido-neità all’adozione, all’ingresso in famiglia del minore adottato, passando per l’attività di sostegnodelle coppie nel periodo di attesa, all’accompagnamento nei Paesi d’origine fino al supporto dopol’abbinamento.I compiti che la legge assegna alla Commissione sono ampi e tutti funzionalmente riferibili allo sco-po primario di rendere possibile e positivo, attraverso procedure corrette e stabili, l’ingresso deibambini provenienti da altre nazioni in una nuova famiglia.L’indirizzo di rigore, trasparenza e collaborazione che la CAI ha intrapreso unitamente agli Enti au-torizzati ha consentito di delineare un valido modello operativo in grado di offrire alle coppie omo-geneità di servizi nei diversi territori.Anche le Regioni, titolari delle competenze socio-assistenziali, hanno adeguato la legislazione na-zionale alle loro realtà territoriali e alla loro esperienza e cultura, dotandosi di leggi regionali spe-cifiche. Un’esperienza molto positiva viene, ad esempio, dalla Regione Piemonte che, attraversol’Agenzia regionale, ha realizzato il primo – e unico – servizio pubblico in Italia con il compito dipermettere l’incontro tra i minori in stato di abbandono e le famiglie desiderose di adottarli. Per quanto riguarda la Regione Siciliana, da alcuni anni l’impegno prioritario è di promuovere po-litiche per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia volte, in particolare, a sostenere una rete di servi-zi per l’adozione con l’obiettivo di rispondere in modo adeguato alla complessità del percorso adot-tivo. È stato infatti avviato un processo di inquadramento e accompagnamento dell’azione dei servizi ter-ritoriali per l’adozione con l’emanazione di diversi protocolli d’intesa e direttive interassessoriali tral’Assessorato della Famiglia e quello della Salute e si è realizzato il cosiddetto modello Sicilia per leadozioni. Si tratta di un innovativo sistema informatizzato di collegamento tra la Regione, il Tribu-nale per i Minorenni e i Servizi sociali dei Comuni, che ha come obiettivo il miglioramento e la ve-locizzazione delle procedure attraverso lo scambio immediato di informazioni, richieste e provve-dimenti nell’ambito della procedura relativa all’adozione nazionale. Tale sistema è stato realizzato aseguito del Protocollo d’intesa siglato nel settembre 2003 tra il Ministero della Giustizia, l’Assesso-rato della Famiglia e la Società Finconcept.net. Oggi è attivo nelle nove province e nei cinquanta-cinque distretti socio-sanitari siciliani. Seppure tale procedura riguardi solo le adozioni nazionali, èpossibile pensare di realizzare un sistema informatizzato che ne consenta l’applicazione anche alleprocedure di adozione internazionale, ovviamente tenendo conto delle specificità della materia.

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.

LA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI: TRA CONTROLLO E INCENTIVO1

Caterina ChinniciVicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali

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Fra i compiti fondamentali della CAI, essenziale è l’attività di indirizzo, che mira alla formazionedegli operatori del settore attraverso il confronto e lo scambio di esperienze, anche con Paesi stra-nieri, e per la quale è preziosissima la collaborazione con l’Istituto degli Innocenti. Attività di indi-rizzo è pure quella relativa all’organizzazione degli incontri periodici con le autorità giudiziarie mi-norili, con gli Enti locali e con le Regioni per verificare lo stato di attuazione della legge in mate-ria di adozione. La Commissione ritiene, altresì, strategicamente rilevante l’attività di collaborazio-ne con gli Enti autorizzati, che realizza attraverso la promozione di incontri periodici di approfon-dimento, nei quali tutti i soggetti coinvolti possono partecipare direttamente e contribuire così conle loro idee allo sviluppo del sistema adozione italiano.La Commissione svolge, inoltre, un ruolo fondamentale di promozione culturale dell’adozione in-ternazionale, sia attraverso l’attività di documentazione sia attraverso l’elaborazione delle statistichesull’andamento delle adozioni internazionali, che costituiscono la base per la predisposizione del-la Relazione biennale al Parlamento.Altro compito di natura gestionale, ma a carattere internazionale, è relativo alla collaborazione conle Autorità centrali degli altri Stati per la predisposizione dei testi degli accordi bilaterali da propor-re al Governo e per la realizzazione delle intese semplificate firmate direttamente dal presidentedella Commissione. Nella consapevolezza che l’attività in materia di adozione internazionale deve essere svolta nel-l’esclusivo interesse dei bambini, la CAI, oltre ad adempiere ai compiti appena descritti, si occupadi realizzare progetti di sussidiarietà, facendo proprio l’impegno assunto dall’Italia di promuoveree finanziare programmi concordati di cooperazione internazionale a favore dell’infanzia in difficol-tà finalizzati alla prevenzione e al contrasto del fenomeno dell’abbandono dei minori nel Paese diorigine, attraverso azioni e interventi che consentano loro di rimanere nella propria famiglia e, piùin generale, nella comunità di appartenenza, per esempio con l’aiuto – anche in forma di micro-credito – alle madri adolescenti e alle coppie giovani per acquisire competenze genitoriali; o conla deistituzionalizzazione e l’accoglienza dei minori nella famiglia di origine attraverso l’affidamen-to eterofamiliare o in Casa famiglia.Oltre ai compiti di natura gestionale e amministrativa, tra i compiti più importanti svolti dalla CAIrientrano quelli di controllo e vigilanza.La CAI autorizza, infatti, gli Enti allo svolgimento delle procedure di adozione in campo interna-zionale solo dopo avere accertato che essi possiedano i requisiti richiesti dalla legge, curando con-seguentemente la pubblicazione nell’albo degli Enti autorizzati. In particolare, sono richiesti requi-siti professionali, tecnici, consolidati e verificabili sia ai componenti dell’organo direttivo dell’Entesia al personale che assolve a compiti direttivi, così come ai collaboratori e ai consulenti in Italia.È importante, infatti, che la CAI svolga questa attività di verifica, se ci si ferma a pensare che glienti autorizzati rappresentano l’immagine dell’Italia e delle coppie adottanti italiane all’estero e cheprocedure corrette, uniformi e chiare rendono sicuramente più agevole il percorso di adozione.Anche il controllo circa la congruità dei costi delle procedure di adozione attraverso parametri uni-formi previsti dalla cosiddetta scheda costi rientra tra le attività che la CAI realizza per favorire l’ado-zione di metodologie e modalità di intervento omogenee.Alla CAI spetta, conseguentemente, anche il compito di verificare nel tempo la permanenza deipredetti requisiti, vigilando sull’operato degli Enti medesimi, attraverso controlli, a campione, chepossono portare a provvedimenti limitativi, sospensivi o anche di revoca dell’autorizzazione. Se nel corso delle verifiche vengono rilevate delle irregolarità, il Regolamento prevede un proce-dimento amministrativo, previa contestazione dei fatti, alla fine del quale si provvede a erogare leeventuali sanzioni ritenute necessarie e adeguate.La CAI vigila sugli Enti autorizzati affinché i rapporti tra le autorità straniere e le coppie siano im-prontati alla massima correttezza. Infatti l’adozione dei bambini stranieri è un percorso umanamen-te delicato e proceduralmente complesso, che si sviluppa in parte nel nostro Paese, secondo rego-le e condizioni previste dal nostro ordinamento, e in parte nel Paese di origine del bambino daadottare, nel rispetto di regole e procedure ivi previste.Occorre sottolineare che le coppie italiane che aspirano ad adottare un minore straniero ben com-

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prendono quale sia lo spirito che deve animare questa scelta così forte e sono preparate ad affron-tare il percorso che attende loro. In ciò sono sostenuti in maniera qualificata dagli Enti autorizzati,che orientano la coppia nella scelta del Paese e organizzano incontri, dai contenuti essenzialmenteformativi, finalizzati all’acquisizione di un buon livello di consapevolezza in ordine sia alle respon-sabilità che discendono dall’adottare un bambino sia al delicato ruolo di riconoscere e accogliere ildisagio e la sofferenza del bambino a cui garantire “una base sicura” che gli consenta, da un lato,di riconciliarsi con il proprio passato e, dall’altro, di proiettarsi positivamente nel futuro. I risultati di questa attività formativa e di orientamento sono, senza ombra di dubbio, eccellenti: lecoppie adottanti dimostrano un’apertura senza alcun pregiudizio o remora nei confronti della pos-sibilità di adottare un bambino più grande di quello che avrebbero desiderato o più bambini o, an-cora, un bambino con difficoltà. Nemmeno la consapevolezza dei costi non indifferenti da soste-nere (in relazione alla procedura, ai viaggi e alla permanenza nel Paese estero) induce le coppiea rinunciare all’idea di adottare un bambino straniero. È giusto, tuttavia, prevedere interventi pubblici, anche di sostegno economico, che supportino lacoppia nella decisione di adottare un bambino straniero: il legislatore ha introdotto, infatti, alcunibenefici economici quali la deducibilità ai fini fiscali del 50% delle spese sostenute dalla coppia perl’espletamento della procedura adottiva; nonché il rimborso delle spese fiscalmente non deducibi-li in quanto eccedenti la quota massima ammessa al beneficio sopraindicato attraverso il “Fondoper il sostegno delle adozioni internazionali” istituito presso la Presidenza del Consiglio con legge30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005).Anche la Regione Siciliana, con la legge regionale n. 10/2003, autorizza l’Assessorato della Fami-glia a concedere contributi sino al 50% delle spese sostenute dalle famiglie che intendono adotta-re bambini ai fini dell’espletamento delle procedure di adozione internazionale, sulla base di pa-rametri predeterminati e in conformità alle competenze in materia delegate dallo Stato alle autono-mie locali.In conclusione, è possibile affermare che l’attività della Commissione per le Adozioni Internazio-nali, in questi primi dieci anni di funzionamento, si è svolta in sinergia con tutti i protagonisti coin-volti per l’affermazione della cultura dell’adozione intesa come scelta libera e consapevole dellacoppia di offrire, con totale gratuità, una famiglia a un bambino straniero, nel pieno rispetto delleprevisioni contenute nella normativa internazionale e italiana di riferimento.

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Con recente sentenza (3572/2011) la Cassazione ha respinto il ricorso di una donna di Genova chechiedeva di far divenire “legittimante” l’adozione (cosiddetta “in casi particolari”) per la quale eradivenuta mamma single di una bambina russa, ma nel contempo ha auspicato un intervento dellegislatore perché “apra” l’adozione piena anche ai single. Come era prevedibile, la sentenza ha scatenato una serie di vivaci reazioni e commenti pro e contro.Questo è, tutto sommato, buon segno. Vuol dire, certo, che l’argomento è un nervo scoperto e si pre-sta a opposte interpretazioni. Ma vuol dire anche che l’attenzione su quel tema non è sopita o di-stratta, che la sensibilità è acuta. Non è sempre così, quando si ipotizza un cambiamento legislativo.Un esempio? In Parlamento sono state presentate da tempo proposte di legge (oggi riunite in un Te-sto unico alla Camera) relative a un cambiamento del sistema anagrafico: prevedono che il cognomepaterno sia affiancato da quello materno (qualcuno vorrebbe che fosse sostituito tout court da quel-lo materno, passando così da una probabile “ingiustizia anagrafica” a una identica ma di segno op-posto). Su questo tema – dalle profonde implicazioni storiche, psicologiche, sociali – mi sembrereb-be giusta una riflessione, un dibattito. Invece sembra che non interessi proprio a nessuno.Ma torniamo all’adozione e ai single. E diciamo subito che quello della Cassazione è solo un pa-rere, un auspicio. Senza nulla togliere all’autorevolezza delle osservazioni e della loro fonte, si trat-ta di un invito al legislatore, niente di più. Per cui suonano come forzatura giornalistica alcuni ti-toli che fanno pensare senz’altro a una decisione della Suprema Corte. Come quello di “La Repub-blica” del 15 febbraio scorso: Famiglia, svolta della Cassazione: “Anche i single possono adottare”(con l’aggravante delle virgolette che richiamano a una inesistente frase testuale). Proprio l’invito dei giudici ha innescato una polemica nella polemica, poiché in molti hanno rile-vato criticamente i sempre più frequenti “suggerimenti” al legislatore da parte della giurispruden-za di merito e di legittimità e persino della Corte Costituzionale (per esempio, un analogo rinvioal legislatore fu rivolto dalla Corte Costituzionale, con sentenza 61/2006, a proposito della questio-ne del cognome alla quale accennavo in precedenza). Così il sottosegretario alla Famiglia CarloGiovanardi ha parlato di “invasione di campo dei magistrati nel lavoro dei legislatori”.Sul contenuto, invece, della raccomandazione, pareri molto discordi. La Chiesa ha trovato il suoportavoce nel cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, secon-do il quale “la priorità è il bene del bambino, che esige un padre e una madre”. In genere, questaè la posizione del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiastiche. Con qualche clamorosa ecce-zione, come quella del cardinale Ersilio Tonini, che nel 1996, parlando al “Corriere della Sera”, nonebbe dubbi: “Piuttosto che l’orfanatrofio è meglio il single”1. Si era conclusa da un paio d’anni la vicenda giudiziaria (e umana) dell’attrice Dalila Di Lazzaro,che aveva condotto una lunga battaglia per poter adottare, da single, un bambino. Nel 1993 Di Laz-zaro, rappresentata dalle avvocatesse Donella Resta e Maretta Scoca, aveva avuto il “sì” della Cor-

1 Il cardinale Tonini: “Le adozioni? Meglio i single che l’orfanotrofio”, in “Corriere della Sera”, 27 febbraio 1996, 14.

ADOZIONE AI SINGLE: FORSE GIUSTO APRIRE LA PORTA, NON SPALANCARLA.IN MARGINE ALLA RECENTE SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Maurizio QuiliciPresidente dell’Istituto di studi sulla paternità (ISP)

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te d’Appello di Roma, che si era rifatta alla Convenzione internazionale di Strasburgo del 24 apri-le 1967, resa esecutiva in Italia con la legge 22 maggio 1974 n. 357, la quale consentiva l’adozio-ne piena anche ai single (art. 6). La stessa Corte, però, aveva ravvisato contrasto con il dettato co-stituzionale degli articoli 29 e 30 che tutelano i diritti della famiglia e dei minori che ne fanno par-te ed espresso dubbi anche in riferimento all’art. 3. Ragion per cui aveva sollevato questione di in-costituzionalità della norma pattizia e sospeso con ordinanza il giudizio in corso. Come molti ricor-deranno, nel maggio 1994 la Corte Costituzionale negò la possibilità di adozione da parte dei sin-gle (sentenza 183/94) dichiarando inesatto il presupposto interpretativo, ossia che la Convenzionedi Strasburgo in materia di adozioni possa vincolare il legislatore italiano. Non si tratta – secondoquella sentenza – di obblighi, ma di facoltà. Anche in quel caso – è bene ricordarlo – la Corte Co-stituzionale osservò che nulla impediva al legislatore italiano, se lo riteneva opportuno, di amplia-re l’ambito della adozione da parte dei single.Divisi i pareri anche fra i magistrati. Contraria, per esempio, la presidente del Tribunale di Roma,Melita Cavallo, che in più occasioni recenti ha ribadito la sua convinzione che il bambino adotta-to abbia diritto a una famiglia composta da un padre e da una madre. Favorevole, invece, BrunoDe Filippis, presidente di Sezione del Tribunale di Salerno, che ha coordinato un progetto di rifor-ma del Diritto di famiglia (poi confluito nella p.d.l. n. 3607, Bernardini e altri, presentata il 6 luglio2010, nel quale è previsto espressamente il riconoscimento del diritto di adozione per la personasingle)2. Di solito i magistrati non sono favorevoli. In un articolo di Adele Cambria su “Il Giorno” del 4 di-cembre 1994 esprimevano la loro contrarietà Giuseppe Magno, Franco Occhiogrosso, Paolo Dusi,Simonetta Matone... Oggi, poi, tutti i contrari – Giovanardi in testa – ricordano come in realtà l’ado-zione ai single sia consentita in “casi particolari” dall’art. 44 della legge 149/2001. Com’è noto, que-sto articolo comprende casi nei quali l’adozione da parte del single viene a sanare una situazionenella quale emergono motivi di particolare considerazione a tutela del rapporto adottato/adottan-te. Tuttavia, questa adozione mantiene alcune limitazioni rispetto all’adozione “piena” o “legitti-mante” (per esempio in ordine alla successione).La materia è delicata: implica considerazioni di carattere sociale, giuridico, etico; spinge a riflessio-ni (e richiede conoscenze) di psicologia dell’età evolutiva, di pedagogia e sociologia della famiglia;per un giudizio sereno vorrebbe raffronti e analisi con quei Paesi (molti) nei quali l’adozione da par-te dei single è assolutamente legale; pretenderebbe anche una conoscenza puntuale e precisa deinumeri e delle situazioni. Ecco: cominciamo da quest’ultimo punto, quello che dovrebbe essere ilpiù oggettivo e indiscutibile. “Dovrebbe”, appunto. Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi (Amici deiBambini), in un’intervista sostiene che “è aumentato in modo eccezionale il numero dei bambini ab-bandonati e sono diminuite le richieste da parte delle coppie”. Griffini riporta questi dati: 145 milio-ni nel 2004 i bambini in cerca di una famiglia adottiva, aumentati oggi fino a 166 milioni. Quantoalle coppie che fanno richiesta di adozioni, nel 2006 erano state ritenute idonee in seimila, mentrenel 2010 sono state circa la metà. Per non parlare della percentuale di coppie che, pur avendo avu-to l’idoneità, non portano a termine l’adozione: sarebbe pari – sempre per Griffini – al 40%. È dello stesso avviso Giancarlo Arnoletti, presidente del Cifa, uno degli enti di adozione interna-zionale presenti in Italia, che in un’altra intervista sottolinea “un netto calo di domande mentre ibambini abbandonati aumentano”. A Giovanardi, però, questo “non risulta assolutamente”. In attesa di sapere come stanno effettivamente le cose, affrontiamo il punctum dolens di tutta laquestione, mettendoci, come è giusto che sia, nell’ottica del bene dei bambini. Un genitore singlepuò e deve essere messo sullo stesso piano di una coppia per il bene dei piccoli adottati? Io pen-so che in linea di principio la situazione ottimale non possa che essere quella della coppia genito-riale, che ripete il nucleo “naturale” della famiglia. Attenzione: so bene quanto i termini “natura”,“naturale” e “diritto naturale” siano ambigui e si siano prestati, nel corso della storia, a giustificareerrori e mostruosità (non solo il predominio “naturale” dell’uomo sulla donna, del padre sui figli,ma, quel che è peggio, del forte sul più debole). Tuttavia, credo che nel modello maschile/pater-

2 Bilotta, De Filippis (a cura di), Amore civile, Milano, 2009, 18, 34.

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no e femminile/materno il bambino, prima, e l’adolescente, poi, trovi il quadro di riferimento mi-gliore (ripeto: teoricamente migliore). Erich Fromm, uno dei più stimati epigoni di Freud, ha scrit-to che “nel passaggio dall’attaccamento materno a quello paterno, e nella loro conseguente sintesi,sta la base della salute mentale e della conquista della maturità. Nel fallimento di questo sviluppo stala causa fondamentale della nevrosi”3. È legittimo chiedersi se certe tappe evolutive che psicoana-lisi e buona parte della psicologia legano alla presenza delle figure paterna e materna siano pos-sibili in presenza di un solo genitore, costretto ad assolvere due ruoli genitoriali. Alludendo allacomplessità dei compiti accuditivi e educativi dei genitori, John Bowlby, famoso psicoterapeuta in-fantile al quale si deve la importante “teoria dell’attaccamento” (oggetto di critiche per aver prati-camente ignorato il ruolo del padre) ha scritto che “occuparsi di neonati e di bambini non è un la-voro per una persona singola. Se il lavoro deve essere fatto bene e se si vuole che la persona che pri-mariamente si occupa del bambino non sia troppo esausta, chi fornisce le cure deve ricevere a suavolta molta assistenza”4. Siccome però mi si potrebbe dire che altri psicologi e psicoanalisti pongono l’accento su diversiaspetti della questione, ne citerò uno io stesso: Alice Miller, psicoanalista nata in Polonia ma che hastudiato e operato in Svizzera, dedicandosi in particolare agli abusi sui bambini, afferma “Ogni bam-bino piccolo ha bisogno della compagnia di una ‘persona’ (non ha importanza se si tratti del padreo della madre) che capisca i suoi sentimenti e che non sia autoritaria nei suoi confronti”5. Qui l’ac-cento non è sulle persone, sui genitori, ma sul sentimento. È certamente vero: un bambino ha biso-gno anzitutto di amore, cura, comprensione, empatia. Se sia un uomo o una donna a darli, una per-sona sola o due, coppie etero od omosessuali, coppie regolarmente sposate o conviventi è secon-dario. Secondario, ma non irrilevante. È ovvio che ci possano essere ottimi genitori single e cattivecoppie. Ancora più ovvio che sia preferibile l’amore di un single (padre o madre adottivi) che nonla Casa famiglia. Difficile concordare con quanto ebbe a dire il teologo Gino Concetti: “Meglio per ibambini stare in istituti, asili o collegi, dove possono avere una completezza di affetti maggiore diquella che potrebbe offrire loro una persona singola”6. Ovvio anche che in molti casi – per morte, perscelta di un genitore, per separazione fra coniugi – sia un genitore solo a occuparsi dei figli. Questeperò sono circostanze accidentali, non situazioni codificate, istituzionalizzate, previste per legge.Ma noi, mi chiedo, dobbiamo ragionare sulle categorie o sui casi singoli? Perché se ragioniamo percategorie, allora cercheremo il risultato migliore in via di ipotesi, di media statistica, di “normalità”dei casi avvalorata dall’esperienza e, appunto, dalla statistica; ma così facendo rischieremo di sa-crificare il caso concreto, la fattispecie. La scelta fatta sui singoli casi sembrerebbe la più giusta ela più efficace a garantire il futuro dei bambini adottati e la riuscita dell’adozione, ma essa richie-de inevitabilmente maggiore attenzione, maggiore professionalità, tempi più lunghi. Per fare unesempio: periodicamente si propone di consentire il rinnovo della patente solo fino a una certa età(di solito ottant’anni). L’esperienza medica e la statistica, infatti, ci dicono che dopo quell’età è pres-soché inevitabile un calo dei riflessi e una riduzione dei sensi, vista e udito in primis. Ma è anchevero che ognuno (entro certi limiti...) è un caso a sé, e che può ben esserci un ottantenne che gui-da complessivamente meglio di un sessantenne.Non sono tra i difensori a spada tratta dell’adozione ai single, ma nemmeno fra coloro che demo-nizzano una simile ipotesi. Non mi sembra giusto escludere questa possibilità, mi sembra invecegiusta una gradazione, ossia considerare in primo luogo l’adozione da parte della coppia (che con-sente la presenza, certamente ottimale, di una figura maschile e di una femminile) ma ammettereanche la possibilità generalizzata dell’adozione al single, non più limitata ai “casi particolari” comeprevede la legge del 2001 all’art. 44.Mi rendo conto che impostando così il problema si rischia di rendere puramente teorica, di fattoinapplicabile, l’adozione ai single, dato che il numero di richieste da parte delle coppie (nonostan-

3 Fromm, L’arte di amare, Milano, 1963, 51.4 Bowlby, Una base sicura, Milano, 1989, 2.5 Miller, La persecuzione del bambino, Torino, 1987, 18.6 “Corriere della Sera”, 4 dicembre 1994.

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te quella che secondo alcuni è una inversione di tendenza) supera di gran lunga quello dei bam-bini in stato di adottabilità. Mi chiedo anche – è solo una domanda, non è un colpo basso contro le richieste dei single – se“aprire” ai single non possa accrescere il rischio pedofilia. Sembra ripugnante, ma bisogna fare iconti con la realtà. Può anche sembrare un dubbio peregrino. Nel corso di una trasmissione radio-fonica7 una mamma adottiva single, Renata, ha definito “tortuoso” il mio ragionamento. Ma forseRenata non sa che c’è una certa percentuale di bambini adottati che vengono tolti ai genitori adot-tivi e di nuovo posti in stato di adottabilità (con quale ripetizione di traumi è facile immaginare)non solo perché i genitori non hanno retto il carico e le dinamiche che si sono attivate, ma ancheperché si sono rivelati genitori maltrattanti o, peggio, sessualmente abusanti. In questi casi ci sichiede come sia stato possibile che un iter vissuto da molte coppie come frustrante e vessatorioabbia potuto prendere simili abbagli. Sono casi che sconvolgono due volte, non solo per l’orroreche sempre suscita questo reato, ma perché viene il sospetto che tutto l’itinerario per l’adozionefosse preordinato. D’altro canto, è ben noto a quanti si occupano di abusi sessuali all’infanzia chea volte i “predatori di bambini” non esitano ad affrontare lunghi percorsi professionali pur di tro-varsi laddove appare più “normale” e ufficiale il suo rapporto con le piccole vittime. Detto questo,è legittima l’osservazione che gli abusi sessuali sono spesso perpetrati sui figli biologici, in quellefamiglie regolarmente costituite e apparentemente “normali”, dove spesso (non sempre) l’orco è ilpadre, ma la madre sa e tace.Mancano studi longitudinali sugli esiti dell’adozione a un genitore single. Ovviamente è un circo-lo vizioso: non possono esserci studi su una situazione che la legge non consente. È lo stesso pro-blema che si pone per le coppie omosessuali che vorrebbero adottare; per questo in Italia stiamoutilizzando ricerche svolte in Paesi dove l’adozione da parte di genitori gay è possibile. È anche lostesso, assurdo problema che si pose negli anni successivi alla legge 6 marzo 1987 n. 74 che ave-va introdotto l’affidamento congiunto. Chi si batteva perché quell’opportunità introdotta dalla leg-ge (con formulazione oscura e svogliata) venisse valorizzata e quella formula fosse riempita di con-tenuti si sentiva rispondere: “Ma non ci sono ricerche in merito, e non c’è giurisprudenza...”. Nonpotevano esserci né ricerche né giurisprudenza fino a quando i giudici non avessero abbandona-to la loro malcelata avversione verso questa forma di affidamento, considerato – così si espressecon me un giudice del Tribunale di Roma – “una panzana inventata dagli psicologi”. Potremmoperò, prima di dare giudizi, andare a vedere gli studi svolti in quei Paesi dove l’adozione ai singleè consentita senza particolari limitazioni. Dirò che – più del divieto per i single – mi scandalizza l’impossibilità di adottare da parte dellecoppie di fatto (che rispondano, s’intende, a certi requisiti di stabilità, affidabilità e durata), un di-vieto che mi sembra ancorato a una concezione cattolica di salvaguardia del matrimonio.Credo di poter comprendere bene il desiderio di genitorialità di una persona sola (in questo casomeglio dire “single”, perché “sola” fa inevitabilmente pensare all’adozione come a una compensa-zione di solitudine), tanto più che penso che oltre all’istinto materno si possa parlare – pur con ca-ratteristiche diverse – anche di “istinto di paternità”. Un desiderio di dare amore (e di riceverlo, co-m’è di ogni genitore) certo non censurabile, non esecrabile per il solo fatto, continuamente eviden-ziato, che ciò che rileva è anzitutto il diritto alla felicità del bambino.Personalmente – e nonostante le mie perplessità – credo che comunque l’adozione ai single sia so-lo questione di tempo. Mi sembra che le condizioni della società siano mutate rispetto alla vicendaDi Lazzaro, e l’atteggiamento della Cassazione, ben più aperto rispetto a precedenti pronunce dellastessa Corte, ne è la riprova. In un sondaggio della Full Research per il TG5, compiuto attraverso600 interviste telefoniche, il 69,7% degli intervistati ha ritenuto che sia “meglio un genitore che nes-suno”. Il 20,8%, invece, ha risposto: “No, un bambino ha bisogno di un padre e di una madre”. Insomma: non spalancherei la porta ai single, ponendoli in una sorta di competizione con le cop-pie, ma non la sbarrerei. Entrare con fatica, con cautela, con molte condizioni mi sembra una giu-sta difesa per meglio garantire il futuro dei figli adottati.

7 Radio3, “Fahrenheit”, 15 febbraio 2011.

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È da alcuni anni che la Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di adozioni da parte di sin-gle, generalmente in relazione al riconoscimento di adozioni pronunciate all’estero ai sensi dell’art36 ultimo comma delle legge 184/83, segue uno schema sempre uguale: conferma del provvedi-mento di rigetto e sollecito al legislatore perché i tempi sono maturi per superare la riserva di leg-ge posta in favore delle coppie coniugate. Regolarmente queste pronunce hanno un rilievo me-diatico eccessivo e che non favorisce la comprensione della loro contenuto e della loro portata, eche sortisce l’effetto di riaccendere il dibattito sul tema delle adozioni dei single (o delle coppiedi fatto).Giova, quindi, tentare di fare il punto della questione sul piano dell’ordinamento vigente.Il legislatore italiano ha compiuto una scelta netta in favore delle coppie coniugate, riservando aqueste ultime l’adozione piena o legittimante. È pacifico, ormai, che tale riserva non si possa por-re in discussione né per via interpretativa né attaccandola sul piano della legittimità costituzionale. Questa fu, in sintesi, l’esito della nota vicenda processuale a cui diede impulso l’attrice Dalila DiLazzaro, e che viene ricostruita nel contributo della dr.ssa Ceccarelli in questo stesso numero del-la Rivista. La Consulta ebbe l’occasione di affermare che la questione dell’adozione dei single èquestione di politica legislativa e non di limiti costituzionali: “I princìpi costituzionali richiamatinell’ordinanza di rimessione non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae inguisa da non consentire l’adozione da parte di un singolo [...] essi esprimono un’indicazione di pre-ferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi [...]. Fermo questo criterio di preferenza,gli artt. 3, 29 e 30 non si oppongono ad un’innovazione legislativa che riconosca in misura più am-pia la possibilità che [...] l’adozione da parte di una persona singola sia giudicata la soluzione inconcreto più conveniente all’interesse del minore”. Un’altra tappa importante del percorso in tema di single e adozione è rappresentato dall’ordinan-za 347/2005 della Corte Costituzionale, che ha dettato l’interpretazione corretta delle norme in ma-teria di adozione internazionale con riguardo alla possibilità che vi possano accedere anche i sin-gle. L’orientamento contrario, uniforme e indiscusso dei TM e dalla scarna dottrina che si era oc-cupata del tema, era che i single non potessero candidarsi all’adozione internazionale, chiedendoil certificato d’idoneità, nemmeno laddove il paese straniero di origine del minore ammettessel’adozione da parte dei single. Il TM di Cagliari rompeva quest’uniformità di orientamento, prospet-tando l’illegittimità costituzionale delle norme della legge 184/83, così interpretate, in quanto nonconsentivano ai minori stranieri l’accesso all’adozione in capo a single negli stessi casi particolariin cui vi hanno accesso i minori italiani. La Corte Costituzionale, con ordinanza 347/2005 rigettavala questione in quanto manifestamente infondata, affermando che l’asserita preclusione ai singledell’adozione ai minori stranieri non esiste. Tra le principali argomentazioni dell’ordinanza vi sonole seguenti:

a) l’adozione in casi particolari, che ha effetti più limitati dell’adozione legittimante, non presentaaspetti di eccezionalità o almeno peculiarità tali da impedirne l’estensione agli stranieri;

ADOZIONE AI SINGLE SÌ O NO. LA NECESSITÀ DI UN MODELLO NUOVO

Francesco PisanoAvvocato del Foro di Cagliari e componente del Direttivo nazionale AIAF

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b) dalla normativa non è dato evincere il divieto di rilascio del certificato d’idoneità all’adozionedi minori stranieri in casi particolari, con la conseguenza che tale rilascio deve ritenersi consen-tito quando ricorrono i presupposti d’idoneità del richiedente;

c) si deve quindi ritenere ammissibile l’adozione internazionale negli stessi casi in cui sono am-messe sia l’adozione nazionale legittimante sia quella in casi particolari, in quanto le norme diprotezione per i minori italiani non possono non valere anche per i minori stranieri, principiogià affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 199/1986.

L’ordinanza 347/2005 fu pronunciata su un caso di adozione cosiddetta mirata o nominativa; e ta-li sono quasi tutte quelle che i single hanno tentato e tentano di realizzare, con richieste volte aconsacrare e proteggere rapporti che si sono creati e consolidati nel tempo.Questa circostanza ha fatto sì che sia rimasta irrisolta, almeno apparentemente, la seguente que-stione: se l’adozione internazionale dei single, a cui la pronuncia ha aperto la strada, sia limitataalle cosiddette adozioni mirate o nominative o se una persona singola possa chiedere di essere di-chiarata idonea all’adozione di un minore da individuare successivamente tra quelli che presenta-no caratteristiche tali da rientrare nei casi particolari di cui all’art. 44.La mia opinione è che una volta ammessa l’operatività dell’adozione in casi particolari anche inambito internazionale non si possa poi ridurre tale operatività ai soli casi di rapporto preesistentetra aspirante adottante e adottando. Ciò significa che si aprirebbero per i single notevoli possibili-tà. Penso alle ipotesi di cui alla lettera c), minori affetti da grave handicap; o lettera d), impossibi-lità di affidamento preadottivo. Il concetto di impossibilità dell’affidamento preadottivo è stato uti-lizzato dalla giurisprudenza in diverse ipotesi che prescindono dall’esistenza di un rapporto pree-sistente, come quelle dei minori grandicelli o con ogni tipo di condizione personale per cui nonvi siano coppie disponibili all’adozione. Pensiamo, ancora, ai casi che fondano la maggior partedelle pronunce di adozione nazionale ex art. 44 lett. d): i casi di cosiddetto semiabbandono per-manente, nei quali la giurisprudenza ha ritenuto sussistere un’impossibilità giuridica di dare luogoall’affidamento preadottivo, per l’insussistenza del presupposto dell’abbandono e quindi della di-chiarazione di adottabilità. È agevole notare che in queste ipotesi non viene in rilievo un rappor-to preesistente con l’aspirante adottante, ma il permanere di un vincolo affettivo e di relazione si-gnificativa con la famiglia d’origine, che non è interesse del minore travolgere con l’adozione le-gittimante. Nelle ipotesi di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo rientrano pienamen-te, a mio parere, i minori in situazioni di abbandono provenienti da paesi di cultura islamica, i cuiordinamenti non ammettono l’adozione legittimante; l’unico strumento di tutela dei minori nelle si-tuazioni d’inadeguatezza della famiglia d’origine in questi Paesi è l’istituto della kafalah, richiama-ta anche dalla Convenzione dell’Onu del 1989. Per questi minori è preclusa la possibilità di affida-mento preadottivo, cui segue l’adozione legittimante con la rottura dei legami con la famiglia d’ori-gine. La kafalah trova invece rispondenza o è comunque compatibile, proprio con l’adozione chein Italia è detta “in casi particolari”, e in Francia adoption limitée, in contrapposizione a quella ple-nière, dall’effetto legittimante. Dunque, a mio avviso, se i single possono candidarsi all’adozione diun minore straniero in casi particolari, come ha detto chiaramente la Corte Costituzionale, ben pos-sono chiedere l’idoneità ad adottare non solo un minore individuato, facendo valere un preesisten-te rapporto affettivo, ma, ad esempio, un minore proveniente da un ordinamento islamico, oppu-re un minore per il quale non si ritenga di poter trovare una famiglia; un qualunque minore, in-somma, per il quale, per i più diversi motivi, non si possa procedere all’affidamento preadottivo.Gli spazi che la pronuncia della Corte Costituzionale ha aperto ai single sono dunque significativi.O, meglio, lo sarebbero, dato che fino a oggi vi sono state solo due richieste di questo tipo, a cuisono seguite tre pronunce (una in doppio grado di giudizio), tutte negative in punto di ammissi-bilità. Il segnale proveniente dai giudici minorili è molto preciso: se la Corte di Cassazione tira lagiacca al legislatore per avere un legge più moderna – e, soprattutto, per quanto la Corte Costitu-zionale sia stata chiara –, i giudici minorili vanno in direzione ostinata e contraria e cercano di li-mitare i danni di queste aperture; per riprendere la metafora utilizzata da Maurizio Quilici nell’ar-ticolo che precede, la porta è tenuta socchiusa e ben presidiata. La pronuncia della Corte Costitu-zionale viene interpretata in modo scorretto e restrittivo, nel senso che i single potrebbero adotta-

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re un bambino straniero solo nei rari casi di rapporto preesistente col minore da adottare; e l’istrut-toria sull’idoneità di questi aspiranti adottanti si estende fino all’approfondita valutazione del rap-porto, a volte addirittura con l’audizione del minore e il suo coinvolgimento nell’attività di indagi-ne che compete ai servizi.

Conclusioni

Nel nostro ordinamento i single possono adottare minori, sia italiani, sia stranieri, ma solo ove ri-corrano le condizioni di cui all’art. 44 l. 184/1983, lett. a), c) e d). Nel caso di minori italiani pro-cede il giudice italiano, sia agli accertamenti sia alla pronuncia (art. 57 l. 184/1983); nel caso di mi-nori stranieri si applicano le norme procedimentali dell’adozione internazionale: idoneità (all’ado-zione di quel minore o di un minore per il quale non sia possibile l’adozione legittimante), incari-co all’Ente (con eventuale identificazione del minore che presenti i requisiti di cui all’art. 44), ado-zione all’estero che deve rispettare indicazioni e limiti contenuti nel decreto, valutazione della CAIche autorizza l’ingresso in Italia del minore e infine nuovo passaggio giurisdizionale con la dichia-razione di efficacia in Italia. Questa è la ricostruzione della situazione attuale.In conclusione voglio evidenziare che se da una parte viene invocata una maggiore apertura in se-de di riforma della legge, dall’altra ai single viene concesso, dai giudici di merito, molto meno spa-zio di quello che l’attuale assetto normativo già renderebbe possibile, alla luce dell’interpretazioneautentica che della legge ha dato la Corte Costituzionale. È pur vero, però, che sono stati pochis-simi, fino ad ora, i single che hanno posto la questione candidandosi all’adozione internazionaleal di fuori dei casi di adozioni mirata. Così come, del resto, sono assai rari i single che si candida-no presso i TM per affidamenti o adozioni in casi particolari.Il dibattito sull’aprire o meno ai single mi pare, dunque, sia sovradimensionato rispetto alle realirichieste che provengono da questa categoria di persone; l’eccesso di enfasi mi pare assumere unaconnotazione ideologica e di valore simbolico sia da parte di chi sosteine una totale parificazionerispetto alle coppie coniugate, sia rispetto alla sfiducia e alla paura che provengono da parte op-posta. La prima cosa che ritengo si debba considerare è che il venir meno della riserva in favoredei coniugi non avrebbe pericolosi effetti di eversione. Non c’è da arginare un esercito di singleche premono alle porte, ponendo in revoca princìpi di ordine pubblico interno e sovvertendo irapporti sociali su cui il nostro Paese è fondato. Credo sia sufficiente ricordare che nel nostro Pae-se stanno crescendo centinaia di migliaia di bambini in aggregazioni familiari in cui l’imitatio na-turae sbiadisce per via delle separazioni dei genitori biologici e la ricomposizione di nuove cop-pie; e tra queste ci sono anche, ad esempio, tantissime coppie omosessuali che, secondo una sti-ma del 2005, accudiscono circa centomila bambini nel nostro Paese. Considerando che negli ulti-mi dieci anni sono stati adottati in Italia non più di trentamila bambini, possiamo renderci facil-mente conto che il tema “adozioni single sì o no” deve essere affrontato prima di tutto riportan-dolo alle dovute proporzioni rispetto al più ampio tema della protezione dei minori e della con-dizione minorile nel nostro Paese. La seconda considerazione che ritengo necessaria è che, piut-tosto che invocare l’ammissione dei single nell’attuale configurazione dell’istituto, sia giunto il tem-po di rivederne il modello, superando lo schema dell’imitatio naturae e orientandosi verso un mo-dello nuovo che, da un lato, garantisca pienamente lo stato di filiazione (che dovrebbe finalmen-te perdere l’attributo di legittima che evoca ancora discriminazioni tra persone minorenni); dall’al-tro perda la rigidità dell’interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine, la segretezza e i limitialla conoscenza delle origini e tutti gli elementi che continuano a connotare l’adozione come nuo-va nascita, per aprirsi al mantenimento dei legami d’origine, siano essi di nazionalità, culturali, diconcrete relazioni affettive. Penso a un modello che tenga insieme un’accoglienza forte (rifiutol’ambiguo termine mite, tanto in voga) e un’accoglienza aperta: forte, nella protezione garantita;aperta, rispetto al passato del minore e nel rispettare e promuovere la molteplicità delle sue ap-partenenze.Interruzione dei rapporti e segretezza dovrebbero scomparire quale corredo naturale dell’istituto

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ed essere di volta in volta, valutando l’interesse del minore nel caso concreto, oggetto di eventua-le disposizione del giudice. In questo schema non dovrebbe avere più peso l’ovvia affermazioneche “i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre” dato che spesso accade che questinon ci siano o non siano giudicati idonei; e allora i bambini hanno bisogno di essere accolti eamati: da chiunque sia disponibile e in grado di farlo. Parlando di adozione si usa spesso la me-tafora dell’innesto; questa è efficace anche a rilevare che non ha alcun senso restare ancorati a unmodello fondato sull’imitatio naturae. L’innesto è opera dell’uomo, è un intervento sullo svilup-po spontaneo dell’organismo che ne devia e ne condiziona il corso, rispetto a quanto accadrebbesecondo natura. Unico elemento comune ai due processi è che in entrambi i casi si possono ave-re buoni frutti.

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Quello che affronteremo è certamente uno dei momenti più dolorosi e drammatici di tutto il per-corso adozionale e, purtroppo, non infrequenti.La normativa vigente distingue nettamente, e senza possibilità né di errori né di interpretazioniestensive della norma, due precise possibilità di revoca di adozioni già dichiarate, ipotesi che si ri-feriscono al caso contemplato nel codice civile di adozione di maggiorenni (art. 305 c.c.) e nel ca-so di adozione in casi particolari (art. 44 l. 184/83). Vi è poi la possibilità di revoca nel caso in cuisi è ancora nella fase prodromica l’adozione, cioè nelle ipotesi di affidamento preadottivo previstodall’art. 24 della l. 184/83.Nessuna specifica tutela è prevista nell’ipotesi di fallimento dell’adozione una volta che questa èstata dichiarata dal TM.L’ipotesi di revoca dell’adozione trova il suo fondamento e si ricollega alla natura che questo isti-tuto aveva nell’ordinamento romano, nel quale l’adozione era prevista nell’interesse dell’adottantee nel quale prevalevano gli aspetti economici su quelli affettivo-relazionali e familiari. L’adozioneera quindi un atto con natura contrattuale e si concretizzava in un accordo tra adottante e adotta-to e creava un rapporto personale tra i due contraenti che poteva essere sciolto in qualsiasi mo-mento su accordo delle stesse parti o unilateralmente.Nell’adozione per maggiorenni la revoca è specificamente prevista per casi tassativi ed ecceziona-li e che non sono interpretabili in maniera estensiva e mai dipendenti dal consenso delle parti. Det-ta norma non è generale e non può essere applicata estensivamente ad altre fattispecie, come qual-cuno potrebbe erroneamente pensare ritenendola norma generale. Cosa succede se l’abbinamento non funziona dopo che vi è stata la dichiarazione di adozione?Spesso, infatti è il tempo che fa sorgere problematiche non evidenziatesi o sopite al momento del-l’adozione o comunque tali da far credere agli adottanti di poter essere in grado di affrontarle egestirle, sopravvalutando le loro capacità e sottovalutando il problema.L’effetto dell’insorgere di questi problemi si riversa, solo nei casi limite e marginalmente, in un ul-teriore giudizio innanzi al TM con una nuova dichiarazione di abbandono che determina la fuoriu-scita del minore dalla casa della famiglia adottiva e il collocamento in struttura o famiglia in affi-damento etero familiare. Con la dichiarazione del nuovo stato di abbandono il minore potrebbe essere riinserito in altra fa-miglia o restare affidato al Servizio e collocato in struttura idonea. Relativamente ai minori stranieri si pone il problema della cittadinanza, poiché vi sono Stati comeil Brasile in cui i bambini dichiarati adottabili mantengono comunque la cittadinanza e altri nei qua-li la perdono acquistando quella dei nuovi genitori; nel caso di dichiarazione di abbandono per-

1 Relazione tenuta al convegno “La seconda chance. L’adozione: efficacia e criticità della tutela del bambino in stato di abban-dono”, organizzato da AIAF Sicilia, Modica 10-11 dicembre 2010.

IL FALLIMENTO DELL’ADOZIONE1

Remigia D’AgataAvvocato del Foro di Catania e presidente AIAF Sicilia

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mane comunque la cittadinanza italiana nel primo caso mantenendo anche la cittadinanza origina-ria, nel secondo caso varranno le norme generali a tutela dei minori italiani.Difficile è determinare l’entità del fenomeno poiché spesso non emerge. Le famiglie preferisconomantenere e tentare di risolvere il problema al proprio interno non rivolgendosi a Servizi di cui te-mono l’invasività.Dai dati in possesso ed elaborati dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) e dall’Isti-tuto degli Innocenti di Firenze possiamo però rilevare come il fenomeno è più alto con i maschi checon le femmine, si attesta in genere tra i tredici e i quattordici anni di età del ragazzo, quindi nel-l’adolescenza o in alcuni casi in età preadolescenziale. Il fenomeno è più rilevante nel complessonei minori provenienti dall’area sudamericana per cui troviamo il più alto numero tra i minori bra-siliani, seguono i russi, colombiani, rumeni, polacchi, cileni, indiani e peruviani. L’incidenza del fe-nomeno nei minori asiatici è quindi marginale rispetto ad altre etnie. Non ho trovato statistiche suiminori africani forse per la marginalità del fenomeno. Si è anche potuto accertare come mediamente i minori in questione fossero entrati in Italia da cir-ca cinque-sette anni cioè intorno ai sette-otto. Questo dimostra che più elevata è l’età dell’adottan-te, più sono forti le radici nello Stato di provenienza (famiglia, lingua, usi, eccetera) e più è com-plesso e delicato l’inserimento nella nuova realtà socio ambientale. Nei casi di più fratelli adottati dalla stessa famiglia in genere il fenomeno non si estende agli altrifratelli, ma si concentra sul più grande.Da una statistica sembrerebbe che il TM con maggior casi di riabbandono sia Caltanissetta con unapercentuale del 6,5%, quelle con una incidenza pari allo zero Bolzano, Perugia, Messina e Sassari.Il fenomeno nell’insieme ha un’incidenza dell’1,7%.Le regioni in cui il fenomeno è più alto pare siano quelle in cui vi è un maggior numero di adozio-ni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Campania).Anche in relazione alle famiglie adottanti si sono rilevate delle caratteristiche più frequenti nei ca-si di riabbandono: sono più a rischio quelle con un basso numero di figli naturali e con un alto sta-to occupazionale, specie del padre.Le cause che determinano il fallimento sono principalmente difficoltà di relazione, conflitti che sivengono a determinare con la famiglia, inadeguatezza o incapacità della coppia.Tra i motivi più frequenti troviamo: abuso, abbandono, maltrattamenti, violenza del minore.A volte queste difficoltà sono solo transitorie per cui dopo un periodo di crisi, trovati i giusti rime-di con l’aiuto dei Servizi, il minore può far rientro nella famiglia adottiva.Importante e rilevante è il ruolo dei Servizi che dovrebbero essere sempre un punto di riferimen-to e di supporto per le famiglie in genere e per quelle adottive in particolare. Invece, spesso l’in-capacità di riuscire a dare a dette famiglie un vero e reale sostegno, piuttosto giudicando, a volteanche in modo non costruttivo, fa sì che le famiglie, sebbene in difficoltà, evitino di andare perfarsi aiutare. Un capitolo a parte meriterebbe il tema del fallimento delle adozioni sotto il profilo delle respon-sabilità e dei danni.Che il minore ne abbia sempre e comunque un danno è certo.Se in prima battuta si potrebbe individuare la coppia come responsabile, qualora ci fosse violazio-ne dei doveri genitoriali, non si possono escludere però errori imputabili ad altri soggetti che han-no gestito il percorso adottivo.La complessità di queste vicende e la molteplicità delle cause di questi fallimenti che coinvolgononumerosi soggetti e a vari livelli, anche procedurali, rende estremamente difficile tradurre questierrori in ipotesi di responsabilità civile, vanificando la possibilità di richiedere un risarcimento deldanno.

È stato scritto che la globalizzazione ha ormai scardinato il vecchio ordine basato sul controllo ter-ritoriale da parte degli Stati, consentendo così alla sfera del diritto di entrare nel gioco della com-petizione. Il fenomeno che condiziona la tendenza mondiale alla concentrazione verso un unicogrande mercato si ripresenta anche nell’universo del diritto, lasciando intravedere un nascente di-ritto globalizzato.Ciò è, in effetti, quanto si sta verificando anche in Italia soprattutto sotto la spinta della normativaeuropea e, in particolare, della comunitarizzazione del diritto di famiglia.Direttive e convenzioni europee si sono succedute nel tempo con sempre maggiore incisività an-che nell’ordinamento italiano che le ha talvolta ratificate o recepite, spesso con grande ritardo, nelcaso di convenzioni o di trattati, ovvero vi ha dato esecuzione, nel caso di direttive non immedia-tamente applicabili, pur con la timidezza che è talvolta propria delle istituzioni italiane con riguar-do all’ordinamento europeo.È ancora lungo il cammino di adeguamento della normativa italiana a quella europea. Solo per citare un esempio, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, fatta aStrasburgo il 25 marzo 1996, è stata ratificata dall’Italia soltanto con legge 20 marzo 2003 n. 77,mentre il governo italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica, ha poi indicato, aisensi dell’art. 4 della Convenzione, tre categorie del tutto marginali di controversie familiari cui laConvenzione può applicarsi. La Convenzione costituisce il primo tentativo di assicurare ai fanciul-li la possibilità di esercitare i loro diritti nelle procedure in materia familiare che li concernono,concedendo loro diritti processuali in caso di conflitto con i genitori, direttamente o tramite altrepersone od organi, in particolare con riguardo alle procedure relative all’esercizio delle responsa-bilità di genitore e per quanto riguarda la residenza e il diritto di visita riguardo ai figli. E la Con-venzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale dei minori ha trovato ratifi-ca soltanto con la legge n. 64 del 25 gennaio 1994. Uno strumento importante di adeguamento automatico delle legislazioni europee al rispetto dei di-ritti fondamentali del bambino in ambito familiare, quali riconosciuti dall’art. 24 della Carta dei di-ritti fondamentali dell’Unione europea, è comunque intervenuto attraverso il Regolamento CE n.2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, entrato in vigore il 1° agosto 2004 e applicabiledal 1° marzo 2005, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni inmateria matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il Regolamento CE n.1347 del 2000, obbligatorio in tutti i suoi elementi e immediatamente applicabile in ciascuno degliStati membri in base al Trattato che istituisce la Comunità europea (art. 72 del Regolamento cita-to), nonché con il Regolamento CE n. 2116 del Consiglio del 2 dicembre 2004 che modifica il re-golamento n. 2201/3 rispetto ai Trattati con la Santa Sede. Il Consiglio dell’Unione europea ha ritenuto in primo luogo di disporre uno strumento unico inmateria matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori, incluse le misure di protezionedel minore, “per garantire parità di condizioni a tutti i minori... indipendentemente da qualsiasinesso con un procedimento matrimoniale” (punto 5 del preambolo) e ha quindi adottato lo stru-

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LA GIURISPRUDENZA DELLA CEDU IN MATERIA DI ADOZIONE IN RELAZIONE ALLA NORMATIVA STATUALE ITALIANA

Grazia CorradiniPresidente della Corte d’Appello di Cagliari

mento del Regolamento comunitario rilevando che gli obiettivi del Regolamento non potevano es-sere sufficientemente realizzati dagli Stati membri mentre potevano essere realizzati meglio a li-vello comunitario, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del Trattato (punto 32 delpreambolo). Orbene, dai Trattati e dalle Convenzioni ratificati dall’Italia e dalla normativa europea immediata-mente applicabile nel diritto interno emerge ora un nuovo magma normativo, estremamente fram-mentato e non ricondotto a unità dal legislatore italiano, che però consente, attraverso l’interpreta-zione globale delle norme interne ed europee e dei princìpi desumibili dal sistema, l’applicazionedel giusto processo per il minore in materia familiare e cioè la tutela effettiva dei diritti del mino-re, in quanto figlio sottoposto alla potestà dei genitori (o meglio, affidato alla responsabilità dei ge-nitori, secondo l’espressione usata dalla normativa comunitaria, ben più pregnante e preferibile,non tanto in termini linguistici, quanto per la ricchezza di contenuti che racchiude), ma anche sog-getto autonomo di diritti che la responsabilità genitoriale deve garantire, in considerazione del ruo-lo rilevante dei genitori per la protezione e la promozione dei diritti e degli interessi superiori deifigli, ma che, in caso di conflitto di interessi fra genitori e figli, devono essere esercitati dal fanciul-lo stesso se avente un discernimento sufficiente o da un suo rappresentante (avvocato od organodesignato ad agire dinnanzi un’autorità giudiziaria a nome di un fanciullo o ancora un rappresen-tante speciale) in caso di mancanza di discernimento sufficiente (preambolo della Convenzione diStrasburgo).Il diritto del minore di essere informato e di esprimere personalmente la propria opinione, se haun discernimento sufficiente, nelle procedure che lo riguardano; il diritto di chiedere, personalmen-te o per tramite di altre persone od organi, la designazione di un rappresentante speciale nelle pro-cedure dinnanzi a una autorità giudiziaria che lo concernono, qualora la normativa interna privicoloro che hanno la responsabilità dei genitori della facoltà di rappresentare il fanciullo per via diun conflitto di interesse con lo stesso; la facoltà di accedere alla mediazione per la risoluzione deiconflitti; la facoltà di ottenere il patrocinio legale o la consulenza giuridica per la sua rappresen-tanza: sono tutti strumenti previsti dalla Convenzione di Strasburgo e che ormai connotano ancheil rapporto di filiazione in termini ben diversi da quelli previsti e prevedibili fino a pochi decennifa, in quanto pone al centro di tale rapporto non più l’aspetto del potere decisionale del genitoreo, secondo espressione più moderna, la funzione decisionale del genitore in termini di protezio-ne, bensì esclusivamente l’interesse del minore a seguire un processo di formazione che sia il piùconsono alle sue potenzialità e alle sue inclinazioni, anche in contrasto con le decisioni dei geni-tori se costoro non sono in grado di perseguire l’interesse dei figli.È basilare sotto tale profilo la definizione di “responsabilità genitoriale” tracciata dall’art. 2, n. 6, delRegolamento CE n. 2201 del 2003 come “i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giu-ridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardante lapersona o i beni del minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il di-ritto di visita” per percepire il profondo mutamento sostanziale che il contenuto del rapporto di fi-liazione ha subìto per effetto della normativa europea che, al di là del rapporto di procreazionegenetica che lega genitori e figli, ha delineato un sistema completo di misure di protezione del fi-glio nei confronti degli abusi della responsabilità da parte dei genitori destinato a superare le bar-riere nazionali e a garantire sempre e comunque, in primo luogo, l’interesse superiore del minoree la possibilità del minore di esprimere la sua opinione e di essere ascoltato nelle procedure che loriguardano e che non possono concludersi con decisioni imposte dall’alto neppure da parte delgiudice (art. 23 del Regolamento CE già più volte citato). Di fronte alla creazione di linee guida europee per un diverso assetto dei rapporti fra genitori e fi-gli, coinvolgenti pure il procedimento giudiziario diretto a rendere effettivi i diritti dei minori neiconfronti di genitori inadempienti o abusanti, sempre più spesso disposti a utilizzare i figli comestrumenti di ricatto per le loro liti, i passi mossi dal legislatore interno sono stati in verità, negli ul-timi decenni, abbastanza timidi e frammentari, non in linea con lo spirito progressista che avevamosso il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975. Ecco allora che la contaminazio-ne con il sistema di common law ha consentito per via giurisprudenziale la formazione di un mi-

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nimale sistema sostanziale di base comune e la creazione del giusto processo minorile, non aven-dovi provveduto il legislatore interno. È ancora lontano da venire un diritto comune europeo in materia di famiglia e probabilmente sa-rebbe opportuno puntare in prima battuta all’uniformità del diritto patrimoniale, riservando a unmomento successivo quello personale che tocca aspetti più intimi e in cui le normative nazionalisono ancora troppo distanti. Non può però tacersi che esiste già un sistema triordinato, al cui ver-tice si pone, per le materie per le quali è esistente, la direttiva o più in generale la norma comu-nitaria; segue la convenzione plurilaterale o bilaterale, se esistente e, solo infine, in assenza di nor-me sopraordinate, la norma interna. Gli operatori italiani spesso però dimenticano la gerarchia del-le fonti e questo spiega, ad esempio, le difficoltà di esecuzione dei provvedimenti in materia dirimpatrio assistito di minori affidati con provvedimenti stranieri e la preferenza accordata ai prov-vedimenti dei giudici italiani, con un atteggiamento che pare improntato più a xenofobia che a ra-gioni sostanziali, ma che in un’Europa comune non ha ragione di essere e impedisce lo sviluppodell’unità.L’influenza della normativa europea su quella interna, quasi si fosse già inseriti nel sistema di com-mon law proprio del diritto europeo, si avverte ancor più qualora si esaminino talune importantisentenze della Cedu e della Corte di Giustizia; contemporaneamente, tuttavia, si avverte la resisten-za della normativa italiana ad adeguarsi di fatto a quella europea e la contemporanea resistenza ditaluni operatori italiani del diritto a prendere atto di uno spazio comune europeo e quindi la ten-denza a violare il diritto comunitario in ossequio a pretese esigenze nazionali.

Nella sentenza del 27 aprile 2010 sul ricorso n. 16318/07 nel caso Moretti e Benedetti c. Italia la Ce-du traccia il concetto di vita familiare e dei criteri di scelta più adatti per la sua tutela in caso di in-capacità dei genitori biologici.“Il caso. I ricorrenti vivevano con la loro figlia legittima e con il bambino adottivo della sig.ra Be-nedetti. Avevano alle spalle anche esperienze di affido temporaneo di bambini, adottati poi da al-tre famiglie. Con decreto urgente del 20 maggio 2004, una neonata abbandonata dalla madre tos-sicodipendente subito dopo la nascita fu temporaneamente affidata a loro per decisione del tribu-nale per i minorenni di Venezia per un periodo di cinque mesi, che di fatto si prolungò fino a di-cembre 2005. Il 26 ottobre 2004 i ricorrenti presentarono una domanda di adozione speciale. Aquesta domanda le autorità non diedero riscontro alcuno. Nel frattempo la bambina era stata iscritta all’asilo nido a carico dei ricorrenti: costoro l’avevanoallevata ed educata, portandola con sé finanche in un viaggio in Brasile nel gennaio 2005. Nonavendo ricevuto riscontri, il 15 marzo 2005, i ricorrenti reiterarono la domanda di adozione spe-ciale. Scoprirono così che, in data 7 marzo 2005, il tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabi-lità della bambina, cui la madre biologica si era opposta (vedendosi peraltro successivamente re-spinta l’opposizione); quindi la bambina, il 19 dicembre 2005, con decisione non notificata ai ri-correnti, venne data in affidamento pre-adottivo temporaneo ad una nuova famiglia e, lo stessogiorno, venne allontanata dalla casa dei ricorrenti con l’aiuto della forza pubblica. Il tribunale per i minorenni di Venezia respinse le domande di adozione dei sig.ri Moretti e Bene-detti, motivando che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della minore. La cor-te d’appello accolse il gravame dei Moretti e Benedetti, annullando le pronunzie di rigetto delle do-mande di adozione sulla base del rilievo che lo stato di adottabilità non avrebbe dovuto essere di-chiarato prima della pronunzia sulla domanda di adozione speciale dei ricorrenti (tuttavia la cor-te d’appello non annullò il provvedimento di affidamento temporaneo alla nuova famiglia). Suc-cessivamente, la corte d’appello nominò un perito che stabilisse se nella nuova famiglia la minoresi fosse già inserita. Avendo avuto la perizia l’esito per cui la minore – pur legata affettivamente aentrambe le famiglie – si era già pienamente integrata nel nuovo contesto familiare, la corte d’ap-pello il 27 ottobre 2006 non annullò il decreto di affidamento alla nuova famiglia e in definitivaconsentì a questa l’adozione nel superiore interesse della minore. I sig.ri Moretti e Benedetti adirono la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art. 8 CEDU (dirittoal rispetto della vita privata e familiare) per l’illegittima ingerenza nella loro vita privata e familia-

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re dovuta ad un’erronea applicazione della legge e delle norme procedurali e degli artt. 6 (diritto aun equo processo) e 13 CEDU (diritto ad un ricorso effettivo) per l’iniquità del procedimento con-troverso e per non aver beneficiato di un ricorso effettivo davanti ad un giudice nazionale”.La Cedu ha ritenuto, dopo aver qualificato i fatti di causa, di esaminare i motivi del ricorso unica-mente sotto il profilo dell’art. 8 della Convenzione. Circa la pretesa violazione del diritto alla vitaprivata e familiare, la Corte ha rammentato che l’art. 8 della Convenzione EDU non assegna un di-ritto a creare una famiglia né riconosce un diritto all’adozione dei minori abbandonati. Esso tutelauna vita famigliare esistente. L’esistenza di una “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 della Conven-zione non si limita però ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può com-prendere altre relazioni familiari de facto, purché – oltre all’affetto generico – sussistano altri indi-ci di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di filiazione naturale o di un affi-damento pre-adottivo. Da questo punto di vista, la determinazione del carattere familiare delle re-lazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, laqualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino. Qui la Cor-te ha osservato che i ricorrenti avevano vissuto con la minore le prime tappe importanti della vitadi lei per un tempo più che apprezzabile (diciannove mesi), l’avevano inserita nella scolarità infan-tile e l’avevano portata con loro in un viaggio. Considerando tale forte legame stabilitosi tra i ricor-renti e la bambina, la Corte ha statuito, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela,che esso potesse rientrare nella nozione di vita familiare ai sensi dell’articolo 8 Cedu.Nel caso specifico, la Corte ha constatato il grave incidente procedurale consistito nell’essere statadichiarata l’adottabilità della bambina prima che l’autorità si fosse pronunziata sulla tempestiva do-manda di adozione da parte dei ricorrenti. Essa ha altresì preso atto della pronunzia della Corte d’Ap-pello che aveva giudicato priva di motivazione la reiezione delle domande adottive dei ricorrenti.Di conseguenza la Corte, a maggioranza, ha concluso per la violazione dell’articolo 8 Cedu, de-terminando – ai sensi dell’articolo 41 Cedu (vista l’irreversibilità della situazione) – l’equa ripara-zione. Da tale sentenza della Corte EDU si ricava un concetto di vita familiare che va oltre quella dellavera e propria famiglia legittima, un concetto di “famiglia degli affetti” che può trovare legittima-zione attraverso gli strumenti apprestati anche dall’ordinamento italiano (il quale, nel caso di filia-zione adottiva, prevede in numerose disposizioni il riconoscimento dei rapporti affettivi pregressiai fini della formalizzazione del rapporto adottivo: art. 44 della legge sull’adozione) e che nella spe-cie la magistratura italiana aveva rifiutato, determinando, a torto, una situazione irreversibile. Nel-la stessa sentenza si trova però anche la teorizzazione della necessità della protezione dell’interes-se del minore come prevalente su quelli, pur legittimi, degli adulti, il che è ormai un cardine – unnuovo cardine – dell’ordinamento familiare italiano, un principio generale, pur se non recepito inuna disposizione specifica interna, che è mutuato dalla normativa comunitaria e che costituisce unchiaro limite, di matrice comunitaria, all’attività legislativa e giurisdizionale interna.La sentenza predetta offre inoltre legittimazione a quella tendenza della normativa interna italianache sta andando verso la cosiddetta “adozione mite” anche nei casi in cui, forse, sussisterebbero ipresupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità. L’adozione in casi particolari è stata introdotta nel 1983 per coprire quella che nella pratica è co-nosciuta come “zona grigia” e cioè per regolarizzare in qualche modo un legame affettivo che giàesiste fra il bambino e la famiglia in cui è inserito di fatto, evitando le lungaggini e i sensi di fru-strazione che si accompagnano alla dichiarazione dello stato di adottabilità. Il caso sub c) nell’im-pianto iniziale, e ora sub d), dell’art. 44 è stato previsto specificamente dalla legge del 1983 persanare la cosiddetta “zona grigia” e cioè le situazioni di affidamento che si protraggono da tem-po e che hanno portato al consolidamento di legami cui appare opportuno riconoscere valore an-che legale. Si parla in tali casi di adozione cosidetta “mite”, basata sul consenso dei genitori biologici del mi-nore o comunque sulla loro conoscenza con la famiglia adottiva e su una sorta di “patto di nonbelligeranza” fra le due famiglie. In tali casi è pacifico che non occorre la dichiarazione dello sta-to di adottabilità e, qualora i genitori naturali siano già stati dichiarati decaduti dalla potestà, con-

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sente di arrivare all’adozione in tempi ristrettissimi. D’altronde agli affidatari del bambino che aspi-rano all’adozione interessa l’esercizio della potestà e il cognome, per cui accettano di buon gradol’adozione ex art. 44 lett. d) soprattutto perché la questione si chiude velocemente senza traumi.Tale adozione è consentita anche ai parenti del bambino che lo abbiano in affidamento da tempo,nel caso in cui i genitori siano ancora viventi. La stessa Corte Costituzionale, sia pure incidentalmente, lo ha sostenuto e di fatto l’istituto vieneutilizzato in tal caso abbastanza spesso, in quanto se i genitori sono viventi (al contrario di quan-to avviene se sono deceduti) i parenti affidatari vogliono acquisire la potestà sui bambini ed esclu-dere i genitori da interferenze spesso molto disturbanti.Per l’adozione ai sensi dell’art. 44 non è necessario l’assenso dei genitori che non siano nella pote-stà o siano incapaci o irreperibili; per questo solitamente, quando è presumibile che i genitori ne-gheranno l’assenso, pur trattandosi di persone che non si sono mai interessate del figlio, si conclu-de la procedura per la decadenza dalla potestà dei genitori prima di iniziare la procedura adottiva.Non è necessario neppure il consenso del legale rappresentante che sia il tutore. Già nel vigoredella legge del 1983 era intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 182 del 1988 cheaveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, 2° comma, nella parte in cui era previsto ilconsenso anziché l’audizione del legale rappresentante. Ora il legislatore del 2001 ha recepitoespressamente la nuova soluzione.Orbene, nella sentenza Cedu sul caso Moretti e Benedetti si rinviene una nuova spinta nei confron-ti del diritto interno vivente alla ricerca della soluzione migliore per il minore, quella più immedia-ta, anche con il riconoscimento legale dell’esistenza di una famiglia degli affetti che vada oltre lospecifico modello di adozione legittimante previsto in primo battuta dalla normativa italiana, se ciòè più rispondente alle esigenze di stabilità del minore.

Altra importante sentenza della Cedu del 24 febbraio 2009, ricorso n. 29768/05 Caso Errico c. Italia,riguarda il tema delle interferenze sulla vita familiare. “Il caso. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente ha lamentato che il provvedimen-to di affidamento di S. lo ha separato dalla figlia. Egli ha addotto che le ingerenze delle autoritàhanno finito col nuocere al rapporto tra i genitori e la figlia, mettendo in serio pericolo il legamefamiliare. Le autorità competenti avevano deciso di dare in affidamento S. senza le garanzie previste dall’ar-ticolo 8 e soprattutto senza avere prima sentito i genitori, in assenza del carattere di eccezionalitàe urgenza che deve contraddistinguerla. Ha lamentato inoltre la durata eccessiva delle indaginipreliminari effettuate nei suoi confronti. A suo giudizio, esse avevano prolungato la sua separazio-ne dalla figlia per un periodo superiore a due anni e otto mesi (in particolare, dal 25 luglio 2002al 6 aprile 2005, data del deposito in cancelleria della decisione del 16 marzo 2005). Parimenti eraeccessiva la durata del procedimento di affidamento, con violazione dell’articolo 13 della Conven-zione per avere dovuto attendere la decisione della corte d’appello del 16 marzo 2005 per rivederela figlia, non essendo disponibile, nel diritto italiano, alcun ricorso per accelerare il procedimentopendente dinanzi alla corte d’appello”.La Cedu ha ritenuto opportuno esaminare le doglianze sollevate dal ricorrente unicamente sotto ilprofilo dell’articolo 8, il quale esige che il processo decisionale che conduce all’adozione di prov-vedimenti di ingerenza sia equo e rispetti come si deve gli interessi tutelati da tale disposizione(Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007, Kutzner c. Germania n.46544/99, § 56, Cedu 2002 I, e Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre2006). Ricordato che per un genitore e il proprio figlio il fatto di essere insieme rappresenta un ele-mento fondamentale della vita familiare (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDH 2002 I) eche le misure interne che glielo impediscono costituiscono un’ingerenza nel diritto tutelato dall’ar-ticolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDH 2001-VII), la Ceduha rilevato che una simile ingerenza viola l’articolo 8 a meno che, “prevista dalla legge”, essa per-segua uno o più scopi legittimi avuto riguardo al secondo paragrafo di questa norma e sia “neces-saria, in una società democratica” per raggiungerli.

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La nozione di “necessità” implica un’ingerenza fondata su un bisogno sociale impellente e, soprat-tutto, proporzionata allo scopo legittimo che si vuole raggiungere (Couillard Maugery c. Francia, n.64796/01, § 237, 1° luglio 2004). L’articolo 8 tende essenzialmente a tutelare la persona dalle ingerenze arbitrarie dei pubblici pote-ri, ma crea anche a carico dello Stato obblighi positivi aventi a oggetto il “rispetto” effettivo dellavita familiare. Così, laddove risulta provata l’esistenza di un legame familiare, lo Stato deve perprincipio agire in modo tale da consentire a questo legame di svilupparsi e deve adottare le misu-re idonee affinché il genitore possa riunirsi con il proprio figlio (vedere, per esempio, Eriksson c.Svezia, 22 giugno 1989, § 71, serie A n. 156; Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio1992, § 91, serie A n. 226 A; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250; Ignac-colo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDH 2000 I, e Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 51,CEDH 2000 IX). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell’articolo 8 nonsi presta a essere definito con precisione; i princìpi applicabili sono tuttavia equiparabili. In parti-colare occorre perseguire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco; ma sia per gli uni che pergli altri, lo Stato gode di una certo margine di discrezionalità (vedere, per esempio, W., B. et R. c.Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A n. 121, §§ 60 e 61, e Gnahoré, succitata, § 52). Nella fattispecie – ha rilevato la Cedu – è indubbio che l’allontanamento, l’affidamento di S. e lasua sistemazione in una Casa famiglia costituiscano una “ingerenza” nell’esercizio del diritto del ri-corrente al rispetto della sua vita familiare. La misura controversa, basata sugli articoli 330, 333 e336 del codice civile, era però “prevista dalla legge” e perseguiva uno scopo legittimo ai sensi delparagrafo 2 dell’articolo 8, ossia la “tutela della salute o della morale” e la “tutela dei diritti e dellelibertà altrui”, dal momento che si proponeva di salvaguardare il benessere di S. Il punto decisivoconsisteva nel sapere se le autorità nazionali avessero adottato tutte le misure che ragionevolmen-te da esse si potevano esigere. Per quanto riguardava l’allontanamento di S. e il suo affidamento,la Cedu ha notato che il Tribunale per i Minorenni aveva giustificato la sua decisione del 25 luglio2002 facendo riferimento alle forti presunzioni che S. avesse subìto abusi sessuali da parte di suopadre e ai dubbi sulla capacità di sua madre di proteggerla. Il ricorso a una procedura d’urgenzaper allontanare S. rientrava perfettamente negli strumenti di cui le autorità nazionali avevano il di-ritto di disporre in materia di abusi sessuali, che costituiscono incontestabilmente un tipo odiosodi misfatti che rendono fragili le vittime. I minori e gli incapaci hanno diritto alla protezione delloStato attraverso un’efficace prevenzione da forme così gravi di ingerenza in aspetti essenziali del-la loro vita privata (vedere Stubbings e altri c. Regno Unito, 22 ottobre 1996, § 64, Recueil 1996 IV;mutatis mutandis, Z e altri c. Regno Unito [GC], n. 29392/95, § 73, CEDH 2001 V; A. c. Regno uni-to, 23 settembre 1998, § 22 Recueil 1998-VI, e Covezzi e Morselli, succitata, § 103). In queste condizioni la Corte ha ritenuto che l’allontanamento e l’affidamento di S. potessero esse-re considerate misure proporzionate e “necessarie in una società democratica” per la protezionedella salute e dei diritti della minore. L’esistenza dei sospetti di abusi sessuali che pesava sul ricor-rente poteva ragionevolmente indurre le autorità nazionali a ritenere pregiudizievole il mantenimen-to di S. nella casa di famiglia (vedere, mutatis mutandis, Roda e Bonfatti, succitata, §§ 113-114). Nonvi era stata quindi alcuna violazione dell’articolo 8 per quanto riguardava il provvedimento di ur-genza che disponeva l’allontanamento e l’affidamento della minore poiché l’esistenza dei sospettidi abusi sessuali a carico del ricorrente poteva ragionevolmente indurre le autorità competenti apensare che, informandolo in anticipo della messa in atto della procedura di allontanamento, avreb-bero potuto recare pregiudizio a S.: per di più la decisione di allontanamento era stata motivata dalrischio di eventuali pressioni del padre su S. durante la fase istruttoria del processo penale. In que-sto contesto, la Corte non ha potuto rimproverare alle autorità di aver agito in maniera sproporzio-nata dato che esse avevano ritenuto di dover proteggere S. dalle pressioni che potevano essere eser-citate nell’ambiente familiare. L’ingerenza, fino all’esito delle indagini preliminari, era poi “necessa-ria per la protezione dei diritti altrui”, nel caso specifico di quello della minore S. Tuttavia, questostesso interesse della minore esigeva anche di consentire al legame familiare di svilupparsi nuova-mente, non appena le misure adottate non fossero più apparse necessarie (Olsson c. Svezia n. 2, §90, serie A n. 250), mentre invece il Gip aveva atteso più di quindici mesi prima di pronunciarsi

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sulla domanda di archiviazione della procura. Durante questo periodo, il ricorrente non aveva po-tuto esercitare nessuna influenza sulla conclusione della procedura. La Corte non era convinta cheper pronunciarsi sulla richiesta della procura fosse necessario tutto questo tempo. Di conseguenza,essa ha rilevato un ritardo ingiustificato da parte delle autorità nazionali. Inoltre, durante questo pe-riodo, il ricorrente non aveva avuto a disposizione alcun ricorso avverso la decisione del Tribuna-le per i Minorenni che aveva sospeso la sua potestà genitoriale e gli aveva vietato di incontrare suafiglia. Egli aveva dovuto attendere il provvedimento di archiviazione della denuncia per domanda-re di essere reintegrato nella potestà genitoriale nei confronti di sua figlia S.Se la sospensione dei rapporti tra il ricorrente e sua figlia era giustificata dal fatto che le indaginisul ricorrente non erano terminate, nel procedimento penale erano sopraggiunti ritardi irragione-voli che avevano avuto un impatto diretto sul diritto alla vita familiare dell’interessato. Le carenzeconstatate nello svolgimento di questa procedura non permettevano, quindi, di ritenere che le au-torità italiane avessero adottato tutte le misure necessarie che ragionevolmente si potevano esige-re da loro al fine di ripristinare la vita familiare del ricorrente con sua figlia, nell’interesse di en-trambi. La Cedu ha quindi concluso per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.Anche in questo caso sono stati enunciati importanti princìpi generali, in precedenza non chiara-mente enucleabili dal diritto interno, quali quello del sacrificio degli interessi del genitore sospet-tato di abuso sessuale di fronte a quelli, preminenti, del figlio minore e della non eccessività, in ta-le ambito, di un provvedimento urgente anche senza l’audizione preventiva delle parti, mentre lacondanna dell’Italia ha soltanto stigmatizzato il ritardo nella decisione da parte del giudice penale.

Altra sentenza interessante della Cedu è quella emessa il 13 gennaio 2009 nel Caso Todorova con-tro Italia.“Il caso. La ricorrente, cittadina bulgara residente a Bari, dopo aver dato alla luce i due bambini,aveva deciso di non riconoscerli e aveva chiesto che non fosse rivelato il suo nome. Il giorno stessoun’assistente sociale informava il suo superiore gerarchico dell’abbandono dei due neonati. Tregiorni dopo la loro nascita, il pubblico ministero presso il Tribunale dei minori di Bari chiedeva alTribunale di procedere con urgenza al trasferimento dei neonati presso un centro d’accoglienza.Quattro giorni dopo la nascita dei bambini, la stessa assistente sociale trasmetteva al proprio supe-riore gerarchico un rapporto, in cui si riferiva che la madre aveva chiesto di poter disporre di qual-che giorno in più per poter riflettere e decidere se riconoscere o meno i propri figli. La ricorrenteesprimeva inoltre il desiderio che, nel frattempo, i neonati potessero essere ospitati provvisoriamen-te presso un centro d’accoglienza o presso una famiglia, purché le venisse concesso di poterli vede-re. Tale rapporto veniva prontamente trasmesso al pubblico ministero.Ciononostante, il Tribunale nominava un tutore provvisorio e disponeva il divieto di visita per la ri-corrente. Il pubblico ministero competente chiedeva a sua volta al Tribunale di dichiarare lo statodi adottabilità dei due minori, affermando: 1) che la ricorrente non aveva chiesto alcun termineper il riconoscimento dei figli, ma unicamente un po’ di tempo per valutare le prospettive; 2) che lasospensione della procedura per l’adozione era comunque facoltativa e che poteva essere disposta sei minori fossero stati assistiti da un parente, mentre, nel caso di specie, la ricorrente aveva espressosolo il desiderio di vedere i gemelli; 3) che la ricorrente aveva già altri due figli e una famiglia inun altro Paese, che la relazione con il padre dei due gemelli, un cittadino italiano, si era interrot-ta, che la ricorrente si trovava in precarie condizioni economiche e che non aveva una vita suffi-cientemente stabile per occuparsi dei bambini in modo adeguato e che l’idea di abbandonare i fi-gli doveva essere già maturata durante la gravidanza. Il 2 novembre 2005 il Tribunale dei minori dichiarava i gemelli adottabili. Il 2 dicembre 2005, laricorrente chiedeva la sospensione della procedura per la dichiarazione di adottabilità e di poter es-sere sentita dal Tribunale. Il 5 dicembre, stante la mancata opposizione alla dichiarazione di adot-tabilità da parte del pubblico ministero, questa diventava definitiva, e i due gemelli venivano datiin affidamento preadottivo ad una famiglia. Il 21 dicembre il Tribunale dei minori dichiarava ir-ricevibile l’istanza di sospensione presentata dalla ricorrente poiché, non essendo stata presentataopposizione alla decisione del 2 novembre, la procedura della quale si chiedeva la sospensione do-

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veva considerarsi ormai conclusa con la dichiarazione di adottabilità dei due bambini. Anche l’at-to di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, presentato nel febbraio 2006, veniva respintodal Tribunale, in primo luogo per decorrenza dei termini, dal momento che la decisione relativaalla dichiarazione di adottabilità era divenuta definitiva il 5 dicembre 2005. Ad ogni buon conto,rilevava il giudice nazionale, quand’anche l’istanza fosse stata presentata nei termini, la ricorren-te non era legittimata a sollevare l’opposizione in quanto non aveva riconosciuto i figli alla nasci-ta e, comunque, la decisione relativa allo stato di adottabilità non avrebbe potuto essere neancheoggetto di revocazione dal momento che ormai i minori erano già stati dati in affidamento prea-dottivo ad una famiglia. Anche la domanda di revocazione della dichiarazione di adottabilità ve-niva respinta in quanto irricevibile, dal momento che era stata proposta alla corte d’appello, anzi-ché al tribunale dei minori.La ricorrente, pertanto, presentava ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando laviolazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’art. 6 CEDU (di-ritto ad un equo processo). La ricorrente, lamentando un’ingerenza nella sua vita privata e fami-liare non proporzionata e non necessaria in una società democratica, affermava che la decisionedi dichiarare adottabili i minori dopo soli 27 giorni dalla loro nascita era contraria agli standarddel Consiglio d’Europa riportati nell’art. 5, comma 4, della Convenzione Europea in materia di ado-zione dei minori del 24 aprile 1968, secondo il quale ‘Il consenso della madre all’adozione del fi-glio non potrà essere accettato che dopo la nascita di questi, allo spirare del termine prescritto dal-la legge e che non dovrà essere inferiore a 6 settimane o, ove non sia specificato un termine, nel mo-mento in cui, a giudizio dell’autorità competente, la madre si sarà sufficientemente ristabilita dal-le conseguenze del parto’”. La Cedu ha preliminarmente rammentato che il concetto di famiglia sul quale si fonda l’articolo 8della Convenzione include, anche in assenza di convivenza, il legame tra un individuo e suo figlio,sia questi legittimo (si vedano, mutatis mutandis, Berrehab c. Paesi Bassi, 21 giugno 1988, par. 21,e Gül c. Svizzera, 19 febbraio 1996, par. 32) o naturale. Se, in linea generale, la convivenza puòcostituire un requisito di tale rapporto, eccezionalmente anche altri fattori possono servire a dimo-strare che un rapporto è sufficientemente costante da creare “legami familiari” di fatto (Kroon e al-tri c. Paesi Bassi).L’esistenza o l’assenza di una “vita familiare” è innanzitutto una questione di fatto dipendente dal-la realtà pratica di legami personali stretti (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, par. 150). La Corte ha dovuto quindi verificare se, nel caso di specie, ricorressero altri elementi atti a dimo-strare che il rapporto tra la ricorrente e i suoi figli fosse sufficientemente costante e sostanziale dacreare “legami familiari” di fatto. A tal proposito, i giudici europei hanno ricordato di aver già in-terpretato estensivamente la disposizione di cui all’articolo 8, ricomprendendo anche il rapportoche avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori del matri-monio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95), o al rapporto nato da un matrimonio non fittizio,anche se non esisteva ancora una vera e propria vita familiare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c.Regno Unito, 28 maggio 1985, par. 62).Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il legame tra la ricorrente e i figli rientrasse nel concet-to di vita familiare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, non potendosi negare l’interesse chela ricorrente aveva dimostrato nei confronti dei figli ed escludere che tra lei e i figli avrebbe potu-to svilupparsi un rapporto se essa avesse avuto la possibilità di rimettere in discussione la sua scel-ta dinanzi al tribunale. Nel merito, la Corte, ritenuto che le doglianze della ricorrente dovessero essere esaminate unica-mente sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione, ha chiarito la portata della suddetta dispo-sizione normativa, affermando che essa non solo tutela l’individuo dalle ingerenze dei pubblici po-teri, ma impone anche degli obblighi positivi aventi a oggetto il rispetto effettivo della vita familia-re. Il confine tra obblighi positivi e negativi dello Stato non si presta a una precisa definizione, masia per gli uni che per gli altri lo Stato stesso gode di un certo margine di discrezionalità e, comun-que, occorre perseguire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.La Corte ha quindi osservato che, nel caso in esame, nella ricerca dell’equilibrio tra i diversi inte-

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ressi in gioco avrebbe dovuto prevalere l’interesse superiore del bambino. Pertanto, stante la com-plessità del caso e il sottile equilibrio che era opportuno garantire tra gli interessi dei bambini equelli della loro madre, era di fondamentale importanza riconoscere un’attenzione particolare agliobblighi processuali derivanti necessariamente dall’articolo 8 della Convenzione. Nella fattispecie,era fondamentale per la ricorrente potersi esprimere dinanzi all’autorità giudiziaria e rimettere indiscussione la propria scelta di abbandonare i figli.Alla luce di tali considerazioni, i giudici europei, pur avendo constatato lo sforzo profuso dalle au-torità italiane per tutelare i minori, hanno però rilevato che il Tribunale di Bari aveva proceduto al-la pronuncia della dichiarazione di adottabilità senza prendere nella dovuta considerazione il fattoche la ricorrente aveva chiesto del tempo per ragionare sulla decisione relativa al riconoscimentodei figli, di poter essere ascoltata dal Tribunale e di poter vedere i suoi figli almeno fino alla sca-denza dell’eventuale maggior termine concesso per il riconoscimento. La Corte ha quindi afferma-to che lo Stato era venuto meno agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione,per non aver assicurato che il consenso prestato dalla ricorrente all’abbandono dei figli fosse sta-to chiarito e supportato da adeguate garanzie. Pertanto, la Corte ha constatato la violazione dell’ar-ticolo 8 Cedu.Tale decisione è stata ritenuta dalla più illuminata giurisprudenza italiana immediatamente applica-bile nel diritto interno, nel senso che era obbligatorio per il giudice nazionale, in presenza dellanorma pattizia di cui alla Convenzione europea in materia di adozione dei minori, garantire allamadre, che pure avesse espresso la volontà di non riconoscere il figlio, un congruo tempo di ri-pensamento affinché potesse riprendersi dal parto e il diritto di essere sentita, se avesse espressotale esigenza.

Esaminiamo ora il Caso Clemeno contro Italia, di cui alla sentenza Cedu del 12 ottobre 2008. “Il caso. Nel 1997 il Tribunale per i Minorenni di Milano aveva dichiarato lo stato di adottabilità diuna minore, sospendendo i genitori dall’esercizio della potestà, interrompendo i rapporti tra la mi-nore ed il nucleo familiare e ordinandone il collocamento in famiglia. La vicenda aveva preso le mosse dall’iniziativa del P.M. che aveva richiesto procedersi alla tuteladella minore, posto che il di lei padre era stato rinviato a giudizio per abusi commessi in danno del-la di lei cugina minore. Acquisita la sentenza con la quale il padre era stato condannato per talifatti, era stato emesso il decreto di adottabilità. Nel corso del giudizio di appello avverso tale deci-sione, costui veniva assolto, ma i giudici negavano che il giudicato penale assolutorio, in conside-razione della formula adottata (art. 530, comma 2 c.p.p.), potesse esplicare effetti ripristinatori neirapporti tra la minore ed i genitori. La Corte di cassazione, limitando il suo sindacato ai motivi diricorso – ratione temporis – esperibili prima dell’entrata in vigore del D.L. 150/01, aveva escluso laviolazione dell’art. 8 della Cedu, rigettando il ricorso dei genitori (Sez. 1, n. 18132 del 19/12/2002). Rivoltisi alla Corte europea, i genitori e gli altri loro figli hanno ottenuto la condanna dell’Italia inrelazione all’art. 8 cit., in quanto la Corte ha rilevato che, se la decisione di interrompere i rappor-ti con la famiglia di origine poteva dirsi corretta nella prima fase del procedimento, perché giustifi-cata dall’esigenza di tutelare la minore, una volta assolto il padre, la decisione di decretare l’adot-tabilità della minore, interrompendo i rapporti con la famiglia ed in particolare con la madre ed ifratelli non appariva invece condivisibile”. Secondo la Corte, una simile decisione deve essere presa solo in circostanze eccezionali, mentredeve essere fatto ogni sforzo per mantenere le relazioni personali con la famiglia di origine e, almomento opportuno, per ricostruire la famiglia stessa. L’art. 8, sempre secondo la Corte EDU, nonsolo tutela la persona dalle ingerenze dei pubblici poteri, ma crea anche obblighi positivi aventi aoggetto il rispetto effettivo della vita familiare. Perciò tale articolo tutela il diritto del genitore a ot-tenere misure idonee affinché possa riunirsi con il proprio figlio, nonché l’obbligo per le autoritànazionali di adottare tali misure (in tal senso, Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 71; Margareta eRoger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, § 91; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90;Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94; Gnahoré c. Francia n. 40031/98, § 51). Quest’ob-bligo, tuttavia, ha affermato la Corte, non è assoluto perché deve essere posto in relazione al caso

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specifico; d’altro canto, la comprensione e la collaborazione delle persone coinvolte costituisconosempre un importante fattore che le autorità nazionali hanno una limitata possibilità di ottenerecon la coercizione, poiché occorre tenere conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle stes-se persone, con particolare riferimento ai minori. Nel caso in cui i contatti con i genitori possanocompromettere i suddetti diritti, spetta alle autorità nazionali assicurare un giusto equilibrio tra leposizioni soggettive. Il confine tra obblighi positivi e negativi dello Stato non si presta a una pre-cisa definizione, ma sia per gli uni che per gli altri lo Stato stesso gode di un certo margine di di-screzionalità e, comunque, occorre perseguire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.La Corte ha quindi verificato se, nella fattispecie, le autorità nazionali avessero adottato tutte le mi-sure che ragionevolmente da esse si potevano esigere. Al riguardo, nella pronuncia della Corte de-vono distinguersi due profili: uno relativo al provvedimento di allontanamento della minore dallafamiglia e di affidamento ad autorità di tutela; l’altro relativo al regime concreto di tale allontana-mento che escludeva, per ordine dell’autorità, qualsiasi contatto tra famiglia e figlia. Quanto alle misure di allontanamento della minore e di affidamento ai Servizi sociali, i giudici diStrasburgo hanno rilevato che tali provvedimenti rientrano tra gli strumenti di cui le autorità na-zionali hanno il diritto di disporre in materia di abusi sessuali; infatti minori e incapaci hanno di-ritto, nei confronti dello Stato, di ottenere protezione attraverso un’efficace prevenzione contro gra-vi forme di ingerenza in aspetti essenziali della vita privata. Perciò, dato il contesto delittuoso cheaveva come protagonista il padre della minore, le autorità nazionali potevano ragionevolmente ri-tenere pregiudizievole il mantenimento della minore nella casa di famiglia. Quindi, ad avviso del-la Corte, poiché entrambe le misure (allontanamento della minore e affidamento ai Servizi socia-li) possono considerarsi proporzionate e necessarie in una società democratica per la protezionedella salute e dei diritti del bambino, non vi è stata, sotto questo profilo, alcuna violazione dell’ar-ticolo 8 Cedu.Quanto alla mancanza di contatti tra i genitori e il fratello con la minore, invece, la Corte ha pre-liminarmente osservato che l’affidamento del minore va considerato misura temporanea e finaliz-zata a consentire la riunione tra il minore stesso e i genitori. Un’interruzione prolungata di contat-ti tra l’uno e gli altri o incontri troppo distanziati nel tempo rischierebbero di compromettere ogniseria opportunità di aiuto al superamento delle difficoltà della vita familiare (vedi, mutatis mutan-dis, la sentenza Scozzari et Giunta c. Italie [GC], n. 39221/98 e 41963/98). Esaminate quindi le de-cisioni adottate dalle autorità giudiziarie, pur rilevando che queste erano state prese dopo adegua-ta riflessione e verifiche di esperti e di soggetti appartenenti ai Servizi sociali, la Corte ha rilevatoche le ragioni indicate dal Tribunale per i Minorenni non erano tali da giustificare la dichiarazionedi adottabilità della minore e l’interruzione di ogni rapporto con la famiglia di origine. A tal pro-posito è stato evidenziato che, se è vero che il perseguimento dell’interesse del minore postulal’adozione di tutte le misure atte a garantirgli la crescita in un ambiente sano, è altrettanto neces-sario compiere ogni sforzo per mantenere i legami familiari e, al momento opportuno, per rico-struire la famiglia stessa, mentre solo la presenza di circostanze del tutto eccezionali può condur-re all’interruzione di ogni rapporto con la famiglia d’origine. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 8 Cedu in conse-guenza dell’interruzione prolungata dei rapporti tra la minore e la sua famiglia d’origine durante ilperiodo di affidamento presso i Servizi sociali nonché in riferimento alla decisione presa dalle au-torità nazionali di dichiarare lo stato di adottabilità della minore. L’Italia ha interposto richiesta diassegnazione alla Grande Chambre per un nuovo giudizio.Anche in tale sentenza la Cedu ripropone un concetto di tutela della vita familiare che spesso vie-ne trascurato nella giurisdizione interna. Appare poi all’evidenza un paradosso la conferma, daparte dei giudici italiani, della dichiarazione dello stato di adottabilità basata su presunti abusi dacui il padre era stato nel frattempo prosciolto, anche se ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., cheperò è sempre un’assoluzione. La dichiarazione dello stato di adottabilità poteva essere conferma-ta, in una siffatta situazione, espungendo però qualsiasi riferimento ai presunti abusi, sempre chefossero esistiti altri autonomi elementi decisivi, già sviluppati, e documenti che potessero giustifi-carla.

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Oggi vi è quindi un nuovo motore che spinge la giurisprudenza interna verso maggiori garanziedi tutti i diritti familiari, ma che incide, nel contempo, sulla società italiana spingendola verso mo-delli di vita familiare che assicurino la piena tutela dei figli; sempre che vi siano ancora i presup-posti per parlare di una vita familiare da proteggere, che, finché esiste, nella giurisprudenza dellaCedu deve prevalere ed essere supportata anche quando appaiono scarse le possibilità di ripresadella famiglia biologica.La Corte Costituzionale italiana, che pure ha voluto riservarsi il potere di decidere sulla legittimitàcostituzionale della norma interna incompatibile con la disposizione convenzionale interposta, hariconosciuto che spetta alla Cedu la decisione di tutte le questioni concernenti l’interpretazione el’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposti a essa e che, comun-que, il giudice comune deve interpretare la norma interna in modo che sia conforme a quella in-ternazionale (vedi Corte Costituzionale n. 349 del 2007) così spingendo la giurisprudenza internaa una interpretazione esasperata della norma nazionale in conformità a quella convenzionale cheha ben poco della funzione interpretativa tradizionale, finendo per divenire fonte di creazione del-la nuova norma, tipica di un regime di common law. Peraltro, nell’ultimo decennio la Corte Costituzionale ha operato lo stesso intervento anche nei con-fronti della norme interna, sostanzialmente “bloccando” la propria attività di cesura sulla normati-va ordinaria primaria. Anche laddove ha rilevato una discrasia evidente fra norma costituzionale enorma interna ha ripetutamente restituito gli atti al giudice remittente affinché esplorasse la possi-bilità di reperire un’interpretazione conforme alla Costituzione, anche nei casi in cui appariva ditutta evidenza che non si trattava della ricerca di un’interpretazione bensì della creazione della nor-ma per il caso concreto.Ad esempio, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater, 1° comma,del codice civile, nella parte in cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione della casa co-niugale nel caso in cui l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio, la Cor-te Costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2008, ha rimesso al giudice la ricerca della soluzioneconforme all’interesse della prole, ritenendo che la norma censurata non violi i precetti costituzio-nali se interpretata nel senso che l’assegnazione della casa familiare non venga meno di diritto alverificarsi dell’instaurazione di una convivenza di fatto o di un nuovo matrimonio, ma che la de-cadenza dalla stessa sia subordinata a un giudizio di conformità all’interesse del minore. Già in pre-cedenza, in merito all’impossibilità di dichiarare l’illegittimità di una disposizione quando della stes-sa è possibile darne un’interpretazione – anche se in ipotesi “ardita” – conforme alla Costituzione,la Corte Costituzionale si era pronunciata con le sentenze nn. 379 del 2007, 356 del 1996, nonchécon l’ordinanza n. 87 del 2007.Con la sentenza n. 335 del 2009 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di le-gittimità costituzionale dell’art. 537, comma 3, del codice civile, impugnato con riferimento agli artt.3 e 30, comma 3, della Costituzione, in quanto attribuisce ai figli legittimi la facoltà di soddisfarein denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non si oppongonoe al giudice il potere di decidere in caso di opposizione, valutate le circostanze personali e patri-moniali, poiché il giudice nella propria opzione ermeneutica deve calibrare la singola decisionegiurisprudenziale (che può essere a favore del figlio naturale) alle specifiche circostanze persona-li e patrimoniali, così da scongiurare eventuali esercizi arbitrari del diritto di commutazione o del-la facoltà di opposizione.Inammissibile è stata ritenuta, con la sentenza n. 286 del 2009, la questione di legittimità costituzio-nale degli artt. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006, 317 bis del c.c. e 38 dispos. att. c.c., cen-surati, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 della Costituzione, nella parte in cui estendono ai proce-dimenti relativi ai figli di genitori non coniugati la disciplina dettata dalla citata legge n. 54 del 2006in materia di separazione di genitori e affidamento condiviso dei figli, con attribuzione al Tribuna-le per i Minorenni, anziché al Tribunale ordinario, della competenza ad adottare provvedimento dicontenuto patrimoniale o non direttamente concernenti il minore, poiché il remittente ha omessodi svolgere il doveroso tentativo di esplorazione della possibilità di una interpretazione conformealla Costituzione.

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Si tratta di alcune situazioni emblematiche, ma significative dell’attuale rifiuto, da parte della CorteCostituzionale, di intervenire in tutti i casi in cui il “diritto vivente” e cioè il diritto di elaborazionegiurisprudenziale, è già pervenuto all’interpretazione costituzionalizzante della norma che all’appa-renza, in base all’interpretazione tradizionale, si sarebbe posta in contrasto con la Costituzione, ov-vero nei casi in cui, anche in assenza dell’elaborazione di un diritto vivente nella materia, sia pos-sibile un’interpretazione ardita, esasperata, della norma, ben oltre l’interpretazione analogica, chela faccia ritenere conforme al dettato costituzionale.È fin troppo evidente che la Corte Costituzionale italiana ha preso atto del sistema europeo di com-mon law e sta spingendo la giurisprudenza italiana verso quel sistema anche perché il giudice ita-liano è inserito in un sistema di common law quando applica le sentenze europee e il diritto eu-ropeo, pur se facente parte di un sistema interno di civil law. I Paesi che adottano il civil law, compresi quelli a “sistema misto”, tra cui la Cina, sono 154 (il44,7% del totale degli Stati), e coinvolgono il 59% della popolazione; i Paesi di common law, vice-versa, sono 96 (27,9% del totale) e interessano il 34,8% della popolazione. Nonostante possa sembrare netta, la distinzione tra questi sistemi giuridici sembra tuttavia oggi at-tenere più a livello di filosofia del diritto e di accademia. Nella pratica, infatti, si assiste a una cre-scente contaminazione tra la cultura giuridica dei Paesi anglosassoni e di quelli dell’Europa conti-nentale che, partendo da posizioni sostanzialmente diverse, raggiungono nella pratica applicazio-ne gli stessi risultati.Più in particolare, nei sistemi di civil law si assiste a una progressiva accentuazione della tenden-za a riconoscere un certo grado di vincolatività ai precedenti giudiziari, soprattutto alle pronuncedelle giurisdizioni superiori.Contestualmente, negli ordinamenti di common law, sembra attenuarsi sempre di più la vincolati-vità del precedente, mentre è sempre più frequente il ricorso a un diritto di fonte statutaria (“sta-tutory law”). Fortunatamente, la partita non deve necessariamente chiudersi con un’affermazione netta e defini-tiva di un sistema o dell’altro, e ciò perché la globalizzazione ha scardinato il vecchio ordine ba-sato sul controllo territoriale da parte degli Stati, consentendo così alla sfera del diritto di entrarenel gioco della competizione. Come nell’economia e nella finanza, insomma, lo stesso fenomenoche condiziona la tendenza mondiale alla concentrazione verso un unico grande mercato si ripre-senta nell’universo delle regole e delle norme, lasciando intravedere gli albori del nascente dirittoglobalizzato.E così si chiude da dove si è incominciato il discorso.

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PARLAMENTO EUROPEO

Direzione Generale Politiche Interne Dipartimento Politiche C

Diritti dei cittadini e affari costituzionali

ADOZIONE INTERNAZIONALE NELL’UNIONE EUROPEA

Il rapporto è stato coordinato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze1

Lo scopo di questo Rapporto è proporre un’analisi comparativa dei diversi sistemi nazionali che di-sciplinano l’adozione internazionale, allo scopo di realizzare una base conoscitiva aggiornata, a par-tire da cui valutare ogni eventuale formulazione di policy in questa materia, tenendo conto dell’im-patto che tali nuove politiche possono avere nei diversi Stati membri dell’Unione europea, sia rispet-to all’adozione internazionale che, più in generale, ai sistemi nazionali di protezione dell’infanzia.

Aspetti statistici

Per ciò che riguarda i profili statistici del fenomeno dell’adozione internazionale in Europa, la Ri-cerca ha reso possibile mettere in evidenza che gli Stati di accoglienza europei rappresentavanocirca il 40% di tutta l’adozione nel mondo nel 2004; nello stesso anno i nove Stati europei di ori-gine coprivano il 3,3% dei bambini adottati (2% nel 2006). Tutti gli Stati di origine, esclusa l’Esto-nia, oggi inviano i bambini in altri Paesi europei. Viceversa, la maggior parte degli Stati di acco-glienza dell’Ue accoglie bambini principalmente da Paesi non europei, e soltanto Cipro, Malta el’Italia, accolgono più del 10% dei bambini adottati da altri Stati Ue. Inoltre l’analisi ha messo in evidenza alcune tendenze generali del fenomeno, che ha comportatoun iniziale aumento (1998-2004) e una successiva caduta (2004-2007) nel numero totale di adozio-ni internazionali. In particolare può essere sottolineato che il numero di adozioni internazionali nelmondo è cresciuto sostanzialmente a partire dalla metà degli anni Cinquanta, fino a raggiungere ilpicco di 45.000 nel 2004. Nei tre anni seguenti è sceso a 37.000, pari al dato del 2001. Tre Stati Ue– Francia, Spagna e Italia – sono tra i primi cinque Stati di accoglienza negli ultimi quindici anni.In generale gli Stati europei – e in particolare la Spagna e l’Irlanda – hanno avuto un incrementosopra la media del numero dei bambini accolti tra il 1998 e il 2004, ma la maggior parte degli Sta-ti Ue hanno in seguito avuto un decremento sopra la media dal 2004 al 2007.

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1 Comitato scientifico: Femmie Juffer, Isabelle Lammerant, Enrico Moretti, Piercarlo Pazè, Raffaella Pregliasco, Peter Selman,Elena UrsoTesti: Erika Bernacchi, Federico Brogi, Isabelle Lammerant, Femmie Juffer, Enrico Moretti, Raffaella Pregliasco, Peter Selman, Ele-na Urso, Angelo VernilloRapporti nazionali: Julia Andrasi, Pia Brandsnes, Kenneth Grech, Paulo Guerra, Peter Guran, Gill Haworth, Alfonso Marina Her-nado, Andres Julle, Heinz Kindler, Kaarina Koskela, Aleksandra Kowalczyk, Jacques Kuentziger, Ninetta Lambrini-Zoi, Alina Ma-hera, Andreja Crnac Meglic, Laure Néliaz, Stéphanie Pino, Sandra Roe, Maria Rossidou, Elisabet Sandberg, Helmut Sax, Odeta Tar-vydiene, Velina Todorova, Angelo Vernillo, Anneke VinkeCoordinamento di progetto: Erika Bernacchi, Toni Compagno, Francesca Fattori, Angelo VernilloCoordinamento e realizzazione editoriale: Anna Buia, Alessandra Gerbo, Caterina Leoni, Paola Senesi

Entro il 2007 meno del 20% dei bambini adottati con adozione internazionale presso i ventidue Sta-ti di accoglienza venivano da Paesi europei, e soltanto 2,4 dall’Unione europea. Per ciò che riguarda i profili statistici dell’adozione internazionale nell’Ue, è importante che il Par-lamento europeo incoraggi tutti gli Stati membri a raccogliere i dati circa i bambini inviati o accoltiper l’adozione internazionale, includendo un maggiore dettaglio di informazioni rispetto a quantoè stato riscontrato nella maggior parte dei casi. Un intervento immediato potrebbe consistere nelsostenere il tentativo della Convenzione de L’Aja di sviluppare un sistema standardizzato di moni-toraggio da parte di tutti gli stati contraenti.

Aspetti psicosociali e di policy

Nel Rapporto, le scelte legislative, sia a livello sovranazionale che nazionale, sono state analizzatein parallelo con le pratiche nelle esperienze nazionali per verificare se e fino a che punto le di-chiarazioni di principio, gli atti di esecuzione, le interpretazioni e l’applicazione delle norme giuri-diche si riflettano adeguatamente in concrete misure adatte alle situazioni particolari. In particolare, per ciò che riguarda i servizi, le questioni analizzate nel rapporto riguardano il ruo-lo dell’adozione nelle politiche nazionali di protezione dell’infanzia, l’approccio interdisciplinare aquesto strumento, i servizi di preparazione, le modalità di sostegno durante il periodo di attesa, laprocedura di abbinamento, le principali caratteristiche dei servizi di post-adozione, l’impatto e iproblemi connessi alle adozioni di bambini con bisogni speciali, e in ultimo una rassegna e anali-si dei forum per i genitori adottivi, i genitori naturali e le persone adottate. Alcuni questioni particolarmente dibattute devono essere particolarmente sottolineate. Il primo tema riguarda il tempo di riflessione per la madre naturale di riconsiderare la propria de-cisione di dare il proprio figlio in adozione. In alcuni Paesi un periodo minimo di alcuni mesi è ri-chiesto prima che il bambino possa essere legalmente adottabile. Da una prospettiva psicologica,un periodo minimo è effettivamente raccomandabile, perché una donna non sempre riesce a ca-pire e stimare pienamente tutte le conseguenze della propria decisione prima di dare alla nascitaun bambino. D’altra parte, nell’interesse superiore del bambino, una decisione finale non può es-sere rimandata troppo a lungo, perché (ripetute) separazioni rischiano di ostacolare lo sviluppodell’attaccamento nel bambino, in particolare nel primo anno di vita. Al fine di prendere in consi-derazione il punto di vista sia della madre naturale che del bambino, un periodo minimo di tre oquattro mesi sembra accettabile. Naturalmente un sostegno psicologico alla madre naturale primae dopo la nascita dovrebbe essere incluso tra le buone pratiche di standard o protocolli. In molti Paesi è in corso un dibattito sui bambini in affidamento in famiglia o presso strutture re-sidenziali. Spesso questi bambini non possono essere adottati perché i genitori naturali non accon-sentono all’adozione, mentre d’altro canto essi non sono in condizione di prendersi cura del bam-bino. In molti casi il diritto del bambino a crescere e rimanere in una famiglia è violato. È di estre-ma importanza effettuare ogni tentativo per sollecitare la riunificazione della famiglia, e che i genito-ri naturali siano effettivamente sostenuti a educare i propri bambini in modo adeguato. Inoltre, l’affi-damento familiare dovrebbe essere reso disponibile per i bambini in strutture residenziali. Sulla ba-se delle conoscenze provenienti dagli studi sull’attaccamento, un collocamento di tipo familiare erelazioni parentali stabili dovrebbero essere preferiti al collocamento in strutture residenziali e a af-fidamenti e trasferimenti ripetuti. Anche se il principio di sussidiarietà stabilito nella Convenzione de L’Aja è generalmente ricono-sciuto, la sua concreta applicazione a livello nazionale deve essere sostenuta in maniera puntuale.È certamente positivo che l’affidamento familiare o l’adozione nel Paese d’origine del bambino sia-no generalmente riconosciuti come preferibili all’adozione internazionale. Tuttavia, sebbene un cer-to numero di misure siano state identificate (per esempio che i bambini possono essere adottati so-lo dopo un periodo minimo di tempo durante il quale è verificata la fattibilità di un’adozione na-zionale) un set di linee guida dettagliate sull’applicazione del principio di sussidiarietà a livello na-zionale e sovranazionale non è ancora stato elaborato. Sarebbe utile un parametro di buona pratica,

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che prenda in considerazione sia il principio di sussidiarietà che il punto di vista del bambino (ilquale ha bisogno di una collocazione stabile e permanente in famiglia preferibilmente durante ilprimo anno di età). In particolare i Paesi di origine dovrebbero essere incoraggiati a organizzare i propri sistemi di af-fidamento familiare e di adozione nazionale, per esempio attraverso manuali di buone pratiche emodelli di protocolli per i Servizi sociali locali. Allo stesso tempo potrebbero essere sviluppati pro-grammi per le strutture residenziali di accoglienza, per assicurare le migliori condizioni di cura perquei bambini per i quali una collocazione in famiglia non può essere trovata (ad esempio bambi-ni affetti da HIV).La maggior parte dei Paesi riconosce l’esigenza di una preparazione appropriata per i futuri genito-ri adottivi e molti Paesi prevedono programmi o corsi preparatori (obbligatori). L’esperienza di que-sti Paesi mostra che i genitori di solito aderiscono con favore a questi programmi perché vi si hal’occasione di imparare molte cose su aspetti importanti dell’adozione (per esempio il backgrounddel bambino o questioni relative all’attaccamento). Inoltre i genitori possono incontrare altri aspi-ranti genitori adottivi e discutere questioni di interesse comune. Considerando i risultati positivi del-la preparazione (obbligatoria) questi servizi dovrebbero essere raccomandati dappertutto nelle pro-cedure adottive. In netto contrasto con quanto detto circa la preparazione dei genitori, il lavoro di preparazione coni bambini da adottare pare invece deficitario. La maggior parte dei Paesi di origine riconosce la ri-levanza dei servizi di preparazione per i bambini, ma spesso mancano le risorse e le conoscenzeper preparare adeguatamente i bambini all’adozione, prendendo in considerazione le problemati-che dello sviluppo del bambino. Per esempio il lavoro di racconto delle storie di vita (come sviluppato nel Regno Unito) potreb-be aiutare un bambino a colmare la transizione dal collocamento in un istituto a quello in una fa-miglia. Rispetto al tema delle procedure di abbinamento, si rileva che non esiste un insieme di criteri chia-ri o linee guida disponibili in merito. Dal punto di vista del superiore interesse del bambino, sa-rebbe raccomandabile che una consulenza psicologica (da parte di psicologi o esperti nelle materiedello sviluppo infantile) sia usata per garantire un buon abbinamento. Si segnala inoltre l’opportuni-tà di realizzare ulteriori ricerche su quali regole decisionali siano usate nella pratica e quanto que-ste regole siano adeguate. Al contrario della situazione relativa ai servizi preadottivi, i servizi post-adozione sono già stati im-plementati in Paesi con una lunga storia di adozione, mentre altri Paesi sono in una fase di orga-nizzazione di tali servizi. Si può concludere che la necessità di servizi post-adottivi è largamente ri-conosciuta, ma l’implementazione di questi servizi dovrebbe ricevere più attenzione nell’ambitodelle politiche sull’adozione. Inoltre sebbene un maggior numero di adozioni di bambini con bisogni speciali siano oggi realiz-zate attraverso l’adozione internazionale (e sempre di più si prevede che ve ne saranno in futuro)non c’è accordo nei Paesi europei su specifiche misure o politiche. Allo stesso tempo alcuni Pae-si hanno realizzato campagne o protocolli per preparare meglio i futuri genitori adottivi all’adozio-ne di questi bambini. Se ne conclude che l’adozione di bambini con bisogni speciali merita mag-giore attenzione, ora e in futuro, e quindi le esperienze esistenti e gli sforzi dovrebbero essere com-binati per migliorare la consapevolezza, la conoscenza e la pratica. Da ultimo, le politiche e la pratica dell’adozione possono inoltre beneficiare dei risultati della ri-cerca scientifica rispetto ai diversi aspetti psicosociali coinvolti. La ricerca sull’adozione può appor-tare una comprensione basata sui fatti rispetto agli effetti dell’adozione e può condurre alla formu-lazione di specifiche politiche. Nella rassegna comparativa della ricerca sull’adozione in Europaemerge chiaramente che i bambini adottati attraverso l’adozione internazionale mostrano ritardi ri-spetto ai pari non adottati cresciuti in famiglie naturali, in relazione all’insicurezza nell’attaccamen-to nella prima infanzia, problemi di linguaggio, problemi di apprendimento e di comportamento.Poiché i bambini adottati attraverso l’adozione internazionale hanno spesso vissuto esperienze av-verse nella fase precedente l’adozione, quali malnutrizione, maltrattamento e abuso, si potrebbero

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attendere ritardi potenzialmente in ogni aspetto del loro sviluppo. Eppure, non è stata rilevata al-cuna differenza tra gli adottati e i loro pari non adottati in relazione a problemi di attaccamento,IQ, risultati scolastici e autostima. Sono state invece rilevate delle differenze rispetto ai seguenti ele-menti: problemi di attaccamento durante la prima infanzia, lingua, problemi di apprendimento e dicomportamento.Per questo, i servizi di post-adozione devono essere sviluppati al fine di assicurare un sostegno aigenitori adottivi e agli adottati per prevenire insicurezza nell’attaccamento, problemi di apprendi-mento e problemi di salute mentale tra gli adottati.

Aspetti legislativi e normativi

Un’analisi dettagliata delle politiche nazionali è stata svolta con il fine specifico di trovare elemen-ti unificanti nella legislazione in vigore e le principali questioni in gioco rispetto alle procedure diadozione, cercando allo stesso tempo di identificare le principali questioni di regolazione e le areedi conflitto per le quali possano essere proposte soluzioni comuni. Il report si focalizza in particolare sulle regole circa le autorità competenti, quelle che regolano irequisiti e i diritti degli adottanti e degli adottati, i modelli di adozione, le misure di contrasto alfenomeno dell’abuso e traffico dei bambini, il diritto dei bambini a conoscere le proprie origini.Deve essere sottolineato che la comparazione tra esperienze degli Stati europei fa emergere alcu-ne divergenze profonde. Queste contrapposizioni possono essere anche estremamente significati-ve sia rispetto agli aspetti procedurali che alle pratiche e ai servizi nazionali. Il ruolo giocato dailegislatori nazionali, dai giudici e dalle autorità amministrative è ancora notevolissimo in questocampo. Inoltre per quanto riguarda gli strumenti normativi fondamentali e le misure che regolamentano isistemi dell’adozione internazionale a livello internazionale (la Convenzione sui diritti dell’infanziae la Convenzione de L’Aja del 1993) è stato sottolineato che la pluralità di soluzioni finalizzate aregolare questo specifico argomento – vincolanti o meno – può creare forti tensioni in Europa. Appare quindi decisivo pensare a possibili modifiche da operare in futuro al fine di semplificare ecoordinare tutte le misure compresenti in quest’area per realizzare una strategia europea non limita-ta alla mera adesione della Ue alla Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale, ad altre con-venzioni del Consiglio d’Europa sui diritti dell’infanzia e alla Convenzione Onu sui diritti dell’in-fanzia. In questa prospettiva sembra utile favorire una tendenza già accettata, ma aperta a ulteriori miglio-ramenti, basata su piani coordinati e di lungo periodo verso precisi obiettivi: ratifica delle conven-zioni internazionali, varo di nuove leggi nazionali, creazione di meccanismi di monitoraggio, supervi-sione di iniziative governative, allocazione di risorse, promozione di politiche e attività per aumenta-re la consapevolezza dell’opinione pubblica sulle questioni della protezione dei bambini e special-mente sull’adozione.Il primo e più appropriato strumento per raggiungere questo risultato sembra essere una specificaRisoluzione del Parlamento europeo, riguardante specificamente questi argomenti, al fine di creareun Gruppo europeo di esperti (una Commissione sui diritti del bambino) che abbia una conoscen-za profonda dei diversi problemi legali da risolvere. Questo gruppo dovrebbe essere responsabiledi stendere un testo che, prima di tutto, sistematizzi le norme correnti di diritto internazionale pri-vato che riguardano in particolare le procedure dell’adozione internazionale (per esempio sui cri-teri per determinare la legge applicabile, la competenza giudiziaria, il recepimento e l’applicazio-ne delle decisioni straniere di diritto civile) alla luce degli importanti passi intrapresi e dei risultatipositivi già ottenuti grazie a un grande numero di ratifiche della Convenzione sull’adozione inter-nazionale de L’Aja del 1993 dentro l’area Ue. Inoltre quando tutte le persone coinvolte nell’adozione internazionale sono cittadini europei, do-vrebbero essere previste soluzioni unitarie per assicurare il riconoscimento diretto, in un Paese Ue,delle decisioni sull’adozione prese in un altro Paese dell’Ue, che quest’ultimo abbia o meno ratifi-

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cato la Convenzione de L’Aja del 1993, a condizione che comunque i suoi princìpi siano stati ac-cettati e l’interesse superiore del bambino sia stato dovutamente accertato e rispettato. Ciò può es-sere fatto senza alterare l’equilibrio tra diritto nazionale e regole convenzionali, quando queste coe-sistono, come accade in molti Paesi europei. D’altra parte, per quanto riguarda gli aspetti sostanziali e procedurali del diritto dell’adozione, que-sti dovrebbero continuare a essere regolati dal diritto nazionale, comunque in modo rispettoso delprincipio dell’eguale trattamento: sia le adozioni nazionali che quelle internazionali dovrebbero es-sere soggette alle stesse garanzie. La futura entrata in vigore della Convenzione sull’adozione rivi-sta del Consiglio d’Europa del 2008 conferirà un valore aggiunto europeo a questa visione e – incaso di numerose ratifiche – amplierà notevolmente la “piattaforma convenzionale” nel settore inquestione.Allo stesso tempo, la stesura di un documento sui “Princìpi del diritto dell’adozione nell’Ue” po-trebbe riuscire a definire un quadro di riferimento atto a riaffermare le norme esistenti e identifica-re i princìpi inviolabili con i quali le leggi e le pratiche degli Stati membri dovrebbero conformar-si. Questo documento dovrebbe favorire una più grande consapevolezza delle difficoltà da supe-rare e potrebbe portare a politiche condivise. Ulteriori interessanti prospettive e considerazioni in quest’area vengono dalle interviste a testimo-ni privilegiati nello scenario europeo. Gli argomenti trattati dalle interviste sono state una valuta-zione sui quindici anni di vita del “Sistema de L’Aja”, uno sguardo sul futuro dell’adozione inter-nazionale, e l’ipotesi dell’“Adozione europea”, da intendersi come una serie di regole e procedureper l’adozione di bambini dell’Unione europea da parte di famiglie residenti nell’Unione europea. Quasi tutti gli intervistati hanno identificato alcuni specifici problemi. Per esempio, è stato osser-vato che in molti Paesi, specialmente nei Paesi di origine, la ratifica della Convenzione de L’Aja haavuto luogo prima del dovuto. Nella maggior parte dei casi ciò è dovuto al fatto che un sistema ge-nerale e coerente per la protezione dei minori non era ancora stato sviluppato. Per ciò che riguarda gli scenari futuri, emerge una caduta del numero dei bambini disponibili perl’adozione internazionale, dovuta principalmente alla crescita economica in alcuni Paesi, e alla mag-giore implementazione delle adozioni nazionali che ne deriva. Una conseguenza importante diquesto fenomeno è che sempre più saranno disponibili a essere adottati bambini con cosiddette “esi-genze speciali”; in particolare bambini più grandi o con handicap o gruppi di fratelli/sorelle. Per ciò che riguarda la dibattuta questione dei costi dell’adozione internazionale, è emerso con chia-rezza il bisogno di trasparenza. Inoltre, è stato affermato che laddove intervengono gli Enti accre-ditati, devono agire su base genuinamente “non-profit”, accettando solamente il rimborso delle spe-se. Un altro tema sensibile che merita di essere menzionato è che un possibile contributo al man-tenimento dei bambini nei Paesi di origine deve essere regolato appropriatamente, concordato traAutorità centrali e deciso in maniera trasparente. Infine in relazione al ruolo degli Enti accreditati, i problemi principali emersi sono legati al fattoche spesso è difficile verificare come tali Enti lavorino effettivamente. È stato quindi specificamen-te raccomandato che nello scenario Ue, sia i Paesi di origine che quelli di accoglienza dovrebbe-ro condividere un minimum standard per l’autorizzazione e l’accreditamento di tali Enti.

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AbruzzoMaria Carla Serafini (presidente)Federica Di Benedetto

CalabriaStefania Mendicino (presidente)

CampaniaRosanna Dama (presidente)Erminia Del Cogliano

Emilia Romagna Ada Valeria Fabj (presidente)Daniela Abram, Lorenza Bond, Isabella TrebbiGiordani

Friuli Venezia GiuliaMaria Antonia Pili (presidente)Graziella Cantiello

LazioMarina Marino (presidente)Nicoletta Morandi, Costanza Pomarici, Giulia Sarnari

LiguriaLiana Maggiano (presidente)Ilaria Felicetti, Alberto Figone

LombardiaFranca Alessio (presidente)Maurizio Bandera, Marisa Bedotti, Marina Bologni,Cinzia Calabrese, Cinzia Colombo, GiuseppinaDebiasi, Antonella De Peri, Cesare Fiore, StefaniaLingua, Carla Loda, Francesca Mazzoleni, GerardoMilani, Laura Pietrasanta, Milena Pini, NicolettaStefania Pisano, Mirella Quattrone, Antonella Ratti

MarcheAnna Pelamatti Cagnoni (presidente)Marina Guzzini

PiemonteAntonina Scolaro (presidente)Maria Cristina Bruno Voena, Cristina Giovando,Maria Cristina Ottavis, Marina Torresini

PugliaAda Marseglia (presidente)

SardegnaLuisella Fanni (presidente)Vittorio Campus, Anna Marinucci, Francesco Pisano

SiciliaRemigia D’Agata (presidente)Cinzia Fresina, Antonio Leonardi, Caterina Mirto

ToscanaManuela Cecchi (presidente)Sandra Albertini, Gigliola Montano, Bruna Repetto,Sandra Tagliasacchi, Valeria Vezzosi

UmbriaAnna Maria Pacciarini (presidente)Stefania Cherubini, Maria Rita Tiburzi

VenetoAlessandro Sartori (presidente)Roberta Bettiolo, Gaudenzia Brunello, Paola Cacco,Giuliana Castelletti, Francesca Collet, LorenzaCracco, Guido Dalla Palma, Gabriella de Strobel,Caterina Evangelisti Franzaroli, Anna Kusstascher,Rita Mondolo, Giovanna Olivieri, Umberto Roma,Anna Sartor, Giulia Schiaffino, Lara Sereno,Damiana Stocco, Assunta Todini, Daniela Turci

AIAF - Organi statutari

Presidente: Milena Pini

Vicepresidente: Luisella Fanni

Giunta Esecutiva: Milena Pini (Presidente), Luisella Fanni (Vicepresidente), Marina Marino (AIAF Lazio), Daniela Abram (AIAF Emilia Romagna), Manuela Cecchi (AIAF Toscana), Remigia D’Agata (AIAF Sicilia), Gabriella de Strobel (AIAF Veneto), Liana Maggiano (AIAF Liguria), Antonina Scolaro (AIAF Piemonte)

Direttore Scuola di Alta Formazione dell’AIAF: Marina Marino

Comitato Direttivo Nazionale

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Anno XVI n° 1, gennaio-aprile 2011Quadrimestrale - reg. Tribunale Roma n. 496 del 9.10.1995

www.aiaf-avvocati.it

RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

L’ADOZIONE:UN PERCORSO SOSTENIBILE

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